Tanabata, Takoyaki, Tanzaku and...Gundam! Part II

Tanabata Festival Part II | Role libera - Yoshito Amaterasu [role extra] & Mirai Ishigami

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    ❛❛ Yoshito Amaterasu ❜❜
    Gli occhi lucidi e arrossati.
    A quanto pare lo sproloquio del ragazzo aveva sortito i sui effetti sulla fanciulla dai capelli ramati, ma era difficile comprendere quali essi fossero semplicemente osservandola.
    Che le mie parole l'abbiano emozionata? O forse è solo stanca di dovermi stare a sentire...?
    Ma quello a cui Yoshito non pensò era che forse la verità si trovava nel mezzo. Per fortuna, i dubbi del giovane sul fatto che potesse averle recato noia, vennero dissipati da Mirai stessa e dalle dolci parole che pronunciò nei confronti del ragazzo. Anche se il suo immutabile viso solare e sorridente non permetteva di comprenderne i pensieri, il giovane samurai apprezzò profondamente i commenti di lei sul rapporto che aveva col fratello, definendolo persino come una roccia. Ma anche una roccia può sgretolarsi se non rimane dura e compatta. Le avrebbe voluto dire, ma non volle rovinare quel momento di positività da lui stesso spronato per una mera saggezza al momento non richiesta. A volte bisogna comprendere che anche il silenzio può essere necessario.
    E ancora una volta la ragazza lo aggettivò con gli appellativi di eroe e cavaliere, ma stavolta il discorso di lei non poteva essere controbattuto e fu proprio lui a fornirle gli strumenti per dar forza alla sua tesi. E va bene! Esclamò con un tono sconfitto. Non posso far nulla contro la tua logica, quindi ti concederò di chiamarmi con l'appellattivo che più ti aggrada. Prese una pausa per sorriderle e con un viso che palesemente si finse severo, le replicò col dito indice che puntava il cielo. Ma solo per questa volta!
    Rise difronte al suo stesso comportamento e continuarono a chiacchierare e camminare, con le loro braccia ancora l'una dentro l'altra, interrompendosi solo una volta che la loro destinazione si palesò dinanzi a loro.
    Infine siam giunti al tuo cospetto… Oh Grande Gundam!
    La ragazza si divincolò e quella situazione braccio sotto braccio venne sciolta. Mentre Mirai si stropicciava gli occhi "per la meraviglia", pensò Yoshito, ma in realtà fu per l'intensa concentrazione che le aveva richiesto lo star dietro all'interminabile discorso del suo interlocutore -che per fini di trama è obbligo puntualizzare fosse ancora ignaro della sordità della ragazzo nonostante le ore passate assieme- che intanto osservava entusiasta l'opera dinanzi a loro.
    Ahaha! È davvero un'opera monumentale!
    Con le mani sui fianchi ed il capo inclinato verso l'alto, il ragazzo osservava con un viso incredulo la possente statua di metallo; sorridendo a bocca aperta e con gli occhi strabuzzi, nonostante non fosse un fan dell'opera da cui era tratta, il giovane Amaterasu non poté non meravigliarsi della grandiosità di quella costruzione. Una statua di ferro ed acciaio alta 18 metri, sfoggiava colori caldi e freddi sulla sua scintillante armatura e posava eroicamente come se fosse pronta ad intervenire per proteggere la città.
    Subarashii! Esclamò il ragazzo. Sarebbe davvero prodigioso poterle vedere muovere passo!
    I due era l'uno affianco all'altra e gli occhi d'entrambi eran puntati sul Gundam, quindi sarebbe stato impossibile per la ragazza poter "udire" i commenti del giovane. Ma non era un problema; eran commenti gridati al vento i suoi e a cui non si aspettava di ricever risposta. Dopotutto, era di Ishigami il turno di prender parola. Con i piedi distanziati, le braccia incrociate e la schiena leggermente ricurva verso l'alto, Yoshito assunse una posa che pareva voler sfidare il Grande Gundam; e senza far incontrare i suoi occhi con quelli di lei, rimase al suo fianco ad ascoltarla mentre i loro sguardi rimasero fissi sul gargantuesco guerriero di metallo.
    Gli parlò del padre e di come le avesse trasmesso la sua passione per quella saga di combattimenti e giustizia, e dell'importanza che quell'opera aveva avuto su di lei e di come le avesse condizionati gli ideali; Yoshito, da parte sua, non era completamente ignorante in materia ma non era mai stato un appassionato di anime e manga. Anche lui aveva ereditato le passioni di famiglia ma erano decisamente di altro genere. Così, come ben diverso, era il suo concetto di forza ed eroismo e le fonte da cui essi derivavano. Per quanto nobili e pure possan suonare le sue parole, trovo davvero troppo semplicistica questa percezione delle cose. Ovviamente non glielo disse, ma il giovane samurai aveva un'istruzione che deriva dal bushido, insegnamenti provenienti da un'altra epoca e che valorizzavano la figura del guerriero e la forza del singolo. Probabilmente gli parvero dunque infantili quelle parole, ma aveva imparato ad esser modesto e a rispettare il pensiero altrui; decise dunque di non controbatterla e di non imporre il suo di pensiero e rimase taciturno, ed in posa, ad ascoltare il resto del racconto.
    Bensì fosse stata rincuorata dal precedente discorso del ragazzo, Mirai pareva ancora confusa ed incerta sul suo futuro; dopotutto non ci si può mica aspettare che tutti i suoi dubbi potessero venir risolti da un discorsetto e da delle belle parole. Ma di una cosa pareva certa e sincera a riguarda: la sua gratitudine verso il ragazzo. Yoshito, sorridente come sempre, voltò il capo per guardarla e contraccambiare la gentilezza. Ed io ringrazio te, Mirai Ishigami, per aver ascoltato le parole di uno sciocco che a volte parla troppo. Ma concedimi solo un ultimo soliloquio Si girò dunque col resto del corpo, mantenendo però la posa fiera. È vero, il Grande Gundam potrà non esser reale, ma non scordar mai che in questo grande lago chiamato mondo, ci sarà sempre chi sarà disposto ad intervenire per far ciò che è giusto fare. Grandi individui capaci di creare grandi onde. Ma...! Alzò il dito, per puntualizzare quell'obiezione. Ricorda che anche una piccola goccia può increspare il lago e creare la sua onda. E mentre diceva quelle parole, poggiò delicatamente la punta del suo dito sulla punta del naso di lei.
    Fu un solo istante.
    Una carezza potremmo dire.
    E ritrasse subito la mano per rincrociarla nuovamente con l'altro braccio, mentre il viso veniva inarcato da un grosso sorriso sotto occhi che venivano strizzati con gioia.
    Finito il discorso era dunque arrivato il momento di ottemperare alla richiesta della fanciulla. Mmh... Non le diede una risposta e si toccò il mento dubbioso. Si chinò dunque sulle sue stesse gambe, abbassandosi sul posto come volesse raccogliere qualcosa dal pavimento. Colse una pietra con una mano e della polvere con l'altra; si guardò attorno con fare furtivo per assicurarsi che nessuno guardasse. Dopodiché congiunse le mani e chiuse gli occhi, il volto si corrucciò concentrato, ed un flebile bagliore si poté notare tra le fessure dei suoi palmi se osservato con attenzione. Ok... Ci siamo. Commentò a se stesso. Con uno slancio dei fianchi tornò in piedi e con la schiena dritta, mentre manteneva le mani chiuse davanti a se e verso la ragazza.
    So che non è come l'originale, ma... Schiuse lentamente le mani per mostrarle il contenuto; visto dall'esterno sarebbe parso come se avesse raccolto qualcosa, quindi non dovevano esserci problemi in merito. Quando le mani furono finalmente aperte, il ragazzo porgeva con una mano una piccola statuetta di legno raffigurante il grande Gundam, con tanto di armamento fra le mani. Spero possa andar bene! L'action figure era alta quanto la sua mano e si ergeva perfettamente su quest'ultima, sfoggiando la stessa posa della sua copia in scala uno ad uno.
    Lady Mirai Ishigami, conceda a questo servo l'umile onore di farle in dono codesto oggetto.
    Le disse abbozzando un inchino cavalleresco e richiamando con quelle parole la precedente recita che avevano eseguito quel pomeriggio. Rise, dopodiché, dopo averglielo donato e terminando lì il suo spettacolo improvvisato. Spero ti piaccia! Esclamò allegro mentre poggiava i pugni sui fianchi. Dopodiché, congiunse le mani incrociando le dita fra loro, alzò le braccia al cielo con le mani ancora unite ed i palmi rivolti verso il cielo. Gggh...! Si girò, dandole le spalle e si stiracchiò inclinando leggermente il busto a destra e a sinistra, come se si stesse riprendendo da un grossa fatica muscola.
    Bene, Mirai-san. Come vorresti che codesto cavalier ti rallegri il resto della giornata= Le disse mentre le dava ancora la schiena. Passo qualche momento ma non vi fu risposta alcuna da parte della ragazza. Mirai-san!? Esclamò dubbioso per poi girarsi verso di lei. Forse la mia domande era forbita e non l'ha compresa.
    Le si avvicinò mentre ancora armeggiava con il regalo appena ricevuto. Mirai? Le disse appoggiando delicatamente la mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione. Ti ho chiesto cosa ti va di fare adesso...! Il ragazzo era col corpo leggermente chino verso di lei, fissandola con un viso gioioso e sorridente, con i loro visi che si trovavano alla stessa altezza; rimase fermo in quella posizione e con la mano destra poggiata sulla spalla della fanciulla, in attesa di risposta...
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    MIRAI ISHIGAMI
    NARRATO x «PARLATO» x PENSATO x LINGUAGGIO DEI SEGNI


