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[Valentine's Day Side-Quest] Patryce Sonja Williams & Osamu Kurokawa

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    Patryce Sonja Williams
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    - Hee?! - La voce della Williams si diffuse tra le vetrate che separavano l’ufficio della CEO da alcune scrivanie dei dipendenti. Qualche sfortunato era rimasto fino a tardi per poter recuperare il lavoro accumulato durante la settimana, giorni all’insegna di fiori e cioccolatini. La Williams aveva vietato ogni genere di carinerie nei suoi uffici, reputandoli un motivo di distrazione e di calo della produttività dei suoi dipendenti. E proprio alcuni di questi sollevarono il capo per portare il loro sguardo oltre allo schermo dei computer e sbirciare oltre i vetri dell’ufficio della Williams. - Cosa hai fatto? - L’espressione glaciale e la postura composta sembravano venir meno all’annuncio di Ayame-san, la sua fidata segretaria. La sola donna capace di mettere ordine nella sua agenda e soddisfare le sue esigenti richieste. Nessun’altra riusciva ad organizzarle con tanta precisione e cura la giornata. In quanto amministratore di un’azienda in forte crescita aveva un’agenda piena d’impegni. Raramente si lamentava e si concedeva ben poche pause. Non perché non amasse concedersi qualche lusso ogni tanto, ma perché dalla buona riuscita del suo progetto dipendeva molto l’andamento della W.I.S.E. Corporation. Richiedeva serietà e diligenza ai suoi dipendenti, e ne era l’esempio. Potevano circolare i peggior epiteti nei suoi confronti, come la “strega dell’attico” o la “donna dal cuore di ghiaccio” o “la stronca-carriere”, eppure l’intransigenza e la buona amministrazione non mancavano nella sua azienda. Precisa nei pagamenti, serrata nei ritmi di lavoro e propensa alle promozioni solo quando meritevoli.

    - Ho vietato qualsiasi motivo di distrazione in questi uffici, soprattutto in una festività effimera come il San Valentino… e tu, Ayame-san, mi prenoti un tavolo al Kura Sushi stasera? - La povera segretaria non poteva far altro che abbassare il capo e mantenere quella posizione rigida e di sudditanza. Rimase in rigoroso silenzio, aspettando il momento buono per giustificare quell’ultimo impegno della giornata. Lavorava per la Williams da diversi mesi ed un po' aveva imparato a conoscerla. Amava la bella vita e riteneva che si fosse guadagnata una serata al locale più esclusivo di Edogawa. In verità credeva che la donna fosse troppo dedita al lavoro e c’era sempre meno spazio per lo svago nella sua agenda nell’ultimo periodo. - S…State lavorando tanto nell’ultimo periodo, anzi troppo. - Incalzò la CEO, mentre quest’ultima scuoteva la testa e si lasciava a ripetuti sospiri. - Ho pensato che una serata libera… - Si sentì trapassare da parte a parte dallo sguardo glaciale della donna. Forse aveva un po' esagerato. Iniziava a temere per il suo lavoro. Intanto la Williams aveva intrecciato le dita ed appoggiato il mento su di esse. Stava riflettendo.

    Momento interminabili. Ad Ayame-san sembrava passarle la vita vissuta fino a quel momento davanti agli occhi. Già s’immaginava nell’affannosa ricerca di un nuovo impego l’indomani, soprattutto senza una lettera di raccomandata della Williams. Fece precedere alla decisione finale un lungo sospiro. - Mi auguro che almeno tu mi abbia prenotato un’auto ed ordinato un abito adatto all’occasione. - Forse la segretaria aveva ragione. Per quanto odiasse ricorrenze come San Valentino, forse una serata libera poteva pur concedersela. Era arrivata a Tokyo con sogni e tanta voglia di divertirsi, ed ora si ritrovava naufraga in un oceano di impegni e lavoro. Amava ciò che stava costruendo nel cuore pulsante del Giappone, ma sentiva comunque il bisogno di recuperare un po' la sua parte frivola e la spensieratezza di un tempo. Ancora una volta Ayame-san aveva ragione. - Ovviamente, Williams-sama! - La segretaria finalmente tirò un sospiro di sollievo. - Ah! Ovviamente concludi tu il lavoro qui. - Una sottile vendetta per aver tramato alle sue spalle.

    Abbandonato l’ufficio la donna era già attesa da una auto elegante e con vetri oscurati. Il tragitto fino al quartiere di Edogawa non fu privo di traffico, ma le diede qualche minuto in più per concedersi un tocco di eyeliner e gloss rosso. Per vanità si ritrovò a squadrare la sua immagine nel vetro dell’ascensore che portava in cima al palazzo dove era allocato il Kura Sushi. Le dita portarono una ciocca di capelli dorati dietro all’orecchio, in un caschetto che sfiorava appena le spalle ed ordinato solo da una spilla. Non poteva lamentarsi dell’abito scelto dalla segretaria. Stirò con le mani le pieghe del tubino che indossava, così stretto da mettere in evidenza le femminili forme. Un blu notte, simile a quel cielo che troneggiava sulla cupola di vetro. Aveva avuto giusto il tempo d’infilarsi delle décolleté nere, così lucide quanto alte. La collana di perle si adagiava sulla scollatura del vestito, in tinta con le perle bianche che mostrava ai lobi. Si sistemò il coprispalle in pelliccia sintetica, per coprirsi dal freddo serale.

    *Dlin* Finalmente l’ascensore arrivò a destinazione ed i suoi occhi si posarono su colori fin troppo accesi e tendenti al rosa. Un’espressione contrariata fiorì sul viso della Williams, affrancata però dalla splendida vista che offriva la cupola. La città notturna era sempre una delizia per i suoi occhi, consapevole che un giorno tutto ciò sarebbe stato suo. Per ora doveva solo accontentarsi di un tavolo nel locale più esclusivo di Tokyo. - Konbanwa! La mia segretaria ha prenotato un tavolo a mio nome. - Fu accolta da un ragazzo dai tratti esotici al lounge bar. Ovviamente la sua segretaria aveva già provveduto a tutto. - Williams! - Ciò che però non si aspettava era quello di ricevere una collana a forma di lucchetto. Oltre a non capirne il motivo, quei colori cozzavano troppo con il suo abbigliamento. Ogni tentativo di restituire quell’oggetto fu inutile, anche perché nel prezzo era compreso anche quell’infantile caccia al tesoro. “Me la pagherai, Ayame-san!” Fatto stà che non aveva nessuna intenzione di cercare la persona che custodiva la chiave del suo lucchetto. Nessuno era all’altezza dei Williams.
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    Osamu Kurokawa
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    Osamu aveva prenotato al Kura Sushi in un moto d'impulso al ricordarsi che San Valentino era alle porte e che lui era incredibilmente solo. Quanto tempo era passato dalla sua ultima relazione? Anni? Secoli. E di solito, in tutti quei giorni normali dove non esisteva alcuna festa degli innamorati, non era qualcosa che gli importasse, ma più la festività si avvicinava più iniziavi a prendere coscienza di quanto non avere un partner ti rendesse una persona triste. O almeno nel caso di Osamu, a cui stare in coppia gli trasmetteva una specie di sicurezza, che ricordava di non avere nel momento in cui gli importava l'idea di avere un partner, ovvero a San Valentino. E quindi che festività di merda.
    In conclusione Osamu era quella persona ipocrita che non essendo fidanzato odiava San Valentino perchè il contrario sarebbe stato triste, affermando che si trattava di una festa consumista e capitalista, ma che poi appena entrava in una relazione non esitava a comprare rose rosse e orsacchiotti di peluche.
    Aveva riservato al Kura Sushi per distrarsi ed impedire a se stesso di fare cose stupide perchè irritato da qualcosa, soprattutto quando quel qualcosa era intangibile come una festa e non poteva essere preso a pugni per sfogarsi. Ricordava ancora il San Valentino dell'anno prima in cui aveva preso la pessima idea di riscrivere alla sua ex, scoprendo che si era già fidanzata con un altro. Terribile. Imbarazzante. E non voleva più commettere un errore simile.
    Aveva quasi avuto la tentazione di invitarci sua sorella in modo da non andarci completamente da solo, perchè l'unica sua consolazione era sapere che nemmeno lei non avesse un partner così che potessero essere tristi assieme; ma invitare Akemi il giorno di San Valentino era strano e Osamu voleva evitare il disagio che qualcuno potesse anche remotamente pensare che fossero una coppia, che schifo, per poi dover chiarire che si trattava della sorella e quindi passare anche per uno sfigato. Akemi gli avrebbe portato solo altri problemi.

    ( . . . )


