Meet me in the Afterglow

tanabata festival [role estiva]; sumire&gin

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    TANABATA FESTIVAL
    Gin rise alla provocazione della ragazza dai capelli bianchi che gli aveva appena chiesto, indirettamente, di salvare il cibo in caso di caduta. Per quanto avrebbe fatto volentieri un bagno assieme alla ragazza non aveva portato il costume e... Ok, quello era in realtà un dettaglio trascurabile e lo avrebbe fatto volentieri anche senza, forse è meglio dire che non aveva portato un cambio per evitare di tornare a casa sembrando uno yokai ricoperto di alghe. Insomma, avrebbe fatto più attenzione possibile per evitare di cadere. Era certo che se non avesse davvero avuto il cibo in mano Sumire avrebbe probabilmente scelto lo scoglio più difficilmente raggiungibile al solo scopo di metterlo in difficoltà e magari farlo anche cadere davvero.
    Fa tutto parte della tecnica, un po' come il pugno ubriaco. - rispose alla sua presa in giro mentre cercava di non cadere accennando una linguaccia. Sebbene Gin andasse in palestra più volte a settimana non era in realtà un grande appassionato di arti marziali o di sport in generale e aveva probabilmente sentito parlare di quel bizzarro stile di lotta in un qualche film o in qualche manga, probabilmente non sapeva neppure se esistesse davvero o meno. Era semplicemente funzionale alla risposta, perché non avrebbe mai permesso alla giovane di Kyoto di prenderlo in giro senza ricevere una risposta, sensata o meno.

    La guardò arrossire illuminata solamente dalla luce della luna. Era bellissima, e la cosa divertente era che in quel momento non intendeva neppure metterla a disagio o in imbarazzo. Era proprio vero che, a volte, era la serendipità a dare i risultati migliori.
    Devi esserti scottata con i soba, perché sei tutta rossa. Fai più attenzione. - sottolineò la situazione con la sua caratteristica lingua affilata, perché non si sarebbe certo lasciato sfuggire quella occasione.
    Aye, aye. - ridacchiò lasciandole andare la mano, chiedendosi tra sé e sé quando, di preciso, la giovane dai capelli bianchi fosse diventata una tsundere. Non era da lei rispondere in modo così blando ad una provocazione, ed era segno che doveva aver colpito nel segno. Probabilmente Sumire ci teneva davvero tanto a quell'invito, e probabilmente quel ritrattare le cose che gli era parso di sentire prima di accettare era un falso d'autore. Conoscendo le donne, probabilmente se la sarebbe legata al dito per mezzo secolo e glielo avrebbe rinfacciato al momento del divorzio anni dopo.
    Fortunatamente per la Murakami (e forse anche per sé stesso), il giovane tatuato non avrebbe mai rifiutato se non per qualche catastrofe naturale: la ragazza era importante per lui tanto quanto lui lo era per lei e non si sarebbe mai fatto sfuggire l'occasione di poter passare del tempo con lei. La ascoltò parlare di Kyoto con un sorriso, perché era molto raro vederla parlare davvero appassionatamente di qualcosa. Solitamente era fredda e distaccata, anche quando parlava di scuola. Non aveva mai approfondito particolarmente il discorso, ma sembrava apprezzasse davvero tanto il posto da cui veniva e chissà quanto era stato difficile il distacco. Vista in quell'ottica, frequentare la UA doveva essere davvero importante per lei se si era spinta così tanto lontana da casa per iscriversi lì.
    Sembra interessante. - le sussurrò dopo aver mandato giù un boccone. Le sue labbra si incresparono in un sorriso sincero sentendo quelle ultime parole di sfuggita. Sumire lo costrinse ad un sospiro mentre lo spettacolo di fuochi d'artificio iniziava timidamente.
    Forse lì... In mezzo al buio, in mezzo al mare, coperti dal rumore delle esplosioni colorate nel cielo... Forse sarebbero potuti andare un po' oltre. Poggiando il contenitore dei soba tra le gambe, Gin puntò le mani a terra e le usò per muoversi senza doversi alzare del tutto. Si avvicinò alla ragazza, posizionandosi dietro di lei e cingendole il busto col braccio destro. Era un semplice abbraccio petto contro schiena, ma era il gesto più esplicito che avessero mai fatto in pubblico. Poggiò il mento sulla sua spalla, inspirando il suo profumo. Si sentiva al sicuro lì, anche se normalmente sarebbe dovuta essere lei a sentirsi più al sicuro vicino a lui. Ma non era una questione di forza o di pericolo, si sentiva al sicuro esistenzialmente. Tra tante cose che mutavano come le onde in mezzo al mare, Sumire era il suo scoglio: ecco, forse in quei mesi di frequentazione quell'immagine di un mare nero, agitato e imperscrutabile era diventato qualcosa di più sicuro.
    Potrei farti un ritratto, lì. - le disse. Il principale vantaggio di quella posizione era avere le labbra molto vicine al suo orecchio e poter continuare a parlare mentre osservavano lo spettacolo pirotecnico - B-basta che non lo mostri a tua madre. - aggiunse. Gin non si era certo dimenticato chi fosse la madre della Murakami e per quanto potesse avere della fiducia nelle proprie capacità c'erano anche certi limiti.
    Umh... Vorresti stare a casa tua o staremmo soli da qualche parte? - le domandò mentre le sue iridi giallastre osservavano quel mescolarsi di colori nel cielo - Potresti vendere i sandali per un appartamento nel caso. - la provocò riprendendo le sue parole di prima. Se valevano quanto un affitto che lo pagasse.
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    Sumire Murakami

    Si stava concentrando su se stessa, su dove lei metteva i piedi dato che non voleva rischiare di rotolar giù dallo scoglio e finire in acqua dopo che lo aveva preso in giro, facendo una figuraccia. Non teneva nemmeno particolarmente a fare il bagno alle dieci di sera e rovinare il suo bellissimo yukata, e i suoi capelli con l'acqua salata. Le piaceva il mare —di mattina, sotto all'ombrellone a leggere un libro— ma non le attività a cui era collegato, come prendere il sole o entrarci per poi uscire con la sabbia che si appiccicava alla pelle e il sapore di sale sulle labbra.
    ‹ Ma tu sei sobrio. › disse ridacchiando. La sua risposta non aveva senso, ma stavano parlando di maestri panda e Gin che non riusciva a stare in piedi su uno scoglio e non doveva averlo per forza, l'importante era fargli notare quanto fosse ridicolo.

    Ovviamente il tatuato non perse l'occasione di farle notare quanto il suo viso fosse diventato rosso, lei aveva solo sentito il calore sulle guance e lo aveva immaginato, sperando che nascosta dall'illuminazione soffusa non si sarebbe notato, ma i capelli bianchi non aiutavano a nascondere la colorazione del suo viso, se non a risaltarla. Gin però le fornì un'utile scusa, che lei avrebbe sfruttato. ‹ Sì, sono davvero caldi. ›, non era così innocente da pensare che lui ci credesse davvero, conoscendolo, doveva sapere che la fonte del suo arrossire non erano stati i soba, era solo il suo sistema di autodifesa che si attivava automaticamente nei momenti di imbarazzo. Sorprendetemene, Sumire non ci avrebbe scommesso un soldo, i soba erano davvero ancora caldi, ma non abbastanza da scottare lei.
    Riprese a mangiare, picchiettando ritmicamente le dita sul contenitore di cartone col nervosismo di chi sente d'essersi esposto troppo; adorava stare con Gin, ovunque si trovassero, ma portarlo nella sua città era un'altro discorso. Avrebbe amato perdersi tra le vie di Kyoto, passeggiare per il Sentiero del filosofo tra il canale e i fiori di ciliegio, oppure restare semplicemente a casa a non fare niente; lo avrebbe integrato completamente alla sua vita.
    La percezione di lei era stata che Gin e Sumire, la loro relazione, esistesse solo nei momenti in cui stavano assieme. Per molti mesi nessuno aveva saputo del loro rapporto, o almeno da parte d'ella che lo aveva tenuto nascosto, ed avevano vissuto la loro vita separatamente. Ora lei voleva infrangere quella barriera, che lui fosse sempre il suo ragazzo, anche quando stavano separati.
    Mentre i primi fuochi colorati brillavano sul cielo scuro il suo sguardo cadde di nuovo sul corvino quando questi si spostò dietro di lei, circondandola in un abbraccio. All'inizio Sumire non era la persona più effusiva del mondo, anche in privato faceva fatica ad accettare una carezza senza sentirsi a disagio, per non parlare degli abbracci che generalmente odiava e la facevano sentire intrappolata. Non era abituata a tutte quelle attenzioni che l'avevano travolta nel giro di pochi mesi, Gin era quel tipo che cercava sempre la sua mano o un modo per starle vicino, ed alla fine lei ci aveva fatto l'abitudine, iniziando ad apprezzare la sua dolcezza. Le dita di lei erano accorse al suo braccio d'inchiostro, percorrendolo fino ad accarezzargli delicatamente il dorso della mano, e ora che sentiva il suo respiro solleticarle il collo era tornata ad osservare lo spettacolo in cielo. Le luci si intrecciavano in semplici disegni simili a fiori che sbocciavano, dipingendo il cielo di vari colori e illuminando il mare che rifletteva esattamente ciò che in sopra di lui accadeva. Per qualche ragione Sumire aveva sempre preferito i fuochi bianchi, forse perchè più eleganti, o perchè più simili a stelle anche nel momento in cui cadevano, e poi scomparivano.
    Lo sguardo sereno di lei aggiunse un sorriso al mormorio del suo ragazzo, c'era qualcosa d'intimo e piacevole nell'idea che lui le dedicasse un dipinto, i quadri parlavano più di quanto non facesse l'artista —anche se Gin poteva rappresentare l'eccezione alla regola— e Sumire voleva comprendere le emozioni che forse non le aveva mai detto ad alta voce. E con le iridi ancora sul cielo aggiunse: ‹ Impossibile. Se tu davvero mi facessi un ritratto vorrei che tutti lo vedessero. Vorrei che tutti sapessero che l'hai fatto solo per me e ne provassero invidia. › il suo tono tradiva fervore ed entusiasmo.
    ‹ E non hai niente da invidiare a mia madre. ›, Sumire si credeva obbiettiva e non stava facendo scherzo di quelle parole, però c'era qualcosa di più sentimentale nel vedere le opere del suo ragazzo e più freddo nel momento di valutare quelle di sua madre, diventava inevitabilmente soggettiva quando aveva a che fare con lui.
    ‹ Insensibile! › esclamò, quando lui le propose di vendere i propri sandali, voltando appena il capo verso di lui. ‹ Non venderò mai i miei sandali preferiti, è come se ti chiedessi di tagliarti i capelli. › protestò. Sumire non si era mai lamentata della sua lunga chioma nera, anche se in molti momenti aveva pensato che sarebbe stato molto più accettabile se i suoi capelli avessero avuto la lunghezza standard, ma a quel punto sarebbe stato ancora Gin?
    ‹ Staremo a casa mia. ›, finalmente il suo sguardo si spostò sui suoi occhi e non potè dissimulare una punta di panico in quelle parole. Sarebbe dovuto essere Gin quello agitato al sapere di dover conoscere i suoi genitori, ma Sumire lo era inevitabilmente di più perchè conosceva i suoi e conosceva il suo ragazzo. ‹ Non vedo l'ora di fartela vedere. Non soffri di vertigini vero? Perchè vivo all'ultimo piano di un grattacielo. ›.
    Lasciò calare il silenzio, poi; la ragazza aveva finalmente appoggiato la propria schiena al suo petto e ora il suo viso era vicinissimo a quello del tatuato. Quant'era carino? Sotto i fuochi che illuminavano la pelle di giada pallida, i suoi occhi sembravano catturare la tenue luce e quasi brillare. Sumire si perse ad ammirarlo.

