I Shall Wear Sunlight

SQ - Yumeru Shinso

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    Yumeru Shinso
    Narrato - Parlato - Pensato

    Nell’oscurità della stanza l’irritante suono meccanico della sveglia iniziò a risuonare inisistentemente.
    Da un bozzolo di calde e comode coperte si liberò una mano irritata e assonnata che a tentoni iniziò a cercare la sveglia per zittirla, riuscendoci al terzo tentativo. All’interno del suo bozzolo la mente del ragazzo stava cercando di avviarsi all’inizio della routine mattutina, mentre una parte di essa però stava cercando di argomentare la possibilità di rimanere sotto le coperte ed uscire solo all’inizio della nuova primavera.

    Alla fine dopo una lunga e combattuta discussione mentale la parte più coscienziosa della mente ebbe la meglio e ancora una volta il progetto letargo venne rimandato a data da destinarsi.


    Il ragazzo combatte per qualche istante per liberarsi dal pericolosamente invitante e confortevole abbraccio delle coperte goffamente fuori dal futon. Il movimento improvviso disturbo Hime, la sua gatta, che con un espressione offesa e infastidita si limitò a sgranchirsi pigramente sulle sue tre zampe e allontanarsi sbadigliando verso un nuovo posto dove continuare il suo meritato riposo.

    Yumeru osservò con invidia la gatta bianca e nera acciambellarsi su un cuscino poco lontano e riprendere a dormire mormorando con tono vagamente risentito e un po’ farfugliato “Buongiorno a te…” Il suo sguardo poi si spostò attraverso la stanza per poi posarsi su uno specifico macchia grigia in cima all’armadio, e lui mormorò con un pelo di giovialità in più di chi è ormai rassegnato all’ironia della sua vita “…e buongiorno anche a te.” A quelle parole un intenso occhio giallo si apri sulla macchia grigia come se avesse percepito di essere stato chiamato in causa. Il gattone grigio di nome Greebo però non degno di alcun altro movimento il salute del padrone limitandosi a fissarlo con moderato interesse dall’alto della sua posizione strategica dalla quale poteva tenere d’occhio l’intera stanza che rientrava nel “suo dominio”.

    Il giovane assonnato si stiracchio un po’ tirando in alto le braccia dalla sua posizione seduta e dopo aver passato un intero minuto di vacua introspezione grattandosi distrattamente la guancia trovò finalmente la risoluzione per alzarsi in piedi.
    Immediatamente venne colpito da un brivido di freddo che lo scosse dalla testa fino alla punta dei piedi. La differenza di temperatura era piuttosto netta e il pigiama di flanella blu che indossava non lo proteggeva in maniera efficiente costringendolo a cercare di riscaldarsi sfregandosi freneticamente le braccia e saltellando brevemente sul posto.

    Mettendosi in moto per cercare di sfuggire al freddo il ragazzo si affrettò ad andare al bagno per andare al bagno e farsi una bella doccia calda. Oggi non aveva lezioni a scuola ma aveva un impegno altrettanto importante che da ormai un mese aveva preso posto fisso nei programmi del ragazzo.


    Dopo essersi asciugato, e aver passato più tempo del necessario a crogiolarsi sotto il caldo getto d’aria del fono, il ragazzo iniziò a vestirsi facendo attenzione a selezionare degli indumenti pratici per muoversi e sobri – cosa decisamente insolita per lui che in genere sceglieva le combinazioni più sgargianti e vistose per attirare l’attenzione. Ma in quest’occasione aveva realizzato non era a lui che spettava l’attenzione, questa volta era lui che avrebbe dovuto prestare attenzione ad altri.
    Era uno strano esercizio anti-ego che il ragazzo si era auto-imposto e al quale ancora faticava ad abituarsi. In fondo aveva costruito il suo intero “personaggio” sull’essere al centro dei riflettori: un esuberante casanova, un aspirante e ardente eroe alla ribalta dallo stile rocambolesco e sgargiante.
    Normalmente solamente a guardarlo si percepiva un messaggio a lettere cubitali GUARDATE ME.

    Ma in questi giorni era diverso e il ragazzo alla fine scelse di indossare una semplice felpa blu scuro indossata su dei vecchi jeans un po’ usurati dal tempo. In aggiunta lasciò i capelli sciolti a cadere piattamente verso il basso e un po’ attorno al viso invece di raccoglierli come al solito in una coda.
    Come tocco finale indossò perfino un paio di occhiali dalla pesante montatura nera. Si trattava di occhiali da riposo che gli erano stati prescritti ma che indossava solo sporadicamente.