    Era la prima volta che Osamu entrava al Kura Sushi, inutile dire che di solito non frequentava posti così esclusivi, ma perfino lui non poté che apprezzare la meravigliosa vista che offriva la cupola di vetro sulla città e sul cielo cui timidamente spuntavano alcune stelle.
    Il castano vagava per la sala, dopo aver pagato l'ingresso, aveva fatto un giro della sala principale per orientarsi e fermarsi ad osservare a gente che come lui quella sera aveva accettato quel giochino della chiave e il lucchetto; era stato ciò ad attirare la sua attenzione nel momento in cui aveva scelto della festa su internet. Avrebbe conosciuto qualcuno —non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma un po' ci sperava di trovare la sua dolce metà— che possibilmente lo avrebbe distratto abbastanza da dimenticarsi il modo imbarazzante in cui si erano appena conosciuti e soprattutto dallo scrivere alla propria ex.
    La prima cosa che il ragazzo notò fu come non tutti fossero vestiti in maniera elegante, c'era una ragazza... due, forse di più in jeans e giacca di pelle. Se avesse saputo prima che non c'era alcun dress code da rispettare non si sarebbe disturbato ad indossare lo scomodo completo.
    Osamu non era solito vestirsi in abiti eleganti, aveva un solo completo, ovvero quello che aveva indossato il giorno in cui si era laureato dall'università, e che lo avrebbe accompagnato quella sera nel rinomato ristorante. Era molto classico: camicia bianca, blazer nero, pantaloni gessati, mocassini lucidi e la cravatta nera che probabilmente sarebbe volata via prima della metà della serata. Quella cosa lo soffocava, era insopportabile, tanto che la portava leggermente allentata al collo, e che ogni volta che ricordava di averla la strattonava per allentarla ancora un po'. Portava i capelli con la sua solita acconciatura che, dopo essere arrivato in moto ed essersi tolto il casco, diventava inevitabilmente più disordinata ed alcune ciocche ribelli si staccavano dalla mezza coda per ricadere sul suo viso.
    Dopo ormai i primi minuti in cui aveva iniziato ad abituarsi a quell'ambiente, preso una coppa di champagne e mangiato qualche boccone di sushi al buffet, si decise ad andare a cercare il lucchetto che la sua chiave avrebbe aperto.
    Osamu diventò selettivo nel momento in cui dovette scegliere a quali ragazze rivolgersi —sì, nella sua testa non aveva nemmeno concepito l'idea che poteva invece toccargli un ragazzo—, voleva evitare quelle che sembravano ancora frequentare il liceo, o quelle vestite in modo troppo vistoso, tipo la ragazza in... kimono? No, non era proprio un kimono, ma qualcosa di molto simile. Era bellissima, e il suo era più un riflesso inconscio, ma sembrava così fuori dalla sua portata e dalla sua capacità di rimorchiare pari a quella di un sasso.
    Nonostante lui non fosse una persona introversa, non era nemmeno un asso nell'intraprendere una conversazione dal nulla con uno sconosciuto e ancor meno nel corteggiare, poteva benissimo dirsi che nelle sue precedenti esperienze fossero state più le ragazze ad abbordare lui che non il contrario, e sicuramente la sua espressione perennemente arcigna che urlava "non provare a parlarmi" non era di grande aiuto. E dopo il secondo bicchiere di champagne fu abbastanza disinibito da poter rivolgersi ad una ragazza senza essere imbarazzato da se stesso.
    Teneva la chiave nella mano, con la catenella intrecciata ad essa, passandola tra le dita in una sorta di tic nervoso, era la terza ragazza a cui provava a aprire quel maledetto lucchetto, ma niente. Possibile che avesse così tanta sfortuna? Anche per gli altri era così complicato?
    Continuò la sua ricerca, e si rivolse ad una donna dai biondi capelli a caschetto, il suo sguardo era simile al proprio: glaciale, e non solo per il colore chiaro dell'iride. Portava un vestito semplice, stretto, che delineava perfettamente le armoniche forme del suo corpo, appariva come una donna di classe, decisamente fuori dalla sua portata, ma a quel punto poco importava. Se non avesse funzionato nemmeno con la biondina, avrebbe provato anche con la ragazza in kimono.
    ‹ Hey... › non sembrava proprio un'ottima partenza; cercò di dissimulare quanto in realtà fosse spazientito dal fatto che non fosse ancora riuscito a trovare la sua ipotetica partner, rilassando l'espressione del viso in una leggermente più amichevole del solito: non stava sorridendo, ma non stava nemmeno aggrottando le sopracciglia o guardandola male.
    Doveva offrirle da bere? Accompagnarla a mangiare qualcosa? No. Non aveva proprio voglia di perdere altro tempo. ‹ Ascolti, ho notato che ha un lucchetto, io ho una chiave... › disse, alzando la mano dove teneva il ciondolo. ‹ Direi che possiamo saltare i convenevoli e vedere se la chiave gira, se non è così ognuno potrà andarsene per la propria strada. Che ne dite? › propose, in modo diretto e pratico, e sicuramente molto poco romantico.

    ❖ s w e e t d i s a s t e r ❖


    Edited by Lostien - 24/2/2021, 17:35
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    Il locale era uno dei più esclusivi della città e con il calare della sera si ritrovò ad osservare un tappeto di luci, disseminate non solo in cielo. Da piccola si era sempre divertita ad osservare le luci della città, che come laboriose lucciole si muovevano in quel prato fatto di cemento e grattacieli così simili ad alberi secolari. Aveva imparato ad osservare dall’alto verso il basso le persone, e quella posizione privilegiata nelle suite di Hotel più esclusivi delle città d’Europa l’aveva temprata per la vita che conveniva ad una Williams. La solitudine le era sempre stata compagna, consapevole che le persone che le ronzavano intorno erano più interessate al contorno che a lei. Tutti si rivolgevano a lei con servilità, lusingandola nel vano tentativo d’intercedere in loro favore. Mai nessuno che le rivolgesse parole sincere. Solo apparenza. Un carattere scolpito nell’oro, nelle agiatezze economiche della sua famiglia ed una muraglia cinese eretta quasi inconsciamente. Si ritrovava al Kura Sushi, il locale più esclusivo ed elegante della città, accerchiata da persone ma si sentiva comunque sola. “sessantadue, sessantatré, sessantaquattro…” - Lasciata da sola in Hotel dal padre per incontri d’affari, aveva imparato a mettersi davanti alla finestra della suite e contare le luci della città. Auto, insegne, semafori, abitazioni. Con il tempo quel passatempo era diventato un intimo gioco, una sadica conta a tutto ciò che un tempo sarebbe stato suo. Non era più un passatempo di una capricciosa bambina, ma il diletto di una spietata donna. “Ottantasette, ottantotto, ottantanove…” -

    Finì per estraniarsi dalla festa. Nonostante le meravigliose attività che il locale offriva, trovava rivoltante condividere la stessa aria con persone di ceto sociale così basso. Il Kura Sushi aveva aperto le porte a fin troppe persone e le bastava rivolgere una fredda occhiata in giro per riscontrare ragazzine in jeans al loro primo appuntamento, pacchiani Kimono mal indossati o scapoli che vivevano ancora con i genitori e privi di ogni ambizione. Sorseggiava il secondo bicchiere di champagne e non aveva toccato alcuno stuzzichino, nonostante le insistenze dei camerieri, senza staccare lo sguardo dalla vetrata che dava sulla città. “novantacinque, novantasei…” Qualcuno la interruppe.

    Un saluto inusuale per lei, informale. Seguito da una richiesta asciutta e priva di sentimento. Probabilmente nemmeno l’uomo che si era avvicinato credeva tanto allo spirito di San Valentino. E si chiese come mai ci tenesse tanto a trovare il partner della serata. Inarcò un sopracciglio, quasi reputando un oltraggio o lesa maestà quando l’uomo aveva avuto l’ardire di rivolgerle parola. Scomodarla poi per un motivo così futile. Sollevò il braccio, intorno al quale aveva legato il ciondolo a forma di lucchetto. Pensava di poterlo nascondere in qualche modo, soprattutto perché quei cangianti colori mal s’intonavano con il raffinato tubino che indossava. Reputava la semplicità la massima eleganza, soprattutto se accompagnata da qualche perla o pelliccia. Alternò lo sguardo perplesso dal lucchetto all’uomo. - Non mi stupisco che tu non sia ancora riuscito a trovare l'anima gemella. - Un’espressione accigliata si delineò sul viso della donna. Si riferiva ovviamente alla richiesta priva di passione e romanticismo che le era stata rivolta. Non che lei avesse badato ad un’improvvisa dichiarazione d’amore di uno scapolo. - Attento rischi di folgorarmi così! - Sarcastica e lapidaria. Nonostante l’uomo ad una prima occhiata fosse anche ben vestito, l’approccio così informale e sbrigativo non l’aveva affatto impressionata. - Se proprio ci tieni. - Scoprì maggiormente il polso, retraendo appena la pelliccia. - Sei almeno in grado di infilare una chiave in un lucchetto? - Provocatoria. Ora che lo guardava meglio quei capelli fuori posto erano un pugno nell’occhio. La sgradevolezza della presentazione e la poca cura ai dettagli avevano già distrutto ogni interesse per l’uomo. Forse se fosse stato zitto, un po' quando criticava il lavoro di un’intera settimana di un pover’uomo, ed avesse avuto un atteggiamento più remissivo e meno sbrigativo… forse, forse lo sconosciuto sarebbe stato anche piacevole da guardare. - Che sia rapido ed indolore. - Rivolse lo sguardo altrove. Tutto era più interessante di uno scapolo che si presentava così maldestramente e che forse aveva indossato l’unico abito più elegante che aveva nell’armadio.