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    Edited by Lostien - 6/9/2020, 08:40
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    Sorrise guardando la ragazza mentire spudoratamente, aggrappandosi a quella palese finta scusa che aveva deciso di forgiare per lei. Sapeva quanto la giovane dai capelli bianchi ci tenesse a non esternare troppo i suoi sentimenti e non solo in pubblico come molti ma anche nel loro privato. Quell'invito a passare le vacanze invernali a Kyoto con lei, però, poteva essere considerato una sorta di timido passo avanti. Non ne parlavano spesso, anche perché sin dal loro primo incontro Gin aveva pensato la giovane nutrisse una sorta di timore riverenziale nei confronti dei suoi genitori, ma era abbastanza sicuro che la studentessa della UA non avesse parlato di lui alla sua famiglia e, onestamente, non poteva biasimarla.
    Di solito questo viene detto da persone normalissime per darsi un tono ma Gin era fondamentalmente "quel cattivo ragazzo da cui i tuoi genitori cercano di tenerti alla larga". Aveva capelli foltissimi, lunghissimi e ribelli, la sua pelle era per la maggior parte ricoperta di inchiostro e sebbene non fosse un mafioso, un criminale o un motociclista ciò che stava studiando era spesso visto come una tortuosa via verso la disoccupazione mentre il lavoro di tatuatore non era così tanto distante dalle prime tre categorie di persone elencate. Molto probabilmente i genitori di Sumire non appartenevano a quest'ultima linea di pensiero, o almeno sperava considerando che sua madre era un'artista. Certo era che la differenza tra un artista e un critico era abissale e molti dei primi imputavano ai secondi le disgrazie del mondo dell'arte. Come biasimarli quando per secoli non erano riusciti a comprendere la genialità quando l'avevano davanti? E anche se Gin poteva a modo suo considerarsi un artista erano in pochi a considerare tatuaggi e illustrazioni come effettiva arte e non come dei semplici surrogati.
    Probabilmente un Tobiko sarebbe stato più congeniale, a partire dal fatto che sembravano essere coetanei o comunque certo più vicini come anno di nascita di lui e Sumire. Studiava per uno di quelli considerati dei "lavori seri" dove ci si sporcava le mani (o perlomeno Gin ancora pensava appartenesse al ramo tecnologico di studi della UA) ed era una persona normalissima se non persino banale. Dal basso della sua bizzarria il giapponese tatuato era abbastanza convinto che i ricconi volessero un buon partito dai capelli ordinati e a suo agio in giacca e cravatta piuttosto che, beh, lui.
    Si strinse leggermente di più a Sumire annusando i suoi capelli mentre cercava di scacciare via quel pensiero. Forse erano più delle accozzaglie ideologiche da film e anime di serie B che vere e proprie corrispondenze col mondo reale, ma tra quegli stereotipi era vivo anche quello della famiglia di ceto elevato che doveva mettere bocca in ogni scelta dei figli, anche a costo di separarli dal loro vero amore per scegliere un partito più congeniale. Gin non conosceva la famiglia della ragazza di Kyoto né voleva essere così presuntuoso da dichiararsi il suo "vero amore", ma dal canto suo i sentimenti erano molto forti e non avrebbe voluto perderla solo perché lui era sé stesso.
    Tocca farlo bene allora. - sospirò alle parole della ragazza riguardo ad un suo ipotetico quadro. Quel sentimento era un po' strano e non gli era mai capitato di provarlo prima. Molti artisti avevano dei complessi con la loro arte e si vergognavano di mostrarla in pubblico. Questo sarebbe stato ovviamente un sentimento sciocco da provare per un tatuatore il cui intero mestiere riguardava il marchiare il corpo altrui a vita e le cui opere sarebbero rimaste per sempre in mostra per chiunque. In questo caso però, all'idea di dover riportare su foglio o su tela la giovane... un po' di ansia da prestazione iniziava a farsi sentire anche se non riusciva ad identificarla con certezza.
    Sono per caso gli occhi dell'amore che parlano? - ridacchiò al complimento. Dubitava fortemente di essere al livello di sua madre, ma chi era a decidere il "livello" in fondo? Medium diversi erano difficilmente paragonabili e una volta sdoganata l'arte dalle Accademie neppure il livello tecnico era misurabile, non c'era insomma un metodo oggettivo di valutazione. Ciò che era misurabile era semmai il successo, l'influenza, ma la capacità non era misurabile in modo univoco e matematico.
    Beh, per te li taglierei, tesoro. - scoccò quella freccia più per risponderle a tono che perché ci credesse davvero. Lo avrebbe fatto, per lei? Forse. Lo avrebbe fatto se glielo avesse chiesto con gentilezza e non se lei stesse cercando di cambiarlo per assimilarlo più ad una sorta di immagine "ideale" di uomo che aveva nella sua mente. D'altro canto quella richiesta sarebbe difficilmente arrivata così come lui non le avrebbe chiesto davvero di vendere i suoi sandali ma... beh, prima o poi lui si sarebbe dovuto tagliare i capelli probabilmente, era fisiologico.
    Umh... Non saprei, non sono mai stato così in alto. - ammise con un pizzico di vergogna e anche un pochino di invidia sociale, alzando lo sguardo ai fuochi - Immagino che basti non guardare giù nel caso. Mica avrai i pavimenti di vetro, no? - chiese forse con più ingenua serietà del dovuto. Nonostante fossero abbastanza diffusi in Giappone i grattacieli Gin li aveva visti solamente dall'esterno nella sua vita.
    Sumire, tu... - socchiuse le labbra e sospirò. Raramente la chiamava col suo nome senza stropicciarlo in qualche modo o utilizzare nomignoli stupidi - Tu pensi che mi accetteranno? - le chiese. Il ragazzo aveva smesso di porsi quella domanda anni e anni fa, quando aveva deciso di vivere semplicemente come sé stesso senza alcun tipo di maschera. Fino ad allora quella scelta era pesata solamente su sé stesso e sulle sue scelte, ma ora si trovava in un certo senso a dover rendere conto per due, per lui e Sumire.
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    Sumire Murakami

