L'Appuntamento Mancato

Role - Farnia (Amachi) x [Slot Extra] Stan (Hisoka)

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    Lui aveva colto nel segno, forse era un po’ l’empatia? Oppure si leggeva in faccia ad Amachi che la sua futura carriera da eroina era davvero traballante? Sta di fatto che Hisoka fece trasalire la mutant, infatti quest’ultima abbassò gli occhi verso il piattino vuoto dove c’erano posate le bacchette monouso di legno, ancora da dividere. Le mani -nascoste nelle braccia ancora conserte- si strinsero in due pugni e rimase in silenzio per una manciata di secondi, giusto il tempo di far terminare “Keith” nel suo discorso. Abbassò a mezz’asta le palpebre ed in fine voltò lo sguardo verso la vetrata che le stava vicina. Osservava distrattamente fuori, mentre cercava di calmare quel momento così teso che per lei era palesemente un’argomentazione delicata. Educatamente sorrise sulle labbra, per poi tornare sull’altro e dire con tono leggermente incerto :
    «Salvare i cittadini è un bel gesto, non c’è che dire.. Ma non tutti sono tagliati per farlo. Adesso io mi sento fuori luogo, inadeguata per l’eroina, forse perché è da poco che ho incominciato gli studi.. Oppure un po’ per questo momento delicato dove gli anti-mutant sono scesi a gamba tesa in piazza. »
    Sospirò profondamente, mentre la coda oscillò delicatamente nell’aria, per poi abbassarsi vicino le zampe della sedia dove stava riposando Amachi stessa. In poco tempo arri porzioni di ramen a base di funghi, una specialità vegana…Almeno si spera. La lemure si mise dritta con la schiena e le braccia si sciolsero dal loro intreccio per porsi ai lati del busto. SI fece servire la scodella di ramen e la cameriera stessa prima di poggiare la ciotola, spostò le bacchette e piattino piano da davanti i due commensali. Una ondata di odori forti e gustosi andarono a scontrarsi con il fine olfatto della mezza animale, facendola istintivamente inspirare ed espirare più volte e con fare più profondo, così da pregustare quel cibo. Dall’odore non era affatto male, infatti ad Amachi brontolò subito lo stomaco che reclamava cibo in maniera funesta. Prese con le mani scure le bacchette e con un gesto sicuro le tirò per dividerle, creando quel tipico rumore di legno che si rompe. Intanto, mentre lei mescolava ciò che aveva nel piatto, continuava a parlare con l’altro su cosa le piacerebbe fare. Un sorriso timido si mostrò agli occhi di Hisoka, per poi dire con tono più imbarazzato:
    «Suonare e cantare è la cosa che amo di più. Quando lo faccio mi sento al settimo cielo. Sai, c’è un mio amico che mi dice che dovrei fare un provino…Ma Darius forse è esagerato e stra vede per me. Ahahahah! C-Cioè anche io stra vedo per lui…C-Cioè siamo amici molto legati e lui cerca di convincermi che ho una bella voce e talento musicale. Tempo fa feci una piccola esibizione ed incontrai il signor Castiel, lui lavora come cacciatore di talenti.. Infatti mi ha proposto anche lui di fare un provino. M-Ma…Mi vergogno un po’. Eheheh!»
    Si strinse nelle spalle e poco dopo cercò con le bacchette -tenute nella mano destra- di sollevare qualche spaghetto che era affogato nel brodo. La mano sinistra invece stava ferma vicino alla ciotola, come per reggerla, anche se al momento bruciava e la toccava poco.
    «Forse ho parlato troppo… Sono diventata logorroica, scusa. Buon appetito!»
    E così dicendo andò a soffiare sulla piccola quantità di spaghetti raccolti, per poi infilarseli in bocca e cercare di suggere per emettere il tipico suono di chi mangia con gusto qualcosa. In Giappone funziona così, almeno quello lo aveva ben imparato Amachi ed a lei piaceva tanto far capire al cuoco o chi altro che quella pietanza era buona. Assaggiò così il primo boccone e masticò con cura ciò che aveva raccolto con le bacchette. Sfarfallò le ciglia e cercò di guardare verso l’uomo, per poi inghiottire e dire con entusiasmo:
    «Ohw, è così delicato il sapore di questo ramen! Attento che brucia, soffiaci su!»
    Fece una piccola pausa, giusto il tempo per sentire quello che l’altro aveva da rispondere alle domande di Amachi. Lei cercava di indagare e capire chi era quel tizio, se realmente era un semplice amico di SHinjiro o se c’era qualche cosa di losco sotto..Ma doveva tenere un certo profilo basso e far finta di nulla:
    «Ah niente famiglia…Sei un lupo solitario, insomma. Vabbè, magari a Tokyo troverai amici e qualcosa di più anche. Hai detto che lavori anche con Shin, vedrai qualcuno ti presenterà se bazzichi sempre nel suo locale. » fece una breve pausa «Ahahah, pensa che non me lo sarei mai aspettato che uno sconosciuto mi invitasse a cenare con roba vegana.. Almeno è buona, ti sei salvato! Ahahah! Ma raccontami di te, cosa ti piace fare nella vita? I tuoi Hobbyes insomma.»
    Cercò di rigirare la domanda che lui aveva fatto a lei, mentre cercava comunque di continuare a mangiare quella pietanza così buona anche se era priva di carne o derivati.

     
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    All'arrivo della cameriera con le pietanze, Hisoka avrebbe voluto chiedere un cambio da bacchette a posate normali. Preferì mantenere i bastoncini tuttavia. Magari il suo fare goffo avrebbe suscitato un po' tenerezza alla lemure, che i suoi istinti protettivi l'avrebbero fatto sembrare più vulnerabile, e quindi più simpatico.

    Con Hayato aveva già discusso di come trovasse superflue le bacchette, non solo obsolete ma poco utili. Un refuso di una società che è rimasta tradizione come un tumore. "Una forchetta aveva dei chiari vantaggi funzionali... Le bacchette gli sembravano solo un modo per afferrare e sollevare il cibo, ma senza "abbassarsi" ad usare le dita. Qualcuno millenni fa decise fosse scortese mangiare con le mani, e si continuava a seguire quell'usanza per mera tradizione."