    Yoshito era una persona fantastica.
    Un cavaliere dall’animo nobile e puro, un po’ impacciato a volte ma premuroso e molto carino.
    L’unico difetto che Mirai poteva trovare in lui non era l’ardore del suo spirito quanto il fatto che parlava così tanto e a volte con termini così antiquati che faceva fatica a seguirlo.
    Il discorso che le aveva fatto era stato lungo, e aveva certamente lasciato un segno nella giovane ragazza che accolse quelle parole e le fece sue.
    Si sentì inondata da un calore diverso da quello che aveva avuto prima, come se molte delle risposte che cercava fossero state chiarite e illuminate dalla sua presenza.
    Yoshito Amaterasu di sicuro non lo sapeva ma era riuscito a darle quella fiducia che spesso aveva ricercato nei suoi genitori e che mai le era stata data… il solo fatto che, sì, Mirai Ishigami poteva farcela e diventare l’eroina della sua storia. Qualsiasi essa fosse, se solo avesse creduto in lei stessa. Ciò l’aveva resa determinata e più forte… per il semplice fatto che qualcuno credeva in lei.
    Lui ci credeva.
    Mirai alzò lo sguardo al Grande Gundam con i suoi occhioni che si erano illuminati di un’altra luce, più forte e più brillante di qualsiasi altro sole in ogni galassia.
    Forse non sarò come te, Yoshikishi-kun, e neanche come il Grande Gundam ma… io un giorno saprò cosa vorrò fare in questa vita e allora… non mi fermerò. Perché so … voltò lo sguardo un leggermente verso Yoshito, accanto a lei perché so che ci sarai tu a guardarmi….
    In quel momento Yoshito le parlò di nuovo, e Mirai sperava davvero di non essersi persa qualche altra frase importante nel mentre… insomma… era ancora indecisa se dirgli o no del fatto che fosse sorda.
    Ma preferì non dire nulla.
    Si vergognava un po’, non voleva apparire più debole di quanto già lo potesse essere. Non voleva avere occhi di riguardo.
    Quanto tempo aveva passato a rimuginare su questo argomento, e quanto le faceva sempre male pensare a ciò.
    Si spostò un ciuffo che le cadeva ribelle sulla guancia e lo portò dietro l’orecchio facendo attenzione a non sganciare i suoi grandi e strambi apparecchi.
    « Ahah~ ma che dici! Soltanto un pochino… lo ammetto… » sghignazzò facendogli la linguaccia per poi leggere il resto del discorso di Yoshito con interesse finchè non le toccò la punta del suo nasino con il suo dito e questo provocò un colpo di fulmine che dal cervello arrivò fino allo stomaco.
    «Oh… » rimase ferma immobile mentre le sue labbra provarono a balbettare qualcosa di assolutamente senza senso e solo quando lui ritrasse quel braccio per metterglielo di nuovo attorno al braccio che Mirai provò a schiarirsi la voce e a cercare di rispondere al suo discorso cercando di autodistrarsi dalla situazione di imbarazzo. Un’altra volta.
    « S-s-s-u q-q-uesto hai ragione, Yoshikishi-kun. » disse sorridendogli « A volte anche solo una piccola goccia può cambiare davvero tanto le cose… ne? Orihime-chan, Hikoboshi-kun? » disse sollevando il barattolo con i pesci che la osservavano come per dire “ok, la finiamo questa tortura per piacere?!”
    « Sai… tu per me sei stato quella goccia. Io… non ho mai avuto nessuno che mi dicesse quelle cose così belle e così… ispiratrici! » tornò ad abbracciare il barattolo e i pescetti «Per cui ti ringrazio davvero tanto. Spero un giorno di poter essere quell’onda… e arrivare a toccare il cuore di tante altre persone con la voce che tu hai lasciato a me. E che queste a loro volta possano fare lo stesso con altre… sai… sarebbe un mondo migliore se tutti potessero trarre ispirazione da ciò che hai detto. Sai? » sorrise per poi tornare a guardare il Grande Gundam cercando di non pensare a quella strana sensazione che aveva in petto e a perdersi in un grande sogno che mai sarebbe diventato realtà.
    AAAAWWWWWW … ammetto… quanto vorreeeeeeei farci un girooooo!!!! Mirai chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro mentre si vedeva salire nella cockpit del Grande Gundam e quasi poteva vedere di fronte a sé tutti i comandi per muovere i passi, quelli per combattere e quelli per semplicemente … volare.
    Oramai aveva visto così tanti, tanti video, film /anche se questi sottotitolati la entusiasmavano parecchio/ e manga… non era un’appassionata sfegatata di mecha, ma suo padre che lo era le aveva trasmesso almeno un minimo questa passione.
    « Awwww~ » si lasciò sfuggire mentre si immaginava la vastità del cielo, l’orizzonte tingersi di quei colori autunnali del tramonto e poi…
    Mirai sentì Yoshito lasciare la presa che aveva sul suo braccio, il che la riportò alla realtà, e lo osservò mentre si chinava a raccogliere qualcosa da terra.
    «Mh?... Hai… perso qualcosa? » ma stranamente notò quanto lui avesse semplicemente preso una pietra da terra e … della … polvere?
    «Che… che cosa fai? » domandò incuriosita da tale fatto, mentre Yoshito osservò con fare sospetto i dintorni in modo che forse nessuno potesse vedere quello che stava per fare.
    Poi, come accadde per il suo accessorio, chiuse le mani una sull’altra e dalle fessure Mirai potè notare lo stesso bagliore che aveva visto all’inizio di quella giornata.
    «Ooohhhhh….» sussurrò per non farsi sentire troppo mentre osservava con gli occhi di una bambina meravigliata compiersi un miracolo per la seconda volta C-C-cosa starà facendo?... Un anello? … Ooohhwwwwnooo… iniziò ad agitarsi pensando che fosse un pochino troppo troppo troppo, decisamente troppo presto per una proposta così importante… anche se ammetteva di star bene con lui e che sarebbe stato bello poter passarci altro tempo… così iniziò tutta una serie di torte mentali che la distrassero a tal punto che in un secondo se lo vide tornare in piedi e porgerle le mani chiuse.
    Mirai portò la mano libera verso le labbra soffocando un «Y-Y-Yoshikishi-kun?»
    Non prestò molta attenzione alle parole che uscirono dalle sue labbra, continuò a fissare le mani ancora chiuse del giovane in apnea finchè queste non si aprirono e il suo sguardo si aprì di immensa sorpresa e sollievo.
    Non era qualcosa simile ad una nello ma una piccola statuetta raffigurante il Grande Gundam: perfetto, era identico a quello originale in ogni suo dettaglio ed era per di più a misura tascabile e interamente fatto di legno.
    Suo padre ci sarebbe impazzito…neanche la più bella delle action figure che aveva poteva competere con quella.
    «OOoooowwwaaah ma è bellissimooo!!!» esclamò guardando prima Yoshito e poi la statuetta, non credendo ai suoi occhi.
    «I dettagli… le braccine…le armi… oooww è carinissimo! » disse « andar bene? Va benissimo! E’ davvero stupendo! Sei… sei davvero incredibile…» l’entusiasmo andò piano piano scemando per non destare troppo l’attenzione.
    Il suo Quirk è davvero eccezionale… e poi lo sa usare così… bene…è davvero grande… pensò mentre sorrideva al suo inchino da cavaliere che mimava quello che già le aveva fatto durante la recita che avevano avuto alla bancarella dei pesci.
    «Ne sarei molto onorata, mio cavaliere. » continuò la recita con un risolino per poi prendere con la sua mano libera il modellino per ammirarne le fattezze.
    «E’… davvero stupendo! Grazie!! » la ragazza si mise così ad osservare prima il modellino, e poi il Grande Gundam che vegliava con la sua grande e immensa stazza su di loro.
    Portò il mini Gundam a combaciare con la spalla del gigante, in modo che la prospettiva la potesse aiutare a stupirsi di quanto maledettamente era fatto bene il modellino che reggeva in mano.
    «Impressionante…» sussurrò totalmente ignara del fatto che Yoshito le stesse parlando anche perché era sparito dalla sua vista.
    Fu in quel momento quando era persa nei suoi pensieri a contemplare il piccolo Gundam venne riportata alla realtà da un tocco sulla sua spalla destra.
    Ebbe una scossa che la fece sbalzare di un passo in avanti e la fece voltare di scatto portando il piccolo Gundam e il barattolo al petto… «Oh… Y-Yo-Yoshito-kun …».
    Non si aspettava certo quel tocco sulla spalla, un attimo di distrazione le era bastato Non dirmi che ha parlato fin’ora e che mi sono persa tutto e che …e che si faccia domande su questo…. si congelò e sperava davvero con tutto il cuore di evitare di dirgli che era sorda.
    Poi le parole di lui le confermarono i suoi timori Waaaarghhh e adesso che invento??? non sapeva cosa dire e cercò di trovare nella sua mente una risposta rapida per non apparire totalmente demente e non destare sospetti.
    «S-S-Scusami » iniziò e la sua voce tremava come mai aveva sentito prima di adesso mentre faceva volare il Gundam su e giù con una mano per alleviare lo stress « Ero totalmente so-sovrappensiero! E’ così bello questo modellino! S-S-sarò invidiata da mio padre Ahahahahah…. » una risata che aveva poco di Mirai mentre il suo sguardo cercava qualcosa che potesse permetterle di fuggire da quella situazione e non tornare sul discorso.
    «Oh!... Sì! Ora… che si fa… ora… mmhmmm… » si mise a riflettere Trova una soluzione, trova una soluzione, trova una soluzione…. il suo sguardo vagava come quello di una persona intrappolata che cerca il segnale EXIT.
    Finchè non le apparve, non era proprio un segnale di uscita ma un uomo accanto ad un cartellone, dalla grafica molto tradizionale, che sembrava attirare persone per uno spettacolo. Uno spettacolo che anche Mirai poteva apprezzare sebbene in modo diverso dalle altre persone.
    «Taiko…» disse per poi voltarsi verso Yoshito e mettendo il Gundam in … mezzo al suo scollo – sì, lo scollo della Yukata, sì insomma… una posizione piuttosto comoda – per poi prendere il suo braccio e trascinarlo verso il signore del cartello.
    «Andiamo a vedere quello spettacolo? Sembra una cosa interessante … non trovi? Offro io stavolta! Ne? Che dici? »
    Quanto, quanto avrebbe voluto confidargli quel segreto… dirgli che non poteva fare a meno di leggere le sue labbra, di guardare il suo splendido volto.
    Quanto avrebbe voluto dirglielo, ma non voleva interrompere quella magia e stavolta era pronta a stare più attenta e a non avere un attimo di distrazione per impedirgli di fare ulteriori domande in proposito.
    «Y-Yoshikishi-kun… ecco io… » e invece sentì che mentirgli ancora sarebbe stato un peso grande per lei… forse anche fin troppo, era diventato un po’ ingombrante « io… » sembrava proprio non riuscire a trovare le parole giuste.
    « Io penso che tu abbia davvero un gran bel Quirk… sai? E’ davvero perfetto per un eroe. Puoi fare davvero di tutto… potresti riuscire a salvare delle persone sai? » e Mirai sapeva benissimo che invece il suo da lei era considerato una nullità. Un peso e basta, anche se … avrebbe voluto provare di più, avrebbe voluto riuscire a capirne di più e quella dichiarazione non era stata quella che avrebbe voluto dirgli ma almeno un sassolino se l’era tolto.
    « Sai… il mio invece non è tanto speciale. E… non riesco neanche a controllarlo…e questo mi fa paura. Vorrei davvero essere come te, sai?…hihi…Chissà… potrei scriverci questo sul tanzaku, ne? » sghignazzò mentre lo trascinava verso il signore che vendeva i biglietti dello spettacolo e senza che potesse anche solo provare a fare qualcosa, Mirai aveva già preso due biglietti dimenticando per un momento quello che aveva appena detto.
    L’odore della carta plastificata le piaceva, non sapeva come mai ma lo adorava.
    «Dovrebbe iniziare tra poco a quanto dice qui… » osservò il cartellone dove un uomo dipinto in stile Ukyo-e era pronto a suonare su di un enorme tamburo, a dare il ritmo o ad accompagnare un'altra persona che appariva al centro della stampa che suonava uno tipico strumento giapponese di cui Mirai ignorava completamente l’esistenza – non se ne intendeva per nulla di cose che riguardavano la musica - «Che cosa strana che è questo strumento…» pensò facendo “pat pat” sulla testolina del Gundam che ancora rimaneva fermo e immobile tra le sue vesti.
    «… Forza! Andiamo! Così possiamo prenderci dei posti buoni, no? » sghignazzò per poi trascinarlo con un braccio verso una zona non poco distante da lì dove era stato eretto un palcoscenico, non troppo grande, capace di ospitare alla perfezione le persone giuste per quella performance.
    «Io adoro i tamburi… sai? E guarda!! Quanto è gigante quello… » disse fermandosi e osservando con aria totalmente rapita il grosso tamburo che silenzioso aspettava che qualcuno potesse dare il via alla sua musica e un senso alla sua vita.
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    ❛❛ Yoshito Amaterasu ❜❜
    A quanto pareva, questa volta, Yoshito poteva festeggiare un successo pluridimensionale.
    Il messaggio era giunto, il dono fu accettato e il gesto teatrale fu gradito e contraccambiato. Le parole del ragazzo parvero riuscire ad adempire al loro scopo di conforto, donando carica e coraggio ad una giovane fanciulla dal capo ramato che fino a poco prima aveva solo dubbi e timori a pervaderle l'animo.
    Vedrai Mirai-san, sarai uno Tsunami!
    E sprizzando ardore da ogni suo poro, le rispose scherzoso col suo solito fare sorridente e temperamento ardente. E per coronare l'attimo e i panegirici del ragazzo, ci pensò lui stesso con un dono inaspettato; il piccolo Gundam di legno che aveva appena creato, fu una sorpresa benvoluta e che lei accolse quasi senza fiato. La giovane ne ammirò la fattura ed i dettagli e decantò il suo autore con elogi nei suoi riguardi, portando il giovane e improvvisato artigiano, a mostrare nuovamente un volto che s'intonava col suo abito; la teatralità che ne seguì fu proprio per nascondersi quel rossore imbarazzato, distraendo lei -ma soprattutto se stesso- da quell'eccesso di modestia che il ragazzo mostrava davanti ad una lusinga.
    Le vostre parole mi portano onore!
    Rispose ridente e con poche parole, dandosi nuovamente un tono ed un portamento degno del suo nome.
    Dopodiché, tornò l'imbarazzo. Ma non furono di Amaterasu le guance che si colorarono di scarlatto.
    Un equivoco, assai inaspettato, lascio la fanciulla in uno stato di disagio. Yoshito era ancora ignaro del sordo segreto che lei ancora gli teneva celato e, parlandole da girato, Mirai non percepì subito il suo messaggio. Incredibile che ciò non fosse ancora accaduto in precedenza ma, timor non c'era, poiché il biondo non pareva aver minima idea della disabilità che l'affliggeva e fu più l'impaccio di lei, le giustificazioni forzate e la volontà di sviare da quel suo fare impreparato che portò il ragazzo a farsi una domanda.
    Che il mio fare l'abbia veramente spaventata?
    Ma ovviamente fu quella sbagliata.
    Per quanto mi sforzi fallisco sempre con le mie maniere.
    E mentre lui si rimproverava, lei trovò la scusa che cercava per metter completamente in cantone quell'argomento così delicato.
    Uno spettacolo.
    In apparenza, v'era una rappresentazione in programma per la festa: un'esibizione al suono di taiko e biwa vi sarebbe stata da lì a poco, e lo sguardo di Yoshito si perse un attimo quando il suo orecchio si prestò a seguir le parole dell'uomo. Oh! Lo spettacolo! Contemplò a sé stesso, come se si fosse ricordato un qualcosa che per qualche motivo il suo pensiero aveva perso. Ma non vi fu tempo per elaborar la cosa, poiché la timida Mirai cercò ancor di più la fuga da quello scomodo argomento che però per Yoshito era già un qualcosa di lontano nel passato.
    Tentò -involontariamente- di metterlo nuovamente in imbarazzo, complimentandosi con lui per il suo quirk e la sua maestria nell'usarlo. Usò le parole giuste, quelle che un tipo come lui voleva sentirsi dire, e fu arduo mantenersi risoluto e d'un pezzo difronte a tante lusinghe, mentre come al solito per se stessa non aveva altro che parole critica da dispensare.
    Mi ricorda proprio Kiichirō.
    Pensò tra sé e sé, paragonandola al fratello; l'indecisione ed un'inverosimile capacità di auto denigrazione, eran tratti in comune tra i due.
    Mmh… Mi domando quale sia...?
    Domandò ad alta voce, con sguardo dubbioso verso il cielo e con la mano in posa sul mento; dal tono, dai suoi modi e dall'espressione, suggeriva una retorica in quelle parole, come se sapesse già la risposta a quella domanda o forse, non gli interessava affatto; parole che assunsero più le veci di un sfottò, come se alludesse ad altro. Ma probabilmente era solo un modo assai contorto di distrarla e rallegrarla; ormai l'imbarazzo era parte del loro gioco.
    E così, adempiendo ancora una volta ai suoi oneri di cavaliere, il ragazzo indossò le vesti del rassicuratore ma, questa volta, non fu un prolisso sproloquio l'arma che brandì per ravvivarle la scintilla nel suo cuore; poche parole, brevi e concise, ed una promessa per il futuro furono il suo tizzone ed un sorriso per la sua accensione.
    Facciamo così...! Le disse tutto impettito. Al nostro prossimo incontro mi rivelerai ciò che ora mi tieni nascosto e ti prometto che costui ti fornirà il suo supporto.
    Fu equivoco con le parole ma non per sua scelta. Lui si riferiva all'unicità della donzella ma la sua volontà di esibire una parlata che suonasse stoica, in questo caso sarebbe potuta risultar rovinosa.
    Io ti mostrerò cosa può la mia unicità e tu mi mostrerai cosa può la tua. E sarò io a giudicare se non è tanto speciale.
    E, con una posa a petto gonfio e braccia incrociate, si mostrò imperatorio, come se quello fosse un ordine e non un invito, ripetendo le parole di lei con fare quasi ammonitivo; ma, per alleggerire il suo discorso, decise di servirlo con un contorno di sorriso ed occhiolino.
    Ma ben presto i toni si fecero più sereni e rilassati.
    Adesso era il momento dell'esibizione musicale, ed i due non potevan ulteriormente spender tempo in chiacchiere.
    È una biwa. Si concesse però di dire Yoshito, per soddisfare la curiosità musicale di lei. È un liuto piriforme a manico corto presente nella nostra cultura tradizionale.
    La tratta fu breve da lì al concerto. Lasciandosi alle spalle il gigante di metallo, il viaggio fu riempito dal parlare del ragazzo che dedicò quella attesa dovuto con storie sugli antichi strumenti e la loro musica, sfoggiando il suo sapere in un campo che non si sarebbe mai detto esser suo. Devo confessar però, che è mia madre la vera esperta. Le rivelò terminata la sua esposizione. Ciò che so sulla musica e sulla sua arte non è per interesse, ma per devozione ai suoi racconti. Si portò una mano fra i capelli e si pasticciò il capo, sorridendo con impaccio. Io mi limito a ripeter le sue parole e far la parte del professore. Chiuse gli occhi e mostrò la lingua come se fosse un bimbo che ha combinato una marachella.
    Potrei parlarti di lei, ma... Si interruppe di colpo mentre lo sguardo si perdeva davanti a loro. Direi che siamo arrivati!
    Una folla si stagliava dinanzi a loro e, dietro di essa, un palco era stato allestito all'esterno affinché tutti potessero assisterne lì alla festa. A differenza da ciò che si aspettava Mirai, era un'evento aperto al pubblico e non v'era alcun biglietto da pagare; tuttavia questo significò una spiacevole sorpresa: non v'era posti a sedere e il luogo era già pieno di gente in attesa.
    Solitari su quel palcoscenico, un taiko ed una biwa che giaceva su una sedia attendevano l'arrivo di coloro che li avrebbero suonati, ma era sicuramente il maestoso tamburo a troneggiare; e mentre gli strumenti rubavano la scena, dietro il grande telo nero alle loro spalle, della gente si muoveva e si preparava per lo spettacolo.
    Mmh... Di questo passo non ci godremo appieno il concerto. È pur sempre un'esibizione anche visiva oltre musicale...
    E con la mano ad afferar il mento, la donzella avrebbe potuto notare il viso assorto del cavaliere al suo fianco. Yoshito si preoccupava che da quella posizione la vista sarebbe stata occultata per la ragazza e, contemplando la sua mente, cercò una soluzione per quella situazione.
    Ma forse so come risolver questo impiccio!
    La faccia gli si illuminò come avesse avuto un'illuminazione e, voltandosi verso la sua padrona, esordì con un semplici. Seguimi! Per poi prenderla per una mano e portarla via da quella folla, ma non prima di alleggerirla della boccia con Hikoboshi ed Orihime, mettendoli al sicuro sotto la presa del suo braccio destro. Fidati di me! Le disse voltandosi verso quegli occhi ambrati nella foga della corsa.
