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.Sumire MurakamiSi stava concentrando su se stessa, su dove lei metteva i piedi dato che non voleva rischiare di rotolar giù dallo scoglio e finire in acqua dopo che lo aveva preso in giro, facendo una figuraccia. Non teneva nemmeno particolarmente a fare il bagno alle dieci di sera e rovinare il suo bellissimo yukata, e i suoi capelli con l'acqua salata. Le piaceva il mare —di mattina, sotto all'ombrellone a leggere un libro— ma non le attività a cui era collegato, come prendere il sole o entrarci per poi uscire con la sabbia che si appiccicava alla pelle e il sapore di sale sulle labbra.
Ma tu sei sobrio. disse ridacchiando. La sua risposta non aveva senso, ma stavano parlando di maestri panda e Gin che non riusciva a stare in piedi su uno scoglio e non doveva averlo per forza, l'importante era fargli notare quanto fosse ridicolo.
Ovviamente il tatuato non perse l'occasione di farle notare quanto il suo viso fosse diventato rosso, lei aveva solo sentito il calore sulle guance e lo aveva immaginato, sperando che nascosta dall'illuminazione soffusa non si sarebbe notato, ma i capelli bianchi non aiutavano a nascondere la colorazione del suo viso, se non a risaltarla. Gin però le fornì un'utile scusa, che lei avrebbe sfruttato. Sì, sono davvero caldi. , non era così innocente da pensare che lui ci credesse davvero, conoscendolo, doveva sapere che la fonte del suo arrossire non erano stati i soba, era solo il suo sistema di autodifesa che si attivava automaticamente nei momenti di imbarazzo. Sorprendetemene, Sumire non ci avrebbe scommesso un soldo, i soba erano davvero ancora caldi, ma non abbastanza da scottare lei.
Riprese a mangiare, picchiettando ritmicamente le dita sul contenitore di cartone col nervosismo di chi sente d'essersi esposto troppo; adorava stare con Gin, ovunque si trovassero, ma portarlo nella sua città era un'altro discorso. Avrebbe amato perdersi tra le vie di Kyoto, passeggiare per il Sentiero del filosofo tra il canale e i fiori di ciliegio, oppure restare semplicemente a casa a non fare niente; lo avrebbe integrato completamente alla sua vita.
La percezione di lei era stata che Gin e Sumire, la loro relazione, esistesse solo nei momenti in cui stavano assieme. Per molti mesi nessuno aveva saputo del loro rapporto, o almeno da parte d'ella che lo aveva tenuto nascosto, ed avevano vissuto la loro vita separatamente. Ora lei voleva infrangere quella barriera, che lui fosse sempre il suo ragazzo, anche quando stavano separati.
Mentre i primi fuochi colorati brillavano sul cielo scuro il suo sguardo cadde di nuovo sul corvino quando questi si spostò dietro di lei, circondandola in un abbraccio. All'inizio Sumire non era la persona più effusiva del mondo, anche in privato faceva fatica ad accettare una carezza senza sentirsi a disagio, per non parlare degli abbracci che generalmente odiava e la facevano sentire intrappolata. Non era abituata a tutte quelle attenzioni che l'avevano travolta nel giro di pochi mesi, Gin era quel tipo che cercava sempre la sua mano o un modo per starle vicino, ed alla fine lei ci aveva fatto l'abitudine, iniziando ad apprezzare la sua dolcezza. Le dita di lei erano accorse al suo braccio d'inchiostro, percorrendolo fino ad accarezzargli delicatamente il dorso della mano, e ora che sentiva il suo respiro solleticarle il collo era tornata ad osservare lo spettacolo in cielo. Le luci si intrecciavano in semplici disegni simili a fiori che sbocciavano, dipingendo il cielo di vari colori e illuminando il mare che rifletteva esattamente ciò che in sopra di lui accadeva. Per qualche ragione Sumire aveva sempre preferito i fuochi bianchi, forse perchè più eleganti, o perchè più simili a stelle anche nel momento in cui cadevano, e poi scomparivano.
Lo sguardo sereno di lei aggiunse un sorriso al mormorio del suo ragazzo, c'era qualcosa d'intimo e piacevole nell'idea che lui le dedicasse un dipinto, i quadri parlavano più di quanto non facesse l'artista —anche se Gin poteva rappresentare l'eccezione alla regola— e Sumire voleva comprendere le emozioni che forse non le aveva mai detto ad alta voce. E con le iridi ancora sul cielo aggiunse: Impossibile. Se tu davvero mi facessi un ritratto vorrei che tutti lo vedessero. Vorrei che tutti sapessero che l'hai fatto solo per me e ne provassero invidia. il suo tono tradiva fervore ed entusiasmo.
E non hai niente da invidiare a mia madre. , Sumire si credeva obbiettiva e non stava facendo scherzo di quelle parole, però c'era qualcosa di più sentimentale nel vedere le opere del suo ragazzo e più freddo nel momento di valutare quelle di sua madre, diventava inevitabilmente soggettiva quando aveva a che fare con lui.
Insensibile! esclamò, quando lui le propose di vendere i propri sandali, voltando appena il capo verso di lui. Non venderò mai i miei sandali preferiti, è come se ti chiedessi di tagliarti i capelli. protestò. Sumire non si era mai lamentata della sua lunga chioma nera, anche se in molti momenti aveva pensato che sarebbe stato molto più accettabile se i suoi capelli avessero avuto la lunghezza standard, ma a quel punto sarebbe stato ancora Gin?
