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SQ - Anastasija Andreevna Kasyanenko

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    Anastasija Andreevna Kasyanenko
    « i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo »

    Luglio 2020Appartamento di Anastasija Kasyanenko


    Anastasija non era mai stata il tipo da seguire le notizie di attualità. Se lo avesse fatto, probabilmente, avrebbe potuto avere riscontro di quanto la vita fuori dalle quattro mura della sua intoccabile routine fosse movimentata, tanto, persino troppo per i suoi gusti. Non abbastanza da farle soppesare l'idea di ritornare sui suoi passi o perlomeno di scegliere una location differente come sfondo della vita semplice e di basso profilo cui ambiva, però. Dopotutto, cosa volete che siano un paio di esplosioni e qualche evasione di pericolosi criminali per una persona abituata a sentire la propria stessa madre commissionare omicidi al tavolo della colazione?

    Certo, bisognava dire che da quasi un anno a questa parte, Tokyo si era impegnata comunque in qualche occasione per mostrarle appieno il suo vero volto. Anzi, non qualche. Una. A dimostrazione del fatto che, quando si impegnava a fare qualcosa ci riusciva, e quel qualcosa in quel caso era evitare i guai il più possibile.
    Nello specifico, comunque, ancora faticava ad elaborare per bene i fatti relativi ad Halloween: come spesso accadeva a menti fortemente razionali ed apatiche come la sua, il tempo e le distrazioni l'avevano aiutata ad accantonare la questione senza soddisfare il bisogno, per molti tutti essenziale, di farsene veramente una ragione. SALEM era successo e basta, non aveva potuto far nulla se non subire la situazione e il fatto che non si fosse fatta davvero nulla alla fine dei conti aveva reso talmente insignificante l'avvenimento in sé che la sua più grande preoccupazione, a seguito dell'incidente, era stata per diverse settimane l'idea che sua madre venisse a sapere che era rimasta coinvolta, la chiamasse e la costringesse a tornarsene a casa con la coda fra le gambe. Fortunatamente, la telefonata periodica da parte della donna le aveva fatto avere riscontro del fatto che non ne sapesse nulla o che, più probabilmente, la questione non le sembrasse sufficientemente grave da dover essere affrontata in nessuna maniera, tantomeno con provvedimenti così drastici.
    Dico "più probabilmente", ma non perché la probabilità vi fosse davvero: in realtà, Seo-Hyeon era riuscita in maniera del tutto fortuita a non scoprirlo o ci sarebbero davvero state delle conseguenze. Quella probabilità esisteva perlopiù nella testa di Anastasija che, non lo avrebbe ammesso mai nemmeno a sé stessa, viveva nell'implicito timore che quell'indipendenza tanto agognata e che pian piano stava cercando di guadagnarsi potesse venirle sottratta senza possibilità di appello ad ogni minimo passo falso. Nonostante gli anni e la distanza che ormai le separava anche geograficamente, era difficile per lei pensare che sua madre potesse non essere un grande occhio onnipresente e conscio della sua vita di tutti i giorni sin nel più piccolo dettaglio. Era un'idea che la inquietava nel profondo al punto da rifiutarne l'esistenza in quanto tale nella sua psiche, eppure l'impressione di avere sempre qualcuno di forte su cui contare e a cui appoggiarsi, un'ultima spiaggia se l'esperimento della libertà non fosse andato a buon fine, le dava un senso di sicurezza sufficiente - e sufficientemente sbagliato, forse - da permetterle di perseverare nelle sue intenzioni. Dopotutto, sua madre non la voleva accanto perché convinta che non potesse farcela da sola, anzi, credeva abbastanza nelle sue capacità da volerla plasmare definitivamente nella sua erede naturale in tutto e per tutto: se avesse scoperto che la vita come pensava di desiderarla fosse inadatta a lei, non ci sarebbe stata nessuna vergogna a tornare a casa, tranne forse quella di dover dare ragione a qualcuno che non fosse sé stessa.