    Non colse mai il momento esatto in cui gli abbracci di Gin avevano smesso di darle fastidio, non sentiva più quel senso di soffocamento anche se imprigionata tra le sue braccia come avrebbe sentito con chiunque altro. Un sentimento di sicurezza l'avvolgeva in quell'abbraccio, che le faceva dimenticare di tutto il resto, esistevano solo Gin, lei e le luci variopinte che scoppiavano nel cielo altrimenti nero. Quel suo spiccato egocentrismo non era il solo motivo dell'entusiasmo che provava al voler essere ritratta, era il fatto che fosse lui a dipingerla, era il gesto che non aspettava nulla in cambio e la proposta inaspettata.
    Sumire scosse subito la testa mentre i suoi occhi si spostavano nuovamente al cielo, una cosa era essere conscia d'essere innamorata di lui, un'altra era esprimere quel pensiero. ‹ Lo credo davvero. Non c'entra niente quello... che provo per te. › la sua voce si affievolì man mano che la frase finiva. Non sapeva spiegare perchè le fosse così difficile ammetterlo ad alta voce, aveva a che fare con il suo orgoglio, o con le sue insicurezze: il ragazzo poteva dimostrargli costantemente d'essere innamorato di lei, e lei non sarebbe comunque riuscita a sentirsi completamente sicura. Non voleva esagerare, se c'era qualcosa ch'era rimasto impresso nella sua mente era che dimostrare di tenere di più a qualcuno di quanto non facesse l'altro era inutile e spesso controproducente. Gin doveva sempre essere quello più legato a lei, Sumire era convinto che tenendo i suoi pensieri per sé sarebbe rimasto per sempre in quel modo. Ma sapeva anche che lui aveva ragione, qualunque cosa lui facesse sarebbe stata migliore di quella della madre, perchè più che apprezzamento alla sua arte, era lui come persona a considerare meglio.
    Si mostrò sorpresa, e poi dubbiosa, quando il giovane corvino affermò che per lei avrebbe tagliato la sua lunga chioma. Stava scherzando? Il più delle volte le risultava difficile capire i momenti in cui Gin intendeva davvero quello che diceva o le rispondeva soltanto per contraddirla. Sumire non gli avrebbe mai chiesto di tagliarsi i capelli, non aveva scelto di stare con lui perchè voleva cambiarlo, e le piaceva così com'era, con tutte quelle cose che spesso la facevano irritare, con i suoi tatuaggi, la sua faccia da schiaffi o il fatto che proprio non riuscisse a stare in silenzio. Era diverso da lei, ed era anche per questo che si sentiva a suo agio a starci assieme e non voleva affatto cambiare la sua personalità, o i suoi capelli, solo perchè andasse bene agli altri. E sapeva perfettamente quanto strano suonasse da parte sua, abituata a voler controllare ogni aspetto della sua vita, il fatto di non voler controllare Gin.
    ‹ Se avessi il pavimento in vetro si vedrebbe il piano di sotto, non il vuoto. › lo prese un po' in giro, anche se sapeva benissimo quello che intendeva. L'idea di un pavimento in vetro inquietava un po' anche lei, l'idea che un giorno si potesse rompersi e farla precipitare giù per parecchie dozzine di metri. ‹ In compenso le ringhiere del giardino sono basse, se mi fai arrabbiare potrei decidere di buttarti di sotto. › scherzò, vedendo però l'espressione di Gin cambiare, come se qualcosa lo turbasse. Forse aveva davvero paura delle altezze.
    La chiamò per nome, solo per nome, c'era decisamente qualcosa che lo preoccupava.
    In fin dei conti anche a Gin sembrava importare essere accettato, e in qualche modo ciò la faceva sentire un po' peggio. Non voleva che Gin si sentisse inquieto e avrebbe voluto fare sua quella preoccupazione, che quella nervosa fosse soltanto lei. Che sciocca era stata a pensare che al corvino non tangesse l'opinione dei suoi, o forse più l'idea di farla stare male in qualche modo. ‹ Non... ›, i suoi occhi saettavano tra lui e il mare, le parole non uscivano dalla sua bocca perchè nemmeno lei era certa di quello che voleva dire. Avrebbe mentito solo per rassicurarlo?
    Gin era la perfetta rappresentazione di quel che suo padre disprezzava, i capelli lunghi, i tatuaggi e la sua personalità irriverente, il corvino avrebbe reso incredibilmente facile il farsi odiare ancor prima di aprire bocca. Per non parlare del fatto che studiava arte, se lui davvero sperava in ciò trovare la sua ancora si salvezza si sbagliava di molto: uno su un milione riusciva a trascendere, e il padre aveva semplicemente sposato quell'uno, tutto il resto erano perdenti, falliti o disoccupati, e questo sarebbe stato Gin ai suoi occhi. La madre invece... la conosceva così poco che non sapeva cosa aspettarsi da lei, forse nemmeno le interessava.
    ‹ ...mi importa. Non mi importa. ›, non era del tutto vero, ma non era nemmeno una bugia. Sapeva le avrebbe fatto male non accettassero la sua relazione, d'altra parte non aveva più intenzione di fare un passo indietro per non farli arrabbiare. Ne aveva già parlato con Yumeru, era stanca di sforzarsi a sostenere il peso di quel che per lei aveva smesso di funzionare.
    Le sue iridi azzurre si fermarono finalmente su quelle color miele di lui. Sentiva fosse colpa sua se tutta quella storia lo preoccupava, e voleva convincerlo che non ce n'era alcun bisogno.
    Yumeru le aveva insegnato che certe volte non c'era niente di male ad esprimere i propri sentimenti alle persone di cui si fidava. Fece un profondo respiro, prima che i pensieri confusi nella sua testa diventassero parole: ‹ Questa cosa tra noi... è sempre così complicata per me. La maggior parte del tempo non so nemmeno quello che sento, sto bene con te ma fai riaffiorare delle insicurezze che non sapevo di avere, e mi sento così fragile come se la sola idea di vederti sparire mi potesse rompere il mille pezzi.
    Io, io che controllo tutto della mia vita, ho per caso programmato quello che provo per te? Lo è il mio desiderio di trascorrere il mio tempo con te?
    Ti ho lasciato controllo su di me, sul mio umore e non lo volevo. Gin io non volevo innamorarmi di te, avevo pensato che mi saresti stato solo d'ostacolo, una perdita di tempo... ma man mano che uscivo con te ho cominciato a capire che tutto quello che volevo da un'uomo era ciò che silenziosamente desideravo da te. E se ti ho chiesto di venire a Kyoto non è per l'approvazione dei miei genitori, è perchè voglio che tu faccia parte della mia vita, voglio davvero che tu conosca ogni cosa di me, anche quelle che non riesco a dire ad alta voce. Voglio che tu faccia parte della mia famiglia con o senza la benedizione dei miei genitori. Non mi importa cosa pensino di te, voglio che sappiano che tu esisti e che ci si dovranno abituare perchè non ho intenzione di rinunciare a te. ›
    , la sua voce si spezzava e gli occhi brillavano di gocce che minacciavano di solcarle le guance; non erano lacrime di tristezza o felicità, ma di quella fragilità a cui aveva accennato. Si era esposta, stava rivelando la sua anima a Gin.

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    Gli occhi del giapponese tatuato ciondolavano come un'altalena tra i fuochi nel cielo che ritmicamente offuscavano le loro parole e il volto di lato di Sumire. Non voleva esporsi così tanto e onestamente si chiedeva perché lo avesse fatto. Non aveva mai amato sentire di dipendere dal giudizio di qualcuno ma comunque anche ammettendone la necessità questo sarebbe dovuto essere quello della giovane dai capelli bianchi, non certo quello dei suoi genitori. Cosa potevano fare questi, che abitavano persino in una città distante ore di treno da loro?
    Un fragile momento di riposo per l'arrovellarsi della sua mente fece vagare il suo pensiero su alcune parole di Sumire. Avevo detto che... il giardino aveva le ringhiere basse? Era possibile che fosse così emozionata da aver sbagliato parola oppure intendeva che aveva letteralmente un giardino sul balcone o sul tetto della casa? Aveva visto cose simili in qualche film e conoscendo la ragazza era molto più probabile che fosse semplicemente così ricca da considerarla una normalità sottintendibile che fosse effettivamente così scossa da quel momento da confondersi visto quanto era perfettina. Non avrebbe esposto i suoi dubbi in ogni caso dato che non era il momento.
    Ascoltò le sue parole con maniacale interesse osservando ogni minimo movimento della sua bocca come fosse una qualche rivelazione profetica: non aveva mai fatto un mistero di pendere dalle sue labbra onestamente. Se in quel momento si trovava così esposto e viscido come un insetto fuori dal suo esoscheletro era proprio per quell'eccessiva importanza quasi metafisica che aveva dato a Sumire. Era stata lei a sceglierlo, a salvarlo, sia come classe sociale che come aspirazioni ed ambizioni era decisamente più importante e rilevante di lui, era sempre bella e perfetta e sapeva sempre cosa dire e così via. Gin non aveva mai negato di essere fondamentalmente un rifiuto della società, aveva semplicemente affermato con convinzione di essere degno di esserlo e aveva abbracciato il suo ruolo, non senza intento polemico. Voleva proprio dimostrare ad una società eccessivamente chiusa e fissata sull'apparenza che anche un ragazzo tatuato, coi capelli lunghi (sin troppo lunghi) e aspirazioni non propriamente utili in una concezione meccanicistica della vita poteva e doveva essere un membro rispettabile di quella stessa società. Ora che si trovava però fondamentalmente di fronte alla prova finale del percorso che aveva intrapreso ne aveva una paura fottuta. I genitori di Sumire erano il boss finale fondamentalmente. E sebbene avrebbe accettato di essere sconfitto dalla società, di non trovare un lavoro o sussidi e di morire come un cane congelato sul bordo del marciapiede, non avrebbe potuto concepire una sconfitta in questo caso dato che il fallimento implicava il perdere lei. Quella battaglia morale e di schernimento aveva ora una posta in gioco sin troppo alta.
    Il suo atteggiamento di venerazione della ragazza non era certamente sano, ma non poteva esserlo visto il terreno dove piantava le radici: il terrore che aveva provato al SALEM e tutto ciò che era successo dopo. Quell'episodio non sembrava volerli lasciare andare e anche ora che si era quasi abituato alla vita normale quelle dichiarazioni che Matsumoto aveva rilasciato poche settimane prima erano tornate rumorose come un fantasma che scuote le sue catene nelle sale vuote di un castello infestato, facendolo tremare.
    Le parole di Sumire sembravano inconsistenti, era forse la prima volta che la sentiva dire qualcosa di così contraddittorio frase dopo frase. Beh forse la seconda se si voleva comprendere quel battibecco di qualche decina di minuti prima sulle possibilità di mangiare cibo spazzatura e andare al Tanabata. Ad ogni confessione dei suoi sentimenti faceva da contraltare una frase che faceva pensare lei fosse tutt'altro che felice in quella relazione. Gin però poteva capire benissimo il perché: anche lui avrebbe preferito rimanere nel grigiore piuttosto che trovarsi ora così debole e spaventato.
    Il suo contraddirsi, però, era testimone della sua onestà. Stava parlando senza tutte quelle centinaia di filtri che sovrapponeva ogni volta che apriva bocca, probabilmente più di quanti ne metteva prima di postare una foto su un qualche social sicura com'era della sua bellezza. Le sue parole erano incoerenti perché sincere. Non esiste un senso nei sentimenti, proprio come non esisteva in quella paura che ora lui stava provando. L'irrazionalità era la base di quel castello di nulla che albergava da qualche parte non precisabile del corpo umano. E i suoi occhi, che normalmente erano freddi come il ghiaccio, sembravano così caldi da poter scottare ogni parte della sua pelle dove li avrebbe posati. La ragazza si era girata e i due si stavano guardando allo sfiorire delle sue parole, illuminati dalle esplosioni in cielo.
    Gin sospirò, poi portò la mano destra alla sua guancia e congiunse le loro labbra. Non era un mero pensiero come alla fine del loro primo appuntamento questa volta e non gli importava di essere in pubblico, perché probabilmente entrambi avevano bisogno di quel bacio in quel momento. Si ricordava mesi e mesi prima quando si erano salutati dopo che lui l'aveva accompagnata a casa: aveva paura anche solo a sfiorarle la mano, figuriamoci rubarle un bacio dopo che si era pure preso una ramanzina per aver utilizzato la sua unicità senza permesso al ristorante.
    Difficile dire per quanti scoppi colorati sarebbero rimasti in quell'amplesso se la ragazza lo avesse lasciato fare, ma una volta separate le loro labbra quelle di Gin avrebbero iniziato a tremolare leggermente. Probabilmente avrebbe potuto piangere (anche) lui in quel momento, ma aveva sia un po' di dignità che di autocontrollo rimasti in corpo al momento.
    ... Non hai risposto alla domanda. - cercò di sorridere sottolineando tecnicamente la verità dato che "non mi importa" non era una risposta. Era la risposta più anticlimatica che potesse dare in quel momento? Molto probabile, ma non sapeva che altro dire. Si aspettava solo un falso "sì" o un fin troppo realista "no", non certo quella confessione.
    Ti amo, Murakami, lo sai? - aggiunse distogliendo leggermente lo sguardo quasi imbarazzato. Un po' gli dispiaceva di non essere in grado di esprimersi con l'onestà e l'emozione con cui lei lo aveva appena fatto ma non si può dire che le parole (specialmente usate non per ferire gli altri) fossero mai state il suo forte. Era sempre stato più bravo ad esprimersi per immagini o coi gesti piuttosto e... sì, ormai le avrebbe dovuto fare quel quadro per forza per sdebitarsi.
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    Sumire Murakami