    Ma quella barriera culturale era l'ultimo dei suoi problemi... Amachi lo stava irritando.

    E non era un'emozione che Hisoka conosceva bene, era raro si ritrovasse a farci i conti. Preferiva tenersi di buon umore e ignorare ciò che non gli andasse a genio. Fluttuava tra il divertimento e l'indifferenza, cadendo magari sfortunatamente nella noia, ma quasi mai in reazioni attivamente negative come quelle...

    Quella ragazzina c'era riuscita.

    Mentre parlava non la interruppe, voleva star a sentire la sua follia fino alla fine, senza intromettersi. Cominciò a giochicchiare con i noodle pur di far qualcosa per trattenersi dal dire ciò che voleva senza filtri. Perché gliene avrebbe dette. Non aveva fame già prima ma adesso l'idea di mangiare lo disgustava soltanto perché sarebbe stata la stessa pietanza della Lemure.

    Quello spreco di persona.

    « Ohw, è così delicato il sapore di questo ramen! »

    Hisoka guardava nella propria ciotola sovrappensiero, tentando di mantenere una certa nota positiva nella propria voce ma ormai il sorriso si poteva a malapena chiamare tale. La maschera di "Keith" gli si stava sciogliendo addosso. E il Jester veniva portato alla luce.

    « Sono contento ti piaccia, hah... »

    O forse non proprio il Jester, dopotutto non c'era nulla di giullaresco in lui. Gli mancavano gli addobbi soliti e mancava l'energia strappatagli da quell'inquietudine che gli aveva messo amachi... Forse per quel breve momento sarebbe uscito qualcosa di diverso. Un lato che persino Hisoka raramente toccava con mano, figurarsi un'altra persona.

    « Ma raccontami di te– »

    No. Non era lui il problema quella serata. Non era lui che doveva giustificarsi.

    Voleva uscirsene di scena, e Hisoka l'avrebbe impedito.

    « Amachi... »

    Aveva abbandonato ogni pretesa di mantenere un tono cordiale o leggero. La sua espressione era di marmo. Solida e inflessibile, seria, che per Hisoka era più unico che raro. Quegli occhietti gialli che prima usava per fare il simpaticone si sarebbero fissati su di lei come le iridi d'un predatore.

    « ...Ottant'anni. È l'aspettativa di vita della donna media. Mettiamo caso te ne siano rimasti circa sessanta. »

    Il suo tono non era melodico o rilassato, bensì una singola linea sonora solida. Un monotono freddo.

    « Settecento mesi. Tremila settimane. Ventimila giorni. Cinquecentomila ore. »

    Alle sue parole seguì... Un silenzio. Uno dopo l'altro una manciata di secondi se ne andarono, con Hisoka che non faceva altro se non fissarla.

    « ...Lo senti? Tick, tick, tick. La tua vita che si consuma un attimo alla volta, mentre tu non fai nulla. I secondi appena passati non li avrai mai più indietro, Amachi. E tutti ne abbiamo un ammontare limitato. »

    Gli esseri umani – purtroppo – erano un mucchietto di carni ed agenti chimici. Non perduravano in eterno, ogni nuova vita veniva accompagnata da una data di scadenza inevitabile. Letteralmente i giorni erano contati. Per questo Hisoka tentava al più delle sue forze di godersi ogni singolo millisecondo nella maniera più divertente possibile. Il tempo era l'unica risorsa dell'universo a non essere riciclabile.

    « Quanto tempo stai buttando alla UA? Pensa ad ogni ora che hai speso in una lezione che ti ha annoiato a morte. I fine settimana che hai riempito di studio ed allenamenti. Gli anni che stai dando ad una vita che non ti rende felice. »

    Le giornate di Hisoka erano passate a cacciarsi nei guai... Ma lo rendeva felice. Era l'unica cosa al mondo a dargli quell'euforia, a dargli una raison d'être. Senza le sfide era perso. Era un guscio disabitato. Avrebbe vissuto un'esistenza grigia e senza una chiara direzione, sperando sempre in un futuro più roseo che mai sarebbe arrivato, se avesse avuto speranze in generale.

    Proprio come stava vivendo la Mutant.

    « Quand'è l'ultima volta che hai potuto dire di essere appagata dalla tua vita? Che non ti sei sentita ingabbiata dove non appartieni? »

    Per Hisoka era ogni giorno, e in particolare quando le sue avventure erano condite da individui curiosi come Aragaki, Hayato, Morrigan, Celania, Jane, Lhai, Wonderkid, Desmond... Viveva la vita un'esplosione alla volta.

    Detestava la gente "per bene" che si racchiudeva nelle proprie menzogne ed illusioni. Gli Eroi che portavano la visiera per le ipocrisie e vere ingiustizie nella società a circondarli. Gli smidollati che difendevano istintivamente lo status quo perché terrorizzati dall'ignoto. Adorava stuzzicarli e costringerli a spingersi oltre le loro catene... Per realizzare che non esistevano. Erano solo loro ad imporsele.

    E poi arrivava Amachi. La peggiore tra tutte quelle persone. La più debole, più molle, più irritante. L'ameba ch'era interamente conscia della propria posizione... E ci conviveva. Lo ignorava. Non aveva scuse per sottomettersi a quelle circostanze, reggeva la chiave alle proprie manette tra le dita e se la infilava in tasca.

    Non tollerava quegli individui. Tutto quel potenziale... Sprecato. Per questo la chiamava una persona sprecata, la Lemure. Non c'era nemmeno l'opzione di tirargli fuori quel potenziale a forza perché già sapeva esistesse. Non c'era ipocrisia o ignoranza, solo debolezza.

