Ogni cosa ha la sua bellezza, ma non tutti la vedono

SQ Farnia_Play - Amachi Jabar | Destinazione casa

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    || Amachi Jabar ||




    Narrato - Parlato - Pensato




    Tokyo era sempre stata una città che non dormiva mai. A tutte le ore c’era qualcosa da fare, roba da visitare, spettacoli, locali di ogni tipo e forma dove trascorrere il proprio tempo libero.
    Ogni ora era possibile trovare un mezzo pubblico -taxi, bus, metro, ecc.- per andare da una parte all’altra della città, con costi alcuni più cari, altri più accessibili ad ogni portafoglio. Spesso in questo posto era presente una moltitudine di turisti, ma era anche pullulante di abitanti giapponesi che vivevano lì da soli, oppure con la famiglia.. c’erano lavoratori, ma anche studenti e per i più fortunati erano dei semplici mantenuti o ereditieri che potevano godere degli svaghi che la metropoli offriva.
    Era da poco passato l’inverno ed ormai le temperature si facevano leggermente meno rigide rispetto a prima. L’unica cosa che forse era più di disturbo, erano i giorni di pioggia. Anche questa sera non c’era cielo sereno, ma una pioggerella leggera animava la serata e rendeva le strade pullulanti di ombrelli colorati che sembravano dare vita ad un quadro in movimento. Tra quegli ombrelli c’era anche uno rosso cremisi che era tenuto da una mutant, stiamo parlando proprio di Amachi. Era vestita con un semplice paio di pantaloni di jeans aderenti color blu chiaro, un paio di scarpe da ginnastica color nero, una felpa con la zip davanti color bianco, uno zainetto sulle spalle e sopra un giubbottino color militare che indossava spesso in questo periodo più “mite”:

    «Buona serata, maestro Bussho. La lezione di prova di taiko è stata davvero interessante ed attendo con gioia una email per quando sarà possibile iscriversi al prossimo corso per principianti. Grazie mille, arrivederci.»