    Nel rumore degli scoppi riuscì comunque ad udire il proprio sospiro tremante, e quello che prima era emozione si trasformava in sensazione fisica: così vulnerabile che anche in quella giornata di luglio, il minimo accenno di vento l'avrebbe fatta tremare.
    Eccola lì, dopo solo un attimo dall'essersi promessa di non esagerare, che lasciava prendere parola al suo cuore e confessava ciò che avrebbe più voluto tener segreto. Parlava di quella dipendenza che per lui aveva, del terrore nel vederlo sparire, e gli affidava quei sentimenti perché fosse cosciente dell'effetto ch'egli aveva su di lei. Aveva opposto resistenza, per non essere più sfiorata da quella debolezza che per quanto dolce appariva, era convinta nel tempo sarebbe diventata amara e le avrebbe fatto male, com'era già successo.
    Aveva parlato per rassicurare lui, ma adesso era lei quella insicura. Gin avrebbe accettato quello che lei provava? Forse la considerava pazza, non stavano assieme da così tanto tempo, forse in quel modo l'aveva solo spinto a scappare. Non sapeva leggere la sua espressione, che per tutto il tempo l'aveva guadata senza aprir bocca, e quando calò il silenzio Sumire avrebbe tanto voluto che usasse quella sua irritante dote e riempisse il vuoto con parole. Le sarebbe andato bene qualunque cosa, che la ignorasse e facesse finta di non aver sentito quel che aveva detto, o anche solo un semplice okay. Ma quel silenzio di riflessione era spaventoso.
    Un sospiro. La sua mano che accarezzava la guancia di lei, e infine un bacio. Grazie a quel tocco, scivolavano via tiepide gocce dai suoi occhi, disperdendosi nell'aria e trascinandosi dietro le sue paure.
    Nel corso dei mesi le sue barriere di ghiaccio si erano sciolte per lui e lo avevano lasciato passare, poco alla volta, fino a quell'esatto momento; dove prima osservava l'immagine sbiadita e alterata del ragazzo attraverso le sue mura, ora si trovava davanti a lei, cristallino, e vedeva tutto chiaramente. Comprendeva la passione di quelle due stelle cui il Tanabata parlava, il voler passare ogni secondo assieme al suo amato, dimenticando i propri doveri, perché quando stavano assieme non c'era altro a cui lei volesse pensare.
    Gin l'aveva conquistata, e Sumire sapeva lui avesse barato, arrivando nel momento in cui lei ne aveva più bisogno, rappresentando uno stacco dalla sua vita di tutti i giorni che poi avrebbe capito non riuscire a sopportare così com'era. Per la ragazza dai capelli bianchi lui era stato quel rifugio che si costruisce da bambini di cui nessuno è a conoscenza, il luogo sicuro dov'era libera di fare quello che voleva e dove poteva scordare la sua realtà, mentre ora desiderava ne facesse parte.
    Il tempo sembrò fermarsi, e riprendere a scorrere soltanto al loro separarsi. Gli occhi socchiusi stampavano nella sua mente quel frammento di momento, che da allora sarebbe stato un'amorevole ricordo.
    Il volto di Sumire si nascose nel buio, osservava il mare e si asciugava con rapidità le guance bagnate da ribelli lacrime. Era pronta a spezzare lei quel silenzio ora che non ne provava più alcun ansia, ma Gin fu più rapido. Non aveva risposto alla sua domanda. Dopo tutto quello che gli aveva detto, il tatuato non s'era ancora scordato quella domanda. A quel punto l'albina non sapeva se mettersi a urlare o a ridere. Scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo, non si aspettava altro da lui, che quella sciocca affermazione, perché non c'era nulla da aggiungere e le parole le aveva già esaurite tutte lei. Si voltò di nuovo verso di lui, imbronciata, anche se scherzosamente, pronta a sgridarlo. Gin non le lasciò il tempo.
    Fu così improvviso che se non avesse prestato attenzione quelle poche parole si sarebbero perse negli scoppi degli ultimi fuochi. "Ti amo, Murakami, lo sai?".
    Se il bacio di prima volle togliere ogni suo dubbio, quelle parole scossero il suo animo e fecero fremere il suo corpo. Non riusciva a credere a ciò che aveva ascoltato e se ne rimaneva in silenzio, con lo stupore negli occhi azzurri, e il rosso che macchiava le guance e sembrava volersi impossessare di tutto il suo viso. Per un secondo avrebbe giurato di sentire come lo scoglio sotto di lei spariva, lasciandola fluttuare nel nulla. Gin la amava? Come poteva essere così sicuro di quel che diceva? Aveva professato amore senza neppure esitare un secondo, com'era possibile che gli fosse risultato così facile, come lo aveva capito? Avrebbe voluto tempestarlo di domande mentre tratteneva quell'oceano di emozioni che la sua confessione le aveva provocato.
    E lei, lo amava? Era amore ciò che aveva descritto prima? Era confusa, ma in modo piacevole. Quel che lei provava in realtà era passato in secondo piano, perché Gin la amava, non gli importava quanto veleno potesse uscire dalle labbra di lei, -anche se in suo confronto, diveniva presto acqua di rose-, la amava lo stesso. E in quel momento di poca lucidità pensò che forse erano davvero fatti l'uno per l'altra. La versione malvagia moderna di Orihime e Hikoboshi.
    Non si prestò a parlare, la sua mano si appoggiò sul viso di lui e le dita si soffermarono suoi capelli neri a spostargli una ciocca dietro all'orecchio. In circostanze differenti non avrebbe osato, in pubblico, avvicinarsi fino a rendere la loro distanzia un soffio. Non ebbe alcun cenno d'incertezza, nessun tentennamento all'avvolgere il braccio libero attorno alle sue spalle, e poi fiondarsi sulle sue labbra in un impeto tanto improvviso quanto brusco. Non era da lei, e Gin se ne sarebbe accorto, baciarlo in quel modo, premere le sue labbra contro le proprie quasi a volersi appigliare ad esse, quando ella di solito apprezzava la delicatezza nei gesti. In realtà non era proprio da lei prendere iniziativa, adesso voleva esprimere ciò che a parole non era ancora sicura di dire.
    Non le importava se non erano soli, nella sua mente c'erano solo loro, il fruscio delle onde, e i loro cuori sulla riva.

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    Gin sospirò. Quelle parole significavano probabilmente molto di più di quanto non volesse ammettere a sé stesso anche se era evidente che non fosse lui lo tsundere della coppia. Un esplosione nel cielo illuminò il volto di Sumire e i riflessi nei suoi occhi sembravano quasi confessare che stesse piangendo. Impossibile, la ragazza dai capelli bianchi non lo avrebbe mai fatto. Anche l'umido che sfiorava il pollice di Gin, poggiato dolcemente sul suo volto, doveva essere solo uno schizzo dell'acqua salata del mare.
    Come detto, i loro modi di porsi erano diametralmente opposti. Il ragazzo tatuato non era bravo con le parole, quella confessione era tutto ciò che aveva da dire. Per lui le parole della Murakami significavano la stessa identica cosa, erano solamente più approfondite, meglio spiegate. Se la ragazza di Kyoto aveva sezionato quel sentimento mettendone ogni singola parte sotto il microscopio lui si era semplicemente limitato ad esternarlo. Quella di Gin, in cuor suo, non era una confessione ma una risposta.
    La ragazza si fiondò su di lui e dire che quella reazione fosse inaspettata sarebbe stato largamente sminuente. Conoscendo la giovane e le rimostranze che mostrava per le dimostrazioni di affetto - specialmente in pubblico - si sarebbe semmai aspettato uno schiaffo. La sua mano invece gli accarezzò il viso e gli aggiustò i capelli prima del cozzare nuovamente delle loro labbra. La mano che Gin usava come appoggiò sullo scoglio non bastò a tenerlo in equilibrio, anche a causa dell'ambiente umidiccio, e il ragazzo cadde leggermente all'indietro, evitando una schienata solo riuscendo a poggiare non troppo dolcemente il gomito. Sumire era su di lui e non sembrava intenta a staccarsi.
    Portò nuovamente la mano al suo volto mentre si perdeva nei suoi baci, e dove le sue dita incontravano la pelle candida di lei dei piccoli cuoricini rimanevano incisi sul suo volto per poi scoppiettare come i fuochi d'artificio nel cielo che ormai stavano scemando. L'effetto sulla pelle era simile a quello di una leggera scossa e forse Sumire, presa dal momento, non se ne sarebbe neppure accorta. Gin sapeva bene quanto lei detestasse l'utilizzo delle unicità senza permesso ma non era un gesto voluto, semplicemente anche le sue dita fremevano per lei, difficile trattenersi.
    Ahem. - avrebbe borbottato al termine di quell'impeto d'amore, notando ancora un cuoricino di inchiostro sul volto di lei. Passandovi il pollice come una carezza lo avrebbe fatto sparire immediatamente - Beh... grazie. - aggiunse arrossendo leggermente - Un po' in ritardo per il compleanno ma grazie. - aggiunse sornione - Mi... Mi auguro la proposta di restare da te stanotte sia valida. - aggiunse abbassando lo sguardo e portando la mano destra al contenitore dei soba che, tra le sue gambe incrociate, quasi non gli si era rovesciato addosso per la mossa della ragazza.
    Avrebbe voluto continuare, ora, ma si rendeva decisamente conto che non era il caso nonostante la fine dello spettacolo dei fuochi d'artificio avesse fatto calare nuovamente il buio sul nero mare della baia di Tokyo. La verità era che, giunti a quel punto, non aveva la minima intenzione di dormire da solo quella notte. Al di là degli impulsi carnali, Gin era un ragazzo emotivo e particolarmente prono a prendere troppo in fretta decisioni controverse che lo avrebbero inseguito per tutta la vita: dopo quella confessione avrebbe avuto quasi voglia di andare in America, comprare una qualche fattoria in fallimento e vivere lì tra mucche e maiali per tutta la sua vita assieme a Sumire e i loro quattro figli come in qualche film. Un pensiero strambo e probabilmente ben poco romantico ma spesso nei momenti importanti il suo cervello andava in cortocircuito e aveva desideri strani.
    Vorrei... vorrei dormire con te. - confessò quindi abbassando appositamente la voce nel momento importante - Accarezzarti i capelli e guardarti mentre ti addormenti. - proseguì distogliendo lo sguardo da lei, imbarazzato. Ecco, quella era una confessione importante e imbarazzante, non il "ti amo" di poco prima - Non... Non è una cosa molto da Sumire Murakami, non è vero? - sospirò. Non stava cercando di rinfacciarle qualcosa, ma era evidente che loro fossero su poli decisamente diametralmente opposti quando si trattava di cose dolci e quell'aggettivo era difficilmente abbinabile alla giovane dai capelli bianchi.
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    Si sentì precipitare e non era solo un'impressione, stava davvero cadendo, Gin doveva essere scivolato, e la sua poca cognizione dello spazio le fece credere per un attimo che sarebbero finiti entrambi in mare. Più tardi avrebbe pensato che sarebbe stato quasi meglio, forse l'acqua fredda avrebbe fatto dimenticare a Gin quel momento che nemmeno Sumire sapeva spiegarsi.
    Non accadde, la discesa finì in meno di un secondo e i due si trovavano ancora sullo scoglio, asciutti; a quel punto era inutile, se non impossibile, fermarsi. Doveva trattarsi della gravità, che l'attirava inevitabilmente verso le labbra del suo ragazzo, quelle labbra che hanno tutta solo morbidezza e che per mesi erano state soltanto sue. Fuggiaschi brividi senza meta attraversavano il suo corpo ogni volta che le dita di Gin sfioravano la sua pelle, riconobbe l'inequivocabile sensazione, cui sapeva bene da cos'era prodotta, ma ora come ora qualunque cosa aveva perso della sua importanza, il corvino avrebbe potuto marchiarle tutto il corpo e lei non si sarebbe opposta. Avrebbe voluto durasse per sempre, desiderava l'intimità di casa sua quando le onde le suggerivano di continuare e abbandonarsi alle sue braccia.
    Staccarsi fu come tornare alla realtà, di cui lei avrebbe fatto volentieri a meno adesso, non c'erano più fuochi ad illuminarli, solo le pallide stelle, quando erano terminati? Era stata così poco attenta al cielo che non ne ricordava quasi alcuno, ricordava della loro esistenza a causa della luce che aveva illuminato il volto di Gin mentre lei aveva parlato, e ora anche quei ricordi apparivano lontani.
    Le iridi del corvino sembravano riuscire ad assorbire anche quella timida luce notturna e si abbassarono a nascondersi dalle sue, che avevano imitato il colore oscuro del mare. La ringraziò come faceva spesso anche quando uscivano, e Sumire un po' lo odiava per questo, perchè dopo un bacio o un'uscita non si aspettava un ringraziamento, forse dagli altri, ma non dal suo fidanzato; non lo faceva certo per fargli un favore, stava bene con lui e lo aveva baciato perchè... lo amava, forse?
    Se da una parte odiava i suoi ringraziamenti, gradiva invece il suo riuscire a tirarla fuori da quel tipo di situazioni come se fosse niente, e non farla sentire a disagio. ‹ Se avessi saputo che bastava un bacio come regalo di compleanno, non mi sarei arrovellata tanto per trovarti qualcosa. ›, già trovare un regalo per un ragazzo era difficile, lo diventava ancora di più quando era il suo ragazzo. Per lui non poteva andare bene soltanto una camicia o un braccialetto, doveva avere un significato, o perlomeno doveva essere qualcosa che avrebbe davvero gradito. Una malsana idea era stata quella di affittare un salone che potesse usare come studio ma si rendeva conto che era forse un po' troppo e che non avrebbe saputo come giustificare l'acquisto alla sua famiglia, e alla fine aveva optato per un set di acquarelli e un cavalletto da pittura. Era stata anche tentata di dipingere qualcosa per lui, aveva avuto il suo periodo da artista ed aveva imparato qualcosa, ma non era brava e non poteva consegnare a Gin qualcosa di mediocre perciò aveva subito lasciato perdere. E ricordava di averglieli dati come se non contassero nulla, come se non avesse passato giorni interi a pensarci.
    Non si era dimenticata di averlo invitato da lei, e in verità non aveva mai avuto davvero intenzione di ritirare l'offerta, anche se non si notava, e nemmeno Gin sembrava esserne a conoscenza, Sumire voleva dormire con lui esattamente quanto quest'ultimo con lei.
    Il suo sguardo si fece timido e le sue parole sussurrate, come se stesse chiedendo il proibito, forse temendo che l'albina avrebbe rifiutato, ma nemmeno lei era così insensibile quando lui domandava accarezzarle i capelli o guardarla dormire. No, non erano affatto cose da Sumire Murakami, e in un'altra occasione forse l'avrebbe respinto, ma c'erano giorni in cui non era più Sumire la regina dei ghiacci, ma una semplice fanciulla caduta vittima dell'amore, e quel giorno lo aveva dimostrato più del solito, che perfino lei ogni tanto poteva apparire dolce.
    ‹ Per un giorno credo di poter fare un'eccezione e concederti l'onore di guardarmi dormire. › replicò con un sorriso divertito ad incorniciarle il viso. Si allontanò definitivamente da lui, osservando il contenitore di soba che miracolosamente era rimasto intatto e non si era rovesciato in tutto quel loro agitarsi. La ragazza iniziò a mettere tutto dentro la busta di plastica dato che ormai la fame le era passata. ‹ Per colpa tua mi sono persa i fuochi. › lo incolpò, dopotutto erano andati lì proprio per lo spettacolo e alla fine avevano fatto tutt'altro che non seguirlo. Chissà se era anche stata l'atmosfera a spingerla a quella confessione, o se sarebbe stata la stessa anche fossero rimasti nel suo appartamento.