    Distese maggiormente il braccio e rivolse il viso verso la vetrata. Si prospettava una serata noiosa.
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    Osamu Kurokawa
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    Osamu tendeva ad essere un po' ottuso per quel che riguardava i sentimenti altrui, se fosse stato più attento avrebbe colto gli evidenti segnali che indicavano quanto poco la ragazza avesse gradito le sue parole prive di spirito di San Valentino o di entusiasmo in generale. Avrebbe anche ammesso che si meritava la risposta così acida che poi ricevette da lei. Invece ne rimase quasi sorpreso, come se non se lo aspettasse... perchè non se lo aspettava. Sarcastica, aspra, tagliente, c'erano due sole possibilità quando si incontrava una donna dal carattere forte come il suo, forse tre. La prima era scappare, probabilmente la scelta più saggia, perchè Osamu era quel tipo di persona che se disturbata a lungo finiva per scoppiare ed era meglio evitare. La seconda era rispondere in modo altrettanto acido, facendo la figura dello scortese come se non l'avesse già fatta, e continuare così fino ad iniziare a litigare con una sconosciuta. La terza era non dire niente, lasciar correre, e dopo la prima questa era la migliore delle opzioni. Solo che Osamu non stava zitto.
    ‹ Risponda alla domanda. › rispose, con tono ancora definibile come cortese, per quanto essa non fosse più una richiesta ma più simile ad un ordine. Dopo il primo secondo di sorpresa, Osamu non si mostrò particolarmente colpito dalle parole della bionda, la sua espressione si accigliò appena e il suo sguardo cadde piuttosto sul lucchetto che, come lui, invece di portare al collo, teneva legato al braccio.
    "Sei almeno in grado di infilare una chiave in un lucchetto?" Le donne di classe erano veramente spietate, ed ecco il motivo per cui le aveva evitate per tutta la serata. Perfino uno come lui si stava rendendo conto che l'intenzione della biondina era distruggere la sua autostima, o vendicarsi del suo essere stato così rozzo con lei.
    I suoi occhi verdi si alzarono per soffermarsi su quelli della donna e l'angolo della bocca si inarcò a formare un mezzo sorriso, alquanto ironico e per niente divertito. ‹ Comincio a capire anche io come mai nemmeno lei abbia trovato la sua anima gemella. › borbottò, aggrottando le sopracciglia e distogliendo lo sguardo, per fulminare il lucchetto con esso. Lo stava colpendo nell'orgoglio? Un pochino, non che lo avrebbe mai ammesso. Quella donna, di cui tra l'altro si rese conto di non saperne nemmeno il nome, era fastidiosamente irritante. Che ne poteva sapere lei del perchè non aveva trovato la sua anima gemella...? Non lo sapeva nemmeno lui stesso.
    Rapido e indolore. ‹ Lo sarà, non si preoccupi. ›. La sua chiave non aveva funzionato per tutta la serata, ed ora Osamu sperava che continuasse a non farlo. Non poteva aprirsi con quella donna.
    Non era obbligato a provarla con lei, solo che se esisteva la minima possibilità che possedesse il lucchetto giusto e lui non ci avesse nemmeno provato, avrebbe vagato per tutta la serata senza mai trovare nessuno e sarebbe stato tutto una perdita di tempo. Se davvero fosse stata lei... lo sarebbe stato in ogni caso, non aveva intenzione di restare con quell'arpia per il resto della serata, non era andato al Kura Sushi per essere torturato.
    Afferrò il lucchetto tra le sue dita, evitando di sfiorare anche solo per sbaglio il braccio della bionda, ed infilò la chiave, essa girò con facilità, e con suo immenso stupore il lucchetto si aprì. Rimase una decina di secondi ad osservare estraniato il lucchetto nella sua mano, non stava disperando e pentendosi delle sue scelte di vita come si sarebbe aspettato due secondi prima. Alzò di nuovo lo sguardo sulla ragazza, con molta più curata attenzione di come non avesse fatto prima. Le iridi di lui percorsero il suo corpo, perdendosi un secondo di troppo sulle curve di tale, grazie al vestito che poco lasciava all'immaginazione, per poi fermarsi sul viso di lei. Pelle candida, occhi color del ghiaccio e lineamenti sottili e delicati, ma allo stesso tempo freddi. Era di una bellezza temibile, col solo guardarla qualunque uomo si sarebbe congelato al suo cospetto, e allora perchè a lui adesso sembrava di sciogliersi?
    Certo il suo viso andava d'accordo con la sua forte personalità... fastidiosamente irritante. Era irritante, ma nel modo giusto di esserlo... se fosse stata così anche a letto— Okay, il suo cervello stava iniziando a correre troppo.
    L'aveva ammirata senza dire una parola per troppo tempo, ed ebbe il tempo di ripensare a quanto scortese fosse stato lui per primo, non si era nemmeno presentato, e con fare disinteressato le aveva subito chiesto del lucchetto. Come poteva essere stato così cafone con lei? E come avrebbe dovuto rimediare adesso? Se non fosse stato come sotto l'effetto d'un incantesimo si sarebbe chiesto come mai gli importava così tanto.
    ‹ Si è sbloccato... › già, probabilmente lo aveva notato anche lei. Il suo sguardo prima confuso ed aggrottato si addolcì automaticamente, senza però ancora mostrare l'ombra di un sorriso. ‹ Scusatemi per il comportamento di prima. › borbottò di nuovo, aggrottando le sopracciglia come se quello che aveva appena detto gli recasse fastidio, chiedere scusa non era proprio il suo forte.
    ‹ Mi presento, sono Osamu, piacere di conoscerla. › disse, facendole un leggero inchino, nemmeno ricordava l'ultima volta che era stato così formale con qualcuno.
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    Trovava la scortesia ancora più fastidiosa di quell’ossessiva ricerca dell’amore di San Valentino. Si era tenuta volutamente in disparte per non incrociare il cammino di nessun strambo scapolo alla ricerca della propria anima gemella. Estranea a quell’aria di festa, la Williams si era concessa solo il lusso di un paio di calici di champagne e stava valutando da qualche minuto la possibilità di ritirarsi nel suo Hotel nel quartiere di Ginza. Trovava tutto fastidiosamente noioso e non aveva intravisto nessuna figura degna della sua attenzione. L’apertura delle porte del Kura Sushi era stata deleteria, almeno secondo il suo punto di vista, per il buon nome del locale di Edogawa. Insomma permettere anche ai plebei di osservare il cielo stellato dalla cupola più invidiata ed esclusiva di Tokyo era una blasfemia.

    Squadrò con insistenza il viso dello sconosciuto, soprattutto quando le intimò quasi di porgerle il lucchetto. Trovava nauseante le mielose dichiarazioni d’amore o i serrati corteggiamenti tipici di quel periodo dell’anno. Ma di certo non si aspettava una richiesta priva di grazia e gentil cortesia da parte di un uomo. *Mmpff* Preferì non rispondere, chiudendosi in un elegante silenzio. Preferiva sbattere sul viso dello sconosciuto la sua totale indifferenza. Non avrebbe sprecato alcuna energia o il suo prezioso tempo con lui. Rivolgergli la parola era un privilegio che non meritava. In quel caso gli avrebbe conferito un’importanza che non possedeva. E poi non aveva nessuna intenzione di giustificare la sua presenza lì. A limite era lo sconosciuto, ben vestito ma incapace di trasudare charme e la tipica classe dell’alta società, a dover giustificare la sua presenza nel locale più esclusivo di Tokyo.

    La tensione che percepiva nel suo braccio e la rigidità muscolare che le conferiva una postura statuaria e solenne, si sciolse improvvisamente. Quella naturale repulsione che aveva percepito poco prima, temendo di essere anche solo sfiorata dalle grottesche mani dello sconosciuto, fu sostituita da una sensazione diversa. Aveva tenuto in tensione il braccio fino a quel momento, pronta retrarlo non appena fosse stata libera dall’uomo. Una innaturale sensazione di sollievo, anzi di quiete prese possesso del suo corpo. Non temeva più quel contatto fisico, lasciando che la sua mano fosse eventualmente sfiorata dallo sconosciuto. Il rumore di lucchetto che si apriva fu per lei come privarla di catene invisibili. Libera da quella prigionia, sentì naturale la necessità di dare un volto a quell’iniziale contatto, pelle contro pelle. - Lo vedo. - Replico pacatamente allo sconosciuto. In verità aveva già percepito che la catenella si era allentata intorno al polso, segno che la chiave dell’uomo apriva proprio il suo lucchetto. Stranamente le sembrava superfluo controllare, certa di quanto fosse freddo il metallo e caldo l’altrui palmo. Sentì la strana necessità di rivolgere lo sguardo verso l’uomo, che poco prima l’aveva oltraggiata con modi ben poco galanti e fin troppo sbrigativi. Riusciva a scrutare la linea delle spalle sotto quella giacca, la chioma arruffata in netto contrasto con l’elegante abito, quasi come se suggerisse un’insita ferinità contenuta nel dress code che il Kura Sushi implicitamente richiedeva. Poi quei occhi, su cui si era rifiutata di soffermarsi poco prima. Ghiaccio che si specchiava nel ghiaccio. Ma qualcosa si era appena sciolto.

