In The Garden

Single Quest - Tobi Fukuda

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    [ Narrato. | -Parlato.- ]
    La polizia presto arrivò sul posto, seguita dai suoi colleghi di Providence e da altri Heroes - un dispiegamento di forze notevole, del resto aveva comunicato la presenza fisica del terrorista più ricercato del momento. Dovette quindi informare tutti della sua fuga, e nonostante nessuno paresse fargliene una colpa non riusciva a non sentirsi inadeguato, nella sua mente, mentre abbassava lo sguardo e fissava i propri stivali. Non doveva fuggire, e lui lo aveva lasciato fuggire, non aveva nemmeno provato a fermarlo se non a parole. Questo faceva di lui un pessimo eroe? Probabile, al momento non gliene importava più di tanto, ma non poteva evitare di sentirsi, appunto, inadeguato dinanzi a decine di persone che prendevano il loro lavoro sul serio. Voleva solo tornare a casa, ma in quel momento sembrava non gli fosse concesso nemmeno quello, tutti avevano decine di domande per lui, dovette fare rapporto a Providence, alla polizia e poi tornare in ufficio a Providence per altre formalità. Sumire fu libera di tornare a casa prima di lui, ma anche a lei fecero una dose di domande niente male. Dovettero anche lasciarsi sottoporre ad una visita medica e ad entrambi furono prelevate due fiale di sangue per scongiurare possibili intossicazioni, avrebbero ricevuto i risultati l'indomani stesso: probabilmente sarebbero dovuti rimanere in osservazione almeno per una notte, ma in una situazione di crisi come quella con gli ospedali al collasso, l'assenza di sintomi evidenti fu sufficiente a farli mandare a casa, non che Tobi avesse qualcosa da protestare. La giornata, dunque, fu ancora piuttosto lunga, ma alla fine di essa il giovane fu libero di lasciarsi cadere sul morbido materasso della sua stanza da letto.
    il mattino dopo sbatté pigramente le palpebre, indolenzito dove era stato colpito dall'onda di quel biondino malefico, ma tutto sommato indenne: fissò il soffitto per qualche minuto, in silenziosa contemplazione, dopodiché afferrò meccanicamente il cellulare e notò che c'era qualche tacca di connessione in più rispetto a quella pessima di cui aveva goduto per i giorni precedenti - e sapeva che la sua zona non era nemmeno una delle peggiori in quel senso. Per un momento richiuse gli occhi, senza volersi costringere a pensare alle implicazioni: voleva solo rimanere nella sua bolla di pseudo-esistenza ancora per un po'. Finché non si alzava, in qualche modo, chiuso in quella stanzina esisteva nel suo universo di grata solitudine, un universo privo di farfalle o di qualsivoglia altro essere vivente. Il suo cellulare vibrò, distraendolo nuovamente dal suo piacevole limbo, ed a quel punto Tobi sospirò e si arrese all'inevitabile: al resto del mondo non importava se lui era stanco e voleva essere lasciato in pace, la sua stanza non era una singolarità spazio-temporale e che lui si fosse alzato o meno la vita non si fermava. Il messaggio era di Yuya, osservò con indifferenza il suo buongiorno e la sua richiesta di informazioni dopo che non le aveva risposto la sera prima: comprensibilmente voleva sapere come stavano lui e Sumire, non sapeva di preciso cosa facevano, ma sapeva che avevano una qualche missione quantomeno. Lo lesse dall'anteprima, senza ancora aprirlo perché non voleva farle sapere che aveva letto o gli sarebbe toccato risponderle subito. In realtà, per una qualche bizzarra associazione di idee il messaggio di Yuya non fece altro che ricordargli che non sentiva sua madre dal due novembre. Normale, del resto era un'infermiera e le strutture ospedaliere erano sovraccariche di lavoro, ma forse avrebbe dovuto provare a farle una telefonata più tardi. Non era sicuro che gli fosse passata tutta la rabbia e la frustrazione che provava nei suoi confronti, ma con la crisi che c'era in corso probabilmente avrebbe fatto meglio a mettere da parte le sue divergenze e fare il bravo figlio. Che seccatura. Brontolò pigramente, si alzò dal letto quasi rotolando giù (maledetti letti occidentali, così alti) e si diresse verso la cucina con un gran sbadiglio, ancora vestito nel suo pigiama invernale grigio-azzurro con la stampa di un piccolo narvalo sul petto. Mise a scaldare il caffè e si sciacquò la faccia con il rubinetto della cucina, asciugandosi poi col pigiama stesso e posandosi al banco con il sedere e le braccia. Infine se ne rese conto: non aveva acceso la luce. Eppure ci vedeva, com'era possibile? Il suo sguardo si rivolse alla finestra più vicina e notò che... c'erano ancora delle farfalle appiccicate (o forse spiaccicate? difficile a dirsi), ma erano molte meno.
