Tanabata, Takoyaki, Tanzaku and... GUNDAM!

Tanabata Festival |[summer event • slot bonus] | Yoshito Amaterasu & Mirai Ishigami

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    Mirai Ishigami
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    7 Luglio.
    Finalmente era giunto il giorno che Mirai, come ogni anno, aspettava più di ogni altro.
    Il Tanabata Festival era un evento speciale per la ragazza e forse anche per tante altre sognatrici come lei.
    La leggenda di Orihime e Hikoboshi, le lanterne, i desideri, i colori e i profumi, l’aria stessa che si respirava in questa festività … tradizione che si mescola alla pura essenza della magia. Pure e semplice magia.
    Aveva aspettato quel giorno per tanto tempo e come ogni singolo anno della sua vita – o poco ci manca – non vedeva l’ora di uscire di casa e di immergersi e farsi trascinare dalla folla e dalla festa per le strade, per il lungomare e per ogni bancherella che sapeva vendere dell’ottimo Takoyaki -uno dei suoi cibi preferiti-.
    Suo padre aveva preso un giorno libero e come tutti gli anni preferiva starsene a godere la pace della casa senza moglie e figlia nei paraggi. Sua madre invece lavorava, quel giorno più che mai, in una delle bancherelle che vendevano dolci a profusione.
    Lei invece sapeva già come passare la giornata: aveva da soddisfare la sua gola, e appendere un desiderio ad uno dei tanti rami di bambù sperando –come ogni anno- in un suo avveramento, e poi tanto altro.
    Non era mai successo prima di allora ma sperare, credere e pregare non nuoceva a nessuno e quindi anche questo 7 Luglio Mirai aveva deciso di ritentare la sorte.
    Aveva tutto il giorno libero, così si era alzata non troppo tardi e aveva deciso di prendersi tutto il tempo per prepararsi a dovere secondo la tradizione del Tanabata.
    Davanti allo specchio una ragazza giovane scrutava la sua Yukata di un cotone morbido e fresco che le metteva in risalto con i suoi colori aranciati, rosa e giallo pastello il volto solare e un sorriso che non perdeva mai di intensità.
    I colori tenui e delicati come quelli di una pesca erano spezzati con un fresco obi di colore azzurro cielo con un grandissimo fiocco che quasi le copriva tutta la schiena: questo le cingeva i fianchi mettendo in risalto le sue forme aggraziate.
    Per quanto riguardava le scarpe aveva optato per degli Zori di legno con fasce anch’esse azzurre e piedi nudi -per evitare troppa calura- mentre risalendo fino alla testa Mirai si era acconciata da sola lasciando i capelli morbidi a caderle sul volto, senza chignon o altro.
    Solo una semplice spilla con un rosa (creata con stoffa) che le fermava un ciuffo ribelle sul lato del volto.
    Rubò un rossetto rosato dalla pochette di sua madre, un po’ di blush per mettere in risalto le sue tenere e rotonde guanciotte e poi via.
    Mirai dette uno sguardo alla persona che si trovava riflessa allo specchio e si sentì un po’ come una principessa.
    «Mpf..» sospirò pensando che forse lo sarebbe stata senza quella strana cosa che le usciva dalla fronte e senza quello che portava dentro le sue orecchie ma oramai ci conviveva da così tanto che alla fine era riuscita – anche se con notevoli sforzi – ad apprezzarsi così come era.
    Sono pronta!
    Lo ammetteva, aveva scritto non una sola volta di far sì che potesse essere una ragazza normale ma non aveva sortito alcun effetto e oramai era diventata ripetitiva quindi aveva accantonato questo desiderio e aveva optato per altro.
    Si avvicinò al comodino per prendere la sua borsetta in tono con lo Yukata e per metterci dentro il tanzaku color rosa con scritto il desiderio di quest’anno che stava all’interno del cassetto: stavolta aveva scelto qualcosa di semplice e di non troppo complesso, qualcosa che non aveva di base troppe pretese e sperava che essendo così potesse in qualche modo essere ascoltato davvero da coloro che vegliavano su di lei.
    Che fossero Hikoboshi e Orihime o il grande Gundam che come tutti gli anni andava a vedere, questo non lo sapeva: sperava solo di essere ascoltata, di essere capita e chissà… anche di essere un po’ più fortunata degli anni precedenti.
    Prese il foglio e lo ripiegò con delicatezza, come se dovesse la sua stessa anima fosse su quel pezzo di carta colorato, mise il tutto nella borsetta e con un altro ennesimo sospiro si avviò per entrare nel vivo della festa delle stelle.

    Le bancherelle erano di ogni tipo in prossimità della spiaggia e del parco di Odaiba. Ogni anno sembravano superarsi rispetto a quelli precedenti e molto spesso Mirai in quella calca non sapeva neanche dove girarsi per guardare e osservare.
    Una bolgia infernale piena di colori, di bambini, persone, abiti, cibo e di felicità…
    Il suo intento era chiaro fin dall’inizio: cibo – tanzaku – Gundam e poi una passeggiata nei dintorni di Odaiba ed infine trovare un buon posto per i fuochi d’artificio e aspettare poi il rientro a casa.
    Andando quindi alla ricerca di cibo, gli occhi ambrati e luccicanti della ragazza si spostarono senza sosta da un lato all’altro della strada cercando un buon posto dove prendere i Takoyaki. Quelli veri. Quelli buoni. Diffidare dalle imitazioni.
    E così passò in rassegna ogni banchino esistente: il venditore di maschere di ogni genere e forma – dalle più tradizionali a quelle più “moderne”- , quello dove i bambini si dilettavano al pari degli adulti a catturare pesci rossi e dorati, il banchino dello zucchero filato che non mancava mai e poi …
    Il paradiso.
    Mirai si fermò come se fosse stata presa da un fulmine e il suo sguardo che già sembrava quello di una bambina in preda all’euforia della festa si trasformò in estasi.
    Le sue narici assaporarono la bontà ancor prima delle papille gustative.
    Il paradiso. Lo chiamava il paradiso da quando aveva scoperto quel piccolo baracchino dove la solita ragazza – un angelo per lei – con le sue mani sottili preparava piatti di Takoyaki da portar via.
    Come ogni anno Mirai quasi scoppiò in lacrime al solo pensiero di poter ancora una volta rinnovare tale benedizione.
    Arrivò al banchino, oramai si conoscevano e l’angelo sapeva benissimo cosa la ragazza desiderava e non la fece attendere a lungo.
    In un piattino lungo a forma di barca se ne stavano fumanti e calde 4 polpettine fritte con dentro pezzetti di calamaro con sopra una spolverata abbondante di cipolle tritate e fritte e una salsa dagli ingredienti segreti che poteva assomigliare ad una vera e propria droga.
    «Grazie. Grazie davvero. Aaaaw… non vedeva l’ora che arrivasse questo momento. » disse per poi salutare la ragazza mettendo in conto di tornare per cena per un altro spuntino.
    L’odore dei Takoyaki era così invitante che non aspettò di mettersi a sedere da qualche parte, isolarsi e lasciarsi trasportare dal gusto: si abbandonò ad uno dei panchetti messi a disposizione di fronte al banco-paradiso.
    Non ce la faccio… non riesco a resistere!! pensò, e il peccato della gola prese il sopravvento prendendole la mano e facendole afferrare la mini forchettina colorata di rosa che già era infilzata su una polpetta.
    Si fermò non curandosi del resto perché in quel momento c’era solo lei e quella polpettina.

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    Edit: Ho cambiato l'orario nel post perchè mi ero dimenticata che si era deciso di settare il tutto dall'ora di pranzo e ho modificato il fatto che era seduta al bancone e non in piedi per strada - avevo dimenticato anche questa parte...-


    Edited by ¬Kinshara - 21/7/2020, 22:53
     
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    Yoshito Amaterasu
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    7 Luglio, 5 del mattino.
    Le prime luci del mattino ancora non rischiarano le case del distretto Asakusa ma, nel silenzio e nel buio di quella che poteva ancora essere chiamata notte, dei flebili, ma pur sempre udibili, gemiti maschili risuonavano con frequenza regolare gli uni dagli altri. Nel giardino intero del dojo Amaterasu, la scura figura di un ragazzo picchiava con una spada di legno l'aria davanti a se; dei fendenti verticali dall'alto verso il basso venivano ripetuti l'uno dopo l'altro, con un singole un breve momento di sosta a scandirne la pausa nel ritmo.
    Con lo sguardo concentrato e gli abiti pregni del suo stesso sudore, Yoshito era impegnato nel suo allenamento quotidiano che, privandosi del sonno, oggi aveva anticipato poiché altri impegni lo aspettavano quel giorno.
    998... 999... 1000...!
    Woah...

    Esclamò ansimante e asciugandosi la fronte con il braccio.
    Oggi dovrò terminare qui. Mi restano solo un paio da dedicare al mio riposo.
    Era il giorno in cui ricorreva il Tanabata festival, la festa delle stelle innamorate, e come ogni anno il dojo Amaterasu forniva il suo contributo al santuario locale con i preparativi della festa. Yuudai, il padre di Yoshito, era uno degli uomini che aiutava al trasporto del Mikoshi durante la celebrazione e aveva affidato al figlio una serie di commissioni da portare a termine entro fine giornata.
    Ok. Mi faccio una doccia, mi riposo un po' e poi porto a termine gli incarichi affidatemi da mio padre. Così dovrei riuscire a finire il tutto per mezzogiorno e avere il resto della giornata libera.
    O almeno quello era il piano.
    Purtroppo, il suo strafare durante gli allenamenti e la carenza di sonno auto impostasi, non furono collaboratori per i suoi programmi; quando il giovane riuscì a ridestarsi dal suo letargo, vicino a lui la sveglia digitale ancora suonava e sul display lampeggiante le 10:45 venivano segnate.

    Panico.

    Con una celerità impressionante, il ragazzo mise in ordine il dojo, terminò tutte le pulizie e le faccende assegnatogli e in fretta e furia si cambiò d'abito e saettò fuori casa. Quel giorno eran tutti usciti presto per impegni legati alla festa e per questo non v'era nessuno che poteste svegliare dal suo sonno stremato.
    Corse fra le strade come un forsennato, con in braccio il bentō che la madre aveva preparato per il padre e che Yoshito era stato incaricato di affidarglielo.
    Ma nonostante la fretta, il ragazzo era comunque riuscito a prepararsi a dovere per l'evento. Aveva indosso uno yukata bicromatico, rosso per la parte superiore e bianco per quella inferiore, con un obi nero a separare le due parti; inoltre, come era consono fare ogni anno, aveva legato dei nastri bianchi sotto le braccia per bloccare le svolazzanti maniche del suo abito. Era una abitudine che aveva ereditato dal padre, poiché era solito per loro fornire manovalanza durante l'evento e bensì non volessero venir meno alle tradizioni, necessitavano anche una certa mobilità durante il lavoro.

    Comunque sia, tornando al nostro ghiro da non molto ridestato, Yoshito correva frenetico per le vie della città conscio che su di lui gravava un ritardo che, conoscendo il padre, non sarebbe passato inosservato.
    Mi scusi... Permesso... Fate largo...!
    Queste erano le parole che frequentemente ripetette durante il suo correre disperato, librandosi tra passanti anch'essi agghindati per il grande evento. Man mano che avanzava verso la festa, la folle si fece sempre più folta e difficile da evitare; la gente ferma davanti a bancarelle aumentava dismisura e per una persona in piena corsa erano un ostacolo che iniziava a diventar difficoltoso da evitare, specie se si corre con dei geta ai piedi.
    Ad osservarlo chiunque avrebbe potuto profetizzare quel che sarebbe successo da lì a poco. Per schivare l'ennesimo gruppo di passaggio, Yoshito si sbilanciò, ritrovandosi a capitombolare incapace di fermarsi verso un signorina seduta ad un chiosco pronta ad addentare il suo takoyaki.
    Attenzione!
    Gridò invano cercando di svincolarsi da un esito scontato. Difficile a dirsi cosa accadde di preciso, ma quel che è certo che quell'azione gli constò il bentō che stava trasportando, ora riverso al suolo e non più recuperabile per essere mangiato. Ma bensì il disastro appena combinato, la prima reazione del ragazzo fu nei confronti della ragazza; dopo averla aiutata, se necessario, il ragazzo esibì un solenne inchino di scuse così basso che il capo puntava il pavimento.
    Sono davvero dispiaciuto! La prego di perdonare il mio inammissibile comportamento!
    E mentre manteneva la testa china, l'occhio cadeva sul bentō riversato e ormai rovinato.
    ...Sono spacciato...

