Sunset at the Border

Role | Akahito&Mirai (Slot Extra per Mirai)

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    AKAHITO MORI
    Tanto per cambiare, quella giornata per Akahito era partita male.
    Il nostro Vigilantes, subspecie babbuino, quella mattina aveva passato un terribile e faticosissimo turno di lavoro che era andato a protrarsi fino al pomeriggio, costringendolo a permanere nel Mercato di Tsukiji per un tempo superiore rispetto a quello oltre cui sarebbe dovuto tornarsene a casa.
    Non che gli dispiacesse poi così tanto, starsene ad occuparsi dei prodotti e della gestione della pescheria gli faceva piacere; meno piacere gli faceva avere a che fare con la demenza di alcuni dipendenti, ed in effetti era stato quello il motivo della sua persistenza sul luogo.

    Una volta portati a termine tutti i propri compiti, comunque, Akahito avrebbe mandato tutti a fare in culo e se ne sarebbe tornato a casa, se non che a quel punto fosse molto nervoso. Un nervosismo che difficilmente sarebbe stato compensato dallo stare sul divano, e che soltanto ciò che gli faceva più piacere avrebbe potuto placare: il Mare.
    Premunendosi di una delle canne da pesca che aveva a casa, Akahito avrebbe velocemente preso tutto l’occorrente per pescare e, nella fretta, si convinse di aver infilato nello zaino anche un panino. Già, peccato però che questo non finì mai nella sacca, per cui il Vigilantes avrebbe ricevuto di certo una brutta sorpresa.
    Inutili furono i tentativi di Sumiko, la sua governante, di comunicargli la dimenticanza, da momento che per fare velocemente Akahito dimenticò anche il telefono cellulare sul proprio letto: insomma, un disastro.

    Raggiunta la spiaggia, il nostro giovane Vigilantes dagli occhi smeraldini si sarebbe direzionato in una zona in cui la pesca era consentita e, sistemando tutta l’attrezzatura per bene e lanciando l’amo in acqua, il ragazzo si sarebbe seduto sulla sabbia e avrebbe scorso il mare azzurro. Nonostante fosse autunno, quella giornata era stata particolarmente calda e soleggiata; in ogni caso, per Akahito non sarebbe stato un problema neanche se avesse freddo, data la temperatura corporea più alta della media.
    Non era pomeriggio ma neanche sera: il tramonto stava quasi per giungere, c’era ancora quel Sole che donava una tinta debole e che si apprestava ad eclissarsi nella linea azzurra definita dal confine del mare, calando ogni minuto di più. Si trattava decisamente di un dei momenti più adatti per pescare, sebbene Akahito non si aspettasse di ricavare chissà cosa. Questo perché Tokyo era pur sempre una metropoli urbana e, per pescare pesci importanti, ci si sarebbe dovuti spostare molto più a largo. Benché Akahito, possedendo una gran bella barca da pesca, potesse farlo, per quel pomeriggio non ne aveva alcuna intenzione: tutto ciò che voleva fare era rilassarsi, per cui tirare fuori dall’acqua un pesce sarebbe stato qualcosa di assolutamente secondario. Starsene lì con l’attrezzatura da pesca era perlopiù un modo per rilassarsi, ecco.

    Con i neuroni (quei pochi) che finalmente stavano quasi per rilassarsi, Akahito avrebbe recuperato il proprio zaino e ci avrebbe infilato dentro una mano: purtroppo non durò molto a lungo il tempo che intercorse tra l’inizio della ricerca del panino e la realizzazione del fatto che questo non fosse lì.
    Il ragazzo spalancò le palpebre, divaricando leggermente le labbra, per poi passarsi la mano libera tra i capelli blu e neri.
    «NO! MERDA!»
    Esclamò. Per fortuna su quell’ampia spiaggia c’erano pochissime persone ed erano tutte fin troppo lontano da poterlo sentire. Akahito aveva scelto appositamente un luogo appartato, qualcosa di tranquillo che potesse contribuire a rilassarsi.
    Missione fallita, evidentemente.
    «CAZZO, NON CI POSSO CREDERE.»
    Sbraitò, alzandosi in piedi e afferrando il retro dello zaino, per poi rovesciarlo e far cadere tutto ciò che fosse contenuto al suo interno tra la sabbia: ad eccezione degli strumenti per la pesca, non c’era nient’altro.
    «Non ci posso credere, ho un accidenti di fame.»
    Ringhiò, fissandosi le dita delle mani tra i ciuffi della chioma, come se fosse disperato.
    Si girò attorno, benché il proprio sguardo vagasse a vuoto, mentre pensava se gli convenisse tornare a casa oppure rimanere lì ed arrangiarsi. Aveva persino dimenticato il portafoglio: insomma, ci mancava soltanto che Akahito prendesse il cervello e lo posasse sul comodino della sua stanza, prima di uscire. Per fortuna aveva ricordato di cambiarsi e di vestirsi, sebbene il proprio abbigliamento fosse definito da una semplice canotta di color bianco ed un pantaloncino blu; ovviamente al piede aveva delle semplici infradito.
    «Che giornata di merda!»
    Esclamò, tirando un possente calcio alla sabbia, cosicché questa si disperse nell'aria come a formare un ampio arco che il vento gli scagliò addosso, cosicché gli finirono anche i granelli negli occhi.
    «ARGH!»
    Urlò, strofinandosi forte le palpebre e agitandosi, roteando su se stesso e compiendo movimenti dismetrici e involontari.
    Insomma, tutto perfettamente in regola per Akahito Mori.
    Quella giornata poteva andare peggio di così?

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    CITAZIONE
    ¬Kinshara ecco qui!
    Naturalmente la role è ambientata prima dell'evento.
     
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    « Mi raccomando, se ha bisogno non esiti a chiamare. Ne? » salutò la signora anziana alla porta e dopo aver consegnato otto pacchetti di mochi dai gusti più vari e strani si avviò zampettando lontano dalla casa e il marciapiede.
    « Eeeee, con questa… ho finito le consegne! » tolse dalla tasca del cappottino una matita ed un foglio e depennò l’ultimo indirizzo dalla lista.
    Quella giornata era stata stranamente più calda del normale, nonostante fosse autunno, per questo aveva deciso di vestirsi con solo una maglietta a maniche lunghe e sopra un cappottino non troppo pesante con il cappuccio – per evitare di prendere freddo alla testa di sera- che sembrava inglobarla da quanto era particolarmente grande.
    Un errore di svista della taglia da parte di un’anziana vicina di casa che per il suo compleanno aveva deciso di farle quello per regalo: Mirai non ebbe mai il coraggio o il cuore di andarle a dirle qualcosa, quindi accettò il pensiero e prima che potesse darlo via, la ragazza ci si affezionò a quel capo d’abbigliamento.
    Tutto sommato, nonostante fosse grande per la sua minuta stazza, le piaceva navigarci dentro.
    « Vediamo se… non ho dimenticato niente…» ricontrollò per bene ogni passaggio e ogni consegna per essere sicura di non aver tralasciato qualcosa visto che quel giorno era stato molto lungo e le consegne erano così tante che non le avevano dato quasi neanche tempo per pranzare.
    Almeno non aveva patito così tanto freddo.
    Con un grosso sorriso, stanco ma soddisfatto, ripose tutto quanto nella grossa borsa a tracolla che si portava appresso « Libertà…finalmente…» sussurrò con una voce emozionata ed inspirò una boccata d’aria fredda della strada a pieni polmoni – e anche se non era il massimo della purezza era comunque piacevole.
    Aveva un progetto particolare per quel fine di giornata.

    Il mare. La spiaggia d’autunno era sempre stata fantastica e un dono dal cielo per chi ricerca pace e tranquillità almeno per un po’.
    Lontano dalla gente, lontano dal caos, lontano dalla macchine e dallo smog, lontano dallo stress.
    Le piaceva osservare le onde del mare infrangersi sulla sabbia, e osservare i gabbiani mendicare cibo con quegli occhioni strani e inquietanti.
    Amava quella tranquillità, l’odore del mare e la sensazione della sabbia sotto le mani e sotto i piedi.
    Con passo svelto si allontanava sempre di più dalla città e piano piano iniziò a scorgere dal punto in cui era le calde note di un tramonto che l’avrebbe condotta fino al luogo sperato.
    Aveva voglia di mettersi sulla spiaggia, in un luogo non troppo distante dalla strada ma neanche troppo vicino, un luogo isolato se era possibile dove si sarebbe apparecchiata la cena e se ne sarebbe stata lì a mangiare, riflettere, e godere del tramonto sul mare.
    «Non sto proprio nella pelle!!!» sghignazzò mentre afferrava il cellulare per mandare un messaggio a sua madre dicendole che aveva appena finito il giro e che sarebbe rincasata non troppo presto ma neanche troppo tardi.
    Sottolineando che questa volta non sarebbe andata nel bosco ma in riva al mare, con tanto di selfie per farle vedere che era davvero in città – prendendo con lo scatto uno scorcio di mare tra gli edifici - e un cuoricino subito dopo in allegato.
    Speriamo di non farla preoccupare… pensò. Ma come dare torto a quella povera donna?
    Era assolutamente logico per una madre preoccuparsi di una figlia che fino a sedici anni aveva dimostrato di essere una studentessa modella, placida e tranquilla, che voleva vivere una vita normale e lavorare fianco a fianco con lei e ritrovarsi da un giorno all’altro una persona che sembrava essere totalmente diversa.
    Ed in effetti era così: fu proprio su quella spiaggia dove stava portando i suoi passi stanchi che era iniziato tutto.
    Tutto da una semplice festa hawaiana per l’inizio della stagione estiva e il suo tentativo – fallito - di fermare una ladra di borse.
    Quanto tempo è passato… eppure… sembra quasi ieri… sospirò riponendo il cellulare nella tasca del cappottino per poi sistemarsi con le mani il cerchietto con i paraorecchie batuffolosi e bianchi che le stava dando fastidio.
    Ammetteva che si sentiva più protetta e meno a disagio con i suoi artefatti metallici ma purtroppo aveva avuto un incidente di percorso e uno sfortunatamente si era rotto e l’altro era rimasto ammaccato. Dovendo quindi aspettare troppo per riceverne due nuovi su misura, aveva optato per quelle cose pelose che servivano a riscaldare le orecchie e che su di lei avevano anche la doppia funzione di nascondere le sue cavità a sguardi indiscreti.
    Tutto sommato non si era vista così male allo specchio, le piacevano quasi.

    Mancava poco oramai alla spiaggia, e già assaporava l’odore di salmastro portato dalla brezza che spirava dal mare e nonostante le gambe le facessero male per le camminate che aveva fatto durante il giorno, in quel momento si muovevano così velocemente che non sentiva più nulla se non l’urgenza di mettersi finalmente a sedere sulla sabbia.
    Mirai quando si metteva in testa una cosa, soltanto tre soli istinti potevano distrarla dall’obiettivo: il primo aiutare chiunque avesse bisogno di lei, il secondo era fare del bene e il terzo era qualsiasi altra cosa che la incuriosiva.
    Ooooh…. i suoi pensieri così come i suoi passi si fermarono e vennero attratti, come una falena, dalle luci di una strana bancherella messa ad un angolo della strada che l’avrebbe portata fino al raggiungimento del mare.
    La cosa la incuriosiva perché c’erano cianfrusaglie di ogni tipo, natura, grandezza e fattura.
    Da piccoli gatti della fortuna, a enormi vasi di terracotta, a stramberie di altri mondi e cose più semplici come le bambole kokeshi in legno dipinte a mano.
    Mirai si avvicinò a passi lenti, tentando di frenare i suoi istinti e tirare oltre ma… quando lesse sul cartello sopra l’immenso tavolo che era una “pesca di beneficenza per una casa di riposo” ecco che Mirai non potè più frenare i suoi tre istinti primari. Fare del bene, aiutare qualcuno, curiosità.
    Sembrava essere una trappola fatta apposta per lei, e la ragazza dai capelli rossi c’era caduta in pieno.
    Si avvicinò osservando ogni cosa presente sul tavolo e non potè minimante sentire la signorina dietro il bancone che la esortava a quella ruota della fortuna.
    «Qu-Quante cose belle…» si portò le mani vicino al petto mentre i suoi occhioni ambrati osservavano, anzi sembravano quasi divorare qualsiasi cosa le capitasse a tiro.
    « Ne prendo uno. » sbottò alzando lo sguardo luccicoso alla signorina che con un gran sorriso si apprestò a fornirle un ciotolone da insalata dove Mirai potè inzuppare la mano per poi scegliere uno dei tanti piccoli fogliolini, avvoltolati come pergamene chiuse da un piccolo nastro rosso.
    Lasciò poi il quantitativo in denaro per quella pescata e si apprestò a leggere il numero 47 stampato rosso sul foglio.
    « 4 7. Quattro… sette… quattro… » cercò assieme alla signorina il premio corrispondente al numero estratto ma non sembrava essere esposto.
    Mirai si domandò se non avesse avuto la sfortuna di prendere proprio quello che era stato magari già preso in una pescata precedente finchè non vide la signorina armeggiare sotto dei grossi pupazzoni e tirare fuori quello che era una cosa assai strana per lei.
    Uno stereo.
    «Eh… » osservò quella strana creatura metallica come se potesse rivoltarsi contro di lei e mangiarla con quella boccuccia che la signorina aveva appena aperto per farle vedere che era funzionante.
    «Ch-che cos’è? » domandò titubante ricevendo in cambio un risolino e una spiegazione approssimativa di cosa fosse quello strano antico oggetto chiamato stereo. La volontaria fu così carina e brava che le spiegò passo dopo passo come funzionava.
    Mirai rimase letteralmente affascinata dalla cosa, non sapendo che quello che sarebbe uscito dalle casse lei non l’avrebbe potuto sentire, ma non le importava.
    Le piaceva quella cosa così strana e curiosa, e con un grande sorriso acchiappò lo stereo per la pratica maniglia e la cassetta colorata in omaggio su cui sopra c’era scritto: “QTCompMix1” che solo a pronunciarlo Mirai quasi si dette un morso alla lingua.
    QT /cutie/ Compilation Mix 1.
    Un nome un programma.
    Salutò la signorina con un caloroso movimento della mano e un leggero inchino di ringraziamento e felice del suo nuovo acquisto e di aver fatto anche del bene nel mentre, continuò su suoi passi verso la spiaggia.