    -Cazzo.- Sussurrò. Il suo collo scattò verso il televisore del salone, quasi si tuffò sul telecomando posato sul divano, accese su un notiziario qualunque ed ascoltò con attenzione. Senza distogliere lo sguardo indietreggiò nuovamente fino alla cucina per prendere il suo caffè e tornò a sedersi sul divano. Il numero esatto di vittime era ancora da stimare, il bilancio sembrava disastroso ed alcune zone sembravano essere compromesse in maniera quasi irreparabile, ma era finita. Era arrivato il momento di raccogliere i cocci e ricostruire, i terroristi si erano ritirati. La vittoria non fu dolce come Tobi si aspettava, si sentiva un po' amareggiato ed era certo che non esistesse un vero vincitore in tutto ciò, in fin dei conti se Hanzo aveva ragione di lì a qualche generazione ne avrebbero pagato tutti le conseguenze. Ma sapere che forse presto avrebbe riavuto indietro la sua vita gli donava una certa serenità, ed anche l'amarezza che veniva dalla mancata comprensione reciproca fra Hanzo ed il popolo giapponese andava scemando. Per un po', forse, poteva concedersi di non pensarci. Cercò Sumire, se stava ancora dormendo avrebbe provato a svegliarla - pur non entrando nella sua stanza ovviamente, limitandosi a bussare, dopodiché riprese in mano il cellulare e rispose a Yuya che stava bene, si scusava di essere sparito, le accennava le peripezie del giorno prima e le chiedeva se aveva saputo della buona notizia. Contattò anche i suoi amici in quella stupida chat di gruppo - o gli rispose in caso fossero stati loro i primi a rompere il silenzio - ed infine suo fratello, poi posò di nuovo il cellulare sul tavolo del salone e tirò un lungo sospiro soddisfatto. Dulcis in fundo, di lì a poco ricevette un messaggio su Qmail dal suo referente a Providence che lo invitò a prendersi una giornata libera. Sorrise stupidamente al leggerlo, gli sembrava di aver lavorato per mesi ininterrottamente, il cielo oscurato e le poche ore di sonno non aiutavano la sua cognizione del tempo, per non parlare degli elevatissimi livelli di stress a cui operava.
    Finalmente un po' di pace. Non si cambiò nemmeno, quel giorno, rimase chiuso fra le quattro mura dell'appartamento di Murakami in pigiama, alternando videogiochi ad altre attività. Cucinò un buon pranzo per entrambi, nulla di straordinario vista la carenza di ingredienti, ma ci lavorò attentamente per renderlo quantomeno celebrativo nella presentazione e nei sapori un po' più ricercati. Era di buonumore, davvero, come non lo era stato da veramente molto tempo, e perdurò fino all'ora di coricarsi. Si stese sul morbido materasso con un sorrisetto soddisfatto e gli occhi un po' stanchi - aveva fatto un po' tardi con Sumire per vedere qualche stupidaggine in TV. Il giorno dopo sarebbe dovuto tornare a Providence, ma non se ne pentì minimamente: aveva voluto che quella giornata durasse il più possibile. Posando il cellulare sulla scrivania, ricordò di non aver più telefonato a sua madre, ma ora era decisamente troppo tardi per farlo. Pazienza, la telefonata sarebbe slittata al giorno dopo.
    Provò a chiamare la mattina stessa, sua madre non gli rispose ma era tutto sommato comprensibile, d'altronde si era svegliato molto presto per andare in ufficio, magari era ancora a letto, o magari era ancora in turno se le era toccata una notte. Eppure un lieve senso di disagio lo funestò. Lo scacciò con determinazione e proseguì la sua giornata. Tentò di chiamare anche in pausa pranzo, ancora nulla, ma non aveva troppo tempo per preoccuparsene perché di lì a poco avrebbe ricominciato a lavorare. Senza che nemmeno se ne rendesse conto, si ritrovò a chiamare sua madre a ripetizione, col cuore in gola, il minuto esatto in cui terminò il turno e si avviò verso casa munito della sua autorizzazione. Diretto a Ginza, cambiò direzione a metà strada quando alla decima telefonata sua madre ancora non gli rispondeva. Si sforzò di ricordare il nome di quel piccolo ospedale in cui lavorava ma non gli venne, dunque si limitò a cercare su internet il nome della zona seguito dalla parola "ospedale" e lo trovò quasi subito. Telefonò ed attese, tamburellandosi su un braccio. La segreteria gli rispose e con il cuore in gola chiese di sua madre, specificando che lavorava lì e che era il figlio: fortunatamente la segretaria si ricordava di un Tobiko e non esitò a credergli, ma immediatamente dopo calò un silenzio terribile. Sì, è qui. La segretaria confermò, ma Tobi non fraintese nemmeno per un istante che sua madre potesse essere lì in turno, il tono lapidario che la donna aveva usato lasciava ben poco spazio all'immaginazione. Quasi gli cadde il telefono, gli girò la testa e le gambe gli si fecero molli per qualche istante, ma si contenne. Non disse più una singola parola, mentre l'infermiera gli spiegava cos'era successo: un semplice spiraglio nel suo DPI, aveva accolto una barella all'ingresso e pochi metri dopo era collassata a sua volta.
    -Fukuda-kun, sei ancora al telefono? Fukuda-kun?-