    Passarono tra tutte quelle persone guizzando come due pesci tra le onde, raggiungendo in pochi istanti le rive di quel mare. S'eran spostati verso destra rispetto al centro del palco e, sebbene da qui vi fosse meno gente a creare intralcio, la vista non era comunque delle migliori. Ma non era questo il piano del ragazzo. Lì dove si trovavano eran certamente più appartati e, sfoggiandole un occhiolino malizioso, il giovane Amaterasu armeggiò ancora una volta in gran segreto dietro un angolo; non era solito usare il proprio quirk in luogo pubblico, di solito era molto attento in merito, ma a vederlo quel giorno pareva quasi abituato ad agire in losca maniera.
    Anche se qualcuno non glielo vide creare, quel che tirò fuori non sarebbe di certo passato in osservato. Ecco qua! Esclamò tutto fiero del suo operato.
    Tra le mani stringeva quel che pareva la sedia munita di scala, usata dagli arbitri durante le partite da tennis. So che la seduta non pare attraente, ma penso che la vista non sarà più un problema! Era di legno e pietra e si alza un metro e mezzo da terra; benché comodità ed ergonomia potevan esser argomento di discussione, era la palese appariscenza il principal problema, ma il ragazzo non parve farsene una preoccupazione.
    Ecco qua, Mirai-san. Le disse mentre la posizionava la sedia indirizzando verso il palco. Prova a dare un'occhiata da qui su! Ed incitandola a salire, si posizionò alle spalle di quella seduta per reggerla durante la sua salita.
    Ma indipendentemente se avesse deciso di accogliere l'invito oppure no, d'improvviso Yoshito cambiò il suo registro iniziando ad apparirle più agitato. Gomen! Le disse all'improvviso portandosi le mani congiunte sopra la testa in segno di scusa.
    Ho appena rimembrato una cosa che non posso rimandare. Ti prego di attendermi qui e prometto che tornerò alla tua vista in un solo attimo!
    Pareva una scusa, ma forse era solo il suo modo di dirle che necessitasse d'andare in bagno. Torno subito! Esordì in conclusione per poi sparire dalla vista di lei dietro quello stesso angolo in cui poco fa s'era messo ad armeggiare.
    Il sole era ormai tramontato e l'area era ormai illuminata solo da fonti artificiali. La ragazza era rimasta sola, abbandonata dal suo campione su una sedia troppo alta non lontana da un lampione; inutile ribadire l'imbarazzo che avrebbe probabilmente provato se fosse rimasta agiata in cima a quel piedistallo, con gli occhi di molti che la puntavano confusi.
    Poco dopo che il giovane samurai si fu allontanato, le luci nella zona si spensero in coordinazione, mentre dei fari si accendevano illuminando il palco. Inizialmente fu solo uno e, al suo centro, un uomo con uno Yukata scuro era circondato da una luce che pareva discendere dal cielo.
    Signore e signori, vi diamo il benvenuto al nostro spettacolo...!
    L'uomo iniziò a parlare attraverso un microfono. La ragazza probabilmente non sarebbe riuscita a leggergli le labbra da quella distanza, se non poche parole, ma una cosa l'avrebbe di certo intuita: stava per incominciare il concerto.
    Tuttavia, di Yoshito non v'era ancora traccia, forse s'era sentito male o forse s'era perso. A quel punto la fanciulla forse avrebbe pazientato ed atteso il suo ritorno, o forse avrebbe deciso di mettersi a cercarlo. Ma, indipendentemente da ciò che avrebbe deciso di fare, una figura sul palco l'avrebbe sicuramente attirata a prestar lui lo sguardo.
    Due uomini erano ora sul palco, illuminati da due cerchi bianchi, ognuno in piedi accanto ad uno strumento. Alla biwa c'era un uomo corvino, poteva avere tra i 40 ed i 50 anni, dal taglio corto e tendente al brizzolato; indossava un kimono completo, con un hakama ed un nagagi neri ed un haori bianco, e dopo un inchino verso il pubblico, prese il suo strumento e sedette sulla sedia più a sinistra del palco. Dall'altro lato, di spalle al gargantuesco taiko, si ergeva una figura con indosso solo un hakama nero, mostrando la nuda pelle dalla vita in su; sfoggiava un fisico tonico e definito di chi è allenato mentre, sulla sua cima, calava una lunga chioma bionda dalla punte scarlatte che ricordava i colori del fuoco. L'uomo si girò e, con stupore della ragazza, non fu di chi aspettava il volto che si trovò davanti: era un uomo adulto, probabilmente coetaneo all'altro. In mano aveva due grossi bastoni di legno che altro non erano che gli strumenti con cui avrebbe percosso il gigantesco barile ch'era il tamburo dietro di lui; anch'egli, dopo un inchino, si mise in posizione la musica partì.
    Mirai non lo poteva sapere ma, quello sul palco, altri non era che Yuudai Amaterasu il padre del ragazzo, ma forse avrebbe avuto da sola l'intuizione.
    Benché la biwa fosse lontana dal suo spettro sensoriale, le vibrazioni del tamburo le poteva percepire chiare e forte in tutto il suo corpo; chissà se la ragazza si sarebbe lasciata stregare dal momento o se avrebbe preferito cercare il compagno scomparso.
    Quel che è certo è che dopo quasi un quarto d'ora di lui non c'era segno.
    Partì l'inchino degli artisti, seguito dall'ovazione del pubblico. Sul palco l'oscurità tornò a celare, fatta eccezione per il conduttore di quello spettacolo che intanto introduceva la prossima esibizione.
    E Yoshito? Il ragazzo era sparito da troppo tempo.
    Le aveva detto di attenderlo promettendole che sarebbe tornato. Sul palco c'era quel l'uomo che gli assomigliava, forse era veramente il padre e lo aveva raggiunto per dargli qualcosa com'era successo a pranzo.
    Le luci si spensero ancora, ma questa volta fu tutto il palco ad essere illuminato. Mentre più verso il pubblico la sedia e il grande taiko facevano ancora da protagonisti, dietro il sipario nero che fino a poco prima era calato, una serie di taiko ed altri strumenti musicali vennero svelati in una schiera scala; persone di ambo i sessi e di differenti età, erano al fianco degli strumenti tutti in posa aspettando il via.
    Fu allora che lo vide.
    Dalla posizione in cui l'aveva lasciata, avrebbe avuto una vista perfetta su di lui; tra tutti quei tamburi lui era quasi al centro, ma principalmente verso l'angolo in alto a sinistra dello schieramento. Con i suoi capelli color fiamma e lo yukata scarlatto, Yoshito era affianco ad uno dei taiko e sorrideva verso il pubblico e, soprattutto, verso di lei; avrebbe potuto giurare che le avesse fatto un occhiolino, ma non poteva esserne certa.
    Che lo spettacolo continui! Gridò al microfono l'annunciatore.
    E così la musica partì. Ora che li vedeva entrambi sul palco, poteva affermar con certezza che quei due fossero padre e figlio; oltre ai tratti somatici, l'uomo e il ragazzo condividevano lo stesso ardore nella loro esibizione, nonostante però il viso del padre fosse decisamente più austero di quello del giovane. Il concerto fu significativamente più corto del precedente ma compensava con una grinta superiore; gli artisti suonavano tutti con passione, ma solo lui pareva l'unico che riuscì a mantener sempre vivo il sorriso sul suo viso.
    Infine la musica terminò, il pubblico mostrò il suo apprezzamento ed il sipario calò nuovamente in preparazione al prossimo evento. Lui sparì ancora alla vista ma non sarebbe passato molto da quando lo avrebbe rivisto; dopo appena cinque minuti il palco era nuovamente nel pieno dell'azione ed il giovane Amaterasu le si manifestò accanto come uno spettro.
    Scusami il ritardo!
    Esordì lui con i pugni poggiati sui fianchi. Era visibilmente sudato e col fiatone, come se per arrivare lì avesse dovuto correre.
    Perdonami il ritardo, avevo da portare a termine un impegno che avevo quasi dimenticato...!
    Parlava ad alta voce -non che per lei facesse differenza- probabilmente per via del fiato corto che faticava ancora a recuperato.
    Oh! Spero di non essermi perso nulla di importante!
    Disse per poi girare la testa verso il palco dove il padre ancora si esibiva, mentre lui faceva il finto tonto sulla situazione...
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    MIRAI ISHIGAMI
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    C’è mancato davvero poco! pensò la ragazzina in Yukata mentre trascinava Yoshito verso lo stand dove davano i biglietti per uno spettacolo di Taiko accompagnato da uno strumento musicale a lei sconosciuto.
    C’era mancato poco, forse, che lui scoprisse la sua disabilità. Non che se ne vergognasse ma, non sapeva come mai il solo pensiero che Yoshito potesse saperlo la metteva a disagio.
    Per fortuna quel richiamo dello spettacolo fu ben accolto dal ragazzo che non si trasse indietro dall’offerta e non oppose resistenza al trascinamento.
    Speriamo solo che possa piacergli… non pensava minimamente al fatto che lei avrebbe potuto ascoltare di quella performance soltanto i battiti del grande tamburo.
    Più Mirai osservava il piccolo Gundam che ondeggiava sul suo petto, più pensava che il Quirk del ragazzo che le stava affianco potesse essere in grado di compiere grandi imprese rispetto al suo.
    D’altronde, quante volte era riuscita davvero a pensare a cosa farne dell’Unicità che le aveva tolto e dato tanto?
    Abbassò lo sguardo un poco per poi risollevarlo, andando a cercare quello di lui per sentirsi rassicurata ancora una volta, per non sentirsi completamente sola in balia di quello strano mondo che stava piano piano conoscendo da quella sera sulla spiaggia doveva aveva tentato di fermare la ragazza gatto.
    Quel mondo di eroi, villains, e vigilantes… un mondo che aveva lo spazio per una come lei?
    Non aveva risposte a questa domanda, ma il sorriso del ragazzo nuovamente le scacciò via ogni singolo pensiero brutto che aveva a riguardo. Scacciò le nubi tempestose che ancora una volta avevano tentato di offuscare la gioia di quella serata.
    Le disse parole che Mirai non comprese bene alla prima, le disse che al loro prossimo incontro le avrebbe dovuto rivelare ciò che teneva nascosto. A queste parole Mirai si impettì e sentì una stilettata attraversarle tutta la spina dorsale.
    Si irrigidì.
    « Eh…m… » portò una mano avanti come per dirgli di fermarsi ma dalle labbra non uscì nulla mentre la boccia per pesci iniziò a tremolare come il corpo della giovane.
    Fu poi quando parlò dell’unicità che la ragazza trasse un sospiro di sollievo che era come se le fosse mancata l’aria per giorni interi.
    Così al loro “prossimo incontro” – qui Mirai proprio non sapeva a cosa si stesse riferendo – avrebbe dovuto mostrargli la sua Uncità.
    Sì. Certo.
    A malapena sapeva cosa potesse fare e non sapeva controllarla a dovere… che avrebbe dovuto fare? Provare a ritrovarsi di nuovo davanti una farfalla e sparare un proiettile sonoro in mezzo alla folla.
    A questo pensiero Mirai per poco non si sentì svenire.
    Avrebbe dovuto rifilargli una scusa, una qualsiasi scusa per fargli capire che 1- non sapeva usare il suo Quirk, e 2- era pericoloso usare il suo Quirk in mezzo a tanta gente.
    « S-S-icuro? I-io… » balbettò mentre con la mano libera tentava mille volte di sistemarsi un ciuffo di capelli dietro il grosso artefatto metallico «E… Se non… fosse… una…buona idea?» abbassò la voce finchè non si perse nel vuoto e tentò di trovare un argomento per uscire da quella situazione che le portava infinito disagio.
    Almeno, però, non avrebbe dovuto parlare del suo vero segreto, del fatto di non poter sentire la sua voce.
    Così se ne uscì con la domanda sullo strumento musicale strano a cui Yoshito dette subito risposta.
    Mirai non capì cosa avesse detto. Bi-Bi e qualcosa liuto pipiroformato e qualcos’altro che era della loro cultura tradizionale.
    Corrugò la fronte in un’espressione dubbiosa, ma non entrò nel discorso che tanto sapeva che non lo avrebbe seguito per bene visto che la cosa poco le interessava.
    Fu così che finì per annuire e sorridere per buona creanza e lasciò che il ragazzo poi la conducesse fino al concerto.
    Che faccio adesso? Ma perché non tengo la bocca chiusa? E se mi chiedesse di mostrargli davvero il Quirk che invento? Aaawwww pensò alzando lo sguardo al cielo in attesa di risposte che potessero piombarle come pioggia sulla fronte.
    Ovviamente di quello che il ragazzo stava dicendo, sulla storia degli antichi strumenti, musica e altre cose interessanti, Mirai si perse tutto.
    O meglio ogni tanto si girava verso di lui, sorrideva, annuiva non capendo a che punto era arrivato e da che punto era partito. Sperava solo che continuasse il discorso senza fare domande e così fu.
    La ragazza dai capelli rossicci aveva ben altro nella sua testolina a cui pensare: per fortuna non si perse il messaggio finale, quell’ultima parte dei ringraziamenti che aveva lasciato a sua madre per avergli raccontato un sacco di quelle belle storie di cui lui se ne faceva carico per tramandare ai posteri.
    Mirai sorrise, facendosi stavolta trasportare da quelle parole.
    « Tua madre deve essere davvero una brava persona di grande cultura, vero?… » sgignazzò, pensando che sua madre invece di storie non gliene raccontava molte ma quando lo faceva era come se i libri perdessero qualsiasi significato.
    Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter anche solo una volta sentire la sua voce mentre raccontava di sua nonna, dalla quale aveva ereditato il buffo corno…
    Avrebbe voluto ricordarsi ancora quelle storie, e probabilmente gliele avrebbe richieste se non fosse per il fatto che erano finalmente giunti nei pressi del palcoscenico dove una folla si era radunata tutta attorno per assistere al concerto di musica tradizionale.
    Mirai riuscì a malapena ad osservare e a commentare il grosso Taiko che troneggiava sul palco assieme alla minuscola bibi-qualcosa che non reggeva certo il confronto.
    « YoshiKishi-kun. Penso che…non ci sia proprio nessun posto a sedere. » osservò notando che c’erano persone perfino in piedi ad aspettare che qualche posto si liberasse invano.
    Il suo sguardo poi si rivolse al cavaliere e notò come il suo volto fosse molto molto pensieroso « Che facciamo? Hai qualche idea? » gli chiese.
    Certo potevano lasciar perdere e tornare indietro visto che alla fine non avevano neanche pagato il biglietto, però la cosa le dispiaceva un poco, ma Mirai non aveva alcuna soluzione a riguardo.
    Senza che lei potesse fare o dire niente, in un secondo il ragazzo le prese la mano libera e la portò via da quella folla dopo averle preso tra le sue possenti mani il barattolo con i due poveri pescetti rossi.
    Fidati di me!
    Fu questo ciò che Mirai comprese dalle sue labbra e senza aggiungere altro, la ragazza annuì con un cenno della testa come se le avesse appena detto: ho un piano, sbrighiamoci.
    Quello che accadde dopo fu una corsa, una corsa in risalita, cercando di sguisciare tra la gente che trovavano sul loro cammino.
    Lei gli stringeva la mano così saldamente che quasi si sentì formicolare le dita.
    Avevano quasi circumnavigato la folla, portandosi verso destra dove potevano ancora vedere il palco nonostante la quantità di folla, sebbene fosse più appartato.
    « UUuh…» Mirai era letteralmente stanca. Aveva corso tutto il giorno e le sue gambe non avrebbero potuto reggere a lungo un’altra corsa, meno male che si erano fermati.
    Fu così che Mirai osservò il ragazzo mentre armeggiava segretamente qualcosa.
    « Y-osh… che cosa stai facendo? » chiese mentre lo osservava prima che i suoi occhi potessero sgranarsi alla vista di una sedia munita di scala.
    Mirai rimase ad osservare la scena a bocca aperta.
    L’aveva visto fare un oggetto metallico uguale al suo padiglione. Ci stava.
    L’aveva visto ricreare un Gundam formato perfetta miniatura da fare invidia alla collezione di suo padre. Ci stava.
    Aveva appena creato una sedia come quelle che si vedevano nelle partite di tennis e che permettevano agli arbitri di godere della partita da un punto di vista sopraelevato.
    « Come ci sei riuscito? » non riusciva a spiegarselo. Non capiva. Non ci arrivava.
    Come poteva essere il suo Quirk tanto forte da poter fare, o meglio creare qualcosa di simile?
    La ragazzina toccò la sedia come se potesse disintegrassi da un momento ad un altro e invece no, era solida, era vera, come lo era qualsiasi altra cosa che aveva generato dalle sue mani.
    « E’… è una cosa grandiosa.» si riferiva alla sua Unicità, non certo a quello che aveva detto il ragazzo riguardo quella seduta, ma meglio così.
    « Tu…Tu…sei un grande! Sei un genio! Ma… come… tu…tu puoi davvero diventare un grande eroe. E yooooshh! La provo subito!» ammetteva che non stava proprio nella pelle, nonostante questo l’avrebbe forse messa in una posizione in cui tutti l’avrebbero notata.
    Non le importava, era così eccitata da quella strana cosa che aveva fatto che con piede saldo salì le scale e si mise a sedere sulla sedia che non era il massimo della comodità ma la vista da lì era davvero fantastica.
    « Wooooh! Si vede tutto quanto il palco da qui!! Ahahah è bellissimo! Grazie Yoshikishi-kun!!» disse quasi saltellando dalla gioia sul posto mentre osservava il palco e tutta la folla che stava sotto.
    Abbassò lo sguardo su Yoshito giusto in tempo per vederlo con le mani giunte a chiederle scusa perché si era ricordato una cosa che non poteva rimandare assolutamente e che la invitava a restare lì in attesa del suo ritorno.
    «Ma…ma…lo spettacolo sta per cominciare! Così lo perderai t-….» non riuscì a finire il discorso che Yoshito era sparito alla sua vista Che cosa si è ricordato di così importante all’ultimo da lasciarmi qui da sola sopra una sedia proprio quando lo spettacolo sta per cominciare?? sospirò abbassando la testa Spero non sia niente di grave… Yoshito… torna presto…
    Fu così che tornò a guardare il palco illuminato dalle luci di lampade che rischiaravano l’ambiente oramai che il sole era calato del tutto dietro il mare.
    Si sentiva a disagio. Totalmente a disagio e non sapeva cosa fare per rimediare perché aveva paura di scendere da sola e capitombolare ma rimanere lì come uno stoccafisso in cima ad una sedia sotto un lampione come Totoro non la faceva certo sentire meglio.
    Ti prego torna presto… iniziò a guardare a destra, e a sinistra, con visibile agitazione e cercava tra la folla il suo sguardo senza riuscirci Che gli sia successo qualcosa? non sapeva quanto era andato avanti il tempo dopo la sua “fuga”, sperava solo che stesse bene e che tornasse a salvarla da quell’imbarazzo che oramai cresceva ogni minuto di più.
    Inutile dirlo, ancora un altro po’ e il suo cuore sarebbe letteralmente esploso.
    Ora che poteva finalmente rilassarsi a sedere, sentiva la stanchezza salirle tutta d’un botto: era stata una giornata parecchio impegnativa.
    Si abbandonò sulla sedia e dopo poco le luci si spensero una dopo l’altra per andare a evidenziare soltanto un faro con un uomo al centro. Probabilmente era un presentatore di quello spettacolo? Mirai non poteva leggergli le labbra, o meglio era una fatica troppo grande e non le interessava granchè.
    In quel momento il suo solo pensiero era non riuscire a scorgere Yoshito da nessuna parte ma non poteva andarlo a ricercare o se lui fosse tornato non l’avrebbe rivista lì in quel punto. Non si erano neanche scambiati i numeri di telefono, quindi non poteva neanche provare a mandargli un messaggio per sapere dove fosse.
    Lo spettacolo iniziò, in silenzio.
    Poteva notare i due uomini sul palcoscenico che in vestiti tradizionali si prestavano ad andare a mettersi in posizione con i loro strumenti.
    Quello alla bibi-qualcosa era un uomo che poteva avere l’età di suo padre – ma non certo la corporatura – e indossava un kimono completo molto elegante dove l’haori bianco delineava un taglio netto sul nero.
    Lui passò quasi inosservato alla ragazza che fu invece rapita dall’altro protagonista del concerto.
    Ma… ma… quello…? pensò tirandosi in avanti sulla sedia per vederci meglio, raccogliendo le forze che la stavano trattenendo a sedere.
    Quella figura a torso nudo, quei muscoli ben costruiti e quella chioma – inconfondibile- bionda dalle punte rosso fuoco.
    « Yoshito…?» si lasciò sfuggire dalle sua labbra mentre cercava di capire come mai non le avesse detto che era lui il suonatore di Taiko, e che sarebbe andato a quello spettacolo non per vederlo ma per effettivamente esserne il protagonista?
    Poi i suoi dubbi vennero spazzati via quando la figura che credeva fosse Yoshito si voltò verso il pubblico mostrando più anni di quelli che aveva il ragazzo e prima che Mirai potesse comprendere che quello che stava guardando in realtà era Amaterasu Senior, il concerto partì.