Staremo a casa mia. , finalmente il suo sguardo si spostò sui suoi occhi e non potè dissimulare una punta di panico in quelle parole. Sarebbe dovuto essere Gin quello agitato al sapere di dover conoscere i suoi genitori, ma Sumire lo era inevitabilmente di più perchè conosceva i suoi e conosceva il suo ragazzo. Non vedo l'ora di fartela vedere. Non soffri di vertigini vero? Perchè vivo all'ultimo piano di un grattacielo. .
Lasciò calare il silenzio, poi; la ragazza aveva finalmente appoggiato la propria schiena al suo petto e ora il suo viso era vicinissimo a quello del tatuato. Quant'era carino? Sotto i fuochi che illuminavano la pelle di giada pallida, i suoi occhi sembravano catturare la tenue luce e quasi brillare. Sumire si perse ad ammirarlo.« I once believed love would be burning red
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Edited by Lostien - 6/9/2020, 08:40. -
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.Sumire MurakamiNon colse mai il momento esatto in cui gli abbracci di Gin avevano smesso di darle fastidio, non sentiva più quel senso di soffocamento anche se imprigionata tra le sue braccia come avrebbe sentito con chiunque altro. Un sentimento di sicurezza l'avvolgeva in quell'abbraccio, che le faceva dimenticare di tutto il resto, esistevano solo Gin, lei e le luci variopinte che scoppiavano nel cielo altrimenti nero. Quel suo spiccato egocentrismo non era il solo motivo dell'entusiasmo che provava al voler essere ritratta, era il fatto che fosse lui a dipingerla, era il gesto che non aspettava nulla in cambio e la proposta inaspettata.
Sumire scosse subito la testa mentre i suoi occhi si spostavano nuovamente al cielo, una cosa era essere conscia d'essere innamorata di lui, un'altra era esprimere quel pensiero. Lo credo davvero. Non c'entra niente quello... che provo per te. la sua voce si affievolì man mano che la frase finiva. Non sapeva spiegare perchè le fosse così difficile ammetterlo ad alta voce, aveva a che fare con il suo orgoglio, o con le sue insicurezze: il ragazzo poteva dimostrargli costantemente d'essere innamorato di lei, e lei non sarebbe comunque riuscita a sentirsi completamente sicura. Non voleva esagerare, se c'era qualcosa ch'era rimasto impresso nella sua mente era che dimostrare di tenere di più a qualcuno di quanto non facesse l'altro era inutile e spesso controproducente. Gin doveva sempre essere quello più legato a lei, Sumire era convinto che tenendo i suoi pensieri per sé sarebbe rimasto per sempre in quel modo. Ma sapeva anche che lui aveva ragione, qualunque cosa lui facesse sarebbe stata migliore di quella della madre, perchè più che apprezzamento alla sua arte, era lui come persona a considerare meglio.
Si mostrò sorpresa, e poi dubbiosa, quando il giovane corvino affermò che per lei avrebbe tagliato la sua lunga chioma. Stava scherzando? Il più delle volte le risultava difficile capire i momenti in cui Gin intendeva davvero quello che diceva o le rispondeva soltanto per contraddirla. Sumire non gli avrebbe mai chiesto di tagliarsi i capelli, non aveva scelto di stare con lui perchè voleva cambiarlo, e le piaceva così com'era, con tutte quelle cose che spesso la facevano irritare, con i suoi tatuaggi, la sua faccia da schiaffi o il fatto che proprio non riuscisse a stare in silenzio. Era diverso da lei, ed era anche per questo che si sentiva a suo agio a starci assieme e non voleva affatto cambiare la sua personalità, o i suoi capelli, solo perchè andasse bene agli altri. E sapeva perfettamente quanto strano suonasse da parte sua, abituata a voler controllare ogni aspetto della sua vita, il fatto di non voler controllare Gin.
Se avessi il pavimento in vetro si vedrebbe il piano di sotto, non il vuoto. lo prese un po' in giro, anche se sapeva benissimo quello che intendeva. L'idea di un pavimento in vetro inquietava un po' anche lei, l'idea che un giorno si potesse rompersi e farla precipitare giù per parecchie dozzine di metri. In compenso le ringhiere del giardino sono basse, se mi fai arrabbiare potrei decidere di buttarti di sotto. scherzò, vedendo però l'espressione di Gin cambiare, come se qualcosa lo turbasse. Forse aveva davvero paura delle altezze.
La chiamò per nome, solo per nome, c'era decisamente qualcosa che lo preoccupava.
In fin dei conti anche a Gin sembrava importare essere accettato, e in qualche modo ciò la faceva sentire un po' peggio. Non voleva che Gin si sentisse inquieto e avrebbe voluto fare sua quella preoccupazione, che quella nervosa fosse soltanto lei. Che sciocca era stata a pensare che al corvino non tangesse l'opinione dei suoi, o forse più l'idea di farla stare male in qualche modo. Non... , i suoi occhi saettavano tra lui e il mare, le parole non uscivano dalla sua bocca perchè nemmeno lei era certa di quello che voleva dire. Avrebbe mentito solo per rassicurarlo?