    «Aaaaah … che bello… » osservò la distesa immensa dell’acqua di fronte a lei, sentì il salmastro farsi strada tra i suoi polmoni e ripulirli. Non era freddo, non era caldo, la temperatura esterna era perfetta per godersi quel fine serata.
    Il sole non era del tutto tramontato e faceva brillare la sabbia di una luce dorata e calda.
    Adesso che era arrivata sentiva le gambe chiedere pietà per un attimo di tregua e decise di spostarsi in un luogo un pochino più lontano dal punto del suo arrivo per cercare di spostarsi quanto più dalla strada e ricercare un luogo tranquillo in cui riposarsi, rilassarsi, e mangiare.
    Ogni passo affondava nella sabbia, mentre il suo sguardo era fisso verso un gabbiano che si lasciava trasportare dalla corrente ascensionale non molto lontano dal bagnasciuga, probabilmente era lì per un buon motivo.
    Osservando dritto davanti a lei, notò un pescatore un poco più lontano da lei e comprese quanto la bestiola si fosse fatta furba se non tentava di volare troppo lontano da colui che poteva catturare pesci al posto suo da rubare a costo di zero fatica.
    « Ma tu guarda… » sghignazzò pensando che sarebbe stata divertente la scena: sapeva che i gabbiano erano furbi ed era proprio curiosa di vedere cosa avrebbe fatto la creatura piumata per accaparrarsi un bella cena.
    Si fermò per non disturbare il pennuto e neanche entrare nella zona dedicata alla pesca – visto che prendere un pesce non era nelle sue intenzioni - e si mise finalmente a sedere abbandonandosi a gambe distese sulla spiaggia, appoggiando il grosso stereo, la cassetta e la borsa accanto a lei.
    Si stiracchiò la schiena e le gambe e si mise ad osservare l’orizzonte e i suoi occhi per un momento si persero nell’immensità, in quella linea dove sembrava finire il mondo respirando a pieni polmoni.
    Finalmente… un po’ di tranquillità…. non si accorse minimamente che il ragazzo sembrò diventare completamente matto per chissà quale motivo facendo fuggire con un colpo d’ali l’approfittatore piumato.
    Mirai si sfilò il cappottino e lo lasciò cadere sulla spiaggia lasciandola con la sola maglietta bianca a maniche lunghe e la gonna color cipria a tenerle caldo: stava bene così, il sole comunque sebbene stesse tramontando ogni secondo di più, continuava a scaldarla con i suoi deboli raggi.
    Voltò giusto lo sguardo un attimo, per pararsi da una folata di brezza più forte del normale e notò come il pescatore stesse facendo giri su se stesso e muovendosi in modo alquanto strano.
    Che strano tipo … pensò la ragazzina unicorno che aveva appena vinto uno stereo con una cassetta che non avrebbe mai sentito Una danza felice perché ha preso qualcosa? sghignazzò, trovandolo buffo.
    A proposito di stereo e di cassetta.
    Fu in quel momento, quando pensò alla “danza” che le venne un po’ la curiosità di sapere come potesse funzionare una cosa simile e se … potesse sentire le canzoni della cassetta attraverso le vibrazioni sulle casse.
    E quelle casse erano stupidamente grandi rispetto ad uno stereo che in proporzione era anche piccolo.
    Una cosa che a casa, un po’ le riusciva, o almeno non poteva “sentire” proprio tutto ma il ritmo di sicuro sì e poi voleva vederne il funzionamento.
    Un po’ come quei giochi per i bambini fatti di luci e pulsanti che invogliano il pargolo a premerli tutti.
    Aprì la bocca dello stereo e infilò la cassetta, prima dal lato sbagliato e poi da quello giusto e richiuse lo sportellino.
    «Allora… dovrei pigiare… questo!» disse premendo un bottone che si infossò dentro il suo abitacolo per poi appoggiare una mano sulla cassa sentendo solo un ronzio provocato dalla cassetta datata che rullava dentro la bocca dello stereo.
    «MMmhnn… forse è meglio aumentare il volume. » si accorse in effetti che la manopola del volume era sullo zero, e decise di portarlo a 50, giusto per iniziare.
    L’atmosfera bucolica e la quiete della spiaggia vennero spezzate da una musica gracchiante, cigolante e da una voce computerizzata che cantava sulle note di una “canzone” strana e alquanto agghiacciante - -
    «… mmmhnn….» teneva la mano sulla cassa ma sentiva soltanto un lungo e tremulo fremito partire da queste, non sortiva l’effetto sperato: pensò che fosse difettosa non sentendo minimamente la canzone.
    «… forse non è partita… » pensò mentre la voce allo stereo continuava quell’angosciante canzone, il cui testo in realtà sembrava quasi essere stato scritto – per alcuni versi – proprio per lei.
    Alzò le spallucce e provò a premere un altro pulsante e allo schiocco di questo nel suo abitacolo fece fermare la cassetta per un secondo e la fece ripartire.
    «Ooooh… eccola… » disse mentre sentiva qualcosa provenire dalla cassa, una vibrazione ritmica. Ora, per Mirai Ishigami il volume era la quantità di vibrazioni che poteva sentire attraverso il tatto e non aveva quindi la benchè minima idea che alzando il volume a 100, la vecchia carretta avrebbe vomitato a tutto fuoco una canzoncina che sembrava essere stata prodotta dall’inferno stesso
    - ♫ -
    Una vocina pucciosa, una canzoncina ritmica che appena entra in testa non ne esce più. Una canzoncina per bambini? Forse… o forse un valido strumento per piegare le menti anche dei più forti fino a portarli alla follia?
    Mirai iniziò ad avvertire il ritmo della canzone e ne venne trasportata, lasciandola a tutto fuoco… e per poco anche i granelli di sabbia vicino allo stereo non si sollevavano da quanto l’onda d’urto sonora era così potente.
    Iniziò ad ondeggiare come una foglia al vento e muovere i piedini a destra e sinistra seguendo quella canzoncina mentre con lo sguardo osservava il tramonto con un sorriso immenso, mentre con una mano si teneva il paraorecchie per evitare che cadesse in quei movimenti / tipo un Dj con cuffie super pro/.
    Addio quiete, addio tranquillità.
    Benvenuto Stereo Maledetto.
    kkj
    MIRAI ISHIGAMI
    VIGILANTES » LIVELLO #2
    | FORZA: 11
    | QUIRK: 37
    | AGILITÀ: 27



    Edited by ¬Kinshara - 13/12/2020, 01:16
     
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    AKAHITO MORI
    Akahito non si accorse del gabbiano che aveva notato la Vigilantes dai capelli rossi; gabbiano che, fortunatamente - se di fortuna vogliamo parlare - si allontanò rapidamente dalla zona nell’esatto momento in cui il ragazzo iniziò a sbandierare le proprie braccia a destra e manca, mentre i fini granuli di sabbia non facevano altro che infierire nei propri occhi tanto quanto sulla propria stabilità mentale, quel pomeriggio.
    Ci mancava soltanto che un uccellaccio si accaparrasse il proprio bottino - sempre se fosse riuscito a tirarlo fuori dall’acqua - per cui in fin dei conti l’azione irritante della sabbia non fu poi così inappropriata. Giusto un poco, sì.

    In ogni caso, se da un lato Akahito non si accorse del gabbiano, dall’altro lato fu in grado di scorgere una figura femminile non troppo lontano da dove si trovava. La scrutò con gli occhi tremendamente arrossati, notando con immenso dispiacere che questa fosse accompagnata da quello che sembrava essere in tutto e per tutto uno stereo.
    L’idea che la propria quiete potesse essere improvvisamente violata gli fece partire il sangue al cervello, e gli ci volle molta pazienza e concentrazione per non partire alla carica e di dire alla sconosciuta di andare via.
    Con calma, Akahito, Mirai non aveva ancora fatto nulla, dopotutto.
    Sì, per poco.
    Nel momento in cui il Vigilantes si voltò per tornare alla canna da pesca, infatti, un rumore improvviso lo fece saltare sul posto. Sì, perché quel frastuono infernale non poteva assolutamente essere definito una canzone. No, doveva trattarsi di una melodia demoniaca trasportata dagli Inferi sulla Terra da chissà quale peccatore.
    Non c’erano altre spiegazioni.
    E, come se non bastasse, quello stridio si fece sempre più intenso e terrificante, arrivando per sollevare i granuli di sabbia sparsi nell’ambiente circostante.
    E poi un’altra canzone, quasi peggio della prima.
    No, la prima non la batteva niente e nessuno.

    Come se qualcuno l’avesse improvvisamente preso a calci nel fondoschiena per alzarsi dal letto, Akahito strinse forte i pugni e si diresse a passo pesante verso la sconosciuta, che nel frattempo aveva preso ad ondeggiare a destra e manca: doveva per forza essere una pazza. Non c’era altre spiegazione, quella tizia doveva soffrire di disturbi mentali seri e Akahito era pronto per ridurre la propria stupidissima idea in brandelli.
    Ad ogni passo del ragazzo si sollevava un gran cumulo di sabbia e, se Mirai l’avesse visto avvicinarsi, avrebbe potuto captare sue intenzioni. Già, la propria espressione aveva preso ad essere delineata da una marcata contrattura muscolare ed i propri denti erano digrignati, quasi si spezzavano; i propri pugni continuavano a starsene ben stretti.
    Quando arrivò a circa due metri da Mirai, Akahito avrebbe potuto notare meglio la ragazza, che indossava una maglia bianca ed una gonna. Ma che accidenti ci faceva li?
    «OOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!»
    Urlò, tentando invano di sovrastare il volume dello stereo, mentre i vasi sanguigni a livello del collo e delle tempie iniziarono a farsi incredibilmente evidenti.
    «CAZZZZZZZOOOOOOOOOOOO!!!»
    Imprecò, giusto per essere sicuro di attirare a sufficienza l’attenzione.
    «CHIUDI SUBITO QUELLA FOGNA PARLANTE CHE TI PORTI DIETRO, SEI FORSE IMPAZZITA?»
    Sbraitò, al limite della rabbia. Non c’era nessuna possibilità che Akahito Mori potesse mantenere la calma in una circostanza come quella.
    Già normalmente gli era molto difficile essere paziente, figuriamoci se dopo una giornata di lavoro faticosissima avrebbe permesso ad una sconosciuta di rovinargli la pausa.
    «SE NON LO SPEGNI SUBITO, GIURO CHE LO PRENDO A CALCI FINCHÉ NON SI ROMPE! MI HAI CAPITO?!?!»
    Domandò, urlando così forte che da lì a poco avrebbe perso la voce. Possibile che quella tizia non si rendesse conto del volume della cassa? Cosa aveva nelle orecchie, dei tappi?
    «PORTA SUBITO IL TUO CULO DA UN’ALTRA PARTE PERCHÉ ALTRIMENTI GIURO CHE TI DENUNCIO. CI SIAMO INTENSI!?!?! CAZZO!»
    Continuò, mentre da lì a poco avrebbe rischiato seriamente una sincope.
    Decise, a quel punto, di dare a Mirai un attimo di tregua e capire se questa fosse disposta ad allontanarsi dalla zona di sua spontanea volontà oppure se avesse bisogno di afferrare quell’aggeggio schifoso e gettarlo in mare (sì, il Vigilante era capace di farlo sul serio).
    Nel frattempo, comunque, Akahito ne approfittò per gettare un occhio al suo amo: l’ultima cosa che desiderava era che quella sconosciuta gli lasciasse sfuggire una possibile cena, dal momento che era rimasto a secco.
    Ah, a proposito, giusto per rispondere alla domanda con cui ci eravamo lasciati all’ultimo post: sì, decisamente quella giornata poteva andare peggio.