    Colpi.
    Vibrazioni.
    Il taiko risuona nell’aria con la sua prepotente potenza.
    Vibrazioni che si fanno sempre più ritmiche e più veloci.
    Si insinuano sotto la pelle, arrivano a scuotere ogni membrana muscolare e diventano una eco dei battiti del cuore stesso finchè non distingui più se è il taiko a muovere il tuo cuore o se è il cuore a muoversi a ritmo del tamburo.

    Mirai rimase affascinata da quella figura, da quell’imponente figura che sudata batteva sul grande e immenso tamburo a ritmo di una musica che la ragazza non poteva ascoltare ma che poteva percepire dentro di sé.
    Una sorta di richiamo indescrivibile per chi non poteva sentire altro che questo.
    Non si era neanche minimante accorta che era rimasta a guardare a bocca aperta la performance dimenticandosi di Yoshito e del tempo stesso.
    Erano passati minuti, ore? Chissà.
    I tamburi avevano questo strano effetto su di lei, come un canto di sirene da cui era impossibile fuggire e quando tutto si concluse con un sonoro ultimo battito la ragazza si riprese di colpo come se avessero finito l’incantesimo che avevano lanciato su di lei.
    Mirai applaudì, fino quasi a non sentire più le mani, e si sarebbe alzata anche in piedi se non fosse che non voleva proprio finire con la faccia a terra e il corno impiantato nel terreno.
    « E’ stato…. Grandioso! » disse e adesso che era tornata in sé capì che magari Yoshito era arrivato da suo padre a dargli qualcosa che magari non aveva consegnato con il bento… e nel mentre la sua piccola testolina aveva trovato una risposta alle domande sulla scomparsa del ragazzo ecco che di nuovo le luci si spensero di nuovo e lasciarono stavolta illuminato tutto il palco.
    Nonostante il grande taiko e la sedia con lo strano strumento fossero ancora i protagonisti indiscussi della scena, Mirai potè notare che dietro quel sipario che era sempre stato calato ora aveva rivelato altri strumenti.
    Persone di ogni età e sesso erano allineati in posa accanto ai loro strumenti.
    « Yooooshi?!?!» esclamò con grande stupore quando lo vide lì in mezzo a tutti quanti loro, accanto ad un tamburo che sorrideva al pubblico prima di posare uno sguardo nella sua direzione e farle quello che credeva fosse un occhiolino.
    « Ma… come poteva dimenticarsi una cosa simile? » pensò mentre lo osservava prendere posizione e iniziare a far vibrare nuovamente l’aria e l’incantesimo la rapì di nuovo da ogni altra parola e pensiero.
    Lo vide, lo sentì. E si commosse.
    Si commosse perché lo vedeva con quella grinta, colpire ritmicamente quel taiko che aveva di fronte a lui con un ardore tale e quale al padre.
    Si commosse non perché lo vide lì, orgoglioso di suonare con il padre, no.
    Mirai si commosse perché adesso poteva sentire la sua voce.
    Si asciugò le lacrimucce che le solcavano le guance, e chiuse gli occhi, forse non era l’unica sola voce quella che arrivava a scuoterle il petto ma sapeva che era parte di quell’unica grande onda che arrivava a ritmo veloce fin nelle sue ossa.
    Non si accorse neppure del tempo che era passato, la musica cessò e Mirai si ritrovò nuovamente a risvegliarsi dall’effetto di un incantesimo finito.
    Si asciugò i lacrimoni con la manica della Yukata e non fece in tempo a posare di nuovo lo sguardo sul palco, che lo vide comparire con il fiatone, trafelato, e soprattutto inaspettatamente all’improvviso.
    « Ghyaaa! Ma che- …. Modi sono questi di scomparire e riapparire così EH? » disse cercando di rimettersi a sedere in maniera composta sulla sedia visto che la sua presenza l’aveva fatta sbalzare in aria.
    « Dico…ma…che… come potevi dimenticarti una cosa del genere? » gli chiese a tono alto come se lo stesse in qualche modo rimproverando.
    Mirai scese a fatica dalla sedia mentre come un finto tonto, una volta atterrata sulla terraferma mettendosi a guardarlo, lo scorse dire qualcosa come “spero di non essermi perso niente di importante”.
    « Naaani? Mi stai forse prendendo in giro? Guarda che ti ho visto… sai? E- » e cosa stava facendo? Lo stava rimproverando per averla mollata lì da sola? Lo stava rimproverando perché era riapparso così facendo il finto tonto sull’accaduto?
    Mirai sospirò quando lo vide voltarsi verso il palco dove suo padre ancora si stava esibendo e si ricompose cercando di mascherare l’imbarazzo di quella situazione.
    « Potevi dirmelo, sai? Avresti dovuto ricordarlo molto prima … e se non ci fossi stata io a vedere quel volantino… tu… avresti davvero perso la possibilità di esibirti assieme a tuo padre? » chiese cercando di moderare i toni e di non risultare accusatoria, ma cercando di fargli capire che aveva fatto un errore che poteva costargli caro. Forse.
    « Siete stati davvero fantastici. Non ho mai provato così tante emozioni… da un bel po’ di tempo. » e quanto era vero tutto questo « … » avrebbe voluto aggiungere altro ma non disse nulla, si avvicinò solo a lui.
    « Sembra un tipo tutto d’un pezzo. Ma credo che voglia il meglio da te. No? Sai… io penso che tu in fondo in fondo lo ammiri. Cerchi di essere il figlio primogenito che ha sempre desiderato e questo ti rende onore e ti fa allo stesso tempo essere in conflitto con lui… vero? » come c’era arrivata a tutto ciò?
    Bastava vedere lo sguardo di Yoshito.
    Ogni volta che parlava di lui, quella scintilla di energia e di buon umore, quel sorriso e quella vitalità venivano offuscati e ridotti al silenzio.
    Come in quel momento.
    Yoshito osservava suo padre, immobile, senza proferire parola.
    Mirai sorrise e gli prese delicatamente la mano.
    « Dovresti parlargli. » la ragazza si mise ad osservare il tamburo che risuonava ancora nell’aria, con la sua voce tonante.
    Avrebbe voluto fare di più per lui, fargli capire che parlare e ascoltare erano i doni più preziosi che uno come lui potesse avere e che doveva sfruttarli per appianare quelle divergenze che gli stringevano il cuore in una morsa.
    « Stare in silenzio non ti porterà da nessuna parte. Il silenzio non è mai la soluzione. Hai un grande peso sulle spalle, e sul cuore. Non puoi fare finta di nasconderlo, o almeno non a me. Non c’è niente di peggio … credimi… non c’è niente di peggio che dello stare in silenzio e sai perché? … » strinse forte la sua mano come se stesse per cadere in un baratro da un momento all’altro.
    Di una sola cosa era capace, una sola cosa era davvero in grado di fare con il suo Quirk. Una sola sapeva padroneggiare come se fosse una cosa naturale.
    L’unica cosa che la faceva sentire protetta, che la cullava quando non voleva farsi sentire piangere o urlare di rabbia, che la schermava da tutto e da tutti.
    « Te lo mostro. Forse... farà male.»
    Sinceramente non lo sapeva come poteva reagire un udente alla privazione totale di ogni suono.
    I suoi genitori oramai erano quasi abituati a simili manifestazioni del suo Quirk, e oramai nausea – vertigini – perdita di equilibrio e svenimenti erano cose oramai superate.
    In un secondo, o forse pochi istanti, il mondo attorno a loro sarebbe stato inglobato dalla cupola che le sue cavità avrebbero creato: un luogo che sarebbe diventato privo di qualsiasi vibrazione sonora.
    Tutto sarebbe stato annullato: respiro, battito del cuore, perfino il ruggito del taiko, tutto sarebbe diventato nulla.
    Una sensazione sgradevole, nauseante, un annullamento di ogni suono esistente, come se avessero premuto il tasto “disattiva audio”.
    Sarebbe durato poco, giusto il tempo che aveva lei per mostrargli di cosa era capace la sua Unicità e di quanto potesse essere davvero orrendo il silenzio.
    Poi tutto si sarebbe riacceso, come se avessero di nuovo pigiato il tasto play e avessero riattivato l’audio tutto d’un fiato.
    Per lei non faceva molta differenza, per Yoshito probabilmente sì. Quel ritorno alla normalità sarebbe stato forse più assordante del solito ma lo avrebbe continuato a tenere per mano, e forse l’avrebbe tenuto in piedi se avesse avuto qualche giramento di testa, in modo che non barcollasse come sua madre le volte che senza pensarci entrava nella sua cupola di silenzio assoluto.
    « Volevi che ti mostrassi la mia Unicità? … Questo è ciò che so fare… » e non solo quello, ma Mirai si limitò a questo per fargli capire una cosa molto importante che lei stessa aveva imparato col tempo « E’ questo che tengo segreto. Perché il silenzio non porta a niente. Il silenzio è niente. » disse mentre la sua mano tremava leggermente in quella di lui.
    « Con il silenzio non salvi il mondo, non rendi le persone felici, non ti liberi dei pensieri. Il silenzio è solo una difesa che le persone si creano per non affrontare i problemi. Preferiscono rintanarsi in una cupola come quella che creo io, piuttosto che gridare a gran voce ciò che si portano dentro. Il silenzio annulla tutto ciò che c’è di bello. » la sua voce era bassa, seria e sembrava fosse quella di una persona che ne aveva viste tante nella vita e quanto, quanto avrebbe voluto dirgli in quel momento: “ perché niente è più bello che sentire la voce di un padre, quella di una madre o di un fratello, anche se parole crude, parole buttate in faccia ma pur sempre meglio del nulla”.
    « Per questo dovresti parlarci. Non hai la scusa di avere un Quirk come il mio. Tu che puoi ascoltare la sua voce, fallo. E ti prometto che non te ne pentirai. E se te ne pentirai, allora sarà la prima volta che lascerò a qualcuno dirmi che era preferibile il silenzio alla parola. » sghignazzò cercando di sdrammatizzare quell’aria pesante che si era creata in quel momento.
    Lasciò andare la sua mano per raccogliere la boccia per i pesci lasciata a bordo della sedia e si voltò verso di lui « E adesso… Tanzaku. Ho deciso cosa scrivere sul mio. Heheh- » disse per poi fermarsi un secondo e alzare lo sguardo al cielo nascondendo le lacrime che salivano sui suoi occhioni ambrati.
    Si era fatta sera.
    Mirai strinse al suo petto il barattolo assieme anche al minigundam che teneva ancora infilato nella Yukata.
    La ragazza detestava davvero tanto gli arrivederci, anzi a dirla tutta li odiava con tutto il cuore perché era fatta così.
    Eternamente sensibile, dall’animo puro e dolce.
    Soprattutto dopo tutto quello che avevano passato assieme e dopo quella stupenda serata che Yoshito le aveva dato modo di vivere appieno e in tutta felicità.
    Non avrebbe retto sentirsi salutare quella sera, pensando che lo avrebbe rivisto ... quando? Senza saperlo. Eppure nel suo piccolo cuoricino altruista… pensava che a Yoshito quel tempo che avrebbero avuto loro per la fine di quella sera sarebbe servito ad altro.
    Ci aveva pensato al modo migliore per salutarlo, ringraziarlo, e rimanere in contatto con lui e forse era giunto il momento. O meglio, per Mirai quello era il momento migliore.
    Forse si sbagliava, forse lui avrebbe avuto ancora bisogno di lei? No. Yoshito era un cavaliere, era forte, e sarebbe stato in grado di cavarsela contro quel nemico silenzioso che si annidava dentro di lui.
    « Yoshito… » la sua voce tradiva la tristezza che in quel momento l’aveva colta all’improvviso « Ti ricordi che ti ho detto che ti avrei fatto scontare la punizione più avanti… ecco. Questo è ciò che ti chiedo: finchè non ti dirò che puoi aprire gli occhi, qualsiasi cosa sentirai o qualsiasi cosa succederà. E qualsiasi cosa ti chiederò di fare tu la farai. » disse per poi voltarsi verso di lui sorridendo.
    « Allora… ci stai? Prometto che non ti farò niente cose strane… eh! Va bene? » ovviamente il suo viso divenne rosso come un peperone pensando che potesse essere frainteso per cose alquanto sconce che neanche la sua fantasia innocente poteva arrivare a pensare.
    Fu così che si avvicinò a lui con una morsa al cuore glaciale, forse non era la cosa giusta, ma era la cosa da fare.
    « Quindi… ora, chiudi gli occhietti. »
    « Just for a moment, I could hear you. »
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    ❛❛ Yoshito Amaterasu ❜❜
    Il fiato era corto, respirava con affanno.
    Come meglio poteva cercava di mascherare fatica e sudore.
    Lei non lo sapeva ma per esibirsi in quello spettacolo, dietro le quinte Yoshito s'era preso una bella strigliata dal padre.
    Come al solito non sei in grado di prendere sul serio i tuoi doveri, ragazzo! Pecchi ancora una volta di disciplina e concentrazione.
    Gli disse il suo vecchio ammonendolo per il suo arrivo tardivo a quell'evento. Chissà cosa gli avrebbe detto, una volta rincasati, quando avrebbe scoperto che, oltre al ritardo, il ragazzo s'era defilato dall'esibizione emulando un malore, il tutto solo per poter passare più tempo con Mirai Ishigami… Ma questo non era necessario che lei lo sapesse.
    La raggiunse in fretta e furia, mentre un suo amico nella compagnia teatrale dietro a quell'esibizione, gli fornì supporto coprendogli la fuga e sostituendolo nello spettacolo; fu per strada, mentre correva come un forsennato sgusciando in quella folla di persone, che decise di fingersi furbescamente ignorante sull'accaduto.
    Cercherò di sorprenderla apparendole da dietro. E chissà, magari le faccio anche uno scherzetto...!
    La fanciulla dai capelli ramati cadde vittima della sorpresa, assumendo un tono che suonava squillante e un po' indispettivo, mentre con i suoi modi e le sue parole parve quasi volersi fare bieca e più grande, incarnando la parte della mamma rimproverante.
    Non so di cosa parli!
    Le replicò lui mantenendo la recita e sfoggiando una faccia confusa ed ingenua; una performance che sarebbe stata quasi credibile se non fosse stata tradita dal risolino continuo che il ragazzo ebbe tutto il tempo mentre i due parlavano.
    Sembra anche più carina quando sembra arrabbiata.
    Un pensiero genuino che nacque in Yoshito senza malizia e del tutto naturale, ma che però tenne per sé poiché non sapeva come lei lo avesse potuto interpretare. Ormai per il cavaliere l'imbarazzo pareva un problema legato al passato. Ora, era completamente a suo agio al fianco di lei o forse erano semplicemente la fatica della corsa e la stanchezza accumulata durante la giornata, a far da complici per bloccare la sua parte più timida ed indecisa; una cosa era certa: la sua guardia era più bassa ed il suo auto imposto e rigido modo di fare, s'era anch'essa ammorbidito.
    Ma anche lei, già da un po', si sentiva a suo agio al fianco di Yoshito. Mirai abbandonò le vesti ammonitive e si rilassò in favore di un'espressione più dolce e gentile e, parlandogli come farebbe un amico, un confidente, face completamente sua la scena in quel loro piccolo siparietto.
    Volevo farti una sorpresa.
    Fu la scusa che adottò con un sorriso stampato in viso, come se tutto ciò fosse parte di una sua volontà premeditata, ma la verità era un'altra: aveva realmente rimosso il concerto dai suoi pensieri, un'onta per cui aveva già scontato la sua pena; il ragazzo aveva trascurato i suoi impegni, troppo assorto su di lei per poter rammentare i propri doveri. Non commentò quelle parole di rimprovero, limitandosi a ridere e a sorriderle come se tutto ciò fosse solo uno scherzo. Incrociò dunque le braccia assumendo di chi deve attendere; per una volta avrebbe ricoperto lui il ruolo dell'uditore in tutto quel parlare mentre, per la donzella, sarebbe stato l'oratore il ruolo da interpretare.
    Statuario nella posizione ma sorridente e sereno, rimase silente ad ascoltare sia i rimproveri che gli encomi che la coetanea aveva da dare; giusta era una sua affermazione: sarebbe stato colossale il disastro -a casa- se sene fosse dimenticato, ma Yoshito è un ragazzo fortunato ed una persona che non tende a farsi mai carico di un incidente mancato, dopotutto è un qualcosa che fa già parte del passato. Tuttavia, se fin ad allora -per lui- v'era stato solo divertimento, le parole sul padre parvero scuotere qualcosa in quel suo animo imperturbabile.
    Che sia vero che il mio agire sia condizionato da una mia involontaria aspirazione ad interpretare il figliol prodigo che mio padre ha sempre anelato?
    Un dubbio era stato instaurato nel suo cuore e così, l'arco delle sue labbra, iniziò a cedere e cambiargli espressione. Sorrideva ancora, ma l'ombra del turbamento iniziò a farsi sempre più avanti sul volto di lui.
    No, non penso sia così... Per un attimo il suo sguardo si voltò verso la figura paterna ancora impegna sul palco alle sue spalle, per poi tornare su di lei, cercando di mascherare -malamente- dietro il suo sorridere il disagio sul suo viso. E come può affermare ciò se non conosce la situazione...?
    Anche se non l'avrebbe mai ammesso, era sensibile all'argomento. Ogni qualvolta che si affrontava la questione, un senso di malessere si espandeva al centro del suo petto; forse la posa a braccia conserte era proprio un suo modo inconscio di cercare protezione, un rifugio da quel dolore che aleggiava nel suo cuore. È vero, c'era un problema con quel genitore; parole non dette, questioni non risolte, ma non era solito parlarne perché non era solito per lui aprirsi alle sue emozioni. Era troppo legato a quelle figure d'altri tempi che amava ed ammirava, l'immagine del perfetto guerriero che tanto agognava, per poter anche solo considerare la questione.
    Un samurai non si mostra debole.
    E per quanto le apprezzasse, gli era stato insegnato che le emozioni son sinonimo di debolezza e, per questo motivo, si ritrovava quasi sempre a chiudere a mostrarsi un po' ostile quando gli si chiedeva di schiudere il proprio cuore. Fosse stato qualcun altro, si sarebbe chiuso come un riccio e si sarebbe divincolato con ostichezza da quella discussione; ma non con lei, non se lo meritava. Ai suoi occhi Mirai appariva troppo pura e gentile per potersi mostrare a lei avverso; le parole della fanciulle eran sincere e la sua preoccupazione genuina, glielo poteva leggere con chiarezza in quei suoi occhi ambrati.
    Che sia il famoso "intuito femminile" di cui narra sempre mia madre?
    Vuoi uomini "d'onore" siete facili da leggere. Basta guardarvi negli occhi per capire cosa vi passa per la mente.
    La parte logica del suo essere cercò una spiegazione a quel suo interesse. Era così, che la madre, chiamava e descriveva quella straordinaria perspicacia che pareva esser riservata al solo al sesso femminile.
    Parlargli...
    Era questo che lei suggeriva. Una soluzione semplice ma altrettanto complicata se non si sa cosa dire o se, dall'altra parte, non si ascoltare.
    Beh, io... Vorrei, ma... Il fatto è che~ Si guardava intorno con fare spaesato, osservando il palco, lei e infine dei punti a caso. Come potrei chiedergli colloquio, se anche in questo momento non saprei dove trovare le parole da pronunciare? Come poteva affrontarlo se neanche il suo forbito linguaggio poteva aiutarlo?
    Rimase in silenzio ad ascoltare.
    Privo di parole sia da proferire o a cui pensare.
    Rilassò il corpo e le mani scesero lungo i suo fianchi. Silenzio... Era questo ciò di cui si stava parlando. Una sciocca parola composta tra tre sillabe ed otto lettere, ma che poteva esser fonte di molti problemi ed incomprensioni e che in questo caso rappresenta, il rapporto che ormai da anni c'era tra lui e la sua figura paterna. Vorrei davvero che fosse un qualcosa d così semplice da realizzare. Il volto ormai gli si era rabbuiato. Nessun sorriso c'era più a marcarlo. Solo uno sguardo un po' triste di chi è bloccato e non sa come agire.
    Ma una luce arrivò a rischiarirgli il viso, o meglio, un innocuo gesto riuscì a donargli un -imbarazzato- rosso colorito.
    Lei gli prese la mano stringendola forte a sé; era tutta la giornata che gliela teneva stretta, ma sarebbe stata quella la prima volta che Mirai avrebbe potuto percepirne la durezza callosa, la pelle di chi sa cos'è la fatica, la pelle di chi conosce il significato della parola lavoro. Erano anni che il giovane esercitava la sua scherma, e quelle placche erano il suo orgoglio e le sue testimoni.
    Il volto di lui assunse un'espressione confusa, non si ribellò alla presa ma non riusciva a comprenderne la ragione.
    Mirai, cosa…? Ancora una volta era povero di parole. Ha detto che vuole "mostrarmi" qualcosa. Ma poco sapeva di quel che stava per accadere.
    La fissava ancora titubante quando, in un attimo, calò attorno un assoluto silenzio. Ogni suono fu immediatamente cancellato, tutti, anche il più piccolo, era come essere sott'acqua ma risultato era ancor più estremo; pareva quasi che fosse stato portato in un altro mondo, ma la festa ancora lì, li persone ancora esultava e la musica risuonava… Ma allora perché non poteva udirle? Il ragazzo si ritrovò alquanto destabilizzato, era una percezione a lui completamente aliena e a cui non era di certo preparato.
    Ma... Ma cosa succede...!?
    Con una voce muta cercò di comprendere cosa gli stesse accadendo, ma la totale mancanza di udito gli stava distorcendo l'equilibrio e la sua capacità spaziale; adesso fu lui a stringerle più forte la mano, cercava di reggersi mentre il suo corpo barcollava e lui provava mantener contegno e stabilità. Doveva resistere, non voleva trascinarla con lui in una rovinosa caduta. Era strano persino parlare, poiché percepiva il vibrare delle sue corde vocali ma la sua voce risultava tacita a sé stesso; purtroppo non ebbe tempo da dedicare allo studio di quel fenomeno, dal momento che vertigini ed un conato di vomito lo portarono a coprirsi la bocca con la mano libera e a piegarlo dal disgusto.
    Un'esperienza davvero spiacevole, nevvero, ma che per sua sfortuna non era ancora finita.
    Quel supplizio durò pochi istanti ma abbastanza da sentirsi mancare, forse sarebbe svenuto se si fosse prolungato, ma l'epilogo arrivò presto e all'improvviso e il ritorno nel mondo sonoro risultò altrettanto indigesto. Il taiko percosso dal padre, fu il primo suono che lo assalì quando Mirai lo liberò dal suo incantesimo, travolgendogli i timpani, come se quella fosse una forma di punizione che l'uomo gli aveva riservato; tutti i rumori e le voci che sino a poca prima erano mute, lo colpirono tutte assieme con la violenza di un treno.
    Gghh...!
    Cercò di trattenersi dall'urlare, ma non riuscì a mantenere il contegno che aveva mantenuto sino a quel momento. Si piegò in avanti gemendo sofferente e contorcendosi in un'espressione di dolore, d'istinto la mano libera gli coprì un orecchio, come se in qualche modo potesse portar sollievo da quel forte dolore che le sue tempie provavano in quel momento. Era come se una granata gli fosse esplosa accanto, è così che si potrebbe descrivere ciò che stava passando, e per brevi istanti udì persino il fischio udibile dopo la deflagrazione.
    Infine tutto si acquietò.
    O, per lo meno, era riuscito a trovar quiete in quel caos quotidiano.
    Non so cosa fosse, ma è stato terribile.
    Disse sommessamente a sé stesso col capo ancora chino, celando le sue labbra allo sguardo di lei. Il volto gli si rialzò, lento, e suoi occhi si volsero verso quelli di lei.
    Era il tuo operato ciò che è appena capitato?
    L'espressione era seria, come mai prima in quella giornata; il giovane tornò in piedi superandola in altezza, forse era arrabbiato o forse no, era difficile da interpretare in quel momento. Tuttavia, anche se forse non significava niente, le loro mani eran ancora congiunte e il cavaliere non interruppe mai la presa sulla mano della sua principessa, mentre in silenzio ne ascoltò le parole.
    La risposta fu celere ad arrivare. Quello era il potere di Mirai Ishigami, il suo quirk, la sua unicità: Il potere del silenzio, se così lo vogliamo chiamare.
    Ma non fu quella rivelazione che lo portò a tacere, a zittire quel ragazzo che in quel giorno era riuscito a pronunciare un inarrestabile torrente di parole, ma che adesso pareva esserne privo. Furono le parole di lei che lo lasciarono muto. Furono le parole di lei che lo rinchiusero nei suoi pensieri, che lo portarono a provare un'emozione a lui estranea e che poche volte aveva provato in vita sua: fagilità. Non era la prima che Mirai fosse riuscita a scovare le giuste frecce da scoccare, frecce capaci di scalfire quell'armatura di sorrisi e sicurezza dietro cui si nascondeva il samurai; ma questa volta, per la prima volta, trovò un qualcosa che lo fece sentir completamente spogliato. Si sentiva scoperto, fragile, col suo cuore in mano e messo a nudo. E questo… Questo lo stava spaventando.
    Non so cosa fare... Avrebbe voluto dirle. Non so se lo POSSO fare... Lo sguardo gli si fece più basso come se volesse piangere e, mentre lei continuò a parlargli, la sua mente si distaccò ed iniziò a viaggiare. Forse è vero, forse ha ragione. Sono anch'io complice di questa situazione, se non il vero colevole. Penso che anche mia madre abbia provato a dirmi qualcosa del genere in passato, ma temo d'aver ereditato sin troppo da Yuudai Amaterasu. Forse il mio pensare agli altri e il riempirmi le giornate, è un mio modo di fuggire dal vero problema. C'è silenzio tra me e Yuudai, un silenzio a me noto da troppo tempo oramai. Ma allora perché non ho fatto nulla a riguardo?
    Forse rispetto troppo la sua figura e la sua posizione da doverla mettere in discussione?
    Forse son troppo focalizzato su me stesso e sui miei desideri da non aver lasciato spazio a quali potrebbero esseri i suoi?
    No, non è questa la verità. La verità è che ho paura. Paura di perdere quel poco che rimane del padre che conoscevo, paura di perdere le memorie di quell'uomo e accettare lo sconosciuto che vive sotto il mio stesso tetto.
    Se devo esser sincero, penso che la mia alla fine non sia altro che nostalgia. Un ricordo ormai morente di una bambino che non vuole lasciare andare il passato. Un passato in cui un uomo di nome Yuudai era un padre e non un semplice maestro alcolizzato.
    Lo odio?
    No, non penso di odiarlo.
    Penso che sia biasimo quel che ho verso i suoi confronti, poiché tuttavia posso comprendere il suo agire ed suoi sentimenti.
    Hmph…! È quasi ironico trovarmi a dover psicanalizzare me stesso.