    La lemure era sotto il suo ombrellino, precisamente davanti l’entrata della scuola di musica che insegnava principalmente a suonare strumenti antichi della storia Giapponese, come i famosi tamburi taiko. Aveva provato un paio di giorni prima a tenere tra le mani le bacchette e provarlo a suonare per dieci minuti. Fu amore a prima vista! Aveva preso i contatti al teatro del museo di musica ed oggi era stata la serata di lezione di prova che Amachi aveva assaltato quasi letteralmente! Era arrivata ben trentacinque minuti prima, tanta era l’eccitazione di suonare nuovamente quel tamburo.
    La ragazza si inchinò davanti al maestro di musica Bussho, in segno di rispettoso saluto, ricambiato da quest’ultimo che congedò la lemure cordialmente. Sulla faccia di lei c’era un’espressione soddisfatta e gli occhi neri e gialli brillavano, ancora stralunati per quel che avevano ammirato ed aveva fatto. Certo, non sapeva suonare come una persona esperta, ma già la prima lezione base le aveva dato una scarica di adrenalina, l’aveva convinta a continuare quella scuola da dopo appena cinque minuti che era lì dentro.
    La coda ad anelli della studentessa ondeggiava dietro di lei ed era tenuta alta, sotto l’ombrello ovviamente, mentre camminava in direzione della fermata dell’autobus. Ormai per spostarsi in città preferiva usare o la metro, oppure i bus di linea. In tempo pochi minuti arrivò il suo mezzo di trasporto pubblico che era semi vuoto, quel mezzo l’avrebbe portata quasi sotto casa, anche se non le dispiaceva fare due passi prima di coricarsi sotto le coperte a dormire. Si mise seduta in prima fila e l’ombrellino chiuso lo mise vicino ai piedi per evitare di occupare troppo spazio o ingombrare posti in più di quelli che le servivano. Durante il tragitto decise di mettersi le cuffiette del telefono nelle sue orecchie pellicciose ed incominciò a dare il via ad una playlist di musica che era rock e metal, una sua passione. Durante quell’ascolto, scorreva sui social network grazie al suo smartphone e si teneva aggiornata sugli status dei follower suoi, ma anche quelli che lei stessa seguiva.. Aveva diverse persone che le piaceva “spiare”, come alcuni studenti della UA, ma anche persone che erano abitanti di Tokyo, ma che effettivamente non aveva mai incrociato prima d’ora. Viaggiava un po’ con i pensieri e cercava di fare mente locale su alcuni piccoli flash che le apparivano improvvisamente “Dai, alla fine questa serata è stata top di gamma! Ora pensiamo a cosa mangiare.. A casa sicuramente ho un paio di Ramen istantaneo, anche se dopo quelli mangiati in giro per la città.. Beh.. Che tristezza.” Sospirò dalle narici del nasino nero, mentre le palpebre si abbassarono a mezz’asta “Mh, comunque dovrei seguire l’esempio di Shinjiro: dovrei fare una cover di una sigla degli anime che sono stati super seguiti, oppure che vengono tutt’ora guardati. Magari potrebbe farmi impennare nei like su twitter.” Ragionava anche sulle idee che le erano state proposte dal barista due giorni fa, proprio l’uomo che perse una delle bacchette dei tamburi taiko durante la prova al museo. Le sfuggì un sorriso divertito ed andò a scrollare appena la testa, come a voler scacciare quel pensieri che rischiava di farla ridere a crepapelle.. L’avrebbero presa per pazza sicuramente! Meglio evitare. Per un momento la mano scura sinistra passò sulla testa a sistemare appena qualche ciuffo ribelle dei suoi capelli color pece, mentre l’altro arto era ancora fermo sul telefono e con il pollice -anche se con difficoltà data la pelle ruvida- scorreva la pagina del social che stava attualmente seguendo. Non si era accorta che alle sue spalle, circa sul fondo del bus, c’era un gruppetto di ragazzi sui diciotto / vent’anni al massimo. Erano in cinque ed erano tutti vestiti di scuro, roba semplice, ma che avevano delle facce dall’espressione cupa e borbottavano spesso guardando la studentessa. Lei era ignara di tutto quel brontolio alle sue spalle, proprio perché aveva le orecchie impegnate ad ascoltare la musica, mentre la testa era totalmente persa nei suoi pensieri felici che, ultimamente, la stavano riempiendo l’anima e cuore. Stava rifiorendo a Tokyo, era palese che in Cina non era felice e si sentiva come un canarino chiuso dentro una piccola gabbietta di freddo metallo. Finalmente era giunta alla sua fermata ed Amachi andò a prenotare la discesa premendo il pulsante vicino al finestrino *DIN DIN* suonò il campanellino della prenotazione e l’autista tempo pochi minuti rallentò la sua corsa, fino a fermare il mezzo alla fermata posta sul marciapiede al lato della strada. La mutant attese che le porte si aprissero e nel durante andò a recuperare l’ombrellino, che in seguito aprì fuori dal veicolo, e mise il telefonino -ancora in funzione con la musica- nella tasca del suo giacchetto. Lei prese l’uscita in cima al mezzo, mentre quel gruppo di ragazzi prese quella opposta. Lei si voltò subito e donò a questi le spalle, ignara che fosse un possibile pericolo. La coda ondeggiava sinuosa alle sue spalle, mentre lei camminava con calma e teneva poggiata l’asta dell’ombrellino rosso sulla spalla destra. Sorrideva, mugolava una canzone che stava andando nella playlist e sembrava piacerle parecchio, forse era una canzone cantata da uno dei suoi gruppi preferiti.