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    Il suo approccio con la musica era molto particolare.
    Non potendo sentire e non potendo comprendere cosa fosse una canzone o una sonata o un pezzo di musica di ogni qualsivoglia genere, la sua conoscenza in questo campo andava soltanto attraverso il ritmo.
    Tamburi e batterie e tutto ciò che emetteva vibrazioni forti da poterle percepire attraverso una parte del proprio corpo che non fossero le orecchie.
    E quindi qualsiasi cosa potesse risalire e andare a toccare le corde del suo cuore e sovrastare i suoi battiti per lei era considerata musica.
    Fu suo padre il primo a cercare di farle “sentire” un brano, iniziando con musica classica che finì per essere un fallimento totale considerato che per la ragazzina fu pari ad un soffio di vento tra i capelli.
    Dalla musica soft e bucolica passò ad un gradino molto sopra andando a sondare la musica rock per poi raggiungere il metal e optare anche per qualcosa di tradizionale a base di taiko.
    Mirai si scoprì amante di tutto, di qualsiasi cosa potesse percepire a livello di vibrazioni per il semplice fatto che potevano essere i soli brani che poteva veramente ascoltare.
    Ed era per questo motivo che le piaceva quella stramba canzoncina demoniaca che veniva fuori dalle casse dello Stereo Maledetto e che rimbombava senza pietà nelle sue ossa e che pareva aver disturbato la quiete di quel tardo pomeriggio di autunno.
    Con una mano che si sorreggeva i paraorecchie batuffolosi e si dondolava avanti e indietro, Mirai non si accorse dello sconosciuto pescatore che la stava raggiungendo a grandi falcate – senza dubbio attratto dalla celestiale melodia che avrebbe tenuto alla larga non solo i gabbiani ma anche tutte le creature nel raggio di qualche kilometro.
    Tutte, eccetto lui.
    Mirai non si era minimamente posta il problema di dare fastidio a qualcuno, per lei quel momento era solo e puro relax da una giornata stancante e non aveva altri pensieri per la testa se non restare nella sua oasi di pace in riva al mare con la brezza salmastra che le scompigliava un poco i capelli e quella musica infernale che dal suo punto di vista erano soltanto battiti diversi dal suo cuore nella sua mano.
    « Hehe… » sorrise mentre si godeva quell’attimo che tanto aveva agognato per tutta la giornata. Un attimo per sé stessa.
    Niente genitori appresso che dopo l’ultima marachella avevano sempre più il fiato addosso, niente vecchiette che dopo aver preso le consegne le raccontavano della propria vita da quando il mondo era solo una grossa e unica massa terrosa, niente pensieri sul futuro, niente di niente.
    Era immersa nella sua tranquillità quando percepì dei granelli di sabbia sfiorarle il volto e la distrassero dal seguire il ritmo della canzone.
    « Mh? » si voltò nella direzione dei granelli e scorse la figura di quel pescatore che aveva visto poco prima, lo stesso che danzava propiziandosi una pesca da favola.
    Lo vide muovere l’ultimo passo per portarsi verso di lei e Mirai rimase per un attimo a bocca aperta lasciando cadere la mano dalla cassa dello stereo e la portò vicino alle labbra cercando di non mostrare la sua espressione di sorpresa.
    Era alto, molto alto, forse perché lei era sedere sulla sabbia ma le sembrava quasi un gigante.
    Un gigante muscoloso, un corpo statuario contratto in ogni muscolo che la ragazza osservò con immenso stupore: soltanto Yoshito poteva forse eguagliarlo in così tanta benedizione.
    Eppure lui, a differenza del suo biondo amico, sembrava più… minaccioso?
    Sembrava così tanto in tensione che quasi poteva vedere le vene percorrergli i muscoli delle braccia e dei pugni stretti come se volesse sbriciolare qualcosa o qualcuno, così in tensione che i suoi denti digrignati parevano stessero per rompersi da un momento all’altro.
    Mirai non capiva perché fosse così quel ragazzo dalla strana capigliatura nera e bluastra e rimase in silenzio a fissarlo nei suoi enormi occhi smeraldini per poi voltarsi alle spalle come se volesse essere sicura che fosse lei il motivo di tanta tensione.
    Notando che alle sue spalle c’erano solo sabbia e sassi, tornò a guardare dal basso verso l’alto il ragazzo.
    Brrrr ma non gli farà freddo? un brivido corse lungo la sua spina dorsale e più che domandarsi se fosse lei il vero motivo del suo comportamento e che cosa avesse fatto di male per farlo arrabbiare così tanto, Mirai nella sua ingenua natura prestò più attenzione al fatto che il pescatore era vestito con una semplice canottiera bianca, pantaloncini e infradito. E questo l’aveva fatta rabbrividire.
    Il primo urlo del ragazzo non venne assolutamente percepito, perché nel frattempo si era voltata, il secondo non fu avvertito dato che si era messa a pensare a come poteva sopravvivere vestito così – e pensava che si sarebbe beccato un malanno, e gliel’avrebbe detto se non fosse che vide la sue labbra aprirsi così tanto e con così tanta foga e violenza che non capì un’acca di quello che le disse poi avendo finalmente avuto la sua completa attenzione.
    Che sta facendo?.... si domandò, mentre la sua testolina si reclinò da un lato mettendosi il dito indice di una mano sul mento come per comprendere la natura di simile atteggiamento.
    Nessuno sa che a casa Ishigami quando Mirai riesce a far arrabbiare i suoi genitori, questi evitano di urlarle in faccia non solo perchè sarebbe inutile data la sua sordità, ma soprattutto perché Mirai non può leggere le loro labbra e capire il perchè della loro alterazione.
    Quindi optano per qualcosa di meglio: "urlare" con il linguaggio dei segni ed espressioni del volto sottolineando la gravità della situazione.
    Peccato che il ragazzo non potesse sapere nulla di tutto questo, peccato che non potesse capire che dal punto di vista della ragazzina dallo strano corno le sue parole non sembravano altro che masticature a bocca aperta.
    Che bocca larga… secondo me… riesce a mangiarsi un trancio di tonno in un sol boccone… pensò mentre lo osservava incuriosita non avendo mai visto nessuno con una simile apertura, il tutto mentre la musica continuava ad andare senza sosta.
    Lo vedeva che era alterato, lo poteva comprendere dall'espressione corrucciata sul suo volto, dalla tensione sulle sue ciglia e da quegli occhioni smeraldini che sembravano volessero divorarla ma non capendone il motivo erano altri i pensieri che la incuriosivano di più e che quindi occupavano tutta la sua attenzione.
    Eppure quella bocca larga, quella masticatura, le ricordava qualcosa, e prima che il ragazzo interrompesse il suo sproloquio, Mirai aveva già associato la sua figura ad una gif animata che le aveva mandato una collega di lavoro per farla ridere e che raffigurava un gatto la cui bocca si apriva e si chiudeva a dismisura.
    Lo trovava una cosa esilarante aver trovato un corrispettivo nella vita reale – anche se non era un gatto – che quasi aveva voglia di fargli un video e mandarlo in risposta a quella collega: poi si accorse di quanto potesse essere stupida ad aver pensato una cosa simile e cercò di smettere di pensarci.
    Ma oramai il pensiero si era insinuato nella sua mente e non riuscì a trattenersi.
    Dapprima fu come un singhiozzo, poi un sorriso si allargò sul suo volto e le sue guance si riempirono di aria mentre cercava di soffocare una risata a malapena.
    E fu in quel momento che il ragazzo smise di parlare e quando chiuse le sue fauci ci fu un momento che per Mirai era di solo silenzio anche se la musica continuava a fare da sfondo a quella scena.
    Lì, in quel momento la ragazza associò di nuovo le due immagini alla stessa persona e non riuscì a trattenersi. Si portò una mano alla bocca ed iniziò a ridere.
    Senza volere, senza malizia, rise soltanto perché era divertita dalla scena che andava a soprammettersi a quella che aveva in testa.
    Certo che ridere in faccia ad un pescatore arrabbiato non era proprio una scelta saggia, e Mirai di scelte di questo tipo non ne azzeccava neanche una.
    Nonostante questo, ebbe la decenza di tornare presto in sé e imbarazzatissima e dispiaciuta per la pessima figura, la ragazza si schiarì la voce, strofinandosi i capelli rossicci, e cercò di scusarsi.
    « Ehem… sc-scusa… non volevo. Sei davvero buffo … » in effetti per lei lo era, e parecchio, nonostante avesse un aspetto più minaccioso che altro che avrebbe intimidito chiunque fosse stato al suo posto.
    Chiunque tranne lei che si era scusata tra l’altro per avergli riso in faccia, non per la musica.
    « Oh…è finita…» fu in quel momento che si accorse, senza volere, che il tremolio che avvertiva attraverso la sabbia era smesso di punto in bianco.
    Proviamone un’altra…!
    E come il dito divino si era mosso per concepire e creare il primo figlio diletto, il ditino sottile e delicato di Mirai si mosse per andare a pigiare un altro pulsante a caso sulla tastiera del fato per dare vita ad una degna compagna.
    Fu così che l’inferno aprì le sue porte un’altra volta, forse l’ultima, per dare vita ad una nuova creazione della playlist consigliata dai non udenti.
    La falange premette sul pulsante, un click, l’autodistruzione del genere umano e della vita sulla terra così conosciuta.
    L’apocalisse formato note ritmiche di una canzone che era fatta per essere ballata più che ascoltata, iniziò prepotente a rimbombare e riempire quella pace che si era per un secondo creata - ♫ -
    «Ohh… questa sì che è bella! Sc-Scusami… l’altra era finita… » disse rivolta al ragazzo mentre la mano tornò al solito posto là sulle casse e iniziò a percepire i battiti veloci di un ritmo veloce che gridava a gran voce: “ I wanna be your princess, I wanna be your princess, tell me my prince, what can I do for you? “
    Se Mirai avesse potuto davvero ascoltare quelle parole, si sarebbe probabilmente scavata una fossa sulla sabbia da sola e si sarebbe seppellita per l’imbarazzo.
    La cosa inquietante di tutto ciò è che la sedicenne nello stesso istante si voltò di nuovo verso il ragazzo e con sguardo innocente e un grande e tenero sorriso gli chiese balbettando un pochino presa dall'imbarazzo della situazione che si era totalmente dimenticata di gestire:
    « P-P-posso fare qualcosa per te? »
    Quello che Mirai non poteva capire era che inconsapevole delle minacce del ragazzo, era riuscita non solo a mettere una nuova canzone, ma questa si era rivelata essere di un volume di una spanna più alto a quella precedente.
    Probabilmente avrebbe attirato le ire degli dei, e non solo le loro...
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    MIRAI ISHIGAMI
    VIGILANTES » LIVELLO #2
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    AKAHITO MORI
    Se Mirai era stata fin da bambina ad amare la musica, dilettandosi in svariati generi, dall’altra parte il nostro Vigilantes-Babbuino aveva avuto da sempre ben poco a che fare con il mondo artistico. Che si trattasse di musica, teatro, disegno o quant’altro, ad Akahito non fregava nulla: gli unici interessi che aveva coltivato, nel corso degli anni, erano davvero pochi e tutti incentrati sulla vita marittima.
    Era più o meno dall’infanzia che il giovane desiderava aprire una pescheria propria, con dipendenti suoi e una gestione autonoma; aveva anche bramato una barca, ed in effetti l’aveva acquistata per aiutare l’attività a Tsukiji: il prossimo step sarebbe stato quello di acquistare uno yahct.
    Già, prima diceva di non voler sembrare ricco e poi si circondava di così tante fortune: d’altra parte Akahito Mori incarnava l’incoerenza in tutto e per tutto.

    Comunque, se Akahito incarnava l’incoerenza, Mirai in quel momento incarnava il fastidio, per il Vigilantes.
    Quest’ultimo restò a scrutarla con sguardo assente, quando lei gli disse che lo aveva trovato... buffo. Buffo? Ma come accidenti si era permessa? Akahito non permetteva a nessuno di definirlo in quel modo, neppure a Sumiko. Quelle parole erano inaccettabili e avrebbero di certo contribuito ad inasprire ancor di più l’animo del ragazzo.
    Restò, tuttavia, all’erta, attendendo qualche cenno di dispiacere abbandonare gli occhi dell’altra. Cenno che però non arrivò mai: anziché prendere quello strumento infernale e portarselo via da qualche parte, la ragazza dai capelli rossi e dal corno dorato si avvicinò nuovamente allo stereo.
    Akahito avrebbe voluto che si fosse avvicinata all’aggeggio per spegnerlo.
    Ma ciò non avvenne.
    No, perché Mirai fece partire un’altra canzone.
    Non era peggio delle altre due ma ci si avvicinava parecchio e il volume continuava a disturbare i propri timpani al ritmo stesso della musica.

    Nonostante l’avesse conosciuta per pochissimi secondi, Mirai aveva già superato qualsiasi limite della sua sopportazione e aveva appena messo piene nella cosiddetta ‘zona rossa’, se così vogliamo chiamarla. Rosso, esattamente la tinta che prese a colorare il proprio volto, su cui le vene si facevano sempre più tortuose ed evidenti.
    I denti si digrignavano con vigore tale che a breve sarebbero finiti spezzati, mentre i riflessi smeraldini dei propri occhi fiammeggiavano intensamente.
    Non c’era nessuna possibilità che Akahito potesse tornare indietro, aveva appena scavalcato il punto del non ritorno.
    Era stata una giornata frustante ed una totale sconosciuta non avrebbe mai e poi mai potuto permettersi di rovinargli il suo bramatissimo relax in spiaggia.

    Akahito riprese a camminare, ma stavolta in direzione dello stereo. I propri passi continuavano ad essere minacciosi e non lasciavano trasparire alcunché di buono.
    Dovette ricorrere ad una grande scorta di pazienza per non tirare istantaneamente un calcio alla cassa, per cui si limitò a cliccare il bottone di spegnimento, dopo averlo cercato per qualche istante.
    Se fosse effettivamente riuscito nell’intento, avrebbe sollevato lo stereo dalla sabbia con la mano destra, mentre con la sinistra avrebbe puntato l’indice contro la Vigilantes.
    «Sì, in effetti c’è una cosa che puoi fare per me. ANDARE A FANCULO.»
    Sbraitò alla fine, sebbene si mostrò falsamente gentile nella prima parte della frase.
    Non riusciva ad inquadrare Mirai, non capiva se fosse una rincoglionita o se volesse appositamente farlo arrabbiare.
    A prescindere da ciò, comunque, la sua reazione rispetto agli atteggiamenti adottati dalla sconosciuta non poteva essere che quella che sarebbe seguita da lì a poco.
    «Ti denuncerò.»
    Asserì, strizzando gli occhi in direzione della fanciulla.
    «... se non ti allontani immediatamente da qui con questa schifezza.»
    Continuò, più serio che mai, tenendo ben saldo lo stereo (si spera spento) in mano.
    «Hai capito ora quello che ho detto? TI DENUNCIO! Oppure vuoi fare ancora finta di non sentire? Questa musica del cazzo ti ha reso sorda?!»
    Domandò, totalmente indelicato, senza neanche sapere che l’ultima frase che aveva affermato rappresentava la realtà dei fatti (o in parte, insomma, di certo non era stata quella musica la causa della condizione di Mirai).
    «O forse ti stai semplicemente divertendo a prendermi per il culo. Beh, sappi che non ci penserò neanche due volte a lanciare questa cassa in acqua, se non te ne vai.»
    Disse, sollevando lo stereo a mezz’aria, come se si stesse preparando per lanciarlo, sebbene non fosse sicuro di poterlo far finire direttamente in mare da quella distanza.
    «Allora, che cosa hai deciso?»
    La minacciò, intransigente, guardandola dritto negli occhi. Qualsiasi idea potesse farsi su Mirai era totalmente annebbiata dall’ira: la Vigilantes altro non rappresentava che una disturbatrice, in quel momento.