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    Edited by ReЙ - 24/7/2020, 20:18
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    Mirai Ishigami
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    Aveva aspettato quel momento da un bel po’ di tempo e finalmente era arrivato. Gli occhioni ambrati si erano socchiusi mano a mano che la polpettina si avvicinava alle sue labbra poiché voleva lasciare che le papille gustative fossero l’unico senso attivo per poter assaporare appieno ogni singolo morso.
    L’odore era caldo, accogliente, era quasi l’odore del cibo fatto in casa da sua madre, odore di buono.
    Stava per mettersi la prima polpettina in bocca e purtroppo per la sua condizione di sordità non aveva la benchè minima idea di quello che stava per accaderle, o meglio piombarle addosso.
    Fu un solo secondo e fu come essere stata investita da un treno in corsa: accusò un impatto non troppo violento ma veloce e forte abbastanza buttarla giù dalla sedia assieme alle sue polpettine.
    Si ritrovò a terra e non aveva avuto il tempo capire o avere paura o essere confusa perchè semplicemente non si era accorta di nulla e si rese conto solo dopo di quello che era successo mentre si ritirava su in ginocchio dall'asfalto.
    «Itt-e…» sibilò tra i denti accusando un dolore da sbucciatura al gomito e uno un pochino più forte alla testa.
    Lì per lì rimase qualche secondo a guardarsi in giro per capire cosa fosse successo, mentre un po’ di gente si era fermata a vedere se tutto andava bene.
    Cosa poteva andare bene?
    Era finalmente riuscita a prendere i suoi amati Takoyaki del paradiso e prima ancora di averne assaggiato un boccone ecco che spunta un… ragazzo? Che con la investe buttando a terra lei e le polpettine… tutto andava a meraviglia.
    A meraviglia.
    Osservò con le lacrimucce agli occhi i corpi esanimi di quei Takoyaki che erano rotolati ovunque assieme a riso e ad altra roba che pareva essere parte di un qualche altro piatto o portata che era volata assieme a loro per terra.
    Perché? Perché proprio a me? Cosa ho fatto di male per meritare questo? pensò sconsolata per poi alzare uno sguardo che forse avrebbe fatto paura anche ad un assassino colui che l’aveva spinta con poca delicatezza giù dal panchetto.
    Era stata investita da un ragazzo, alto con capelli biondi che finivano per avere un color rosso fuoco sulle punte – un tipo che non si vede proprio tutti i giorni – un corpo tonico da chi si allena parecchio tutti i giorni.
    Mirai lo osservò attentamente come se volesse stamparsi in testa la sua immagine per un identikit e la cosa che più la colpì in assoluto e che smorzò la tensione venutasi a creare furono i suoi occhi dorati con pupille rosse scarlatte. Li trovò inquietanti e allo stesso modo ipnotici.
    E nonostante questo notava un sincero e profondo dispiacere per l’accaduto.
    «Au-.» una nuova fitta si faceva sentire sul lato sinistro della testa che si strofinò là dove probabilmente aveva battuto anche se effettivamente era stato tutto così veloce che non sapeva neanche dove si era scontrata con l’asfalto.
    In realtà per lei sembrò essere passato tanto, ma solo pochi attimi dopo essere caduta il ragazzo si propose di aiutarla ad alzarsi e con un po’ di imbarazzo sulle guance (mettendo il broncio come se fosse offesa) la ragazza prese la sua mano e si tirò su osservando dall’alto tutto quell’ottimo cibo riverso per strada.
    L’assalitore non attese neanche un secondo che appena Mirai si resse sulle sue gambe da sola, egli fece un inchino di scuse, profondo che riusciva quasi a vedere tutta la sua schiena e questo la lasciò stupita e imbarazzata perché sinceramente non si aspettava una cosa simile.
    Rimase ferma immobile a guardarlo e ovviamente fu palese che non sentì per nulla quello che la sua bocca aveva pronunciato non riuscendo a vedere le sue labbra.
    Per Mirai era solo un ragazzo che si era scusato con un inchino e che non cessava di tirarsi su …
    E’ davvero così dispiaciuto? la rabbia per il pranzo rovinato si spense lasciando che il suo cuoricino buono come i takoyaki prese il sopravvento e quasi si sentì dispiaciuta le stessa per l’accaduto – anche se non c’entrava nulla ed era la vittima in tutto questo.
    Percepiva molto le emozioni delle persone e per questo molte volte si trovava a provare lei stessa quello che sentivano gli altri dentro di se.
    Si avvicinò e gli mise una mano su una spalla cercando di tirarlo su e parlò con voce un pochino più alta per far sloggiare i curiosi che la stavano mettendo a disagio.
    «A-as-aspetta. Davvero. Non c’è bisogno. Non è successo niente.» esordì mentre nella sua testa il discorso continuava per un verso No non è vero! I miei Takoyaki. Persi. Per terra…non è giusto…che fame! ….E’ così gentiluomo… che carino… ma che fameee. ma dalle sua labbra ne uscì un altro «Per cui alzati. Non- Non mi sono fatta niente. Vedi? E’ tutto appost- » fu in quel momento che un pensiero la assalì e cancellò ogni riferimento al cibo che aveva in mente e invece della morsa della fame qualcosa di ben peggiore la attanagliò allo stomaco.
    Il terrore.
    La caduta, la botta alla testa, aveva realizzato soltanto adesso.
    Portò la mano sinistra verso la tempia, un po’ più in basso e leggermente più indietro – le bruciava ancora un po’ il gomito ma in quel momento non ci fece neanche caso – e sfiorò la pelle.
    Sì, la pelle. Nuda e delicata come quella di una pesca, sentì il lobo e poi l’orecchio e questo stava a significare una cosa sola e una soltanto.
    «Oh no…» sussurrò con gli occhi sbarrati, entrando in quello che per molti si chiamava semplicemente panico.
    Si tappò l’orecchio con la mano e guardò in basso, in terra, a destra e sinistra come un criceto impazzito.
    «Sono spacciata…» No, non andava bene tutto ciò. Non andava bene per nulla.
    Notò per terra il coperchio, o forse una ciotola di un bentō, non lo sapeva ma il suo istinto agì ancora prima di poter capire cosa fosse e lo raccolse da terra e se lo portò a coprire l’orecchio mentre continuava a guardare per terra cercando di risalire al momento della caduta e a dove poteva essere finito il supporto in ferro che teneva ancorato all’orecchio e che probabilmente si doveva essere sganciato per la botta e finito chissà dove.
    Non poteva andare peggio di così… e ora che invento? No. Ditemi che è un incubo! pensò e quasi voleva piangere e chissà cosa avrebbero pensato a vederla con un coso attaccato alla testa incurante che fosse probabilmente ancora sporco di cibo mentre cercava disperatamente qualcosa.
    «Senti… ti chiedo scusa…» questo non l’aveva mai fatto ma in quel momento lui era l’unica speranza e l’unica risorsa che aveva a disposizione. Si era dimostrato gentile, non era fuggito, l’aveva aiutata a rialzarsi e si era anche profondamente scusato con quell’inchino quindi… se avesse chiesto a lui un favore … forse non gli avrebbe declinato l’offerta.
    E poi … chi avrebbe resistito ad un faccino da fanciulla disperata in cerca di aiuto con tanto di lacrimoni sugli occhi e la tremarella da panico?
    «Ti prego… aiutami a trovare… questo.» ed indicò con la mano libera il gemello di ferro che aveva perso e che sporgeva dai capelli ramati «cerdo di … av-averlo perso e … ne ho davvero bisogno… Mi … aiuteresti? Per favore? Ne?» se non fosse riuscita a trovarlo prima che la sua mano avesse ceduto dal reggere il contenitore per impedire la vista della cavità vuota che portava nel suo condotto uditivo allora sarebbe corsa con tutta l’energia che aveva in corpo fino a casa.
    Tanabata festival, una festa all’insegna dei takoyaki sparsi per terra, strani incontri-scontri e oggetti importanti persi per strada: e non erano neanche le due del pomeriggio.


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    Yoshito Amaterasu
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    Da sotto il capo chino del ragazzo dai color fiamma, uno sguardo guardingo spiava di sottecchi la ragazza mentre Yoshito continuava la sua riverenza. La vittima della sua disattenzione era una giovane fanciulla, forse una sua coetanea, dai lineamenti docili e degli occhi ambrati che attrassero le attenzioni del ragazzo; aveva i capelli corti e ramati, accentuati dai colori vispi e solari dello yukata che indossa.
    Mantenendo l'inchino alzò leggermente il capo; lo sguardo fu rapito dal corno metallico che si ergeva al centro della fronte, poco sotto l'attaccatura dei capelli, e che agli occhi del ragazzo parve quasi illuminarsi sotto la luce del mezzogiorno.
    Sembra un raggio di sole...
    Pensò fra sé e sé mostrando per un istante un viso incantato. Ma velocemente il capo tornò basso e gli occhi puntati al suolo; un rossore colorò il volto di Yoshito quando si rese conto del suo fare inappropriato. Nel suo curiosare senza esser notato, non poté non notare lo sguardo truce di chi è adirato, cosa che lo portò a scusarsi nuovamente.
    Sono davvero... Davvero dispiaciuto per quanto è accaduto.
    Imperdonabile...! Non solo ho mancato di rispetto verso la fiducia ripostami da mio padre, ma ho anche arrecato danno a questa fanciulla.
    Imperdonabile... Imperdonabile...
    Ripetette a se stesso sottovoce, afflitto dal suo comportamento ai suoi occhi inammissibile e ingiustificabile. Ci volle l'intervento della parte lesa per farlo rinsavire dalla posa di discolpa in cui sembrava essersi cristallizzato.
    Ribadisco nuovamente le mie scuse. Fretta e disattenzione mi hanno portat... Oh!?
    Il comportamento agitato e gli occhi in sgomento della ragazza, interruppero il monologo del giovane Amaterasu che, confuso, cercò di comprendere quale fosse la causa di tanto clamore.
    C-cos'è successo? Qualcosa non va?
    La ragazza era visibilmente in panico e un impreparato Yoshito iniziò ad agitare le mani davanti a se incapace di capire quale fosse il comportamento più adeguato; solitamente avrebbe sfoggiato una condotta ligia e dignitosa, ma gli imprevisti in quella giornata non sembravano voler dargli tregua.
    Aspettate... Cosa fate?
    Esclamò quando la ragazza afferrò il coperchio ancora sporco di cibo del bentō riversato sul pavimento.
    Siete ferita? Usate questo per coprirvi l'orecchio!
    E con un movimento improvviso strappò senza esitazione un lembo dalla manica sinistra del suo yukata, allungandolo repentinamente verso la ragazza. Fu allora che la fanciulla esordì con una richiesta; mostrò al ragazzo l'accessorio metallico a forma di microfono da studio che portava sull'altro orecchio, esortando il ragazzo ad aiutarla nella ricerca del gemello.
    In quel momento gli Yoshito si congelò, il braccio teso in avanti e il pezzo di stoffa rossa appena strappatosi nella mano; rimase taciturno per qualche istante, mentre con occhi seri e concentrati, iniziò a studiar il corredo della ragazza nel minimo dettaglio. Inconsciamente, allungò persino la mano libera verso il viso della sconosciuta, permettendosi di accarezzare l'oggetto metallico che le copriva l'orecchio per studiarlo al tatto.
    Mmh...
    Mugugnò mentre la mano libera tornava in basso ed i suoi occhi, dai colori ardenti come fiamme, incrociavano quelli di lei; uno sguardo intenso con le palpebre spalancate, e sotto di essi un sorriso sereno e rassicurante ad illuminargli il volto.
    Non temete...
    Proruppe con un tono calmo e sicuro di se.
    Affidarvi piena collaborazione è il minimo che io possa fare per ripagarvi in questa spiacevole situazione.
    Capo ed occhi iniziarono ad agitarsi a destra e a sinistra, impegnati nell'attenta ricerca dell'oggetto perduto; bensì non potesse esser finito lontano, una prima ricerca non sembrò fornire alcun risultato. Fu allora che Yoshito ebbe un'idea; la ragazza sembrava parecchio turbata dalla perdita del copri orecchio e il ragazzo cercò di rassicurarla non solo con le parole.
    Le prometto che lo ritroveremo. Ma se mi permette...
    Yoshito si guardò attorno per assicurarsi che nessun curioso stesse osservando; dopodiché la mano destra, che ancora stringeva il lembo strappato del suo yukata, si chiuse a pugno e dopo che un flebile bagliore parve espandersi dal suo interno, venne riaperta e nel suo palmo v'era una copia gemella del corredo che la ragazza gli aveva mostrato.
    Potrebbe usar questo nel mentre, al posto di quel coperchio.