    Ondeggiava appena con la testa a destra e sinistra, mentre procedeva a piedi lungo il marciapiede.
    Non era distante casa sua, ci saranno voluti circa quindici minuti scarsi di camminata, ma a lei non dispiaceva farli.. Almeno fino a che non si ribaltò la situazione. Sapete, spesso la gente diceva “Per ogni cosa bella, ce ne sarà sempre una brutta dietro l’angolo”.. E fu proprio così per lei.
    Improvvisamente da dietro le sue spalle si sentì come un peso aggravare su queste ultime e sula schiena, sbilanciandola di colpo nella sua postura che la fece incurvare in avanti:

    «MA COS-»

    Ed il faccino era sorpreso e spaventato allo stesso tempo. L’ombrello le cadde di mano, mentre le gambe si dimenavano e delle braccia e mani forzute la presero in una forte morsa dalle braccia e capelli. Venne trascinata come un’animale in un vicoletto che aveva da pochi istanti superato a piedi. In quel vicolo buio, freddo, dove l’odore di urina e fogna era palesemente presente -e non c’era bisogno di avere un buon fiuto per questo- ci venne portata contro il suo volere. Due tizi la gettarono a terra e lei cadde rovinosamente sul fianco sinistro, mentre la cuffietta destra, con la musica ancora in corso, le uscì dall’orecchio. Amachi cercò da subito di poggiare le mani scure sul cemento freddo e bagnato, mentre sentiva i suoi vestiti che stavano assorbendo l’acqua piovana e sporca che era presente nel vicoletto. Non aveva avuto tempo neanche di parlare, di sollevar il busto in toto per capire che cosa stava succedendo, quando improvvisamente un calcio nello stomaco venne ben assestato da uno di quei loschi individui. Il dolore al ventre era davvero insopportabile, tant’è che lei cercò di rannicchiarsi in posizione fetale, d’istinto portò il braccio e mano destra sulla testa e faccia, mentre l’altro arto superiore sull’addome. Tossiva, cercava di implorare di smettere con voce tremante e spaventata, non poteva urlare che le avevano mozzato il fiato con quel colpo:

    «Vi prego, s-smettetela. Che cosa volete!?»

    Erano i ragazzi del bus, si erano coalizzati per fare quell’imboscata alla ragazza e portarla in quel vicolo per picchiarla.. Ma perché? La coda si arricciò appena, ma subito venne bloccata da un pestone di un altro dei ragazzi che la immobilizzò in parte a terra. Quest’ultimo si chinò su Amachi ed andò con tono strafottente a dire <una bestia, cosa sei ? Un procione, un ratto!? Ptù!!> e sputò sul corpo esile e minuto della studentessa che era ancora rivolto a terra. La coda cercava di muoverla, ma era bloccata dallo stivale di quel malvivente, mentre qualche fitta le veniva inflitta sulle ossa dell’appendice, facendola soffrire ancora di più. Iniziò così il suo più orribile incubo, anzi, stava proprio prendendo vita. Non pensava che prima o poi sarebbe sfociata a così tanto odio e violenza solo perché lei era una mutant. Non si poteva scegliere di essere tali, ma molte delle persone che abitavano questo mondo avevano un senso di rigetto verso quelli come lei. L’invidia di avere qualcosa in più rispetto a loro? La frustrazione di sentirsi inferiori? l’idea del diverso e bizzarro che spaventava, forse? Ma gli esseri mutanti non avevano colpe.. Nessuno aveva deciso per loro di nascere così, né di avere determinate capacità e di essere guardati come dei privilegiati. Non era vero, loro non si sentivano superiori o speciali a nulla e nessuno, non approfittavano mai della loro posizione riguardo l’unicità che li accompagnava nella vita. Amachi, ad esempio, si sentiva spesso al di sotto degli altri, cercava di non essere vista come una creatura bizzarra, privilegiata, oppure che giocasse sporco dato che non poteva nascondere o “spegnere” il suo quirk.
    Quei ragazzi inveivano contro di lei a voce, ma soprattutto la calpestavano, picchiavano con dei calci, pugni, oppure oggetti che erano lì nel vicolo dentro un bidone della pattumiera. Il corpicino riceveva botte sulla schiena, sulla nuca, gambe ed anche pestoni sulla coda. Veniva offesa, sputata e derisa <sei solo una lurida bestiaccia! Siete degli esseri deformi.. Vi sentite superiori a noi non mutanti eh? Su forza, alzati lurida put*anella!> Lei a fatica respirava, le era difficile immagazzinare ossigeno per colpa delle forti botte che stava ricevendo, mentre sotto al suo braccio destro, dove era nascosta la testa, si celava un viso spaventato e piangente, con gli occhi sgranati che perdevano copiosamente le lacrime, mentre tremolante e a fil di voce diceva:

    «P-Pietà.. Non vi ho f-fatto nul-»

    Ma non finì nemmeno di parlare che ricevette un calcio a martello sul fianco destro scoperto, quello rivolto verso l’alto, che la fece rannicchiare maggiormente e per qualche secondo si sentì come soffocare. Le strapparono dalla schiena anche lo zainetto, così da colpirla sulla parte dorsale e non su quell’oggetto che poteva dargli protezione. Per fortuna venne buttato poco lontano dal cerchio di gente.. Magari poteva recuperarlo se usciva viva di lì.
    Tossiva, mentre gli altri ridevano, lei stava patendo le pene dell’inferno, mentre loro si divertivano come bambini al luna park. Incominciò a tremare, mentre si sentì prendere per il giubbino e le gambe e percepì che le stava mancando la terra da sotto i piedi, infatti era stata sollevata da loro. Otto braccia e mani la stavano toccando, tirando per gli arti e la coda e si sentì trasportata fino ad una cassa di legno semi vuota, dove dentro c’era solo carta bagnata e qualche altra roba da buttare. Venne gettata come un giocattolo rotto nella monnezza, mentre Amachi, debole e sofferente, cercava solo di respirare e lo fece ma con affanno e fatica. Sentiva delle forti fitte al costato, la schiena e la coda soprattutto, che adesso teneva penzolante ed inerme al di fuori della cassa, insieme alle gambe. Schiuse di poco gli occhi che erano gonfi di lacrime, cercò di guardare quegli individui, ma la pioggia ed il pianto non la stavano aiutando a mettere a fuoco i loro visi, ma poteva sentire le loro voci che si insinuavano tra le note di un’altra canzone che era partita dalla sua playlist E proprio in quel momento le arrivò l’ennesima umiliazione, dove il gruppetto, tranne uno che faceva da palo in cima al vicolo, si sganciarono i pantaloni ed iniziarono a fare il peggi, urinarono sulla povera mutant <fate schifo, dovete tutti morire! Un bel gruppo di fascine di legna, voi mutanti legati come salami su uno spiedo e VUOM! Una bella fiammata! Così vediamo se la vostra peluria puzza come un pollo strinato!> Ridevano e la disprezzavano con tutto il cuore, mentre lei cercò di portare le braccia davanti la faccia per coprirsi da quel liquido dorato e puzzolente che si impregnò sul suo giubbino ed i vestiti. Cercava di muoversi, di provare a scostarsi, ma non ci riusciva troppo da dove era per colpa del dolore che le attanagliava il corpo intero. Improvvisamente il ragazzo che faceva il palo fece un paio di fischi e richiamò all’ordine gli altri. Velocemente il gruppo corse via e se ne andarono per altre vie e si dileguarono.
    Era distrutta, sia fisicamente, sia mentalmente . Il suo naso percepiva solo maleodoranti odori, mentre la pioggia continuava a cadere e sembrava che anche questa, picchiettando sul suo corpo, le desse fastidio. Aveva come l’impressione che anche quell’agente atmosferico la stesse percuotendo su ogni centimetro del suo corpo. Amachi era semi distesa nella cassa, tra la pattumiera e la pipì, con le gambe e la coda che penzolavano fuori da essa. Il viso venne liberato dalle braccia che lentamente si misero distese ai lati della testa. Era sfatta, gli occhi osservavano vitrei il cielo, mentre per un momento sembrava essere andata in stand by.. Forse incominciò a realizzare di cosa le era appena successo, di come la gente con ideologie malsane, come in questo caso il fattore Anti mutant, l’avevano martoriata per il gusto di debellare una piccola, minuscola particella mutant che popola questo mondo. Amachi assottigliò gli occhi ed i denti vennero digrignati, mentre incominciò a sobbalzare appena con la parte del petto, ogni poco, erano i chiari movimenti che si fanno quando si iniziava a piangere e singhiozzare. Il viso si era corrugato in disperazione, mentre la mano destra cercò di andare sugli occhi e di tapparseli, come se non volesse più vedere nulla.
