Guilty Instant

Free Role | Kishou & Raoh

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    Lo sguardo dell'uomo dai capelli grigi si posò sui fogli bianchi che erano poggiati ora sulla sua scrivania di legno scuro, facendo scivolare le dita sulla superficie per ritirarli con cura all'interno di un raccoglitore voluminoso. Kishou Sazama si stupiva di quanto gli esseri umani e la loro società facesse ancora affidamento alla carta, un'invenzione che ormai superava il millennio e che aveva fatto il suo corso, per i loro affari più importanti e che non valevano la fragilità di quel materiale. Era quasi ironico che il computer portatile che aveva sulla scrivania, un macchinario che poteva essere definito un quasi-catorcio ma pur sempre al passo coi tempi, non venisse ritenuto valido per molte delle pratiche che coinvolgevano la popolazione giapponese. Con l'informatica si poteva fare quasi tutto, glie lo aveva sempre ripetuto l'ormai anziano padre in tutti gli anni di lavoro in quell'ambito. Eppure molta gente preferiva i reperti archeologici che aveva di fronte e che ingombravano la maggior parte delle librerie del piccolo ed angusto ufficio. Un tempo c'erano molti libri di legge ben rilegati, che si era fatto spedire ed esponeva con un certo orgoglio. Ora invece aveva dovuto cedere alla praticità di non poter seminare raccoglitori e altri documenti per tutta la stanza e quella bella collezione era semplicemente dentro una scatola di cartone dietro la scrivania. Quei caratteri gli sembravano ferite nere verso i suoi occhi affaticati, il cervello pronto a decifrarli ma gli organi visivi non particolarmente contenti di riceverli. Avrebbe potuto evitare quella sofferenza se la gente avesse seguito i protocolli con cura, affidandosi al sistema automatizzato, ma ultimamente gli capitavano solo richieste come quella. Nella sua follia lavorativa pensò che quegli archivi potevano benissimo passare come una specie di museo di opere antiche, considerato che poco lontano da dove abitava c'era persino un hotel ultramoderno con tanto di robot alla reception ed in ogni stanza. Lo conosceva per sentito dire ed anche se gli sarebbe piaciuto visitarlo per provare quella strana sensazione di parlare con una macchina, non avrebbe speso migliaia di yen per una tale esperienza. Piuttosto si sarebbe comprato degli occhiali nuovi con i soldi che aveva.
    Con un gesto del del pollice e del medio accese lo schermo del telefono, notando che era ormai quasi ora di pranzo. Sospirò. Non aveva proprio fame ultimamente. Tra persone in difficoltà per l'attacco del Culto da incontrare e mille email a cui rispondere, oltre che le chiamate piuttosto frequenti del padre, gli sembrava di non avere mai un attimo per lui. Poteva andare a casa sua e godersi un po' di tranquillità, ma nella sua testa c'era quell'incessante pensiero di cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo. Non bisogna però interpretare in maniera sbagliata quei pensieri: se l'avvocato si considerava un po' folle, era perché a lui piaceva lavorare. La sensazione di poter mettere in ordine le scartoffie e risolvere finalmente il problema dopo averci girato attorno per trovare una soluzione era per lui una delle poche fonti di felicità di cui poteva essere sicuro. Ovviamente gli piaceva fare anche altre cose ma non avevano riscosso molto successo con gli altri. Eppure si sentiva spesso solo in quel lavoro, ora che si era messo in proprio al meglio delle sue possibilità. Nella sua città natale aveva i suoi colleghi che avevano più o meno la sua età e poteva scambiare qualche parola ogni tanto, mentre ora non aveva nemmeno una segretaria a cui affidarsi. Magari ne avrebbe assunta una per provare a lavorare di meno, anche se era un pensiero un po' triste per la sua carriera. Voleva fare di più, non di meno, anche se ultimamente gli sarebbe piaciuto almeno avere una pausa per pranzare fuori. Sollevò le sopracciglia e le iridi color rosso verso l'alto ammirando il condizionatore bianco che alzava la temperatura della stanza, offrendogli almeno un po' di tepore. Realizzò che effettivamente quel giorno aveva il pranzo "libero", anche se si trattava sempre di qualcosa legato al lavoro. Il giallo di una nota virtuale gli aveva ricordato che quel giorno doveva recarsi ad un locale vicino alla Todai.
    Parlando di reperti archeologici, Kishou aveva ordinato un paio di giorni prima delle foto da far sviluppare per un caso. Nulla di particolare in realtà, ma c'era questa nuova variabile di dover compiere un sopralluogo del posto per assicurare la condizione di una villetta in periferia. Una famiglia stava semplicemente accusando una compagnia edilizia di aver svolto con poca cura i lavori e che anzi, avevano causato danni al primo piano della loro abitazione. Avevano ristrutturato come migliaia di altri dopo che Hanzo Takashi aveva deciso di riempire la città di Tokyo di gas, ma sembrava che la spregevole speculazione fosse più importante della vita delle persone. Kishou scosse la testa come per dirsi di no in quel monologo interiore. Doveva rimanere imparziale per ora, visto che non sapeva ancora con precisione chi fosse colpevole o meno. Doveva far vincere i propri clienti ovviamente, ma chissà chi era il colpevole in questa situazione. Ovviamente lui propendeva per i suoi avversari, come al solito. Sapeva benissimo che le persone facevano di tutto per un po' di soldi in più ed era questo che lo faceva stare un po' male, qualunque fosse stato il caso: meglio una famiglia sventurata e colpita dall'avarizia od una compagnia che voleva approfittarsi della gente? Un dilemma morale che lo aveva colpito un po' più degli altri, negli ultimi tempi. Chiuse con delicatezza il portatile, prima di infilarlo nella sua valigetta senza neanche spegnerlo. Non cambiava nulla, no? Guardò sulla scrivania per vedere se gli serviva qualcosa, affermando tra sé e sé di aver preso tutto per fare dietrofront. Si era scordato il telefono. Chiuse a chiave lo studio, che contava di ben poche stanze. La sala d'attesa era per fortuna vuota, avrebbe odiato arrivare in ritardo perché non sapeva dire di no alle persone. Controllò che fosse tutto chiuso e per un attimo ebbe la tentazione di riaprire la porta per ricordarsi se aveva spento la luce o staccato la presa del portatile, ma lasciò perdere andando contro ogni suo istinto. Doveva farsi passare queste manie prima o poi o avrebbe perso ogni giornata venti minuti a controllare luce, acqua e gas rimasti aperti.
    Vediamo... Naoki è alle tre. Ho più tempo di quanto pensassi. - Sulla metropolitana, tenendosi con un braccio appeso e con l'altro tenendo appeso lo smartphone, controllava la sua agenda elettronica, mentre la valigia era tenuta tra i piedi. Gli piaceva mantenerla ordinata ed aveva di recente scoperto che se organizzava un appuntamento sul computer poi quello appariva anche sul telefono. Non era proprio una cima ad usare i dispositivi mobili, ma stava provando a fare del suo meglio per imparare. Gli veniva più che altro difficile capire dove diamine si trovassero tutte le applicazioni ed era un ambiente alieno e colorato rispetto al suo PC con tutte le cartelle posizionate simmetriche sul desktop. Il vagone dove viaggiava era pieno zeppo e sperava che il viaggio in qualche modo fosse più breve del solito. Spostarsi a Bunkyo era un vero inferno considerata la marmaglia di gente che si andava a creare, tra universitari e visitatori da tutto il mondo. Chissà tra quante di quelle persone si celava un criminale. Poteva già avvertirlo, quelle persone lì in fondo vestite in maniera trasandata avevano di sicuro da nascondere qualcosa. Il rumore del segnale acustico che indicava l'arrivo e la spinta lo avvisarono di smetterla con quegli orribili pensieri e di uscire al più presto. Si affrettò e tornò all'aria aperta per prendere un po' di ossigeno, anche se non c'era proprio un clima accogliente. Faceva freddo ed il sole sembrava troppo timido quel giorno per uscire. Poteva benissimo essere un giorno di pioggia ed invece c'era solo un vento che gli ghiacciava il naso e gli faceva bruciare gli occhi. Si era scordato il collirio, ecco. Era così organizzato sul lavoro che non dedicava molto tempo per pensare a quei piccoli dettagli, ma maledì semplicemente sé stesso ed andò avanti seguendo l'onda di ventenni indirizzata verso uno dei tanti bar.
    Kishou alzò lo sguardo e scorse da lontano l'imponente Todai University, non perfettamente visibile a causa della vegetazione. Era proprio un bell'edificio ed anche se non invidiava nulla della sua istruzione, doveva essere piacevole studiare lì. Aveva deciso di dare appuntamento al fotografo lì, semplicemente perché si trovava vicino al suo ufficio e poteva prendersi con calma il resto degli appuntamenti. Era l'una del pomeriggio e mancavano dieci minuti all'incontro con il signor Barakat quando l'uomo brizzolato prese posto al tavolo di quel locale famoso per i suoi pan e drink, frequentato perlopiù da universitari. Era un po' strano sedersi vicino a persone che avevano una decina e più di anni meno di lui, sperava di non dare troppo nell'occhio. Aveva indosso una giacca nera di tessuto che copriva una camicia bianca, abbinata ai pantaloni del medesimo colore scuro del soprabito. I capelli grigio scuro erano ben pettinati e raccolti in varie ciocche. La sua unica interazione era stata per ora con uno dei baristi al bancone, a cui aveva comunicato la prenotazione a suo nome e per fortuna non gli aveva dato problemi per essere arrivato prima. Si era fatto portare un menu di ciò che servivano e lo stava sfogliando in quel momento. Il fotografo gli era stato consigliato da un cliente che lo conosceva di nome e, anche se non sembrava proprio nelle sue corde, gli aveva fatto l'impressione di essere piuttosto professionale. Aveva comunicato con lui per telefono ed avevano svolto quel sopralluogo assieme ma non ci aveva parlato più di tanto, più che altro perché quella casetta in periferia era vicina ad uno dei luoghi più colpiti dal disastro e non poteva negare che vivere lì gli avrebbe dato i brividi. Lo aveva guardato scattare foto degli infissi rovinati e si era fatto fare una singola foto di fronte al cantiere in questione per testimoniare che le riprese erano recenti e non manipolate. Sotto sotto sapeva che avrebbe pure potuto farsi spedire i risultati o farseli portare al suo studio, ma era la prima volta che assumeva una persona per un lavoro del genere e voleva assicurarsi direttamente della qualità del servizio. E poi voleva rilassarsi un po' dopo tutto quel lavoro, che diamine.
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    KISHOU SAZAMA
    VIGILANTES » LIVELLO #4
    | FORZA: 100
    | QUIRK: 75
    | AGILITÀ: 100



    Edited by Ryuko - 14/2/2021, 19:57
     
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    Scheda Link | LVL PG 2 | E:100 F:20 A:25 Q:30
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    “Che periodo di merda.”
    Ormai era la frase che si ripeteva ogni mattina appena Raoh si alzava dal letto.
    Quella quarantena e quel casino che si era riversato in città non aveva reso troppo felice il ragazzo, anche perché dal suo lato egoistico, non aveva avuto più contatti con i suoi interessi principali.
    Non poteva navigare su internet, neanche sentire qualcuno, perché le linee erano interrotte e quando tornarono attive ci furono comunque degli alti e bassi per ristabilire tutto nella norma.
    Anche se era passato diverso tempo da quando era successo tutto quel gran caos, lui andava malvolentieri in posti troppo affollati e quando gli toccava andarci, beh, erano più imprecazioni che gli vorticavano in testa che altro. Non amava quella situazione, anche perché non era mai stato un grande fiducioso nei confronti del governo e della gestione di queste situazioni così assurde, complicate e delicate. A quanto pare alcune delle zone della città erano ancora inagibili, distrutte e massacrate da questi villain che si erano immolati per una missione quasi suicida, o per lo meno agli occhi di Raoh era così.
    Ma doveva andare avanti, cercava sempre e comunque di tenersi in attività, sia con il lavoro, sia bazzicare nel locale dove aveva ricevuto quella sera quella missione per l’asta illegale. Anche se era passato tutto questo tempo, il ragazzo aveva sempre avuto quella sensazione di voler sempre di più ricercare quella sensazione adrenalinica che gli aveva lasciato quella notte in quel casinò. Diavolo, quanto ne aveva voluta durante la quarantena, percepire quelle sensazioni di paura ed eccitazione era qualcosa di fantastico e che aveva ridestato in Raoh la voglia di scoprire nuove cose e ribaltare dall’ombra questa società oppressa. Almeno a modo suo… Intanto pensava al proprio benessere, poi sarebbero arrivati gli altri.
    Ogni tanto guardava il telefono per vedere se qualche messaggio nuovo era arrivato, ma nulla. Qualche volta sembrava in attesa di qualche messaggino che potesse arrivare da un numero sconosciuto, magari dove c’era scritto qualche messaggi in codice per poter fare qualche lavoretto sporco, ma anche qualche persona a cui aveva lasciato il numero di telefono, magari poteva venirgli la malsana idea di mandargli un semplice Ciao…Ma niente.