Gin era la perfetta rappresentazione di quel che suo padre disprezzava, i capelli lunghi, i tatuaggi e la sua personalità irriverente, il corvino avrebbe reso incredibilmente facile il farsi odiare ancor prima di aprire bocca. Per non parlare del fatto che studiava arte, se lui davvero sperava in ciò trovare la sua ancora si salvezza si sbagliava di molto: uno su un milione riusciva a trascendere, e il padre aveva semplicemente sposato quell'uno, tutto il resto erano perdenti, falliti o disoccupati, e questo sarebbe stato Gin ai suoi occhi. La madre invece... la conosceva così poco che non sapeva cosa aspettarsi da lei, forse nemmeno le interessava.
...mi importa. Non mi importa. , non era del tutto vero, ma non era nemmeno una bugia. Sapeva le avrebbe fatto male non accettassero la sua relazione, d'altra parte non aveva più intenzione di fare un passo indietro per non farli arrabbiare. Ne aveva già parlato con Yumeru, era stanca di sforzarsi a sostenere il peso di quel che per lei aveva smesso di funzionare.
Le sue iridi azzurre si fermarono finalmente su quelle color miele di lui. Sentiva fosse colpa sua se tutta quella storia lo preoccupava, e voleva convincerlo che non ce n'era alcun bisogno.
Yumeru le aveva insegnato che certe volte non c'era niente di male ad esprimere i propri sentimenti alle persone di cui si fidava. Fece un profondo respiro, prima che i pensieri confusi nella sua testa diventassero parole: Questa cosa tra noi... è sempre così complicata per me. La maggior parte del tempo non so nemmeno quello che sento, sto bene con te ma fai riaffiorare delle insicurezze che non sapevo di avere, e mi sento così fragile come se la sola idea di vederti sparire mi potesse rompere il mille pezzi.
Io, io che controllo tutto della mia vita, ho per caso programmato quello che provo per te? Lo è il mio desiderio di trascorrere il mio tempo con te?
Ti ho lasciato controllo su di me, sul mio umore e non lo volevo. Gin io non volevo innamorarmi di te, avevo pensato che mi saresti stato solo d'ostacolo, una perdita di tempo... ma man mano che uscivo con te ho cominciato a capire che tutto quello che volevo da un'uomo era ciò che silenziosamente desideravo da te. E se ti ho chiesto di venire a Kyoto non è per l'approvazione dei miei genitori, è perchè voglio che tu faccia parte della mia vita, voglio davvero che tu conosca ogni cosa di me, anche quelle che non riesco a dire ad alta voce. Voglio che tu faccia parte della mia famiglia con o senza la benedizione dei miei genitori. Non mi importa cosa pensino di te, voglio che sappiano che tu esisti e che ci si dovranno abituare perchè non ho intenzione di rinunciare a te. , la sua voce si spezzava e gli occhi brillavano di gocce che minacciavano di solcarle le guance; non erano lacrime di tristezza o felicità, ma di quella fragilità a cui aveva accennato. Si era esposta, stava rivelando la sua anima a Gin.« I once believed love would be burning red
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.Sumire MurakamiNel rumore degli scoppi riuscì comunque ad udire il proprio sospiro tremante, e quello che prima era emozione si trasformava in sensazione fisica: così vulnerabile che anche in quella giornata di luglio, il minimo accenno di vento l'avrebbe fatta tremare.
Eccola lì, dopo solo un attimo dall'essersi promessa di non esagerare, che lasciava prendere parola al suo cuore e confessava ciò che avrebbe più voluto tener segreto. Parlava di quella dipendenza che per lui aveva, del terrore nel vederlo sparire, e gli affidava quei sentimenti perché fosse cosciente dell'effetto ch'egli aveva su di lei. Aveva opposto resistenza, per non essere più sfiorata da quella debolezza che per quanto dolce appariva, era convinta nel tempo sarebbe diventata amara e le avrebbe fatto male, com'era già successo.
Aveva parlato per rassicurare lui, ma adesso era lei quella insicura. Gin avrebbe accettato quello che lei provava? Forse la considerava pazza, non stavano assieme da così tanto tempo, forse in quel modo l'aveva solo spinto a scappare. Non sapeva leggere la sua espressione, che per tutto il tempo l'aveva guadata senza aprir bocca, e quando calò il silenzio Sumire avrebbe tanto voluto che usasse quella sua irritante dote e riempisse il vuoto con parole. Le sarebbe andato bene qualunque cosa, che la ignorasse e facesse finta di non aver sentito quel che aveva detto, o anche solo un semplice okay. Ma quel silenzio di riflessione era spaventoso.
Un sospiro. La sua mano che accarezzava la guancia di lei, e infine un bacio. Grazie a quel tocco, scivolavano via tiepide gocce dai suoi occhi, disperdendosi nell'aria e trascinandosi dietro le sue paure.
Nel corso dei mesi le sue barriere di ghiaccio si erano sciolte per lui e lo avevano lasciato passare, poco alla volta, fino a quell'esatto momento; dove prima osservava l'immagine sbiadita e alterata del ragazzo attraverso le sue mura, ora si trovava davanti a lei, cristallino, e vedeva tutto chiaramente. Comprendeva la passione di quelle due stelle cui il Tanabata parlava, il voler passare ogni secondo assieme al suo amato, dimenticando i propri doveri, perché quando stavano assieme non c'era altro a cui lei volesse pensare.