    Ma queste erano considerazioni che Anya avrebbe potuto fare unicamente quando fosse giunta davvero a quel personalissimo punto di non ritorno che era l'idea di fare un generoso passo indietro sulle sue decisioni. Un'oasi di razionale rassegnazione che era ben lontana dal potersi aprire di fronte a lei quando il suo smartphone iniziò, in maniera del tutto deliberata ed imprevista, a trasmettere l'inquietante messaggio di tale Hanzo Takahashi. Lo aveva ascoltato con l'ovvia attenzione che chiunque avrebbe dato a una cosa del genere e, pur se la sua mente prona allo scetticismo ci aveva messo una dose di tempo ed impegno non indifferente a processare quel comunicato in maniera corretta, a conclusione dello stesso ci era voluto poco per capire come comportarsi.
    Anastasija non era propriamente una persona che potesse essere definita inetta.
    Lei stessa, in realtà, si reputava perlomeno un po' più intelligente della media e, in linea generale, aveva la spiccata tendenza ereditaria a mettersi automaticamente un gradino sopra la maggior parte delle persone che si trovava davanti, se la prima impressione che aveva del suo interlocutore lo permetteva. Era il motivo principale per cui non aveva mai avuto un amico degno di tale appellativo, anche se riusciva a nascondere molto bene la cosa quando le faceva piacere tenere vicino qualcuno, simulando un atteggiamento amichevole che spesso poteva essere confuso con una vera e propria compatibilità o complicità - il rapporto che aveva con Hamuko era un buon esempio di ciò.
    Hanzo Takahashi, per qualche motivo, era riuscito nell'impresa di penetrare con le relativamente poche parole di un annuncio a stampo terroristico la spessa barriera posta dalla sua arroganza. Hanzo Takahashi sembrava sapere esattamente di cosa stesse parlando e con chi. Hanzo Takahashi, in una manciata di frasi, era riuscito a diventare una voce che Anya non poteva zittire con lo scetticismo, una minaccia che vera o falsa che fosse non poteva prendere sottogamba e non poteva trattare come se non la riguardasse da vicino.

    Falso. Vero. Due concetti tanto opposti quanto difficili da discernere se applicati alle situazioni reali, anche se non sempre. Il siero della Papilio Quirkensis era vero, per esempio, e il suo funzionamento noto anche a lei: le dichiarazioni di Shinichi Matsumoto dopotutto erano di un'entità tale in una società come quella in cui vivevano a seguito della comparsa dei Quirk che la risonanza mediatica era stata immediata, non avrebbe potuto rifuggire tali informazioni neanche impegnandosi.

    È alquanto difficile rendere a parole quanti e quali siano i pensieri che erano riusciti a farsi strada a tal punto da sopraffarla, da farle decidere di agire come poche volte le era successo di fare nella sua breve vita. C'era un'invalicabile abisso di conoscenza che la separava dal poter comprendere appieno quali sarebbero state le conseguenze nel vedersi esposta agli effetti del farmaco, anche sopravvivendo alla marcata percentuale di fallimento.
    Il punto focale della questione, o per meglio dire l'unico che riusciva a focalizzare chiaramente con gli strumenti intellettivi in suo possesso, era il fatto di non avere controllo, di vedersi negata la scelta. Quella sentenza pendeva sulla città come una spada di Damocle neanche troppo metaforica, e questa consapevolezza era sicuramente il fulcro profondo delle sue attuali preoccupazioni. Certo, vi erano diversi ragionevoli dubbi che avrebbero potuto convincerla a non trovare necessario ricorrere all'opzione di lasciare la città: non vivevano certo nell'Anarchia più totale, tra la Polizia e il fenomeno dell'Eroismo probabilmente vi era un fronte più che attivo allo scopo di contrastare i piani di un individuo avvolto a quel punto da ben poco mistero. Anya, tuttavia, poteva vantare di un punto di vista particolare riguardo questo aspetto della cosa, data la sua storia familiare un po' troppo sopra le righe per essere definita tale, e aveva sempre avuto un'opinione piuttosto netta sulla questione: il sistema era fallace e fallibile e affidarvisi ciecamente era una semplice questione di indolenza; era tanto, troppo facile pretendere che le autorità e lo Stato risolvessero ogni problema autonomamente, senza il minimo impatto sulla vita di chi era sotto la loro responsabilità. Hanzo Takahashi aveva ogni ragione di affermare che l'egoismo fosse una componente fondamentale dell'uomo post-moderno come e quanto i Quirk, ma se c'era chi egoisticamente da una parte sceglieva di mettere la propria vita nelle mani di altri esseri umani - con il vile sottinteso, se la situazione fosse effettivamente degenerata come annunciato nel messaggio, di usarli come capro espiatorio all'inevitabile momento della conta dei morti -, lei da parte sua era venuta fino a Tokyo a cercare di costruirsi un'esistenza propria esattamente allo scopo di prendere in mano la sua, di vita. E non era abbastanza incoerente da decidere improvvisamente di metterla in mano a persone per cui non nutriva la minima fiducia, né stima, proprio in un momento di potenziale emergenza come quello.