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    Niente… panico. trasse un profondo respiro mentre cercava di mantenere il più possibile la calma Non… urlare. No. Non sarebbe utile in questo momento. strinse i suoi occhietti da cerbiatta e frenò l’istinto -inconscio- di usare inavvertitamente il suo Quirk per isolarsi dal mondo, perché sì. Ci mancava soltanto questa: in pieno giorno, in mezzo a così tante persone, una bella oasi di silenzio assoluto insospettabile. A quel punto le mancava solo scappare in camera sua e non uscire mai più di casa.
    Stringeva alla testa il coperchio senza badare allo sporco, tanto da cominciare a sentire quasi male ma il panico in quel momento stava vincendo su tutto … che guaio…
    In quel momento non riusciva a fare nulla se non a pensare cosa sarebbe successo se il suo braccio si fosse stancato di sorreggere il coperchio.
    Fu in quel momento che tra le fessure delle sue palpebre notò un movimento da parte del giovane che l’aveva urtata poco prima e che adesso stava di fronte a lei: ciò che vide non furono le sue rinnovate scuse e neanche le altre domande che aveva posto subito dopo averla vista raccogliere il coperchio del bentō da terra.
    Quando Mirai aprì gli occhi incrociò per un attimo lo sguardo del ragazzo per poi vederlo strapparsi un lembo della manica del suo Yukata senza esitazione per poi porgerglielo a mano tesa per metterlo all'orecchio al posto dell'affare di plastica.
    Un gesto così gentile, premuroso e cavalleresco e soprattutto … inaspettato, che in un secondo tutti i pensieri e tutti i timori svanirono in uno schiocco e rimase semplicemente incantata a guardare la sua mano.
    Come era possibile che esistesse qualcuno di così gentile a questo mondo? Le sembrava una cosa surreale, eppure così bella.
    «…» socchiuse le labbra e ne uscì fuori una sorta di sussurro smorzato dal rumore della festa che lei non poteva sentire: avrebbe forse voluto articolare qualcosa ma non ci riuscì.
    Le sue spalle si rilassarono di colpo come se quel gesto avesse sciolto anche i suoi muscoli contratti, poi sentì qualcosa crescere dentro di lei, forse imbarazzo o forse emozione, o forse altro di inspiegabile a parole: fatto sta che le sue guance divennero rosse come una di quelle lanterne appese al banco dei Takoyaki.
    «G…g…grazi…e» disse in tono così basso e balbettante che probabilmente quel ragazzo non avrebbe capito neanche una lettera di quello che aveva appena detto.
    Rimasero così per un po’, per quanto? Un’eternità? Mirai Ishigami non sapeva cosa fare o cosa dire, era rimasta pietrificata – in senso buono – da cotanta gentilezza.
    La sua mente invece aveva raccolto tutti i dubbi e timori, li aveva gettati in un cassonetto e aveva iniziato a produrre pensieri degni di un poema cavalleresco: gli elementi in fondo c’erano tutti: Principessa - Cavaliere - Ricerca di artefatto perduto.
    Come è possibile...che sia successo a me? le cose non capitano mai per caso, e chissà. Magari qualcuno aveva ascoltato le sue preghiere e aveva trovato il giusto pretesto per farle incontrare qualcuno con cui poter condividere la festa.
    In fondo. Quest’anno aveva deciso proprio di scrivere questo sul suo Tanzaku.
    Qualcuno ha esaudito il mio desiderio… si sentiva inondata da una sensazione così accogliente… e nuova che non riusciva a capirci più nulla. Voleva solo piangere dalla gioia ma si stava contenendo per non rendersi ridicola ancora di più davanti a lui e a tutti quelli che passavano di lì.
    Nel mentre era presa da quei pensieri, il ragazzo allungò la mano libera verso il suo volto e l’attenzione di lei venne rapita completamente dai suoi occhi e da quel gesto … e sentì le sue gambe divenire molli come se non riuscissero più a sostenere il peso di quel corpicino.
    Che… mi prende?...Che… sta… facendo? i battiti del suo cuore iniziarono ad aumentare, così tanto che poteva percepire le sue rumorose vibrazioni dentro la cassa toracica e pensò nello stesso istante in cui sfiorò – perché ne percepì per poco quella leggera pressione – il suo apparecchio Sta… per… ba-ba… NO! Non può! Io neanche lo conosco questo tipo!....aaaaaa….Che cosa faccio? e per fortuna il ragazzo ritrasse quasi subito la mano lasciandola trarre un sospiro di sollievo perché i suoi pensieri si erano rivelati errati.
    Era forse arrivato il momento di tornare sulla terra e non perdersi tra mille fantasie da film rosa ma un conto era pensarlo, un altro era farlo e in quel momento la ragazza dal corno era in brodo di giuggiole e anche se avesse voluto uscire da quella situazione non sapeva a conti fatti come venirne fuori e riprendere il controllo di tutto.
    Lo sguardo del ragazzo che incrociò il suo, nell’istante dopo averla sfiorata, non stava affatto migliorando le cose… per non parlare di quel sorriso che sembrava quasi condurla al di là delle porte del paradiso.
    Concentrati. Forza… ricambiò quello sguardo con un sorriso imbarazzato e con il labbro tremolante e cercò di mettere la parola fine a quel poema sulla ricerca del “sacro Graal”.
    Lesse sulle sue labbra ogni singola parola e anche se non poteva sentire il suono della sua voce da come la stava guardando, dal linguaggio del suo corpo le percepì rassicuranti, e gentili: le disse di non temere, che l’avrebbe aiutata per ripagarla di quello che aveva combinato caracollandole addosso.
    «Gr- Grazie…» balbettò e anche e voleva aggiungere altro «Non deve… essere cad -duto troppo distante...» cercò di dire tentando di riprendere coscienza del proprio corpo e della sua voce.
    E poi… mancava una cosa in effetti a questo Poema. La magia. No?
    Fu ben presto accontentata anche in questo. Il cavaliere dagli occhi dorati e scarlatti dopo essersi guardato attorno per non farsi vedere da occhi troppo indiscreti portò l’attenzione di Mirai alla mano destra che ancora reggeva la stoffa strappata dal suo Yukata.
    Pochi secondi Mirai si trovò a contemplare i bagliori flebili che dall’interno illuminavano il pugno chiuso sulla stoffa e poi… quando riaprì la mano vide prendere vita sul palmo di questa una copia esatta dell’artefatto che aveva appena perso.
    «Come… come hai fatto?» non riusciva a credere ai suoi occhi e, con immenso stupore, con l’indice della mano libera andò a punzecchiare l’oggetto che teneva in mano per verificare che fosse vero e non una sorta di qualche illusione.
    «E’ … » sentì l’oggetto fare resistenza alla sua punzecchiatura «E’ reale?» non riusciva a spiegarsi come diavolo avesse fatto e poi le balzò in mente che non essendo l’unica al mondo ad avere… strani poteri, forse il ragazzo poteva essere qualcuno dotato di un’Unicità come lei?
    Un cavaliere, che sa fare magie, risolvere problemi con uno schiocco di dita, gentile, premuroso e carino?
    Stava per scoppiare a piangere dalla gioia, o dal tripudio di emozioni che l’avevano attraversata in tutti quei pochi istanti in cui la parte del corredo mancante era magicamente apparso -o creato- sul palmo del cavaliere misterioso.
    Si asciugò una lacrimuccia e lo prese dalla mano del giovane.
    «Io… non so come… non so come hai fatto ma… ti ringrazio di cuore… » disse cercando di non guardarlo negli occhi per non mostrarsi con gli occhi ancora lucidi «Sei davvero gentile… un vero e proprio cavaliere…» le scappò una piccolo risolino Ecco.. l’ho detto. Mphf per le figuracce sono proprio la numero uno… e non aveva proprio tutti i torti.
    Si guardò attorno come se volesse eludere gli sguardi indiscreti di tanta gente che passava e che neanche la calcolava, poi si voltò dando al cavaliere d’oro scarlatto – un nome assai figo per un personaggio di un Poema cavalleresco – l’altra parte del suo profilo in modo da celare quello che vi era dietro il coperchio, sperando di non essere vista da nessuno.
    Mentalmente contò fino a tre, sperando che qualsiasi cosa avesse ricreato lo avesse fatto in modo perfetto.
    In un movimento repentino mise il coperchio sul corno – utilissimo per appenderci le cose- aprì come era solita fare ogni mattina e chiuse all’orecchio l’oggetto che le aveva donato il giovane come pegno d’amore dono per scusarsi dell’incidente.
    Constatò solo dopo averlo messo, con suo immenso stupore che le calzava a pennello: era riuscito non solo a ricrearlo in ogni minimo dettaglio ma anche a renderlo comodo e a riprodurre la chiusura a clip come quello vero. Se non lo avesse visto prendere vita magicamente dalla mano del giovane probabilmente avrebbe detto che fosse l’originale.
    Si tastò il nuovo pezzo del corredo, dimenticando che quello vero se ne stava in giro da qualche parte per terra, e si dimenticò anche delle sue polpettine che venivano trascinate nell’Abisso assieme al contenuto del bentō ragazzo.
    Già solo adesso si era accorta che effettivamente quello che aveva raccolto da terra con molta probabilità apparteneva al cavaliere senza nome.
    Si tolse il coperchio dal corno e con voce flebile si voltò verso lo sconosciuto e lo guardò negli occhi con un sorriso dolce che le risplendeva in volto.
    «E’ perfetto… grazie.» stavolta la sua voce non tremava « Non so come tu abbia fatto ma… è stato davvero gentile da parte tua. E questo…» disse porgendogli il coperchio del bentō «Penso sia tuo… ehe.» non era stata l’unica a perdere qualcosa di buono in quello scontro e la cosa un po’ le dispiaceva ma forse aveva qualche idea su come rimediare al tutto ma prima… doveva fare una cosa.
    «Ecco…io…» si portò entrambe le mani vicino al petto e, per smorzare l’agitazione e l’imbarazzo che ancora le coloriva le guance, si mise e a punzecchiarsi i due indici a vicenda e si presentò «…mi chiamo Mirai. Mirai Ishigami. Piacere di conoscerti. Anche se… le … circostanze non sono state proprio delle migliori… ma … comunque per quello che hai fatto… ti sono davvero grata. Quindi beh, direi che …» cercava di trovare le parole nella confusione della sua testa ma ci riuscì abbastanza bene sebbene avesse qualche incertezza in alcuni punti del discorso «… le tue scuse sono accettate sì.» fece un cenno di assenso. «Quindi sì… ecco. Non so come tu abbia fatto ma … sembra davvero uguale a quello che avevo. Se per caso dovesse rompersi o perdersi so a chi chiedere … hihi…» il metronomo delle due dita smise e strinse i palmi delle sue mani esordendo con fare piuttosto dispiaciuto con un «Mi dispiace per il tuo Yukata. Non era necessario, davvero. L’ho apprezzato molto. Sai… non esistono molte persone come te, su questa terra.» sulla terra ancora non aveva trovato nessuno in grado di essere come lui.
    «E… mi dispiace anche per il tuo bentō… tanto quanto per i miei Takoyaki quindi… ti andrebbe di prendere qualcosa per pranzo? » si accorse solo dopo poco della proposta che gli aveva fatto.
    Lo aveva appena invitato a pranzare assieme a lei. Sì lo aveva fatto e senza alcuna esitazione. Spontaneo fu il suo invito.
    Non posso… no, non posso lasciarlo fuggire. Non dopo tutto quello che ha fatto per me…! E poi… il destino ha voluto questo. Io… Io… non voglio passare un’altra festa da sola…
    Sei tu il cavaliere mandato dalle stelle per me. Quindi... resta. agitò le mani in sequenza che tanto non avrebbe capito niente – o forse avrebbe avuto la sfiga di incontrare uno che sapeva leggere il linguaggio dei segni? Sperava tanto di no.
    Fatto era che si era completamente dimenticata che da qualche parte sull’asfalto c’era il suo Graal, ma il cavaliere d’oro scarlatto per il momento era tutto quello di cui aveva bisogno per il Tanabata.