Gin l'aveva conquistata, e Sumire sapeva lui avesse barato, arrivando nel momento in cui lei ne aveva più bisogno, rappresentando uno stacco dalla sua vita di tutti i giorni che poi avrebbe capito non riuscire a sopportare così com'era. Per la ragazza dai capelli bianchi lui era stato quel rifugio che si costruisce da bambini di cui nessuno è a conoscenza, il luogo sicuro dov'era libera di fare quello che voleva e dove poteva scordare la sua realtà, mentre ora desiderava ne facesse parte.
Il tempo sembrò fermarsi, e riprendere a scorrere soltanto al loro separarsi. Gli occhi socchiusi stampavano nella sua mente quel frammento di momento, che da allora sarebbe stato un'amorevole ricordo.
Il volto di Sumire si nascose nel buio, osservava il mare e si asciugava con rapidità le guance bagnate da ribelli lacrime. Era pronta a spezzare lei quel silenzio ora che non ne provava più alcun ansia, ma Gin fu più rapido. Non aveva risposto alla sua domanda. Dopo tutto quello che gli aveva detto, il tatuato non s'era ancora scordato quella domanda. A quel punto l'albina non sapeva se mettersi a urlare o a ridere. Scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo, non si aspettava altro da lui, che quella sciocca affermazione, perché non c'era nulla da aggiungere e le parole le aveva già esaurite tutte lei. Si voltò di nuovo verso di lui, imbronciata, anche se scherzosamente, pronta a sgridarlo. Gin non le lasciò il tempo.
Fu così improvviso che se non avesse prestato attenzione quelle poche parole si sarebbero perse negli scoppi degli ultimi fuochi. "Ti amo, Murakami, lo sai?".
Se il bacio di prima volle togliere ogni suo dubbio, quelle parole scossero il suo animo e fecero fremere il suo corpo. Non riusciva a credere a ciò che aveva ascoltato e se ne rimaneva in silenzio, con lo stupore negli occhi azzurri, e il rosso che macchiava le guance e sembrava volersi impossessare di tutto il suo viso. Per un secondo avrebbe giurato di sentire come lo scoglio sotto di lei spariva, lasciandola fluttuare nel nulla. Gin la amava? Come poteva essere così sicuro di quel che diceva? Aveva professato amore senza neppure esitare un secondo, com'era possibile che gli fosse risultato così facile, come lo aveva capito? Avrebbe voluto tempestarlo di domande mentre tratteneva quell'oceano di emozioni che la sua confessione le aveva provocato.
E lei, lo amava? Era amore ciò che aveva descritto prima? Era confusa, ma in modo piacevole. Quel che lei provava in realtà era passato in secondo piano, perché Gin la amava, non gli importava quanto veleno potesse uscire dalle labbra di lei, -anche se in suo confronto, diveniva presto acqua di rose-, la amava lo stesso. E in quel momento di poca lucidità pensò che forse erano davvero fatti l'uno per l'altra. La versionemalvagiamoderna di Orihime e Hikoboshi.
Non si prestò a parlare, la sua mano si appoggiò sul viso di lui e le dita si soffermarono suoi capelli neri a spostargli una ciocca dietro all'orecchio. In circostanze differenti non avrebbe osato, in pubblico, avvicinarsi fino a rendere la loro distanzia un soffio. Non ebbe alcun cenno d'incertezza, nessun tentennamento all'avvolgere il braccio libero attorno alle sue spalle, e poi fiondarsi sulle sue labbra in un impeto tanto improvviso quanto brusco. Non era da lei, e Gin se ne sarebbe accorto, baciarlo in quel modo, premere le sue labbra contro le proprie quasi a volersi appigliare ad esse, quando ella di solito apprezzava la delicatezza nei gesti. In realtà non era proprio da lei prendere iniziativa, adesso voleva esprimere ciò che a parole non era ancora sicura di dire.
Non le importava se non erano soli, nella sua mente c'erano solo loro, il fruscio delle onde, e i loro cuori sulla riva.« I once believed love would be burning red
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.Sumire MurakamiSi sentì precipitare e non era solo un'impressione, stava davvero cadendo, Gin doveva essere scivolato, e la sua poca cognizione dello spazio le fece credere per un attimo che sarebbero finiti entrambi in mare. Più tardi avrebbe pensato che sarebbe stato quasi meglio, forse l'acqua fredda avrebbe fatto dimenticare a Gin quel momento che nemmeno Sumire sapeva spiegarsi.
Non accadde, la discesa finì in meno di un secondo e i due si trovavano ancora sullo scoglio, asciutti; a quel punto era inutile, se non impossibile, fermarsi. Doveva trattarsi della gravità, che l'attirava inevitabilmente verso le labbra del suo ragazzo, quelle labbra che hanno tutta solo morbidezza e che per mesi erano state soltanto sue. Fuggiaschi brividi senza meta attraversavano il suo corpo ogni volta che le dita di Gin sfioravano la sua pelle, riconobbe l'inequivocabile sensazione, cui sapeva bene da cos'era prodotta, ma ora come ora qualunque cosa aveva perso della sua importanza, il corvino avrebbe potuto marchiarle tutto il corpo e lei non si sarebbe opposta. Avrebbe voluto durasse per sempre, desiderava l'intimità di casa sua quando le onde le suggerivano di continuare e abbandonarsi alle sue braccia.