    Si trovava nello studio fotografico in cui il ragazzo lavorava, alla fine non era sua l’attività, ma era uno dei fotografi con cui i clienti volevano lavorare. In questo momento di magra, soprattutto dopo i due mesi di chiuso che lo avevano portato a tirare la cinghia sul portafoglio, aveva deciso di aprirsi a più orizzonti e dare più servizi ai clienti per poter rifarsi un giro di soldi e clientela. Non faceva più solamente foto alle modelle o le idol, bensì si era anche mosso per poter fare foto pubblicitarie, lavoretti di grafica, foto ai neonati -anche se li sopportava poco e nulla- ma anche come molto più blande e tranquille, come quel lavoretto che gli era stato affidato da un avvocato… Un certo KISHOU SAZAMA. Non lo aveva mai visto prima, né sentito dire, dato che per il momento non aveva avuto bisogno di avvocati. Non era del giro, infatti per lui era un nuovo lavoro quello: fare fotografie ad un cantiere.
    Il fotografo stava vedendo quelle foto scattate, dal pc, mentre aspettava che il corriere portasse il pacco con le foto che aveva mandato a sviluppare. Ormai è raro trovare dei negozi di fotografia che abbiano ancora la macchina che sviluppa le foto, ormai tutti si servivano da un fornitore esterno di fiducia che le stampava e spediva entro breve. Sedeva sulla sua sedia con le ruotine, tipica da ufficio, con lo schienale alto e la pelle che ne rivestiva la soffice seduta. La mano destra pigramente muoveva il mouse e con l’indice premeva i tastini su di esso per poter dare i comando al computer che aveva sulla parte sinistra della scrivania. Il Pc era uno di quelli moderni, forse aveva un annetto di età ed era di una marca famosa, adatta a quel lavoro che doveva per forza avere delle caratteristiche per mostrare delle buone foto e poter correggere le varie magagne. Lo schermo era grande, piatto e dal colore della mascherina di plastica in grigio metallizzato. Nel su ufficio aveva poca roba, in realtà era molto minimalista e c’erano solo una serie di foto stampate su quadrati di tela, dove c’erano ritratte modelle, idol e qualche paesaggio, giusto per dare un colore a quella stanza dal colore bianco e nero. La scrivania era in legno lucido color pece, sopra aveva quel computer, ma anche un agenda color verde bottiglia e alcune buste contenenti delle fatture. Dall’altra parte della scrivania aveva due sedie, forse erano utilizzate per poter far accomodare i clienti che venivano a supervisionare le fotografie o chiedere dei preventivi. Ah, quanto gli manca trattare di soldi per dei set fotografici.
    Raoh sospirò ed andò a sollevare brevemente il sopracciglio destro, mentre il volto mulatto aveva un’espressione annoiata. Gli occhi color miele si andarono a muovere sulla parte bassa dello schermo, proprio dove c’era l’orologino che segnava che ore era:
    «Andiamo, dove sei corriere?»
    Sibilò a denti stretti, mentre pose la gamba destra distesa e la sinistra rimase piegata.
    Sul corpo del ragazzo mulatto era presente un semplice maglioncino aderente color bordeaux con collo alto, seguiva bene le sue forme maschili e gli dava quel tocco di elegante ma anche sportivo. Nella parte bassa aveva deciso di indossare un pantalone simil jeans di colore nero ed ai piedi aveva delle semplici scarpe scamosciate anch’esse nere. I lunghi dreadlock li aveva tirati indietro ed alcuni di essi, per tenerli fermi, li legò in una specie di piccola matassa al di sopra del cranio, lasciando che il resto delle ciocche rastizzate ricadessero sulla schiena e spalle.
    Finalmente sentì suonare il campanello dello studio e per un momento esultò con un sospiro che si traduceva in “Era ora!!”. Si alzò ed aggirò la scrivania per poter uscire dal proprio studio, percorrere il corto corridoio ed andare ad aprire la porta. Subito si presentò il fattorino che consegnò il pacco e salutò senza attendere oltre. Raoh, già che era lì all’entrata, decise di andare a prendere il cappotto color sabbia, lasciando per un momento poggiato sul tavolino da fumo nella saletta d’ingresso -quindi d’attesa- la busta gialla ed arancio contenente le fotografie. Si infilò il copri abito, mentre si era diretto verso l’ufficio proprio che andò a spegnere le luci e chiuse la porta, ma non a chiave, dopotutto si fidava di quelli che lavoravano lì con lui, sapeva che non sarebbero entrati lì… O sarebbero state beghe per loro! Prima di chiudere l’uscio prese la sua borsa a tracolla da uomo, in pelle nera, infilandosela sulla spalla sinistra. Con voce alta disse un saluto breve al collega che era nell’altro ufficio, mentre prese il pacco e se ne andò fuori da lì. Era in orario, infatti decise che oggi poteva concedersi un taxi, infatti tramite un’app del suo cellulare ne prenotò uno, ebbe fortuna che a quanto pare in due minuti sarebbe arrivato sotto l’ufficio. Ottimo!
    Non ci volle molto ad arrivare nella zona universitaria di Todai, almeno per Raoh non era passata un’eternità, anche perché si era distratto a leggere qualche news sul telefono e scorrere qualche pagina fotografica dei vari social dove era iscritto. Appena il taxi si fermò, proprio davanti al locale dove aveva appuntamento con il signor Sazama, il mulatto si destò dalla sua distrazione ed andò a guardare fuori dal finestrino. Annuì al prezzo che gli era stato chiesto dal tassista e senza indugiare troppo lo pagò. Finalmente era arrivata l’ora di mangiare, ma anche di lavorare! Si, non poteva permettersi di perdere clienti in quel periodo così Delicato, dove ancora la gente era impaurita ad uscire e molte attività di idol e sfilate erano ancora ferme per riorganizzarsi.
    Si addentrò nel locale e subito si andò a guardare intorno, ma venne preso subito in consegna da una cameriera che, con educazione, lo salutò e chiese se aveva una prenotazione. Raoh fu breve nella sua risposta:
    «Ho una prenotazione per due, nome Sazama o Barakat.»
    Disse con tono leggermente incerto, non ricordava a che nome era stato prenotato il tavolo. Non tardò molto che la donna lo portò verso il tavolo dove era già seduto l’avvocato a sfogliarsi il menù. Raoh sollevò appena l’angolo destro della bocca sfoggiando così un’espressione più “serena”, anche se era una facciata la sua per fare il bravo ragazzo:
    «Buongiorno signor Kishou. Spero non abbia atteso troppo il mio arrivo.»
    Dette una sbirciata all’orologio appeso in sala, aveva ritardato di cinque minuti alla fine, nulla di grave…Almeno per lui. Poggiò sul tavolo, vicino al proprio posto, la busta contenente le foto, ancora sigillata, mentre si spogliò del cappotto e lo andò a poggiare sullo schienale della sedia. Si mise comodo, finalmente, mentre cercò di scostare qualche rasta dalla spalla destra e gettarli così sulla schiena. Spiccava la figura del ragazzo lì in mezzo a quegli universitari e clienti di origine giapponese.. Lui era così diverso, attirava l’attenzione non essendo il classico ragazzo giapponese, ma era un mix tra paesi Arabi ed il Giappone stesso.
    «Ha già visto cosa ordinare?»
    Chiese con educazione e dando del lei, mentre cercò di guardarlo per un momento in viso, per poi afferrare anche lui il menù e decidere cosa mangiare e bere.

     
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    La prima volta che Kishou aveva incontrato il fotografo, si era chiesto che tipo di persona potesse essere. In realtà se lo era domandato appena aveva deciso di chiamare il suo studio, considerato quanto fosse inusuale per lui ricorrere a quei servizi. No, pensandoci meglio era da quando sua madre se ne era andata che non gli passava per la testa di farsi scattare una foto da un professionista. Nella testa di Kishou tutti i fotografi erano dei signori giapponesi ormai avanti con gli anni, pochi capelli e la barbosa eleganza di un impiegato. La sua famiglia era considerata da molti dei vicini "vecchio stile", con l'amore per le foto che ritraevano tutti da appendere in casa o da conservare in album più spessi di un tavolo. Non aveva più senso farsi foto in quel mondo frenetico se non si voleva mostrare qualcosa di bello e piacevole agli altri o, al contrario, impietosirli con gli aspetti negativi della propria vita. Per lui erano uno spreco di tempo e non voleva né l'approvazione degli altri, né la loro pietà. Non odiava necessariamente quel sistema ma preferiva dedicarsi ad altro e pensare a mille altre cose che riteneva più importanti. Era un po' vecchio su quel punto di vista.
    Proprio per quella sua avversione verso le fotografie e i ricordi che aveva della sua città natale, il signor Barakat gli era sembrato estremamente curioso come individuo. Non era sicuro un quasi pensionato che faceva fatica anche a portarsi dietro l'attrezzatura, ma era un giovane intraprendente con dei capelli tutti particolari. Sapeva che a Tokyo lo stile e la moda erano unici e che spesso era difficile raccogliere tutto in ordinate categorie, ma agli occhi dell'avvocato quella pettinatura lo faceva sembrare più che altro un leone selvaggio. Chissà che faccia avrebbe fatto suo padre a vederlo con la testa conciata in quel modo. Rivedendo l'uomo avvicinarsi al suo tavolo riuscì solo ad ottenere la conferma che i rasta erano qualcosa di permanente e non una pazzia che aveva fatto una mattina. Nonostante quel bizzarro particolare (bizzarro secondo lui, perlomeno) era vestito in maniera più che rispettabile e non aveva ricevuto un'impressione sbagliata sul suo conto. Non era il suo campo quello della fotografia, ma dall'aspetto costoso dell'attrezzatura e da come lavorava gli era parso che non stesse sprecando i suoi soldi nello sviluppare quei manufatti storici che erano le fotografie nel 2023.
    Buongiorno signor Barakat. No, non si preoccupi. - Kishou aveva chiuso il menu di fronte a sé per salutare con lo sguardo il nuovo arrivato, dando istintivamente pure lui uno sguardo all'orologio. Cinque minuti di ritardo poteva sopportarli se si trattava di un rapporto professionale, anche perché non era nella condizione di poter rimproverare nessuno con i suoi dieci minuti di anticipo. Quella mania di arrivare un po' prima un giorno gli sarebbe costato un qualche appuntamento mancato o sovrapposto, ne era sicuro. Era piuttosto chiaro come a molta gente lì a Tokyo non andasse a genio chi arrivava troppo in anticipo ed anche lui voleva evitare di stare un quarto d'ora senza fare nulla se non fare il giro dei nomi delle pietanze del locale. I suoi occhi cremisi andarono sul pacco che con tutta probabilità conteneva le foto che avevano scattato qualche giorno prima, sollevandolo da qualsiasi fantasia di incidenti impossibili che avevano tristemente distrutto i reperti. Anche se lo aveva chiamato per nome quel fotografo, cosa che non gli andava proprio a genio, aveva almeno la mentalità di mettere il business di fronte a tutto che condivideva pienamente. Se l'avvocato aveva però una debolezza era però l'aspettativa di mangiare qualcosa di buono e quando il mulatto gli pose quella domanda, non poté fare a meno di distrarsi dai quei pensieri lavorativi che gli avevano fatto dimenticare di essere in un luogo dove si mangiava. Spostò lo sguardo
    Ho avuto modo di pensarci, sì. Ho sentito che qui hanno il pane fresco e ho ordinato dei katsu sando. - Il menu di Kishou era aperto proprio sulla pagina dei pan fino a poco prima e stava valutando quale tipo di carne mettere nel panino. Era un tipo di persona che nonostante l'apparenza piaceva molto variare e si chiedeva se era meglio andare sulla ricetta più classica o provarli con la carne di manzo. Si trattava di un paio di tramezzini per farla semplice, riempiti con una cotoletta, insalata, salsa di soia ed altri condimenti opzionali. Non li aveva mai provati quelli che facevano a Tokyo ma a Kanazawa erano ciò che preferiva mangiare durante la pausa pranzo all'università. Chissà se avevano un sapore diverso. Fanno pure il pane con i yakisoba, se non sbaglio, anche se mi sembra un brutto mix. - Kishou avrebbe sorriso leggermente al fotografo considerata la strana unione di quei due piatti che probabilmente creava un sapore curiosamente disgustoso e pesante. La salsa di soia era pure gradevole con lo shokupan, ma aggiungere in mezzo anche la pasta? Era probabilmente un qualcosa di pesantissimo e ripieno di calorie fino all'ultima briciola. Non che avesse particolari problemi di linea, ma voleva evitare di sembrare un ragazzino che si mangia dei mostri di carboidrati mentre l'altro ordinava solo l'insalata. C'erano molti suoi colleghi ai tempi che si mangiavano così tanta roba che si chiedeva dove finissero tutte quelle sostanze: forse nello stress? Avrebbe aspettato che il fotografo prendesse una decisione e che decidesse con calma cosa prendere, prima di continuare la conversazione.