    Era in condizioni pietose, i vestiti sporchi, il corpo martoriato e quella paura che iniziava a risalire nel suo animo già fragile di ragazza insicura “Perché..Perchè… Che cosa abbiamo fatto di male..?” Si chiedeva ripetutamente nella sua testa.
    Ci vollero diversi minuti prima che la ragazza ebbe di nuovo un briciolo di forza per potersi issare fuori da quella cassa di sporcizia. Con goffi movimenti ne uscì, ma zoppicava lentamente verso l’esterno del vicolo e recuperò anche il suo zaino che mise sulla spalla destra. Non riusciva neppure a prendere il telefono in mano, infatti lo aveva ben lasciato nella tasca del giubbottino militare, così da evitare di esporlo all’acqua o di perderlo. Doveva chiamare la polizia? Si, ma non ce la faceva al momento. La coda veniva trascinata a terra, mentre i passi erano lenti ed ogni tanto si fermava per riposarsi appoggiata alla parete del palazzo. Ci vollero diversi minuti per arrivare fino a casa e con fatica riuscì ad entrare nel suo mini appartamento. Gettò a terra la borsa ed il telefono con le cuffiette, mentre barcollò verso il bagno dove entrò nella doccia -vestita- ed aprì l’acqua calda per lavarsi. Il getto dell’acqua la fece trasalire, ma chiuse gli occhi e sentì come un senso di venire ripulita dalle peggiori impurità, non solo quelle dello sporco e germi, ma anche quella morchia che le si era piantata nell’anima per colpa di quei ragazzi. Riprese a piangere e cercò con movimenti lenti e sofferenti di levarsi gli abiti per potersi lavare meglio, gettando questi nell’angolo della doccia e non se ne curò più, forse fino alla mattina seguente, dove neanche si presentò a scuola tanto era concia la sera prima. Le passò anche la fame, l’unica cosa che voleva adesso era lavarsi, liberarsi di quegli odori nauseabondi di quell’urina ed odio che le avevano riversato gli uomini contro.. C’era voluto diverso tempo prima che Amachi fosse pronta per gettarsi a letto, sotto le coperte, rannicchiatasi per cercare di contenere quei dolori che spesso la tormentavano. Ogni poco si svegliava e gli occhi puntavano al finestrone dell’appartamento che faceva filtrare, attraverso le tende, le luci della città. Quei bagliori dei fari, quei giochi di luce, le davano tremendamente fastidio. Rabbrividiva e chiudeva di colpo gli occhi che piangevano ancora, mentre riviveva nei suoi sogni quei momenti di terrore che squarciavano il suo sonno ristoratore e la facevano svegliare di soprassalto, con il cuore in gola ed il fiato corto. La mutant avrebbe passato una nottata d’inferno, così come il giorno dopo in cui non aveva neanche fatto l’ingresso a scuola per riprendersi. I lividi sarebbero passati, ma le paure e ferite nell’animo quelle sarebbero rimaste per molto tempo.
    Ci fu un uomo che disse: “Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli.” L’uomo si è evoluto nell’arco dei millenni, secoli, ma non è mai riuscito ad evolversi sul pensiero del “diverso”, rimanendo bloccato e spaventato da ciò che non era e non è uguale/simile a lui. Questa guerra, avrà mai una fine?


    CITAZIONE

    AmDv8iE
    LIVELLO 3




    Forza: 40
    Quirk: 55
    Agilità: 55
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    Molto bella, tranne la wee. :zizi:

    Amachi: +25 exp

    Passo e chiudo! :**:
     
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1 replies since 27/3/2020, 00:33   67 views
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