    Lo lasciò parlare, prodigarsi in un inchino ed offrirle le sue più sincere scuse. Nonostante le irrazionali sensazioni che provava, dimenticandosi per fino la sua mano nella sua, era pur sempre una Williams. Mai avrebbe permesso ad un uomo di percepire i suoi pensieri. Retrasse con finta riluttanza la mano, accennando un sorriso di cortesia. Titubante rimase lì ad osservare l’uomo chino, pronto a servirla come l’ordine naturale delle cose suggeriva. - Prenderò in considerazione la possibilità di perdonarla… solo davanti ad un buon calice di champagne. - Camuffò quell’invito in un dazio che Osamu-san doveva pagare per poter continuare la serata con lei. L’orgoglio le impediva di scusarsi delle intemperie del suo carattere, sovraccaricato da un momento di forte stress lavorativo. Non era stata per nulla gentile con l’uomo e forse non meritava tutto quel sarcasmo. Rivolse lo sguardo verso la vetrata, quasi a fatica. “Dove ero rimasta? Ottantacinque? Novantuno?” Aveva perfino perso il conto. Improvvisamente quella fredda vetrata aveva perso d’attrattiva. Si ritrovò a cercare di nuovo lo sguardo dell’uomo, maledicendo i Kami per avergli conferito quei lineamenti fonte d’attrazione per i suoi occhi. - La mia segretaria ha prenotato a mio nome. Chieda al cameriere del tavolo di Patryce Sonja Williams. - Ordinò con tono ben più morbido e senza l’ombra di autorevolezza nella voce. Forse era più semplice presentarsi ed invitarlo senza giri di parole al tavolo che Ayame-san le aveva prenotato. La scelta più semplice e scontata. Ma lei non era una donna semplice e scontata. Inoltre nonostante l’inspiegabile attrazione che provava per l’uomo, ciò non significava che doveva assumere un atteggiamento diverso dal solito. L’orgoglio e forse la paura di scoprirsi più del necessario, soprattutto davanti alle inspiegabili sensazioni che provava dentro di sé, la bloccavano. Aveva sempre avuto gli uomini ai suoi piedi, per il pugno di ferro con cui gestiva l’attività di famiglia in ambito lavorativo o per la disarmante bellezza ereditata dalla madre nel privato. Non capiva perché dovesse cambiare il suo modo di essere, anche se a differenza di tanti altri c’era qualcosa di diverso in Osamu. - Pochi sono gli uomini a cui concedo il mio tempo. Si ritenga fortunato, Osamu-san. - Anche l’ennesimo tentativo di risultare gentile e docile fallì miseramente. Non aveva mai avuto problemi a tramutare i suoi pensieri in voce, ma ora che i suoi pensieri erano così diversi dal solito era difficile. - Ha fretta di andare via? - Accennò un sorriso.
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    Quando le persone sono attratte da qualcuno, si tende a voler mostrare —consciamente o inconsciamente— per primo la miglior parte di sè stessi, per quanto la "miglior parte" potesse non essere affatto buona per l'altra persona, in quanto totalmente soggettiva. Nel caso di Osamu, non avrebbe saputo nemmeno da dove partire, ed il problema era che quella bionda gli stava interessando più di quanto fosse disposto ad ammettere. Non credeva nei colpi di fulmine o nell'amore a prima vista, una persona poteva attrarti fisicamente con un solo sguardo, ma ciò si sarebbe fermato lì, perchè si aveva bisogno di più tempo che una chiacchierata per innamorarsi di qualcuno. Eppure non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo, sembrava essere accaduto letteralmente da un secondo all'altro, ed ora sentiva il bisogno di provare in tutti i modi a non farsela scappare, per questo aveva chiesto scusa. C'era stato tutto quel momento di tensione tra loro, poco prima che il lucchetto si schiudesse, che faceva pensare ad Osamu che per quanto il destino, o gli organizzatori di quell'evento, li avessero messi assieme la donna non avesse comunque intenzione di trascorrere la serata con lui. E non era qualcosa a cui normalmente avrebbe fatto troppo caso.
    Nessuno si aspettava da Osamu che fosse empatico e capisse ciò che provavano gli altri, proprio per questo aveva scelto un percorso di studi il più lontanamente possibile dalle scienze sociali: le macchine, i pc, sono facili da comprendere, basta individuare il problema e seguire delle precise istruzioni per risolverlo. Le persone sono complicate, e purtroppo non vengono con le istruzioni, bastava una sola parola sbagliata per suscitare rabbia o tristezza o qualunque altra emozione poco conveniente, e lui lo sapeva bene, avendo un pessimo temperamento. Perciò se Patryce voleva nascondere quel suo improvviso cambio di parere, stesso cambio che aveva avuto lui di lei, ci sarebbe riuscita tranquillamente.
    La donna lo avrebbe graziato con la sua presenza davanti a una coppa di champagne, e Osamu non stette troppo a chiedersi il perchè, nonostante alcuni secondi prima non lo guardasse nemmeno in viso, ed ora sembrava prestargli molta più attenzione. Era semplicemente sollevato che la ragazza non lo avesse rifiutato, ed anche parecchio preoccupato di quello stesso sentimento.
    Ci sono cose invece che colse, il suo nome per primo, a denotare la sua nazionalità straniera, per quanto i capelli chiari e gli occhi azzurri ne erano un forte indizio, probabilmente inglese. Oltre a questo, Patryce, affermò di avere una segretaria, facendogli capire che doveva essere una persona importante, e che lavorava in qualche tipo d'azienda. Eppure sembrava parecchio giovane, doveva avere più o meno la sua stessa età, per avere un carico rilevante. Oltre al caratterino che possedeva doveva essere una persona parecchio sagace e furba povero Osamu.
    La donna volle sottolineare quanto Osamu fosse fortunato che lei gli dedicasse un po' del suo tempo, e a quel punto non poteva che sentirlo in quel modo... ogni secondo che passava i suoi pensieri diventavano sempre più preoccupanti. Si stava invaghendo di lei? ‹ Vedremo se mi farà sentire fortunato, allora. ›, sembrava, e probabilmente doveva essere, una di quelle tipiche frasi dal tono ammiccante, soltanto che il castano lo disse con la sua solita indifferenza e tono austero, che pareva lo intendesse sul serio.
    La seguente domanda lo colse un po' alla sprovvista, chiedendosi se si riferiva ad andare via con o senza di lei, se gli stesse solo domandando se volesse allontanarsi da lei perchè aveva intuito la sua leggera agitazione, o se la domanda fosse retorica ed implicasse qualcos'altro. Gli stava chiedendo implicitamente di invitarla ad andare via? Perchè le donne devono essere così complicate, avrebbe dovuto essere più diretta. E se non lo era lei, a quel punto forse doveva esserlo lui: ‹ Mi sta chiedendo di andarcene da qualche altra parte? ›
    Rimise la catenella della chiave dentro la tasca dei pantaloni, ed allungò l'altra verso la donna: aveva ancora il lucchetto a forma di cuore. ‹ Tenga, non saprei cosa farmene. ›, doveva suonare come qualcosa di carino al volergli restituire il ciondolo, ed invece sembrò quasi come se la stesse rifiutando. Si accigliò un attimo, spostando lo sguardo altrove, ogni volta che parlava peggiorava soltanto la situazione, forse era meglio che non dicesse assolutamente niente.
    ‹ ...vado a chiedere del tavolo. › ed ora sì che ebbe fretta di andare via.
    Tornò quindi all'ingresso per chiedere del tavolo al nome di Patryce, ed una volta gli ebbero detto dove si trovava approfittò del momento di solitudine per guardarsi un po' attorno, notando come lo sguardo di molte ragazze andasse a parare su due uomini, uno dai capelli bianchi, e l'altro dall'insolita chioma verde. Riconobbe il secondo, non aveva idea di chi fosse o come si chiamasse, ma ricordò di averlo visto in qualche rivista, quindi doveva trattarsi di una qualche sorta di celebrità. Aveva sviluppato una certa avversione per loro, grazie, o per colpa, della sorella, anche se non si trattava delle celebrità in sé, quando del mondo che le circondava, imparando che si viveva molto meglio lontano da loro e nell'anonimato. L'unica cosa che pensò al vederlo fu che aveva dei capelli assurdi, e quindi doveva trattarsi di un idol.
    Il suo sguardo però inevitabilmente cadeva sempre su Patryce, come se i suoi occhi fossero attratti naturalmente verso di lei e, nonostante la quantità di persone presenti quel giorno al Kura Sushi, lui riuscisse ad individuala nella moltitudine. E proprio per questo non impiegò molto a ritrovarla.
    ‹ Mi segua. › le disse, una volta fermatosi accanto, poggiando poi delicatamente una mano dietro la schiena della bionda, in modo quasi inconscio, volendo ritrovare un contatto con lei.
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    Dento di sé il caos.

    Contrastanti sensazioni che pian piano venivano soffocate dall’irrazionale desiderio di lasciarsi guardare dallo sconosciuto. Di lui conosceva solo il nome, Osamu. E pensare che in passato si era preoccupata di conoscere la discendenza, lo status sociale, la buona reputazione ed il lavoro delle persone che aveva scelto di frequentare. Dettagli che ad altri sembravano superficiali, ma per lei erano imprescindibili. Il solo pensiero di macchiare il buon nome dei Williams la nauseava, oltre che temere le ire paterne. Il nobiluomo inglese aveva impiegato un’intera vita per costruire il suo impero. Nemmeno la prematura morte della moglie, aveva dato un freno alla sua smania di potere. Cresciuta in quell’ambiente rigido, fatto di responsabilità e compiaciuta dagli onori non poteva non scegliere con estrema selettività le persone di cui si circondava. L’apparenza prima di tutto.

    Non sapeva nulla di Osamu. Probabilmente era il classico ragazzo di periferia, con un modesto lavoro e senza particolari ambizioni, che aveva avuto la fortuna di vincere un accesso al prestigioso Kura Sushi del quartiere di Edogawa. Una paura che diventava sempre più remota, irrilevante. Le bastava osservare, anche per pochi secondi, quel viso per dimenticarsi di tutto. Quelle sensazioni erano spaventose. Eppure non riusciva a darsi una spiegazione razionale, quasi come se la sua mente fosse annebbiata dal desiderio di trascorrere quanto più tempo possibile con lo sconosciuto. Sentiva un’attrazione verso l’uomo, e trovava sorprendente quanto non le importasse più del piccolo screzio iniziale. Lei che era conosciuta per la sua indole vendicativa. Percepiva qualcosa di strano, un sentimento che però veniva dissipato ogni qual volta il ghiaccio si rifletteva in sé stesso. - Lasciamo i bilanci a fine serata. - Con un cenno della mano incalzò immediatamente il ragazzo. Come sempre l’ultima parola doveva essere la sua, anche se qualcosa dentro di sé la spingeva a rendere quella serata piacevole e non deludere le aspettative di Osamu. Possibile che avesse davvero timore di deludere un estraneo?

    La domanda dell’uomo la prese alla sprovvista. Forse si era espressa male, impossibile, o forse Osamu aveva frainteso le sue parole, probabile. Lei non sbagliava mai, soprattutto nella scelta delle parole. Fin da piccola era stata educata a scegliere con cura le parole da utilizzare, per convincere gli altri che la sua idea fosse la loro. Era un po' come giocare a scacchi, un diletto che aveva sempre sottovalutato quando suo padre la costringeva a passare le giornate davanti ad una scacchiera. Aveva imparato ad essere sempre un passo avanti agli altri e tenerli in scacco. - Le stò semplicemente chiedendo se desidera stare in un altro posto in questo momento. - Ad una domanda si rispondeva sempre con un’altra domanda. Un atteggiamento che spiazzava e che lasciava emergere le insicurezze anche delle persone più sicure. Ma involontariamente si finiva per esporsi, anche perché non voleva assolutamente lasciarsi sfuggire quello sconosciuto. La serata era appena iniziata e sarebbe stato un peccato rovinarla per qualche fraintendimento. - Crede di essere nel posto giusto? - Con lei, ovviamente. Incalzò con l’ennesima domanda, chiedendosi se davvero fossero fatti l’uno per l’altra. Continuavano a fraintendersi, caratteri che cozzavano e posizioni che non si spostavano di un millimetro come due rocce nel bel mezzo di un oceano in tempesta. Eppure anche in quelle acque agitate c’era vita, l’inarrestabile flusso di desiderio e passione.

    Accettò di buon grado il “dono” dell’uomo, che le stava restituendo il ciondolo a forma di farfalla. Quello stesso ciondolo che aveva disprezzato con così tanta enfasi ad inizio serata ed ora sembrava il più prezioso degli oggetti in suo possesso. Abbozzò un debole sorriso, quasi come se volesse manifestare solo cortesia, quando in realtà era ben contenta di riappropriarsi di quell’oggetto. Annuì appena e lo vide allontanarsi. “Non guardarlo.” Rivolse lo sguardo verso la vetrata. Le luci della città avevano perso ogni attrattiva. Si rese conto di stringere tra i palmi il ciondolo con più enfasi di quanto si aspettasse. Perché? Non lo capiva, o forse preferiva non capirlo. “Non guardarlo.” Un imperativo. Le iridi chiare si sforzarono a guardare gli altri partecipanti all’esclusivo party di San Valentino. Sospirò. “Non guardarlo!” Fu tutto inutile. Quando provava a guardare le stelle finiva per abbassare lo sguardo su di lui. Quando cercava di smarrire lo sguardo tra la folla finiva per cercare lui. Quando provava a contare le luci della città si rendeva conto che c’era qualcosa di ben più interessante nella sala, lui.