    Spero che le foto siano venute bene. E' la prima volta che mi affido ad un fotografo, in realtà. Fa questo mestiere da tanto? - Si sarebbe piegato un po' di più sullo schienale, aspettando che arrivasse la cameriera a prendere i loro ordini. Il tono era serio ma anche curioso, sia per non lasciare i due nel silenzio che per semplice interesse personale. Non sapeva nemmeno quanti anni avesse l'uomo con i rasta e voleva verificare la sua esperienza. Non che servisse, ora che le foto erano state sviluppate ed ora sul tavolo.
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    KISHOU SAZAMA
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    Avevano entrambi usato una buona educazione, anche se Raoh, come al solito, si faceva riconoscere chiamando per nome la gente. Era stato sempre un po' quello fuori dagli schemi, che non rispettava con rigidità tutte le regole comportamentali che venivano insegnate in Giappone. Lui era più rilassato, tranquillo, non glie ne importava molto se doveva inchinarsi, chiamare per cognome o altre cavolate.. Bastava il minimo indispensabile per non apparire proprio un animale.
    Gli occhi color ambra si sollevarono sul compagno di pranzo e lo fissò, soprattutto nel suo outfit e quella pettinatura ben composta. Era un uomo che ci teneva all’aspetto esteriore, si notava, infatti al fotografo nacque un lieve sorrisetto che si dipinse sulle sue labbra.
    Andò così a prendersi il menù e con cura ne spulciò le varie specialità e pietanze più “normali”. Non era mai venuto a mangiare in quel posto e non sapeva nemmeno che cosa facessero di buono, ma sembrava che la gente apprezzasse quella roba:
    «è già stato qui a mangiare?»
    Domandò curiosamente, mentre si continuava a guardare il menù, anche se era poco convinto della cosa. Anche se leggeva la lista di ingredienti che aveva un piatto, difficilmente riusciva ad immaginarne l’accozzaglia di sapori in bocca, anche perché non era uno dalla buona forchetta e non teneva particolarmente all’alimentazione. Spesso i suoi pranzi in ufficio si limitavano a insalate miste, tramezzini da discount, oppure fumarsi sigarette e bere una cola. Pure a casa, la cena, si preparava qualcosa di più elaborato, anche se era spesso roba cotta al vapore, oppure stufata, ma niente di così complesso.
    Alla spiegazione del cliente sul fatto che ci fossero panini con dentro la pasta, Raoh aveva storto per un momento la bocca in segno di disappunto, per poi negare con la testa e muovendo leggermente i dreadlock sulla schiena:
    «Rimarrò sul classico..»
    Bofonchiò al cliente, mentre sollevò lo sguardo su di lui per fissarlo. La cameriera era arrivata ed educatamente li salutò, per poi prendere le ordinazioni dei due:
    «Mmh, vorrei quello con pollo alla piastra, lattuga e maionese. Da bere gradirei una bi-»
    Si bloccò per un momento, mentre sbuffò un accenno di risata. Non doveva bere, si era dato una regola… Almeno durante le ore di lavoro doveva stare sobrio e non cedere all’alcol. Lui adorava bere, soprattutto per non pensare ai momenti critici come c’erano adesso, dopo l’evento che aveva sconvolto Tokyo. Chissà come era partita quella malsana idea a quel gruppo di fanatici? Beh, non sembrava molto interessato al momento, bensì si era concentrato sul suo lavoro ed ora il pranzo:
    «una bibita a temperatura ambiente, facciamo una Cola. Grazie.»
    Appena i due finirono di ordinare i loro panini, Raoh venne richiamato all’attenzione dallo stesso uomo che aveva davanti. Sollevò appena l’angolo destro della bocca, mentre cercò di poggiare la mano destra sul pacchetto contenente le foto e lo allungò verso di lui, facendolo strusciare sul tavolino. Era un chiaro invito a visionare le foto, alla fine pure Raoh non aveva visto le stampe, ma si affidava a quel fornitore di stampaggio fotografico da tempo, sapeva che non lo avrebbe deluso nella qualità:
    «Ho fatto la stampa delle foto in misura 10 per 15 centimetri, ma le foto dove ci sono i dettagli in primo piano mi son permesso di fargliele fare la misura superiore, 15 per 20 centimetri, così che si possano vedere meglio. Ho mantenuto i colori uguali, naturali, senza ritoccarne la qualità di essi per mostrare l’immagine il più veritiera possibile. Per questa piccola accortezza non le metterò nel conto, diciamo che è un regalo come primo ingaggio lavorativo tra noi.»
    E così dicendo si andò a mettere con la schiena poggiata alla sedia, mentre le braccia si misero per metà sul tavolo, con le dita che posavano morbidamente sulla tavola, sulla propria tovaglietta.
    Avrebbe aspettato che l’altro dicesse qualcosa, oltre a guardare le fotografie per capire se erano state fatte bene o no, per poi riprendere a parlare. Sospirò inizialmente, mentre dette una fugace occhiata fuori dalla ampia vetrata che era posta poco lontano da loro. Arricciò il naso un momento, per poi dire:
    «Diciamo che le foto di questo tipo, come me le ha chieste lei, era da un po' che non ne facevo… Mi hanno spostato nel settore moda, principalmente Idol e fare servizi fotografici alle modelle per alcuni marchi di vestiti e profumi.. Ma poi è arrivata la catastrofe, la quarantena, quindi il capo ci ha di nuovo messo a fare servizi di ogni genere e non più specializzati in uno o due campi solamente. Non so lei come si è trovato dopo questo Caos.. Da quel che vendo e sento, sia per strada, sia in televisione, Tokyo è ancora in ginocchio, forse ora sta ricominciando a rialzarsi in piedi. O sbaglio?»
    Inclinò brevemente la testa verso destra e fissò l’interlocutore, per poi farsi pensieroso… Da quanto lavorava lì? Finì gli studi e cominciò a fare da galoppino, per poi diventare fotografo effettivo… Ma da quanto? Forse quasi dieci anni? Non lo ricordava sinceramente, forse perché non sapeva se conteggiare nella sua esperienza lavorativa anche i primi anni di “tutto fare”. Sollevò di poco le mani dal tavolo e mosse le dita alternando tra di esse per creare una specie di onda, mostrando le dieci dita:
    «Circa dieci anni sono nel campo della fotografia. Lei invece? Da quanto esercita questo mestiere?»
    E si zittì per un momento, per poi cercare di sciogliere il ghiaccio ancora di più e tentare di conoscere meglio chi aveva davanti. Magari sotto quella veste così elegante e quel portamento così educato, si nascondeva la peggiore bestia di Tokyo, oppure no?
    «Vive a Tokyo da solo? O ha una famiglia?»
    Non specificò se avesse moglie e figli, ma neanche se quel “famiglia” intendesse una madre ed un padre, magari anziani, con cui l’avvocato aveva deciso di condividere la casa.
     
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    No, ho solo letto delle recensioni online. - Rispose con semplicità, anche se poteva capire il ragionamento dell'uomo. Parlare così tanto del posto poteva far pensare che fosse in qualche modo un cliente abituale che frequentava il luogo. Per un attimo si chiese se sembrasse fin troppo giovane, anche se guardando il resto dei clienti era sicuro fosse impossibile scambiarlo per un universitario. Sapeva che c'era gente che ci metteva anni ed anni ad ottenere la laurea, ma per fortuna si era impegnato abbastanza per finire il suo percorso in tempo. Chissà se a quell'età avrebbe potuto provare a frequentare un corso nuovo, se l'elasticità mentale gli era rimasta o era andata del tutto a farsi benedire. Meglio. - Commentò l'espressione un po' disgustata del fotografo, facendo rimanere quel sorriso di prima sul suo volto. Quella smorfia gli era parsa piuttosto divertente, nonostante l'educazione e le parole che stavano usando per far sembrare quello un pranzo professionale. Kishou ci teneva a sembrare una persona seria e che non avesse strani comportamenti con gli altri, anche se quel comportamento non era sempre facile da mantenere. Era così anche per Raoh, che sembrò cambiare idea su cosa prendere da bere? Voleva qualcosa di più di una Cola e lo stava influenzando? Non sapeva se fosse semplice rispetto o uno spiacevole effetto secondario del suo mestiere, considerato quanto spesso la gente sembrasse più rigida quando sentiva che faceva l'avvocato. Pensavano che avrebbe cominciato a fare loro l'elenco delle leggi che stavano violando mentre camminavano? O che li avrebbe sbattuti in carcere se avessero usato il loro Quirk per sbaglio? Non era di certo il suo compito, anche se a volte sospettava che anche le persone che cominciava a conoscere un po' di più sospettassero qualcosa.
    Per me acqua naturale per ora. - Seguì l'esempio del compagno di pranzo, anche se la sua scelta derivava più che altro da un suo dubbio personale. Aveva già ordinato cosa mangiare ma si chiedeva cosa preferisse il fotografo. Mise quindi lo sguardo su Raoh, prima di parlargli. Se vuole qualcosa di alcolico non si faccia problemi. Anzi, non mi spiace bere in compagnia. - Cercò di rilassare un po' l'atmosfera, dopotutto non era nessun incontro ufficiale con capi di aziende. Era un po' nostalgico di bere con i suoi compagni di corso e colleghi in realtà, ma non era particolarmente propenso ad ammettere quel particolare. Gli occhi sarebbero quindi passati alla busta contenente le preziose foto, che non tardò ad aprire dopo che l'uomo glie le aveva passate. Con un gesto semplice le tirò fuori tutte assieme e cercò di essere delicato nel toccare le immagini sviluppate. Un cantiere malridotto, un muro che da quella prospettiva si può quasi avere il dubbio se sia stato costruito bene o meno, una veduta da fuori della casa. E poi c'era lui che supervisionava quel sopralluogo, un ritratto per testimoniare che fosse stato lì proprio in quella giornata. Non poteva dire di non essere venuto bene, anche se non si era messo per nulla in posa. Quel ragazzo era di sicuro bravo e probabilmente preferiva fotografare persone che edifici, anche se si trattava di barbosi avvocati come lui. Quegli sfondi erano conditi dalla spiegazione del fotografo che aveva deciso di regalare quel formato e quel tipo di fotografia anche se lui, in tutta onestà, non aveva idea di quale fosse la differenza tra sviluppare un primo piano in quel modo o meno. Probabilmente era un qualche tipo di segreto professionale.
    Oh... la ringrazio. Sono venute tutte bene. Speriamo che le visionino tutte in aula. - Avrebbe riposto quelle che poteva ormai essere considerate prove all'interno della busta, per ora lasciandola sul tavolo. Si chiedeva se dovesse aggiungere qualcosa alla conversazione ma per fortuna Raoh decise di spiegare un po' il suo di lavoro. L'uomo dai capelli brizzolati ascoltò con curiosità il discorso del suo interlocutore, alzando le sopracciglia stupito quando si mise a parlare dell'attentato di pochi mesi prima. Non aveva pensato che anche un settore artistico come quello potesse perdere clienti, anche perché al contrario di molte persone lui stesso stava esplodendo di incarichi e lavoro. Era un argomento che gli capitava spesso di affrontare con le persone tramite qualche frase di circostanza, anche se quello era un ambiente diverso. Si sistemò una ciocca di capelli un po' ribelle dietro l'orecchio sinistro, pensando un po' a cosa dire.
    Capisco, mi spiace che abbia dovuto cambiare così improvvisamente... Tema. Per fortuna, o per sfortuna il mio lavoro non è che aumentato. C'è molta gente che è finita in carcere per aver provato ad approfittare della confusione, molte altre per uso non autorizzato dell'Unicità. O come in questo caso semplicemente c'è chi specula su tutti i lavori per ripulire la città. - Fece una pausa, buttando gli occhi sulla cameriera che però stava semplicemente portando da mangiare ad un tavolo vicino. Non sono di qui, sa. Abitavo a Kanazawa fino a poco tempo fa ma è stato un peccato vedere Tokyo rovinarsi così. Mi sarebbe piaciuto fare un bel giro al parco di Ueno ma tra lavoro e altro... - Scosse la testa senza finire la frase, anche se era chiaro cosa intendesse per "altro". Era veramente un peccato vedere le parti più belle della città essere completamente inaccessibili o distrutte ed era proprio quella sensazione di vedere tutto finire in polvere senza poter fare niente che lo intristiva e lo faceva arrabbiare.