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    Yoshito Amaterasu
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    Come… come hai fatto?
    Chiese la fanciulla con occhi carichi di meraviglia quando Yoshito le offrì una copia fedele dell'ornamento perduto. E senza fornire una risposta verbale, il ragazzo inclinò il capo, chiuse un occhio e le sfoggiò un sorriso a denti stretti, mentre poggiava l'indice della mano sinistra sulla sua bocca in segno di silenzio.
    Un mago non svela mai i suoi segreti. Proferì con tono basso.
    E mentre la ragazza interagiva con il copri orecchio nella mano del ragazzo, con il fare tipo ed incerto di un cucciolo con un nuovo giocattolo, Yoshito tornò a sfoggiare il suo sorriso e il suo sguardo profondo a palpebra spalancata.
    Tranquilla, non morde.
    Esclamò ridacchiando tra sé e sé mentre, per un attimo, si perse ad osservarla.
    I suoi lineamenti sono dolci e i suoi movimenti aggraziati, come quelli di Ama-no-Uzume nel dipinto che mio padre ha appeso nel dojo.
    Devo ammettere che è davvero carina...

    Smarrito per un attimo di troppo nel suo fantasticare, il ragazzo si trovò a dover soffocare il rossore che per un momento gli colorò il volto, imbarazzato dai suoi stessi, iniziò auto affliggersi nella mente speranzoso che i suoi comportamenti fossero passati inosservati.
    No, Yoshito Amaterasu, non puoi permettere a certi pensieri di traviarti dai tuoi dovere e adesso hai i compiti assegnatoti da tuoi padre da portare a termine.
    E come dice il tuo vecchio, c'è luogo, modo e tempo per ogni cosa e questo non né il luogo, né il momento adatto.

    Inspirò ed espirò velocemente dal naso per forzarsi a ritornare in uno stato di calma.
    Sei davvero gentile… un vero e proprio cavaliere…
    Ma furono le parole della ragazza a ridestarlo dal suo vagheggio ad occhio aperti. La fanciulla lo paragonò ad un cavaliere, parole che lo presero alla sprovvista e che lo fecero imbarazzare nuovamente, portandolo a strofinarsi con la mano e con fare timido la sua chioma color fiamma.
    Ahahah ridacchiò con fare nervoso e mentre strizzava gli occhi È il minimo che possa per potervi ripagare.
    A differenza dell'altra persona, il giovane mantenne un linguaggio formale anche perché voleva mantener la mente più lucida possibile per non distrarsi dalle sue commissioni. Ma quando la damigella spostò il coperchio dal bentō dall'orecchio al corno, non sapeva più come reagire.
    Ma c-cosa sta facendo, è spor...
    Rinunciò quasi immediatamente a commentare la cosa; la fanciulla era decisamente concentrata in ciò che stava facendo, cercando di indossare, quasi fosse un ladro, il corredo creato da Yoshito il pià velocemente possibile e cercando di attirare il meno possibile le attenzioni su di se... Cosa alquanto impossibile per il ragazzo che le stava difronte, e che ora la osserva sfoggiando una risata nervosa e la faccia di imbarazzata di chi non sa come agire.
    Che giornata inconsueta quest'oggi... Chissà perché ha messo proprio lì
    Il ragazzo rimase ad assistere in silenzio la situazione o almeno finché il suo occhio non fu ipnotizzato dal leggero dondolio del coperchio appeso corno della ragazza, per poi ritrovarsi nuovamente rapito dai suoi pensieri.
    Diamine, mi stavo quasi dimenticando del pasticcio che ho combinato. Non solo mi son svegliato tardi e adesso sono tremendamente in ritardo sulla tabella di marcia che mi ero organizzato, mi sono persino andato ad impelagare in una situazione che sta portando via ulteriore tempo. Senza contare il danno e il fastidio che sto arrecando a questa signorina... Aaah, mio padre sarà furioso conoscendolo...
    Penso sia tuo… ehe
    Oh, ti ringrazio! esclamò con un sorriso ad illuminargli il volto.
    Ridestato per un attimo dalle parole della ragazza, Yoshito afferrò il coperchio. Ma appunto, fu solo per un attimo.
    Quando il suo occhio cadde sul coperchio del bentō ormai orfano di confezione, nel cervello del biondo impazzarono una serie di parole sconclusionate che si susseguivano tra loro come con la velocità di un treno guidato dal panico.
    Aaah, il pranzo di mio padre! Stavo quasi per scordarmi che devo rimediare un nuovo pranzo!
    Cosa posso prendere? Pesce? Carne? Verdure? Cos'è che ci mette mamma di solito? Ah, il riso! Forse è meglio se inizio da quello...
    Aaaah ma poi da dove vado prenderle adesso tutte queste cose?

    Purtroppo per Mirai, il cavaliere sorridente che aveva davanti, era imprigionato in un turbinio di pensieri che rapirono completamente la sua attenzione. Nulla di ciò che gli stava venendo detto arrivò veramente alle orecchie di Yoshito che, nel mentre, manteneva una faccia sorridente e che scuoteva occasionalmente avanti e indietro con accondiscendenza, mentre cercava di mascherare malamente il suo viso preoccupato.
    Forse potrei prendere qualcos'altro... Ma cosa? Non so se ho tempo per fermarmi ad ogni bancarella. Magari prendo qualcosa, qualsiasi cosa mi capiti d'avanti e me la cavo così. E se poi non gli piace? Diamine, non so nemmeno se ce la faccio con i soldi! E...
    ...pranzo?
    Infine, ancora una volta, Yoshito rinsavì, ma troppo tardi questa volta per poter essere capace di rispondere al discorso appena esposto dalla ragazza; anzi, possiamo affermare che era solo l'ultima la parola ad essere stata compresa dal ragazzo.
    Ah, il pranzo!?
    Esclamò con un tono confuso, indeciso su come rispondere, suppose la domanda e cerco di aggirare il problema come meglio poté
    Che sbadato che sono, probabilmente sarete molto affamata visto che ho saboto il vostro pasto. Ahahah!
    Ridacchiò nervosamente mentre rovistava freneticamente nel suo yukata. Tirò fuori una quantità non definita di danari da una tasca interna per poi forzarli nelle mani di Mirai.
    Tenete questi! Non so se bastino per ricomprarvi il pranzo, ma al momento non ho altro con me. Prometto che se ci rincontreremo cercherò di sdebitarmi come meglio posso!
    Le disse continuando a sorriderle ma esprimendosi con un'eloquenza più veloce del normale.
    Io purtroppo vado di fretta e non posso trattenermi oltre. Alla prossima allora...!
    Ah! E ancora una volta, avete le mie più sentite scuse!

    E, dopo aver accennato rapidamente un inchino, recuperò il bentō ormai svuotato dal suo contenuto e senza ulteriori indugi, così come era apparso scomparve nuovamente, in una corsa frenetica tra la folle del tanaba.

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    Mirai Ishigami
    NARRATO x «PARLATO» x PENSATO x LINGUAGGIO DEI SEGNI

    La magia esisteva. Aveva svariate forme, colori, profumi e sensazioni.
    Quella che il cavaliere aveva fatto per lei andava oltre tutto questo e anche se aspettava lì di fronte a lui in muta preghiera, con il cuore in mano, e lo sguardo struggente - dopo avergli chiesto di rimanere per il pranzo – Mirai non riusciva ancora a capire come avesse creato una cosa in metallo dalla stoffa che fosse una perfetta copia di quella che aveva perduto.
    Era stato così gentile, così premuroso e così ben educato e in alcuni momenti pareva anche imbarazzato dai complimenti che le aveva fatto la ragazza a proposito della sua cavalleria.
    Il problema fu che la ragazza non si era accorta minimamente che il ragazzo non aveva ascoltato neanche una singola parola di quello che con tanta fatica aveva pronunciato.
    Lo aveva visto immerso nei suoi pensieri ma sperava che fosse solo un riordinamento di idee e che dalle sue labbra fosse uscito solo un “sì.”
    Lesse dalle sue labbra delle frasi sul fatto che le avesse sabotato il pranzo, mentre lo vide agitare le spalle come in preda ad una risata, e dopo poco tirò fuori dal suo Yukata una quantità di denari che mise nelle mani di Mirai senza che potesse opporre resistenza cogliendola per un attimo di sorpresa.
    «Ma… che?» guardò in mano quella manciata di monetine senza capirne effettivamente il senso.
    Era come se la ragazza avesse chiesto di passargli il sale e dall’altra parte si ritrovò a dover prendere a forza una bottiglia di ketchup Perché … ? ciò non aveva senso e alzò lo sguardo cercando quello del ragazzo – che i suoi occhi avessero perso qualcosa e non avessero colto qualche frase nascosta? – e comprese solo l’ultima parte del discorso sul fatto che si sarebbero rincontrati e avrebbe cercato di sdebitarsi in qualche modo.
    «Ma… aspetta! Non è …. Necessario… » disse cercando di spiegarsi e vedendo che nell’atteggiamento del ragazzo c’era una qualche sorta di ansia, o qualcosa che sembrava come punzecchiarlo in ogni dove.
    Sembrava fosse pronto per la partenza di una maratona e questo pensiero la sconvolse No… Nononononono! Non vorrai mica andart- il suo pensiero fu soverchiato dalle parole di lui che le confermarono con fredda crudeltà le sue preoccupazioni.
    L’aveva salutata, le aveva chiesto scusa di nuovo e così, con un rapidissimo inchino, fuggì così come era arrivato tra la gente che si stava riversando sempre di più in strada.
    A niente valse il movimento repentino di Mirai che protese la mano -che non conteneva i denari- cercando di afferrare la Yukata di lui urlando «Aspetta!!» e ritrovandosi poco dopo con niente in mano se non l’aria.
    Questo lo aveva sentito. Il rumore di un cuore che si infrangeva in mille pezzi.
    «Io… non so neanche il tuo nome….» sentì le spalle abbattersi e il malumore salirle come la voglia di piangere e disperarsi.
    Era così che il destino aveva voluto giocare con lei? Prima farle assaporare una speranza e poi calciarla via in una Galassia lontana lontana?
    Si portò la mano vuota al petto che le faceva ancora male e a stento riuscì a trattenere le lacrime, non sapeva se dalla rabbia o dalla delusione o dalla tristezza.
    Poi trasse un profondo respiro e il suo sguardo si incupì di una rinnovata energia, si scrocchiò le spalle e in un decimo di secondo prese la decisione più saggia o forse quella più stupida della sua vita.
    Una volta una gatta ladra le era sfuggita ma stavolta non si trattava di far cambiare idea ad un criminale, stavolta si trattava solo di far vedere a chiunque le avesse dato quell’opportunità che non se la sarebbe lasciata, letteralmente, fuggire dalle mani.
    Così mise i denari nella borsetta e scrocchiandosi le spalle appesantite dall’amarezza, e muovendo un po’ le gambe sul posto si riscaldò quanto sarebbe bastato.
    Poi partì l’inseguimento.
    Suo padre le aveva sempre insegnato “ Se hai un obiettivo, un sogno, un’idea, un’occasione … combatti per ottenere ciò, fino alla fine. Con sudore e lacrime, perché niente ti verrà regalato. Solo tu potrai guadagnartelo. E quando ci riuscirai allora potrai dire di essere riuscita dove tu stessa pensavi di fallire. Quindi vai, e se vedi una palla volare lontana corri più che puoi per andare a prenderla.”
    Non aveva resistenza fisica.
    Non era forte.
    Ma era agile, determinata, e non si sarebbe arresa o non avrebbe ceduto finchè non l’avesse raggiunto, e non gli avesse saputo almeno il nome. O Anche un numero di telefono… almeno quello se lo era meritato.
    E’ corso dritto, lo so… l’ho visto. Difficile non notare i suoi capelli strambi … bah! Parlo io… mentre fissava con la coda dell’occhio il suo corno.
    Seguiva il flusso delle persone e sapeva che non avrebbe svoltato almeno fino ad un certo punto poiché la strada procedeva dritta come un lungo ponte… almeno che non conoscesse la zona come lei.
    Dovendo fare consegne a domicilio, molte volte si trovava a corto di tempo per consegnare i dolci e aveva imparato nel corso del tempo a trovare vicoli e stradine e passaggi che nessuno avrebbe preso soprattutto durante il Tanabata: il fiume di gente trascinava come una corrente solo in due direzioni e i banchi non permettevano a nessuno di vedere o anche entrare in un posto diverso dalla strada principale.
    Combinando le due cose, il cavaliere d’oro scarlatto non poteva essere andato se non dritto per la strada che stava percorrendo lei, quindi se avesse svoltato in un vicolo poco più avanti e si fosse destreggiata a ritrovare il punto di sfocio di quella stradina sul fiume di gente … avrebbe guadagnato non solo qualche minuto in più ma forse sarebbe riuscita anche a sbarrargli la strada e placcarlo e fermarlo.
    Così fece. Con destrezza riuscì a schivare un sacco di gente e farsi strada – anche se cominciava ad avere il fiatone – finchè non trovò l’imboccatura del vicolo.
    Vi entrò: certa non era proprio un granchè, puzzava e solo qualche gatto randagio era l’unica forma di vita in vista a quell’ora del giorno. Svoltò subito al primo incrocio.
    Lo ricordò bene perché quasi una settimana prima lo aveva provato per consegnare dei dolci ad un dojo non troppo lontano da lì, e dato che pioveva ed era in ritardo per colpa del traffico che aveva fermato per un bel po’ di tempo un bus aveva deciso di provare a prendere delle scorciatoie come quella.
    A quel tempo non sapeva se poteva essere giusta come idea o no, non sapeva neanche dove la stesse portando e se le avesse fatto perdere altro tempo: eppure era determinata adesso tanto quanto allora perché nella sua mente il pensiero era semplicemente uno.
    Devo provarci. Tanto… cosa ho da perdere?
    Nel primo caso aveva da fare mille scuse per il ritardo pazzesco e niente mancia, e scontare anche la merce che stava portando.
    In questo caso se non fosse riuscita nel suo intento avrebbe perso l’occasione di passare il Tanabata assieme ad un’altra persona e chissà… magari anche un’amicizia e tra i due forse questo le faceva più male.
    Forza, coraggio…. Resisti… ce la puoi fare…. ! strinse i denti e ingranò la marcia al massimo che poteva anche se correre con le infradito certo non era proprio il massimo. Nonostante questo non si abbattè, non si arrese e svoltò di nuovo.
    Stavolta davanti alla ragazza si poteva intravedere il fiume di persone passare una dopo l’altra ma non riuscì a vedere nessuno con la chioma di fiamme del cavaliere in mezzo alla folla.
    Ancora poco… dai… sentiva le gambine che le facevano male, e il fiato farsi sempre più corto e i polmoni richiedere un minimo di riposo ma non ascoltò le necessità del suo fisico minuto. Lo sbocco del vicolo era sempre più vicino e in un attimo si precipitò di un passo in mezzo alla folla.
    Si fermò nel centro di strada riprendendo momentaneamente il fiato – si sentiva svenire in effetti ma non poteva farlo proprio adesso che era lì!- e la sua testa si mosse prima a destra e poi a sinistra lungo i lati opposti della strada.
    Cercando un indizio, cercando un solo e unico indizio del suo passaggio o del suo arrivo.
    Se … i calcoli non sono errati… lui... dovrebbe apparire… di là … si voltò nella direzione del fiume di gente che arrivava verso di lei e attese con il cuore in gola e la mano sul petto per calmare il respiro.
    In caso lo avesse visto arrivare era pronta a puntargli la mano libera con il palmo rivolto verso di lui, probabilmente gli avrebbe detto tipo qualcosa come "fermati!" o "scappare così da una ragazza??? Ma che razza di cavaliere sei?" però sapeva che non sarebbe riuscita neanche a dirgli una sola parola dato che a fatica stava riprendendo fiato.
    Avrebbe lasciato che il suo sguardo parlasse per lei... se solo lo avesse rivisto un'altra volta.
    Ti prego… fa che non sia troppo tardi…