    Si sentì sollevata quando Osamu tornò da lei. L’uomo, nel suo bell’abito e dai tratti scuri, non passava di certo inosservato. Aveva perfino temuto di non vederlo più tornare. Cos’era tutta quella insicurezza? Lo accolse con un cenno del capo, riuscendo a stento a trattenere un sorriso. - … - Piacere. Piacere era ciò che provava quando lo sconosciuto l’aveva toccata. Sia quando le loro mani si erano sfiorate per sbaglio e sia ora che le accarezzava la nuda schiena con l’intento di condurla verso il tavolo. Un gesto che non avrebbe accettato mai e poi mai. Le nobildonne andavano accompagnate con la mano o porgendo il braccio. Una donna del suo rango non poteva essere sospinta in quel modo così… spontaneo. Prigioniera di quella bolla si lasciò condurre al tavolo, uno dei più vicini al pianoforte centrale. Un posto privilegiato con le stelle che brillavano sopra la cupola.

    Rimase lì, dritta ed austera nella sua orgogliosa posizione, in attesa che l’uomo le scostasse la sedia per farla accomodare. Si era soffermata proprio a pochi centimetri dalla sedia ed alternava lo sguardo da essa al ragazzo. Quasi come se pretendesse quel gesto, quell’attenzione. Stava davvero cercando un modo per razionalizzare quelle sensazioni irrazionali. Se era davvero attratta da Osamu, ci doveva essere qualcosa di speciale in lui. - Mi piacerebbe indossarla. Mi aiuta? - Adagiò la pelliccia e la borsetta sullo schienale della sedia. E solo dopo essersi seduta avrebbe allungato il ciondolo all’uomo. Sapeva di piacergli, consapevole della propria avvenenza, ed era pronta a portare in scacco l’uomo.
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    Quella donna lo confondeva, le sue domande avevano l'apparenza d'essere dirette, ma sembravano nasconderne altrettante più velate. Osamu si domandava che cosa veramente volesse scoprire con tali quesiti, se voleva davvero sapere qualcosa, o se il suo intento fosse solo intimidirlo, certo non sarebbe stata la prima volta.
    Desiderava stare in un altro posto? Con lei, decisamente. Ma i luoghi che attraversavano la sua mente non ebbero a che fare con camere da letto, o almeno non fu uno dei primi, avrebbe preferito una semplice passeggiata per le strade di Edogawa, oppure ancora meglio un giro in moto, l'avrebbe portata in qualche luogo meno affollato, più intimo, perchè il Kura Sushi non era il suo posto, non si sentiva affatto a suo agio così lontano da terra e così vicino alle stelle; ma non si trattava tanto de luogo, quando anche della gente. Osamu amava la semplicità, e non c'era nulla di semplice in quel ristorante, né nella donna che aveva davanti... e allora perchè l'attraeva tanto?
    ‹ Non sono nel posto giusto. › rispose quindi con la sua solita schiettezza. ‹ Ma forse con la persona giusta, sì. › ancora una volta suonò più rigido di quanto avrebbe dovuto essere, ogni suo sforzo per apparire in qualche modo più romantico, risultava innaturale e forzato, facendo notare come non fosse affatto nelle sue corde.
    Il castano se ne andò, non prima di aver notato le labbra di lei incurvarsi in quel lieve sorriso di cortesia nonostante le sue parole burbere, e lui sentì lo stomaco in subbuglio; quell'espressione le addolciva così tanto il volto da far sembrare caldi anche i suoi occhi ghiacciati.

    Osamu non era uno da razionalizzare i propri sentimenti, si lasciava trasportare da quello che provava senza chiedersi perchè e percome, soltanto che il sentimento che sentiva affiorare verso quella donna aveva l'imprevisto d'un fulmine a ciel sereno, soltanto che se il frastuono del tuono e il flash del fulmine duravano solo un istante, le emozioni di lui non sparivano altrettanto in fretta, ed anzi sembravano accrescere; non poteva semplicemente ignorare la cosa e farla passare come se fosse normale. Cercava una spiegazione che probabilmente non avrebbe mai trovato. Ed anche questo suo arrovellarsi, in realtà, perdeva di qualsiasi importanza quando incontrava lo sguardo di lei.
    La sua mente viaggiava mentre la portava al tavolo designato, era incredibile come un semplice contatto come quello, la sua mano che appena sfiorava la schiena di lei, lo accendesse in quel modo, aveva voglia di approfondire, ma non poteva. A malincuore dovette lasciare che si allontanasse per prendere posto; così immerso nel contemplare i suoi pensieri quasi si stava per sedere, prima di accorgersi che Patryce se ne rimaneva stoica in piedi accanto alla sedia, con uno sguardo eloquente. Osamu cadde dalle nuvole, doveva spostarle la sedia! Era così che facevano i gentiluomini, ed era così che la bionda pretendeva che si comportasse, ma per quanta buona volontà potesse lui metterci, prima o poi Patryce avrebbe scoperto quanto rozzo fosse, almeno per gli standard dell'alta società.
    Il ragazzo si schiarì la voce, come se ciò in qualche modo avrebbe distolto l'attenzione dal suo errore, e tornò accanto a lei, spostandole impacciatamente la sedia senza quasi guardarla, aspettando che si accomodasse. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare di tornare a sedersi, che la ragazza lo trattenne, chiedendole di aiutarla ad indossare il ciondolo. ‹ Certo. › rispose automaticamente, senza nemmeno pensarci su. Toltasi la pelliccia, aveva scoperto le sue spalle delicate, ed il castano la circondò con le braccia per un attimo, al prendere la collana e poggiarla sul suo petto. Ancora una volta sfiorò sfacciatamente il suo collo, ed istintivamente si abbassò più alla sua altezza, ed ora così vicino a lei riuscì a sentirne il buon profumo.
    Complice il fatto che maneggiasse spesso oggetti di dimensioni ridotte, non ebbe troppe difficoltà ad allacciarle la collana. ‹ Non pensavo le piacesse il ciondolo... o questo gioco in generale, non sembra il tipo. › constatò con tono non troppo alto, data la vicinanza, per rompere il silenzio.
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    Finalmente udì le parole che voleva sentirsi dire. Dalle risposte che Osamu aveva fornito aveva capito ben due cose: Che l’uomo non fosse avvezzo a quei ambienti esclusivi di Tokyo e che nutriva un forte interesse per lei. In verità lo aveva già percepito, le sue parole furono solo una prevedibile conferma della sua eccelsa perspicacia. Forse era talmente piena di sé, che desiderava semplicemente sentire quell’ammissione o sentirsi in qualche modo desiderata. Non lo avrebbe mai ammesso, ma il sorriso di cortesia che aveva accennato nascondeva la piacevole sensazione nel sentirsi rivolgere quelle parole. Non ebbe il coraggio ad ammetterlo nemmeno a sé stessa, illudendosi che la piacevolezza di quell’incontro fosse dovuta solo al vanesio piacere di essere corteggiata da un completo sconosciuto. L’uomo doveva sentirsi già fortunato a sedere allo stesso tavolo di una Williams, ed era ben più di quanto potesse sperare nella sua semplice vita. Era così facile per lei credere in una menzogna e renderla così reale, tanto da percepirla alla fine come realtà. Sicuramente più facile dell’ammettere che fosse attratta da Osamu.

    Non poteva però ignorare la piacevolezza di quel contatto, di quella mano che la guidava verso il tavolo o in qualunque altro luogo che avesse deciso. Trattenne quasi il fiato, quando un brivido le percorse la nuda schiena. Aveva adagiato la pelliccia sulle spalle temendo il freddo serale di quella stagione, ancora in bilico tra il gelo invernale ed il risveglio primaverile. Improvvisamente non ne sentiva più il bisogno. Un po' come se quella cupola di cristallo si fosse tramutata in una calda serra. Il viso stoico e l’incarnato pallido presero quasi vita, coinvolgendo anche le iridi glaciali che resistevano ancora al disgelo. - La ringrazio. - Come se già non potesse farne più a meno, aveva trovato l’ennesimo espediente per tenere sotto scacco Osamu e reclamare quella vicinanza senza essere mai esplicita. Lo vide bloccarsi e ritornare sui suoi passi. Scostarle la sedia, come richiesto, e farla accomodare. Non erano gesti spontanei, insiti nell’animo dell’uomo. Più lo conosceva e dai piccoli gesti comprendeva che non c’era nulla che in futuro potesse legarli e nulla di nobile nei suoi modi di fare. Perché allora era ancora lì?

    Meschina e manipolatrice come poche. Con aria soddisfatta sollevò appena il mento per estendere il collo e permettere allo sconosciuto di agganciarle il ciondolo. Erano finalmente così vicini ed incapaci d’incontrarsi davvero. Era un po' come mantenere due calamite, trattenerle contro la loro volontà, ma sentire quell’irrefrenabile forza di attrazione. Avrebbe tanto voluto piegare appena il collo per sfiorare il suo viso, oppure allungare la mano per affondare i polpastrelli nella sua capigliatura scomposta. Si dovette accontentare solo del buon profumo e di quel calore che l’avvolgeva in quella sorta di abbraccio. Rimase lì. Ferma, immobile e dignitosa. Involontariamente, o forse no, aveva trattenuto una boccata d’aria più del dovuto per valutare se il suo profumo potesse in qualche modo soddisfarla. Le sensazioni che provava erano strane. Impossibile dare una spiegazione. Però sapeva, anzi aveva la conferma, che non era la sola a provarle. Lo sentiva su di sé, avvolgerla con le sue braccia non estranee alla fatica ed il caldo respiro solleticarle l’orecchio. Sapeva di piacergli.

    Sperava solo di non avergli fatto capire quanto quelle sensazioni fossero corrisposte. Scoprire le proprie carte migliori fin dall’inizio, o muovere i migliori pedoni sulla scacchiera era un errore da principianti. - Avrà molto di cui stupirsi durante la serata. - Non smentì o diede conferma. Lo lasciò in bilico. Le dita sfiorarono il ciondolo che si adagiava sulla nuda pelle, diafana e capace di far concorrenza al pallore lunare. Quella farfalla si era posata sul suo seno, proprio dove le linee femminili incontravano il tessuto dell’abito. - Non è forse incuriosito da questo gioco? - Difficile capire se si riferisse al casuale accoppiamento di lucchetti/chiavi o all’incontro dei loro caratteri così diversi. Un po' come una lucciola attirata dal fuoco di un falò. Attratte dalla luce le risultava impossibile non avvicinarsi, ma con il costante pericolo di scottarsi.