    « Vuoi sapere cosa faccio io? Il mio unico scopo è essere felice. E cercherò di esserlo finché avrò respiro in corpo, far altro sarebbe un terribile spreco. Stai morendo, Amachi. Come tutti... Ma non tutti la prenderebbero alla leggera come te. »

    Forse l'intera pretesa di Keith si stava andando a perdere... Ma quell'uscita non era razionale, si stava lasciando guidare da cosa gli sembrasse giusto. Chissà poi che "Keith" non potesse avere buone ragioni per quel grosso cambio d'atteggiamento... Era un problema per l'Hisoka futuro. L'Hisoka presente voleva soltanto sgridarla.

    « E la cosa più fastidiosa è che per te non ci sono dubbi. Sai esattamente cosa preferiresti fare ma continui a stagnare in quello stabilimento da quattro soldi. Fossi in te abbandonerei l'UA stanotte e mi fionderei a fare musica. È quello che ti rende davvero soddisfatta, no? »

    A quel punto il suo tono era un po' più intenso. Però non aveva alzato la voce, nè si era troppo scomposto. Non era il tizio da creare scenate pubbliche. Inoltre il suo scopo non era umiliare la ragazzina... Non sapeva bene quale fosse il suo scopo. Magari soltanto sfogarsi perché i suoi discorsi l'avevano beccato in una giornata storta, essendosi perso l'incontro con Shin.

    « Non hai scuse per non farlo, a parte le bugie che ti racconti per rimanere nella sicurezza dello scontento, piuttosto che affrontare l'incertezza del benestare potenziale. Potresti non esserne all'altezza? Molto più facile migliorare fino ad esserlo, invece che sperare che dal nulla ti cominci a piacere l'Eroismo. Potresti cambiare idea? Nulla ti vieta di tornare sui tuoi passi più avanti. Ti vergogni? Fossi in te mi vergognerei adesso. »

    Ancora non aveva manco toccato la sua ciotola. In tutto quello sproloquio probabilmente si stava anche a raffreddare... Come i suoi bollori, ora che si era tolto un peso dal petto. Tornò a sorridere, e abbassò lo sguardo sul cibo.

    « Oppure c'è l'alternativa... Aspettare i trent'anni e realizzare con orrore d'essersi bruciati. Ma è la tua vita, lascio a te la scelta. »

    Si prese un "sorso" di Ramen... Erano buoni.
     
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    Lei mangiava e si godeva quel ramen che, anche in assenza di carne e derivati degli animali, era davvero saporito. Aveva fatto centro ed aveva avuto buon occhio nel scorgere sul menù quella pietanza così semplice ma così ben cucinata, opera di un cuoco che aveva passione per il suo lavoro.
    Amachi prese un altro boccone di spaghetti che risucchiò nella bocca, andando così a gonfiare le guanciotte e masticando con gusto per poter rendere poltiglia quel che aveva nella cavità orale. Proprio in quel momento sentì la voce di Hisoka, anzi Keith, che le fece drizzare di qualche grado le orecchie, mentre le sopracciglia si sollevarono in due perfette arcate e con curiosità fisso l’altro. L’aveva chiamata per nome, era normale che la mutant reagisse così, infatti in quel muto gesto stava chiedendo palesemente che cosa voleva da lei.
    Al suo primo commento, sull’aspettativa di vita di una donna e di quanti anni a lei erano rimasti, andò a mutare la faccia in un’espressione si interrogativa, ma anche abbastanza confusa “Eh? Ma che sta dicendo..” commentò nella sua testa, mentre le palpebre batterono un paio di volte. Gli occhi gialli e neri erano fissi in quelli dell’altro, mentre inghiottì il boccone che aveva ben masticato fino a pochissimi attimi prima.
    Non comprendeva bene quel discorso, anche il fatto che l’altro aveva suddiviso gli anni in mesi, settimane, giorni ed ore… Non era normale. Il suo viso incominciò a mutare ancora e l’espressione si fece più seria, anche se c’era sempre quella nota di curiosità che la faceva rimanere sull’attenti. Come un cazzotto nello stomaco, Hisoka aveva incominciato a dire la sua sulla povera Amachi, distruggendola pezzo, dopo pezzo e facendole sentire nel suo corpo come se questo -all’intero- si sgretolasse ad ogni pugnalata che l’altro le stava tirando. Le orecchie si iniziarono ad abbassare, mentre la coda smise di muoversi e lentamente si accasciò a terra, adagiandosi in parte sul pavimento lucido dietro di lei. La mano destra stringeva le bacchette che erano appoggiate sul bordo della ciotola di ceramica. Non diceva nulla, non lo interrompeva, ma assimilava quelle parole che la stavano facendo iniziare ad arrabbiarsi. I lineamenti affilati e duri del suo volto dsi fecero più accentuati, segno che stava digrignando i denti, anche se non era visibile perché aveva le labbra nere sigillate.
    Sembravano infiniti quei momenti in cui l’altro aveva preso possesso del palcoscenico. Era una di quelle recite che ti faceva star male, angosciare, non perché facesse schifo lo spettacolo, bensì perché faceva aprire gli occhi a chi stava assistendo lo spettacolo, faceva ragionare su quell’argomento che aveva messo in ballo, in tal caso l’arrivo della morte. Sprecare la vita a fare cosa? L’eroe? La musicista? Il criminale? Non lo sapeva Amachi, ma lei sapeva bene perché era dentro quelle quattro mura dell’istituto UA, sapeva come mai doveva finire gli studi lì.. Perché era la marionetta della sua famiglia e doveva rispettare le loro decisioni che avevano preso per lei, così da evitare le ripercussioni, ricatti e spregi che i suoi potevano fargli. Sbuffò un paio di volte dal naso, fin quando con un colpo secco -per colpa della forza che aveva impresso nello stringere le bacchette di legno- le sue posate su spezzarono e contemporaneamente la mano sinistra si strinse in un pugno e con violenza si schiantò sulla tavola vicino ai bicchieri, facendo tremare le stoviglie in tavola. Un colpo secco, un rumore di cocci che si smuovevano e per un istante la gente in sala guardò proprio loro due seduti a quel tavolinetto stretto e quadrato.
    Il respiro era più appesantito, mentre gli occhi erano sbarrati e fissati proprio in quelli del clown. Era palesemente arrabbiata e la sua voce, mormorata, era fredda e tagliente:
    «Zitto. Devi stare Zitto!» piccola pausa «Tu non mi conosci e non puoi sputare sentenze sulla mia vita, su quel che mi rimane da fare e su cosa dovrei diventare da adulta..»
    Perché adesso era una bambina…Certo, certo.
    «…Non mi conosci, non sai come mai sto facendo questo percorso, non sai un emerito caz*o e non puoi assolutamente permetterti di dire queste cose. Sei un maleducato! Ecco cosa sei. Se io volessi vivere per sessant’anni su un divano a mangiare merd*, mentre guardo la Televisione, a te non te ne deve fregare proprio nulla! Se volessi diventare cantante, eroina, criminale, questo non te ne deve fregare assolutamente.»
    E le bacchette rotte le buttò con poca grazia sul tavolo, tra i loro bicchieri, mentre digrignò i denti e li mostrò in segno di nervosismo e disgusto. Poggiò le mani sui bordi del tavolo e cercò di spingere per distendere le braccia, così da distanziarsi dal tavolo con la sedia e corpo. Non aveva più fame, le si era chiuso lo stomaco dal nervoso che le aveva causato quell’uomo che aveva conosciuto da neanche due ore…?
    Improvvisamente sollevò l’orecchio pelliccioso destro, gli occhi si alzarono per un momento verso l’alto come se cercasse di guardare qualcosa che stava lassù:
    «Oh..Lo senti?»
    E recitò lei ora, mostrò infatti una faccia incuriosità e sfarfallò le ciglia con fare quasi tenero, come una cerbiatta innocente
    «Tik, Tok, Tik, Tok…» Si alzò in piedi ed allungò la mano destra a mostrare l’unico dito che era rimasto dritto, il medio «…E’ l’ora di mandarti a fanc*lo, Keith. Ciao e paga tu il conto…»
    E così dicendo, senza neanche attendere che l’altro replicasse, cercò di recuperare le sue cose per rimettersele addosso, mentre la coda si alzò per ondeggiare sinuosamente nell’aria alle sue spalle, anche se certe volte frustava con rabbia quello spazio vuoto, era ancora innervosita da quel tipo. Cercò così di andare a recarsi fuori dal locale, era palese che non voleva stare più lì e soprattutto non in presenza di Hisoka.