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    Yoshito Amaterasu
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    Guizzando tra i passanti come un forsennato, Yoshito avanzò nella folla del Tanabata come un ladro in fuga, sfoggiando un sorriso perenne che però nascondeva una mente inquieta.
    Devo velocemente trovare qualcosa, ne va del mio orgoglio!
    Nella mano destra stringeva il bentō, oramai vacante, che una volta conteneva il pranzo destinato al padre; così, nella mano sinistra, materializzò uno straccio e, senza mai interrompere la sua corsa, cercò di pulire il contenitore come meglio poteva; il bentō era caduto a terra e lo staccio cercò di adempier al suo dovere raggiungendo ogni angolo e anfratto del bentō, rendendone lucide e pulite le superfici e rimuovendo qualsiasi rimasuglio del pranzo perduto. Nel mentre, nella mente del ragazzo si fece avanti una richiesta più che una domanda.
    Mi servirebbe dell'acqua, ma dove... Oh, eccola!
    E come se una qualche divinità avesse deciso di tendergli la mano in aiuto, ecco che davanti a lui una fontana pubblica si materializzò dal nulla; s'affrettò a raggiungerla e quando fu a destinazione si prese carico di sciacquare accuratamente il contenitore per rimuovere lo sporco residuo.
    Finalmente pulito. Esclamò tra sé e sé. Ora mi servirebbe soltanto trovare qualcosa per ripristinarne il contenuto...
    Gli occhi d'oro scarlatto si socchiusero e, attraverso la fessura delle palpebre, scrutarono l'area circostante; attorno a lui v'erano una serie di bancarelle con cibi di ogni genere in esposizione, pronti alla vendita e alla consumazione. E così, con un'espressione da pensatore, ponderò.
    Potrei acquistare qualcosa qui in zona...
    Contemplò a se stesso, ma in breve la sua espressione si incupì in una di sconforto.
    Ma ora che ci penso ho dato tutti i miei soldi a quella ragazza...
    Rammaricato e dispiaciuto, il giovane Amaterasu sembrò essere in procinto di gettar la spugna e rassegnarsi al suo destino.
    Ora che ci penso, non le ho chiesto neanche il nome.
    Ma i pensieri si discostarono nuovamente e l'atteggiamento da cane afflitto non durò a lungo; senza perdere ulteriore tempo a crogiolarsi nello sconforto, ritrovò quasi istantaneamente il sorriso e, con il suo tono di voce tornato vivo e squillante a fargli da testimone, ritrovò dentro di sé l'ardore che gli donava la carica.
    Bene, dopotutto tentar non nuoce!
    Sperando nella parsimonia dei venditori, Yoshito cercò di elemosinare bancarella per bancarella un pezzo o due di qualsiasi pietanza vendessero; incredibilmente e con sua incredulità, il piano funzionò anche meglio di quel che sperava. La sua famiglia era abbastanza nota nella zona per i suoi contributi durante le festività e questa loro solidarietà gli venne contraccambiata.
    Con suo stupore, non ci mise molto a rifocillare nuovamente il bentō per il padre, anche se con prodotti non tipici della cucina della madre: udon, onigiri e tempure varie, riuscì persino ad ottenere per sé una una patata dolce, la sua preferita.
    Buonissima!
    Urlò con gioia e con abbastanza fragore da non poter non esser udito da un certo suo inseguitore. Guidata dalla voce del ragazzo, Mirai, spiandolo da lontano, lo avrebbe trovato ad impelagarsi tra le bancarelle che vendevano pietanze, saltando da una all'altra con estrema velocità e, quando il bentō fu pieno, vederlo ripartire come se stesse fuggendo da lei lontano dalla festa.
    Passando tra vicoli e scorciatoie che forse solo a lui eran note, la corsa di Yoshito si estese per qualche altro minuto, allontanandolo dai cortei della festa; giunse in un piccolo tempio non troppo distante dalla celebrazione. Qui, una calca di persone, s'era radunata vicino al tempio e separata in due gruppi opposti che lasciavano libero il passaggio per l'ingresso; oramai l'ora di pranzo era quasi passata e a breve sarebbe partita la processione per il trasporto del Mikoshi al nuovo tempio e la gente s'era riunita per assistere all'evento.
    Se non sbaglio è da questa parte...
    Il passo del ragazzo tuttavia non sembrò perdere la sua andatura e svelto come una faina si intrufolò tra la folla, sparendo alla vista per mai più esser visto.
    Passarono cinque minuti e la folla ormai accresceva il suo numero ad ogni minuto che passava, ma fu allora che da un punto indefinito in quell'orda di persone Yoshito rifece la sua scomparsa. Il ragazzo sospirò vistosamente, mostrando un'aria sconsola.
    Questa volta l'hai fatta grossa.
    Rimproverò a se stesso mentre le spalle calavano abbattute.
    Alzò le braccia e si portò le mani verso il viso e, con un unico colpo deciso, schiaffeggiò entrambe le guance. Si poteva notare che nella mano destra impugnava qualcosa di colorato, forse dei fogli di carta(?), ma era difficile capire cosa fosse.
    Bene, è il momento di continuare con il resto della giornata!
    E con un sprizzo improvviso di energia, il ragazzo tornò allegro e a sfoggiare il suo sorriso e, con un passo dall'andatura così flemma da far imbarazzo alla precedente corsa, iniziò ad allontanarsi dalla processione diretto in direzione opposta.

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    Mirai Ishigami
    NARRATO x «PARLATO» x PENSATO x LINGUAGGIO DEI SEGNI