    Intanto una coppia di camerieri arrivò al tavolo per offrire due calici di champagne, come benvenuto per i due giovani, ed una doppia copia di menù. Il Kura Sushi, come dal nome, era famoso per il prelibato sushi che offriva ai suoi clienti, oltre che la meravigliosa vista sulla città. Non ci fu tempo per le distrazioni per la Williams. Rimase con il calice sollevato in attesa di un brindisi. Il cameriere aveva lasciato la bottiglia con del ghiaccio per mantenerlo fresco. - A cosa desidera brindare? - Abbozzò un sorriso. La risposta era ovvia, ma voleva capire se Osamu sapesse sorprenderla. - Ama il sushi? -
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    Non era stupito del modo in cui i suoi pensieri passassero direttamente alla bocca senza soffermarsi un attimo al cervello per elaborarli e capire se fosse una buona idea esprimerli ad alta voce, era una cosa che accadeva spesso, dato che Osamu non riusciva a tenere sotto controllo alcun minimo aspetto del suo carattere, ma nonostante la sua schiettezza sembrava quasi volersi sforzare di non essere brutale e burbero. Le aveva detto di non voler davvero stare lì, in parole cortesi e non volgari, ed aveva addirittura aggiunto che almeno era lì con lei, come se in fondo si preoccupasse di non farla sentire troppo a disagio. Insomma, si stava davvero sforzando a voler fare una buona impressione, mostrandosi come una persona che non era, volendo credere che assomigliare alla maggior parte dei ragazzi lì dentro avrebbe dato una miglior impressione di se. Incredibile cosa un semplice sentimento potesse scatenare in un uomo. Sicuramente non era l'unico a mentire, se lui lo faceva a lei, la donna lo faceva a se stessa, nel non voler ammettere ciò che sentiva per lui.

    Pratyce non aveva di che temere da Osamu che, ottuso com'era, non sarebbe riuscito a cogliere tutti quei piccoli indizi che lo avrebbero portato a capire che l'attrazione che lui provava per lei era perfettamente ricambiata, identica; per il meccanico era quasi una donna dal volto di marmo, che non sembrava mai esprimere alcuna emozione, graziandolo di un solo sorriso e alcune parole gentili. Non aveva fatto caso al cambiamento quasi radicale che aveva avuto nei suoi confronti, passando dal dedicargli la stessa attenzione che avrebbe dedicato a un vecchio tappeto polveroso, a non poter staccare lo sguardo da lui. La Patryce che aveva conosciuto all'inizio non avrebbe esitato a sfotterlo per la semplice dimenticanza di non averle spostato la sedia, ma era anche vero che con quella donna non sarebbe mai arrivato fino a quel punto, e sicuramente valeva il contrario.
    Che le sue dita sfiorassero il collo della bionda non era un gesto casuale, quanto inconscio, nel voler prolungare quel contatto con la sua pelle il più possibile. E sicuramente azzeccato il paragone alle calamite, vi era una forza d'attrazione inspiegabile che lo portavano a desiderare , baciare il suo collo, sarebbe stato così semplice in quel momento, forse sarebbe riuscito ad essere anche discreto. Soltanto che non poteva, e non osava. Osamu era un bulletto spaccone, sì, ma non cafone od arrogante, era ben abituato a rispettare i modi giapponesi, dove in pubblico non ci si teneva nemmeno per mano; già solo condurla sfiorandole la spalla era stato un'azzardo che si era permesso, e poi quella donna, con il suo essere elegante ed aggraziato, sembrava essere scesa direttamente da un'altro pianeta. Era degno delle sue attenzioni?
    Si costrinse ad allontanarsi, tornando così al proprio posto, poggiando i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani incrociate. Le sue sopracciglia si aggrottarono leggermente, quando iniziò a notare che la donna, più che rispondere alle sue domande, le ricambiava senza mai lasciarne niente di certo.
    ‹ Siete schiva, perchè non mi parlate di voi, piuttosto? › stavolta apposta evitò di rispondere alla sua domanda, non perchè dovesse nascondere qualcosa, soltanto una piccola ripicca perchè lei stava facendo esattamente lo stesso. ‹ Avete detto che la vostra assistente ha prenotato in vostro nome, deduco che non siate stata voi quindi ad iscrivervi a questo gioco. › proseguì.
    Se con gioco Patryce intendeva quella stupida cosa della chiave e del lucchetto, Osamu non aveva partecipato per curiosità, ma soltanto perchè a San Valentino si sentiva solo, per passare il tempo ovviamente, e magari conoscere una persona interessante. Aveva avuto fortuna, in quel caso. Se invece parlava del gioco tra i due, probabilmente era più la bionda a giocare con lui, in una scacchiera Osamu sarebbe stato un suo pedone, non il giocatore avversario. Non che lui se ne stesse minimamente rendendo conto. Era lei ad incuriosirlo, nessun gioco.
    Due camerieri giunsero al loro tavolo, offrendo loro due calici di champagne, lasciandovi la bottiglia. Per un attimo si domandò se il fatto che fosse offerto come benvenuto significasse che non doveva pagarlo, sarebbe stata la prima volta che in ristorante gli regalavano un benvenuto così costoso. Fu colto alla sprovvista quando Patryce propose un brindisi, lasciando però che fosse lui a decidere per cosa brindare. ‹ ...per il nostro incontro... ›, banale, decisamente. ‹ ...e perchè la serata prosegua in maniera piacevole. › concluse, alzando la coppa nella sua direzione, facendole incontrare la sua. Non era abituato a tutti quei modi così... borghesi, gli sembrava che dovesse compiere certi step, che in qualche modo fosse tutto troppo impostato e poco naturale.
    ‹ Non proprio. Lei? ›, più che da sushi, Osamu era da ramen istantaneo. I cibo non aveva grande rilievo nella sua vita, mangiava perchè doveva, ma per lui non avrebbe fatto molta differenza il sushi di quel pomposo ristorante che qualche street food in una bancherella, il suo sguardo quindi cadde sul menù con totale indifferenza.
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    Era snervante tenere a bada ciò che sentiva per Osamu. Una lotta contro sé stessa, un po' come soffocare la verità, lanciarla in un pozzo e sperare che le sue urla non fossero udite da nessuno. Ad ogni gesto, ad ogni parola, e soprattutto ad ogni sensazione che percepiva comprendeva sempre di più quanto fosse vicina al ragazzo. Desiderava la sua vicinanza, nonostante con l’alba del nuovo giorno non avrebbero avuto molto da dirsi. Erano così diversi ed era sotto gli occhi di tutti. Si sforza nel trovare qualcosa di affine nell’uomo, nella speranza di trovare una giustificazione alla forte attrazione che provava. Perché era convinta che fuori dal magico Kura Sushi, non sarebbero durati più di una notte. Ed in quel momento si sentiva quasi nauseata da sé stessa, ritrovando dentro di sé la volontà di accontentarsi anche di quelle poche ore da trascorrere con lo sconosciuto. Non era da lei, eppure non aveva trovato un motivo valido per alzarsi ed andare via.

    Faticò a trattenere la delusione, quando Osamu si allontanò da lei per prendere posto. Aveva avvertito le sue dita sfiorarle la pelle. Che fosse stato voluto o meno, non le importava. Anche perché sentiva l’irrefrenabile desiderio di riappropriarsi di quel contatto. Si ritrovava nella scomoda posizione di chiedere, in bilico tra desiderio e l’ossessione di non disonorare se stessa. I suoi pensieri erano già abbastanza disonorevoli per qualsiasi Williams, che accettava di sedere ad un tavolo con un completo “Mr. Nessuno”. “Audace.” Alle sue orecchie sopraggiunse una richiesta ben precisa, a cui si sentiva quasi con le spalle al muro. Non aveva mai avuto problemi a parlare di sé, soprattutto quando l’obiettivo era impressionare il prossimo. Bastava ricordare la propria discendenza o la posizione alla W.I.S.E. Corporation per far impallidire chiunque. Ma percepiva che l’uomo desiderava conoscere Patryce e non quello che rappresentava. Si ritrovò a tergiversare un po', prendendosi tutto il tempo necessario per trovare le parole adatte. Le iridi glaciali rimasero fisse sul suo interlocutore, ormai incapaci di farne a meno. - Alle persone schive non piace parlare di sé. - Non riusciva più ad essere lapidaria come prima. Ma addolcì quella puntualizzazione con un sorriso. - Ma potrei fare un’eccezione. - Voleva farlo passare come una gentile concessione la sua, e non un suo desiderio. - Lavoro per un’azienda che si occupa di finanziamenti e trasporti postali. In verità sono a capo dell’azienda, come amministratore delegato in terra straniera. - Dubitava che il suo accento ed i tratti così diversi da quelli giapponesi non l’avessero già tradita. Insomma era così diversa dal cittadino giapponese medio. Occhi chiari, caschetto biondo ed alta oltre la media. - O forse volevate sapere di qualcosa di più… - Intimo? - …specifico? - Le sue origini? La sua vita privata? I suoi Hobby? Era stata abituata fin da bambina a parlare di lavoro, d’affari e di accordi che era naturale parlare subito della sua attività. Quasi come se fosse uno scudo tra la sua intimità e gli altri.