    Mirai gli aveva scatenato una cascata di pensieri. Ma nonostante siano molte le parole che attraversarono la mente, il pensiero di Yoshito era rapido e non si perse molto del discorso di lei. Ma ci fu una frase in particolare che lo fece rinsavire da tutto quel pensare.
    Per questo dovresti parlarci. Non hai la scusa di avere un Quirk come il mio.
    Una frase ambigua che forse non voleva davvero comprendere. Mirai, ma quindi tu... Sussurrò quelle parole a labbra strette, forse lei nemmeno le avrebbe "lette". Era un dubbio che già da un po' lo attanagliava, tuttavia aveva paura di chiedere, di usare le parole parole sbagliate; temeva che quella magia che in qualche modo li aveva legati, venisse dissipata da una verità che forse era meglio se rimaneva celata. Quindi non glielo chiese. Non disse nulla. Ma chiederle cosa, vi starete domandando? Beh, questo è un dubbio che rimarrà riservato al ragazzo.
    La giovane Ishigami terminò di parlare e questa volta fu lei quella prolissa. Fosse stata diversa la situazione probabilmente se ne sarebbe anche complimentato. L'espressione di Yoshito era ancora grigia e mantenne un prolungato silenzio dopo che lei si fu zittita.
    Ma bastò un gesto di Yoshito per spezzare quell'imbarazzante atmosfera… E renderla forse ancor più imbarazzante.
    Le loro mani erano già congiunte fra loro, ma il ragazzo decise di portare anche l'altra a chiudersi attorno a quella della ragazza; le mani di lui s'eran chiuse a conchiglia su quella di lei, era già la seconda volta che capitava ma questa volta non era un'azione involontaria. I loro sguardi si fissarono l'uno sull'altro e finalmente un sorriso, tenero e sereno, tornò a sbocciare sul viso di Yoshito.
    Grazie Mirai. Ci proverò.
    Condivise poche parole, ma eran più che sufficienti. Lei non lo sapeva, ma aveva davvero fatto breccia nel giovane dalla chioma di fiamma; ma forse qualcosa l'avrebbe potuta percepire, guardando la serenità sul volto lui. Sapete, con quel famoso intuito di cui prima facevo cenno.
    Spesero alcuni momenti nuovamente nel silenzio.
    Su una cosa però ti sbagli...
    Ma ci pensò lui stesso a spingere quel freno.
    Non è vero che il silenzio non porta a niente. Il silenzio non è il niente. Perché il silenzio può arrivare a dire ciò che con le parole non si può comunicare. Credimi quando ti dico che c'è del vero dietro l'espressione "il silenzio può valere anche più di mille parole". Parafrasò in parte le stesse parole di lei nel suo discorso e, quasi a voler rafforzare la sua teoria, si prese delle pause, attimi di silenzio, nel suo passaggio tra una frase e l'altra.
    Penso che questo potere ti si addica molto…
    Le mani gli si mossero mentre lo diceva, come se volesse accarezzarle la mano, per trasmetterle la sua stessa tranquillità e sicurezza, come se volesse ricordarle che lui era lì per lei.
    È vero, di primo impatto sembrare spaventoso, un qualcosa di negativo e che può far soffrire.
    Ma, come una fanciulla di mia conoscenza, se ci si sforza di conoscerlo meglio il silenzio può rivelarsi dolce e gentile, una carezza che può confortare quando non c'è più nulla da dire.
    E si, anche il silenzio può salvare. Anche il silenzio può essere straordinario. Il tuo potere è straordinario…
    E anche tu…
    Anche tu sei straordinaria.