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    Heh. - ridacchiò tra sé e sé alle parole della ragazza. Aveva apprezzato il regalo per il suo compleanno e sebbene quell'interminabile bacio lo avesse sfregato non avrebbe certo accettato quello scambio, era un semplice modo di dire. I materiali per disegnare e dipingere avevano un costo spropositato, quindi erano sempre ben accetti. D'altro canto, da lei avrebbe accettato letteralmente qualsiasi cosa. Portò i fianchi verso il polso che era fisso a terra cercando di raddrizzarsi. Le esplosioni nel cielo erano ormai terminate e le sue orecchie si stavano di nuovo adattando a quel silenzio ritmicamente interrotto solo dal rumore delle deboli onde che si infrangevano sugli scogli dove si erano accampati.
    Accennò un timido sorriso quando la ragazza gli concesse di passare la notte da lei. Avrebbe dovuto avvisare i suoi genitori probabilmente, ma farlo ora sarebbe stata la scelta più imbarazzante possibile. E sì, questo significava che sarebbe stata una mossa molto adatta a lui, ma decise ovviamente di non farlo. Si limitò a muovere la sua mano destra verso quella della ragazza per accarezzarla con dolcezza.
    Mi toccherà passare la notte insonne allora. - mormorò sottovoce. Gli sarebbe piaciuta l'idea di vegliare su di lei come un qualche guerriero leggendario a difesa di una qualche dea, ma la verità era (come al solito) che probabilmente Sumire sarebbe stata per sé stessa un bodyguard decisamente migliore rispetto a Gin. Sarebbe stato più come avere un qualche tizio deboluccio fare da guardia ad un gigantesco drago intento a riposare. La verità era molto più egoista, avrebbe voluto osservare ogni singola linea del suo viso e del suo corpo per marchiarla a fuoco nella sua memoria per gli anni a venire.
    Un passatempo decisamente strambo e forse persino da maniaco, ma al ragazzo coperto di tatuaggi piaceva vedere le persone dormire. Fragili, esposte, il sonno e la sua incoscienza erano forse l'unico momento in cui davvero si poteva credere che qualcuno non stesse mentendo lasciando scivolare anche la più sottile maschera che indossava invece tutti i giorni. Le palpebre strette, i micro movimenti, quegli impercettibili sussulti quando il corpo si abbandonava al sonno raccontavano tutta la verità su una persona.
    Beh... - riprese quindi, venendo accusato di aver fatto perdere alla ragazza lo spettacolo dei fuochi d'artificio che tanto ci teneva a vedere - Vorrà dire che mi toccherà portarti qui anche l'anno prossimo, no? - le fece un occhiolino con fare sornione. Sapeva benissimo che quella era una delle classiche polemiche fatte tanto per fare dalla ragazza dei capelli bianchi, la quale probabilmente doveva solo cercare di mantenere una fallace compostezza dopo quello slancio emotivo a cui si era abbandonata, ma questo non significava certo permetterle di sfuggire a quella lusinghiera promessa di amore eterno. O, beh, perlomeno a lunga scadenza.
    Umh... Non mangi più? Vuoi andare a casa? - le chiese vedendola rimettere il cibo all'interno della busta di plastica. Lui avrebbe volentieri finito e mangiato anche gli avanzi di lei, ma così facendo avrebbe solo tacitamente confermato quelle maledicenze che la ragazza aveva espresso sulla sua dieta mentre giravano tra le bancarelle. Nulla in fondo gli impediva di riprendere la cena a casa di Sumire, qualora avessero avuto voglia o tempo. Certo, forse era meglio tenere le aspettative basse e soprattutto non passare per uno che pensava solo ed esclusivamente a quello.
    Magari potremmo guardare un po' cosa fare a Kyoto? - le chiese quindi, con l'intento di aiutarla a rimettere le cose a posto nel caso volesse tornare al suo appartamento - Manca qualche mese ma almeno non ci dimentichiamo. - le sorrise quindi, per poi riprendere a bisbigliare dopo un paio di secondi - Ahem, non mi dimentico. - borbottò. Gin era quel tipo di persona entusiasta quando le cose gli venivano proposte ma che, se non seguito passo passo, finiva per perdersi tra altre mille cose e dimenticarsi di fare le cose. Tutti gli esami di materie che non apprezzava particolarmente si ricordava di studiarli solo il giorno prima praticamente. Fortunatamente aveva al suo fianco una persona ordinata e perfettina come la Murakami dai capelli bianchi: non sarebbe certo migliorato, ma almeno lei gli impediva di andare completamente allo sfacelo.
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    Sumire Murakami