    Quello che era emerso in superficie, come spesso accadeva, era qualcosa non scevro da quella quantità indescrivibile di pensieri e considerazioni ma che non poteva apparire più diverso, superficiale anche in senso lato se vogliamo. Il centro di gravità che in parte sua madre e l'idea che aveva di lei rappresentavano, in quel momento e insieme a tutta quella moltitudine di riflessioni che agitavano sul fondo della sua mente, scatenò in lei una reazione non dissimile da quella di un serpente che prova a mordere quando si sente minacciato. Per una volta, si disse, sarebbe stata lei ad agire. Non le avrebbe lasciato il privilegio di muoverla come un pedone sulla sua scacchiera solo perché la considerava una sua proprietà personale da tutelare. Non che avesse realmente qualcosa in contrario all'idea di proteggersi da quel futuro prossimo così lugubre che era stato prospettato, il punto era che voleva essere lei ad agire per prima nel suo proprio interesse.
    La stava facendo più grande di quel che era per mero effetto dell'apprensione, naturalmente. Fight-or-flight response, come l'avrebbe chiamata il fisiologo che nel 1920 aveva descritto questa "reazione neuronale fisiologica" che anche lei stava sperimentando, in un certo qual modo. Non aveva mai avuto davvero nulla da eccepire rispetto ai metodi e ai comportamenti di sua madre, che si macchiava dell'unica colpa di essere molto più trasparente sul suo rapporto con Anastasija di quanto potessero dire di essere i molti genitori che consideravano la prole come un'estensione della propria mente e del proprio corpo, proiettandovi in forma di aspettativa le proprie aspirazioni e quegli standard troppo alti che a ben pensarci neanche loro avevano mai raggiunto davvero, o mantenuto per molto tempo. Con la differenza che, almeno, Seo-Hyeon aveva costruito una posizione sociale duratura in ogni senso ed era pronta a passarla a sua figlia quando sarebbe passata a miglior vita, o si sarebbe sentita troppo vecchia e stanca per mantenerla.
    In quel momento di tipica ritorsione adolescenziale, tuttavia, la identificava momentaneamente come una figura avversa all'unico, implicito scopo di darsi uno sprone più intimo e personale per cui perseguire le sue intenzioni.
    Sarebbe stata lei a chiamare per prima. Per comunicare la maniera in cui intendeva provvedere a mettersi al sicuro da quella situazione, neutralizzando ogni rischio prevedibile. Aveva tutte le informazioni che le occorrevano per farlo, in fondo, doveva solo mettere insieme, molto in fretta, un piano di azione a voler usare dei paroloni persino esagerati, per quel poco che c'era davvero da decidere e pianificare, coi mezzi che aveva a disposizione. Sempre grazie a sua madre, sì, ma non era qualcosa su cui sentiva realmente il bisogno di crucciarsi, specialmente in un momento simile: soffermarsi su quella piccola sbavatura sarebbe stata nient'altro che una presa di posizione puramente idealistica, che necessitava alla base di una dose di orgoglio di cui lei era fortuitamente sprovvista. Non che non fosse orgogliosa, precisiamo, solo non abbastanza da negarsi un salvagente a fronte del rischio di affogare solo perché aveva deciso di imparare a nuotare da sola. Era quella sottile linea di demarcazione fra orgoglio e stoltezza che pochi coglievano, guadagnandosi spesso e volentieri il marchio dell'infamia.
    schedaquirkcronologia


    Edited by .isetta - 30/10/2020, 14:26
     
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    «Parlato Anastasija»«Parlato Seo-Hyeon»


    «È tardi.» *Quasi non fa squillare il telefono, per quanto rapidamente risponde, eppure il tono è scevro da apprensione, fretta o altri stati d'animo simili.*

    «Ti ho svegliata, quindi?»

    «No, stavo-» *Non fa neanche in tempo a terminare la frase.*

    «Per chiamare tu, certo. Hai saputo, no?» *Il tono è più o meno lo stesso che avrebbe una persona normale nel chiedere se l'interlocutore è venuto o meno a conoscenza di un pettegolezzo, o di qualche avvenimento mondano di poco conto.*

    «Incerimoniosa come sempre.» *Un minuscolo verso di disappunto filtra dalle labbra chiuse, udibile solo grazie alla vicinanza fra il microfono del telefono cellulare e la bocca.* «Non puoi rimanere lì.» *Una constatazione oggettiva, o perlomeno suona come tale.*

    «Lo so. Volevo chiederti un favore, infatti. Ho chiamato apposta.»