    Caspita, dieci anni. Ma quanti anni ha, se posso permettermi? - Kishou mise in dubbio la sua capacità di capire quanti anni avessero le persone, visto che quel Raoh gli sembrava al massimo un ragazzo di venticinque anni. Magari aveva cominciato a lavorare da giovanissimo? O aveva semplicemente sbagliato di molto quanti anni avesse? Avrebbe atteso una risposta, ma non avrebbe comunque fatto attendere molto per la sua. Ci pensò su un attimo, prima di parlare. Mh. Mi sa che ho fatto dieci anni qualche mese fa? Se contiamo anche gli anni di tirocinio e come stagista, più di un decennio. - Era un po' imbarazzante accorgersi solo dopo quella domanda di quel particolare che forse doveva avere un po' più di importanza nella sua vita. Poco prima che l'avvocato potesse rispondere alla seconda domanda arrivò la cameriera di prima a servire loro ciò che avevano ordinato, facendo ammirare le due pietanze a base di pane ai due uomini. Assieme sarebbero arrivati i loro drink, forse cambiati rispetto a prima. Erano piuttosto veloci in quel locale, una stella in più per loro.
    E' già arrivato tutto. Buon pranzo. - Avrebbe tentato un lieve sorriso verso il fotografo, prima di addentare il panino. Il pane era morbido e molto saporito, probabilmente sul podio dei migliori che aveva mangiato lì. Il condimento non era male, anche se probabilmente c'era di meglio. Di sicuro puntavano al primo elemento per coprire il fatto che gli ingredienti non erano freschi come quelli di un locale meno competitivo. Tralasciando però quell'analisi culinaria interiore, Kishou poteva riassumere che ciò che aveva ordinato ci stava. Non male. Per il discorso di prima, abito da solo qui a Tokyo. Mio padre è rimasto lì in Ishikawa, mi sono trasferito un po' di fretta qua. Probabilmente mi sarei già dovuto sposare ma dovrei trovare qualcuno che mi possa stare dietro. - L'avvocato aggiunse una modesta risata autoironica in seguito a quell'affermazione, anche se quella battuta aveva un fondo di verità. Le poche persone che avevano deciso di imbarcarsi sulla nave che era una relazione con lui o avevano abbandonato l'imbarcazione o le aveva fatte scendere lui.
    Lei invece? Si è già sistemato? - Prese un altro morso di tramezzino, sentendo un po' di più la carne tra i denti. Stava cominciando a piacergli un po' di più quel sandwich.
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    KISHOU SAZAMA
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    Si limitò ad annuire alla risposta su come conoscesse quel locale. Avrà sicuramente Googlato per cercare un ristorante da pranzi al volo, nulla di così sofisticato. Alla fine questa tecnologia e la rete internet avevano dato una grande svolta al mondo, compreso sulle piccole cose quotidiane, come appunto farsi consigliare da altri utenti dove si poteva mangiare. Raoh alla fine non era uno che avesse chissà che pretese, certo non gli piaceva mangiare porcherie o roba precotta, ma lì non era di certo roba da lasagna in microonde e via…
    Sembravano sfiziosi alcuni panini, altri meno. Bastava dare una sbirciata ai tavoli vicini ed infatti si era concesso il lusso di osservare qualche ragazzo o ragazza che aveva ordinato roba più farcita e ricca rispetto al suo banale panino al pollo piastrato, maionese ed insalata.
    Sospirò ed andò a grattare con l’indice della mano destra, proprio dietro l’orecchio del medesimo lato, smuovendo appena la campanellina d’oro che aveva appesa al lobo. Si, aveva entrambi i lobi delle orecchie bucate ed aveva messo per l’appunto un paio di orecchini dorati semplici a forma di piccoli cerchietti.
    Guardò con attenzione l’altro, lo fissava in viso per poterne studiare la fisionomia e quell’eleganza che aveva posto nel suo vestiario. Non era di certo pronto per un gala, ma era comunque ben vestito e in maniera professionale, impeccabile. Al suo dire sulle foto, il mulatto annuì compiaciuto e rispose con calma:
    «Benissimo, spero anche io che le usino tutte. Nei prossimi giorni le farò avere la fattura, va bene?»
    Ne era compiaciuto, la propria espressione sul viso mulatto era rilassata e manteneva sulla bocca un lieve sorrisetto che alle volte pareva enigmatico come quello della Monnalisa. La mano con cui si era un momento grattato la pelle, si sollevò un istante a mostrarne il palmo, come a bloccare quell’invito a bere. Sbuffò un accenno di risata, ma poi disse con calma:
    «Se vuole bere faccia pure, io purtroppo devo declinare. Durante il giorno, soprattutto nelle ore di lavoro, preferirei evitare.»
    Confessò una mezza verità, anche se non era di certo per il fattore che stava lavorando quella negazione, bensì perché si era ripromesso di bere meno… Poi se lo faceva durante il giorno o la sera, questo stava a lui deciderlo… Anche se per il momento pareva concedersi solo dopo il tramonto qualche bicchierino.
    Alla fine i due incominciarono a conoscersi, infatti il discorso era andato a finire sul lavoro e su come i due stessero al momento.. Soprattutto dopo la grande catastrofe che si era imbattuta sull’intera metropoli. Ma se da una parte qualcuno stava arrancando per risalire, c’era chi come l’avvocato che aveva un boom di richieste di lavoro. Raoh sollevò il sopracciglio destro e guardò con curiosità l’uomo, per poi rispondere con una lieve nota di disappunto:
    «Beh, sono contento per lei che ha questa crescita di casi e quindi di entrate… Per me.. Beh, mi adeguerò. Prima o poi tornerà tutto alla normalità. Dopotutto quante volte Tokyo è stata messa in ginocchio e si è sempre rialzata? In generale dico..»
    E si zittì, mentre guardò la cameriera che inizialmente portò da bere ai due, andando a riempire i due bicchieri di vetro ad entrambi i commensali, per poi lasciare la bottiglia tra i due. Il fotografo ricevette anche un bicchiere più alto e pieno di cola, infatti qualche secondo dopo la prese e la alzò appena, come a far cenno di “salute” al cliente. Avvicinò il bicchiere alla bocca e ne prese qualche sorso, per poi posare questo sul tavolo e tornò a guardare in direzione dell’avvocato:
    «Quel parco era magnifico. Ci feci qualche servizio fotografico tempo fa, adesso dovrò ripiegare su altri punti e zone. Chissà se lo sistemeranno come era prima o rinnoveranno anche quel posto?»
    Domandò anche a lui se magari aveva qualche fuga di notizie che gli era arrivato alle orecchie. Raoh, anche se alla luce del giorno appariva come un normale fotografo giovane e tranquillo, in realtà in sé stava studiando a dovere quell’individuo. Era un avvocato, potrebbe tornare utile in futuro una figura del genere che era intrallazzata nella legge e cose simili. Magari poteva interessare alla Yakuza una cosa simile? Mh, dubitava, alla fine quanti avvocati c’erano in quella città? Una marea! Ma, per conto proprio, magari poteva essere una preda più che sfruttabile, anche se al momento non avrebbe avuto idea di come.
    Finalmente arrivarono i panini e Raoh guardò quella pietanza che aveva nel piatto. Sembrava buono, l’odore che saliva verso il suo naso era assai delicato, semplice, proprio come lo voleva lui. Annuì soddisfatto e con calma cercò di andare ad allungare le mani verso un tovagliolino di carta che stava nel piccolo contenitore porta tovaglioli. Lo prese uno e con delicatezza aveva avvolto la parte più larga di panino per poterlo sorreggere ben chiuso, ma senza entrare in contatto con quella pietanza direttamente con la pelle. Forse era fissato con l’igiene? No, semplicemente gli dava fastidio toccare il cibo con le mani, ma solo con quel genere di cibi che rischiava di sbrodolare la maionese e succhi della carne piastrata sulla propria pelle. Alla festa dell’asta illegale aveva mangiato con le mani, si, ma erano tartine adatte per l’occasione ed erano fatte apposta per non sbrodolarsi le dita. Era una cosa di classe quella…
    Lo morse e il pane soffice era leggermente dorato sulla superficie, infatti il ragazzo sentì quel lieve scrocchiare, per poi affondare i denti e strappare un boccone che sprigionò subito un buon sapore nel palato del fotografo. Masticò a bocca chiusa e con calma si godette quella piccola prelibatezza. Mandò giù e prima di addentare ancora il panino, andò a rispondere verso l’altro riguardo all’età. Accennò un sorrisetto divertito e sollevò per un istante le sopracciglia in due perfette arcate:
    «Ah beh, se mi sta dando del giovincello, la cosa mi piace parecchio.. Ehehe. Comunque trent’anni tondi, tondi. Lavoro in quell’agenzia da quando ero molto giovane, incominciai come galoppino tutto fare, per poi scalare la vetta ed andare a prendermi il posto di fotografo…Certo, non sono il capo, ma non mi lamento. Anzi, meno pensieri…Meno problemi… Lavoro serenamente. E comunque sa, se vuole rinnovare un po’ l’immagine del suo studio e volesse farsi un po’ di pubblicità, possiamo prenderci un appuntamento e potrei farle delle foto in studio. Alla fine ha un bel portamento, elegante, ben curato… Una bella immagine per attirare nuovi clienti.»
    La buttò lì come proposta, mentre gli occhi color miele si erano ben piazzati sul volto dell’uomo, quasi con insistenza.. Ma poco dopo distolse lo sguardo, infatti chinò l’attenzione sul panino ed andò ad addentare nuovamente quella pietanza, gustandola ed incominciando a fermare quella fame che gorgogliava nel suo stomaco da qualche minuto ormai.
    Sembrava che l’altro si stesse aprendo con Raoh, alla fine si stavano semplicemente conoscendo superficialmente. Erano le classiche domande su chi erano, dove vivevano, lavoro, ecc. Classiche domande di routine:
    «Beh, io comunque non ho dovuto fare università o anni ed anni di studio per arrivare a fare il lavoro di avvocato. Per me è stato più facile il percorso lavorativo…Non voglio sminuire il lavoro di fotografo, ma le “leggi” sull’inquadratura e cosa si deve fare o non fare in uno scatto, non sono di certo complicati..»
    Rispose con garbo e un leggero tono ironico, dopotutto non era che la vertà: lavorare come avvocato era più “rischioso” e difficile rispetto a quello che faceva il mulatto.
    Ascoltò la sua spiegazione su come era finito a Tokyo e come mai era da solo, a quanto pare non era l’unico a fare casino nelle storie d’amore. Raoh sorrise e sbuffò un accenno di risata, mentre scosse appena la testa, sollevò gli occhi su di lui in seguito ed in fine andò a dire:
    «Ah, allora signor Kishou, non è l’unico ad avere problematiche con l’amore. Sa, qui a Tokyo penso ci siano tre tipi di donne: quella che vuole spiccare con un marito di successo, soldi, bellezza.. Quella acida e stinfia che se la tira e vuole solo fare la gatta morta.. Oppure quella zitella che non trova marito perché preferisce essere una donna libertina e priva di restrizioni, o come dicono alcune, avere la catena al collo. Altre tipe di donne non ne ho incontrate…E mi creda, abito qui da molti anni. Ormai vivo da solo in un appartamento per conto mio, i miei genitori vivono in un’altra zona, ma sono comunque sani e salvi da questa situazione successa.»
    E quando va a chinare l’attenzione sul piatto, proprio quando stava per sollevare il panino per poterlo addentare, bloccò questo a mezza via, mentre interdetto sollevò lo sguardo sull’avvocato e lo fissò. Sembrava che gli fosse venuto in mente qualcosa, forse un’idea che voleva dire all’altro. Inizialmente era titubante, ma sembra che quella sua incertezza venne spazzata via in tempi brevi ed azzardò:
    «Ricorda il discorso di prima…sul bere qualcosa in compagnia?»
    Assottigliò lo sguardo verso di lui, studiò la sua espressione e cercò di spiegarsi poi subito, mostrando a lui un sorriso più pacato ed un’espressione più serena:
    «Dato che non è così veterano di Tokyo, potrei portarla a conoscere qualche locale, magari bere qualcosa…E non dell’acqua o cola.»
    Se la rise, composto ed educato, non voleva sembrare scortese e sguaiato con l’uomo che aveva davanti. Dopotutto quello poteva essere un buon inizio di risalita e guadagno nel lavoro, ma anche un’ottima pedina da usare per episodi futuri, chi lo sa.
    Cercò di mantenere un’espressione tranquilla, distesa, con quel senso di pace e tranquillità da invogliare anche l’altro a stare tranquillo e potersi fidare di Raoh stesso.
    Attese una sua risposta, per poi andare a mormorare:
    «Comunque ottima scelta per il pranzo.»
    Fece un complimento blando, per poi continuare a mangiare, calando lo sguardo sul proprio panino.
     
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    C'erano parecchie cose che rendevano quel fotografo interessante. Ne aveva già ragionato a lungo, ma già il suo mestiere stuzzicava la sua curiosità. Vivere in Giappone significava spesso stupirsi per cose che le altre culture magari trovavano normali. Almeno per Kishou vedere qualcuno avere successo in una carriera artistica lo sorprendeva ed un po' lo riempiva di invidia, giusto un po'. Immagina divertirsi pure e fare foto per sopravvivere! Nella mente dell'avvocato il signor Barakat aveva molto più tempo libero di lui e poteva persino curare il suo aspetto come più preferiva. Sì, una cosa che incuriosiva ulteriormente del fotografo era il suo aspetto. Quegli orecchini e quel modo di presentarsi era sicuramente molto più originale di qualsiasi avvocato che avesse mai incontrato. Si chiedeva se tutte le persone di quel mestiere fossero particolari come lui - anche se la possibilità era decisamente bassa - e che tipo di vita vivesse. Magari era in realtà un ricchissimo rampollo di qualche principe arabico e lavorava per divertirsi, una storia degna di qualche libro d'avventura.