    Il silenzio le pareva estraneo dopo che le loro voci per tutto quel tempo erano state coperte dagli scoppi nel cielo; i fuochi d'artificio non illuminavano più il loro viso e tutto era tornato in quiete, ad accompagnarli vi era solo il suono delle onde che s'infrangevano contro lo scoglio e ovviamente la voce del suo ragazzo. ‹ Non farlo! › si lamentò. ‹ Se so che mi stai guardando non riuscirò mai a dormire. ›, come al solito Sumire non capiva quanto il corvino fosse serio, ovviamente esagerava e non avrebbe passato tutta la notte ad osservarla, ma forse avrebbe aspettato che fosse lei ad addormentarsi per prima. Era carino, ma l'avrebbe certamente messa a disagio. Le piaceva essere ammirata, ma preferiva che fosse nei momenti in cui aveva il controllo di ciò che faceva, che potesse accorgersi degli sguardi puntati su di lei, e solo a Gin poteva concedere di guardarla in quel momento d'incoscienza.
    Tu non mi hai portata qui, al massimo il contrario. E poi sappiamo entrambi che non te lo ricorderesti mai, quindi io porterò te qui l'anno prossimo. › lo rimbeccò. Si era agitata per nulla prima, quando avevano scoperto di non avere alcun telo su cui stendersi sulla sabbia, quella piccola dimenticanza li aveva portati fin lì, fino a quella confessione e quel bacio che forse non sarebbe accaduto sulla sabbia, così vicino a tutti gli altri. Se avesse potuto ripetere quella serata non avrebbe cambiato nulla, era perfetta così, anche se non era uscita proprio secondo i suoi piani, a dimostrarle che non sarebbe stato sempre un disastro se le cose non andavano come lei voleva. Non le importava proprio nulla dei fuochi, erano stati il sottofondo di quella sera e li avrebbe ricordati solo nel viso di Gin che essi avevano illuminato, quella provocazione le serviva solo per interrompere quel momento fin troppo romantico e tornare come prima, a ciò di cui era più abituata. Aveva parlato fin troppo dei suoi sentimenti, non avrebbe fatto finta di non averlo fatto com'era solita fare, ma sarebbe passato un bel po' di tempo prima che succedesse di nuovo.
    Sumire iniziò a mettere a posto le sue cose ed annuì alla domanda del ragazzo, aveva mangiato forse meno della metà. ‹ Non mi va più, ma tu finisci. ›, non era sua abitudine mangiare troppo pesante e forse già solo gli spiedini di pollo le sarebbero bastati come cena, ma non avrebbe messo fretta al suo ragazzo che sapeva invece avrebbe potuto finire tranquillamente anche i suoi avanzi; il cibo era buono, ma non era qualcosa che avrebbe mangiato tutti i giorni e non capiva come Gin potesse vivere in quel modo.
    Le sopracciglia bianche della ragazza raggiunsero un'inarcatura non indifferente al sentirgli dire che si potevano dimenticare della loro visita a Tokyo. Gin doveva ormai conoscerla abbastanza bene e sapere che non si dimenticava di nulla, sopratutto non di qualcosa di così importante come il far conoscere lui ai suoi genitori. Non doveva solo prendere i biglietti del treno o dell'aereo, doveva avvisarli in anticipo in modo da assicurarsi che fossero entrambi a casa, avrebbe dovuto dirgli prima che lei aveva un ragazzo perchè la cosa non fosse troppo brusca, e sopratutto doveva trovare un'ottima scusa per averlo nascosto per mesi. La cosa era molto più complicata del solo dover andare a Kyoto, avrebbe lasciato vivere Gin nella sua innocenza e non lo avrebbe tormentato con quelli che alla fine erano i suoi problemi. ‹ Segnatelo da qualche parte, non vorrei che prendessi altri impegni. Oh, e avrò bisogno che tu mi dica i giorni dei tuoi esami così che non prenoti il viaggio quando sei impegnato. ›, l'albina non aveva la minima idea di come le cose funzionassero all'università, sapeva solo che c'erano esami anche nel periodo in cui lei invece era in vacanza, e non voleva farli coincidere per caso.
    Una volta finito di sistemare l'albina avrebbe ripreso in mano il suo panda e si sarebbe alzata, stiracchiandosi, rimanere seduti sugli scogli non era proprio il massimo della comodità. ‹ Possiamo fare un sacco di cose, è un peccato andarci d'inverno perchè i paesaggi sono migliori in primavera o d'estate, ma non mi va proprio di aspettare fino alla prossima estate. › e l'idea di andarci quella stessa estate non era minimamente contemplata, nemmeno era convinta se ci sarebbe tornata lei stessa a Kyoto quell'anno. Non aveva molta voglia... stava così bene lì a Tokyo.
    Un sorriso un po' malandrino si impossessò del suo viso quando le sue iridi si posarono prima sull'oceano, e poi su Gin.

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    Sorry il ritardo, ho avuto un esame sia ieri che oggi =w=
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    Vedendo la ragazza mettere via il cibo, il ragazzo dai lunghi capelli neri si attivò per riporre anche il suo con l'intento di continuare la cena semmai con un tetto sopra la testa e un pavimento al posto degli scogli.
    Guarda che mica ti mangio. - ridacchiò quando la Murakami dai capelli bianchi gli disse che col suo sguardo addosso non si sarebbe riuscita ad addormentare. Il tatuato non intendeva certo fissarla come un qualche maniaco fino a che non si fosse addormentata ma aveva intenzione di godersi ogni singolo attimo che poteva passare assieme a lei. Quello era il piano almeno, poi chissà, magari si sarebbe addormentato come un sasso non appena poggiata la schiena sul suo materasso. Conoscendo un pochino la ragazza questo doveva certamente essere molto più comodo del suo in ogni caso.
    Aye, aye. - scosse la testa con un sorriso quando la giovane gli rimproverò di essere stata lei a portarlo lì e non il contrario. Nonostante quell'abbandono emotivo mostrato da quel lungo bacio di pochi minuti prima tutto sembrava tornato alla normalità e Sumire era troppo orgogliosa e vanitosa per permettersi di lasciargli l'ultima parola nonostante lui non intendesse minimamente prendersi i suoi meriti. Il suo atteggiamento non lo infastidiva - anche perché spesso era lui a giocare allo stesso gioco - semplicemente lo divertiva genuinamente. Decise di non rispondere alla provocazione perché, per quanto superflua, era comunque veritiera: non si sarebbe probabilmente mai ricordato di portarla nuovamente ai festeggiamenti l'anno dopo, la sua affermazione era solo il suo modo subdolo di lusingarla sottintendendo che avrebbe voluto restare con lei almeno un altro anno.
    Oh, mmmmmmh... - borbottò venendo quindi fermato nell'atto di riporre il cibo dalla ragazza, la quale non voleva più mangiare ma lo avrebbe aspettato volentieri - Beh, allora ok. - disse quindi riprendendo i soba (ormai un po' freddi) con l'intento di finirli mentre ascoltava la giovane albina parlare del viaggio.
    Beh, in ogni caso me lo ricorderai tu, no? - fece un occhiolino occultando una delle iridi gialle mentre proseguiva la cena. Precedentemente si riferiva al dimenticarsi di pianificare più che del viaggio in sé, ma effettivamente era sicuro che la ragazza sarebbe stata in grado di pianificare una tabella di marcia encomiabile anche senza il suo aiuto. Anzi, senza lui di intralcio sarebbe probabilmente uscita persino meglio.
    Comunque... Quando li saprò te li dirò, ma non preoccuparti. - riprese quindi dopo aver deglutito un boccone - Gli esami si possono dare sempre, tu sei più importante. - aggiunse. Nonostante le sue dimenticanze e la sua pigrizia l'università andava bene e si sarebbe potuto permettere di sgarrare leggermente per la loro gita se ci fosse stato bisogno.
    Nulla ci vieta di tornare in primavera o in estate, waisu-chan. - le sorrise quindi - Anzi, se ci portiamo i materiali e ci andiamo spesso possiamo fare come le Trentasei vedute del Monte Fuji del maestro Hokusai. - ridacchiò riferendosi a una delle raccolte più famose di paesaggi ukiyo-e giapponesi in cui Katsushika Hokusai aveva ritratto il Monte Fuji in trentasei occasioni diverse - Tipo le trentasei vedute di... Umh... Il Castello Nijō suppongo. - borbottò poi un po' in dubbio. Come detto Gin non conosceva molto di Kyoto e aveva citato il primo monumento architettonico che gli passava per la testa, una costruzione che aveva studiato a lezione di architettura l'anno prima.
    Sai, umh... - sussurrò timido una volta conclusa la cena - Sai se ci sono tatuatori famosi? - chiese. Era un po' un nerd per quelle cose ma non si era mai informato bene sulla vecchia capitale - Sai, un tempo mi piaceva l'idea di accogliere sulla pelle un tatuaggio per ogni città visitata. Solo che alla fine non sono mai andato da nessuna parte e per colpa della mia smania... Beh, ora non c'è più spazio libero. - ridacchiò massaggiandosi la chioma nera una volta rimesso a posto.
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    Sumire Murakami

    ‹ Non è quello il punto. Non mi piace che... mi guardi. › era contraddittorio sentirlo pronunciare da lei, Sumire amava essere ammirata, viveva per attirare l'attenzione e questo si notava nei dettagli, come il modo particolare di vestire, a volte esageratamente elegante, o il suo carattere da ape regina. Viveva di quegli sguardi e dell'approvazione degli altri, ed era questo che qualche mese prima l'aveva portava ad avere quella crisi e a sfogarsi su Yumeru. La paura del fallimento era stata dovuta anche dalla visione che gli altri avevano di lei, alle aspettative che lei stessa pensava di dover compiere per non deludere quella figura perfetta che tutti credevano fosse, e non ci era riuscita.
    Con Gin però non era di questo che si trattava, o almeno non solo. ‹ ...in quel modo in cui tu mi guardi. ›. Faceva finta di non notarlo, ma invece vedeva il modo in cui a volte si fermava ad osservarla, simile ma fondamentalmente diverso da come facevano gli altri, perchè partiva da basi completamente differenti. Il corvino glielo aveva confessato poco prima, l'amava, ed era ciò quello che aveva visto nei suoi occhi per tutto quel tempo senza rendersene conto. Un pizzico di ammirazione mischiato a quel sentimento, così la guardava, come se si fosse innamorato di una Dea e per puro caso ella ricambiasse i suoi sentimenti. E ora Sumire si sentiva ben lontana da una divinità, o anche solo dalla ragazza perfetta che aveva finto di essere.
    ‹ Gin che cosa pensi di me? › il suo tono era serio, lei aveva parlato fin troppo, sorprendetemene più di lui, e non glielo stava domandando per ricevere complimenti. Voleva davvero sapere che cosa passava per la sua testa, ed aveva l'urgenza di smentire quel che lei sapeva lui pensava. Non voleva si creasse un'immagine erronea di lei, o meglio, non voleva che la vedesse come facevano anche gli altri.
    Il ragazzo dai capelli lunghi avrebbe dovuto essere molto più diretto di così per far capire a Sumire ciò che intendeva, la ragazza infatti non aveva minimamente letto tra le righe delle sue parole, perchè era naturale che sarebbero rimasti assieme almeno un altro anno, che volevano stare assieme. ‹ Certo. ›, ripose la borsa con i suoi avanzi su un lato dello scoglio e lo osservò finire i suoi soba, disapprovando totalmente il suo discorso.
    ‹ Non sono più importante dei tuoi esami. › disse in automatico, pensando che fosse ciò che si sarebbe detta lei se avesse dovuto scegliere se dare un esame o uscire col suo ragazzo. ‹ Cioè sì, certo che lo sono. ›. Era difficile spiegare il concetto quando si contraddiceva da sola, Gin avrebbe fatto meglio a considerarla più importante delle su valutazioni, ma in certi casi quelli avevano la priorità sulla loro relazione. ‹ Ma che non ti venga in mente di saltarli per me Gin. › si permise di sgridarlo. L'albina era molto seria quando si parlava di ciò cui dipendeva il suo futuro, già il ragazzo dai capelli lunghi non sapeva cosa farsene, non gli avrebbe permesso di perdere troppo tempo all'università o di essere lei stessa causa delle sue distrazioni.
    Gin si dimostrò parecchio positivo, pensava di poter tornare tranquillamente più avanti, Sumire invece non riusciva a vedere oltre quel viaggio. Certo, non c'era bisogno che stessero a casa sua nel caso volessero tornare una seconda volta, ma era Gin l'unico motivo del suo entusiasmo nel tornare a Kyoto. Ammetteva un po' di starlo usando, dopo le vacanze di primavera non era più tornata e non voleva andarci da sola, fonte di spiacevoli ricordi e recenti problemi sperava che il suo ragazzo le desse un po' di coraggio per superare quella che ormai era quasi una paura del tornare a casa.
    ‹ Mi piacerebbe, sai che adoro guardarti disegnare. ›, anche se lui aveva parlato al plurale, lei non lo avrebbe accompagnato in ciò. Sumire non aveva certo preso il lato artistico della madre, aveva avuto un breve periodo in cui aveva voluto imparare a disegnare e dipingere e se tecnicamente poteva sempre migliorare a lei mancava più l'essenza: la fantasia. L'albina era una ragazza logica, poteva apprezzare le Trentasei vedute del Monte Fuji ma non le sarebbe mai venuto in mente un tale lavoro, perchè mancava d'immaginazione.
    ‹ Uhmm, non conosco tatuatori famosi, ma so di un studio, l'harizanmai, specializzate in tatuaggi stile arte tradizionale giapponese, sono bravi. ›, disse, un po' restia a parlarne con lui, che impulsivo com'era, non voleva ritrovarselo un giorno con dei tatuaggi sul viso perchè non aveva altro spazio a disposizione.
    ‹ È un'idea carina, ma ora un po' irrealizzabile. › Sumire non apprezzava troppo i tatuaggi in eccesso, e Gin era l'eccesso fatto persona, solo che quel che lui aveva addosso poteva definirsi come un unico ed enorme tatuaggio, aveva la propria armonia e stava bene sul suo corpo. Un tatuaggio in più però poteva rovinare tale equilibrio.
    ‹ Sai, penso di non avertelo mai chiesto. Ma come hai fatto a decidere a farti tatuare tutto il corpo? Voglio dire, è qualcosa di così estremo, rimarrà per sempre sulla tua pelle... e poi con tutti i pregiudizi che ci sono... perchè lo hai fatto? ›