Staccarsi fu come tornare alla realtà, di cui lei avrebbe fatto volentieri a meno adesso, non c'erano più fuochi ad illuminarli, solo le pallide stelle, quando erano terminati? Era stata così poco attenta al cielo che non ne ricordava quasi alcuno, ricordava della loro esistenza a causa della luce che aveva illuminato il volto di Gin mentre lei aveva parlato, e ora anche quei ricordi apparivano lontani.
Le iridi del corvino sembravano riuscire ad assorbire anche quella timida luce notturna e si abbassarono a nascondersi dalle sue, che avevano imitato il colore oscuro del mare. La ringraziò come faceva spesso anche quando uscivano, e Sumire un po' lo odiava per questo, perchè dopo un bacio o un'uscita non si aspettava un ringraziamento, forse dagli altri, ma non dal suo fidanzato; non lo faceva certo per fargli un favore, stava bene con lui e lo aveva baciato perchè... lo amava, forse?
Se da una parte odiava i suoi ringraziamenti, gradiva invece il suo riuscire a tirarla fuori da quel tipo di situazioni come se fosse niente, e non farla sentire a disagio. ‹ Se avessi saputo che bastava un bacio come regalo di compleanno, non mi sarei arrovellata tanto per trovarti qualcosa. ›, già trovare un regalo per un ragazzo era difficile, lo diventava ancora di più quando era il suo ragazzo. Per lui non poteva andare bene soltanto una camicia o un braccialetto, doveva avere un significato, o perlomeno doveva essere qualcosa che avrebbe davvero gradito. Una malsana idea era stata quella di affittare un salone che potesse usare come studio ma si rendeva conto che era forse un po' troppo e che non avrebbe saputo come giustificare l'acquisto alla sua famiglia, e alla fine aveva optato per un set di acquarelli e un cavalletto da pittura. Era stata anche tentata di dipingere qualcosa per lui, aveva avuto il suo periodo da artista ed aveva imparato qualcosa, ma non era brava e non poteva consegnare a Gin qualcosa di mediocre perciò aveva subito lasciato perdere. E ricordava di averglieli dati come se non contassero nulla, come se non avesse passato giorni interi a pensarci.
Non si era dimenticata di averlo invitato da lei, e in verità non aveva mai avuto davvero intenzione di ritirare l'offerta, anche se non si notava, e nemmeno Gin sembrava esserne a conoscenza, Sumire voleva dormire con lui esattamente quanto quest'ultimo con lei.
Il suo sguardo si fece timido e le sue parole sussurrate, come se stesse chiedendo il proibito, forse temendo che l'albina avrebbe rifiutato, ma nemmeno lei era così insensibile quando lui domandava accarezzarle i capelli o guardarla dormire. No, non erano affatto cose da Sumire Murakami, e in un'altra occasione forse l'avrebbe respinto, ma c'erano giorni in cui non era più Sumire la regina dei ghiacci, ma una semplice fanciulla caduta vittima dell'amore, e quel giorno lo aveva dimostrato più del solito, che perfino lei ogni tanto poteva apparire dolce.
‹ Per un giorno credo di poter fare un'eccezione e concederti l'onore di guardarmi dormire. › replicò con un sorriso divertito ad incorniciarle il viso. Si allontanò definitivamente da lui, osservando il contenitore di soba che miracolosamente era rimasto intatto e non si era rovesciato in tutto quel loro agitarsi. La ragazza iniziò a mettere tutto dentro la busta di plastica dato che ormai la fame le era passata. ‹ Per colpa tua mi sono persa i fuochi. › lo incolpò, dopotutto erano andati lì proprio per lo spettacolo e alla fine avevano fatto tutt'altro che non seguirlo. Chissà se era anche stata l'atmosfera a spingerla a quella confessione, o se sarebbe stata la stessa anche fossero rimasti nel suo appartamento.« I once believed love would be burning red
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.Sumire MurakamiIl silenzio le pareva estraneo dopo che le loro voci per tutto quel tempo erano state coperte dagli scoppi nel cielo; i fuochi d'artificio non illuminavano più il loro viso e tutto era tornato in quiete, ad accompagnarli vi era solo il suono delle onde che s'infrangevano contro lo scoglio e ovviamente la voce del suo ragazzo. ‹ Non farlo! › si lamentò. ‹ Se so che mi stai guardando non riuscirò mai a dormire. ›, come al solito Sumire non capiva quanto il corvino fosse serio, ovviamente esagerava e non avrebbe passato tutta la notte ad osservarla, ma forse avrebbe aspettato che fosse lei ad addormentarsi per prima. Era carino, ma l'avrebbe certamente messa a disagio. Le piaceva essere ammirata, ma preferiva che fosse nei momenti in cui aveva il controllo di ciò che faceva, che potesse accorgersi degli sguardi puntati su di lei, e solo a Gin poteva concedere di guardarla in quel momento d'incoscienza.