    Come di consueto lo aveva messo alla prova con quel brindisi. A mente lucida avrebbe già smesso di ascoltare il suo interlocutore, con un brindisi così scontato e poco originale. L’ennesima conferma che di Osamu era interessata solo a quel bell’involucro, o forse c’era qualcos’altro di nascosto che l’attraeva senza rendersene conto. Avvicinò il calice con un mezzo sorriso sul viso, senza manifestare troppo il suo dissenso. Non era davvero in vena di puntualizzare o schernire il ragazzo. Sembrava più interessata ad altro. - Lo apprezzo, ma non lo mangio spesso. - Anche se lontana da casa preferiva non interrompere le tradizioni a cui era abituata. Avrebbe conquistato il Giappone, e non viceversa. - Temo che dovrà aiutarmi con queste. - Le dita sfiorarono le bacchette in legno. Bugiarda! Sapeva benissimo come usarle, anche se preferiva mangiare con un set di normali posate. Era una delle prime cose che aveva imparato, ancor prima di approdare a Tokyo. Allora perché fingere? La verità? Aveva bisogno di quel contatto, l’unica ragione che la teneva ancora incollata alla sedia.
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    Osamu era entrato al Kurasushi con l'idea di distrarsi dal fatto che fosse solo, nel senso di non essere in coppia —anche se per lui quel giorno in specifico "solitudine" e "non trovarsi in una relazione" erano sinonimi—, e che forse avrebbe trovato qualcuno di interessante con cui parlare, ma non certo di ritrovarsi con tutte quelle emozioni come se fosse ritornato un adolescente in piena crisi ormonale. Non solo la desiderava, non la voleva solo per una notte, voleva rivederla, probabilmente nella sua testa si stava già instaurando l'idea di uscire con lei e perchè no, iniziare una nuova relazione. Il castano non era mai stato il tipo da innamorarsi con tanta facilità, non sapeva praticamente nulla della donna di fronte a sè, se non il suo nome, eppure già desiderava farla propria, in tutti i sensi.
    Bisognava essere acuti osservatori per notare che, nel breve silenzio che si era creato tra loro dopo la domanda del meccanico, ci fosse un leggero disagio da parte di Patryce, se se ne fosse accorto probabilmente si sarebbe stupito, non gli sembrava di aver fatto una domanda troppo personale e specifica. Le aveva chiesto di parlare di lei, e lei era libera di dire ciò che avrebbe preferito.
    Gli occhi di ghiaccio del castano si assottigliarono leggermente come se in quel che aveva detto ci fosse qualcosa che l'aveva infastidito, difatti sperava che la donna non fosse troppo riservata e dovesse essere lui ad insistere o tirarle fuori le parole di bocca, perchè se la ragazza avrebbe evitato tutte le sue domande, Osamu non avrebbe avuto modo di portare avanti un discorso senza avere la sensazione di parlare da solo. Ma la bionda avrebbe fatto un'eccezione.
    Parlò del suo lavoro, guidata probabilmente anche da lui stesso, che aveva tirato fuori la storia dell'assistente; a lui fondamentalmente importava relativamente poco che lavoro facesse, anche perchè da come ne parlava sembrava incredibilmente noioso, anche se nella sua testa non poté che sorprendersi al sapere di avere a che fare con una specie di CEO di un'azienda straniera. Il lavoro era noioso, il fatto che lei ne fosse a capo invece era quasi destabilizzante per lui, un ragazzo che aveva appena concluso l'università e lavorava come meccanico. In qualche modo, come detto da lei poco prima, stava davvero iniziando a sentirsi onorato di ricevere la sua attenzione, ma non lo diede troppo a vedere, ostentando la sua solita indifferenza. ‹ Sì, mi riferivo a qualcosa di più personale. Il suo lavoro sembra parecchio palloso e stressante. › disse, come esempio di pensieri che uscivano dalla sua bocca prima di passare per il cervello. ‹ Comunque... › -aggiunse subito- ‹ ...mi riferivo più a... mh... com'è lei. Non so, da dove venire? Che cosa fate nel tempo libero? Il colore preferito... roba del genere. ›, voleva iniziare a conoscerla, ne era intrigato.
    Dopo il cin dei due calici, il castano bevette un po' di champagne, nonostante questo fosse già il secondo, o terzo, bicchiere si sentiva ancora troppo sobrio, quasi teso, ed aveva bisogno di sciogliersi un po', adesso.
    Osamu non dubitò nemmeno per un istante della veridicità della bugia di Patryce, non avrebbe ma pensato che si trattasse soltanto del desiderio di nuovo contatto, dopotutto era straniera, non era insolito che non sapesse come usare le bacchette. Il piatto di sushi arrivò di lì a poco e il castano, senza quasi nemmeno pensarci sù, si alzò e tornò nuovamente dietro alla ragazza, afferrando le sue bacchette. Per lui tenere le bacchette risultava molto naturale e facile, e non sapeva come descrivere a voce ciò che doveva fare, era molto più facile mostrarlo.
    Si chinò leggermente, in modo che il viso di lui fosse alla stessa altezza del suo, e guardandola negli occhi le porse una mano, come al volerle chiedere se poteva prendere la sua.
    Se la ragazza glielo avrebbe concesso, il castano avrebbe afferrato la sua mano portandola leggermente più vicino a lui, andando a posizionare la prima bacchetta. ‹ Deve metterla in questo modo, nell'incavo tra indice e pollice deve restare ferma. › le spiegò passando lo sguardo tra lei e la bacchetta, con fare quasi professionale, con una pazienza che non ricordava di avere. ‹ Quest'altra invece deve muoverla col pollice, l'indice e il medio. › Intanto la sua mano guidavano le dita di Patryce sulle bacchette. ‹ Non è difficile... provi. › disse, incitandola ad afferrare un pezzo di sushi da sola, e per la prima volta da quando l'aveva incontrata, si formò un piccolo sorriso sulle proprie labbra, d'incoraggiamento probabilmente.
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    Aveva smesso di chiedersi del perché provava una forte attrazione per una persona così diversa da lei. Diversi nei caratteri. Agli antipodi per stili di vita. Non avrebbe dovuto trovare nulla d’interessante in quell’uomo, ed invece si ritrovava a chiedere implicite attenzioni e desiderare quel contatto più di qualsiasi altra cosa. Quando i loro corpi si erano sfiorati per la prima volta, aveva avuto la conferma di piacergli e viceversa. Trovava stupido anche il solo pensare che Patryce Sonja Williams non potesse piacere ad un Mr. Nessuno. Ma qualcosa dentro di sé la spingeva a verificare, mettere alla prova sé stessa e la persona che aveva di fronte.

    Sventolata la bandiera bianca su ciò che provava, aveva deciso di lasciare da parte quei pensieri e provare a viversi l’attimo. Le sembrava davvero di essere tornata indietro, forse cinque o sei anni prima, in cui amava essere corteggiata, lusingata e cedere ai vizi della vita. Un periodo di ribellione, alla ricerca di sé stessa e sostenuta dagli anni turbolenti dell’adolescenza. Le sterline non le erano mai mancate per rendere ogni proprio capriccio realtà. Lei desiderava, prendeva e poi lasciava. In quel momento però desiderava, prendeva e non avrebbe mai lasciato.

    - Palloso? - Normalmente la Williams sarebbe inorridita davanti ad un simile linguaggio ed avrebbe scaraventato fuori dalla finestra l’uomo per aver insultato il suo lavoro. Andava molto fiera della sua posizione e dello status sociale che si stava costruendo. Eppure in quel momento qualcosa la spingeva a sorridere, quasi a trattenere una cristallina risata che le proveniva da dentro. - Oh si… è molto stressante! - Sottolineò, mentre si copriva le labbra per celare le deboli ma spontanee risate. Stranamente decise di soffermarsi più sullo stress che le provocava il suo lavoro che la noia che trasmetteva ad Osamu. - Quante domande ha per me. - Sottolineò, quasi per mettere in evidenza l’interesse che l’uomo provava per lei. Lusingata sorrise. Era quel genere di sensazioni che la facevano sentire importante e viva. Oltre a sottolineare un subdolo gioco di potere che lei esercitava sul suo interlocutore. - Probabilmente lo avrà già intuito, un po' per i miei tratti ed un po' per il mio accento, ma non sono originaria di Tokyo. Provengo da Londra, nata e cresciuta lì! - Le sembrava già di aver detto troppo. Ma qualcosa la spingeva a non fermarsi. - Cosa faccio nel mio tempo libero? - Sollevò lo sguardo verso la cupola. Ci pensò su. - Il lavoro mi toglie molto tempo libero, soprattutto in questo periodo. Ma mi ritaglio sempre un po' di tempo per una buona tazza di Thé, qualche compera per il centro e nei weekends gioco a tennis. - Amava il polo ed aveva qualche volta giocato a golf, ma preferiva apparire come una donna “normale”. Aveva forse paura di perderlo? La situazione iniziava a diventare complicata. - Il bianco. Si decisamente, il bianco. - Il suo colore preferito. - Immagina perché? - Chiese. L’ennesima banale domanda che non richiedeva una risposta banale.

    Se lei aveva il potere di guidare i pensieri e le azioni di Osamu. Lui era capace di guidare il corpo di Trish senza trovare alcuna resistenza. La CEO della W.I.S.E. Corporation aveva imparato a chiedere senza mai essere esplicita ed indurre gli altri a credere che i suoi desideri fossero i loro. Un praticantato di vita condotto alle dipendenze del padre, che aveva osservato e scrutato a fondo. Però quando le loro mani s’incontravano finiva per dimenticarsi di tutto. Pretendeva quel contatto ormai, lo reputava quasi vitale. Non si sentì minimamente in colpa quando l’uomo si prodigò ad insegnarle come tenere le bacchette. Una richiesta egoistica, priva di ogni scrupolo pur di aver piacere da quel contatto. Percepiva che il piacere era reciproco e non si sentiva minimamente a disagio mentre Osamu muoveva la sua mano come una marionetta. Non ascoltò nemmeno una parola. Si lasciò conquistare dal suo profumo, dalla piacevolezza di quel tocco e dalla forza magnetica con cui i loro corpi si attraevano. Quando l’uomo smise di parlare, si rese conto che era giunto il momento d’interrompere. Guai se avesse capito che in realtà le piaceva averlo accanto. - Così? - Si schiarì la voce, sentendo la gola improvvisamente secca. Avvicinò le bacchette al vassoio per afferrare con finta esitazione un Nigiri al salmone marinato. Poi lo fece cadere allentando la stretta delle dita sulle bacchette. - Chiederò delle posate. - Perché? Fingere di non saper afferrare il sushi per tutta la serata l’avrebbe esposta ad errori. E lei non commetteva errori. Per evitare di sembrare più brava di quanto dicesse con le bacchette preferì mostrarsi come un’incapace. Una ferita nell’orgoglio, ma c’era qualcosa di ben più importante dell’orgoglio stesso.