    Certo, dopo le passo la mia email. - Rispose serio, prima di ordinare e che la sua offerta di bere assieme fosse declinata. Era un peccato ma non poteva biasimarlo. Forse anche lui avrebbe dovuto preferire una vita astemia considerato il suo lavoro sedentario, ma erano ormai anni che era abituato ad andare con i suoi colleghi a bere qualcosa. Forse Raoh non reggeva bene l'alcool? Magari non era abituato, chissà. No, si figuri. Non mi piace bere da solo, meglio tenersi freschi. - Un po' amareggiato lo era, ma era meglio distogliere l'attenzione del suo cervello da pensieri come gli alcolici soprattutto ora che lavorava in proprio. Si era rilassato un po' troppo ora che non aveva più un capo? Nah, non avere qualcuno che lo stressava in continuazione non poteva che fargli bene. Ascoltò il ragazzo rispondere poco prima che la cameriera portasse ciò che avevano ordinato da bere, mentre lui gli offriva un brindisi, e rispose con il medesimo gesto un po' in ritardo. Il tempo di riempire d'acqua il proprio bicchiere, perlomeno. Non si aspettava una formalità del genere con dell'acqua ed una cola, ma decise di partecipare comunque a quel rituale. I loro bicchieri non si incontrarono ma sperò di non apparire ridicolo al resto delle persone che stavano pranzando lì.
    Dicevamo... Beh sì, di cose ne sono successe negli ultimi anni. Se si ricorda il Sagrestano, la notizia era arrivata anche da me e si faceva un po' a gara a trovare un metodo per difenderlo. - Era quasi un ricordo piacevole se doveva essere sincero, anche se probabilmente sarebbe apparso un po' inquietante agli occhi di chi non faceva quel mestiere. Era un po' al pari dei medici che parlavano di ciò che incontravano ogni giorno sul posto di lavoro, anche se probabilmente il suo lavoro era fisicamente meno orrendo. Corrugò la fronte sentendo il rammarico di Raoh, anche se ciò che provava di più era un po' il timore che rovinassero tutto. Era facile trovare esempi dove luoghi naturali venissero sostituiti da luoghi per vendere o messi allo sbaraglio per accogliere più turisti possibili. Si chiedeva se Ueno sarebbe finita così... o magari sarebbe risorta dalle proprie ceneri. Il secondo caso era quello più difficile e che meno si trovava nelle su previsioni. Gli uomini erano in generali avari e preferivano sfruttare il più possibile ogni spazio rimasto libero sul suolo. L'unico motivo per cui alcune aree sopravvivevano era che portavano soldi. Sospirò lievemente, prima di rispondere.
    Spero che rimanga sempre un luogo dedicato alla natura. Non sono un esperto ma il problema principale sarà ristabilire gli animali all'interno del parco. - Finì quel discorso lì, quando arrivarono i panini. Se doveva essere sincero un po' si stupì di quanto Raoh sembrasse delicato e fine nel mangiare un semplice sandwich, cosa che un po' gli fece riconsiderare come lo stesse mangiando lui. Lo guardò per un paio di secondi e forse fu anche quello che gli diede da chiedersi quanti anni avesse. Il portamento educato non era una cosa che si acquisiva in maniera così scontata ed era facile vedere giovani che non riuscivano nemmeno a mangiare in maniera decente. Anzi, molto probabilmente erano quelli della sua età in cui si notava di più quanto non avessero ricevuto una buona educazione. I suoi occhi si aprirono un po' di più nel sentire che avesse già trent'anni. Considerato che appunto, glie ne dava cinque in meno, si chiedeva ora se non fosse lui quello che si era "rovinato". Beh sì, non era completamente da buttare via, ma se qualcuno avesse potuto levare per un attimo la maschera di educatissima curiosità dalla sua faccia avrebbe trovato un uomo con le mani tra i capelli che si chiedeva se fosse invecchiato troppo velocemente.
    Trenta? Se li porta bene. - Era un complimento disinteressato ma che allo stesso tempo gli faceva un po' male dire. Per una decina di secondi la sua autostima crollò a nascondersi sotto il tavolo, ma dopo quei complimenti si sentì a dir poco confusa e si riaffacciò sulla superficie scura. Non era proprio più abituato a farsi dire che fosse bello o comunque piacevole da guardare e soprattutto non aveva mai fatto del suo aspetto il punto di forza della sua carriera. Era quasi impensabile che per il suo lavoro si pensasse a quello, ma il ragionamento del fotografo aveva senso. Gli occhi rossi di Kishou squadrarono Raoh, ma un istante dopo Raoh anche lui distolse lo sguardo. Aveva detto elegante, ben curato. Doveva trattarsi di qualche modo professionale di dire serio. Ah, dice? Non ci ho mai pensato in realtà. Diciamo che l'essere eleganti è una conseguenza del dover apparire seri... immagino che esserlo non guasti per l'attività. - Scrollò leggermente le spalle prima di mandare giù un altro morso. Che sorpresa quell'incontro, essere addirittura complimentati da uno sconosciuto. Ragionò su quello che diceva Raoh e, anche se non gli dispiaceva che il suo mestiere fosse tenuto così in alta considerazione, aveva qualcosa da ridire. Kishou amava il suo lavoro ma, allo stesso tempo, non lo riteneva nulla di speciale rispetto alla polizia o ai Pro-Hero.
    Beh... le leggi sono una cosa fissa, mentre le foto sono sempre uniche tra di loro, si possono manipolare. Anche i codici, con un po' di esperienza. - Scherzò, anche se quello che più facilmente si poteva modificare era la verità. Non sarebbe mai riuscito a dirlo a parole, ma se i punti di vista di una foto potevano cambiare come qualcosa appariva, anche le parole di un abile avvocato potevano decidere le sorti di un evento già accaduto. E' un lavoro abbastanza noioso purtroppo rispetto al suo. I casi dove una prova spunta dal nulla e ribalta tutto sono pochi. - Il discorso si spostò poi su altro, ma chissà come avrebbe preso quella dichiarazione il mulatto. Anche lui sorrise con una punta di scetticismo, come se non credesse veramente che le donne a Tokyo fossero tutte così. Beh, non ne aveva idea ancora onestamente. Era un po' triste dire che il suo unico contatto con il gentil sesso fosse di persone con problemi che avevano bisogno di un suo aiuto per una questione od un'altra.
    Vedo che ne sa molto di donne, eh. No, mi scusi. E' stato un po' scortese da parte mia. Sono contento per i suoi, comunque. - Kishou aveva inizialmente provato a continuare quel discorso con una battuta ora che l'atmosfera si era alleggerita, ma forse aveva esagerato un po'. Accusare qualcuno di essere un Don Giovanni poteva non andare a genio a tutti e non conosceva abbastanza Raoh per fare tali presuntuose constatazioni. Sperò che quell'ultima frase sparisse nell'etere in fretta, per evitare di creare un silenzio imbarazzante. Aveva in pratica finito il primo sandwich e presto avrebbe iniziato il secondo, probabilmente con più calma ora che non aveva così tanta fame. Prese un sorso d'acqua e poco dopo l'uomo che pranzava con lui avrebbe cominciato a parlare di uscire fuori. Kishou non era uno che dava subito la sua confidenza a tal punto da uscire assieme, più che altro perché non accadeva così spesso da poterlo preparare su quell'argomento. Ovviamente gli sarebbe piaciuto uscire con qualcuno e godersi un po' la vita che molti fantasticavano, quando pensavano alla metropoli. L'uomo dai capelli grigi ci pensò su un attimo, prima di rispondere. Raoh sembrò cambiare discorso velocemente, forse era timido? Non capiva molto bene.
    Non mi aspettavo una proposta del genere ma non mi spiacerebbe. Tokyo è così grande che non so neanche da dove iniziare. - Appoggiò i polsi sul tavolo, facendo una breve pausa dal mangiare, schiudendosi un po' dal suo guscio di incertezza. Diciamo che una cosa che mi sarebbe piaciuto fare era un tour dei ristoranti più famosi di Tokyo, ma come le ho detto non ho molto tempo libero. Nei weekend non ho così tanto da fare però. E, uhm... - SI passò una mano tra i capelli come per sistemarli. Se vuole possiamo darci del tu. Non è un problema. - Abbassare un po' i toni e non usare tutti quegli onorifici per rivolgersi l'uno all'altro, oltre che verso sé stessi, avrebbe di sicuro reso più scorrevole la conversazione. Si chiese se quello era l'inizio di un qualche tipo di amicizia - Kishou non sospettava per nulla che Raoh volesse qualcosa di secondario da lui. Dopotutto, chi avrebbe mai voluto qualcosa da un semplice avvocato? Od almeno, era ciò che pensava.
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    Non era male quel panino, anche se una persona potrebbe dire “ma è un semplice panino!”
    Beh, le cose semplici, se fatte bene, sono sempre le più buone. Poche cose, ma fatte bene e con cura.
    Raoh stava apprezzando, mangiando con calma e gustando morso, dopo morso. Cercava di evitare di sporcarsi troppo le mani, utilizzando ancora quel fazzoletto di carta e prese anche il secondo pezzo di panino.
    Cercava comunque tra un boccone e l’altro, senza avere la bocca piena, di poter rispondere all’avvocato, infatti quando lui disse che gli avrebbe lasciato la email più tardi, il mulatto annuì. Alle volte il fotografo dava qualche occhiata all’uomo, infatti cercava di studiarne i suoi tratti, espressioni e movenze. Alle volte sembrava impacciato, ma altre un po’ a disagio, come se qualche atteggiamento del ragazzo non lo facesse stare a suo agio. Raoh si limitò a sorridere debolmente sulle labbra, mentre prese il bicchiere di cola e se lo portò alla bocca. Mentre sorseggiava la bibita, osservava ancora il suo cliente, approfittando proprio mentre questo aveva lo sguardo altrove o era preso dal suo pasto. Anche se era un uomo maturo, aveva il suo bel portamento e a Raoh non sfuggiva nessun particolare, forse perché era abituato nel mondo della fotografia che doveva stare attento ad ogni minima cosa. I difetti doveva renderli pregi, o nasconderli se proprio erano impossibili da mutare e rendere il perfetto opposto… Come lo stesso Kishou che fece dei suoi capelli grigi un vanto, una bellezza rara. Erano ben curati, tenuti con cura e ben pettinati, eppure c’erano uomini e donne nel mondo che quel colore di capelli non lo tollerava e preferiva tingerli di altri colori che non rendessero il loro aspetto più “invecchiato”. Ma lui, anche se non aveva l’aspetto del vecchio, sapeva ben portare quella acconciatura e colorazione dei capelli, tant’è che lo stesso mulatto ne apprezzava la scelta di stile.
    Calò lo sguardo sul bicchiere che aveva in mano, staccando questo dalla bocca e posandolo sul tavolo, proprio nel momento in cui l’altro riportò la sua attenzione sul ragazzo e gli andò a parlare della situazione che successe tempo addietro, del Sagrestano che fu anche quella faccenda una bella gatta da pelare per la città e gli eroi. Il fotografo si limitò ad annuire e cercò solamente di rispondere in breve, anche perché di quella faccenda ne sapeva il giusto, informazioni che erano arrivate all’orecchio grazie ai telegiornali o qualche video che era sparato nei social:
    «Eh si, mi domando se Tokyo stessa abbia una sottospecie di malocchio su di se… Forse dovrebbero fare qualche sorta di rituale per scacciare questa sorta di… Negatività.»
    Socchiuse gli occhi color miele ed andò poco dopo a guardare verso il proprio piatto per poterne prendere l’ultimo pezzo di panino che gli era rimasto.
    Non andò subito a prendere un boccone, infatti sollevò di nuovo l’attenzione sull’avvocato e domandò con uno sguardo più attento e curioso:
    «Cosa significa che faceva a gara per difenderlo?»
    Non voleva fare figuracce, magari facevano davvero una competizione per poter difendere quel criminale? Che buffa cosa, forse anche la legge stessa, o comunque sia chi ci lavora a stretto contatto, per avere qualche yen in più cercava di difendere anche i colpevoli… Gente pazza e criminale a livello del sagrestano appunto. Non sembrava sorpreso, ma piuttosto era curioso di sapere bene cosa l’altro volesse dire. Sul suo volto giovanile era comunque dipinta sempre una espressione serena, tranquilla, si stava godendo quel pranzo di lavoro dopotutto.