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    Gin sorrise ascoltando la ragazza parlare. Era conscio che in una certa misura il suo sguardo la infastidisse, ma personalmente pensava fosse così solo in pubblico. Insomma, conoscendo Sumire era abbastanza normale che l'idea di essere osservata a lungo di fronte ad altre persone potesse imbarazzarla, ma quando si trovavano da soli? Quello era abbastanza strano. Il Nakano, poi, in quanto aspirante artista o perlomeno presunto tale avrebbe passato ore a guardarla per fissare ogni piccolo particolare nella sua memoria fino a poterla disegnare anche ad occhi chiusi.
    Storse un po' il naso alla domanda successiva della ragazza. La cosa che più gli dava fastidio era che il suo tono di voce fosse serio e sapeva benissimo che non se la sarebbe potuta cavare con una battuta, la Murakami lo avrebbe probabilmente fulminato con lo sguardo e non lo avrebbe lasciato andare fino a ricevere una risposta che la soddisfacesse. Il ragazzo tatuato però, come detto, non era molto bravo con le parole.
    Era difficile, per lui, spiegarle cosa pensasse di lei, principalmente perché raramente pensava. Non ci aveva riflettuto particolarmente, aveva un animo più sentimentale che razionale a differenza della studentessa dai capelli bianchi. Era più bravo ad esprimersi con le sue opere che a parole, buona parte del suo repertorio orale consisteva di insulti e frecciatine. Non che dovesse risponderle in modo dolce o ammiccante, ma semplicemente non sapeva bene cosa dirle senza sembrare eccessivamente stucchevole.
    Che razza di domanda è? - sbuffò, rimanendo comunque senza peli sulla lingua come al suo solito - Umh... - ci rifletté per qualche secondo, spostando lo sguardo sul mare nero. Tra di loro erano cambiate molte cose da quando si erano conosciuti, altre invece erano rimaste uguali. Una di quelle era il suo essere una superficie oltre la quale non riusciva a vedere, uno specchio oscurato che nascondeva un segreto enorme - Non riesco a capirti, e questo mi piace. - le disse quindi - Sei molto diversa da me, e sei strana. Mi piaci per questo, perché non riesco mai a capire quale sarà la tua prossima mossa. - cercò quindi di spiegarsi, probabilmente con difficoltà - Non so che ci fai a Tokyo o perché ti sei iscritta a quella scuola per eroi, e centinaia di altre cose... Spero di scoprirlo, un giorno. - approfondì il concetto. Il fatto che Sumire fosse al contempo qualcosa di familiare ma così oscuro lo intrigava in qualche modo inspiegabile.
    E poi ovviamente sei anche la ragazza più bella della città. - aggiunse con un occhiolino. Non sapeva se quelle parole la avrebbero soddisfatte o meno ma difficilmente sarebbe stato in grado di dire qualcos'altro. Ovviamente non le avrebbe mai rivelato di ritenerla una dea superiore o cose simili anche se in fondo il motivo era quello: la sua bellezza e la sua incapacità di comprenderla. L'idea di considerarla una dea era più allettante che considerarla un alieno ma, a conti fatti, le basi teoriche erano le stesse.
    Scosse la testa ridacchiando sentendola quasi tirarsi la zappa sui piedi sul discorso degli esami. Quella sua reazione rientrava perfettamente nella descrizione che le aveva appena fatto, completamente incomprensibile.
    Va bene, va bene. - alzò le mani come in segno di resa con un sorriso sul volto. L'idea di andare a Kyoto con la ragazza lo allettava molto onestamente. Dipingere con lei al suo fianco, passare intere giornate assieme... e anche le nottate sperava, ovviamente. Il pensiero di non voler dormire separato dalla giovane a più di vent'anni venne immediatamente cancellato dal ricordarsi che lei era più piccola, un dettaglio di cui si scordava spesso a dire il vero, vista la sua serietà.
    Harizanmai, dici? Gli darò un occhio... - rispose con moderato interesse all'informazione. Non ricordava di averne mai sentito parlare ed era sempre piacevole scoprire qualche nuovo studio e nuovi artisti. La domanda di Sumire lo lasciò nuovamente di stucco dopo pochi minuti da quella precedente. Ok, quel discorso era imbarazzante ed era abbastanza sicuro che la giovane non lo avrebbe capito o, peggio, lo avrebbe preso in giro. D'altro canto lui stesso, per quanto convinto, sapeva benissimo che la motivazione dietro a quel gesto era tra le più triviali possibili.
    Mi... - mormorò socchiudendo gli occhi, fermandosi per deglutire. Doveva davvero rispondere? Non è che fosse imbarazzato, è che... Sì, era imbarazzato.
    Mi piace stare sulle palle alla gente. - annuì serio, forse troppo serio per ciò che aveva appena detto - E' stupido, no? Quel pregiudizio intendo. - cercò quindi di spiegarsi, forse nuovamente in maniera fallace - In che modo avere dell'inchiostro sulla pelle dovrebbe rendermi un mafioso, o più stupido o meno valido di un'altra persona? Volevo andare all'università e dimostrare che anche se sono coperto di tatuaggi posso avere dei buoni voti ed essere una brava persona. - proseguì con tono serio - E' stupido forse e a nessuno importerà davvero, ma volevo farlo e l'ho fatto. Odio i pregiudizi, anche quella stupida roba contro i mutant mesi fa... L'unico vero modo per conoscere una persona è parlarci. - concluse gesticolando animatamente - ... Ahem.
    Ripreso un barlume di serietà portò la destra al proprio yukata, scoprendo la testa del drago nonostante fosse buio pesto e difficilmente sarebbe stata più visibile.
    E' la solita, stupida storia della carpa che diventa un drago, no? - sussurrò quindi alla ragazza, ben conscio che oramai era un tema decisamente mainstream e più che diffuso - Il fatto è che mi piace mettere il centouno per cento di me in quello che faccio, come col tatuaggio... O con te. - la carpa era in grado di trasformarsi in un drago solo con molta perseveranza e una buona dose di coraggio e, nonostante tutto, Gin era disposto a tutto pur di riuscire in ciò in cui voleva riuscire. Anche a staccare la testa ad un cadavere per trasformarla in una bomba o rovinarsi le braccia, ma ora gli eventi del SALEM sembravano finalmente pronti a sfumare dalla sua testa una volta per tutte.
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    Sumire Murakami