‹ Tu non mi hai portata qui, al massimo il contrario. E poi sappiamo entrambi che non te lo ricorderesti mai, quindi io porterò te qui l'anno prossimo. › lo rimbeccò. Si era agitata per nulla prima, quando avevano scoperto di non avere alcun telo su cui stendersi sulla sabbia, quella piccola dimenticanza li aveva portati fin lì, fino a quella confessione e quel bacio che forse non sarebbe accaduto sulla sabbia, così vicino a tutti gli altri. Se avesse potuto ripetere quella serata non avrebbe cambiato nulla, era perfetta così, anche se non era uscita proprio secondo i suoi piani, a dimostrarle che non sarebbe stato sempre un disastro se le cose non andavano come lei voleva. Non le importava proprio nulla dei fuochi, erano stati il sottofondo di quella sera e li avrebbe ricordati solo nel viso di Gin che essi avevano illuminato, quella provocazione le serviva solo per interrompere quel momento fin troppo romantico e tornare come prima, a ciò di cui era più abituata. Aveva parlato fin troppo dei suoi sentimenti, non avrebbe fatto finta di non averlo fatto com'era solita fare, ma sarebbe passato un bel po' di tempo prima che succedesse di nuovo.
Sumire iniziò a mettere a posto le sue cose ed annuì alla domanda del ragazzo, aveva mangiato forse meno della metà. ‹ Non mi va più, ma tu finisci. ›, non era sua abitudine mangiare troppo pesante e forse già solo gli spiedini di pollo le sarebbero bastati come cena, ma non avrebbe messo fretta al suo ragazzo che sapeva invece avrebbe potuto finire tranquillamente anche i suoi avanzi; il cibo era buono, ma non era qualcosa che avrebbe mangiato tutti i giorni e non capiva come Gin potesse vivere in quel modo.
Le sopracciglia bianche della ragazza raggiunsero un'inarcatura non indifferente al sentirgli dire che si potevano dimenticare della loro visita a Tokyo. Gin doveva ormai conoscerla abbastanza bene e sapere che non si dimenticava di nulla, sopratutto non di qualcosa di così importante come il far conoscere lui ai suoi genitori. Non doveva solo prendere i biglietti del treno o dell'aereo, doveva avvisarli in anticipo in modo da assicurarsi che fossero entrambi a casa, avrebbe dovuto dirgli prima che lei aveva un ragazzo perchè la cosa non fosse troppo brusca, e sopratutto doveva trovare un'ottima scusa per averlo nascosto per mesi. La cosa era molto più complicata del solo dover andare a Kyoto, avrebbe lasciato vivere Gin nella sua innocenza e non lo avrebbe tormentato con quelli che alla fine erano i suoi problemi. ‹ Segnatelo da qualche parte, non vorrei che prendessi altri impegni. Oh, e avrò bisogno che tu mi dica i giorni dei tuoi esami così che non prenoti il viaggio quando sei impegnato. ›, l'albina non aveva la minima idea di come le cose funzionassero all'università, sapeva solo che c'erano esami anche nel periodo in cui lei invece era in vacanza, e non voleva farli coincidere per caso.
Una volta finito di sistemare l'albina avrebbe ripreso in mano il suo panda e si sarebbe alzata, stiracchiandosi, rimanere seduti sugli scogli non era proprio il massimo della comodità. ‹ Possiamo fare un sacco di cose, è un peccato andarci d'inverno perchè i paesaggi sono migliori in primavera o d'estate, ma non mi va proprio di aspettare fino alla prossima estate. › e l'idea di andarci quella stessa estate non era minimamente contemplata, nemmeno era convinta se ci sarebbe tornata lei stessa a Kyoto quell'anno. Non aveva molta voglia... stava così bene lì a Tokyo.
Un sorriso un po' malandrino si impossessò del suo viso quando le sue iridi si posarono prima sull'oceano, e poi su Gin.« I once believed love would be burning red
but it's golden like daylight »CITAZIONESorry il ritardo, ho avuto un esame sia ieri che oggi =w=. -
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.Sumire Murakami‹ Non è quello il punto. Non mi piace che... mi guardi. › era contraddittorio sentirlo pronunciare da lei, Sumire amava essere ammirata, viveva per attirare l'attenzione e questo si notava nei dettagli, come il modo particolare di vestire, a volte esageratamente elegante, o il suo carattere da ape regina. Viveva di quegli sguardi e dell'approvazione degli altri, ed era questo che qualche mese prima l'aveva portava ad avere quella crisi e a sfogarsi su Yumeru. La paura del fallimento era stata dovuta anche dalla visione che gli altri avevano di lei, alle aspettative che lei stessa pensava di dover compiere per non deludere quella figura perfetta che tutti credevano fosse, e non ci era riuscita.
Con Gin però non era di questo che si trattava, o almeno non solo. ‹ ...in quel modo in cui tu mi guardi. ›. Faceva finta di non notarlo, ma invece vedeva il modo in cui a volte si fermava ad osservarla, simile ma fondamentalmente diverso da come facevano gli altri, perchè partiva da basi completamente differenti. Il corvino glielo aveva confessato poco prima, l'amava, ed era ciò quello che aveva visto nei suoi occhi per tutto quel tempo senza rendersene conto. Un pizzico di ammirazione mischiato a quel sentimento, così la guardava, come se si fosse innamorato di una Dea e per puro caso ella ricambiasse i suoi sentimenti. E ora Sumire si sentiva ben lontana da una divinità, o anche solo dalla ragazza perfetta che aveva finto di essere.