    Addentò uno degli ultimi bocconi di panino al pollo ed andò ad ascoltare un altro commento, questa volta era riferito al parco di Ueno. Un bel fattaccio pure quello, dopo la grande catastrofe che era successa per colpa della banda delle farfalle, parti della città erano inagibili o distrutte, come il parco naturale in questione. Raoh inghiottì il boccone, per poi leccarsi leggermente le labbra ed andando a sospirare:
    «Spero lo riportino come prima il parco, cercheranno con ogni mezzo e maniera per rimettere in sesto una zona naturale come c’era prima. Almeno io lo farei.. Sa quanta gente ci girava lì? E non dico solo gente del posto, ma anche molti turisti… Famiglie, coppiette e studenti stranieri che erano intenti a farsi foto o selfie con un animaletto carino che mangiava dal loro palmo della mano, oppure durante la fioritura dei ciliegi…Ah, quante foto che ci ho fatto lì durante quel periodo. Un po’ mi mancherà.. Speriamo lo riportino ad un nuovo splendore al più presto.»
    Anche perché lì si che ci faceva bei photoset! I migliori forse, anche perché diciamola tutta.. L’atmosfera che c’era nel periodo dei ciliegi in fiore era magica e mistica, perfetta per delle foto!
    I due mangiavano e conversavano e Raoh, a differenza dell’altro, non aveva fatto caso a come lui stesse mangiando quella pietanza che aveva ordinato. Non era molto legato alle educazioni rigide, dopotutto stavano mangiando un panino, non erano ad un Galà e non avevano di certo i principi e principesse al loro tavolo. Non ci fece caso, infatti non sembrava infastidito da nulla, ma restava tranquillo e sereno a godersi quei momenti di relax, mentre conversava e conosceva una nuova persona da farsi “amica”. Inizialmente non c’era quel pensiero, ma era solo un modo per lisciarselo e tenerselo buono lì in caso di bisogno… Dopotutto lavorava in tribunali e armeggiava tra le leggi del paese, quindi poteva contare che se fosse entrato in un casino, magari proprio lui gli avrebbe parato il culo.
    Sorrise divertito al suo commento sull’età ed accennò un inchino con la testa come a dire Grazie. Qualche rasta scivolò sulla sua schiena, mentre quella matassa ben annodata restava sulla sua testa. Aveva quel modo bizzarro di pettinarsi i dreadlock ma erano comunque un tocco di particolarità che lo rendeva per molti un po’ più affascinante e diverso dalla massa che girava per le vie di Tokyo. Al suo commento sulla serietà ed il portamento, scaturito dai complimenti dello stesso fotografo, fecero annuire Raoh e così rispose con calma e dicendo la sua:
    «Essere eleganti porta a serietà… Mh, dipende. Adesso molti capi aziende cercano di presentarsi nelle pubblicità in abbigliamenti curati, si, ma con quel tocco di sportività. Ha mai visto qualche spot pubblicitario o cartellone, anche sulle riviste, quei capi azienda in polo e jeans, con un bel taglio di capelli.. Questo genere di immagine da un senso di essere una persona alla mano, vicina al comune cittadino, come posso spiegarle…Mh, come se cercassero di dare un senso di vicinanza ed uguaglianza verso chi è in realtà più in basso nell’azienda… E’ una cosa per far sentire un po’ più tranquillo e sereno il cliente o dipendente, ecco. Ma penso che per lei che lavora a contatto con la giustizia, giudici, altri avvocati, sia un po’ fuori luogo.» Fece una piccola pausa «Scusi, deformazione professionale, mi viene da parlare e spiegare le pubblicità o simile...Sarò risultato noioso, mi dispiace.»
    Fece spallucce un momento, anche se non aveva tutti i torti… Magari quelle fotografie con un possibile Kishou in polo e jeans lasciamola da parte, magari in un futuro prossimo come foto ricordo si, per stampare indelebile un periodo della sua vita su carta fotografica… O in una pennetta USB.
    «Però non stavo scherzando, se ne ha bisogno, basta che me lo dica. Poi dico la verità: se non era un uomo fotogenico non mi sarei offerto così spudoratamente di farle delle foto pubblicitarie.»
    Sorrise divertito, ma non era di certo per sfotterlo, bensì per cercare di far capire all’altro che poteva stare più rilassato con lui, non doveva essere per forza tirato ed educato come se fosse davanti ad una persona anziana da portarle rispetto, oppure qualcuno di alto rango nella società. Tra un discorso e l’altro arrivò a finire il panino e così si dedicò a darsi una sfregata alle mani con un fazzoletto usa e getta che prese dal dispencer che era posto vicino la bottiglia d’acqua dell’avvocato. Si concedette un sorso di cola, proprio mentre ascoltava la spiegazione dell’altro sul lavoro. Raoh quando smise di bere si limitò a tentennare a destra e sinistra la testa, mostrò infatti del dubbio e così rispose:
    «Mh, potrei dire che è vero, ma sa, ogni lavoro ha il suo piccolo momento di impegno e soddisfazione se si riesce ad arrivare ad un risultato che è simile o uguale a quello che si era studiato dal principio. Ad esempio, se lei avesse da difendere qualcuno in un’udienza, penso che si farebbe in quattro pur di trovare la soluzione più adeguata per salvarlo dalla perdita del caso, no?»
    Inarcò appena il sopracciglio destro, sorrise e continuò
    «Manipolare i codici… Io non saprei neanche da dove iniziare. Deve aver studiato parecchio per poter trovare dei bug nel sistema e poterlo fregare per vincere la causa del suo cliente, vero? Un po’ come nei film..»
    Socchiuse gli occhi che si piazzarono su quelli cremisi dell’altro, mentre le braccia si posero conserte e poggiate sul bordo del tavolo. Si ingobbì appena con le spalle in avanti, mentre le gambe si divaricarono appena e rimasero a novanta gradi nella loro piegatura. Scosse il capo ed andò per un momento a guardare verso il soffitto, per poi chiudere gli occhi e ridacchiare. La mano destra si sollevò e delicatamente si poggiò su metà viso -del medesimo lato- mentre disse con tono divertito, ma in parte imbarazzato, anche se in quel momento stava un po’ recitando la sua parte di bravo ragazzo, perché dopotutto quella domanda era una curiosità che davvero voleva scoprire…Lui avrebbe trovato le gabole per entrare nel sistema e mandare in vacca magari un processo? Oppure non far ingabbiare un criminale per aver trovato una gabola tra le leggi? Indirettamente lo aveva chiesto:
    «..Ahaha, la prego mi perdoni. Forse mi sono guardato troppi film polizieschi e con processi o avvocati di mezzo durante quarantena.»
    E tra le fini dita della mano andò a schiudere l’occhio, per poi aprire anche il gemello e fissò in direzione del volto dell’avvocato, mantenendo quel sorriso scherzoso sulla bocca. Quando poi lui rivelò il fatto che c’erano pochi momenti in cui i casi venivano ribaltati, Raoh sospirò e rispose brevemente, mantenendo ora un tono sorpreso:
    «Ah, mi dispiace. Pensavo che qualche colpo di scena c’era anche nella vita reale dei tribunali, non solo nei cinema.»
    Storse la bocca, un chiaro segno di disappunto. Certo, era comunque parte di quel teatrino anche quello.
    Alla fine il loro discorso si spostò sulle donne, infatti il commento che venne fuori dall’avvocato quasi lo sorprese. Inarcò il sopracciglio destro e la mano che aveva sul volto andò a scivolare dal viso, ponendosi inerme sul braccio piegato opposto. Sfarfallò le ciglia e per un momento andò a fissarlo, col sorriso che quasi era svanito. Ma per quanto? Pochissimo, infatti tempo qualche secondo e il fotografo chinò il capo, mentre le spalle tremavano appena. Incominciò a ridacchiare, cercava di trattenersi nello sbottare in una fragorosa risata, infatti scosse la testa ed andò a sollevare la testa per puntare la sua attenzione su di lui. Stava ridendo, ma ovviamente non lo faceva in maniera sguaiata. Si, quella battuta non era stata proprio carina, ma dopotutto Raoh non era uno che cercava di avere la donna da sposare, mettere incinta e vivere serenamente come le famiglie nelle pubblicità dei merendini. Negò con la testa e rispose con tono divertito:
    «Non si preoccupi, mi ha fatto ridere. Davvero. Dopotutto è la verità, ne ho girate diverse e non sono riuscito a tenermela una al mio fianco… Ahaha»
    Ridacchiò ancora, per poi buttare lui una battuta, infatti cercò di mettere a suo agio lo stesso avvocato e mormorò:
    «Non sono un giudice o un poliziotto, può rilassarsi.»
    In effetti quando l’altro fece quella battuta, lui lo aveva notato leggermente scosso ed a disagio, come se si fosse un pochino irrigidito. Aveva compreso che si era sentito in difetto, come se avesse toccato un tasto dolente per Raoh, ma non era così. Un donnaiolo di serie A come lui, figuriamoci se certe battutine potevano fargli male, anzi, forse si sentiva pompare il suo ego(?)
    La mano destra si allungò nuovamente al bicchiere di cola, ma questa volta si limitò con le dita a cingerlo alla base, senza staccarla dal tavolo e cominciò semplicemente col pollice a giocherellare sul vetro del contenitore, carezzandone la superficie lievemente umida. Guardò inizialmente il bicchiere quasi vuoto della sua bibita, poi tornò a fissare in direzione degli occhi di Kishou ed annuì alla sua proposta di darsi del Tu e smetterla con questo Lei così educato e…Noioso?
    «Meno male lo hai detto tu.. Aspettavo con ansia che ci dessimo del Tu.»
    E sollevò appena l’angolo destro della bocca in un sorrisetto accennato. Sospirò e cercò di andare a rispondere poi sul tour culinario che l’altro voleva fare, utilizzando un tono tranquillo:
    «Se vuoi posso farti da guida, i weekend sono spesso impegnato il sabato mattina, ma la sera sono libero ed anche l'intera domenica. Ma ti svelerò una cosa: la migliore cucina giapponese di Tokyo da provare non è nei ristoranti, ma nei quartieri tra le vie più tranquille, dove si celano ristorantini e chioschi che fanno delle squisitezze assolute. Ad esempio nel cuore di Asakusa c’è un posticino dove fanno dei ramen molto buoni e dei gyoza che sono la fine del mondo. Dio, al solo pensarci mi viene di nuovo fame…Faccio proprio schifo..»
    E ridacchiò, mentre chinò per un breve momento la testa e la mosse appena come a scacciare quell’immagine golosa di sé.. Anche se poteva risultare divertente.

     
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    Un rituale dice? Di sicuro aiuterebbe i più superstiziosi. - Rispose inizialmente, un po' divertito da quell'affermazione. Le persone in Giappone, almeno secondo il suo punto di vista di persona che stava vivendo più realtà. Quando era giovane era normale per lui rispettare le festività e persino dedicarsi di più a quella sfera spirituale che ormai aveva abbandonato. Non era più sicuro di poter credere in qualcosa di particolare, ma parecchie persone che conosceva si erano convertite completamente in tarda età. Chissà se anche lui avrebbe potuto trovare un po' di pace interiore esorcizzando il proprio male con una cerimonia del genere. Accoltellare il cuore di un animale sacrificato per purificare il proprio, bruciare incensi per inebriare la mente e curarla. Era per lui un'enorme sciocchezza pensare di poter cambiare qualcosa di concreto con un "rituale", ma se le persone in generale si affidavano a tutto ciò che potevano carpire con le proprie mani, non gli sarebbe sembrato così improbabile vedere un giorno un qualche enorme sigillo appiccicato per le strade di Tokyo. Oh beh. Anche se è un mestiere serio, o almeno ci proviamo, si discuteva su come trarlo fuori da quella situazione in aula o su come condannarlo. Un esercizio mentale un po' macabro tra colleghi, già. - Kishou sorrise perché un po' si vantava di vivere in quell'ambiente, un po' perché gli piaceva raccontare quelle cose un po' più curiose. In effetti, era tanto che non parlava con suo padre di ciò che faceva ultimamente. O con qualcuno che non facesse parte del suo ambiente comunque. Non c'era molto tempo per parlottare in un ufficio di pochi metri quadri, soprattutto degli affari degli altri quando chi era seduto di fronte a lui voleva solo risolvere i propri. Era una bella sensazione che aveva dimenticato in quei mesi. Anche mangiare qualcosa con qualcuno non era più scontato per lui e presto avrebbero finito di mangiare entrambi. Anche a lui mancava poco per terminare, ma i tempi si dilungarono a causa della lunga conversazione che stavano avendo. Kishou ascoltò le considerazioni dell'uomo con i dreadlock chiedendosi se era quello l'affetto che gli edochiani provavano per quel simbolo. O magari era lui che scandagliava troppo a fondo le motivazioni delle persone? Alla fine era un fotografo come aveva detto e quindi forse ne rimpiangeva gli aspetti professionali...? A lui dispiaceva perché non era riuscito ad andarci nemmeno una volta e perché sapeva che lì si poteva far birdwatching in piena metropoli, una strana fusione di hobby e luoghi.