    Sapeva che Gin non avrebbe gradito quella domanda, e che se l'avesse posta in qualunque altro modo più implicito avrebbe fatto in modo di schivarla. Anche se ad una prima impressione sarebbe sembrato che Gin se la cavasse piuttosto bene con le parole, la realtà era che riusciva ad esprimersi solo quando le parole servivano a prendere in giro qualcuno oppure dire quelle sue battute smielate o senza senso. Quando c'erano di mezzo i sentimenti, quando c'era da essere seri, il ragazzo dai lunghi capelli neri era anche peggio di Sumire. ‹ Rispondi e basta! › lo intimò; per quanto fosse cosciente la domanda fosse strana, non avrebbe accettato nulla che non fosse una risposta sincera. Dopo tutto quello che era successo, quello era il momento delle domande strane, e dopo quel giorno sarebbe tornato tutto alla normalità. Niente più confessioni, baci in pubblico o strane domande. Tutto quel che stava accadendo era un'enorme eccezione alle sue regole non scritte, come ad esempio il fatto che Gin avesse utilizzato la sua unicità e Sumire avesse fatto finta di nulla. Era un'eccezione.
    L'albina pensò di dover diventare più insistente, il suo ragazzo invece dopo la prima protesta finì comunque per accontentarla. Confessò di non riuscire a capirla, e lei comprendeva il sentimento, nemmeno lei certe volte riusciva a capire cosa le passava per la testa o il perchè faceva certe cose, figurarsi che altri riuscissero a comprenderla. Quello che più si era avvicinato a capirla era stato Yumeru e solo perchè alla fine era stata costretta ad aprirsi con lui. Le disse anche ch'era strana. Gin, il ragazzo dalla chioma che quasi toccava il pavimento e il corpo coperto di inchiostro, le stava facendo notare che quella strana della coppia era lei. Diversa era sicuramente la parola che meglio accettava, forse perchè a tale potevano essere associati aggettivi positivi, lei era diversa da tutti gli altri, migliore ovviamente, ma non perfetta come avrebbe voluto apparire.
    Le sue iridi seguirono quelle del ragazzo tatuato sul mare, ed arrossì un po', per a sorpresa di scoprire che lui sapesse della sua poca propensione al parlare dei motivi per cui studiava alla UA. Non glielo stava proprio nascondendo, ma come a lui non piaceva parlare dei suoi sentimenti —o non era proprio bravo a farlo— e schivava le domande quando ne aveva la possibilità, lei faceva lo stesso. Quella almeno era la scusa che si raccontava, perchè non le sarebbe piaciuto mentirgli, e forse se Gin un giorno glielo avesse domandato senza lasciarle possibilità di fuga alcuna, forse lei ne avrebbe parlato. E infine sorrise, a quell'ultimo complimento, che anche se esagerato sapeva sincero.
    ‹ Com'è che le uniche volte in cui voglio che tu parli, sei così impacciato? ›. Aveva ottenuto la sua risposta, soddisfacente? Non proprio, era stato vago e alla fine delle sue parole risaltava solo due aggettivi: misteriosa e strana, ora poteva far fingere di non aver mai chiesto domande, evitare complicate spiegazioni e fare finta di nulla. Era contenta che a Gin piacesse quel suo non comprenderla, la faceva sentire un po' meno in colpa nel parlare poco di sé, Sumire non faceva apposta a mostrarsi misteriosa, avrebbe voluto essere del tutto sincera con lui ma era difficile: aveva impiegato mesi anche solo a comprendere i sentimenti che provava per lui per poi poterli spiegare a parole quella sera. Tutto il resto erano cose che nemmeno lei comprendeva ancora appieno.
    La giovane si accigliò, perplessa, nel vedere lo stupore e un bagliore di panico negli occhi del suo ragazzo alla sua domanda sui tatuaggi. Aveva pensato gli sarebbe piaciuto parlare del motivo per cui aveva marchiato la sua pelle, invece sembrava quasi a disagio. Lei era stranita, non era normale vedere il corvino imbarazzato per qualcosa.
    E lo stupore raggiunse anche lei alla parole di Gin. Se all'inizio aveva avuto solo una sensazione, dopo un paio di mesi di frequentazione la ragazza aveva ben capito che al suo ragazzo divertiva provocare la gente. Ricordava di averne parlato con Tobi in primavera, gli aveva detto che Gin non lo facesse apposta, quando invece era esattamente ciò che faceva. Gli piaceva stare sulle palle alla gente... e poi si domandava perchè lei non le avesse ancora presentato i suoi amici.
    Il significato dei suoi tatuaggi era un po' più profondo di quanto non lasciasse intravedere Gin, perchè lui era terribile a spiegarlo, e lasciava intendere fosse cosa da poco. E tutto quel suo discorso poteva essere riassunto in poche parole: dove nasce il pregiudizio muore la comprensione. Era stupido pensare che dei tatuaggi ti rendessero un criminale, era stupido odiare i mutant perchè diversi, avere la pelle d'un altro colore o una qualche mutazione non li rendeva idioti, assassini e non era un valido motivo per odiarli. E Gin aveva fatto sua quella causa, dimostrando ancora una volta ch'era più abile ad esprimere concetti con azioni e non con le parole. Era ammirabile, ma combatteva una battaglia persa in principio. Come lui stesso aveva detto alla gente non importava. Vivevano in una società dove l'opinione degli altri era irrilevante, i singoli individui possedevano la ragione e far cambiare le proprie convinzioni a qualcuno era diventato quasi impossibile. Erano tutti sordi, e Sumire ne era un po' l'esempio.
    Il tatuaggio in sé invece aveva un significato più comune, ma che combinava perfettamente con la personalità del ragazzo. Lui metteva sul serio tutto se stesso in quello che faceva, e la spiegazione di poco prima ne era stata la conferma.
    I suoi occhi indugiarono un secondo sul suo petto, dove la testa del drago faceva capolino. ‹ Ti vergognavi a raccontarmelo? Credo che sia la cosa più sensata che tu mi abbia mai detto. ›, non essendo particolarmente empatica non le era saltato per la mente che forse era una cosa che voleva tenersi per sé, e non capiva il suo disagio. ‹ Insomma... è strano. Ma tu sei strano, quindi è normale. Ora che l'hai detta mi sembra quasi ovvio, conoscendoti, ma allo stesso tempo è molto più profondo di quello che mi aspettavo da te. ›, non che Gin fosse superficiale... ma un pochino. ‹ Voglio dire, per uno a cui piacere "stare sulle palle alla gente" sei piuttosto empatico. ›

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    Sapeva bene che a Sumire non sarebbe bastata la sua risposta e che non l'avrebbe ritenuta soddisfacente. Il fatto era che semplicemente quelle non erano cose a cui pensava. Il ragazzo tatuato era una persona molto più emotiva che razionale: non aveva passato ore e giorni e mesi a rimuginare sul suo rapporto con la giovane dai capelli bianchi o a fare un elenco dei pro e dei contro che la sua compagnia poteva portargli, aveva iniziato a sentire qualche cosa di strano nel suo petto quando per caso la mattina dirigendosi all'università guardava fuori dal finestrino e si ritrovava inconsciamente a pensare a cosa Sumire stesse guardando in quel momento, o quando passando di fronte ad un negozio di vestiti si era ritrovato a pensare che quella giacca indossata da uno sterile manichino sarebbe stata benissimo addosso alla ragazza, salvo non riuscendo mai a comprargliela a causa dell'ennesimo no-show al negozio.
    Quelle sensazioni, però, non si potevano veicolare a parole. Non facilmente almeno, e Gin non era certo un poeta da potersi permettere di inerpicarsi in strane similitudini e bizzarre contrapposizioni. Allo stesso modo non si era mai chiesto il perché di quelle sensazioni: non si era mai domandato come mai fosse Sumire a fargliele scaturire, ne aveva solo preso atto. Il Nakano viveva l'ardore scoppiettante dell'amore come un cavernicolo che vede il fuoco per la prima volta piuttosto che un chimico esperto che dosa la giusta fiamma sul becco di Bunsen per scatenare una precisa reazione. In questo probabilmente Gin e Sumire non potevano essere più diversi, ma la posizione del ragazzo era probabilmente comprensibile sin da quando al loro primo appuntamento le aveva detto di non avere la minima idea di cosa avrebbe voluto fare in futuro. Si faceva trascinare dal caso e dai suoi sentimenti, l'unica cosa certa era che ci avrebbe messo tutto sé stesso in qualsiasi cosa il mondo gli avrebbe posto davanti, fino a consumarsi.
    Perché a nessuno è mai importato cosa avessi da dire, suppongo. - accennò un sorriso alla domanda provocatoria della ragazza. Non era solito parlare di quelle cose coi suoi amici e nelle sue relazioni precedenti... Beh, prima dei tatuaggi Gin era decisamente un ragazzo piacevole di aspetto. Non aveva avuto molte relazioni come aveva detto a Sumire, ma aveva avuto molte spasimanti in passato. Aveva un discreto successo al suo liceo, un po' per il fisico tonico e ben allenato, un po' per i suoi occhi attraenti come un magnete e un po' per i suoi tratti ponderati e lisci ma attraenti, quasi femminili. Aggiungendo l'aspirante futuro da tatuatore che tanto fa leva sugli spiriti ribelli adolescenziali si può dire che un sacco di gente ronzasse attorno a lui ai tempi delle superiori. Il problema era proprio che per la sua presunta bellezza a nessuna delle ragazze interessasse ciò che aveva da dire, e anche quando lo ascoltavano la sua mentalità ribelle ben oltre al semplice sogno dei tatuaggi non poteva fare chissà quanta breccia in una società all'apparenza statica e conservatrice come quella dell'aria che si respirava a Tokyo. Era così che si era guadagnato, come detto, la nomea di "bello finché non apre bocca". Anche se aveva tutto chiaro in mente, quindi, Gin non sarebbe mai potuto diventare uno di quei grandi aizza folle carismatici che guidano le masse verso la rivoluzione, preferiva esprimersi in altri linguaggi che non fossero quello della parola.
    La giovane Murakami aveva nuovamente glissato sulla sua domanda riguardo alla UA. Forse nel suo elenco di poco prima avrebbe dovuto inserire quanto si divertisse a lanciarle domande e vedere in che modo le avrebbe evitate facendo finta di nulla. Non ironicamente, anzi. Ottenere una risposta da lei era quasi una sfida e se ora non aveva né avrebbe insistito era solo perché non aveva intenzione di toccare quell'argomento ora. Prima o poi gli avrebbe rivelato le sue ragioni proprio come lui le aveva rivelato i retroscena sul suo tatuaggio, ora.
    Beh, è il complimento migliore che mi abbiano mai fatto. - ridacchiò alla risposta della ragazza. Sempre meglio del "bello finché non apre bocca", appunto. Portò una mano ai capelli, iniziando a lisciarli. Lo faceva spesso quando si sentiva sotto stress, come quando doveva lasciare la sua maschera di bad guy e parlare seriamente di qualcosa. Quindi circa mai.
    Il fatto è che mi piace "stare sulle palle" a determinate persone, capisci? - iniziò quindi a spiegare, forse più seriamente del dovuto - Se mi sono fatto i tatuaggi è perché ritengo giusto infastidire chi pensa che una persona tatuata sia un idiota, un nullafacente o un criminale. - sospirò - Alle persone sta sulle palle ciò che considerano diverso o sbagliato, e se lo ritengo giusto ritengo giusto anche incarnarlo, se posso farlo. Non sarò certo il salvatore che cambierà l'umanità, ma se posso mostrare anche solo ad una singola persona che un pregiudizio è sbagliato è già una piccola vittoria. - alzò quindi lo sguardo luminoso su di lei - Se non troverò mai lavoro solo perché ho deciso di mettermi dell'inchiostro addosso forse un giorno qualcuno mi vedrà per strada a fare dipinti e si renderà conto che magari mi sarei meritato qualcosa in più e che è sbagliato giudicare una persona solo dall'aspetto fisico. Sono preparato all'evenienza. - aggiunse quindi con un sorriso - Probabilmente non cambierò mai nulla né è il modo giusto per farlo, ma non voglio stare con le mani in mano mentre il mondo in cui viviamo è immerso nelle ingiustizie. - strinse la lunga coda nera con entrambe le mani, per poi lasciare andare la chioma - Quindi sì, sono un camioncino pubblicitario con una pubblicità progresso gigante stampata sopra. - rise infine, cercando di stemperare il discorso sin troppo serio per le sue corde.
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33 replies since 7/7/2020, 20:45   677 views
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