    Il risultato che ne conseguì era decisamente ben lontano dal suo usuale aspetto, al punto che se avesse incontrato qualche conoscente avrebbero faticato a riconoscerlo a prima vista. Il che alla fine era esattamente quello che voleva: annullare il più possibile il proprio “io” e dedicarsi agli “altri”.

    In fondo questo era uno dei concetti del volontariato.

    Era cominciato tutto un mese dopo gli eventi della manifestazione “anti-mutant” al quale egli aveva partecipato come scorta in veste di eroe “stagista”. L’evento che già di per se poteva essere considerato un errore di decenza e moralità in se era rapidamente andato di peggio in peggio. La cosa peggiore era che Yumeru non riusciva a collocare nessuna delle persone coinvolte in una semplice categoria di “buoni” e “cattivi”. I manifestanti erano senza dubbio dei bigotti e degli ignoranti ma questo non li rendeva automaticamente persone cattive e se la stupidità andava considerata come crimine allora le carceri del mondo si sarebbero presto trovate sovraffollate.

    D’altro canto la loro manifestazione era stata autorizzata dal governo e quindi era legale, al contrario delle due misteriose ragazza che erano intervenute per disturbarla. In normali circostanze il ragazzo avrebbe concordato con l’intento di indignazione e protesta verso quella manifestazione ma l’approccio dei loro metodi per contro era stato più in linea con quella di due criminali.

    Chi doveva essere punito? Chi doveva essere protetto?

    Come si faceva a tracciare una linea di demarcazione quando giusto e sbagliato si mischiano insieme rendendo impossibile separare uno dall’altro. Alla ragazza quel giorno aveva detto che il suo compito di eroe era stare nel mezzo fra le due parti, ma con il tempo aveva realizzato che stare nel mezzo delle due parti era semplice come stare nel mezzo di un oceano in tempesta senza capire più dove sta il sopra e dove il sotto, figurarsi capire dove sta il giusto e dove sta lo sbagliato.


    Ripensando alla ragazza dai capelli neri il giovane non riuscì a far meno di chiedersi cosa ne fosse stato di lei. A dispetto di quello che era successo e di quello che le aveva detto, Yumeru non riusciva a vederla come una criminale, ma solo come una ragazza smarrita. Aveva visto la tristezza e la rabbia nei suoi occhi, ma non era stato capace a rispondere come avrebbe dovuto.

    Al ragazzo non sfuggì l’ironia del fatto che di fronte ad una “donzella” in difficoltà lui aveva scelto di combatterla invece che di salvarla.
    Una parte di lui sperava di poterla incontrare ancora un giorno ed avere la possibilità di redimersi.



    Il giovane Yumeru dopo aver consumato una semplice colazione composta da fette di imburrato e una calda tazza di thè si apprestò ad ultimare i preparativi per uscire, indossando una comoda e morbida sciarpa grigia al collo e un giaccone verde con un collare impellicciato. Per completare serrò fermamente un cappello di lana nero sopra la testa calandolo fino a coprire le orecchie, preparandosi cosi in maniera piuttosto soddisfacente ad affrontare il freddo esterno che lo aspettava lungo il tragitto.
    Mentre si avviava verso la porta d’ingresso l’occhio gli cadde su un grosso pacco che aveva ricevuto ieri ma non aveva ancora aperto. Sul pacco c’erano i marchi della scuola UA e della compagnia che aveva prodotto il suo costume da eroe. Dopo gli eventi della manifestazione e il feedback ricevuto Yumeru aveva ponderato un cambiamento nella sua “uniforme” ma non si sentiva ancora pronto a vederla… si ripromise di farlo quando sarebbe rientrato a casa e cosi uscì di casa chiudendo la porta dietro di se.

    Mentre camminava sul marciapiede spazzato dal vento gelido sotto un indifferente cielo grigio la testa del ragazzo ritornò alla prima volta che il ragazzo aveva percorso quella strada un mese prima.


    Fu per un totale caso di fortuna che Greebo aveva fatto cadere una pila di vecchi documenti dei suoi genitori defunti ,che il ragazzo di tanto in tanto spulciava nel l’avido desiderio nostalgico di imparare qualcosa di più di loro, portando cosi all’attenzione del ragazzo un attestato di partecipazione ad associazioni di volontariato a nome di entrambi i suoi genitori. Una breve ricerca approfondita nel resto della pila lo portò a scoprire che i entrambi i suoi genitori mentre erano in vita avevano dedicato molto tempo al sociale, partecipando ad organizzazioni di volontariato di ogni genere per aiutare i più bisognosi.
    Questa scoperta in combinazione con i suoi sentimenti di confusione morale ispirò Yumeru a voler provare a seguire l’esempio dei suoi genitori, forse anche nella speranza di trovare una risposta ai suoi dubbi.