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    Rimase a fissarlo con i suoi grandi occhioni ambrati, aspettando una risposta a quella domanda che gli aveva posto con gentilezza con un tono dalla canzone stessa pareva essere inglobato.
    Eppure il ragazzo sembrò capire le sue parole… eccome se le aveva comprese.
    Mirai non aveva la più pallida idea di cosa avesse innescato pigiando il bottone per cambiare canzone: una reazione che in confronto la fusione di un nocciolo in una centrale nucleare sarebbe stata una bazzecola.
    « Mh…? Ti… senti bene? » chiese mentre osservava il suo volto diventare tutt’uno con il rosso del tramonto, i suoi denti stringersi in una morsa come se volesse frantumare sassi a morsi e i suoi occhi - di un verde così meraviglioso che sembrava di riflettersi in pietre di pregiato valore – tingersi di rabbia, o di disgusto… insomma parecchio irritati come doveva essere il suo stato d’animo.
    Mirai a quello sguardo si irrigidì un poco e ritrasse le sue gambe che prima erano stese e rilassate come se da un momento all’altro dovesse correre. Istinto di autoconservazione? Molto probabile.
    « H-ho detto qualcosa che non va? » si domandò portandosi l’indice della mano destra al mento come per pensare se avesse fatto qualcosa di male per far diventare il pescatore così… arrabbiato.
    Non penso di aver detto o fatto nulla di male… quindi… no. Non riusciva a trovare un motivo valido per simile reazione Forse è perché non ho capito che cosa mi ha detto e allora si è arrabbiato? … che tipo strano. fu a quel punto che lo vide avanzare verso di sé.
    Mirai rimase immobile come un umano alle prese con un serpente velenoso che sa che se muove anche solo un muscolo rischia di beccarsi un morso avvelenato.
    Che… cosa… vuole? e qui i pensieri sui possibili esiti di quell’avvicinamento così minaccioso divennero così reali da poterli palpare.
    Che fosse un molestatore?
    Che avesse intenzione di farle del male e approfittarsi di lei visto che era sola e “indifesa”?
    Un ladro?
    Non avrebbe mai immaginato che un pescatore potesse arrivare a tanto… però vedendolo vestito a quel modo poteva darsi che avesse bisogno di svago e denaro?
    No. Calma. Piano. Non affrettare conclusioni- e non sparargli in faccia una bolla piuttosto… è il denaro che vuole? … pensò e mise le mani avanti pronta a dirgli che poteva prendersi tutto il denaro che voleva. Bastava che la lasciasse in pace e che non la costringesse ad usare il suo Quirk per autodifesa – come le aveva insegnato il suo Sensei – cosa che non voleva proprio fare visto che comunque non erano proprio soli soli soli in quella spiaggia.
    Prima però che potesse fare qualcosa o dirgli qualcosa, lo vide “cambiare” direzione, abbassarsi al livello dello stereo e cliccare un altro bottone di questo.
    Mirai lo guardò con aria perplessa, non capendo cosa stesse facendo e cosa volesse effettivamente, le sue mani tremolavano un pochino ma si calmarono nel momento esatto in cui il ragazzo sollevò lo stereo dalla sabbia puntando il dito verso di lei che per la prima volta riuscì a capire cosa stesse dicendo.
    C-COSAAA?? Ma… mi ha appena mandato a quel paese? E.. no aspetta… in che senso?? E per cosa? E cosa c’entra il mio stereo?! continuò a fissargli le labbra come se attendesse una spiegazione a quelle parole così tanto rabbiose e amare e soprattutto rudi nei suoi confronti.
    Prese tutte le idee stupide e maligne che si era fatta di lui, tranne quella che era un poveraccio, e le accantonò per poi cestinarle del tutto.
    Questo non è un maniaco… è semplicemente matto. Un povero pescatore matto… il salmastro deve avergli dato alla testa, o forse il troppo freddo che sta patendo?
    La riprova della sua follia arrivò con una minaccia che di velato non aveva proprio nulla, sorridendole e strizzando quei begli occhioni smeraldini nella sua direzione per poi dirle di andarsene con quello stereo che teneva ancora in mano e che sembrava quasi in procinto di volerlo gettare.
    Poverino… questo è davvero matto… mi fa quasi pena… dalla perplessità, al terrore di essere sotto il mirino di un maniaco, al provare quasi tenerezza per quella persona che dal suo punto di vista era totalmente fuori di testa.
    Mirai a quel punto si alzò. Non voleva certo andarsene, e non voleva neanche vedere il suo stereo / anche se non aveva pagato nulla per averlo / buttato chissà dove.
    Continuò a fissarlo e non perse il contatto con le sue labbra perché lo vedeva che era in procinto di buttarle addosso altro.
    Si scosse la sabbia di dosso, soprattutto dalla gonna e dalla giacchetta e rimase in silenzio ad ascoltarlo e forse avrebbe fatto meglio a non leggere le parole che seguirono dopo.
    Non tanto per il fatto del “denunciarla” che poi non aveva ancora capito cosa diavolo avesse fatto di male per meritarsi simile parole… ma soprattutto per quello che disse dopo.
    Le due domande che arrivarono al suo sguardo furono come due frecce che si conficcarono profondamente nel suo cuore facendola quasi sussultare sul posto.
    Nonostante le avessero fatto davvero male, nonostante fossero state parole rudi e fredde e volte solo a ferirla nel profondo Mirai non si lasciò corrompere dalla rabbia né dalla profonda amarezza.
    Sospirò e non disse nulla mentre le sue manine che in un secondo si erano chiuse a pugno come se fosse pronta a colpire, si rilassarono e lasciarono sfogare lo strano pescatore.
    Così le sue intenzione erano chiare e limpide come l’acqua salmastra: non capiva cosa stesse dicendo ma l’aveva appena minacciata dicendole che avrebbe buttato il suo stereo a mare se non se ne fosse andata.
    E questo è un pescatore… sì…certo…e io sono la regina d’Inghilterra. sbuffò mentre lo vide “caricare” lo stereo come se prendesse quasi la rincorsa per buttarlo a mare.
    Mirai gli concesse un minuto di silenzio per farlo sbollentire, e in quel momento cercò di trovare le parole migliori per farlo ragionare e farsi restituire indietro il maltolto.
    « Prima di tutto. Non so chi tu sia ma questo non è il modo di parlare ad una persona. Non ti hanno insegnato l’educazione i tuoi genitori? » fu la prima freccia che estrasse dalla sua faretra, ed era solo l’inizio. Il suo arco ne bramava ancora « E non ti pare di essere stato troppo rude per qualcosa che non ho fatto? Voglio dire… tu vuoi denunciarmi. E per cosa? Per aver acceso uno stereo in spiaggia? »
    Disse mettendo le braccia incrociate e lasciandosi forse trasportare un po’ troppo, sebbene cercasse di risultare più calma possibile.
    Calma che raggiunse con un gran bel grosso sospiro e che mantenne fino alla fine, sebbene in alcuni punti dei discorsi che seguirono si poteva percepire una qualche nota aspra nelle parole.
    « Un ladro di stereo, un molestatore di giovani ragazze e perfino uno che è disposto a buttare rifiuti nel mare e inquinare così l’ambiente … tutto questo solo per colpa di un futile oggetto? Dovrei essere io a denunciare te. Mpf! » gonfiò le guanciotte arrossate dalla foga di quella discussione e con uno scatto voltò la testa da un lato come se se la fosse presa pesantemente per quelle infondate accuse.
    «E poi … » tornò a guardarlo e si avvicinò un passetto alla volta con l’aria tremolante di chi non ha però paura di affrontare qualcuno di più grande di lei – e quel ragazzo tra l’aria minacciosa, i suoi muscoli, e la sua altezza era catalogato come “grande e grosso” - « Se volevi cambiare canzone perché quella ti dava fastidio. Non potevi chiedermelo gentilmente? » si fermò a forse un passo o due da lui in modo da non toccarlo con il suo corno mentre teneva alta la testolina per guardarlo fisso negli occhi.
    Lo stava forse sfidando? Forse.
    « Sei solo un pallone gonfiato. Un bullo che crede che tutto gli sia dovuto e che tutto debba girare secondo le sue regole e attorno a lui. Beh…non è così mi dispiace essere la prima ad aprirti gli occhi. Quindi… ricapitolando. Questa non è la tua spiaggia e quello non è il tuo stereo. Ci siamo fino a qui? » sottolineò quelle parole, una dietro l’altra, soppesandole in modo da non balbettare cercando di restare più calma e pacata rispetto al turbinio di emozioni che le attanagliavano lo stomaco.
    Impuntò i piedi nella sabbia e lo fissò con lo sguardo fermo di chi non avrebbe ceduto a minacce o ricatti.
    Non gli avrebbe dato spago, non gli avrebbe dato modo di attaccarla di nuovo se si fosse comportata ancora così gentilmente, perché niente poteva essere peggio di questo per un bullo.
    In un certo senso… quella notte al magazzino aveva avuto anche risvolti positivi.
    « Forse i tuoi modi rudi e quelle parole così insensibili possono essere risultate efficaci con altre persone. Ma con me non attaccano. » replicò nuovamente ridendo tra i baffi per poi sorridergli e rispondere finalmente alla domanda del pescatore.
    « Io non me ne vado, e rivoglio il mio stereo. » una vocina mielata che tentò di indorargli la pillola del fatto che non aveva alcuna intenzione di scendere a patto con un terrorista bullo.
    Finì incrociando le mani dietro la schiena e guardandolo dritto negli occhioni smeraldini.
    « Comunque scommetto che non avresti il coraggio di farlo. Un pescatore degno di questo nome non inquinerebbe mai il suo mare. Dico bene? » chiese non sapendo che effettivamente lo Stereo Maledetto aveva cessato di rigurgitare melodie infernali da oramai un bel po’ di tempo.
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    MIRAI ISHIGAMI
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    AKAHITO MORI
    Akahito ignorò bellamente le piagnucolanti domande da parte di Mirai, riguardo l’aver fatto qualcosa di sbagliato o meno. Era evidente che quella ragazza lo stesse prendendo per i fondelli perché chiunque sarebbe arrivato al motivo per cui il Vigilante si fosse così tanto innervosito, con quella bocca del Demonio accesa al massimo del volume.
    O forse a Mirai mancava semplicemente qualche rotella, quell’opzione era sempre dietro l’angolo pronta per essere accolta.
    In ogni caso, Akahito avrebbe tirato su lo stereo, quindi, e vomitato parole terribili e volgare nei confronti della ragazza dai capelli rossicci. Questa, se all’inizio parve enormemente sorpresa, come se non si fosse mai potuta aspettare una reazione simile da un passante, dopo diversi secondi trovò finalmente il momento giusto per aprir bocca.
    Per tutto il tempo che questa si prese per parlare, ovviamente, Akahito l’avrebbe fissata negli occhi senza distogliere lo sguardo per un solo istante, mentre da questi trasudava rabbia e profondo nervosismo.
    Nervosismo che finì per incrementarsi ed aumentare esponenzialmente quando Mirai nominò i suoi genitori. Una povera mentecatta senza cervello osava portarsi alla bocca una parola del genere, davanti a lui?
    Beh, d’altra parte Akahito aveva altrettanto mancato di tatto con Mirai chiedendole se fosse sorda, ma purtroppo né uno né l’altro avrebbero mai potuto essere a conoscenza delle debolezze altrui.
    «Non ce li ho i genitori.»
    Affermò, glaciale, strizzando gli occhi. L’obiettivo, ovviamente, sarebbe stato quello di far sentire l’altra terribilmente in colpa, sempre che questa fosse dotata di sensibilità.
    Se se ne fosse fregata, infatti, probabilmente Akahito si sarebbe imbestialito a tal punto da raggiungere il punto di non ritorno.
    «Ma so cos’è l’educazione.»
    Continuò, quasi ringhiando, come se fosse un chihuahua leone sul punto di saltare sulla preda da un momento all’altro.
    «E non comprende di certo mettersi in spiaggia a disturbare la quiete pubblica con uno stereo DEL CAZZO al massimo del volume. CRETINA!»
    Esclamò, sfogando con quell’ultima parola l’ira che stava covando da almeno un quarto d'ora nei confronti di Mirai.
    Non l’aveva ancora ben decifrata e, onestamente, non gli fregava assolutamente nulla farlo: tutto ciò che desiderava era non darle soddisfazione.
    «Per aver acceso uno stereo in spiaggia? Ma mi stai prendendo per il culo allora? MA NON SENTI CHE IL VOLUME È SPAVENTOSAMENTE ALTRO? PER NON PARLARE DI QUANTO SIANO BRUTTE QUESTE CANZONI.»
    Urlò, stavolta, non riuscendo più a controllarsi (non che fino a quel momento avesse dato grande prova di autocontrollo, ma comunque).
    «Stai disturbando la quiete pubblica, te ne rendi conto o no!?»
    Domandò, sebbene non si aspettasse propriamente una risposta, dato che per lui quella situazione non lasciava alcuna indecisione.
    «Ladro? Molestatore? Ma di che accidenti stai parlando? Ho capito, sei totalmente fuori di testa.»
    Sbuffò, tirando un profondo sospiro, rassegnandosi a quella consapevolezza. Non c’era altra spiegazione perché Akahito non aveva dato modo di far trasparire di sé l’immagine che stava dipingendo la ragazza... giusto?
    Da quel momento in poi, Mirai sembrò arrabbiarsi a tal punto che Akahito decise di chiudere la bocca per un attimo, giusto per permetterle di sfogarsi quanto le pareva. A lui non interessava, tanto, avrebbe sfruttato quel tempo per preparare una controffensiva (che grande maturità, eh?).
    Aguzzò lo sguardo smeraldino sempre di più, mentre sentiva la Vigilantes proferire quella scarica di insulti e di accuse nei propri confronti. Da come parlava, comunque, Mirai non sembrava tanto fuori di testa. Eppure, nonostante ciò, l'assurdità delle sue azioni non era comunque spiegabile: una pazza che però non sembrava una pazza. A quel punto non c'erano più molte ipotesi, Mirai doveva per forza essere una sorta di serial killer.
    «Mi sa che ti devi dare un attimo una regolata, adesso.»
    Esordì, una volta che Mirai avesse finalmente smesso di parlare. Akahito, intanto, avrebbe continuato a tenere lo stereo sospeso a mezz'aria, come per far permanere quello stato di 'minaccia'.
    «Guarda che l'ho capito che hai dei problemi mentali.»
    Continuò. Come al solito, Akahito la fissava in maniera seria, imperturbabile, totalmente priva di qualsiasi forma di divertimento o giocosità: per lui Mirai era davvero un caso clinico, non c'era nulla da scherzare.
    «Infatti adesso provo a fare uno sforzo e, per il tuo bene, chiamerò un TSO.»
    Avvertì. Per 'TSO' si intendeva 'trattamento sanitario obbligatorio' e veniva attuato per i casi di urgenza clinica psichiatrica. Era un termine comune, probabile che Mirai lo conoscesse.
    «Oppure magari posso chiamare qualcuno che conosci e che ti venga a recuperare, per poi portarti in una struttura adatta a maneggiare i tuoi disturbi. Da dove sei fuggita? Mi sai dare un numero?»
    Domandò, continuando a non utilizzare alcun tono scherzoso. Con la mano libera, quella che fino a quel momento aveva puntato verso Mirai, quindi, Akahito tentò di recuperare il telefono dalla tasca del suo pantaloncino, ma fu soltanto allora che ricordò di essersi dimenticato anche di quello.
    «Merda...»
    Sussurrò, fra sé e sé, passandosi una mano sulla faccia.
    «Non bastava aver dimenticato la cena, ora anche il cellulare.»
    Borbottò ancora, per poi riportare l'attenzione sulla fanciulla dai capelli rossi.
    «Ascoltami. Chiama qualcuno che venga a recuperarti, per favore. Una struttura, una clinica, qualsiasi cosa. Soltanto allora ti consegnerò di nuovo lo stereo. Ti va bene come accordo?»
    Domandò, quindi. Stranamente il suo tono di voce si era fatto molto più tranquillo, evidentemente Akahito doveva totalmente essersi rassegnato all'idea che Mirai soffrisse di qualche patologia e non voleva infierire nel disturbarla. Sì, in fondo anche lui aveva un cuore, peccato però che in quel modo il nostro Vigilantes era stato tutto fuorché gentile e carino, dato che stava ripetutamente insultando Mirai nelle maniere più svariate possibili. Chissà come avrebbe reagito quella strana sconosciuta, a quel punto.