    *C'è un momento di silenzio dall'altra parte, un attimo di indecisione.*

    «Posso approntare la tua partenza in poco tempo, lo sai. Mi basta una parola.»

    «Pensavo a Karatsu. Nella prefettura di Saga. Mi sembra considerevolmente lontano e Ojiisan mi ha lasciato una buona impressione, capisco perché ti fidi di lui. È stabile lì, no?» *Parla quasi come se non l'avesse ascoltata, o meglio, come a fingere di non aver colto il reale sottotesto di quella prima dichiarazione.*

    *Una seconda parentesi silenziosa, un sospiro di rassegnazione che non lascia andare solo perché sarebbe inutile e, in un certo senso, porterebbe la discussione ad impelagarsi in stati d'animo, argomenti che nessuna delle due vuole davvero affrontare.*

    «Sì, mi sembra adeguato.» *Cala infine inesorabile la maschera di accondiscendenza, più per abitudine che per vera rassegnazione. E in fondo perché, diciamolo, era una soluzione davvero adeguata, anche se non la migliore secondo lei.*

    «Devo ancora decidere le date esatte, ho bisogno di tempo per… sistemare alcune cose e salutare Tokyo adeguatamente. Non so quando tornerò, in fondo. Per il momento, informalo che arriveranno alcuni pacchi con le cose che mi serviranno per la permanenza. Sono poche cose, lo prometto, ma preferisco partire con un bagaglio leggero. Fagli le mie più sentite scuse per l'incomodo.»

    «Ti farò mandare a prendere da uno dei suoi collaboratori con una macchina. Non voglio che tu prenda i mezzi pubblici. Ehw.»

    «Gentile da parte tua.»

    *Scoppiano a ridere, prima l'altra e poi l'una. Nessuna delle due ride in modo sguaiato, mai, ma in special modo in quel momento in cui lo scoppio di ilarità non è eccessivo.*

    «Al telefono parli proprio come un'adulta.»

    «Non metterti a parlare come una mamma, adesso, non ti si addice.»

    «Naturalmente non mi si addice, non sono mica così vecchia, ma so che quando lo faccio ti inquieta.»

    *È uno scambio breve ma tipico, un esempio nel pieno senso del termine di quella che era a tutti gli effetti la dinamica madre-figlia fra loro.*

    «Nient'altro? Perché le borse sotto gli occhi sono antiestetiche su entrambe, e domattina ho da fare.»

    «Spero nulla che ti impensierisca più di tanto.» *Non avrebbe saputo dire se lo pensava veramente o se diceva cose di quel tipo per una pura forma di cortesia.*

    «Dopo le ultime notizie da Tokyo? È ancora più insignificante del solito.»

    «Non dovresti preoccuparti per me.» *Quell'affermazione, invece, non sortiva in lei alcun senso di ambiguità. Non le piaceva il fiato sul collo, da nessuno, neanche dalla donna che l'aveva messa al mondo.*

    «Lo so. Ma potresti cambiare idea, un giorno.»

    «Te lo concedo.»

    *Un'altra parentesi molto breve, ma che nasconde una quantità non indifferente di omissioni necessarie fra loro, per non ricadere in discorsi che erano stati già ampiamente esauriti.*

    «Ora basta, però. Devo dormire. E dovresti anche tu, ma tanto non lo farai.»

    «In realtà sì. La mattina penso meglio, dopo la colazione.»

    «Tienimi aggiornata.»

    «Sarà fatto.»

    *Riattaccano entrambe, allo stesso tempo o giù di lì per quanto permettono i loro tempi di reazione. Le cose da dirsi erano decisamente finite, almeno per il momento.*
    schedaquirkcronologia


    Giuro che ho finito.
    Ho diviso in due post più che altro per una questione estetica, per via delle modalità scrittorie diverse. Nello stesso post mi davano fastidio, lo so, ho problemi. Per quanto concerne la questione timeline, la collocazione temporale l'ho voluta indicare chiaramente a scanso di equivoci.
    L'immagine in questo post è una reference per l'aspetto della madre di Anya perché la tengo da parte da parecchio ed essendo molto aderente alla mia idea di lei la volevo usare prima o poi, ma come da regolamento non accampo alcun diritto di uso.
     
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    Hello :sparks:
    La dinamica tra Anya e sua madre è quasi cute.

    Anya: 25exp

    Chiudo.
     
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