    Si prese una piccola pausa, più lunga delle altre, prima di pronunciare quelle ultime parole. Ma proprio quando l'imbarazzo iniziò a salire, manifestandosi come calore e rossore sulle sue guance, lasciò la presa e si forzò alla calma, strofinandosi la sua folta criniera bionda come oramai era solito fare quel giorno.
    Scusami tanto! a volte divento proprio un sentimentale. Ahah~
    Rise da solo per scaricare la tensione. Respirò profondamente e sospirò sorridente; se si esclude che v'era ancora musica di sottofondo, una nuova quiete, ma questa volta più d'imbarazzo, si andò a creare tra i due. Ma per fortuna la sua durata fu breve, perché ci pensò lei a rompere quell'odiato silenzio.
    Oh, ricordo!
    Le replicò quando lei gli fece memento di quel loro piccolo gioco lasciato in sospeso. In realtà stava mentendo, poiché nella sua mente era convinto che avesse già scontato la sua penitenza ma, a pensarci adesso, si rese conto che probabilmente avesse frainteso quel gesto di lei, scambiandolo per una punizione e non per un segno d'affetto.
    La richiesta era semplice: fino a contrordine doveva mantener le sue palpebre chiuse.
    Mirai, ma cos... Con un tono imbarazzato e le guance arrossate, cercò di replicare ma senza successo. Ancora una volta era a corto di parole. Forse un pensiero malizioso gli aveva sfiorato la mente, ma Yoshito è un ragazzo ingenuo ed un romantico ottimista. No, non è possibile. E mentre pensò lui stesso a sbugiardare qualsiasi ipotesi che la logica suggerisse, aggiunse poche parole e poi le sorrise. Va bene. Mi fido di te.
    Chiuse gli occhi in attesa silente. La faccia era serena e la bocca sorridente e con le labbra strette.
    Chissà cosa ha in mente...
    « The sound of silence. »
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    MIRAI ISHIGAMI
    NARRATO x «PARLATO» x PENSATO x LINGUAGGIO DEI SEGNI
    Fin da piccola, il silenzio era l’unica cosa che aveva imparato del mondo e l’unica cosa che riusciva a controllare del suo Quirk.
    Era il suo modo per chiudersi in sé stessa, l’unico che spesso usava per non farsi sentire piangere dai suoi genitori, l’unico che la faceva sentire protetta anche se non lo era -fisicamente parlando-.
    Chi come lei era cresciuta in quel annullamento di ogni suono presente entro un metro o poco più da lei non faceva così tanto effetto. Rispetto all’essere sorda, la sua cupola riusciva a tenere alla larga ogni suono presente attorno a lei.
    Percepiva la linea sottile del suo silenzio, solo perché riusciva in qualche modo a sentire piccole vibrazioni infrangersi su di essa come pioggia sopra una cupola di vetro.
    L’annullamento di suono non riguardava soltanto le vibrazioni esterne ma anche quelle interne: era come non percepire più neanche i propri pensieri, era abbandonarsi solo e soltanto a sé stessa.
    Un sensazione che gli estranei a questa legge non molto riuscivano a stare dentro le sue invisibili mura.
    Non voleva fargli del male. Mirai non voleva fargli del male ma si ricordava che effetto aveva avuto sui suoi genitori quando per puro caso o per altri motivi avevano varcato la soglia del suo castello.
    Stavolta era stata lei a prenderlo per mano ed entrare, per una ragione, per dimostrargli qualcosa e per mostrargli qualcosa.
    Lo aveva visto nei suoi occhi, il modo in cui si erano rabbuiati più e più volte a nominare suo padre e anche quella volta Mirai lo aveva visto osservare dall’alto Amaterasu senior. Stesso sguardo.
    Mirai era abituata anche fin troppo ad osservare il volto, gli occhi e le labbra delle persone: non potendo sentire il tono di voce e le modulazioni dettate dai sentimenti, percepiva questi in una maniera del tutto diversa attraverso occhi, espressioni, movimenti della bocca.
    Era così che funzionava con il linguaggio dei segni dato che soltanto le parole composte dalle mani non possono mai fare intendere ciò che sta nel cuore di ogni uomo o donna. Così si accompagnano anche le espressioni.
    Yoshito voleva parlare a suo padre ma non ne aveva la forza, o forse aveva paura e questo gli procurava enorme tristezza, quasi un dolore che non riusciva a tirare fuori.
    Era come se avesse una scheggia conficcata nel petto e non volesse toglierla per paura delle conseguenze, per cui probabilmente l’unica cosa che aveva fatto era stata nasconderla e buttarla sempre più in profondità senza pensare che questo l’avrebbe portato alla morte.
    Un concetto drammatico e ovviamente per nulla veritiero che in entrambi i casi avrebbe potuto chiedere aiuto per toglierla, invece probabilmente l’aveva lasciata lì, dietro a quel suo splendido sorriso.
    Mirai era conscia che non avrebbe accettato per orgoglio l’aiuto di nessuno, forse neanche il suo, almeno non così apertamente: per questo aveva deciso di passare ai fatti e fargli comprendere che non poteva continuare così.
    Che quello che lei avrebbe fatto forse faceva meno male.
    Lo avvertì, gli strinse la mano.
    Si concentrò, giusto un secondo per poi sussurrare «Ti chiedo perdono… » e poi percepì una brezza fredda entrare nella sua testa, l’effetto collaterale del suo Quirk. Una cosa banale.
    In un secondo, forse un po’ di più, il mondo fatto di suoni e vibrazioni si annullò.
    Gli strinse la mano, vide il suo sguardo mutare dal sorpreso al terrorizzato? Mirai non riusciva a decifrare simili sentimenti, ma li aveva riconosciuti negli sguardi di chiunque entrasse dentro quella cupola.
    Chiunque fosse dotato di udito.
    Lo sentì e lo vide mentre tentava di tenere quell’equilibrio precario dettato dalla mancanza di suono, cercò di tenerlo in piedi e sapeva che per un guerriero, e un samurai, e un cavaliere, cadere in ginocchio senza aver neanche ricevuto una ferita poteva minare il proprio orgoglio.
    Mi dispiace… Yoshito… questa sono io. Non sei l’unico a portare un peso con sé. sospirò e quando lo vide cambiare colore al volto e diventare più pallido del normale, nel momento stesso in cui aveva portato la mano alla bocca per soffocare un conato di vomito la ragazza annullò la sua cupola e tutto tornò come era solito essere.
    Il petto di lei ebbe un sussulto quando venne attraversato dal tuono del taiko ma fu lui quello che accusò di più il ritorno alla sua normalità.
    Yoshito si piegò in avanti, stringendosi a sé, mettendosi una mano all’orecchio come per proteggersi dal rombo di un cannone.
    Mirai si piegò anche lei, tenendogli la mano stretta e mettendogli una mano sulla schiena per rassicurarlo.
    «Sc-Scusami… perdonami Yoshikishi-kun. So che fa male…vero? » non avrebbe visto la sua risposta, ma sapeva quale sarebbe stata.
    Non ci vollero molte parole per dirgli quale fosse stato il motivo per cui avesse fatto quello che aveva fatto, e Mirai in quel momento si sentì il cuore andare in frantumi per aver rovinato di sua mano una serata splendida come quella.
    Per fortuna Yoshito parve riprendersi poco a poco e questo le sollevò un po’ il morale; non appena si rialzò Mirai lasciò la presa sulla schiena e mise anche l’altra mano sopra quella che già stringeva la mano del cavaliere.
    Nerboruta, fredda, e ruvida.
    Dalle mani si può comprendere molte cose, e tante ne aveva imparate Mirai su di lui non riuscendo a non staccare quelle mani dalla sua presa.
    Era un gran lavoratore, era uno che non si arrendeva e che probabilmente si allenava ogni giorno per superare se stesso, uno che non se ne stava in casa senza far nulla.
    Questo gli rendeva onore e merito, e Mirai sapeva che in parte lui era così, faceva così, per portare avanti non solo i suoi ideali ma anche il nome della famiglia.
    Mirai prese la parola prima che Yoshito provasse a tirarle fuori discorsi lunghissimi che in quel momento non avrebbero avuto un granchè di senso. Qua non si parlava di storie, di fantasie, di desideri. Qui si parlava di lui, di ciò che aveva dentro, di strappare una volta per tutte quella scheggia e curarla con quello che la ragazzina poteva fare meglio.
    Inspirargli fiducia, coraggio, e fargli capire che il silenzio non era la strada giusta da seguire.
    Con quelle parole sperava di aver fatto breccia nel suo animo, e di non essere stata troppo invadente o pressante… e a quanto poteva vedere dal suo volto cogitabondo – le stava mettendo un po’ inquietudine in effetti – forse qualcosa era riuscita a sbloccare.
    Durò forse qualche istante e quando le sue palpebre tornarono a sbattere notò un movimento leggero delle labbra ma non comprese se fosse un flusso di pensieri diventato solido o era soltanto un riprendere fiato per quello che aveva passato.