     
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    Incredibile. Incredibile. I livelli che raggiungevano gli esseri umani pur d'ignorare l'evidenza e continuare a mentirsi. A Hisoka s'aprì persino un sorriso, seppur fosse un sorriso snervato invece che divertito. Così come la rabbia di Amachi non era ciò che sembrava. Quella frustrazione le veniva dall'interno, era un riflesso dell'essere messi faccia a faccia con tutti i propri errori, e pur di non dirigere quella furia verso di se la lanciava contro il Jester. O almeno, questo era ciò di cui Hisoka era convinto.

    « Are you actually fucking kidding me! »

    Ora avevano entrambi alzato la voce, e gli occhi dell'intera clientela e lo staff sembravano incollati sui due. Forse sembrava una lite di coppia? Si aspettavano uno dei due partisse in un ceffone da un momento all'altro? E a dire il vero Amachi lo stava tentando… Cos'erano tutti quegliimpulsi? Rabbia, fastidio, violenza… Perché si stava facendo trasportare da una ragazza come quella?

    Abbandonò a sua volta il tavolo e si mise davanti alla Lemure, sbarrandole la strada per l'uscita, tornando a fissarla dall'alto verso il basso puntandole contro un indice accusatorio.

    « Sputare sentenze?! Ti sto dicendo la realtà dei fatti, maledizione! Dovresti prendere i miei consigli come Vangelo! »

    In tutta onestà non s'aspettava una reazione così esplosiva da quella ragazzina timida e gracile. Riconosceva un tasto dolente quando veniva pigiato. Come poteva Amachi dirgli con una faccia seria di non saper nulla di lei, quando lei stessa si stava lamentando dei suoi problemi solo due secondi prima. É facilissimo lamentarsi, sanno farlo tutti. Ci si lamenta delle proprie circostanze, delle proprie cattive abitudini, perché ti fa sentire in pace con te stesso per un breve periodo. Perché spendere forze ed energie a cambiare le cose, quando puoi lamentartene e fingere siano immutabili?

    « Se tu volessi spendere lavita sul divano non ti avrei detto nulla! Perché sarebbe spendere la vita come vuoi! Ma cosa dovrei dirti quando il tuo sogno è stare sul divano, e invece continui ad uscire di casa per correre?! What the fuck. »

    Chissà come sembravano quei due agli spettatori. Un tizio occidentale benvestito che discuteva con una mutant adolescente, sbraitando sul senso della vita. E non avevano manco bevuto…

    Hisoka fece un passo ulteriore verso la Lemure, per avvicinarsi ulteriormente, coprendola con la sua ombra. Abbassando la voce in un tono gelido ma più calmo. Se volevi convincere qualcuno gridare non era molto efficace… Si era lasciato prendere dalla foga del momento.

    « Essere maleducato significa che ho torto? Se vuoi fare l'Eroe fai l'Eroe. Se vuoi fare la musicista fai la musicista. Se non vuoi far nulla vai in un buco a morire. Basta che la smetti di fare l'opposto di ciò che vorresti, perché non c'è cosa più triste in questo mondo del potenziale sprecato. »
     