    Tobi era seduto su una stupida sedia di metallo nell'angolo di una stanza di ospedale con il pavimento blu vagamente gommoso e le pareti di un fastidioso ocra sbiadito. Sarebbe stato poco corretto definirla la stanza di sua madre, in quanto era una stanza predisposta per quattro pazienti in cui ne erano stati stipati sei: si vedeva che avevano provato a ricavare un angolo di privacy per Asako Fukuda, una sorta di trattamento di favore per un dipendente, ma non le avevano concesso più di un metro in più rispetto agli altri. A separare lei e Tobi dagli altri degenti, una misera tendina di quello stesso stupido giallo ocra. Godevano inoltre di un posto privilegiato, vicino alla finestra, potendo bearsi della luce naturale. Ma nulla di tutto ciò faceva differenza per Asako, profondamente addormentata sul suo letto ospedaliero lievemente rialzato. Suo figlio la fissava con sguardo serio, quasi imbronciato, con le narici dilatate in un tentativo di controllare la respirazione che tendeva ad accelerare.
    Perché stava succedendo a lui? Perché non aveva un attimo di pace? Possibile che non gliene andasse mai una dritta? Era assurdo ma tutto ciò che riusciva a provare per sua madre era rabbia, in quel momento, non era riuscita a stargli vicino per tutta la sua vita ed ora pensava di potersene tirare fuori a quel modo? Proprio mentre avevano quel discorso in sospeso? Era solo una vigliacca, non faceva altro che scappare e scappare, senza mai affrontare la realtà, e questo era doveva essere il suo ultimo addio. Ma Tobi non l'avrebbe lasciata andare così, non poteva scappare anche quella volta. Adocchiò l'orologio: doveva andare se voleva arrivare puntuale in ufficio. La vita non si fermava. Si alzò, si avvicinò al letto e fece calare delicatamente la sua mano aperta sulla spalla di sua madre. Si arrestò a qualche centimetro dal corpo della donna, come se si fosse bloccato. Espirò dal naso, chiuse la mano a pugno e la posò comunque piano sulla spalla della donna.
    -Dobbiamo ancora finire quel discorso.- Mormorò, funereo. -Non lasciarmi.- Gli salì un nodo in gola a quelle ultime due parole e si ritrovò a stringere il pugno sino a farsi sbiancare le nocche. -Non lasciarmi.- Ripeté, a voce bassa, stringendo i denti e vedendo le gocce salate che gli sgorgavano dagli occhi cadere verso il basso e bagnare il lenzuolo. -Merda.- Sussurrò, asciugandosi con la manica della giacca nera che portava ed avviandosi verso l'esterno.
    Nelle settimane a seguire quella sedia di alluminio fu occupata da Tobi quasi ogni giorno. Talvolta si aggiungevano altre sedie, i suoi amici passavano quando possibile e quando non erano a loro volta impegnati con le loro mansioni, il visitatore più frequente era Yuya, che fu un supporto morale incredibile per Tobi in quei tempi duri. Anche Daichi, il fratello di Tobi, avrebbe voluto tornare in Giappone per far visita alla madre, ma trovare dei voli che partissero dal resto del mondo per arrivare nel Sol Levante era una vera e propria impresa a causa della perdita dell'aeroporto principale di Tokyo ed il conseguente dirottamento di tutti i voli negli aeroporti più vicini. Era faticoso anche solo trovare voli nazionali, figurarsi partendo dal Vietnam - dove Daichi si trovava in quel momento. Cercava di farsi vivo con telefonate e live il più spesso possibile ed aveva finito inevitabilmente per conoscere a sua volta Yuya, ma purtroppo era il massimo che potesse fare.
    E la situazione non cambiò di una virgola per due mesi.