    Ci vorrà parecchio tempo purtroppo e spero non abbiano qualche strana idea di costruirci sopra strutture. Già vedo qualche appaltatore sfregarsi le mani con un notaio per acquistare tutto. - Commentò senza andare troppo a fonda con la questione. Non voleva sembrare insensibile a ciò che probabilmente per gli abitanti di Tokyo era prezioso e che lui non comprendeva appieno. Vide i capelli dell'uomo fare un giro per tornare dietro la sua schiena e si chiese un'altra volta se quel tipo di capigliatura fosse comodo o meno. Si immaginò per un attimo con quei capelli e una strana e poco raccomandabile immagine di lui viaggio nella sua mente per qualche secondo, facendogli fermare il respiro. Più che un avvocato sembrava un mocio per lavare i pavimenti, con quel colore grigio. Per quanto stessero bene su Raoh lui non era proprio il tipo da potersi permettere cose del genere. Annuì mentre il fotografo dava la sua spiegazione sulla figura e, per quanto Kishou non fosse un esperto di quel campo, gli parve interessante. Lui ci teneva molto ad apparire pulito ed ordinato di fronte alle persone e quindi aveva in un certo senso sviluppato una "passione" nel sapere cosa mettere in ogni occasione. Forse era simile a ciò che diceva lui?
    No si figuri, capisco molto bene. In un certo senso i superiori vogliono apparire spigliati e degni di rispetto e si devono impegnare di più per mantenere quell'immagine. Mentre gli stagisti devono sembrare sempre ordinati ma anche farsi notare in qualche modo, altrimenti rimani per tutta la vita a fare le fotocopie al tuo capo. In qualche lingua si dice che l'abito non faccia il monaco, ma di sicuro ti fa entrare dentro al monastero. Senza un vestito decente probabilmente non mi farebbero nemmeno entrare in aula. - Agitò la mano quasi per scacciare via quella scusa che non serviva molto, per poi ridere quando Raoh lo complimentò nuovamente. Pff. La ringrazio. In realtà non mi piace molto farmi foto, però se avrò bisogno le manderò un messaggio. - Ammise, prima di passare a finire il proprio panino. Aveva mangiato bene nonostante qualche piccolo difetto. Anche nel mangiare preferiva che le cose fossero ordinate e precise, oltre che veloci. Anche l'altro aveva finito e quindi cominciò a temere che avrebbe dovuto passare in silenzio i restanti minuti fino all'arrivo di una qualche cameriera, ma per fortuna continuarono a parlare. Si dimenticò persino di controllare l'orologio come faceva ogni volta che finiva di mangiare, una cosa incredibile per lui. Ed anche Raoh nei suoi gesti e nelle sue espressioni sembrava contento di parlare con lui, quindi continuò.
    Lo studio è stato tanto ed anche difficile, lo ammetto. Da un lato ti possono capitare dei semplici problemi che si risolvono con un incontro tra avvocati, senza neanche i clienti ad assistere, che sembrano usciti dal libro. Dall'altro devi giostrare situazioni assurde o che ti fanno dubitare del tuo mestiere. Dopotutto a volte difendi dei criminali o lotti contro innocenti. - Sospirò. Quella era la parte più brutta del suo lavoro. Se fosse esistita una bilancia in grado di misurare il peso delle proprie azioni, lui come ne sarebbe uscito? Aveva cominciato a spiegare con più serietà ciò che faceva e dopo quel gesto del fotografo si interruppe un attimo, tornando a guardare il piatto vuoto. Era noioso il suo discorso? Il suo lavoro era noioso rispetto a ciò che si vedeva nei media? Prima lo aveva detto ma sperava che non passasse l'impressione che per lui non fosse divertente.
    Oh beh. A volte capita spunti una prova dal nulla che cambia tutto ma per sfortuna non arriva nessun agente dei servizi segreti tutto affannato in mezzo al processo. E' un tipo diverso di shock, visto che sai queste cose a distanza di settimane. - Guardò di lato come per ricordarsi qualcosa, prima di ripeterla ad alta voce. Una volta ho lavorato ad un caso di omicidio e l'uomo che difendevo mi sembrava completamente innocente, solo accusato in maniera ingiusta. Ci avevo creduto moltissimo, era un padre di quattro figli e sembrava genuinamente spaventato. Ma verso la fine di una lunga serie di processi spuntò un testimone che aveva collaborato con lui per nascondere tutto in maniera molto furba. Ero molto deluso e pensavo quasi di lasciare il mestiere, ma mi aiutò a crescere immagino. - Era pensieroso mentre ricordava quell'episodio di quando era appena diventato ufficialmente avvocato, ma non era triste nel ripeterlo. Era un racconto come un altro nella sua testa. Finirono di parlare di quelle cose, almeno per quel momento, per poi tornare su quel discorso di prima. Beh, di sicuro non si aspettava che si mettesse a ridere così tanto per quello che aveva detto. Un po' si sentì il viso diventare caldo, come se avesse appena detto una sciocchezza. Era imbarazzante quello che aveva detto, ora che ci pensava. Era difficile per lui superare quel muro di serietà e riservatezza che offriva a tutti e quindi trattava le persone come se fossero i delicati individui dei suoi processi. Cercò di risollevarsi e di non far pesare la questione, mancava soltanto apparire depresso di fronte a lui.
    Scu- no, è che molto spesso la gente si offende per nulla. Soprattutto quelli che fanno i grandi salvatori della giustizia, sì. - Ammise, passando il dito sullo zigomo come per sbollire un po'. Meglio così. - Rispose sorridendo, ora che si erano liberati delle prigioni dell'educazione.
    Interessante. Da me è meglio cercare i luoghi migliori perché spesso cercano di fregarti. Però è vero, quando cerchi su internet Tokyo si parla spesso di questo street food. - Un po' più rilassato rispetto all'imbarazzo provato prima, annuì. Per me anche questo weekend... ma anche il prossimo, come ti ho detto sono piuttosto libero di sera. E non preoccuparti, devo ammettere che ho deciso di trasferirmi qui perché ho sentito che si mangiava bene dappertutto. - Se avevano qualcosa in comune, ragionò tra sé e sé Kishuo, doveva essere la golosità. In quell'attimo di pausa prese un bicchiere d'acqua e decise dopodiché di guardare l'ora: non avevano passato molto tempo a mangiare se non a parlare e aveva ancora del tempo libero.
    Bene. Io prendo un caffè in caso. - Era un invito a decidere se lo voleva anche lui. Non aveva tutto questo tempo a disposizione in realtà ma, volendo, poteva ritagliare un po' di spazio giusto perché apprezzava la compagnia dell'uomo. Personalmente credo che andrò a fare due passi, giusto per prendere un po' d'aria prima di rinchiudermi in ufficio. Possiamo continuare questa conversazione in giro, se ti va. - Era stato molto difficile per lui smettere di usare quel tono educatissimo ed ora pesava bene le sue parole, rivolgendosi a Raoh con tranquillità ma provando allo stesso tempo un po' di timidezza interiore. Sperava di non essere rifiutato, in realtà.
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    KISHOU SAZAMA
    VIGILANTES » LIVELLO #4
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    La spiegazione dell’avvocato riguardante i “giochi” di salvare super criminali dalla galera, fecero sorridere Raoh. Diamine, che cosa strana.. Eppure è un esercizio assai utile per loro che dovevano lavorare ogni giorno tra leggi, clausole e molte altre postille per salvare il loro cliente e fargli vincere l causa. Il fotografò annuì con quel cenno di sorriso stampato sulle labbra, per poi dire a sua volta in direzione dell’uomo:
    «Beh, chi sono io per giudicare te ed i tuoi colleghi. Se è un buon esercizio mentale ed un ottimo allenamento per il tuo lavoro…Fallo.»
    Si limitò a dire, mentre nella testa frullavano mille pensieri che erano assai positivi nei riguardi dell’uomo “Se fanno queste prove, magari sa davvero cavare le gambe ai criminali dalla galera, magari con giretti di parole e trovando clausole e gabole nel sistema legislativo.” Socchiuse gli occhi e rimase a fissarlo in volto, mentre conversavano del loro lavoro e delle loro esperienze nella città di Tokyo. Ma poi, Raoh, per dare un minimo più di pizzico all’interesse e far sentire l’altro a suo agio, disse:
    «Affascinante. A dire il vero, se posso essere schietto con te, è interessante come cosa… Io sono ignorante nel tuo settore, ma mi pascerebbe sorpreso nel sentire qualche piccola esercitazione di questo genere. Sapere che anche i delinquenti possono farla franca, un po’ mi inquieta, ma dall’altra parte mi affascina come voi avvocati riuscite a tirarli fuori dai guai.»
    Sospirò ed andò a guardare per un breve momento in direzione dei bicchieri che i due avevano rispettivamente davanti a loro. Si mise a guardare soprattutto quello che stava accarezzando distrattamente sulla superficie fredda e trasparente, il proprio, dove prima c’era la cola -ormai finita.
    Aveva notato quel sorrisetto vanitoso che si dipinse sul volto dell’altro, per questo aveva giocato “sporco” puntando a lui per dargli più spicco, così da farselo amico in caso servisse per il futuro. Mostrarsi interessati giovava all’interlocutore…è risaputo.
    Al discorso sul parco, dove l’altro aveva dimostrato di esserne dispiaciuto perché non lo aveva ancora mai visto, il fotografo sollevò lo sguardo ed andò ad inarcare il sopracciglio destro. Era incuriosito da quella sua rammaricata frase, infatti cercò dubito di metterlo a suo agio:
    «Se non sarà lì il parco lo faranno rinascere altrove. Era un buon punto di ritrovo per cercare relax, ma anche per visitare qualcosa che non fosse mono cemento. E poi, perdonami, ma non ci sono leggi o regole che impongono zone verdi nelle città? Oppure sto dicendo una stupidaggine?»
    Scrollò appena la testa e continuò a fissarlo. Era difficile che il mulatto levasse gli occhi color miele da quel volto contornato dalla capigliatura grigia. Apprezzava mantenere lo sguardo sul volto della gente, dava un certo senso un tono di sicurezza e non faceva venire fuori un lato imbarazzato o timido, cosa che Raoh non era affatto al momento.
    Quando ripresero a parlare di abbigliamento e portamento, fu l’altro a spiegare come in quel mondo così “serio”, quello legato al suo mestiere, dovevano avere un certo stile. Erano tutti eleganti, seri, un grigiore infinito. Sospirò il ragazzo ed andò a sfarfallare le palpebre un istate, per poi dire la sua, come al solito, ma questa volta con un accenno di risata, infatti era palesemente una battuta.
    «Pensa un po’, addirittura non potresti entrare in aula se non hai un certo abbigliamento. Vedi? Io avrei già perso in partenza. Non potrei fare il tuo lavoro anche per questo motivo. Le uniche volte che mi sono agghindato tutto in completo classico era ad un matrimonio di un amico..»
    E non rammenta l’asta illegale, anche perché sarebbe stata una cazzata colossale, si sarebbe dato una falciata alle gambe da solo. Però stava bene quella sera, era così elegante e ben curato, se solo potesse ricordarlo. Amen. Si limitò a sollevare appena la mano sinistra in cenno di fermare l’uomo con il suo discorso dei complimenti, come se stesse dicendo con quel gesto che non importava fare tante lusinghe e ringraziamenti, ma annuì al fatto che l’altro potesse contattarlo in caso di bisogno.
    Ma quando l’avvocato intraprese il discorso delle varie cause che ha dovuto fare, il ragazzo si zittì e lo ascoltò con interesse. Non lo mollava, gli occhi erano fissi sul suo volto e ne seguiva in discorso in ogni minimo dettaglio, tant’è che cercava di isolare il proprio udito per concentrarlo tutto su l’altro. Sbarrò gli occhi nel sentire che aveva fatto una causa bella corposa, dove si parlava di omicidi e di persone che inizialmente sembravano innocenti, ma poi si sono rivelate tutt’altro:
    «Wow, quindi ti è capitato roba pesante tra le mani… Quindi hai difeso uno che in realtà era un complice del colpevole..O proprio colpevole dell’omicidio. E’… Affascinante, davvero. »
    Scrollò le spalle e un paio di volte aveva battuto le palpebre. Sembrava sorpreso ed affascinato da quel racconto, come un bambino che gli viene letta la storia horror per la prima volta. Raoh era davvero interessato a quella storia, tant’è che chiese ancora di più, famelico di notizie e di avventure dell’altro individuo:
    «Ti sei fatto coinvolgere emotivamente. Questo ti fa capire che emozioni e lavoro non devono mai collegarsi.. Almeno nel tuo campo è fondamentale. Ma dimmi, quindi questo tizio ora è in carcere perché è risultato colpevole? Dio, questa cosa è adrenalina allo stato puro. Non ho mai visto un criminale così da vicino, immagino ti sarai sentito un po’ sporco dopo quel processo, dato che ti eri preso a cuore la sua storia falsa. »
    Chiese, era così curioso di scoprire di più su quell’uomo e quell’avventura che aveva vissuto. Ma forse si era reso troppo invadente, tant’è che lo stesso fotografo dopo poco alzò la mano destra e la staccò dal bicchiere di cola.