‹ Gin che cosa pensi di me? › il suo tono era serio, lei aveva parlato fin troppo, sorprendetemene più di lui, e non glielo stava domandando per ricevere complimenti. Voleva davvero sapere che cosa passava per la sua testa, ed aveva l'urgenza di smentire quel che lei sapeva lui pensava. Non voleva si creasse un'immagine erronea di lei, o meglio, non voleva che la vedesse come facevano anche gli altri.
Il ragazzo dai capelli lunghi avrebbe dovuto essere molto più diretto di così per far capire a Sumire ciò che intendeva, la ragazza infatti non aveva minimamente letto tra le righe delle sue parole, perchè era naturale che sarebbero rimasti assieme almeno un altro anno, che volevano stare assieme. ‹ Certo. ›, ripose la borsa con i suoi avanzi su un lato dello scoglio e lo osservò finire i suoi soba, disapprovando totalmente il suo discorso.
‹ Non sono più importante dei tuoi esami. › disse in automatico, pensando che fosse ciò che si sarebbe detta lei se avesse dovuto scegliere se dare un esame o uscire col suo ragazzo. ‹ Cioè sì, certo che lo sono. ›. Era difficile spiegare il concetto quando si contraddiceva da sola, Gin avrebbe fatto meglio a considerarla più importante delle su valutazioni, ma in certi casi quelli avevano la priorità sulla loro relazione. ‹ Ma che non ti venga in mente di saltarli per me Gin. › si permise di sgridarlo. L'albina era molto seria quando si parlava di ciò cui dipendeva il suo futuro, già il ragazzo dai capelli lunghi non sapeva cosa farsene, non gli avrebbe permesso di perdere troppo tempo all'università o di essere lei stessa causa delle sue distrazioni.
Gin si dimostrò parecchio positivo, pensava di poter tornare tranquillamente più avanti, Sumire invece non riusciva a vedere oltre quel viaggio. Certo, non c'era bisogno che stessero a casa sua nel caso volessero tornare una seconda volta, ma era Gin l'unico motivo del suo entusiasmo nel tornare a Kyoto. Ammetteva un po' di starlo usando, dopo le vacanze di primavera non era più tornata e non voleva andarci da sola, fonte di spiacevoli ricordi e recenti problemi sperava che il suo ragazzo le desse un po' di coraggio per superare quella che ormai era quasi una paura del tornare a casa.
‹ Mi piacerebbe, sai che adoro guardarti disegnare. ›, anche se lui aveva parlato al plurale, lei non lo avrebbe accompagnato in ciò. Sumire non aveva certo preso il lato artistico della madre, aveva avuto un breve periodo in cui aveva voluto imparare a disegnare e dipingere e se tecnicamente poteva sempre migliorare a lei mancava più l'essenza: la fantasia. L'albina era una ragazza logica, poteva apprezzare le Trentasei vedute del Monte Fuji ma non le sarebbe mai venuto in mente un tale lavoro, perchè mancava d'immaginazione.
‹ Uhmm, non conosco tatuatori famosi, ma so di un studio, l'harizanmai, specializzate in tatuaggi stile arte tradizionale giapponese, sono bravi. ›, disse, un po' restia a parlarne con lui, che impulsivo com'era, non voleva ritrovarselo un giorno con dei tatuaggi sul viso perchè non aveva altro spazio a disposizione.
‹ È un'idea carina, ma ora un po' irrealizzabile. › Sumire non apprezzava troppo i tatuaggi in eccesso, e Gin era l'eccesso fatto persona, solo che quel che lui aveva addosso poteva definirsi come un unico ed enorme tatuaggio, aveva la propria armonia e stava bene sul suo corpo. Un tatuaggio in più però poteva rovinare tale equilibrio.
‹ Sai, penso di non avertelo mai chiesto. Ma come hai fatto a decidere a farti tatuare tutto il corpo? Voglio dire, è qualcosa di così estremo, rimarrà per sempre sulla tua pelle... e poi con tutti i pregiudizi che ci sono... perchè lo hai fatto? ›« I once believed love would be burning red
but it's golden like daylight ». -
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.Sumire MurakamiSapeva che Gin non avrebbe gradito quella domanda, e che se l'avesse posta in qualunque altro modo più implicito avrebbe fatto in modo di schivarla. Anche se ad una prima impressione sarebbe sembrato che Gin se la cavasse piuttosto bene con le parole, la realtà era che riusciva ad esprimersi solo quando le parole servivano a prendere in giro qualcuno oppure dire quelle sue battute smielate o senza senso. Quando c'erano di mezzo i sentimenti, quando c'era da essere seri, il ragazzo dai lunghi capelli neri era anche peggio di Sumire. ‹ Rispondi e basta! › lo intimò; per quanto fosse cosciente la domanda fosse strana, non avrebbe accettato nulla che non fosse una risposta sincera. Dopo tutto quello che era successo, quello era il momento delle domande strane, e dopo quel giorno sarebbe tornato tutto alla normalità. Niente più confessioni, baci in pubblico o strane domande. Tutto quel che stava accadendo era un'enorme eccezione alle sue regole non scritte, come ad esempio il fatto che Gin avesse utilizzato la sua unicità e Sumire avesse fatto finta di nulla. Era un'eccezione.