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    Voleva uscire da quella stanza, aveva troppi occhi puntati addosso e quell’individuo che si faceva chiamare Keith la stava facendo mettere in imbarazzo. Perché cosa avrebbe pensato la gente in quel momento? Che fossero due fidanzati alle prese con un litigio? Oppure una scenata ridicola su un discorso dalla dubbia importanza? Amachi non riusciva a capire come mai quell’uomo aveva preso così a cuore quel discorso..Anzi, più che a cuore si era inca*zato con la lemure per come lei aveva risposto.
    Lei cercò di andarsene via dal locale e lasciò malamente l’uomo alle prese col conto da pagare e il resto della gente, ma proprio mentre si stava avviando verso l’uscita, la sua figura alta ed imponente (per lei lo è dato che è minuta) creava quella sorta di barriera che bloccava la mutant sul posto. Lei sollevò di qualche grado la testa e fissò con i suoi occhi neri e gialli l’uomo. Aveva un’espressione contrariata Amachi ed arricciava il naso, mostrandosi disgustata da lui. Le mani si strinsero a pugno per una manciata di secondi, mentre la coda ondeggiava frenetica dietro di lei, come se stesse frustando l’aria.
    Le parole che l’altro stava dicendo erano dure, infatti la ragazza sentì l’anima venir trafitta da delle pugnalate. Ogni parola, ogni rimprovero era per lei un duro colpo che stava incassando, ma non riusciva più a starsene zitta in un angolo. Lo fece per troppo tempo con i genitori adottivi, con gli ex compagni di scuola che la bullizzavano e trattavano come un animaletto e non una persona. Il labbro superiore si sollevò dall’arcata dentale, infatti digrignò i denti ed i lineamenti del viso si fecero più duri ed i muscoli facciali erano in tensione. L’ombra di Hisoka la inghiottì, lei sentiva quella pressione che la stava schiacciando, quella sensazione invisibile che la faceva sentire come sott’acqua e con l’ossigeno che stava finendo. Gli occhi si infiammarono di rabbia, fin quando ad un certo punto, vedendosi puntare il dito addosso, lei decise di reagire, forse presa da un raptus di rabbia improvviso. Scoppiò la bomba, infatti le mani scattarono in avanti e senza grazia cercò di aggrapparsi al suo indumento che lo copriva sul busto -all’altezza del petto- mentre con il corpo cercò di avanzare e quindi spingere il tizio fuori dal locale. Cercò con decisione e forza, imprimendo tutta quella che aveva accumulato, di farlo uscire di prepotenza e farlo indietreggiare fino al centro del marciapiede, così da spingerlo via e cercare di riacquisire qualche scarso metro di distanza. Gli occhi erano lucidi, ma non stava piangendo, bensì erano colmi di rabbia e frustrazione. Non voleva raccontare i fatti suoi del come mai stava “sprecando” la sua vita nella UA, si era rotta le scatole di andare a raccontare la sua storia da quattro soldi dove c’erano i suoi genitori disegnati come due mostri -ed in effetti lo sono.
    Il fiato era leggermente più appesantito e se fosse riuscita a portare fuori Hisoka, avrebbe cominciato lei a parlare con un tono aspro e rabbioso, pieno di odio e disprezzo che si riversava sulla figura del falso amico di Shinjiro:
    «Tu non puoi venirmi a dire quello che dovrei o non dovrei fare! Non sai un bel nulla di me e non sai come mai sono là dentro a quella scuola. Non sei il messia di un bel niente!! Non puoi giudicare una persona dopo neanche due ore che la conosci! Non te lo hanno mai insegnato? Ci possono essere mille cose dietro a questi percorsi di vita che la gente prende e fa, non siamo tutti come te che possono seguire questa filosofia di vita e li rende così libertini e spensierati. La vita non può essere sempre rose e fiori, ci sono anche le spine che spesso ci pungono ma fanno crescere e trovare la forza di andare avanti. Beh, io sono quella persona che non può al momento fare come vuole! Tu sei bravo e buffo a parlare e sputare cazz*ate in mia presenza, te ne stai approfittando perché sono una ragazza giovane e tu invece sembri il veterano della vita.. Amico, svegliati! Non sei un ca*zo di nessuno. Sei come tutti, uno stron*o che vive e respira in questa città, una formichina in un’enorme formicaio che cerca di tirare l’acqua al suo mulino per poter campare qualche tempo in più in modo modesto e senza troppe beghe a rompere la quotidianità della vita.»
    La mano destra passò brevemente dietro l’orecchio del medesimo lato per cercare di grattare tra l’attaccatura d questo ed i capelli. Il nervoso la stava facendo logorare dentro, odiava essere così incavolata, soprattutto per questioni personali:
    «Se tu sei così fortunato da vivere alla giornata come preferisci, Bravo, fallo! Ma non venire a fare il salvatore del popolo dicendo queste stron*ate alle prime persone che incontri.»
    Scrolla la testa e la coda fendette l’aria con forza, infatti creò un forte fruscio che interruppe quel breve silenzio che era calato tra loro. Il cuore della mutant batteva forte, mentre il fiato era corto e gli occhi erano sbarrati ed infiammati di pura ira che si stava alimentando in lei per colpa delle parole di quel clown senza trucco:
    «Ora capisco perché sei una persona sola e senza amicizie e famiglia…. Fanc*lo!»
    Ora fu lei a sputar sentenze, lanciando quell’offesa all’altro per ripagare del torto subito. Si, era un po’ un gesto infantile, ma a lei non glie ne importava più nulla.
    Sollevò la mano destra e lasciò solo il medio sollevato e mettendolo in mostra davanti a lui. A quel punto, cercò di indietreggiare di qualche metro, per distanziarsi, per poi cercare di voltarsi e dirigersi verso il locale di Shinjiro, anche se era chiuso…



    Sorry per il ritardo! E' un periodo barbino e purtroppo mi stanno massacrando a lavoro.
     
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    Quella Mutant era una Lemure o un Toro? Si scagliò verso il Jester con la forza di un tir, anche se non ci voleva molto a smuovere una figura esile e deboluccia come quella del Mago. Chi l'avrebbe detto che una ragazzina così bassa e a sua volta mingherlina avrebbe nascosto quella potenza esplosiva.

    La stessa che s'era fatta piccina e tremolante soltanto al suo "Ciao" di prima adesso lo aveva fatto volar via con uno spintone per aver osato fare un passo avanti... Dov'era tutta quella grinta due minuti prima? Se avesse avuto quella determinazione anche per la sua vita di tutti i giorni, la discussione sull'inerzia non sarebbe mai nemmeno scaturita.

    Sotto la pressione dell'Aspirante Eroina, Hisoka non poteva far altro se non indietreggiare, facendosi trasportare volente o nolente da tutta la sua ira. Aprì le porte del locale sbattendoci la schiena per poi essere scaraventato con prepotenza al cemento del marciapiede.