    Yoshito congiunse l’altra mano a quella che già si trovava nella morsa della giovane a stringere quelle di lei come se stesse per rivolgerle una preghiera o un giuramento.
    Lo sguardo ambrato di lei si riflesse in quello di lui e per qualche istante, in silenzio, rimasero così uno di fronte all’altro, finchè dalle labbra di lui Mirai non lesse che parole di ringraziamento e di un buon proposito per il futuro.
    Mirai sorrise di cuore, vedendolo illuminato da una nuova quanto calda energia. Una sensazione splendida le riempì il petto, come se fosse riuscita a portare luce e serenità in un cuore che aveva bisogno di aiuto.
    Era davvero questa la sensazione che provava? Era davvero da ricondurre a questo ciò che sentiva nel petto?
    Non lo sapeva, ma le andava bene così, e prima che potesse anche solo indagare più affondo la natura di simili sensazioni, la ragazza lesse dalle labbra di Yoshito qualcosa che nessuno le aveva detto prima di allora e sembrava risuonare nella sua testa al pari di una dichiarazione.
    Il silenzio secondo lui non era “niente” era tutto quello che si poteva usare quando le parole non arrivavano a dire ciò che si voleva comunicare.
    Il silenzio non è qualcosa di pessimo, orribile, tremendo, e .. nulla. Il silenzio a volte può essere tutto.
    A questo Mirai non ci aveva mai pensato, ad osservare il fenomeno sotto un altro punto di vista.
    Rimase in silenzio mentre le parole di Yoshito prendevano vita sulle sue labbra.
    « Ooh … » sussurrò con sguardo estasiato, con quegli occhioni così strabiliati che sembravano avessero visto una magia prendere vita dalle labbra del giovane E’ davvero così…? sì, lo era, e per la prima volta in vita sua lo comprese davvero.
    E poi, come se avesse capito in parte la sua condizione di esistenza, Yoshito scandì con ritmo quelle parole che arrivarono dritte al suo cuore senza passare per il cervello.
    Mirai divenne rossa come un peperone e cercò di scostare lo sguardo altrove per non apparire così tremendamente, e nuovamente, imbarazzata.
    M-Mi-Mi ha detto che sono straordinaria…..aaaaaaaaaaaawwwwww…. non sapeva cosa dire, cosa fare.
    Fu quando Yoshito lasciò la presa sulle mani della ragazza dopo che ebbe finito di parlare, lei si irrigidì un poco per poi con sguardo basso spiccicare due parole due balbettando come se non ci fosse un domani «G-G-G…Gr-Grazie Y-Yosh-shi-Ki-Shi-k-.k-k-kun.» disse e avrebbe voluto dire altro ma come aveva detto lui in precedenza. Non servivano parole a volte.
    Bastava solo il silenzio.
    «Eh….Eh…» sghignazzò ancora in preda all’imbarazzo per cui ne uscì fuori una risatina che non aveva niente a che vedere con la felicità ma con l’agitazione che divenne ben presto malinconia leggera.
    Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto lasciarlo quella sera, ma detestava davvero tanto gli addi… gli odiava proprio perché la facevano sentire triste, la facevano sentire terribilmente triste.
    Proprio adesso che aveva trovato un amico sincero, una persona di cui poteva fidarsi e che aveva trascorso con lei la serata più pazza e più bella che avesse mai vissuto fino a quel momento.
    Non voleva lasciarlo, no, non voleva salutarlo e ritrovarsi dopo chissà quanto…detestava salutarlo così e tornare nella sua solitudine ma nonostante questo il suo altruismo e il suo cuore grande riuscirono a sovrastare quelle sensazioni orribili e a trasformarle in altro: in coraggio.
    In coraggio per quello che aveva in mente di fare come “punizione”.
    Lo vide chiudere gli occhi, e dirle che era pronto.
    Tutto quello che Mirai fece fu estrarre il Tanzaku dove aveva scritto: “ vorrei trovare qualcuno con cui condividere questa festa” e dato che era stato esaudito ancora prima di attaccarlo vi scrisse dietro il suo numero di telefono e il contatto e tra parentesi ci scrisse (non chiamarmi, ho difficoltà a sentire).
    Non disse che era sorda, ma forse lo si poteva evincere: non voleva certo passare male non rispondendo alle sue chiamate, se mai avesse voluto farlo.
    Sospirò. Lo guardò mentre ripiegava il fogliolino in tante, piccole parti fino a che non fu sufficiente.
    Tolse dai capelli la spilla a forma di rosa e lì vi incastrò il foglietto e si avvicinò a Yoshito lasciando che i capelli rossi le si posassero sulla fronte vicino al corno.
    Lo guardò.
    Odiava davvero tanto gli addii, ma quello era il modo migliore per andarsene.
    Avrebbe attivato nuovamente il silenzio, si sarebbe avvicinata e non avrebbe percepito nulla se non il suo tocco velato mentre gli lasciava la rosa e poi… si sarebbe dileguata a passo felpato raccogliendo Orihime e Hikoboshi da terra.
    Sì… è la cosa giusta. si meritava davvero quella punizione? Non poterla neanche salutare e vederla svanire nel nulla così come era apparsa nella sua vita?
    Beh… Ora Yoshito aveva altro da fare, e quel tempo di quella serata che gli mancava di passare lei avrebbe voluto che lo spendesse con suo padre: questo era il suo desiderio, questa la sua vera punizione o almeno così forse l’avrebbe vista lui.
    Osservò il padre di Yoshito mentre il suo tuono continuava a ruggire nell’aria, il taiko, quella preghiera che arrivava in alto fino agli dèi.
    Forse mi odierai… ma questo per te è il momento giusto…
    Strinse la rosa al petto e lo guardò con un sorriso caldo e dolce che non avrebbe visto.
    « Volevo dirti grazie per quello che hai fatto per me questa sera. Mi hai insegnato tanto. Mi hai dato un motivo per vivere e per credere di poter essere anche io una luce come tu lo sei stato per me. » disse avvicinandosi passo dopo passo per poi arrivare fino a che potesse sentire quasi il suo respiro smorzato dall’emozione.
    «Volevo che sapessi che sei davvero un eroe ed io… ci sarò sempre, qualsiasi cosa tu abbia bisogno, io ci sarò. Come tu sei stato il cavaliere per me questa sera. Grazie Yoshikishi-kun. » trovò il modo di appuntargli per bene la rosa alla Yukata che portava, in un posto abbastanza buono per non essere persa, vicino al petto «Non… sbirciare. Non ho ancora finito! » gli disse mentre gli puntellava con un dito il petto muscoloso finché proprio in quel petto non sigillò tre parole che da tempo facevano parte del messaggio in codice di suo padre. Obi Ishigami.
    Un tap con un dito.
    Un tap con due.
    E poi la sua mano si aprì con il palmo sul suo petto e potè percepire il suo cuore battere e venire assorbito quasi dalla sua mano.
    Detestava salutare le persone, la facevano sempre stare male…così aveva escogitato questo modo per finire in bellezza.
    « Grazie. Quando sentirai nuovamente il suono del taiko, conta fino a dieci e apri gli occhi. Sappi che… è stata la serata più bella della mia vita, e il mio desiderio non poteva essere stato esaudito meglio di così… Grazie. Mio cavaliere. » fu in quel momento che con qualche lacrimuccia agli occhi Mirai attivò nuovamente la sua cupola e non sapeva perché, non sapeva come, non sapeva cosa mosse il suo volto, le sue braccia ad arrampicarsi su di lui, e le sue labbra a stampargli un bacio leggero sulla sua guancia destra e prima che potesse accorgersi di quanto aveva fatto Mirai si staccò da lui e si diresse fino ai suoi due pesci con passi felpati e silenziosi e….

    Intanto il conto sarebbe iniziato.
    Aveva poco tempo per correre via.

    Sarebbe bastato poco per intrufolarsi tra la gente, sgattaiolare in mezzo alla folla e perdersi per le strade in festa del Tanabata e farsi venire a prendere.

    Sarebbe bastato poco.