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    C’era stato un momento in cui Mirai si era trattenuta da accusarlo di essere un poco di buono che se ne andava in giro a molestare povere fanciulle che si volevano godere soltanto un bel meritato riposo sulla spiaggia.
    Quel momento arrivò esattamente dopo che il ragazzo confessò che non aveva entrambi i genitori: una cosa che arrivò allo sguardo adirato di Mirai e precipitò fino al cuore come una lancia.
    Quelle parole, che furono forse le prime che comprese per intero, furono accompagnate soltanto dalle palpebre di lui che si chiusero con forza celando gli occhi smeraldini alla ragazza - era come se volesse ricacciare indietro emozioni che non gli servivano in quel momento.
    Oh…i-i-o non lo sapevo… Aaaah! Sono … stata così crudele? Ma… ma io… non lo sapevo… pensò mentre si sentì terribilmente in colpa.
    Non era abituata a dire cose simili, e non era abituata a trattare male la gente, ma quel tipo l’aveva infastidita a tal punto che l’aveva fatta arrabbiare.
    E ora si stava pentendo di quello che aveva detto anche se nella sua piccola testolina si dava ragione, ed era convinta di quello che aveva detto perché: uno aveva cominciato lui, due se anche sapesse cosa fosse l’educazione – come si era vantato poco dopo – a quest’ora non erano in quella situazione, tre lui le aveva rubato lo stereo.
    Tre buone ragioni per prendersela e non per dargliela vinta, eppure Mirai sapeva che in cuor suo quella battaglia l’avrebbe persa di lì a poco.
    Voleva solo dimostrare almeno un po’ di poter tenere testa a bulli più grandi di lei, anche se in realtà non ci sarebbe mai riuscita.
    Per quanto provasse in quel momento un’infinita pietà e il cuore a pezzi per quello che le aveva detto ben presto tutto ciò venne sovrastato dalla sua nuova scarica di proiettili.
    Quella bocca si apriva, masticava parole, digrignava i denti come se fosse il lupo di cappuccetto rosso pronto a saltarle alla gola. Era diventato così rosso che sembrava stesse per scoppiargli qualche vena sulla fronte di lì a poco.
    Lo lasciò sfogare, di nuovo, senza dire nulla. Incassando e cercando di non cedere di un solo passo, di un solo sguardo a quelle angherie che le stava dicendo.
    Di quel poco che comprese da tutto quel gran ringhiare erano poche, ma pareva che fosse stato disturbato dal volume massimo dello stereo.
    Inutile dire che per la ragazza che tutto ciò non aveva il minimo senso e non riuscì a bloccare il pensiero in questa informazione che poteva esserle molto utile e si lasciò trasportare dal decifrare ciò che le stava dicendo via via.
    Era un lavoro tosto che richiedeva un’attenzione massima, altro che Codice da Vinci.
    Ma qualcuno che parla normale… è proprio difficile da trovare di questi giorni? CHE FATIIICAA AHHHH… riuscì a pensare mentre gli occhi iniziavano a bruciarle – forse a causa anche dal salmastro - e questo la portò a sbattere le palpebre più frequentemente e a perdere ancora più parole di prima.
    Insomma per farla breve, non che ci fosse tanto da capire in quei discorsi.
    Le aveva solo detto che era una cretina, disturbatrice di quiete pubblica, dai pessimi gusti musicali, che aveva messo il volume a tutto fuoco – maah! -, e che era totalmente fuori di testa.
    Il tutto intervallato da altre cose di cui aveva perso i pezzi e che mettendole insieme poi probabilmente sarebbe ritornata fuori la stessa pappa scodellata citata prima.
    Questo qui … è proprio matto. Mi da sui nervi! E maleducato… che pallone gonfiato! e il fatto che continuasse ad infierire su di lei cancellò quel minimo di pietà che aveva strappato dal cuore della giovane con il fatto che fosse orfano.
    Mirai si impettì ancora di più e ogni volta che lo lasciava parlare le sue guanciotte si gonfiavano come quelle di una ranocchia pronte a rispondergli a tono.
    «Io? Fuori di testa? Tu non ti presenti, non mi dici nulla, rubi il mio stereo, mi minacci, mi insulti … e SAREI IO QUELLA FUORI DI TESTA? » Mirai non aveva mai urlato a nessuno, o meglio a pochi a dire la verità. Non era nella sua natura urlare a qualcuno.
    Era sempre buona, dolce, amorevole, si preoccupava per tutti ed era molto empatica ma quel tipo… quel tipo la faceva andare su di giri e le stava facendo parecchio irritare.
    E non c’era niente di meglio di qualcuno come lui che le dicesse di darsi una regolata e che avesse problemi mentali.
    «Seriamente?... Stai dicendo a me? » si indicò il volto con uno sguardo parecchio irritato che a vederlo dall’esterno non aveva proprio niente di minaccioso.
    Il bullo-pazzoide-pallonegonfiato aveva anche avuto il coraggio di dirle che avrebbe chiamato un TSO tutto per lei!
    Mirai non ci vide più ma quella cosa sortì un effetto diverso. Invece che farla arrabbiare ancora di più, la fece ridere. E tanto, così tanto che non riuscì in quel momento a frenare una risatina che le uscì dalle fessure delle dita che si era appoggiata sulle labbra.
    Lo lasciò finire cercando di non farsi sgamare – inutilmente – ma non lo interruppe mentre il suo petto si alzava e si abbassava non più in preda all’irritazione ma alle risate.
    Struttura adatta? Qualcuno che venga a recuperarmi? Fuggita da qualche ospedale psichiatrico… Che tipo matto! E’ solo uno strambo che si guarda tante serie tv.
    Mirai sapeva benissimo quale fosse la sua condizione di disabilità e sarebbe stato proprio appagante, divertente e da perfida parlare con i medici e dire che il ragazzo aveva inventato tutta la storia dello stereo e dell’alto volume che lei non avrebbe mai potuto sentire: sarebbe stato perfetto per una mente malvagia e sadica.
    Ma ahimè nulla di tutto questo era parte di lei.
    Però il pensiero la faceva comunque ridere, e non riusciva quasi a smettere.
    Poi vederlo armeggiare tra i pantaloncini cercando il cellulare, -non trovandolo per giunta- non fece altro che aumentare il fatto che lo trovasse divertente alla fine.
    « Pfffff quanto sei buffo… ahahahah! Quindi vuoi che chiami qualcuno che mi faccia venire a prendere? Poi vorrei vedere spiegarti la situazione… sei troppo buffo! Ehehe…eheh…eh-… uuuufff- » riprese fiato cercando di darsi una calmata, mentre era davvero divertita dalle ultime cartucce che le aveva sparato addosso e si ritrovò perfino ad asciugarsi le lacrime agli occhi per poi alzare una mano.
    Gli intimò una tregua, poiché non riusciva più a guardargli le labbra, e a rimanere seria e concentrata.
    Gli occhi erano visibilmente arrossati per essere stati così a lungo senza sbattere le ciglia – e anche un po’ per il salmastro - e aveva il volto di una che avesse corso 4 maratone – ridendo -.
    «Time-outo! Ti prego…dammi un po’ di tregua…Hihihi » si portò le mani agli occhi e se li stropicciò ancora in modo da sentire almeno un minimo di sollievo.
    « Ooou. Sei divertente, nonostante tu sia un bullo e un pallone gonfiato che se la prende con le giovani fanciulle. Hihi sai come fare ridere… E comunque. Forse saprai anche cosa sia l’educazione… ma sapere e mettere in atto sono due cose ben diverse. Hehe… » sghignazzò.
    Forse il ragazzo ci aveva un po’ visto giusto. Tutte le rotelle apposto Mirai non ce le doveva avere.
    Si schiarì la voce più e più volte per riprendere il controllo di sé e cercò di tornare la solita ragazzina pucciosa.
    « E tu e l’educazione siete proprio due cose diametralmente opposte….» il suo tono di voce mutò drasticamente e sembrava quasi tornato ad essere il suo solito, un po’ sul dolce e delicato. Non c’era però scherno nelle sue parole, era come se mettesse in chiaro un dato di fatto.
    « Comunque sappi che, anche se ho il cellulare, non chiamerò proprio nessuno. Neanche la polizia. Ci faresti una figuraccia…ci rimetteresti solo tu. Inoltre - come dici tu - Io sono sorda, no? Non posso chiamare se non so sentire cosa dicono. E di sicuro non lascio il cellulare nelle tue mani. » buttando sullo scherzo la sua disabilità per non lasciare troppo intendere che lo fosse davvero…gli lanciò un sorrisetto quasi di sfida.
    « Non vorrai mica fare una figuraccia, ne? » non sapeva perché l’avesse fatto… forse per ripicca?
    E poi… devo imparare a cavarmela da sola. si era messo questo in testa da quella notte: non ci sarebbe stato sempre qualcuno a salvarle il fondoschiena e avesse chiesto aiuto per una questione così banale… allora era meglio se tornava a fare la fattorina e basta.
    Sbuffò e poi alzò le braccia all’altezza delle spalle come se stesse per dire che si sarebbe arresa di lì a poco. «…ti chiedo scusa, per le parole che ho detto. Non volevo offenderti, o arrecare danno. Mi dispiace poi… non sapevo che fossi orfano…» e come poteva saperlo? Poteva dedurlo forse dalle sue vesti poco consone a quella stagione – come le infradito- , dal fatto che forse era lì a pescare per mangiare e che magari rubare uno stereo oggi per un po’ di denaro per sopravvivere.
    Dove aveva già visto o sentito questa scena?
    Ah sì. Solita spiaggia. Quella sera dove tutto era iniziato per Mirai.
    Dove era quasi riuscita a portare dalla sua parte una ladra di borse.
    Una coincidenza strana, che fosse la stessa spiaggia di quella notte?
    Chinò leggermente la testa in segno di scuse e abbassò leggermente le braccia, senza lasciarle cadere ai fianchi, poi Mirai Ishigami fece un altro – forse – impercettibile passo verso il ragazzo.
    « Rubare è sbagliato. Lo sai? Ma chiedere aiuto no. Se avevi bisogno di qualcosa, denaro, un cellulare, o qualsiasi altra cosa. Ti avrei aiutato. E dimmi. Ti senti davvero forte e virile ad aver sottratto ad una come me una cosa simile senza chiedermi il permesso? » sapeva come andava il mondo. Era più facile portare via con l’inganno piuttosto che chiedere aiuto.
    Orgoglio maschile? Probabile.
    Ma le dava profondamente fastidio perdere qualcosa che poteva tornarle utile ai suoi “esperimenti” per colpa di un ladro bullo passato di lì.
    « Ma tu hai rubato qualcosa di mio, e quella cosa mi serve. Più di quanto possa servire a te. E poi… io non ho più paura di voi. Non voglio più darla vinta a nessuno quindi… visto che quello stereo è mio… …» chiuse gli occhi all’ennesima sferzata proveniente dal mare e abbassò lo sguardo a terra sulla sabbia caricando in quel momento il peso sulle gambe per poi tornare a guardare lo stereo in mano al ragazzo «…Io me lo riprenderò!! » saltò urlando quelle parole con tutta la poca forza che aveva nelle gambe stremate dalla giornata di lavoro e tentò di afferrare lo stereo come un giocatore di basket tenta di buttare nel canestro la palla che ha in mano.
    Non sapeva se fosse riuscita a toccare, o solo sfiorare quello stereo ma il suo spirito bruciava di desiderio e di adrenalina di dimostrare a sé stessa che poteva farcela.
    Ci…sei… quasi!
    Se in caso non fosse arrivata a ghermirlo, si sarebbe aggrappata al braccio forzuto di lui come una piovra perché almeno, avrebbe dovuto buttare anche lei a mare o sulla spiaggia – meno male non su un soffitto stavolta - .
    Poi lo avrebbe aiutato in qualche modo a sopravvivere un’altra notte, ma quello strano ragazzo-ladro-pazzo non si sarebbe pagato la cena con il suo amato Stereo Maledetto.
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    MIRAI ISHIGAMI
    VIGILANTES » LIVELLO #2
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    AKAHITO MORI
    Niente da fare, Mirai continuava a dare segni di evidenti squilibri mentali. Qualsiasi sua parola o gesto alludeva, tra i pensieri limitati del giovane Vigilante, all’evidenza che la fanciulla soffrisse di qualche patologia psichiatrica.
    Quella ragazza non la smetteva di tartassarlo, accusandolo di cose assurde, per poi ridere di gusto e scusarsi con lui per esser stata troppo dura con i termini. Si stava arrabbiando con lui oppure era dispiaciuta? Akahito non riusciva a capirlo (o per l’effettiva personalità di Mirai o probabilmente più per il semplice motivo che il nostro pescivendolo avesse due noccioline al posto del cervello).
    «Ma fammi il piacere.»
    Proferì quelle parole con disgusto, sputandole dalla bocca come se fossero veleno, quando la fanciulla si scusò.
    «Non accetto le scuse di una pazza e, onestamente, non ne ho nemmeno bisogno. Non so che accidenti ti faccia pensare che io possa offendermi rispetto alle tue accuse.»
    Continuò, sottolineando per bene ‘io’, manco volesse far credere a Mirai che fosse una persona famosa (beh, in ogni caso Akahito aveva una considerazione di sé stesso alquanto esagerata, no?).
    «Ma che stai dicendo? Io non ho bisogno di niente! Ho sia soldi che telefono, li ho semplicemente dimenticati a casa così come ho dimenticato a casa la cena.»
    Rispose, per poi accorgersi subito dopo di star raccontando a Mirai troppi particolari, cosicché scosse la testa vistosamente e digrignò i denti, rivolgendole uno sguardo furioso.
    «Insomma, non ho bisogno di un accidenti, se non che tu vada via. Non ho intenzione di rubarti questo stereo, sarebbe da masochista e io non lo sono. Prima ti ho chiesto di portare il tuo culo da un’altra parte e non mi hai ascoltato, quindi questo è il trattamento che ti meriti.»
    Più che ‘chiesto’, Akahito aveva perlopiù preteso il tutto in maniera barbara, completamente incivile e tremendamente volgare. Eppure, tra i pensieri del ragazzo, continuava a frullare una domanda: possibile che Mirai non si fosse accorta di sua spontanea volontà che il volume della cassa era troppo alto? Perché si stava sorprendendo così tanto della reazione di Akahito? Cioè, il modo di reagire del ragazzo era completamente disumano e sbagliatissimo, sì, eppure Mirai sembrava davvero convinta che un rumore così assordante non potesse dar fastidio a qualcuno, tra l’altro su una spiaggia all’ora del tramonto.
    Perché, allora?
    Ah già. Mirai era pazza, sì.
    E la conferma sarebbe arrivata da lì a poco.
    Sì perché Mirai, dopo un breve attimo di esitazione, parti alla carica direttamente verso di lui, in maniera non troppo dissimile ad un cinghiale (guarda caso).
    La fanciulla sembrava tutta intenzionata ad afferrare lo stereo ma Akahito si premunì di allontanarlo sufficientemente dal piano del corpo, abducendo l’arto che lo stringeva e tentando di non farlo neanche sfiorare dalla ragazza, che però si strinse al suo braccio.
    «NO!»
    Esclamò, pur avendocela praticamente a pochissimi millemetri di distanza. Aveva annullato qualsiasi distanza ci fosse fra loro e Akahito era alquanto agitato: cosa doveva aspettarsi da una pazza? Avrebbe improvvisamente utilizzato il suo Quirk? Avrebbe tentato di fargli del male? Doveva difendersi? Respingerla?
    Il Vigilante non sapeva esattamente come comportarsi, troppo impegnato a mantenere la cassa a debita distanza dalla sua proprietaria.
    «STAI LONTANA!»
    Le urlò, direttamente in faccia, eppure Mirai sembrava così resistente, convinta e tenace, che Akahito era abbastanza certo non si fosse mossa di un solo centimetro.
    Peggio per lei, comunque: se avesse provato a fare qualcosa di improvviso, il pescivendolo non ci avrebbe messo nulla a rilasciare da tutti i micropori nella sua pelle una quantità di vapore tale da respingerla via e scottarla.
    Eppure una vocina gli diceva di non farlo.
    Una vocina gli suggeriva che Mirai non fosse poi una cattiva persona, per quanto probabilmente folle, e che di conseguenza non meritava un trattamento del genere.
    Ma allora che cosa aveva che non andava?
    «NON TE LO PERMETTERÒ! NON TI PERMETTERÒ DI NUOVO DI ACCENDERE QUESTO MALEDETTO STE—»
    Non riuscì a terminare a sufficienza la frase che, mentre si dimenava per scrollarsi di dosso Mirai, avrebbe indietreggiato finché non fosse inciampato su un sasso che gli avrebbe fatto perdere l’equilibrio: se la situazione non si fosse risolta, in qualche modo, Akahito avrebbe finito per cadere rovinosamente sulla sabbia e, se Mirai si fosse definitivamente ancorata a lui, era probabile che avrebbe fatto la sua stessa fine.
    Nel cadere, tra l’altro, il Vigilante avrebbe effettuato un movimento col braccio tale da far sì che lo strumento poc’anzi sequestrato sbattesse forte sulla propria fronte, cosicché alla fine lasciò la presa da quest’ultimo e la cassa finì per terra lontana circa mezzo metro da dove si trovava, urtando in maniera tutt’altro che leggera.
    Ciò che avrebbe detto o fatto, a quel punto, sarebbe stato fortemente influenzato dalla fine che avrebbe fatto Mirai nell’impatto (e dalla condizione dei suoi pochi neuroni successivamente all’impatto con la cassa).

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    Niente da fare… il ragazzo non accennava neanche di una virgola ad accondiscendere alle minacce richieste di Mirai che lentamente si stava lasciando alle spalle ogni minuscolo strascico di compassione per lasciare accesa la spia rossa della determinazione.
    Non voleva scendere a patti, non voleva andarsene né tanto meno lasciare il suo stereo nelle mani di quel bullo da strapazzo.
    Chissà cosa passava nella mente della ragazzina, una cosa però era certa: non si era mai sentita così punta nell’orgoglio prima di allora.
    Quindi. Volente o nolente, si sarebbe ripresa quello stereo. Con le buone o con le cattive, non le faceva differenza.
    Chiunque l’avesse vista in quel momento e sapesse chi era quella dolce fanciulla dal cuore d’oro sicuramente avrebbe detto che fosse quanto meno posseduta.
    Nonostante avesse provato a capire cosa diavolo stesse dicendo il tipo dalla bocca larga Mirai capì soltanto che era uno che aveva i soldi e che aveva dimenticato a casa la cena.
    Questo di tutta la serie di parole e d’insulti e di chissà cos’altro avesse detto rimase nella mente della ragazza che nel frattempo lo lasciò parlare gonfiando parola dopo parola le sue guancette.
    A vederla dall’esterno sembrava quasi uno di quei criceti che aveva fatto incetta di un sacco di semi per un intero inverno.

    Era buffa.