    La ragazza cominciò ad investirlo d'un fiume d'insulti, espliciti o non. Lui l'ascoltava ma non la guardava in volto, si studiava la sbucciatura sanguinante sulla mano, che s'era fatto atterrando... In quel momento sentiva che se l'avesse vista in faccia, avrebbe perso controllo di se.

    Già quelle parole lo irritavano in una maniera che non comprendeva appieno. Sapere che negli occhi tratteneva un'espressione arrabbiata quando Hisoka le stava offrendo saggezza gratuitamente... Era un fastidio indescrivibile.

    Perché si stava anche solo sprecando nel tentativo d'aiutare quella stupida bambina? Davvero lo stava triggerando vedere quel potenziale buttato? Forse era il fatto che fosse un'amica di Aragaki? Insomma, l'amico del mio amico è mio amico.

    Sempre se Aragaki si potesse nominare così. Magari più discepolo. E se Amachi era sua discepola indiretta per la proprietà transitiva, non voleva sapere ci fosse qualcuno di così ottuso al fianco del cuoco. Era una brutta influenza.

    Ormai non sapeva più manco cosa dire... Quella tizia era un muro. Le potevi dare le migliori ragioni del mondo e le avrebbe ignorate completamente. La questione si apriva e chiudeva a "DON'T TELL ME WHAT TO DO, MOM!" Quanta importanza potevano avere le ragioni che la costringevano a viversi una vita che non la appagava? Cos'altro poteva mai essere più importante della propria felicità?

    Doveva esser lì che divergevano le loro opinioni... Amachi era così smidollata e disperata da porre più importanza all'esterno piuttosto che l'interno. Non c'era motivo superiore in priorità al vivere una bella vita, non c'era persona più preziosa di se. Pensarla diversamente ti portava soltanto a sprecare l'unica esistenza che ti era data.

    Tutte le parole poetiche sulle rose e le spine non facevano altro che coprire una verità che non si era abbastanza forti da gestire. Una volta che realizzavi la futilità di ogni cosa al di fuori dell'Io... Tutto attorno a te diveniva fragile. E Hisoka amava quella prospettiva del mondo. Ma purtroppo molti preferivano esser parte della fragilità piuttosto che fare da martello.

    « Ora capisco perché sei una persona sola. »

    Lo abbandonò con questa frase, e un gesto poco educato... Ridicolo. Che discorsi ridicoli. Quella ragazza era ridicola. Hisoka? Solo? Per essere soli bisognerebbe avere un desiderio incorrisposto di compagnia. E l'unica compagnia di cui lui aveva bisogno era di chi poteva offrirgli una sfida valida. Perché era quello a renderlo felice, così come per Amachi quella valvola era la musica.

    Ma al contrario di lei, Hisoka non aveva paura di ammettere i propri desideri e inseguirli, anche se fosse stato inconveniente per qualcun altro. Traumatizzare una studentessa? Rendere la vita di un cuoco un inferno? Uccidere? Quanto valore potevano avere quelle vite in confronto alla sua? Se erano tutti moscerini sullo sconfinato parabrezza dell'universo, l'unica cosa che poteva fare era tentare di godersi la sua permanenza finché poteva. Nessuno l'avrebbe ringraziato per essere una "brava persona". Sarebbe morto colmo di rimpianti e scontento come tutti gli altri miserabili individui di quel pianeta.

    Gli facevano tutti schifo.

    Si alzò da terra, ancora giochicchiando con la sbucciatura al palmo, ma senza curarsi troppo della camicia e i pantaloni che erano finiti abbastanza stropicciati, oltre che sporchi di grigio. Doveva calmarsi... Quella ragazzina non ne valeva la pena. Aveva torto – torto marcio – e manco lo realizzava.

    « Mi scusi... Il conto ch– »

    Hisoka a malapena registrò chi gli fosse venuto a parlare o cosa gli volesse dire. Se un attimo prima pensava di essere sull'orlo del calmarsi, quella voce indesiderata gli portò fuori tutta la frustrazione che tentava di reprimere.

    « SHUT THE FUCK UP »

    Gridò, forse più forte di quanto avesse mai gridato in vita sua, gettando il palmo aperto sul petto della gentile cameriera. La butto a terra con una violenza fisica che nemmeno sapeva di possedere... Non si era fatta male, ma lo guardava mortificata. E così anche i clienti che si erano sporti per fissarlo attraverso le finestre trasparenti.

    « Quindi?! Cosa guardate?! Farvi un po' i CAZZI vostri?! »

    Sembrava un animale randagio messo al muro dal modo in cui stava sbraitando. In testa si sentiva quasi calmo, o almeno abbastanza razionale da sapere di star agendo irrazionalmente... Ma non riusciva a riprendere le redini di se. Perché quelle emozioni non facevano altro che crescere, anche con tutti i suoi tentativi di ridurli? Davvero, perché.

    Se c'era una cosa a definire il giullare era la sua mancanza d'emozioni, e quelle poche che aveva faceva sì fossero solo quelle buone. Evitava di farsi toccare troppo dagli avvenimenti spiacevoli. Farsi trasportare dalla negatività peggiorava solo le cose. Voleva spender la vita ad essere felice, non triste, o arrabbiato, o in rimorso. Ciò che non era utile era un peso. Quella frustrazione gli stava decisamente pesando.

    Eppure non se ne andava. Gli rimaneva addosso come catrame alle piume di un uccello che desiderava volare libero. Ed era tutta colpa di quella ragazzina. Aveva cominciato ad allontanarsi come fosse troppo importante per spendere tempo con lui, ma ancora la vedeva. Senza manco pensare cominciò una marcia sostenuta letteralmente inseguendola alle spalle.

    Voleva farla esplodere. Doveva farla esplodere. Non sapeva il motivo che l'avesse portato ad essere così... Instabile. Ma sapeva fosse stata lei a gettarlo in quelle condizioni. L'avrebbe fatta saltare in aria, le avrebbe spezzato le ossa una ad una, le avrebbe liquefatto gli intestini, fino a che non avrebbe ammesso la sua debolezza.