    A metà gennaio, a sedersi con Tobi fu un medico, storico collega di sua madre, uno dei pochi che conosceva anche lui e l'unico reale candidato papabile nell'eventualità la donna avesse deciso di risposarsi - cosa ovviamente poi sfumata nel nulla, ma su cui lui e Daichi avevano discusso a lungo. Fece il punto della situazione con il ragazzo, e non aveva nessuna buona notizia: la donna sembrava reagire negativamente a qualunque tipo di terapia. Non peggiorava, no, rimaneva addormentata senza grossi cambiamenti, ma non dava nemmeno il minimo cenno di volersi risvegliare. Le canoniche otto settimane erano già scadute, erano a metà della decima a dire il vero, e purtroppo ciò significava che la possibilità che la donna si risvegliasse (quantomeno nel possesso delle sue facoltà) era sempre più sottile. Era strano, parlare di "stato vegetativo" capitava spesso con gli amici, soprattutto in età scolastica, anche solo per prendersi in giro scherzosamente quando uno si dimostrava particolarmente duro di comprendonio o assente. Eppure, quando il medico pronunciò quelle due parole - seppure solo come un'ipotesi da considerare, per ora - Tobi si ritrovò a prendersi il viso fra le mani per nascondere gli occhi lucidi e le sue espressioni straziate.
    -Chiedo scusa.- Riuscì solo a mormorare, mentre sentiva il medico posargli una mano sulla spalla senza sentirlo davvero. Non era l'unica, la signora Fukuda, si parlava di migliaia di vittime, lei era solo una delle tante. Eppure l'ultima volta che si erano visti di persona avevano litigato, e non avevano mai fatto pace, e Tobi si sentiva un verme. Era tutta colpa sua, rovinava sempre tutto, quel mondo non era fatto per lui. Quel mondo non era fatto per lui.
    Avvisò Sumire che non sarebbe tornato, quella sera, e si diresse invece alla sua vecchia casa in periferia: varcò la soglia alle otto di sera, eppure prima di cenare decise di pulire approfonditamente la villetta, finendo per non mettere nulla sotto i denti prima delle ventidue. Non c'era granché in frigorifero, si limitò a mangiare un paio di uova marinate nella salsa di soia e del finocchio che trovò in una vaschetta.
    Si avvicinò al piccolo altare tradizionale recante la foto di suo padre e qualche candela, e si lasciò cadere a terra dinanzi ad esso, concedendosi per la prima volta dall'inizio di quella tragedia un lungo pianto scosso dai singhiozzi.
    -Papà...- Articolò, fra gli spasmi. -... Fa' qualcosa.- Lo pregò, sfiorando la foto con poca delicatezza e finendo per farla cadere all'indietro sul ripiano in legno su cui era posata. Non aveva dormito granché nei giorni passati, dunque finì per addormentarsi proprio lì, sul tatami che aveva lucidato poche ore prima. Ovviamente, la mattina dopo si svegliò tremendamente indolenzito e con delle ostiche incrostazioni di lacrime sugli occhi.
    Si sorprese inspiegabilmente lucido, riusciva solamente e pensare ad arrivare puntuale in ufficio. Continuava a chiedersi in loop su cosa gli sarebbe capitato di lavorare quel giorno, come se la sua mente volesse tenersi impegnata, e in fondo gli andava bene così. Si lavò, si cambiò con una tuta verde di suo fratello rimasta nella sua vecchia stanza da chissà quanto ed uscì, pronto ad un nuovo giorno.
    La vita non si fermava.

    HEROES | CRONOLOGIA
    LIVELLO: 7 | ENERGIA: 750/750
    FRZ: 280 | QUI: 145 | AGI: 300


    CITAZIONE
    Ho aperto qui perché è ambientata a cavallo di più luoghi (?) e non ne trovavo uno più corretto. L'ospedale è in periferia, vicino il distretto di Nishitama.
     
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    Molto carina ed emotional :zizi:.
    Tobi: +25 EXP

    Chiudo :**:
     
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