    Sì, lo era, ma Mirai non se ne accorse o forse non lo sapeva perché veramente poche erano le volte che si sentiva così frustrata.
    Lei non riusciva a provare mai rancore, o rabbia o qualsiasi altro sentimento negativo verso una persona e questo la portava ad affrontare ogni situazione nel miglior modo possibile e col sorriso e con tanto cuore.
    A volte anche a suo discapito.
    Stavolta invece ci fu qualcosa di diverso.
    Odiava i soprusi, questa era l’unica cosa che davvero la faceva innervosire e quel ragazzo aveva appena acceso proprio quella spia.
    Il suo corpo si mosse, fermo sulla propria decisione.
    Non te lo lascerò… il suo sguardo non ammetteva repliche e liberando l’aria che teneva nelle guance si alzò – di pochi centimetri eh! – dalla sabbia e tentò con una mano di afferrare o quantomeno toccare lo stereo per cercare di sfilarglielo o farlo cadere dalla presa del bullo ma…
    Come al rallentatore le sue dita si allungarono come quelle della Divinità nel dipinto della Creazione. Si stesero chiare, infreddolite, e morbide verso il figlio prediletto senza mai sfiorarlo poiché il ragazzo agì prontamente e alzò in quel preciso istante di gran lunga il suo braccio.
    Non…. Ci arrivo...!! esclamò mentalmente capendo di aver fallito miseramente il suo tentativo; troppo lenta, troppo prevedibile.
    Doveva ancora imparare molte cose se voleva diventare forte dopotutto – di sicuro questo le sarebbe servito da lezione.
    Nonostante il fatto di essere impacciata nei movimenti per il giubbotto larghissimo ella riuscì prontamente – prima di ricadere al suolo – ad aggrapparsi al braccio muscoloso del tipo come una scimmietta ad un ramo.
    La distanza tra la faccia di lei e la faccia di lui erano praticamente nulle e nonostante le mettesse un po’ tanta inquietudine essere osservata da così tanto vicino da quel ragazzo con gli occhi verdi smeraldo, Mirai non mollò la presa e sostenne il suo sguardo.
    « NO FINCHE’ NON MI RENDI LO STEREO! »
    Mirai gli aveva urlato in faccia?
    Mirai.
    La ragazzina che aiutava le vecchiette ad attraversare la strada, che amava prendersi cura dei suoi due pesciolini rossi, che aveva un cuore che avrebbe donato al mondo intero…. Lei aveva appena urlato ad un estraneo direttamente in faccia.
    Non che se ne fosse accorta, solo che sentiva un po’ pizzicare la gola dopo aver proferito quelle parole.
    « E adesso … » tornò con la sua vocina di prima e distolse lo sguardo dal ragazzo per cercare di fare perno sul suo braccio e arrivare a sfilargli dalla mano lo stereo.
    La cosa fu resa difficile dato che il ragazzo tentò di scrollarsela – letteralmente – via di dosso – come se fosse un insetto -.
    Mirai non si mosse, si strinse ancora di più in quella morsa poiché non voleva desistere dal suo obiettivo ed era così concentrata in questo che non notò minimamente che gli scossoni avevano fatto scivolare sul suo collo le cuffie batuffolose che portava a protezione delle orecchie.
    Chissà se avesse in quel momento visto ciò che da sempre aveva tentato di nascondere a tutti – anche a sé stessa.
    «Ren—d-i—me---ll---o.» disse stringendo i denti mentre una sua mano si mosse in direzione del pezzo di ferraglia pronta ad afferrarlo…c’era quasi… sì… si stiracchiò il braccio più che poteva tanto quasi da farle male e c’era quasi riuscita finché il ragazzo non indietreggiò facendo sobbalzare la ragazza che per non cadere si strinse nuovamente al braccio del tipo desistendo dall’ardua impresa e poi sentì il vuoto.
    La sensazione di cadere, cosa che stava realmente accadendo e che fu troppo repentina per poter comprendere cosa stesse succedendo o fare altre azioni per evitarlo.
    Lui caracollò a terra sulla sabbia portandosi dietro la ragazza ancora ancorata al braccio che in quel momento chiuse gli occhi per non vedere la fine di quella caduta.
    Per fortuna non notò lo stereo che prima impattò sulla fronte del ragazzo per poi volare via sulla sabbia alla ricerca di qualche altra anima diabolica che potesse usarlo: ovviamente non era in condizioni ottimali. Chissà… forse sarebbe rimasto muto per molto tempo.
    Altra sorte capitò alla povera ragazza che si sentì sbalzata in avanti, perse la presa e … – forse grazie allo stereo stesso e alla spinta che aveva esercitato –stranamente si accasciò sul morbido.
    Qualcosa – anzi qualcuno – aveva attutito la sua caduta e invece di trovarsi con la faccia sulla sabbia – meglio per lui che non l’avesse infilzato con il corno nella caduta – si era ritrovata a sbattere soltanto su qualcosa di “comodo”.
    Grazie allo Stereo Maledetto, sì, ma a quale prezzo?
    Quando aprì gli occhietti probabilmente avrebbe sentito uno strano calore proprio vicino al petto, anzi ne era sicura. Cosa fosse probabilmente non lo sapeva.
    O forse sì.
    Mentre cercava di rimettere in moto il suo cervellino, il suo cuore saltò un battito quando si rese conto di essere non solo piombata addosso al tipo ma di esserci andata con tutto il petto sopra la sua testa – in fondo era forzuto e lei un fuscellino…farla volare era stato molto semplice –
    Non sapeva cosa fare in quella situazione per cui rimase immobile, sperando che il tipo non stesse morendo soffocato e pregando che non la scaraventasse da qualche parte come lo stereo – o che non la scorticasse viva per quell’atto che da un occhio esterno poteva essere molto frainteso.
    Divenne rossa come un peperone e iniziò a tremolare mentre cercò con le braccia di spostarle sul petto di lui – riuscendo a percepire i muscoli sotto i suoi polpastrelli -.
    Le sue intenzioni erano quelle di trovare un perno, un appiglio, qualsiasi cosa per uscire da quella figuraccia astronomica e da quella situazione surreale.
    «Sc-Sc-Scusami… o-or-a- mi tolgo…» la voce flebile, balbettante, profondamente in preda al panico.
    Impacciata e tremolante, sperava che il giovane le concedesse almeno due minuti di vita per potersi togliere da quell’impiccio e scusarsi di nuovo.
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    MIRAI ISHIGAMI
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    AKAHITO MORI
    Mirai non aveva alcuna intenzione di mollare la presa. Era resistente e tentava in tutti i modi di recuperare dalle mani di Akahito lo stereo che questo aveva poc'anzi sequestrato dalla sabbia. La giovane ragazza, però, evidentemente non conosceva Akahito. Già, perché se avesse saputo almeno un briciolo del proprio atteggiamento, si sarebbe facilmente arresa all'idea che il nostro giovane non si arrendeva mai. Anche se... beh, sì, neppure Mirai sembrava voler arrendersi tanto facilmente. Che avesse la testa dura quasi quanto la sua? Beh, in quel caso sarebbe iniziata una sfida piuttosto interessante.
    Già, perché, per quanto Mirai si dimenasse, il Vigilantes continuava a mantenere abdotto l'arto che teneva la cassa, sforzandosi di tenerla costantemente lontano rispetto alla sua proprietaria, che d'altro canto quasi gli si stava arrampicando sul tronco. Ma come si permetteva quella pazza di toccarlo? Di mettergli le mani addosso? La sconosciuta aveva completamente annullato qualsiasi distanza ci fosse fra loro e sembrava tutt'intenzionata ad aggredirlo, se fosse stato necessario.
    E tutto per... quella cosa?
    «Scrollati subito di dosso!»
    Esclamò, continuando ad agitarsi per fare in modo che la ragazza non raggiungesse lo stereo. La situazione sarebbe andata avanti in quel modo per un po' e, nel momento in cui le cuffie di Mirai si accasciarono sulla spiaggia, Akahito fu distratto per un attimo dal Corredo della ragazza, quella struttura di un materiale che non sembrava essere troppo dissimile rispetto a quello che componeva il suo corno. Aggrottò leggermente le sopracciglia, notando quindi che probabilmente la struttura delle sue orecchie doveva essere alterata. Ci sentiva troppo? Ci sentiva poco? Oppure ci sentiva normalmente e quella mutazione faceva semplicemente sì che le sue orecchie assumessero quella forma così strana.
    In ogni caso, quei pensieri furono sufficienti per far sì che Akahito si distrasse a sufficienza da lasciare che Mirai prevalesse su di lui. Inciampò, quindi, come avevamo detto prima, e si ritrovò sulla spiaggia con la ragazza che gli si era stesa praticamente addosso.
    L'impatto tra lo stereo e la propria fronte lo stordì per un attimo, per cui in un primo momento il giovane Vigilantes dai capelli blu non si accorse minimamente di quello che era successo: soltanto da lì a qualche secondo dopo si rese effettivamente conto di tutto.
    E quel tutto era rappresentato dal fatto che Mirai fosse caduta col petto sulla propria faccia.
    Akahito spalancò le palpebre e si pietrificò, deglutendo almeno una decina di volte in un minuto e facendo sì che la propria faccia si colorasse di rosso come se fosse un peperone. Sì, stava letteralmente morendo dall'imbarazzo e quello era il momento perfetto per mostrare ai quattro venti il suo essere profondamente tsunderello. Senza riuscire a dir nulla, il pescivendolo aspettò che Mirai si alzasse e si spostasse anche giusto il necessario per far sì che quell'imbarazzo potesse sollevarsi dal suo volto per un minimo.
    E, anche quando la Vigilantes si fosse spostata, Akahito sarebbe rimasto ancora impietrito per qualche secondo, mentre la sua faccia passava dal colore rosso al viola. Già normalmente la temperatura del suo corpo era più alta della media, figuriamoci in quell'occasione che razza di livelli doveva aver raggiunto.
    Sollevò solo il busto, restando seduto sulla spiaggia e, non appena ebbe la lucidità di poter pensare scosse vistosamente il capo e deglutì per un'ultima volta, prima di aprir bocca.
    «M-ma tu... Come ti permetti di...»
    Si passò una mano sulla fronte e si schiarì la gola, balbettando.
    «M-mi stai molestando, te ne rendi conto oppure no?»
    Domandò, con fare insicuro, niente a che vedere con l'Akahito Mori di qualche secondo prima: no, decisamente non si era ancora ripreso. Akahito non era abituato ad alcun tipo di contatto con altre ragazze, figuriamoci se una vicinanza simile potesse renderlo tranquillo e non destabilizzarlo.
    Si grattò la tempia, bagnandosi le labbra nel vano tentativo di mostrarsi tranquillo. Avrebbe quindi recuperato lo stereo e lo avrebbe lanciato in prossimità di Mirai, facendo in modo che le cadesse accanto ma naturalmente senza colpirla.
    «Sai che ti dico? Prenditelo pure. Forza, accendilo e fai sentire a tutti questa musica assordante.»
    Disse, incrociando le braccia, ma senza riuscire a far sparire dal volto quel rossore che l'aveva colto nel momento in cui erano crollati per terra.
    «E comunque io ancora non ho capito una cosa.»
    A quel punto Akahito puntò il dito verso il Corredo.
    «Che cosa sono quei cosi? Ma tu ci senti effettivamente oppure no?»
    Chiese con calma, quindi, strizzando gli occhi. Finalmente, dopo svariati minuti in cui Akahito si era lasciato avvolgere dalla sua demenza, iniziò a sorgere tra i propri pensieri la possibilità che la mutazione di Mirai potesse effettivamente averle alterato l'udito. Già, peccato che prima di porre con calma una domanda simile aveva prima dovuto mostrarsi totalmente fuori di testa, scostumato ed irascibile, anche se... beh, sì, in teoria Mirai avrebbe potuto dirgli fin da subito che fosse sorda, eventualmente, no?
    E se non l'avesse fatto perché non voleva dargliela vinta? In quel caso l'ipotesi che si fosse ritrovato di fronte ad un'altra testa dura sarebbe valsa molto più di prima. Immaginava che la risposta sarebbe giunta da lì a poco.