    - E lei? C’è qualcosa in cui è incapace? - L’ennesima trappola. Forse troppo spaventata dall’attrazione che provava. Doveva pur trovare un punto debole in Osamu nel caso le cose fossero naufragate. La solita bambina capricciosa, spaventata e vendicativa.
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    Di nuovo la giovane donna lo graziò con un sorriso sincero, dopo aver osservato quasi ossessivamente il volto di lei non poteva che sorprendersi al vedere come il semplice piegarsi delle labbra le trasformasse il viso: gli occhi ghiacciati e impenetrabili si socchiudevano leggermente, le guance diventavano lievemente più rotonde, ed era come se improvvisamente diventasse un tenero angelo dai capelli biondi. Perse un po' della sua freddezza, e quell'aria quasi regale che ostentava al coprirsi le labbra, al quasi ridere. Era una magnifica visione. Ed era sicuramente una fortuna che entrambi i caratteri accesi loro fossero come affievoliti dalla reciproca attrazione, se non fosse stato quello il caso, sarebbe finita male molto in fretta, forse non sarebbe nemmeno mai iniziata.
    Se già quelle poche domande la donna considerava troppe, non aveva idea di quante altre sorgevano nella sua mente dopo ogni secondo che passava, avrebbe voluto imparare tutto di lei in quella sola notte nello stesso modo in cui avrebbe voluto esplorare ogni singolo centimetro della sua pelle. Ed infatti ascoltava con attenzione ogni singola parola, ora che finalmente era riuscito a farla sciogliere un po'. Dall'accento e dai tratti occidentali non era stato difficile per lui riconoscere la provenienza estera, per quanto ormai, la globalizzazione e l'avvento dei quirk stesse modificando parecchio i tratti fisici in tutte le nazioni, tanto che lei stesso pur essendo giapponese al cento percento aveva un colore d'occhi verde mare. La donna era londinese e per Osamu che non era mai uscito dall'arcipelago e conosceva davvero molto poco della cultura inglese, risultò abbastanza esotico. ‹ Come mai si è spinta così lontano? Soltanto perchè il lavoro glielo imponeva? › Non si fece troppi scrupoli a continuare con le domande, mentre pian piano sarebbe sceso più sul personale, chiedendole se fosse interessata in qualche modo alla nazione, oppure valeva come qualunque altra e la scelta le era stata imposta.
    Non riuscì a trattenere un'espressione piacevolmente sorpresa allo scoprire che aveva appena trovato qualcosa in comune con quella ragazza così fuori dal suo mondo. Ovviamente non si trattava né del thè né dello shopping, ma piuttosto del tennis. Osamu infatti era un abile tennista, pur non praticandolo praticamente da prima della quarantena imposta su tutta la città. ‹ Tennis, davvero? Anche io lo gioco, anche se sono un paio di mesi che non mi alleno. › le raccontò. ‹ Qualche volta dovremmo provare assieme. › e subito ne approfitto per invitarla a vedersi una seconda volta, e palesare ancora di più quel suo interesse in lei, che andava aldilà dell'attrazione fisica. Voleva vederla anche fuori da quel luogo.
    Si rese conto che chiedere il suo colore preferito era stata una pessima idea quando lei, invece che ricambiare la stessa domanda, gli chiese perchè pensasse gli piacesse il bianco, aspettandosi chissà quale risposta profonda. Osamu non ne aveva la minima idea, e si concentrò piuttosto sulla sua scelta. ‹ Mi sta dicendo che tra tutta la gamma di colori esistente lei sceglie il bianco? E' un colore noioso, smorto e senza personalità. › disse, nonostante a lui piacesse il nero, che avrebbe potuto descrivere più o meno allo stesso modo. ‹ A lei avrei associato il rosso, piuttosto. ›

    Per quanto restio a spostare lo sguardo dal viso di lei, ora così vicino al proprio, seguì con lo sguardo la sua mano intenta ad afferrare un nigiri, che subito ricadde nel vassoio.
    Osamu non era affatto un buon maestro, era anzi di quelli che perdevano subito la pazienza se la prima spiegazione non bastava ed era costretto a ripetere una seconda o terza volta. Perciò normalmente avrebbe sospirato, avrebbe guardato la donna seccamente e le avrebbe detto che sì, era meglio che richiedesse forchetta e coltello, incapace com'era. Ma Osamu invece stava sorridendo, aveva trovato una falla nella donna perfetta che lei era, rendendo così più umana, tangibile. Ed un modo come un altro per poter afferrare di nuovo la sua mano. ‹ No. › disse, con fare quasi autoritario, allungando il braccio verso la mano che teneva le bacchette di lei. L'afferrò in modo da poterla guidare con le proprie dita, facendole così afferrare di nuovo il nigiri, con una presa più salda. ‹ Si fa così. › ed avvicinò il pezzetto di sushi a lei, alle sue labbra.

    C'erano parecchie cose di cui Osamu era incapace, prima fra tutte parlare con le donne. In realtà relazionarsi in generale era un problema per lui, col caratteraccio che si ritrovava, si ritrovava quindi ad avere pochi amici, povere anime che riuscivano a sopportarlo. ‹ Parlare con voi donne, siete inutilmente complicate e permalose. › probabilmente non era la miglior frase che avrebbe potuto dire, rischiando di offenderla. Ma se si sarebbe offesa significava solo che lui aveva ragione, era permalosa(?).
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    Di solito era lei a fare le domande. Abusando dello strapotere di cui godeva negli uffici della W.I.S.E. Corporation amava mettere sotto torchio i suoi dipendenti, pretendendo da loro sempre di più. Un impero economico nel cuore della capitale nipponica non si costruiva da solo. E lei avrebbe utilizzato ogni mezzo legale o meno pur di raggiungere le vette della città. Osamu era solo una piacevole ed interessante distrazione, o almeno così provava a ripetersi. Pensava di poter gestire ciò che provava per l’uomo, come aveva sempre fatto in ventisette anni di vita. Perché Osamu doveva essere diverso? “Perché no invece?” Si ritrovò a contraddire sé stessa, rendendosi conto che forse affari e carriera non erano tutto. Un pensiero che era fiorito nella sua mente all’improvviso, un po' come un fiore che nasceva nel bel mezzo di un campo ghiacciato. Raro, bello ma impossibile.

    Mansueta si ritrovava ad accogliere le domande dell’uomo senza batter ciglio. Per quanto fosse restia a parlare di sé, Osamu era riuscito a metterla a proprio agio. Senza una motivazione particolare, si trovava a parlare con lo sconosciuto ed affidargli parti di sé senza esitare. Aveva sempre creduto che le informazioni fossero preziose, forse più delle sterline o dei beni immobiliari. Con essi si era più ricchi di chiunque. Potere, esercitarlo e difenderlo. - Per desiderio di mio padre. - Confessò. Si rese conto che Osamu aveva più potere su di lei di quanto pensasse. - Insomma affari, affari ed ancora affari. Lei è sicuro di voler affrontare questo argomento? - Perché proprio l’impero del sol levante? Una domanda che richiedeva una elaborata risposta. In verità dubitava che all’uomo potesse interessare, visto che aveva definito il suo lavoro “noioso”. - Ed invece lei? Di cosa si occupa? - Chiese con cortesia.

    Non nascose la sorpresa sul viso quando l’uomo confessò quella passione in comune: Il tennis. Era furba, scaltra e si compiaceva di ciò. Nei suoi hobbies non rientrava il Tennis, lo aveva giocato qualche volta ma preferiva sport ben più nobili come equitazione e polo. Lussi che il giapponese medio non poteva di certo permettersi. Trovare qualcosa in comune con Osamu non fu terribile come pensava. Anzi provava piacere, riaccendendo la flebile speranza di poterlo rivedere anche dopo quella serata al Kura Sushi. - Valuteremo a fine serata. - Sorrise beffarda. Era sottinteso che con “valuteremo” intendeva “valuterò”. Se non fosse per le catene che le apparenze e la buona etichetta le imponeva, avrebbe già confermato un loro secondo incontro al campo di Tennis più vicino l’indomani. Ma caricare di aspettative la parte finale della cena era la giusta strategia per tenere sulle spine Osamu.

    Non sapeva se sentirsi oltraggiata o lusingata per considerazione sui colori che l’uomo aveva appena espresso. Ancora una volta ne fu delusa, per la semplicità del suo intelletto e l’incapacità di andare oltre. Normalmente avrebbe già abbandonato quella seduta per andare via, ma l’interesse che provava per lui la teneva ancora incollata alla sedia. Provare interesse senza condividere nulla. Restava un mistero. - Invece è il colore più complesso insieme al nero. Entrambi per ragioni diverse racchiudono tutte le sfumature dell’arcobaleno. - Soffermò lo sguardo sugli occhi chiari dell’uomo. - Il bianco respinge ed il nero accoglie. - Dubitava che l’uomo avesse compreso, ma forse il modo con cui lo fissava e il sorriso compiaciuto che fiorì sulle labbra lo avrebbe aiutato a capire. Il bianco respingeva ogni sfumatura di colore e ad accogliere quelle sfumature era solo il nero, capace di assorbire ogni lunghezza d’onda dello spettro visibile. Un concetto astratto, ma che nascondeva un chiaro messaggio per l’uomo.

    Nonostante l’incompatibilità caratteriale e la vita così diversa che conducevano, Osamu sapeva spiazzarla con una facilità disarmante. Prese iniziativa nell’afferrarle ancora la mano ed illustrarle come afferrare il nigiri ricaduto sul vassoio. Un gesto inaspettato, un tocco che la prese in contropiede. Aveva anche pensato di opporre resistenza, ma il suo corpo si plasmava come creta tra le mani dell’uomo. Le iridi cristalline si soffermarono su quelle mani, l’una nell’altra. E si chiedeva se non fossero davvero così complementari, un po' come la chiave ed il lucchetto che avevano unito ad inizio serata. - La ringrazio. È un ottimo insegnante. - Fu difficile mantenere la voce ferma e priva d’incrinature. Eppure fluì limpida e sicura dalle labbra, contro ogni aspettativa. - Dovrei sentirmi offesa dalle sue parole… sa? - Lei era complicata e fastidiosamente permalosa. Gli uomini erano invece fin troppo semplici.

    Osamu Kurokawa era l’eccezione, che confermava la regola.
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