    «…» stava riprendendo fiato, lì in mezzo alla folla con la fronte imperlata di sudore e i capelli ramati arruffati ed era un miracolo se la spilla con la rosa fosse ancora lì al suo posto.
    Deve esserci… almeno che non abbia preso anche lui una strada secondaria… o… che non lo abbia mancato di poco … non si dava pace, non si dava per vinta.
    Nel suo mondo di silenzio assoluto solo il suo cuore e l’aria che, come flusso d’acqua, veniva smossa dalle persone che andavano avanti ed indietro attorno a lei erano le uniche due cose che percepiva.
    Non… sarebbe giusto. strinse i pugni con la poca forza che le era rimasta dalla frenetica corsa e quasi non voleva credere al destino beffardo che le aveva tirato la carota per poi ritrarla e gettarla lontano.
    Continuò a guardarsi attorno perché comunque un tipo come lui non passava di certo inosservato… con quei capelli e quello sguardo poi…Awwww pensò chiudendo gli occhi cercando di non far andare via quell’immagine che aveva nella sua testa – che a tutti gli effetti poteva essere quella stampata su un poster in pure stile Idol.
    «Uff…» sbuffò stringendo le labbra con un’espressione piuttosto buffa, come di una bambina stufa della situazione, ma più che stanca sembrava quasi essersi arresa all’evidenza che non l’avrebbe più trovato in tutta quella gente finchè…
    Un altro segno del destino?
    Come l’apertura delle acque del Mar Rosso, ecco che la folla sulla sua destra si fermò di colpo come se fossero stati congelati nel tempo a fissare un punto preciso vicino alle bancherelle: e le bastò.
    Bastò quel secondo a farle scorgere l’unica figura che si muoveva ancora tra i tavoli addobbati a festa: il suo cavaliere.
    «Siii!!! Evvai! » sprizzò di gioia portandosi entrambi i gomiti delle braccia a battere sui propri fianchi a pugni chiusi in un gesto di vittoria.
    Vittoria! C’era riuscita! Lo aveva trovato e adesso non se lo sarebbe lasciato sfuggire un’altra volta. Per niente al mondo.
    Con uno sguardo determinato, la ragazzina mosse i passi verso di lui facendosi largo tra la folla: sembrava piuttosto impelagato ad andare in giro saltando come una lepre da banco a banco a cercare di Ma… sta riempiendo quel… bentō? lo osservò come una stalker, spiandolo da lontano in modo da non farsi vedere, e non capiva il perché di quel comportamento almeno che almeno che quello … non sia il suo. che scema che era stata. Neanche aveva pensato a questa evenienza.
    Fece finta di vedere le bancarelle e passo dopo passo lo inseguiva in quella frenetica corsa al cibo per riempire il contenitore fino all’orlo e quando fu ampiamente soddisfatto lo richiuse e tornò a fuggire in mezzo alla folla, ma stavolta Mirai fu abbastanza abile da sgattaiolare tra le gente e stargli dietro senza destare sospetti.
    Se mia madre o mio padre vedessero cosa sto facendo… mi farebbero fuori. non era proprio una cosa da lei inseguire gente, di cui neanche sapeva il nome, in mezzo alla festa del Tanabata col rischio di perdersi o chissà cos’altro. Non era educato e neppure tanto normale.
    Voleva attirare la sua attenzione e allo stesso tempo era curiosa di sapere cosa stesse facendo e perché era così di corsa… tanto da averla investita e tanto da averla abbandonata senza neanche chiedere come si chiamasse.
    E l'unica soluzione allo scoprire tutto ciò era pedinarlo e così aveva deciso di fare: tanto i suoi non avrebbero saputo nulla di tutto questo.
    Che …. Abbia già una ragazza? probabile, fu la risposta che la sua mente le propose: se fosse così tutto aveva un senso e a quel punto era lei che stava facendo in quel momento la cosa sbagliata.
    Però voleva vedere con i suoi occhi, e tanto di cose da fare non ne aveva. Almeno avrebbe passato il tempo in qualche modo: investigando, e inseguendo come in un film di spionaggio.
    Il suo sguardo lo perse per qualche secondo e lo rincrociò di nuovo che si era appena intrufolato in un vicolo come aveva fatto lei qualche minuto prima e si disse che forse era stato un bene che quel bentō si fosse rovesciato o non lo avrebbe certo trovato tra le bancherelle se quella zona la conosceva tanto quanto lei.
    Quindi… forse abitava da qualche parte in zona?
    Sbuffò, e quella camminata a passi lunghi la stava sfiancando forse per la corsa che aveva fatto poco prima… e forse anche per il fatto che non aveva mangiato un tubo e non era proprio abituata a tutto quel dispendio di energie in così poco tempo.
    Si tenne a debita distanza cercando di non fare rumore e se in caso si fosse girato… beh a giudicare dalla fretta del suo passo non si sarebbe certo fermato a scorgere eventuali inseguitori.
    Dopo qualche minuto, allontanandosi sempre più dalla festa il vicolo si immise in un luogo che Mirai non aveva mai visto prima e si fermò a godere della quiete e della pace di quel posto.
    Era un tempio, un angolo di Paradiso che anche lei – seppure sorda – poteva sentirne l’aria di preghiera e devozione che si percepiva proprio lì.
    Non che credesse in qualcosa, ma quei posti in qualche modo la facevano sentire bene, una sensazione strana come se venisse accolta da braccia più grandi ed eteree di quelle di un comune essere umano.
    Era davvero una calca di persone, divisa in due gruppi e sebbene di gente ce ne fosse non era la stessa percezione che aveva come quando era immersa nella folla del Tanabata.
    E fu proprio in mezzo a questa, tra un attimo di distrazione e qualche pensiero che Mirai perse di nuovo di vista il suo cavaliere.
    No. Accidenti. sembrava essere quasi in crisi, la stanchezza si faceva sentire in tutte le ossa – soprattutto sui muscoli delle gambe – e non aveva quasi neanche la voce da tirare fuori tanto che furono le sue mani a parlare per lei.
    Stavolta… stavolta mi sa che non lo ritroverò più. si dette per vinta, anche se una parte di lei non accettava la sconfitta: d’altronde era arrivata fin lì, correndo, spiando, inseguendo e sperando e poi… basta? Finita lì?
    Stavolta non era il suo cuore o il suo cervello a cedere ma il suo corpicino.
    Si trovò un posticino non poco distante da là e si mise con le spalle ad un muro per riprendere fiato.
    C’è mancato… c’è mancato così poco… trasse un profondo respiro e rilassò i muscoli contratti cercando di riprendere fiato.
    Si tolse qualche ciuffo rimasto appiccicato col sudore al suo corno e si dette una risistemata che sembrava quasi indecoroso continuare la festa conciata in quel modo.
    Oramai l’ora di pranzo era finita da un pezzo, e il suo stomaco brontolava più che mai Pazienza, dai. Ora andiamo a mangiare qualcosa… o morirò di fame… e in quel momento pensò che quei denari che aveva ricevuto dal ragazzo, forse era meglio metterli come un’offerta a quel tempio: non era avvezza a quel genere di cose ma era il modo migliore per non averli: tanto non poteva renderli al legittimo proprietario dato che l'aveva perso, quindi tanto valeva lasciarli lì in quel tempio.
    La folla sembrava accrescere minuto dopo minuto e mentre Mirai stette lì ad aspettare un varco per portare la sua offerta ecco che di nuovo il destino schioccò le sue magiche dita.
    NAAAAANIIII?????? il suo cervello andò in pappa quando lo rivide sbucare come se avesse attraversato un portale proprio dalla parte opposta alla sua.
    Ma… come? Cosa…? Ma da dove è uscito? magia? Poteva fare anche questo oltre a creare oggetti?
    No. Forse è un’illusione della fame. sospirò con aria abbattuta se non fosse che sembrava essere troppo reale per essere un falso: si schiaffeggiò pure le guance.
    Quale illusione si schiaffeggia le guance?
    Mirai rimase a fissarlo come un pesce lesso mentre la folla iniziava ad aumentare anche dietro di lei… fu in quel momento che si riscosse, rimise i soldi nella borsetta e tornò all’inseguimento che questa volta non era a rotta di collo, anzi.
    Sembrava piuttosto rilassato a giudicare dalla sua andatura e un pensiero stupido, da classica ragazzina che si fa un sacco di trip mentali sentimentali le sovvenne Quindi a chi l'ha dato il pranzo? Alla sua ragazza? Se avesse avuto qualcuna almeno il pranzo l’avrebbe fatto con lei… e poi non se ne sarebbe andato così… così...tranquillamente...o forse sì? pensò mentre procedeva di nuovo a seguirlo nella direzione opposta a quella della processione.
    Cosa avrebbe fatto adesso? Come avrebbe agito? Lo avrebbe seguito come una stalker e se lo sarebbe lasciato sfuggire di nuovo? O lo avrebbe placcato? ….
    IIiiikkk che cosa faccio adesso? lo seguì a debita distanza mentre il suo stomaco brontolava dalla fame come un tirannosauro in vena di mangiarsi una grossa e succulenta bistecca.
    Era così concentrata sul da farsi che non notò minimamente che al passaggio del cavaliere una farfallina che si era posata su un muro a riposare – disturbata da quella figura – spiccò il volo e Mirai se la ritrovò davanti, o meglio le volteggiò in torno.
    Si pietrificò. Sentì i battiti del suo cuore arrivare fino al cervello e fu in attimo avvolta da un senso di terrore inconscio, puro e vero come l’ombra dell’abisso. Un vortice che iniziò a farla tremare sul posto per un istante prima che potesse urlare come una ragazzina in preda al panico.
    «Kyaaaaaaaaa!!»ondeggiò le mani a destra, a sinistra, in alto, in basso, sembrava quasi indemoniata nel tentativo di allontanare l’incubo alato da lei: farfallina che semplicemente aveva preso gusto a starle vicino o forse aveva visto in quella rosellina attaccata ai suoi capelli un ottimo fiore su cui posarsi.
    «Vai via! Vai via vai viaaaa!! Lasciami stare!! » disse per poi battere le spalle al muro e mentre gli occhi si strinsero in una morsa - senza pensare alla tremenda figura oltre al fatto che sarebbe stata chiaramente scoperta per i suoi schiamazzi – e scivolò lungo il muro rannicchiandosi sulle sue ginocchia trattenendo quel senso di terrore, aspettando che una volta aperti gli occhi quella farfalla fosse svanita nel nulla.
    Aveva la fobia delle farfalle fin da quando era bambina, una cosa strana che per lei era diventata un problema serio che non aveva mai affrontato.
    Tutte le volte che le capitava qualcosa del genere i casi erano due: o abbatteva il nemico con bolle sonore o si rannicchiava, come se la città fosse in pieno attacco missilistico, aspettando che l’incubo alato fuggisse per conto suo.
    Fu un bene che in quel momento il suo istinto la portò a scegliere l’opzione migliore al momento, la seconda, sebbene fosse quella da figuraccia estrema.
    Considerato anche il fatto che il cavaliere era a pochi metri da lei. Estrema figuraccia.
    Non pensò che forse l'avrebbe sentita e vista, che forse le avrebbe fatto un sacco di domande e che forse non era proprio quello il modo in cui avrebbe voluto attirare la sua attenzione e tanti altri pensieri ancora.
    Ma in quel momento non le sovvenne niente.
    Aspettò così, non seppe per quanto, inglobata in un abisso di puro terrore e sperava che qualcuno potesse aiutarla a risalire
    «Tasukete kudasai…»sussurò a fil di voce.

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    Yoshito Amaterasu
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    Un'ombra si stagliò sopra la raggomitolata Mirai come se qualcosa avesse oscurato il sole o, come in questo caso, ne avesse preso le parti agendo in sua sostituzione; anche attraverso gli occhi chiusi avrebbe potuto percepire il cambio di illuminazione e una brezza leggera che le accarezzava il volto.
    Schiuse le palpebre e alzato il volto, sopra di lei una due mani chiuse a conchiglia eran immobili non lontane dal suo viso e dietro di esse figura familiare dalla chioma di fiamma si ergeva davanti a lei; gli occhi chiusi e le labbra inarcate in un'espressione sorridente che voleva rassicurare, mentre attorno alla sua testa e tra le ciocche dorate, i raggi del sole ne incorniciavano il volto.
    Non temere, ora sei in salvo.
    Ma riavvolgiamo il nastro di cinque minuti.
    Canticchiando sommessamente un motivetto a labbra strette, Yoshito passeggiava sereno sotto il sole a meriggio; la sua figura illuminata da lame solari, veniva esaltata dalla sua andatura a passo fiero e deciso, in un posa regale composta e dignitosa. Era un'azione semplice, banale per molti, ma per lui ogni azione dalla più semplice alla più complessa, si trasformava in un'esibizione di un portamento nobile e maestoso.
    Condizionato dagli insegnamenti del padre e da anni di studi sul bushido e sugli antichi eroi samurai, Yoshito aveva sviluppato una concezione di eroismo tutta sua, basata non solo sulle azioni e su un ligio rispetto dei principi di condotta dettati dalla sua cultura e tradizioni, ma anche su un'apparenza che non andava mai tradita.
    Un samurai è una persona rispettabile. Un samurai è una persona giusta e un esempio da seguire. Un samurai non fa mai nulla per il proprio interesse ma si sacrifica per il benessere degli altri...
    Ed una serie di altri insegnamenti che il ragazzo aveva fatto suoi dogmi e che in sunto dichiaravano che una figura eroica lo è anche nel portamento oltre che nella mente e nello spirito; una serie di limitazioni auto imposte che agli occhi di alcuni lo facevano apparire una persona rigida e surreale, mentre ad altri sortiva l'effetto desiderato. Ma anche se la sua volontà appariva forte, alle volte in cuor suo trovava difficile mantenere la recita.
    Oggi è una giornata splendida ma questo caldo mi sta uccidendo. La mano si alzò per asciugar con la manica la fronte sudata. Eran pensieri inusuali i suoi se si considera che proveniva da una famiglia di emitter della fiamma e, cercando di far cedere le apparenze, con una postura dritta e il petto gonfio, alzò la mano sulla fronte per far ombra sugli occhi ed esplorare i dintorni. La folla radunatasi per la parata era aumentata a perdita d'occhio e il caos generato dal vociare e dai suoni della festa aumentò di conseguenza.
    Hmm? Sento qualcosa. Nonostante i rumori a circondarlo avessero invaso lo spettro sonoro come i fan ad un concerto, al suo orecchio non passò inascoltato il distinto lamento di chi è difficoltà. Girò velocemente la testa a destra e a sinistra, cercando con la vista la fonte dell'emergenza; passò rapida alla sua vista e non comprese quale fosse la minaccia, ma una ragazza si divincolava disperata attaccata da qualcosa troppo piccolo e troppo lontano da lui per identificarla. Ma Yoshito non perse tempo. Balzò rapido e felino verso l'obiettivo, pronto ad intervenire e a neutralizzare il pericolo; repentino fu il suo arrivo e altrettanto fulmineo fu il suo intervento. Non comprese il perché e a lui nemmeno interessava, ma farfalla era la causa di tutto quel trambusto e con un movimento rapido di braccia e mani, il ragazzo chiuse i suoi palmi sul piccolo insetto intrappolandolo illeso al suo interno. S'era curato di lasciar abbastanza spazio tra le mani chiuse a conchiglia, per non ferire il prigioniero al suo interno.
    Quando Mirari alzò lo sguardo, Yoshito si ergeva davanti a lui con le mani chiuse vicino al petto; il volto un sorriso e per lei una frase rassicurante era in serbo. "Non temere, ora sei in salvo." Le disse con il più caloroso tra i timbri vocali.
    Il ragazzo schiuse le mani con un movimento lento, la farfalla era ora libera e poggiava su un suo dito. Guarda cosa hai combinato, hai spaventato la signorina. Si rivolse alla farfalla con tono e sguardo di rimprovero ma che mal celavano comunque la sua natura dolce e gentile. Mi raccomando, d'ora in poi comportati come si deve. Agitava l'altro dito come per rafforzare le sue parole di rimprovero; le fece poi cenno di assenso con la testa e, alzando la mano verso il cielo, la farfalla preso il volo e si allontanò dal duo.
    Ahaha, ti chiede scusa voleva solo giocare. Le parole accompagnate da un volto gioioso eran stavolta rivolte a Mirai per cercarla di rassicurarla. E tu come stai? Ti sei fatta male? Per quanto sciocco o infantile ad occhio esterno il suo comportamento potesse sembrare, nei suoi occhi Yoshito vedeva solo una persona in difficoltà e cercò di sdrammatizzare e rallegrarla anche a costo di sembrare sciocco.
    Le tese la mano per aiutarla a rialzarsi, il ragazzo continuò a mostrarsi sia in viso e che con i gesti il più affabile e amichevole possibile, non accorgendosi subito di chi fosse la persona a cui stesse prestando soccorso. Oh! Ma tu sei la ragazza di prima! Esclamò con una certa celerità. Mi scusi tanto se non l'ho riconosciuta subito, ma ho visto visto che eravate in difficoltà e sono accorso qui ad aiutarvi senza pensarci. Ahahah. La mano s'infilò nella chioma dorata, e iniziò a scuoterla e strofinarla con fare lesto e distratto, mentre con gli occhi stretti continuava a sorriderle con aria allegra. Le palpebre si spalancarono e col suo sguardo strabuzzo tornò a parlarle amichevolmente.
    È già la seconda volta che ci incontriamo quest'oggi, dev'essere un segno del destino! La sua solita espressione serena si tramutò in una una sorpresa e un po' imbarazzata, come se si fosse appena ricordato di qualcosa. Ora che ci penso non le ho chiesto il nome. Disse ignaro che tale informazione gli era già stata data. Io sono Yoshito. Yoshito Amaterasu. Sia posa che tonalità si fecero il più solenni possibile mentre si presentava. Questa giornata sembra esser destinata al nostro incontro. Continuò con una postura ed un tono i più cavallereschi possibile. Invero vi avevo promesso che vi avrei ripagata se vi avessi incontrata.
    E col solo alle spalle, Yoshio allungò la mano e la porse a Mirai come segno di invito. Orsù, permettetemi dunque di accondiscendere al volere del fato e di offrirvi il pranzo per far ammenda al mio disdicevole comportamento.