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    Niente … panico… queste parole le risuonavano in testa senza che avessero una vera e propria voce.
    La situazione che lei aveva creato era a dir poco imbarazzante.
    Non riusciva a guardare sotto di lei ma sentiva chiaramente il ragazzo, il suo petto alzare e abbassarsi con foga, un calore quasi innaturale riscaldarle ogni centimetro di corpo che era appoggiato a quello suo.
    «Sc-Sc-scusami…. Ora mi tolgo… sì, mi tolgo… » disse con voce tremante e flebile come se da quelle parole dipendesse la sua vita.
    Si sentiva come se fosse appena piombata a pancia in giù su un campo minato.
    Un passo falso e BOOM sarebbe saltata in aria, per questo si mosse lentamente evitando di strusciarsi o creare ancora più situazioni imbarazzanti di quanto quella non lo fosse già.
    …Ok, cerca di sollevarti un poco… sì… lentamente portò entrambe le mani sulla sabbia di fronte a lei – aveva pensato a optare per i suoi muscolosi pettorali ma qualcosa le aveva sconsigliato di farlo per non saltare in aria troppo presto e finire in pasto ai pesci: facendo pressione si sollevò quanto bastava per osservare il volto di lui totalmente rosso e aggrottato tra un’espressione imbarazzata e furibonda.
    Solo un secondo e Mirai tornò a guardare la vastità della spiaggia e del mare di fronte a lei.
    «S-S-ono mortificata… » aggiunse ad una serie di scuse che stavano andando in loop nella sua mente.
    L’unica cosa che poteva fare era tentare di scivolare di lato, strisciando sul suo petto e cercando con le gambe di non colpire altro che sabbia.
    Le altre alternative nella mente della giovane ragazza erano tutte pose che potevano essere scambiate per atti osceni in luogo pubblico e voleva chiaramente evitare simile faccenda o l’avrebbe davvero usata come esca per gli squali.
    Si lascò cadere da un lato e si ritrasse strisciando sulla sabbia abbastanza fuori dalla portata delle sue braccia perché aveva paura che potesse afferrarla e fargliela pagare in qualche modo.
    « hhhiuuuu… » buttò fuori l’aria dalle sue labbra con foga, i suoi occhi si chiusero e rilassò ogni muscolo che aveva tenuto contratto fino a quel momento e lasciò che i suoi polmoni si riempissero di aria salina fresca - aveva trattenuto il respiro fino a quel momento per non calpestare le mine -.
    Si sentì tremendamente leggera e in una posizione che la faceva sentire al sicuro, almeno per il momento e quando rialzò lo sguardo, vide il ragazzo che seduto quasi di fronte a lei, anche se di sbieco che sembrava stesse avendo una crisi – probabilmente di nervi a giudicare dal rossore che aveva ancora in viso.
    Sulle sue labbra, sebbene si aspettasse una ramanzina che si meritava, Mirai lesse soltanto parole strane, un po’ ripetute in alcuni tratti che la incriminavano come una molestatrice.
    « Uh? » la sua testa si abbassò da un lato non capendo cosa stesse dicendo.
    Lei? Molestatrice? Se così fosse lui cos’era?
    Lasciò perdere, probabilmente stava solo delirando per il fatto che una ragazzina come lei gli avesse tenuto testa o forse…
    Che strano… sembra diverso da prima… quasi…insicuro… il linguaggio del corpo del ragazzo parlava chiaro più di mille parole.
    Non serviva avere un grande intuito o essere brava a comprendere i segni di nervosismo delle persone per dire che sembrava che fosse quasi a disagio…
    Nel mentre pensava a questo, lo vide girarsi, recuperare il suo amatissimo stereo e lo vide lanciarglielo.
    IIIIKKKK Mirai si ritrasse e non potè fare altro che portare entrambe le braccia sopra la testa come per volersi difendere da quello che le pareva fosse un attacco alla sua persona.
    Rimase con gli occhi chiusi qualche secondo senza sentire lo stereo caderle vicino, senza neanche vedere le parole del ragazzo che le intimavano di riaccendere lo Stereo Maledetto e di tornare a sentire la cassetta infernale.
    Non sentendo arrivare alcuna botta in testa, la ragazza si rilassò e riaprì un occhietto notando l’oggetto della sua crociata proprio di fronte a lei.
    I suoi occhi brillarono come se avesse appena trovato il Santo Graal e lo prese da terra, gli dette una ripulita e alzò lo sguardo al ragazzo che in quel momento si era messo a braccia incrociate guardandola come se gliel’avesse data vinta apposta e non perché lo volesse davvero.
    Mirai abbracciò lo stereo e rimase in silenzio mentre i suoi occhi continuarono a posarsi sulle labbra di quello strano pallone gonfiato leggendo le sue domande che la fecero pietrificare.
    Medusa in confronto era una dilettante.
    Lui le aveva appena puntato il dito esattamente ad un lato della sua testa e le aveva chiesto cosa fossero quei “cosi” che portava appresso e se davvero ci sentiva.
    « --- mm…. » nulla. Mirai aveva smesso di funzionare.
    Letteralmente.
    Non aveva ancora capito che le sue cuffie pelose erano volate durante il suo tentativo di scalare l’Everest, e che adesso si trovava soltanto con il suo “corredo” sostituivo – molto più piccolo ed essenziale dell’altro suo solito che era in riparazione ancora -.
    Lo sguardo della ragazza mutò dalla perplessità al terrore più assoluto e senza neanche pensarci, mentre continuava a guardare il bullo, mise accanto a sé lo stereo e sollevò l’enorme cappuccio del suo giubbottone che sembrava quasi inglobare la sua testolina per intero se non fosse stato per il corno che ne reggeva una buona parte.
    Cercò con lo sguardo le sue cuffie e poi sospirò notando come queste fossero dalla parte opposta a quella sua e a quella del ragazzo che le stava di fronte.
    « Perché dovrei dirtelo? Così puoi avere altro per bullizzarmi? Tsk… » incrociò le mani e scostò di scatto il volto da un lato Figurati se lo dico ad un pallone gonfiato come te… aaaarr… che impertinente. pensò e nella sua mente si accavallavano ricordi di quanto lei avesse paura di osservare allo specchio le sue orecchie e di quanto i ragazzini della sua età dicevano riguardo alla sua mutazione.
    I bambini possono essere crudeli e per sua fortuna vi erano molte cose che non aveva sentito ma quelle che aveva visto erano state più che sufficienti.
    Per non temere più la sua unicità e per evitare di essere bullizzata e persa in giro, Mirai aveva eretto quella difesa metallica a protezione delle sue orecchie e del suo orgoglio e tutt’oggi ancora non si era liberata di quel fardello.
    Eppure, nonostante quel tipo le stesse antipatico e si fosse comportato come tutti i bulli che aveva avuto da bambina, nonostante questo non avrebbe potuto fare finta di non vedere quella botta che si era preso in testa - grazie allo Stereo Maledetto che era giunto in difesa della fanciulla -.
    Si sentiva un po’ in colpa e si mise le mani in volto stropicciandoselo come per lavare via le rughe di un’arrabbiatura.
    Lo fissò e sospirò per poi alzarsi in piedi e scrollarsi un po’ di quella sabbia che si era attaccata ovunque.
    « Grazie per avermelo reso comunque. » dichiarò mentre con lo sguardo indicò la carcassa inerme ai suoi piedi per poi afferrarla e tornarsene verso il suo borsone.
    Lo posò lì accanto, con grazia, come se avesse tra le mani un cristallo prezioso e piegandosi sulle ginocchia frugò nella sua sacca per tirare fuori una mini pochette.
    Era grande poco più di una mano ed era di un colore blu come il mare e, stranamente, anche come i capelli del bullo dove figuravano delle rappresentazioni stilizzate di pesci rossi.
    Beh Mirai… sei tu che vuoi salvare un sacco di persone no? E non tutte ti andranno a genio no? E poi in fondo è anche colpa tua se si è fatto male no? disse mentre si alzò, si voltò e tornò vicino al ragazzo e si fermò ad una distanza di sicurezza come se oltrepassare una linea più del dovuto potesse farlo rivoltare male.
    « Ti chiedo scusa. » disse abbassando la testa con un tono leggermente freddo « Anche se hai agito da bullo, maleducato e insensibile … io voglio scusarmi perché non era mia intenzione arrecare disturbo o danno. Ho agito sconsideratamente ma… tu potevi anche parlare prima di tentare di rubarmi lo stereo… no? E poi… trattare così una giovane ragazza è davvero da meschini e vili. » o forse l’aveva fatto ma non aveva sentito? Poco importava, l’importante era che le scuse fossero arrivate.
    Si schiarì la voce.
    Non era da lei tenere il broncio o arrabbiarsi con nessuno, anche se il tipo le avesse fatto girare parecchio le scatole, o per meglio dire lo stereo.
    Si avvicinò di un altro passo e si mise a sedere vicino a lui, al suo fianco senza rivolgergli uno sguardo. Aveva oltrepassato quella linea di sicurezza, sfacciatamente ma non si era avvicinata troppo per non toccarlo.
    Prese il mini astuccio tra le mani e aprì la lampo per poi frugare con l’indice e il pollice di una mano al suo interno, cercando con lo sguardo di trovare ciò che cercava nel frattempo aveva deciso di vuotare il sacco.
    « La prima risposta è: sono affari miei. » letteralmente parlando, erano davvero affari suoi « La seconda … oh eccola… » disse tirando fuori una specie di bustina sigillata e un cerotto e poggiando entrambi sulla coscia che si era distesa sulla sabbia « … dicevo. La seconda risposta è sì. » e marcò quella parola alzando lo sguardo e guardandolo negli occhi « Sono sorda. Se proprio si può definire così una persona che non possiede neanche l’apparato uditivo come la maggior parte delle persone. » sorrise, un sorriso amaro, pesante come un macigno. Non amava molto parlare di questa cosa e lo si vedeva chiaramente ma non si sentiva a disagio nell’ammettere la sua disabilità e la sua debolezza.
    « Ora se vuoi puoi prendermi in giro, a tuo rischio e pericolo. » disse sollevando poi la bustina chiusa e aprendola con un sol colpo delle dita, tirando fuori quello che doveva essere una specie di salviettina.
    « E ora vedi di fare il bravo per un secondo e stare fermo. Questa roba non brucia, per questo la porto sempre con me. » sghignazzò cercando di allentare la tensione e metterlo a disagio ancora di più anche se forse il suo intento era ben diverso.
    Non voleva che quella micro abrasione potesse infettarsi o roba simile, ma aspettò come un Vampiro che attende sempre sull'uscio la persona che lo inviti ad entrare per poter agire indisturbato.
    Che poi...perché avesse ceduto alle sue domande non lo sapeva neanche lei.
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    MIRAI ISHIGAMI
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    AKAHITO MORI
    Akahito aveva ancora diversi problemi a gestire quel senso di ansia e di agitazione che l'aveva colto negli ultimi istanti, quando Mirai era precipitata praticamente su di lui. Tentò in tutti i modi di mostrarsi in maniera leggermente più normale ma gli sforzi risultarono vani e furono traditi ogni qualvolta dalla tinta scarlatta che assunsero le sue espressioni perennemente imbarazzante.
    Un lieve miglioramento sopraggiunse soltanto nel momento in cui la Vigilante si tirò su il cappuccio. No, non perché aveva improvvisamente smesso di fare lo tsundere, ma semplicemente perché finì per interrogarsi inevitabilmente sul motivo per il quale Mirai dovesse aver vergogna del suo Corredo. In giro per Tokyo c'erano molti mutant, non era di certo la prima volta che gli capitava di vederne uno... perché doveva aver vergogna di mostrarlo? Sempre che di vergogna si trattasse.
    In ogni caso, quei dubbi furono sufficienti per dislocare i pensieri di Akahito su ciò che era successo poc'anzi, almeno per qualche minuto.
    «Se pensi che io bullizzi le persone, sei completamente fuori strada.»
    Rispose, neutro, incrociando le braccia al petto e scrutando la figura di quella ragazza, nei suoi movimenti più impacciati.
    «Non saprei cosa ricavarci, è una cosa abbastanza inutile. Sono, perlopiù, interessato a combattere l'ingiustizia, se così vogliamo dirlo. E... non mi è sembrato molto giusto da parte tua alzare il volume in quel modo, in spiaggia.»
    Spiegò, in maniera molto più rilassata. Sembrava un Akahito totalmente diverso rispetto a prima (fortunatamente), un Akahito che aveva realizzato di aver esagerato e di essersi ritrovato di fronte qualcosa che non poteva permettersi di giudicare, dato che... dato che c'era la possibilità che Mirai potesse effettivamente non sentire. Come si sarebbe dovuto comportare di fronte a quella possibilità? Ci sarebbe dovuto rimanere male? Avrebbe dovuto chiederle scusa?
    Ma certo. Figuriamoci se il Vigilante fosse realmente dotato di un cuore di pietra. No, Akahito era molto dolce, in realtà, e ci sarebbe rimasto un bel po' male se avesse scoperto di aver inveito contro una povera ragazza che non aveva neanche avuto la possibilità di rendersi effettivamente conto di ciò che aveva fatto. Inoltre, più passava il tempo più Mirai acquisiva una certa normalità, ai propri occhi, come se di colpo stesse vedendo dinanzi a sé una semplice persona scossa.
    «Forse ti devo anch'io delle scuse, Ragazza Psicopatica.»
    Pronunciò, totalmente in contrapposizione con ciò che abbiamo appena finito di specificare, sì. In ogni caso, Akahito non pronunciò quelle ultime parole con cattiveria, né con arroganza né con superbia. No, era rimasto perfettamente neutro e serio; nella sua maleducazione, sembrava quasi affettuoso.
    «Ti ho aggredita verbalmente, sì, ma non so se te lo meritavi.»
    Spiegò. No, non avrebbe ammesso 'totalmente' le sue colpe, o almeno non ancora. C'era sempre un briciolo d'orgoglio nel suo animo, per quanto questo potesse esser stato piegato dalla visione di Mirai.
    «Ripensandoci meglio, avrei potuto spiegarti le cose con più calma. Ma comunque non è colpa mia. Ho dei gravi problemi a gestire la rabbia, probabilmente sono sociopatico e spesso non sono capace di darmi una regolata. In sintesi, non sono del tutto sano di mente. Però ne sono consapevole.»
    L'espressione di Akahito, così come il suo tono di voce, rimase lineare per tutto il tempo che si prese per tirar fuori dalla bocca quelle parole. Non era imbarazzato, né aveva vergogna dei suoi limiti: li spiegava con un'oggettività quasi disarmante, come se fossero delle leggi universali incontrastabili. Nessuno avrebbe potuto pensare che Akahito Mori avesse tutte le rotelle a posto, dopo una dichiarazione simile pronunciata in quel modo così pacato e tranquillo.
    A quel punto vide Mirai avvicinarsi a sé e non disse nulla, troppo occupato a scrutare i suoi movimenti nel caso questa avesse deciso di compiere chissà quale gesto. Non temeva più la sua imprevedibilità come prima, ma era comunque meglio rimanere all'erta. La fanciulla, d'altro canto, gli si sedette accanto ed iniziò a frugare nella sua borsa in cerca di qualcosa.
    Le ipotesi che erano emerse tra i pensieri di Akahito, qualche tempo prima, divennero poi realtà, cosicché il nostro Vigilante si limitò per svariati secondi a starsene in silenzio, troppo occupato a pensare. Mirai era sorda, quindi. Ricambiò il suo sguardo, scrutando le sue iridi dorate esattamente come stava facendo lei con le sue color smeraldo.
    Non si oppose né disse nulla quando questa mostrò la volontà di avvicinare alla sua fronte quella salviettina: se lo avesse desiderato, Mirai avrebbe potuto tranquillamente passarla su quella piccola ferita che gli aveva provocato lo stereo (che, tra l'altro, aveva quasi dimenticato, troppo occupato a concentrare l'attenzione su tutto il resto).
    Ma perché Mirai era così gentile con lui, persino dopo tutto quello che le aveva detto e le aveva fatto? Chiunque avrebbe recuperato lo stereo e l'avrebbe mandato al diavolo, dopo la marea di insulti che le aveva indirizzato. Eppure Mirai non solo era rimasta lì, ma gli si era anche seduta accanto e lo stava aiutando per ridurre il dolore conferitogli dallo stereo stesso; stereo da cui era partito tutto.
    «Non vedo perché dovrei prenderti in giro per il fatto che sei sorda. Sarebbe da figli di puttana e io non sono un figlio di puttana.»
    Prese finalmente parola, quindi, mentre Mirai doveva probabilmente strofinare delicatamente la salviettina sulla zona interessata dall'impatto.
    «Che poi non capisco nemmeno il motivo per cui dovresti aver vergogna di essere sorda... O mi sbaglio? Come mai ti sei coperta col cappuccio?»
    Domandò, rilassato e pacato, mentre scrutava quell'infinita distesa azzurra dinanzi a sé.
    «E... ti chiedo scusa anche per quello. Non pensavo che tu potessi effettivamente non sentirci.»
    Continuò. Non erano scuse tanto per, altroché: Akahito si sentiva davvero in colpa e altrettanto in dovere di cercare di riparare al danno che aveva commesso, per quanto potesse.
    «Però non capisco. Che cosa ci fai ancora qui? Non dovresti sputarmi in faccia e andar via, Ragazza Psicopatica?»
    Chiese, quindi, in tono sincero e calmo, cercando lo sguardo dell'altra, come per accertarsi del suo stato d'animo.