    La risposta non l’aveva ancora trovata, ma aveva trovato molto di più.

    Aveva iniziato a partecipare alle attività di volontariato dell’organizzazione umanitaria HandsOn Tokyo. Aveva aiutato a servire cibo alla mensa per i senzatetto, aveva partecipato a attività ricreative per gli anziani negli ospizi e aveva giocato con i bambini negli orfanotrofi.

    Ma cosa più importante aveva iniziato a vedere ed ascoltare per davvero.

    Vedere quelle persone cadute nelle crepe ai confini della società diventate invisibili perché troppo scomode e non abbastanza importanti. Ascoltare le loro storie, piccoli drammi molto spesso senza buoni e cattivi, ma solo tanta sfortuna.
    Si trattava di persone che avevano soccombuto alle difficoltà della vita che per alcuni di loro si erano rivelate troppo ardue, alcuni di loro erano già partiti sconfitti già dalla nascita. Persone senza la forza e la voce per chiedere aiuto, ma soprattutto senza nessuno a cui chiederlo, incapaci di integrarsi fra gli ingranaggi della società finiscono isolati dentro spazi vuoti dove rimangono intrappolati.

    Uomini e donne anziane rimasti soli abbandonati e dimenticati dal tempo senza nessuna famiglia a prendersi cura di loro. Bambini orfani portatori di handicap in eterna a attesa di essere adottati perché pochi sono disposti a prendersi la responsabilità extra che comportano, lasciandoli lì dimenticati come merce difettosa su uno scaffale.
    Nessun Villain dalla bieca morale a cui attribuire le loro sfortune, nessun Eroe in tenuta sfavillante a a cui potere rivolgersi per essere salvati.


    No, Yumeru non aveva trovato risposta per i suoi conflitti morali, ma aveva trovato significato e un rinnovato senso di aiutare dentro di se. C’erano molte cose buone che poteva fare in veste di Eroe, ma c’erano anche molte cose che poteva fare solo semplicemente come persona qualunque.
    Non aveva bisogno di un quirk per offrire un po’ di contatto umano ad un anziano che non aveva nessun con cui festeggiare il suo ottantesimo compleanno. E non aveva bisogno di un mantello sgargiante o di equipaggiamento high-tech per porgere una scodella di zuppa calda ad un senzatetto.

    L’attività prevista per quel giorno era un attività di giardinaggio e di ricreazione per i alcuni bambini del reparto pediatrico all’ospedale di Saisekai Central Hospital di Tokyo. In passato l’organizzazione aveva ristrutturato il parco giochi dell’ospedale costruendovi un giardino, e oggi i volontari si sarebbero dedicati alla sua cura intrattenendo e insegnando ai bambini. Yumeru e altri sette volontari sarebbero partiti dalla sede dell’organizzazione con un pulmino a noleggio e avrebbero raggiunto l’ospedale dove avrebbero passato buona parte della giornata.


    Per Yumeru sicuramente si rivelò un attività davvero piacevole per via della sua innata passione per il giardinaggio, e poter condividere quella sua passione con i bambini costretti al ricovero ospedaliero durante il periodo natalizio allietando anche se di poco le loro sofferenze era una fortuita combinazione. Il ragazzo passò l’intera giornata a vangare terra, trapiantare piante, insegnando quando poteva i nomi di alcune pianti ai bambini più curiosi ed unendosi come poteva ai loro giochi. Alcuni di loro gli raccontarono le loro storie e questo era un aspetto del volontariato che ancora lo metteva in difficoltà. Era difficile per lui ascoltare le loro parole senza finire preda delle proprie emozioni di empatica tristezza e senso d’impotenza. Più volte da quando aveva iniziato scoppiato a piangere una volta tornato a casa, sovrastato carica emotiva di quelle vite tragiche e sfortunate.



    Quando finalmente fece ritorno a casa il ragazzo era stremato dalla stanchezza fisica ed emotiva ma una di un tipo di stanchezza positiva che in qualche modo gli riscaldava l’anima.
    Le sue esperienze di volontariato lo stavano mettendo a contatto con un lato della vita di cui prima ignorava l’esistenza, insegnandogli qualcosa di cosa di ampio e astratto che non avrebbe saputo definire. Provare a spiegarlo era come cercare di raccogliere l’acqua che correva lungo un fiume utilizzando un bicchierino bucato: poteva cogliere solo scorci dell’essenza di quello che percepiva e anche questi scorci erano evanescenti e tendevano a sfuggire via come fumo dalle mani.