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    Mirai Ishigami
    NARRATO x «PARLATO» x PENSATO x LINGUAGGIO DEI SEGNI

    Se lo ricordava vivido quel giorno, il primo giorno che segnò la sua fobia.
    Erano in un parco, bellissimo, fiori ovunque, era primavera. Con la primavera anche le farfalle erano giunte e i loro bozzoli si erano schiusi richiamati dal nettare dolciastro dei fiori.
    Non era mai venuta a contatto prima con una di queste, finchè una non decise di posarsi a riposare le stanche ali sul corno della bambina.
    Era piccola e ricordò quel giorno come un incubo in cui tentava inutilmente di scacciare via la farfalla senza riuscire perché non arrivava con lei sue piccole manine fin là e pianse quel giorno ma i genitori pensando fosse alquanto divertente la scena -visto e considerato che era una farfalla il criminale- non fecero nulla finchè la paura della bambina nel vedersi sopra il corno quel mostro (perché dal suo punto di vista così le sembrava) non fece esplodere una bolla sulla cima del corno. La povera alata bestia fu lanciata lontano da lei e fu solo in quell’istante che i genitori compresero cosa altro sapesse fare lei e che forse dovevano agire prima che potesse arrivare a quel limite di stress.
    Troppo tardi, quel giorno non riuscì più a toglierselo dalla testa e anche in quel momento in preda alla sua più grande fobia stava facendo uno sforzo enorme per impedire che potesse attivarsi il suo quirk e danneggiare qualcosa o qualcuno in quel vicolo.
    Aiutatemi… un grido silenzioso che riecheggiava solo nella sua testa e che in realtà era stato udito dall’unica persona che forse avrebbe voluto avere a salvarle la vita (nota: questo perché nella sua mente le farfalle sono brutte bestie che succhiano sangue e trascinano le anime agli inferi e si sente minacciata da queste come se fossero belve assassine indipendentemente dalla loro forma, grandezza, che siano notturne o diurne).
    In quello sconforto, e in quel terrore, mentre ogni centimetro di lei tremava lo sentì.
    Percepì quel flebile spostamento d’aria accarezzarle dolcemente gli zigomi e allentare la presa dei denti serrati, come quella delle palpebre. Percepì un’ombra stagliarsi di fronte a lei, oscurare la poca luce che filtrava attraverso i palazzi attorno a loro.
    Aprì le palpebre un pochino di più giusto per capire cosa stava accendo e poi lo vide, quel sorriso, quel volto, vide lui e venne pervasa da una sensazione dolce che le sciolse ogni muscolo.
    Era lì, era di fronte a lei e era accorso alla sua richiesta di aiuto.
    Non le passò per la mente che poteva crederla una sottospecie di stalker ma non se ne curò non in quel momento.
    Con le mani chiuse a conchiglia vicino al grande petto, il cavaliere se ne stava di fronte a lei e con un movimento delle labbra le disse semplicemente di non temere, che era in salvo adesso.
    E il volto della ragazzina dal corno in un attimo divampò come se avessero appena acceso un fornello sulla sua testa.
    Rimase lì ad ammirarlo in silenzio, nel suo silenzio, con la schiena al muro, a sedere per terra.
    Fu in quel momento che il ragazzo schiuse le sue mani con un movimento al rallentatore e Mirai potè nuovamente vedere la bestia infernale che adesso si poggiava sul dito del suo cavaliere.
    «No no no! Ti prego mandala via… lontana da me! Ti prego non la fare avvicinare! » iniziò ad agitarsi nuovamente mentre metteva le mani avanti a sé per tenere lontano lui e la bestiaccia senza badare alle parole del ragazzo che sussurrava alle farfalle.
    Dopo aver distolto lo sguardo da lui tornò a guardarlo per vedere se aveva mandato via la creatura infame e constatò con un enorme sospiro di sollievo e con gratitudine che la bestia era volata via altrove.
    Meno male… fuuu c’è mancato poco davvero… odio queste bestiacce! pensò prima di vedere la mano tesa del ragazzo verso di lei che le fece dimenticare presto la brutta esperienza.
    Non sapeva cosa fare, si sentiva in imbarazzo, nel più totale imbarazzo e non riusciva a credere di aver fatto tutta quella strada e tutta quella fatica solo per rincorrere lui. E per cosa? Soltanto per rendergli i soldi che le aveva dato? Solo per chiedergli il nome?
    Quanto si sentiva sciocca a pensare che non era per nessuno di quei motivi.
    Forse le aveva detto qualcosa nel frattempo ma nessuna parola arrivò agli occhi sognanti e imbarazzati della ragazza che fissavano prima il terreno e poi la mano del cavaliere.
    Si riscosse un pochino e non rispondendo alle domande del ragazzo gli prese la mano e si rialzò un po’ a fatica visto che aveva ancora le gambe un po’ molli.
    Sorrise continuando a non guardarlo negli occhi, sapendo che probabilmente avrebbe perso gran parte di quello che le stava dicendo.
    «G…Grazie…» sussurrò mentre sentiva il volto andarle a fuoco e solo dopo poco alzò lo sguardo al suo salvatore e le bastò quel sorriso e quel volto pieno di gioia per sciogliere un po’ la tensione
    Fu allora che lesse dalle sue labbra una qualche sorta di sorpresa.
    Beccata…. oh sì, l’aveva chiaramente beccata e riconosciuta – non che ci fossero tantissime ragazze con un corno piazzato in mezzo alla fronte – e la cosa la fece sprofondare e rallegrare allo stesso tempo.
    «Beh… ecco io… ti – ti ringrazio per essere venuto a salvarmi… sei. Sei proprio un cavaliere. » rispose al ragazzo che le aveva appena detto che si era gettato a salvarla come un vero e proprio eroe senza aver pensato due volte a quello che stava facendo e per chi lo stesse facendo.
    Lo hai detto…. Lo hai detto davvero?? oramai non poteva tornare indietro su ciò che aveva detto quindi sperò che lo avesse preso come scherzo più che del come lo vedesse lei.
    Non riusciva in effetti a staccargli gli occhi di dosso mentre lo vedeva strofinarsi la strana chioma – e poteva ringraziare quella se non lo aveva perso per strada durante l’inseguimento – finchè anche lui non dischiuse di nuovo il suo sguardo su di lei tirando fuori una frase che la fece per un attimo bloccare sul posto: tirò fuori il discorso sul fatto che l’essersi incontrati due volte non poteva essere che un segno del destino.
    «Eh eh eh…» ridacchio mentre cercava di sistemarsi nervosamente dei ciuffi di capelli scomposti sulla sua testolina Sì sì. Sicuramente è un segno del destino… meno male la pensa così… e comunque in un certo senso non ha proprio tutti i torti.
    «Il destino a volte è… strano. Non sai mai cosa può agire… ma… in questo caso ne sono grata. » Si fermò pensando a ciò che aveva poi di nuovo detto. E deglutì forzatamente presa dall’imbarazzo della situazione.
    Fu il ragazzo poi a riportarla sulla terra dicendole che non le aveva chiesto il nome e presentandosi come Yoshito Amaterasu. Una posa solenne, a petto in fuori, seguì quelle parole radicando sempre di più nella mente della ragazza che fosse effettivamente un cavaliere in carne ed ossa.
    Mirai dovette far fatica a leggere sulle labbra l’intero nome ma ci riuscì, forse, e per non sbagliare si stampò nella mente il nome e il cognome del ragazzo come se fossero quelli di una super star in modo che potesse custodirli con tanta cura.
    «Il piacere è tutto mio. » disse con un inchino della testa e del busto mettendo le braccia lungo ai fianchi in modo stranamente formale « Io mi chiamo Mirai Ishigami.» disse senza ribadire il fatto che in realtà lei si era già presentata prima che lui scappasse via di fretta.
    Finalmente si erano presentati. Non era una cosa da poco per lei, significava che adesso che non aveva più niente per cui correre egli poteva avere il tempo anche per farle compagnia… almeno che non avesse qualche ragazza o qualche altro grattacapo.
    Quello che però le disse in realtà la colse quasi di sorpresa perché effettivamente era propenso ad offrirle il pranzo.
    Era difficile per lei, in effetti, provare a star dietro ai suoi discorsi più per il linguaggio solenne e tradizionale – sembrava appartenere all’epoca di antichi samurai più che ai giorni attuali – quindi riuscì a capire più o meno quello che stava dicendo ma questo la portò con lo sguardo a non staccarsi dalle sue labbra.
    In realtà a vederla dall’esterno sembrava quasi intenta a vedere rimasugli di cibo rimasto sulla bocca del ragazzo piuttosto che ad ascoltare le sue parole e non era proprio una cosa carina da fare o da vedere ma ahimè non poteva fare altrimenti.
    Fu quando lesse le ultime parole, ovvero “offrirvi il pranzo” che il suo volto si illuminò come se fosse stato colpito da luce divina.
    I suoi occhioni si alzarono e incrociarono lo sguardo di Yoshito e portò entrambe le mani chiuse una sull’altra al petto «Di-… dici sul serio? » quasi le sembrò di non aver compreso bene le sue parole ma dal suo sguardo pareva proprio che portarla fuori a pranzo per scusarsi di tutto quel pasticcio fosse davvero nelle sue intenzioni.
    Quasi scoppiò a piangere ma si trattenne per evitare di fare ulteriori figuracce e annuì con un sorriso caloroso e grandissimo come se in quel momento non vi fosse niente di più bello.
    «Hai proprio ragione, sai? Questa giornata doveva essere proprio destinata al nostro incontro. Anche perché… volevo renderti questi e speravo di poterti beh… ecco…» il suo sguardo si abbassò mentre frugava nella sua borsetta e porgendo tra le sue mani il denaro che le aveva dato poco prima per scusarsi dello scontro continuò a parlare con voce leggermente tremolante per l’emozione « ritrovare per dirti che…» doveva riuscire a trovare le parole giuste ma non era così tanto semplice. Non aveva mai provato a parlare con un ragazzo figurati se si trattava di un quasi appuntamento; le sue fantasie in quel momento volavano come stormi nella sua mente ed erano aumentate sapendo che alcune stavano per diventare realtà e questo la portava anche ad esplorare emozioni che non aveva mai provato prima che a stento riuscivano a farla parlare e solo in quel momento si accorse della mano del ragazzo tesa verso di lei come segno di invito al banchetto.
    « eh… ecco… io… » il suo cervello era andato in tilt. Oramai non si distingueva più dove iniziavano i suoi capelli e dove finiva il suo volto per quanto rossa era diventata e per un attimo sentì il destino darle un piccolo incentivo a buttarsi e lasciarsi andare almeno per un giorno visto che aveva meritato quello che aveva scritto sul suo Tanzaku « Sì. Mi piacerebbe, sì. Ah e questi sono tuoi! Giusto! » afferrò la sua mano per riprendersi un momento e tornare in sé o si sarebbe sciolta sulla strada e gli mise le monete che le aveva dato al loro scontro.
    Avrebbe voluto in effetti stringergliela con tutta se stessa e buttarsi tra le sue braccia ma era una scelta azzardata e con alta probabilità di insuccesso che avrebbe portato YoshiKishi (Cavalier Yoshito) a scappare via a gambe levate.
    Quindi forse era meglio optare per un approccio al momento distaccato ma interessato e poi… che il fato pensasse al resto.
    « Non importava proprio darmele e non importa neanche offrirmi il pranzo…» possiamo anche non mangiare ma basta che non ti rimetti a correre… proprio adesso… pensò per poi spolverarsi di dosso un po’ di sporcizia soprattutto là dove lo Yukata aveva tastato il terreno « Ma se proprio insisti… possiamo prendere qualcosa da una bancherella… sai. Io adoro i takoyaki, e aspetto sempre il Tanabata per poterli mangiare. Quindi sempre se ti va…» Ti prego non dirmi di no o potrei morire… visto e considerato a quanto veloce andava il suo cuore un rifiuto sarebbe stato fatale ma aveva un certo piano per far andare tutto bene … in fondo lui voleva sdebitarsi e lei poteva cogliere la palla al balzo e non farlo restare solo per pranzo «…potremmo andare a prendere qualche piatto da qualche parte e poi andare a mangiare sulla spiaggia… e poi … avrei anche in mente di vedere il grande Gundam e poi anche ad appendere i tanzaku… che ne dici? O… forse hai altri impegni? » disse portandosi il dito indice al labbro inferiore mostrando due occhioni grandi e pensierosi come se il suo ragionamento si fosse spinto anche fin troppo in là col tempo – ed in effetti era proprio così, si stava parlando del pranzo e la sua mente arrivò fino a sera – ma voleva provare a vedere.
    Se effettivamente è un cavaliere non lascerebbe mai una donzella da sola e cercherebbe in qualche modo di rimediare all’onta subita da quell’incidente e per essere scappato così senza neanche presentarsi… quindi tanto vale provare. Se davvero ha qualcuno ad aspettarlo probabilmente mi dirà di no, ma … tentiamo la fortuna.
    «Ti… chiedo scusa.» disse raccogliendosi per un momento tra le sue spalle «corro troppo… eheh… mi basta solo poter pranzare con qualcuno quest’oggi… sai… è un po’ triste partecipare ad una festa da soli. Ne, Yoshikishi-kun?»