    … si voltò indietro un altro solo istante, e lo guardò, sorrise, ferma, immobile con le due creature che sguazzavano prese alla sprovvista e tirate su di prepotenza dalla ragazza.
    Ci rivedremo… sorrise.
    Le sue gambe tremanti poi tornarono a muoversi e sgattoiolò in mezzo alla folla così come aveva pianificato, si perse tra le persone e così come era iniziata quella serata così era finita.
    Hikoboshi e Orihime si sarebbero di nuovo allontanati nel cielo, e tutto sarebbe ricominciato.
    Mirai non ebbe però il coraggio di allontanarsi troppo, perché sebbene fosse felice di aver conosciuto una persona che aveva portato luce nel suo cuore e nella sua anima, non aveva l’intenzione di lasciarlo davvero solo.
    E poi. Un desiderio ancora ce l’aveva per quella serata.
    Voleva sentire ancora la sua voce.
    Era una punizione troppo crudele per lui? Forse. Mirai sperava che avesse colto il messaggio e che sfruttasse quel poco tempo di quella serata che gli era rimasto per poter provare a tagliare la barriera di silenzio con suo padre.
    Trovò un nuovo posto, più defilato, dove potesse comunque sentire la musica e vedere con la coda dell’occhio quel Taiko che attendeva il suo suonatore per la ripresa del terzo atto di quello spettacolo.
    Va da tuo padre e rendi onore a te, a lui e al nome della tua famiglia. E se non lo farai per questo, suona per me…. Suona ancora per me… e farò il tifo per te da qui. E dopo, quando lo spettacolo sarà finito, resta con lui. pensò mentre stringeva al petto il barattolo con i suoi due pescetti assieme al Mini Grande Gundam che aveva ancora tra le pieghe della Yukata, mentre tentava con tutta sé stessa di non piangere in mezzo alla gente.
    Dovrei scrivere a papà… aveva avuto già dall’inizio di quella giornata intenzione di chiamarlo prima dello spettacolo dei fuochi d’artificio in modo che potessero passare assieme quel momento in onore dei vecchi tempi con una vaschetta di takoyaki in mano.
    Ora che era riuscita in qualche modo a convincere Yoshito a provare a riallacciare in qualche modo i contatti con suo padre non poteva non pensare a Obi. A quanto fosse stata fortunata ad avere un padre così.
    Grazie ancora di tutto…mio cavaliere. Grazie per avermi reso una principessa per un giorno e … se mai avrai bisogno di qualcuno su cui contare, io ci sarò. E farò sempre il tifo per te. E quando sarai là, mettici tutto lo spirito e il cuore… sorrise e lasciò che questo pensiero si perdesse con la marea di stelle che iniziavano a prendere vita nei cieli che diventavano sempre più scuri e che avrebbero lasciato intravedere anche Hikoboshi e Orihime che sperava con tutto il cuore avessero esaudito anche quest’ultima semplice preghiera.
    « …desidero sentire ancora la tua voce.»
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    Edit: in accordo con ReЙ ho modificato l'ultima parte del post perchè ieri sera /con la stanchezza/ ho copiato e incollato la parte sbagliata...T^T


    Edited by ¬Kinshara - 3/1/2021, 16:33
     
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    ❛❛ Yoshito Amaterasu ❜❜
    Gli occhi eran chiusi e l'emozione incalzava. Il mistero della scoperta, il dubbio dell'incertezza, il giovane samurai era in bilico tra curiosità e trepidazione per quel che aveva in serbo per lui la donzella.
    Chissà cos'ha in mente...
    Si domandava. Nonostante un po' di nausea ancora lo disturbava, la cattiva esperienza col quirk della ragazza era già acqua passata. La frenesia per l'ignota sorpresa, l'impazienza di continuar la serata, avevan sovrascritto qualsiasi emozione negativa che la mente attanagliava, mentre anche un po' di imbarazzata timidezza si aggiunse come condimento di quella ricetta; e poi va ammessa una considerazione, quel bianco cavaliere era probabilmente estraneo da sentimenti come odio ed afflizione, figurarsi se ne avesse potuto avere verso la propria principessa.
    Mi fido di te.
    Le aveva detto come se il suo fosse un atto di fede… E forse un po' lo era.
    Gli eran sigillati ma con l'udito cercò comunque di comprendere la situazione. La sentì armeggiare, con qualcosa di carta probabilmente, e non distante da lui, o almeno così pensava; non era facile comprendere cosa gli stesse accadendo attorno specie se si considera che, di sottofondo, la musica non aveva mai visto il suo arresto e, nei suoi dintorni, c'era anche il vociare degli spettatori che continuò senza fermo. Dovette dichiar resa ed attender con pazienza.
    Attesa…
    Il tempo sembra distorcersi quando lo si occupa per aspettare un evento; è un po' come la notte prima di Natale, in cui ogni bambino smania al pensiero di aprire il proprio regalo. E più accresce il desiderio e più il tempo si fa lento, fino a quasi arrestarsi del tutto. Era questo che il ragazzo provavo in quel momento. Per lei quelle azioni furon solo degli attimi, ma per lui gli sembrò che avesse l'eternità davanti.
    Finché in quell'oscurità creata dalle sue palpebre chiuse, qualcosa si mosse. Era una sensazione, una flebile percezione; quasi come se un sesto senso si stesso sviluppando, sentiva che lei gli si stava avvicinando. Sorrise d'istinto difronte a quella reazione. E fu allora che finalmente ne poté riascoltare la voce; in quella caotica quieta che lo circondava, le parole di lei eran l'unica cosa su cui si concentrava; avrebbe potuto sentirla anche se sopra di loro fosse calata una tempesta.
    Continuando a sorriderle e mantenendo il silenzio, Yoshito non aveva parole da condividere in quel momento, né pensieri o preoccupazioni a distrargli la mente; era completamente preso da lei e non avrebbe mai osato né interromperle il discorso né perderne le parole. Uh...? Ma qualcosa comunque gli disturbò il pensiero. Sentì quel tocco delicato affaccendarsi col suo abito; non riuscì a comprendere cosa fosse, ma gli parve che qualcosa gli fosse stato appeso allo yukata all'altezza del petto, dalla fanciulla dalle iridi ambrate.
    Mirai...
    Disse con un tono basso ed imbarazzato e col volto confuso ed arrossato da quell'imprevisto incalzare degli eventi; fu quasi tentato di sbirciare con le palpebre socchiuse se non fosse stato intimato dalla fanciulla a desistere dal farlo. Il sorriso era distorto in una smorfia di disagio, col viso ormai paonazzo a seguito di quell'inaspettato tocco gentile che percepiva sul suo petto. Devo resistere… Devo resistere… Si diceva nella mente come se stesse ripetendo un mantra. Gli ci volle molta forza di volontà per rimanere fermo in posizione. Non scherzava quando parlava di punizione!
    Ma riuscì a rinsavire quando udì i discorso della fanciulla. Mirai...? Esclamò d'istinto e perplesso. Qualcosa in quelle sue ultime parole lo aveva disturbato, come se in esse vi fosse celato di più di quel che si potesse udire, come se suonassero... Come se suonassero come un addio...

    Probabilmente eran solo sue congetture, o forse no? Ma decise che avrebbe mantenuto la promessa ed attese silente.
    Il suono... Era di nuovo sparito. Tutto s'era rifatto muto attorno a lui ma questo volta riuscì a resistergli.
    Uno.
    Come da istruzioni, nella sua mente iniziò a contare un numero alla volta.
    Due.
    La testa un po' girava, ma non barcollò.
    Tre.
    Ma fu quando arrivò a questo numero che la conta fu interrotta. In questo momento era sordo, vero, ma il suo tatto ancor funzionava e non poté non ignorare la sensazione di calore che percepì sul suo corpo; il tocco di lei che le si poggió contro, l'arrampicata verso l'alto ed il suo respiro sulla pelle, ed infine... Il bacio sulla guancia.
    Q-quattro...
    Imbambolato e privo di parole, cercò di ignorar l'evento riprendendo la conta; ma gli era impossibile continuare.
    Quattro...
    Bloccato nella conta così nella mente, una cosa era certa: più di un secondo fu così che lo spese. Paonazzo nel viso ed incredulo sia dentro che fuori, dovette farsi forza per poter continuare e sbollentare i suoi ardori.
    C-cinque...
    Riuscì a riprendere, malgrado fosse stordito e a disagio per l'assenza dei suoni.
    Sei.
    Ora toccò alla nausea, ma trattenne il vomito o altri malori.
    Sette
    Con la mente distratta da quel gesto inaspettato, fu ciò che gli serviva per poter sopportare meglio.
    Otto.
    Ma nonostante la sua tenacia il disagio aumentava, cosi strinse le mani a pugno per mostrar la sua determinazione.
    Nove.
    Ormai aveva quasi terminato ed era fiero di sé stesso di come s'era comportato. Ma doveva ringraziar la curiosità da lei scatenata se riuscì a sopravvivere a quell'apnea sonora.
    Dieci!
    Esclamò ad alta voce per annunciare la fine della conta.
    E quando come da lei predetto il taiko tornò a scandire i propri suoni, schiuse gli occhi con un gran sorriso stampato in viso; ma notò subiti che qualcosa, anzi, qualcuno lì mancava. Mirai, dove sei? Esclamò calmo mentre la cercava con lo sguardo, ma vide solo sconosciuti a circondarlo. Mirai? Ancor sorrideva pensando forse che gli stesse facendo uno scherzo, o almeno questo pensò finché non lesse ciò che c'era sul biglietto. Cos'è codesto oggetto appeso al mio petto? Afferrò la spilla a forma fissata allo yukata. La separò dal biglietto e l'ammirò per un istante, per poi riporla sul fondo di una sua tasca. È un tanzaku! Esclamò nei suoi pensieri, mentre con cura spiegava il biglietto.
    “Vorrei trovare qualcuno con cui condividere questa festa”
    Recitava la parte frontale, mentre sul retro un contatto telefonico era stato appuntato, assieme ad un un messaggio che diceva:
    (Non chiamarmi, Ho difficoltà a sentire)
    In quel momento il suo sorriso scomparve, per far posto ad un'espressione che comunicava sconcerto. Era confuso e non capiva, alzò gli occhi e la cercò un'ultima volta con lo sguardo; ma tornando a metter fuoco la vista su quel biglietto, tornò ad inarcar le labbra anche se con retrogusto malinconico. Ho capito. Sussurrò a sé stesso, come se avesse compreso il messaggio dietro quel biglietto.
    Mi sarebbe piaciuto poterti salutare.
    Ripiegò gentilmente quel pezzo di carta, per poi ricongiungerlo con la spilla nel fondo della sua tasca. Avrebbe potuto inseguirla, cercarla come un forsennato, ma rinunciò all'idea e rispettò la scelta di lei.
    Ma ovunque tu sia, spero tu possa ricevere quest'ultimo mio saluto.
    E lì, sul posto, Yoshito si sporse in avanti portando il braccio destro verso il petto ed il sinistro steso e lontano da esso, eseguendo un perfetto inchino cavalleresco come gli capitò una volta di vedere in un film d'oltre oceano.
    Alla prossima volta, Oh mia principessa.

    Poco più tardi, dietro le quinte del palcoscenico, Yoshito si cambiava di vestito. Già di ritorno? Gli disse l'amico, lo stesso che in precedenza gli aveva coperto la fuga. Già. Gli rispose lui, povero sia nel linguaggio che nelle parole. Tutto qui? Non mi dici niente!? No. Gli rispose il giovane tutto sorridente. Cavolo amico, non lasciarmi sulle spine! Controbatté l'altro. Scommetto che ti ha dato buca, vero!? Ma non ricevette risposta, se non un sorriso, dal biondo che intanto si stava continuando. Sei una peste lo sai? Non mi puoi lasciare così in sospeso. Sai che vivo si gossip, dammi qualcosa! Qualsiasi cosa!
    E sorridendogli di rimbalzo, Yoshito sospirò con fare rassegnato. Chiuse poi gli occhi ed assunse un'espressione e una posa saccente e con tono schietto ed impertinente rispose verso l'altro. Non verrà proferita informazione dal rostro di costui. Aah~, eccolo che ricomincia L'altro sembra abituato a quel suo modo di parlare e dallo sguardo non pareva andar pazzo per quel suo tratto. Ma una cosa posso dirla... Ma una cosa l'amico del samurai non l'aveva prevista: Yoshito riprese la parola e la sorpresa dell'altro gliela si poteva leggere in volto. Se è davvero il destino che ci ha fatto incontrare, sarà nostro destino doverci rincontrare. E sento dentro che la rincontrerò presto. Gli si allargò il sorriso mentre la mano nella tasca stringeva il fermaglio a firma di rosa.
    Difronte al palco intanto la folla calcava; erano le battute finali della serata, le ultimi esibizioni prima dei fuochi d'artificio. E mentre il grande Taiko e la Biwa ancora troneggiavano incontrastati, nello sfondo gli altri strumenti condividevano la scena; e lì, in fondo nello stesso angolo e col suo personale Taiko, decisamente più piccolo di quello al centro del palco, un sorridente ragazzo si preparava per le esibizioni finali. Guardava verso il pubblico, cercando qualcuno che sapeva non avrebbe mai trovato.
    Mirai, spero che tu sia lì in mezzo e che mi stia guardando. Non mi hai dato occasione di dirtelo personalmente, ma questa giornata con tè è stata la più bella di sempre. Ringrazio gli dei per averti incontrata e ringrazio te per essermi rimasta accanto. Spero tanto che ci rincontreremo presto.
    E dopodiché iniziò a suonare. Suonò con una foga e con un ardore tale, che pareva quasi che il suo Taiko si dovesse incendiare. Ci mise anima, ci mise passione, affinché si sentisse alto il suono della sua voce, affinché potesse udire la forza della sua musica ovunque ella fosse e che sapesse che il suo cavaliere sarebbe stato sempre lì, in attesa che la sua principessa facesse ritorno.

    Era tardi a casa Amaterasu e padre e figlio rincasavano stanchi ed assonnati. Avevano parlato? Chissà. Intanto Yoshito si trascinò fino alla sua camera dove si lasciò cadere sul letto; era un semplice futon, ma dopo quella giornata gli parve l'oggetto più morbido e comodo del creato.
    Sono distrutto.
    Si girò e si rigirò. Era stanco ma non riusciva a prender sonno, qualcosa lo assillava nei suoi pensieri. Fu così, quasi d'istinto, che decise di afferrare quell'affare tecnologico a cui ancora non s'era abituato, ritrovandosi nel buio con suo telefono ed un biglietto in mano. Tarda era la notte e la festa era ormai finita, non seppe perché lo fece ma decise di farlo comunque. Aprì la rubrica e selezionò quel numero. Premette i tasti a schermo confermò con un Invio.
    Mandò quel messaggio anche s'eran passate le due, non gli importava dell'orario anche perché nel caso lo avrebbe letto al mattino; era il gesto quel che gli importava. Voleva forzarsi a contattarla, doveva farlo. Non sarebbe riuscito a dormire quella notte altrimenti, per questo ignorò l'orario. Ormai il dado era tratto, non si tornava più indietro.
    Cosa scrisse nel messaggio? Poche semplici parole, ma ecco a voi il testo:
    Potevi anche salutare! ;)
    « This is not the end of our story »
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    Credo mi sia venuto un po' di diabete, per il resto tutto regolare.
    Avete fatto 22 post quindi prendete il bonus :neko:

    Yoshito: 50+25exp
    Mirai: 50+25exp

    Passo e chiudo~
     
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