L'albina pensò di dover diventare più insistente, il suo ragazzo invece dopo la prima protesta finì comunque per accontentarla. Confessò di non riuscire a capirla, e lei comprendeva il sentimento, nemmeno lei certe volte riusciva a capire cosa le passava per la testa o il perchè faceva certe cose, figurarsi che altri riuscissero a comprenderla. Quello che più si era avvicinato a capirla era stato Yumeru e solo perchè alla fine era stata costretta ad aprirsi con lui. Le disse anche ch'era strana. Gin, il ragazzo dalla chioma che quasi toccava il pavimento e il corpo coperto di inchiostro, le stava facendo notare che quella strana della coppia era lei. Diversa era sicuramente la parola che meglio accettava, forse perchè a tale potevano essere associati aggettivi positivi, lei era diversa da tutti gli altri, migliore ovviamente, ma non perfetta come avrebbe voluto apparire.
Le sue iridi seguirono quelle del ragazzo tatuato sul mare, ed arrossì un po', per a sorpresa di scoprire che lui sapesse della sua poca propensione al parlare dei motivi per cui studiava alla UA. Non glielo stava proprio nascondendo, ma come a lui non piaceva parlare dei suoi sentimenti —o non era proprio bravo a farlo— e schivava le domande quando ne aveva la possibilità, lei faceva lo stesso. Quella almeno era la scusa che si raccontava, perchè non le sarebbe piaciuto mentirgli, e forse se Gin un giorno glielo avesse domandato senza lasciarle possibilità di fuga alcuna, forse lei ne avrebbe parlato. E infine sorrise, a quell'ultimo complimento, che anche se esagerato sapeva sincero.
‹ Com'è che le uniche volte in cui voglio che tu parli, sei così impacciato? ›. Aveva ottenuto la sua risposta, soddisfacente? Non proprio, era stato vago e alla fine delle sue parole risaltava solo due aggettivi: misteriosa e strana, ora poteva far fingere di non aver mai chiesto domande, evitare complicate spiegazioni e fare finta di nulla. Era contenta che a Gin piacesse quel suo non comprenderla, la faceva sentire un po' meno in colpa nel parlare poco di sé, Sumire non faceva apposta a mostrarsi misteriosa, avrebbe voluto essere del tutto sincera con lui ma era difficile: aveva impiegato mesi anche solo a comprendere i sentimenti che provava per lui per poi poterli spiegare a parole quella sera. Tutto il resto erano cose che nemmeno lei comprendeva ancora appieno.
La giovane si accigliò, perplessa, nel vedere lo stupore e un bagliore di panico negli occhi del suo ragazzo alla sua domanda sui tatuaggi. Aveva pensato gli sarebbe piaciuto parlare del motivo per cui aveva marchiato la sua pelle, invece sembrava quasi a disagio. Lei era stranita, non era normale vedere il corvino imbarazzato per qualcosa.
E lo stupore raggiunse anche lei alla parole di Gin. Se all'inizio aveva avuto solo una sensazione, dopo un paio di mesi di frequentazione la ragazza aveva ben capito che al suo ragazzo divertiva provocare la gente. Ricordava di averne parlato con Tobi in primavera, gli aveva detto che Gin non lo facesse apposta, quando invece era esattamente ciò che faceva. Gli piaceva stare sulle palle alla gente... e poi si domandava perchè lei non le avesse ancora presentato i suoi amici.
Il significato dei suoi tatuaggi era un po' più profondo di quanto non lasciasse intravedere Gin, perchè lui era terribile a spiegarlo, e lasciava intendere fosse cosa da poco. E tutto quel suo discorso poteva essere riassunto in poche parole: dove nasce il pregiudizio muore la comprensione. Era stupido pensare che dei tatuaggi ti rendessero un criminale, era stupido odiare i mutant perchè diversi, avere la pelle d'un altro colore o una qualche mutazione non li rendeva idioti, assassini e non era un valido motivo per odiarli. E Gin aveva fatto sua quella causa, dimostrando ancora una volta ch'era più abile ad esprimere concetti con azioni e non con le parole. Era ammirabile, ma combatteva una battaglia persa in principio. Come lui stesso aveva detto alla gente non importava. Vivevano in una società dove l'opinione degli altri era irrilevante, i singoli individui possedevano la ragione e far cambiare le proprie convinzioni a qualcuno era diventato quasi impossibile. Erano tutti sordi, e Sumire ne era un po' l'esempio.
Il tatuaggio in sé invece aveva un significato più comune, ma che combinava perfettamente con la personalità del ragazzo. Lui metteva sul serio tutto se stesso in quello che faceva, e la spiegazione di poco prima ne era stata la conferma.
I suoi occhi indugiarono un secondo sul suo petto, dove la testa del drago faceva capolino. ‹ Ti vergognavi a raccontarmelo? Credo che sia la cosa più sensata che tu mi abbia mai detto. ›, non essendo particolarmente empatica non le era saltato per la mente che forse era una cosa che voleva tenersi per sé, e non capiva il suo disagio. ‹ Insomma... è strano. Ma tu sei strano, quindi è normale. Ora che l'hai detta mi sembra quasi ovvio, conoscendoti, ma allo stesso tempo è molto più profondo di quello che mi aspettavo da te. ›, non che Gin fosse superficiale... ma un pochino. ‹ Voglio dire, per uno a cui piacere "stare sulle palle alla gente" sei piuttosto empatico. ›« I once believed love would be burning red
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