    Dannazione. Quei pensieri erano un altro sintomo di quello stato innaturale. Da quando aveva impulsi così violenti? Che cosa avrebbe compiuto quella violenza di vantaggioso? Nulla, ma diamine se non l'avrebbe fatto stare meglio. Era così che si sentiva la gente normale quando faceva decisioni stupide? Sai che non dovresti... Ma lo vuoi fare lo stesso.

    Ormai si stava avvicinando alla schiena della Lemure, soltanto un'altra dozzina di metri e avrebbe potuto scatenarle addosso l'inferno. Si sarebbe visto quanto l'avrebbero aiutata i suoi anni buttati via a far l'Eroina. Magari avrebbe finalmente capito quanto fosse inutile rimanere lì, se anche sotto attacco da un Villain le avesse prese e basta.

    « Sei una persona sola. »

    Che cosa voleva da lui? Voleva che fosse uno come lei? Come poteva essere solo quando aveva Aragaki, Celania, Hayato, Morrigan, Wonderkid. Era circondato da persone interessanti con cui divertirsi. Solo perché non s'immergeva nel loro inutile ideale di una relazione voleva dire fosse solo?

    Cos'avrebbe dovuto fare? Invitare Aragaki a cena e discutere del più e del meno? Commentare il meteo e farsi un resoconto della settimana? Riempire i silenzi scomodi con parole a caso soltanto per far risuonare qualcosa nell'aria? Era quella la loro idea di non essere soli? Spendere ore ed ore in attività banali e noiose, creare in altri aspettative che poi ci si doveva preoccupare di non deludere?

    Che stupidità.

    ...

    ...

    Cos'era quella sensazione? Ancora quella familiarità senza origine... Un ricordo effimero, nascosto da qualche parte nel retro della sua psiche. Cosa diamine era? Già una volta gli era salito quello strano riconoscimento, al tavolo con Hayato, quando gli cucinò tre portate come test preliminare per la "Missione del Kagejikan"... Quella sera purtroppo la radice gli sfuggì, e non riuscì più a portarsi nella condizione di riottenere quella memoria perduta.

    Ma ora la risentiva... Ed era più nitida.

    Aragaki a cena... Non era già successo? No, si erano incontrati faccia a faccia soltanto una volta... Eppure aveva la stranissima sensazione di familiarità se pensava con sarcasmo e disprezzo a quello scenario. Se l'era dipinto in mente con ironia... Ma il dipinto gli era rimasto, e pareva più vivo che mai.

    « Cosa c'è oltre la porta? »

    Quale porta? Perché gli rimbombava in testa quella frase. E il viso di Aragaki... A cosa stava andando a pensare? Cos'avevano fantasie del genere a che fare con qualsiasi cosa?

    « Sembra una figura parecchio triste. »

    Era la voce dello chef questa? Di Shin? Perché dovrebbe aver detto una frase del genere, e rivolta a chi?

    Sembrava stesse collezionando da terra i frammenti di un vaso rotto, e cercava disperatamente di ordinare i pezzi per rimetterlo in saldo... Ma al contempo qualcos'altro gli diceva di non sistemarlo. Lasciare quella memoria disfatta. Ch'era disfatta per un motivo.

    Non ci capiva più nulla.

    Una cosa di cui aveva certezza – forse l'unica al momento – era che non sentisse più in corpo la stessa frustrazione di prima. Non era sparita, era stata sostituita. Mutata come una luce che cambiava colore. Quel che aveva in corpo ora... Non lo riconosceva. La sua conoscenza delle emozioni in prima persona era parecchio carente. Cos'era quello stato d'animo?

    Era passato dal Rosso al Blu... Anche se in qualche modo sentiva che in realtà il colore in se non fosse cambiato, ma i suoi occhi. Per quello odiava le emozioni, maledizione. Erano così irrazionali. Come si faceva a decifrarle?

    Rallentò il passo, calmò il respiro. Guardò Amachi continuare per la sua strada. Ancora era convinto stesse commettendo un errore madornale. Eppure non aveva più quella voglia di spezzarle le tibie...

    « Amachi! »

    L'avrebbe chiamata da dietro. A voce abbastanza alta da prenderne l'attenzione, ma non più un grido aspro.

    « ...Chiama Castiel. Fai un provino. »

    Si chiedeva che espressione avesse in volto. Sentiva le sopracciglia leggermente abbassate e il labbro all'ingiù, ma anche i suoi occhi risultavano spenti come temeva? L'altra avrebbe percepito il suo stato d'animo alterato, da quelle poche parole.

    Poco importava. Aveva detto quel che doveva dire... Perché dirle proprio quello? Perché dirle qualcosa in generale? ...Bella domanda. Una domanda a cui Hisoka era forse il meno qualificato per rispondere. Si limitò a girarsi, mettersi le mani nelle tasche, e lasciarsi Amachi alle spalle...

    Aveva sonno. Voleva tornare a casa e gettarsi a letto. Dar da mangiare ai gatti e averceli attorno alla testa mentre cercava di prendere sonno. Sentire tutte quelle sensazioni inusuali tutte in una volta, una dopo l'altra, l'aveva letteralmente scaricato. Era rimasto meno sfinito dopo il duello contro Fuyuko.

    Si chiedeva se quella "conversazione" avrebbe sortito qualsiasi effetto su Amachi... E se si sarebbe ricordato lui stesso di tutte quelle esperienze interiori al mattino. Sperava di no, domani lavorava. Non voleva spendere la giornata sovrappensiero. Bastava una distrazione a farsi licenziare, sotto Jane.
     