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    Yoshito Amaterasu
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    La mano tesa di lui afferrò quella di lei e la tirò su dal momento di disperazione in cui era sprofondata. Mirai era leggera e la sua mano morbida e delicata.
    Mi sembra quasi di cogliere un fiore di sakura.
    Tra sorrisi, parole gentili e condotte da gentiluomo, Yoshito era riuscito nel suo intendo: aveva sostituito la paura e le lacrime sul volto della fanciulla con un'espressione più calma ed un sorriso sincero. Mirai era tornata serena e, per quanto celata dietro il perenne sorriso sul suo viso, una forte gioia pervase il ragazzo, pago dal risultato. Lui stesso non reputava il suo intervento meritevole delle lodi a lui rivolte dalla ragazza, dopotutto aveva solo scacciato una piccola farfalla; ma nella sua testa le parole della madre pronunciategli in un giorno ormai lontano, iniziarono a risuonargli e a ricordandogli il perché delle sue azioni.
    Ricorda figlio mio, la nobiltà di un eroe non la si valuta solo dalla grandezza delle sue imprese. Ma anche dal più piccolo dei gesti che compie ogni giorno.
    Madre, avete ragione. Le vostre parole sono ciò che mi dà forza e ancora mi accompagnano fornendomi coraggio. Ed oggi, gli renderò onore. Vestendo i panni dell'eroe di cui questa ragazza ha bisogno.
    Cercando di mantenere un viso sereno ed un portamento regio che fosse degno delle sue stesse aspettative, e con lo sguardo completamente assorto in quello di lei, Yoshito donò alle parole di Mirai l'attenzione che non era stato in grado di darle nel loro scorso incontro. Sfoggiando la sua solita posa a braccia conserte e gambe divaricate, il ragazzo sorrise e ridacchiò quando Ishigami esaltò le sue virtù cavalleresche.
    Ahaha. Un cavaliere dite? Non mi ero mai figurato in un simile ruolo. Yoshito era solito immaginarsi con il titolo di samurai essendo quello cavalleresco un appellativo più occidentale, ma non sembrò dispiacergli la qualifica affidatagli. Vi ringrazio per queste parole così gentili, ma non son degno di simili onorificenze.
    Sempre modesto il nostro aspirante guerriero. Era incapace di accettare complimenti o ringraziamenti d'ogni genere poiché considerava ogni suo gesto ed azione naturali e sincere; non agiva secondo fini egoistici come lodi o gloria.
    La conversazione continuò con toni decisamente più rilassati. La ragazza sembrò concordare quando il giovane Amateasu definì il loro incontro come un percorso dipinto dal fato, ignaro ovviamente dell'impegno di lei affinché potesse avverarsi quell'incontro "predestinato". Ma forse anche quello non era altro che il segno di un piano più grande orchestrato dal cielo; dopotutto, ogni cosa era partita da un incontro voluto dal caso.
    Ishigami-san, è mia gioia far la vostra conoscenza.
    Finalmente, coi giusti ossequi, i due s'eran presentati, inchini e nomi eran stati scambiati, ed ora che le formalità eran state ultimate i due giovani poteron andare avanti con i loro dialoghi. Yoshito, comportandosi da galantuomo come insegnatogli dalla madre, suggerì alla ragazza di concedergli l'onere di prendersi carico delle spese del pranzo come ammenda per l'onta che le aveva inflitto.
    Come mai mi sta osservando con quello sguardo? Ho detto qualcosa di sbagliato oppure ho qualcosa in viso?
    Ignaro della sordità della donzella e del vero motivo per cui gli stesse fornendo uno sguardo così attento ed intenso, Yoshito non poté non notare un simile comportamento, trovandosi in uno stato di inaspettato imbarazzo che quasi non sfociò in un viso paonazzo. Ma per quanto soffocò quell'emozione, un lieve rossore si fece largo per un attimo sulle guance del ragazzo, specie dopo che il suo sguardo incrociò quello di lei carico gioia per la proposta che aveva alzato. I due occhioni dal forte color dorato come se fossero due piccoli soli, lo spiazzarono per un attimo di troppo e, portando il pugno davanti al volto e schiarendosi la voce, si forzò a ritrovar contegno. È dura voler mantenere sempre alte le apparenze.
    Ma ciò che lo salvò dall'imbarazzo e lo spiazzò ancor più di quello sguardo, fu il gesto inaspettato della ragazza e la sua volontà a restituirgli il denaro che le aveva donato come compenso per il precedente danno. La mano di lei si forzò nella sua ed uno sguardo perplesso gli corrucciò il volto; la mano piena di Ishigami riversò le monete nel palmo di Amatersau e dopodiché la ragazza iniziò un discorso che non fu mai fermato.
    Yoshito ascoltò con cura le sue parole, sorridendole tutto il tempo con la sua solita compostezza ormai ritrovata; con le loro mani ancor deposte l'una sull'altra, Mirai continuò la sua arringa, proponendo programmi per il resto della giornata.
    Beh, pensandoci, mi piacerebbe andar a dare un'occhiata al Gundam...
    Mai una volta nella mente del ragazzo balenò il pensiero che fosse inopportuna o che stesse correndo troppo. Ma ci fu una frase in particolare che gli fece strabuzzare gli occhi poiché afflitto da sorpresa.
    Yoshikishi-kun!!?
    Un simpatico incrocio tra il suo nome e il kanji per cavaliere, il Cavalier Gentile potremmo tradurlo. Ma non fu il gioco di parole ad essere inaspettato. Il fatto che si fosse appellato a lui chiamandolo per nome e con il suffisso kun, senza contare il nomignolo appena dato, lasciava intuire un livello di conoscenza e intimità tra i due che non rispecchiava per niente il rapporto che solitamente si ha con un ragazzo appena incontrato. Il giovane ne rimase abbastanza spiazzato e la risposta fisica che il suo corpo esibì furono un visso arrossato ed un sorriso imbarazzato.
    C-Cosa? Ho sentito male? Come mai questa confidenza? Forse starà solo scherzando?
    Per quanto si atteggiasse per il modello perfetto dell'eroe stereotipato, alla fin dei conti Yoshito non era altro che poco più che un ragazzino che nella sua vita aveva dedicato tutto il suo tempo ad allenamenti e al come meglio soddisfare le sue ideologie di eroismo; inutile quindi specificare come fosse marcata la sua inesperienza in quel senso con il gentil sesso. Era sempre stato abituato a mantenere un rapporto formale e distaccato, troppo impegnato a badare all'etichetta e al portamento per poter minimamente pensare a rapporti di un certo tipo. E se una semplice parola lo avesse quasi ridotto in uno stato di panico, lascio a voi immaginare quanto fosse una semplice facciata il suo comportamento sempre ligio e controllato.
    Ma Yoshito era troppo inflessibile per lasciarsi sopraffare dal disagio.
    Ok, Yoshito Amaterasu, datti un contegno. Questa non è una condotta degna per un uomo ed un aspirante eroe.
    Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, il rossore dal suo viso sembrò sbiadire quasi immediatamente. Alzò la mano libera e la posò sull'altra, chiudendo le monete e la mano di Mirai tra i suoi palmi; riaprì gli occhi e le iridi fiammeggianti si porsero a quelle di lei. E con la sua solita calma e compostezza ritrovata, esclamò a gran voce verso la ragazza.
    E allora vediamo di metterli subito in buon uso! Disse riferendosi ai soldi tra le loro mani. Facciamoci una scorpacciata di takoyaki e patate dolci e poi ti accompagnerò a vedere il grande Gundam. Sai volevo vederlo anch'io.
    Continuò a sorriderle, strizzando gli occhi. Aveva abbandonato le formalità e per qualche motivo si espresse in un linguaggio meno forbito e più informale rispetto al suo solito, mentre i suoi modi parvero diventar ancor più gentili ed affabili.
    Liberò la mano di Mirai e ripose la sua nella tasca, riponendo in quest'ultima i denari che aveva riottenuto. Dopodiché, ne uscì dal suo interno una serie di fogli di carta colorata che alzò fino alla testa per mostrarli alla ragazza; erano una serie di tanzaku quasi tutti già compilati, mentre un paio ancora vuoti in attesa di un desiderio.
    Dopotutto avevo già in programma di appendere i tanzaku stasera e non ho altri impegni per il resto della mattinata. Quindi sarò felice di farti da cavaliere in questa splendida giornata.
    Strizzò gli occhi e le sorrise ancora una volta, ma questa volta con un sorriso a bocca larga e con i denti in vista, mentre le guance tornarono a colorarsi nuovamente come la punta della sua chioma.
    Va bene Mirai Ishigami. Andiamo a mangiare!
    Con un espressione felice ma un linguaggio del corpo più impacciato, il giovane Amaterasu appariva quasi irriconoscibile nel portamento e nel parlato. Era un situazione nuova per il nostro ragazzo e per quanto la logica volesse dettar il suo comportamento, improvvisamente gli parve di saper più cosa stesse facendo.
    Spero di non combinare un pasticcio.
    Ma una delle virtù di un guerriero è quella di sapersi adattare ad ogni tipo di situazione. Mentalmente cercò di vederla come una sfida che doveva essere superata, una nuova via che lo avrebbe condotto sempre più vicino alla meta prefissata... Forse.
    E come voluto dal fato, la coppia s'era ormai incontrata ed organizzata. I due, l'uno affianco all'altra, si allontanarono da quel e ritornarono verso il cuore del Tanabata; chissà come avrebbero speso il resto della loro giornata...

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