    Da quel poco di concreto che riusciva a percepire il ragazzo capiva che si trattava di trovarsi su una linea di confine e… osservare le estremità dove erano naufragate esistenze sventurate. Si trattava dei confini fra vita e morte, notte e giorno, giusto e sbagliato. E avevano bisogno di essere sorvegliati perché nessuno prestava loro attenzione. Sorvegliare e dare una mano quando e come poteva, senza mai chiedere nulla in cambio, senza mai cercare di ricavare un guadagno personale. Questo, percepiva Yumeru, era importante, perché altrimenti il suo non sarebbe stato un atto altruistico ma solo un modo di strumentalizzare quelle persone per proprio tornaconto personale, sia che questo fosse materiale o semplicemente un modo per accrescere il proprio ego.


    Chiudendosi la porta d’ingresso alle spalle il ragazzo venne accolto dalle fusa festose di entrambi i suoi gatti felici che il loro umano fosse tornato giusto in tempo per preparare il loro pasto. Il ragazzo rispose calorosamente alle fusa dei due gatti distribuendo equamente ad entrambi una ampia dose di carezze e coccole, che pur non essendo commestibili furono comunque gradite dai entrambi i felini.

    Il ragazzo si sfilò il cappello di lana dalla testa conseguendo in un scomposta cascata di capelli e mentre si apprestava a sfilarsi anche sciarpa e giubbotto i suoi occhi si posarono sullo scatolone che lo attendeva minaccioso all’ingresso come la moglie accigliata di un marito che rientra tardi e ubriaco. Il ragazzo sospirò con debole rassegnazione. Non poteva più posticipare, altrimenti sapeva che avrebbe procrastinato all’infinito fino a che lo scatolone non sarebbe diventato un aggiunta permanente all’arredamento del suo appartamento.

    Quando aveva scelto il suo primo costume il ragazzo aveva pensato solo a quanto volesse essere “cool” e stiloso, scegliendo i suoi colori preferiti e visualizzando un costume vistoso e sgargiante che la gente non avrebbe potuto ignorare. Voleva essere visto e riconosciuto. Voleva che la sua immagina rimanesse impressa nella mente di chi lo vedeva, nel bene o nel male.
    E questo suo desiderio era ancora presente, ma il ragazzo aveva percepito che questo non gli bastava più. Non voleva solo essere visto e riconosciuto, ma voleva anche che quando la gente lo avrebbe riconosciuto in lui un immagine rassicurante e d’ispirazione.
    Yumeru aveva posticipato ad oltranza perché dentro di se non si era sentito pronto ad incamminarsi sulla strada per diventare quel simbolo a cui aspirava. Quantomeno non quando ancora non aveva trovato risposta ai suoi dubbi.


    Ma adesso si rendeva conto che non aveva bisogno di trovare una risposta, ma poteva semplicemente crearne una e renderla una verità. La sua verità.
    E questa a suo modo era la risposta che stava cercando. Non aveva bisogno di trovare una linea di confine fra giusto e sbagliato, bene e male, giustizia e criminalità. Doveva solo crearne una per se stesso e dedicarsi a difenderla. Come aveva detto alla ragazza mutante quel giorno: lui intendeva posizionarsi nel mezzo. Lì in balia delle onde avrebbe creato uno scoglio di sicurezza per se stesso e per quelli che gli avevano bisogno di essere salvati.

    Intendeva diventare un faro di luce per guidare chi si era perso in quell’oceano di ambiguità e grigiore morale.


    Il ragazzo indossò il costume e si rimirò allo specchio: aveva richiesto solo piccole modifiche al suo design originale. Il cambiamento principale era lo schema di colori: non più viola e verdi sgargianti, ma tonalità di bianco, giallo oro e arancione. Erano toni di luce e di calore, che il ragazzo aveva deciso di assimilare nella sua immagine di “eroe”. Non avrebbe indossato quel costume per se ma per coloro che aveva bisogno di lui. Coloro che cercavano una luce di speranza e giustizia.


    Per loro avrebbe indossato la luce del sole e respinto le tenebre che attanagliavano la sua città.


    Yumeru_New_Armor



     
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    Bel lavoro, grazie per aver sfruttato Mari.
    Sei migliorato coi tempi, ti notifico solo che ti è saltato qualche accento qua e là (combatte, osservo e qualcos'altro).
    Passo e chiudo!

    Yumeru: +25 exp
     
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1 replies since 12/12/2019, 20:50   76 views
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