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    Aveva il cuore che le batteva a mille.. Non credeva che al mondo c’era gente capace di fare certe uscite sulla vita delle persone, non conoscendo neanche un briciolo della storia o esperienze vissute dall’individuo stesso. Sbuffò dalle narici nel naso, mentre ficcò nelle tasche della felpina leggera gialla le sue mani nere. Aveva un senso di ansia e nervoso allo stesso tempo, perché quel tizio era comunque amico di Shinjiro e poteva riversare su di lui delle piccole vendette per colpa di questa serata, per colpa di Amachi! Gli occhi della mutant erano puntati avanti a se, anche se in realtà era per lo più concentrata sul rimanere calma e trattenere in se quel senso di nervoso ed angoscia che la stavano pian, piano schiacciando. Sentiva il petto che era più pesante e respirare era diventato quasi faticoso.
    Chi era quel Keith? Come poteva sputare quelle accuse sulla sua scelta di vita? “Scelta…Non ho scelto io questo percorso. L’hanno scelto loro per me!” parlò a nella sua mente, incominciò infatti a ragionare e cercare di sbollire in qualche maniera. La meglio sarebbe stato pensare a tutt’altro, magari infilarsi nel primo taxi disponibile e sfrecciare verso casa, così da fare una bella doccia e non pensarci più a queste scaramucce da bar… Ma non era possibile. Amachi continuò a camminare ed anche se l’aria era leggermente calda ed umida, lei ci stava bene. Arricciò un momento il nasino nero, per poi volgere la sua attenzione verso una vetrina di un negozio d’abbigliamento e fissò i vari manichini esposti. Questi avevano diversi vestiti, ma un manichino in particolare catturò la sua attenzione. La figura inanimata era posta in piedi, con un braccio flesso, il sinistro, con la mano sul fianco. Sul suo corpo di plastica era stato messo un tipico abito giapponese, uno di quelli che veniva usato per andare a fare la grande festa estiva che si teneva ogni anno lì in città. Lei non c’era mai stata, ma era attratta da queste feste, le piaceva provare i cibi strani che vendevano ai banchi, fare i giochini, passeggiare tra una bancarella e l’altra e staccare così la spina per non pensare ai propri problemi. Anche se era una tipa asociale, quel tipo di festicciole le piacevano. Guardava il kimono, ma si fermò per poco davanti a quel negozio, infatti ben presto riprese il passo per andare verso casa. Era riuscita a perdere l’attenzione su Keith, che intanto la stava seguendo, ma i pensieri involontariamente tornavano su quello strano tipo che aveva spintonato fuori dal ristorante vegano “Che pall*. E se me lo ritrovassi anche un’altra volta in giro? Ma chi caz*o è poi lui per dirmi quelle cose!? Lui non sa un accidente di me! Facile tirare pregiudizi e puntare il dito quando non si sa l’altro individuo cos’ha passato nella sua fottut* vita! Se anche lui avesse avuto i miei stessi genitori, avrebbe abbassato subito la cresta! Cogl*one di un uomo. Come ca*zo fa Shinjiro ad averlo come amico!? Che poi anche questa storia un po’ mi puzza. Dovrò domandarglielo poi…Gli scriverò un messaggio appena sarò a casa.” Diceva a se stessa, mentre le mani nelle tasche erano rimaste ben strette in due pugni, tant’è che sentiva un leggero fastidio sui palmi che venivano pressati dalle unghie delle dita. La coda ondeggiava frenetica alle sue spalle, mentre procedeva a passo spedito verso la zona di casa sua, o meglio, dove avrebbe trovato un mezzo pubblico che la conducesse fino a là! Sbuffò nuovamente e nella sua testa si insinuò quella parte stron*a che si era annidata nella sua coscienza: la sua negatività. La vocina era quella di Amachi, o simile, ma aveva quel tono di chi se la stava spassando ad assistere ad una scena di suo gradimento “Patetica, meravigliosamente patetica. Ti sei fatta prendere in giro da uno sconosciuto. Sei il top! Grande Amachi!” E la lemure abbassò lo sguardo per un momento, mentre incominciò a mordicchiare il labbro inferiore con il canino pronunciato sinistro dell’arcata superiore. Scrollò le spalle, sembrava voler scacciare di dosso quei brividi e sensazioni negative che si stavano insinuando in lei per colpa di quella vocetta “Visto? Anche gli sconosciuti ti disprezzano. Mi domando ancora come mai sei qui in questo mondo…” la mutant rabbrividì e rispose alla coscienza sempre nella sua testa “Stai zitta, stai zitta, stai zitta..” e da ultimo lo disse davvero, con la sua voce, urlò in mezzo al marciapiede, mentre le mani scattarono fuori dalle tasche e si andarono ad aggrappare ai capelli neri ed ispidi:
    «STAI ZITTA!»
    E in quel momento, non aveva proprio calcolato Keith che era alle sue spalle, a qualche metro di distanza. Le sue parole furono offuscate da quelle della coscienza e sembrò che lei stesse urlando a lui di tacere, anche se stonava quel Femminile, invece di utilizzare il Maschile. Amachi per un momento si fermò nella sua camminata, mentre le mani le tremavano tra i capelli e gli occhi erano sbarrati a fissare avanti a se. Aveva il respiro un pochino appesantito e sentiva le gambe pesanti, sembrava fosse un grande sforzo muoverle. Passarono una manciata di secondi, forse un minuto al massimo, quando Amachi staccò le mani dalla proprai testa e lentamente le abbassò per guardare i palmi ruvidi e c’erano ancora i segnetti delle unghie che avevano premuto forte sulla pelle. Il clown senza trucco se ne andò e la studentessa neanche se ne rese conto. La gente la fissava, bisbigliava tra di loro tirando qualche ipotesi sul come mai la giovane aveva reagito così.
    Proprio in quel momento Amachi si sentì a disagio, molto più di prima, infatti bastò incrociare qualche occhiata di quella gente per farla trasalire. Scattò di colpo e cercò di correre via, lontana da quella folla che camminava sul marciapiede, lontana da Keith ed il locale di Shinjiro…Voleva scappare e sparire, si sentiva sempre in difetto, diversa…L’unica soluzione che aveva trovato per essere salva era la sua tana, quel buco di appartamento che aveva vicino alla scuola…Lì si sarebbe sentita al sicuro dal mondo, sola..

     
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    Tutto ok!

    Hisoka: +50 exp +25 exp
    Amachi: +50 exp +25 exp

    Passo e chiudo! :**:
     
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