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    « Oh. Questo è un …sollievo? » chiese leggermente perplessa ribattendo alle parole del ragazzo sul fatto che non era un bullo – come si era immaginata fino a quel momento.
    Non ci credeva molto a quelle parole dato il comportamento che aveva avuto con lei, ma almeno adesso il suo starsene buono a sedere con le braccia incrociate al petto era un segno di miglioramento.
    Così lo aveva inteso lei. Un vero bullo non si sarebbe certo fermato lì, avrebbe forse continuato con più rabbia di prima visto il capitombolo e il resto…
    Che abbia davvero ragione?... forse era stato questo a farle comprendere che magari non era così “cattivo” come se l’era immaginato. Che forse era soltanto un tizio strambo che non sapeva cosa fossero le buone maniere.
    Mirai lesse le sue parole sulle sue labbra delle parole che da un certo verso la lasciarono quasi sorpresa e dall’altro invece la fecero sentire leggermente in colpa.
    Ci era rimasta male, perché aveva compreso che effettivamente aveva creato disagio e disturbo.
    E così è interessato a combattere le ingiustizie… questo tipo? … non voglio sapere in che modo… probabilmente inveendo contro gente e usando le sue grosse braccia: “diplomazia” e “buonsenso”… ooooh andiamo cosa vado a pensare! quasi si tirò una sberla in faccia prima di ricordarsi di non volere un mal di testa per quella serata.
    Sghignazzò un po’ di rimando a quei buffi pensieri per poi sbottare con un:
    « Mpf… sì, forse hai ragione…» si era scusata di nuovo del fatto che effettivamente aveva alzato il volume senza accorgersi di stare disturbando altra gente.
    Come poteva saperlo del resto?
    Ammetto che forse ho esagerato … ma… anche lui ha esagerato più di me. Uufff… Beh. In fondo questa spiaggia non è di nessuno dei due. Quindi abbiamo torto e ragione entrambi.
    Accantonò per il momento la parte sul “combattere le ingiustizie” per non ridergli in faccia – e non creare di nuovo un motivo per buttarla a mare.
    A quelle parole Mirai notò come la muscolatura del ragazzo si stesse rilassando rispetto a qualche istante prima… che si fosse calmato?
    «R-Ragazza come? Io… Io non sono psicopatica! Ehi! » sbottò drizzandosi con la schiena impettita e leggermente rossa sulle guance « Senti da che pulpito…» proseguì mentre i suoi occhi divennero due fessure quasi sottili ma almeno le stava chiedendo scusa e questo era già un buon passo avanti.
    In effetti… quell’ammasso di muscoli, con la bocca larga e la maniere da orso arrabbiato le stava davvero chiedendo scusa? Quasi non ci credeva.
    Dal suo sguardo sembrava essere molto serio e convinto, non un velo di risentimento o di menzogna.
    Nessun accenno di movimenti delle sopracciglia o degli occhi.
    Sembrava davvero convinto di quello che le stava dicendo.
    « Oh… » non disse altro perché non sapeva cosa dire in realtà.
    Si era sentita però sollevata in qualche modo, vedendolo parlare piano e riuscendo a capire le sue parole di scuse.
    Ammetteva pure di avere dei problemi a gestire la rabbia e le situazioni con altre persone e altre cose che passarono nella mente della ragazza e fluirono via così come l’acqua sul bagnasciuga.
    « Beh. E’ un buon passo avanti da parte tua ammetterlo. Almeno non sono la sola “psicopatica” e “problematica” qui. Ppff… e almeno sei in grado di parlare senza sbraitare. Vedi? Non è poi così difficile spiegare le cose con più calma. » cercò di rigirargli le stesse parole che aveva detto, usando un tono dolce e amichevole, lasciando che fossero questi due sentimenti a prevalere e a sciogliere il ghiaccio e il risentimento che si era portata dentro fino a quel momento.
    La cosa che davvero la colpì di quel discorso era il fatto che aveva messo a nudo le sue difficoltà, le sue debolezze senza problemi, senza remore.
    Era stato freddo a spiegarle tutto, come se fosse una cosa naturale, come se facesse parte di lui.
    Un libro aperto, e questo la rese quasi invidiosa perché lei al posto suo preferiva coprire le sue debolezze invece che metterle a nudo.
    Fossi anche io capace di una cosa simile… forse… il suo sguardo si abbassò leggermente un po’ malinconico prima di sospirare.
    « Resta lì. » gli intimò sorridendo prima di andare a frugare nella sua borsa alla ricerca del suo mini medikit.
    « Combattere le ingiustizie… parla delle sue debolezze come se fossero una cosa normale… che tipo strano… però… » sussurrò a sé stessa lasciando che il flusso di pensieri si facesse largo tra le sue labbra. Gli dava le spalle, e sebbene le sue mani cercassero quella mini pochette, il suo sguardo cadde su un libretto dalla copertina rossa in pelle – forse un vecchio sketchbook riadattato per prendere appunti – per poi afferrare ciò che cercava e dirigersi verso di lui.
    In quei pochi passi, mentre si accingeva a sedergli affianco pensò che forse avevano più cose in comune di quanto se ne potesse aspettare.
    Lui la lasciò avvicinare, non si scostò quando la ragazzina gli si mise affianco mentre con grande fatica mise anche lei a nudo la sua debolezza, o per meglio dire la sua disabilità.
    Non era di sicuro la prima volta che le capitava di parlare con qualcuno in proposito, ma la sensazione di disagio era sempre la stessa tutte le volte.
    « Ma guarda che bella botta hai preso… E’ tutta colpa mia. Ora però resta fermo, ce la fai? » lo punzecchiò con uno sguardo quasi di sfida mentre i suoi occhioni ambrati si specchiarono in quelli di lui.
    Portò la salvietta sulla sua fronte e sfregò la feritina delicatamente come se stesse lucidando qualcosa di prezioso.
    Il ragazzo non disse nulla, rimase in silenzio, e mentre Mirai era intenta nella sua operazione notò con la coda dell’occhio che il ragazzo prese la parola poco dopo.
    Rimase interdetta per pochi istanti mentre osservava gli occhi di lui perdersi nel vuoto e le sue labbra proferire parole che la lasciarono di stucco.
    Non disse nulla, lo lasciò finire, e non sapeva perché ma in quel momento sentì una strana emozione salirle fino agli occhi. Non riusciva a capire il perché quelle parole l’avessero mossa così tanto, ma forse era perché sembravano quelle di una persona diversa da quella che aveva visto fino a quel momento.
    Forse perché lo aveva giudicato male fin dall’inizio e si sentiva in colpa?
    Forse perché nessuno le aveva mai detto cose simili?
    Scosse leggermente la testa per riprendersi e continuare a massaggiare la ferita.
    « G-Grazie. Non ce ne sono molti come te. Ma sono felice di sapere che sei un ragazzo per bene. Nonostante i tuoi modi siano … un po’ da rivedere. Già. » balbettò un poco sentendosi davvero in colpa per come l’aveva trattato fino a quel momento.
    « Ecco fatto e ora… » ripiegò la salvietta e la rimise nella sua bustina – MAI GETTARE IMMONDIZIA SULLA SPIAGGIA! – e la rimise nella sua pochette mentre si apprestava a staccare le linguette del cerotto lo strano tipo continuò il discorso.
    Le domande che seguirono la spellatura del cerotto dalle linguette la colpirono e l’affondarono nello stesso istante.
    «Beh… ecco… » non sapeva cosa dire, o forse lo sapeva e non lo voleva dire.
    Non voleva ammetterlo, aveva paura, o forse era un peso che era così abituata a portare che non voleva abbandonarlo.
    Eppure, in tutto quel tempo, da quella fatidica notte su quella stessa spiaggia… quel peso stava diventando sempre più ingombrante.
    Non ci riuscirò mai… la stava trascinando sempre più in basso e lei era la prima a sapere che se si fosse liberata di quel macigno sarebbe diventata una ragazza migliore, senza più timore di nulla.
    « Non è semplice mettere in luce le proprie debolezze. » sussurrò con un fil di voce « Diciamo che… tenerle nascoste è l’unica difesa che ho. » quel macigno adesso le stava in gola e quasi non riusciva neanche a parlare di questo e il suo sguardo lo diceva chiaro e tondo.
    Nel mentre lui le chiese scusa di nuovo per il fatto che non sapeva che lei fosse sorda, Mirai scrollò le spalle.
    « Aaahh, e come potevi fare a saperlo? Hehe… so nascondere bene la mia disabilità. Non per questo, riesco a capire le tue parole senza sentire la tua voce. » oramai faceva tutto parte del naturale corso della vita di Mirai.
    Anche se voleva dare una svolta alla sua vita non riusciva ancora a fare un ulteriore passo in avanti e liberarsi di tutti quei pesi che si portava dentro.
    « Sai. Devo dire che un po’ ti ammiro. » commentò riguardo al discorso che aveva avuto prima.
    Per te… sembra essere tutto così naturale… come se le tue debolezze fossero una cosa da niente, solo delle piccole cicatrici sulla pelle. Per me… non è così e forse non lo sarà mai…
    Si avvicinò alla sua fronte e con delicatezza gli incollò il cerotto proprio dove aveva quel piccolo taglietto e lo strofinò un pochino per farlo attecchire ben bene.
    « Ecco fatto. » si sentì soddisfatta del lavoro e ripose le altre pellicole rimase nella borsettina per poi tornare giusto in tempo a leggere le ultime domande che le pose prima di restare in silenzio e portare lo sguardo fisso su di lei.
    « Awmmhnn … » mugugnò mentre si grattava con un unghietta una guancia che era diventata leggermente rossa, e per un istante provò a fuggire dallo sguardo di lui ma fu tutto inutile.
    Troppo magnetici quegli occhi, non le avrebbero permesso di scappare: era come se guardassero dentro la sua anima.
    « Mi sento in colpa per averti giudicato prima ancora di conoscere che tipo di persona sei. E poi ti ho fatto male. Sarei davvero una persona crudele e psicopatica se non provassi neanche a rimediare al danno che ho fatto. No? »
    OOOOOOHU L’HO DETTO. Mamma mia che imbarazzoooh…. strinse i denti in un sorriso che non aveva altro che nervosismo stampato sopra.
    Sospirò, cercando di non mostrare quanto le sue mani stessero tremolando reggendo la borsettina.
    « E poi. Cosa ci avrei guadagnato a sputarti in faccia? » avrebbe voluto abbassare lo sguardo ma non ce la fece e l’imbarazzo iniziò a crescere molto più di quanto si fosse aspettata. Quasi si trattenne dal dire le parole che si apprestò ad aggiungere, quasi.
    « Io n-non ci avrei guadagnato nulla. No, n-n-ulla. E tu avresti perso una persona con cui “ s-socializzare “. Quindi alla fine nes-s-suno di noi avrebbe ricavato nulla da questo… bisticcio. Ecco. E ho pensato che fosse un peccato. Ecco. Tutto qui… » sorrise per poi alzare una mano tremolante e andare a sistemarsi il cappuccio leggermente più in basso del normale, sempre coprendo le orecchie ma mettendo un po’ più in vista il suo volto angelico.
    L’ho… davvero detto?...aaaaww …. Che situazione… e ora? Forse dovrei aggiungere qualcosa… forse dovrei …forse… un tripudio di pensieri quasi la divorò finchè non le venne in mente di fare la cosa più naturale del mondo.
    Presentarsi.
    La mano leggermente tremolante si avvicinò in direzione del petto di lui e Mirai abbassò leggermente lo sguardo per poi sussurrare a voce bassa:
    « Puoi chiamarmi Mirai, Mirai Ishigami. Avrei dovuto presentarmi un po’ prima. S-sc-scusami. Ehehh… »
    Lasciò che il ragazzo si presentasse a sua volta.
    Il suo stomaco si contorceva, una strana sensazione che l’aveva colta anche quando era stata al Tanabata con Yoshito. Forse era simile o forse no, non lo sapeva ma la cosa la faceva sentire irrequieta.
    Nonostante questo cercava di mantenersi più calma e tranquilla possibile all'esterno ma non sapeva quanto potesse essere efficace tutto ciò.
    In tutto questo si era dimenticata delle cuffiette pelose che si portava appresso e che erano perse chissà dove sulla spiaggia.
    « Come fai…» quelle parole le uscirono spontanee, nessun pensiero dietro, nessun aggancio logico alla presentazione di poco prima, stava letteralmente parlando con uno sconosciuto di una cosa così delicata? « Come fai a… non temere che qualcuno scopra le tue debolezze? Come fai ad essere così sicuro di te da non importartene…? » fu il cuore a parlare stavolta.
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    Più quella strana conversazione andava avanti, più Akahito ebbe l'impressione che Mirai fosse alquanto... buffa, nel senso positivo del termine. Era un po' goffa nei modi di fare, ma quella stessa goffaggine la rendeva quasi... tenera? Sì, poteva essere il termine giusto, benché per il nostro Vigilantes Mirai fosse ancora un bel po' particolare.Beh, perlomeno si era degnata di ammettere che forse il volume dello stereo era un po' troppo alto.
    «Adesso non ti allargare troppo.»
    Pronunciò quelle parole freddo, fulminandola per un attimo con lo sguardo, quando Mirai lo bacchettò dolcemente sul fatto che, sotto sotto, fosse in grado di spiegare le cose con calma. Sì, ne era consapevole, aveva degli sbalzi d'umore improvvisi ed era una delle persone più contradditorie di questo Mondo: nonostante ciò, gli dava comunque noia che Mirai glielo facesse notare, nonostante quelle parole non furono comunque sufficienti a far sì che Akahito potesse seriamente prenderla in antipatia, diciamo.
    Mentre Mirai si allontanò per recuperare il suo mini kit-medico, Akahito ne approfittò per lanciare un'occhiata alla canna da pesca: se ne stava ancora lì, perfettamente ferma. Se non fosse stato per un po' di venticello, non si sarebbe mossa di un centimetro. Chissà se qualche pesce aveva abboccato e si era pappato tutta l'esca, per poi fuggir via: era probabile fosse accaduto, d'altro canto il nostro Vigilante aveva speso l'ultima mezz'ora ad avere a che fare con Mirai e la sua apparente follia.
    Pazienza, comunque, alla fine - come anche specificato prima - il giovane dai capelli blu non si era diretto in spiaggia effettivamente per pescare, quanto più per rilassarsi (e che relax).
    Intanto, il sole aveva incrociato già l'orizzonte del mare ed aveva preso delle tinte arancio che illuminarono sia la spiaggia sia Mirai e Akahito stessi: era giunto il tramonto.
    Annuì alle parole della ragazza, quando tornò, senza opporsi ai suoi gesti, restandosene lì fermo come se fosse un cagnolino. Era tutto sommato piacevole, Akahito ebbe per un attimo la sensazione che qualcuno si stesse prendendo cura di lui, una sensazione che era solito provare soltanto con la governante di casa sua, Sumiko.
    Mentre Mirai passava il fazzoletto sulla sua fronte, Akahito tentò una o due volte di incrociare il suo sguardo in movimenti impercettibili; movimenti di cui, probabilmente, la ragazza avrebbe faticato ad accorgersi. Voleva scrutare il suo sguardo, provare a capire cosa mai potesse passare nella mente di quella ragazza così stranamente gentile con lui.
    «E perché la tua dovrebbe essere una debolezza?»
    Domandò, in maniera genuina, come se davvero non riuscisse a comprendere il motivo per il quale Mirai dovesse considerare il suo Corredo - o il suo essere sorda, in generale - una debolezza.
    «Non capisco.»
    Continuò, scrutando attentamente il movimento delle mani di Mirai mentre maneggiava quel cerotto.
    «Io sto parlando e stai capendo quello che dico. Mi stai rispondendo, e sei perfettamente in grado di parlare. La vita ti avrà anche messo sulle spalle un piccolo fardello, ma è altrettanto evidente che tu sia riuscita a gestirlo egregiamente, mi sbaglio Ragazza Psicopatica?»
    Domandò, come al solito senza alcuna cattiveria, solo tanta freddezza e serietà, nonostante le proprie parole fossero dotate di un significato intrinsecamente dolce, tutto sommato.
    «Certo, non senti se il volume dello stereo è troppo alto, ma potresti farci attenzione semplicemente vedendo sulla manopola a che livello si trova, non è che ci vuole un geni--- un attimo ma tu puoi sentire la musica?»
    Una nota di confusione accompagnò la domanda del nostro Vigilante, come a smuovere quella perpetua neutralità che tanto la caratterizzava. No, Akahito non era a conoscenza del fatto che probabilmente le persone sorde potessero adottare stratagemmi alternativi per ascoltare la musica, come per esempio utilizzando le vibrazioni sonore e altri metodi.
    Dopo quel discorso, poi, Mirai gli attaccò il cerotto che aveva maneggiato sulla fronte, e Akahito avvertì di nuovo quella strana sensazione da cui era stato avvolto qualche minuto prima.
    «Beh, non lo so, di solito sputare in faccia alla gente che ti sta sulle palle è liberatorio. Anche se, a pensarci meglio, non mi capita spesso.»
    Constatò, mentre si accorse del rossore che era accorso sulle guance della ragazza, che a quanto pareva doveva essersi imbarazzante. Beh, forse sarebbe stato meglio deviare il discorso, parlare di sputi non era del tutto appropriato (?) anche se di certo non era per quello che le guance di MIrai erano state improvvisamente colte da quella tinta scura.
    «Innanzitutto ti consiglio di calmarti, così rischi di svenire.»
    Le consigliò, quando si accorse che la Vigilante aveva preso a balbettare come se non ci fosse un domani, temendo che questa potesse improvvisamente crollare sulla sabbia.
    «Se proprio vuoi saperlo, non sono un tipo che ama tanto socializzare.»
    Precisò, poi, tirando un sospiro. Era la verità, tutto sommato. Akahito non aveva mai intenzione di fare amicizia con le persone ma, nel momento in cui iniziava a parlare, tendeva a diventare un fiume in piena ed era difficile fermarsi. L'ennesima delle contraddizioni che accompagnavano le sue giornate.
    «Io mi chiamo Akahito Mori.»
    Si presentò, con lo stesso tono serio di poco prima, come se non avessero effettivamente cambiato discorso, presentandosi. Mirai Ishigami, così aveva detto di chiamarsi.
    Scrollò le spalle, quando la ragazza dai capelli rossicci gli fece quella domanda.
    «Non si tratta di essere sicuri di sé stessi, si tratta semplicemente di constatare oggettivamente ciò che si è. Non considero le mie debolezze in quanto tali, quanto più come semplicemente sfumature del mio carattere - poi lavorare sul correggersi è un altro discorso. Ognuno di noi nasce in un certo modo, ciò che siamo è sì influenzato dall'ambiente in cui siamo cresciuti, ma per l'altra parte no. Siamo noi e basta.»
    Come al solito, Akahito dava libero sfogo ai suoi pensieri filosofici che - sensati o meno - erano ogni qualvolta proferiti in maniera perfettamente coscienziosa e convinta. Sì, Akahito Mori era terribilmente convinto di tutto ciò che diceva, sia che ciò fosse giusto che non.
    «Perché dovresti avere vergogna di un certo aspetto di te stessa? Aspetto che, fra l'altro, sembri aver imparato a gestire bene, come ti ho detto prima.»
    Domandò. Per Akahito la domanda di Mirai era del tutto incomprensibile ma, probabilmente, lo era soltanto per lui. Il disagio provocato da una condizione come quella che si era ritrovata a vivere Mirai era evidente, rispettabile ed intuibile; eppure, l'ingenuità di Akahito gli impediva di vederlo.

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