    «Scusa, scusa.. Mi sono fatto prendere dall’entusiasmo e dalla curiosità. Perdonami.»
    Posò il palmo aperto sul petto, mentre mostrò un innocente sorriso ed un volto che sprigionava un’espressione che reclamava perdono. Era un bravo attore, non c’è che dire, ma alla fine non stava del tutto interpretando la parte del buon cittadino di Tokyo. Dopotutto aveva iniziato a provare interesse nel conoscere quel tipo che aveva davanti, così diverso da lui, ma che nascondeva cose assai intriganti ed affascinanti.
    Alla richiesta del caffè, Raoh drizzò la schiena ed andò a guardare per un momento verso la propria destra, proprio dove c’era una cameriera che stava sparecchiando un tavolo poco lontano. Stava per richiamarla, quando l’altro andò ad invitarlo a fare due passi prima di tornare a lavorare. Fu lì che il fotografo andò a guardare verso l’avvocato e disse con tono tranquillo:
    «Io gradirei un caffè americano, che ne dici di prenderlo da portare via e berlo mentre passeggiamo? Ma se ti va bene, io mi adatto tranquillamente.»
    Propose all’altro, mentre cercò di guardare nuovamente verso la cameriera… Ma ahimè questa se n’era andata. Fece un leggero verso di stizza, come se la cosa lo avesse un momento lasciato a bocca asciutta e fatto fare una leggera figuretta di “meh”. Ma in attesa che questa tornasse nei paraggi, Raoh si voltò a fissare verso l’avvocato che si stava imbarazzando e colorendo sulle guance. Sorpreso lo fissò e involontariamente nacque un lieve sorriso divertito sulla propria faccia. Non calcò la mano su quell’argomento, dopotutto sarebbe stato crudele farlo imbarazzare maggiormente. Si limitò a scuotere la testa per dire in quel muto gesto “non fa nulla, tranquillo”. La cosa che lo fece tornare a parlare, fu proprio il cibo che qui a Tokyo era davvero buono. C’erano posti che cucinavano mediocremente o addirittura in maniera orribile, ma erano davvero rari da trovare. Sospirò il ragazzo e sollevò per un momento lo sguardo al soffitto e pensò qualche secondo a qualcosa, sicuramente ai molteplici ristoranti o chioschi dove aveva mangiato in tutti questi anni. Dopo una manciata di secondi tornò a fissarlo e rispose:
    «Volendo possiamo fare entrambe le prove culinarie: c’è un ristorante, caro come prezzo, ma che fa la migliore carne di kobe in circolazione. Invece per cose tipiche e tradizionali ti porto nei chioschetti. Direi che per me anche questo sabato sera possiamo incontrarci, non penso che ci siano problemi. Sarai tu a decidere cosa vorrai mangiare ed io ti accompagnerò a fare questa esperienza. Ovviamente un giro per il quartiere dove saremo lo dobbiamo fare, così ti mostro un po’ di vita notturna qui… Nella città che non dorme mai.»
    Ed ammiccò divertito verso l’altro, credeva di aver fatto la battutina ad effetto stile film, ma forse non era uscita benissimo quell’ultima affermazione. Sarà l’altro a giudicare la questione.
    Il mulatto stava bene, si sentiva a suo agio in quella pausa pranzo, dove alla fine stava conoscendo una persona nuova e che forse -in futuro- poteva anche risultare utile per altre faccende. Lo fissò per un attimo e chiese alla fine:
    «Quindi, caffè da asporto, oppure al tavolo? Decidi tu.»
    Alzò le mani in segno di resa, come se la cosa non lo premesse poi più di tanto e si sarebbe adattato a qualsiasi sua preferenza.
     
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    Non capitava spesso che qualcuno si interessasse al suo mestiere, soprattutto dopo aver compreso di cosa si trattava. Come già affermato dall'avvocato stesso, il suo lavoro al cittadino comune poteva sembrare una noia mortale per la maggior parte del tempo. Trovare una persona, soprattutto una che aveva appena conosciuto, che esplorasse quei lati della sua persona non era così facile. Se prima era nervoso ora sentiva di aver incontrato un ambiente tranquillo dove poteva parlare senza problemi. Se prima aveva sorriso e scherzato per circostanza ora un'espressione contenta e più rilassata si faceva strada sul suo viso. Non gli serviva molto per entrare in confidenza con qualcuno, dopotutto sapeva che tipo di persona era. Certo, non voleva esagerare con quel Raoh ma almeno poteva sembrargli una persona normale.
    Purtroppo nei processi c'è sempre la parte nel torto e chi ha ragione, oltre chi fa le cose nel bene e chi nella malizia. Le due cose non corrispondono sempre, ma ci si prova. Criminale o meno fa sempre piacere vedere il volto sollevato di qualcuno. - Pronunciò con uno sorriso beffardo una bugia, perché a lui facevano venire il voltastomaco i disonesti dichiarati. Era un modo un po' poetico di dire che capitava spesso di assistere persone orribili e criminali incalliti ma a cui bisognava fare l'abitudine, perché ogni essere umano era da difendere per la società. Le opinioni personali, come avrebbe presto detto anche il suo interlocutore, non avevano molto spazio tra le vuote aule di una corte. Era sempre presente il pensiero di stare facendo la cosa giusta o meno, nella mente della maggior parte degli esercenti. C'era chi era senza scrupoli e che avrebbe venduto pure la propria madre per vincere un processo, ma era stato abbastanza fortunato da non averne incontrati così tanti nella sua vita. Lui cercava di essere onesto con il proprio cliente e si aspettava di essere ricambiato di quell'onestà, ma considerata la natura umana Kishou sapeva benissimo che mentire per preservare la propria libertà era più che naturale.
    No, hai ragione. Ma se ci sono io che non farei mai passare un progetto del genere, c'è un altro avvocato che sta andando a prendere vecchi casi accaduti in qualche villaggio del Sapporo come precedente o come eccezione. Difficile che accada, ma non ho potuto che pensare al peggio. - Spiegò prendendo il primo luogo sperduto che aveva in mente come esempio. Avere qualcosa sotto le scarpe diverso dal duro cemento era in effetti salutare per la mente e per il corpo, soprattutto a vivere in una metropoli immersa in fumi industriali e smog. Kishou tentava di reggere quello sguardo ora che si sentiva un po' più a suo agio a parlare con lui, ogni tanto distogliendolo solo per dare un'occhiata all'ambiente. Ragazzi e ragazze che pranzavano assieme e che si divertivano. Qualcuno scappava, qualcuno rimaneva lì. Le cameriere carine che passavano ogni tanto, facendogli chiedere se dovesse alzare la voce per farsi portare il conto ora che avevano in pratica finito. Ridacchiò quando sentì il fotografo parlare del suo abbigliamento. Chissà, non stava così male ora e il brizzolato aveva decisamente esagerato. Il problema principale era quanto i giapponesi fossero ossessionati con l'uguaglianza, soprattutto in quel mestiere così importante. Magari negli altri continenti erano meno restrittivi su quel campo, ma dubitava che nella mente di una persona l'immaginario di un avvocato non fosse quello dell'uomo o della donna in completo. Raoh stesso sarebbe stato particolarmente interessante da vedere tutto agghindato. Chissà se teneva i capelli in quel modo anche per le occasioni importanti e se si potevano sciogliere con facilità.
    E di che. Non capita mai che qualcuno mi chieda così tanto del mio lavoro, ti sei condannato. - Kishou appoggiò la testa sul pugno chiuso, prima di riavvolgere i pensieri e i ricordi un'ulteriore volta. Com'era finita quella storia, già? Mi sa che ancora è in prigione, pover'uomo. E non saprei. Se mi avesse confessato tutto probabilmente lo avrei aiutato in maniera diversa e forse ora sarebbe già fuori, criminale o meno. Ma per i clienti gli avvocati non sono altro che sanguisughe dalla loro parte quindi non capita così spesso di sentirsi influenzati. - Rise imitando il gesto del suo interlocutore di scrollare le spalle. Era la triste realtà di chi faceva quel mestiere. Erano solo impiegati con un livello di istruzione un po' più elevato, per i molti. Sono curioso pure io. Non mi aspettavo di conoscere un fotografo appassionato di crimine. - Commento guardandolo, dopo tutto quel tempo che lo stava ascoltando come incantato. Se voleva saperne di più, avrebbe passato il pomeriggio a raccontargli delle sue avventure se così si potevano chiamare. Risolvendo definitivamente la questione del darsi del tu e superando i momenti in cui stava ancora imparando a parlare con gli esseri umani, si organizzarono un attimo per uscire. Un caffè da portare via gli andava benissimo, probabilmente era l'opzione che avrebbe preso meno tempo. Un po' si chiese se non lo stesse annoiando con i suoi ragionamenti ad alta voce, che avrebbero potuto riempire ore ed ore di tempo con tutte le sciocchezze che aveva da dire. Raoh gli parlò meglio dei ristoranti della zona e di come sarebbero potuti uscire. Entrambe le scelte sembravano letteralmente squisite, ma aveva bisogno di un po' più di tempo per pensarci.
    Preferirei bere un caffè mentre siamo in giro. E sono entrambe scelte allettanti, ci devo pensare un po ' su. - Bere e camminare non era qualcosa che faceva spesso, ma tanto c'era poca gente in giro e nessuno gli avrebbe fatto problemi in quel caso. Kishou era il tipico giapponese che non amava particolarmente trasgredire alle regole, ma c'era anche da dire che non voleva fare la figura del rompiscatole di fronte a Raoh. Non erano di certo in centro ad Asakusa poi. Se poteva parlottare con qualcuno mentre aveva quel poco tempo libero lo avrebbe sfruttato, era pur sempre un essere umano. Avrebbe quindi fatto cenno al mulatto di alzarsi con lui per andare a pagare alla cassa, così avrebbero potuto ordinare nel mentre i due caffè americani, infilando le fotografie all'interno della valigetta e portandola con sé. Avrebbe sborsato il totale alla cassiera - di certo non economico trattandosi di un locale popolare ma nemmeno il più costoso - ordinando i drink caldi in contenitori di plastica. Avrebbero consegnato ad entrambi due bicchieri abbastanza voluminosi con un tappo per conservarne il calore. Avrebbe ringraziato la donna che lavorava per poi uscire dal locale rincontrando l'aria fredda, aspettando Raoh poco lontano. La confusione dell'ora di pranzo si era leggermente allietata per qualche motivo, probabilmente perché tutti erano ancora intenti a mangiare. Presto si sarebbe riempito di nuovo di gente che doveva tornare a lavoro o all'università. Con un minimo di impegno sarebbe riuscito ad aprire il caffè anche con la valigia tra le mani, prendendone un piccolo sorso con la destra libera. Si era quasi scottato da quanto era caldo, tanto che la bevanda emanava una nuvola di vapore ogni secondo. Per fortuna il bicchiere era abbastanza spesso da non farlo bruciare.
    Dicevamo... Per me questo sabato va bene. Onestamente la carne mi attirava molto come opzione. Dov'è, giusto per curiosità? - Cavolo, la punta della lingua ora gli faceva male sul serio. Con la giacca addosso sembrava quasi una persona seria e con controllo della propria vita, tralasciando la figura da bambino che doveva nascondere. C'era una cosa che però mi premeva chiederti: sono comodi da tenere così i capelli? - Indicò con lo sguardo la capigliatura del giovane. Ora che erano in piedi, poteva notare che era molto più voluminosa di quanto avesse notato da seduto. Continuavano a camminare, superando le strade e restando per ora tra le strade principali più o meno affollate. Andavo in direzione dell'Università, dando mano a mano spazio alle aree più verdi che si potevano notare in centro a Tokyo.
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    Sembrava che l’altro avesse trovato il suo piccolo angolo di relax, dove poteva parlare del suo lavoro -quasi- apertamente, con Raoh che lo assecondava ed ascoltava con quella vena d’interesse. Certo, era utile sapere come l’altro si muoveva tra leggi, aule di giustizia e processi vari, soprattutto gli fece sollevare il sopracciglio destro -incuriosendosi- quando l’altro parlò di quel “viso sollevato” che poteva essere il cliente innocente o criminale, l’importante che fosse tranquillo e in stato di benessere perché tutto era filato liscio. Sorrise sulle labbra il fotografo ed andò ad annuire, anche se si strinse per un breve momento nelle spalle:
    «Beh, ci vuole un bel coraggio comunque per difendere persone che sai già che sono nel torto… Sei un soldato…Ma con la carta e penna, le leggi e la parola. Eheh..»
    Se la ridacchiò appena a quella battutina che aveva lanciato verso l’avvocato, voleva farlo sorridere a sua volta e farlo continuare a vivere in pieno agio e tranquillità.
    A quanto pare c’erano stati anche casi più complessi, davvero difficili da digerire, altri invece erano bazzecole in confronto e alle volte noiosi -almeno così pareva aver capito il fotografo.
    Sembrava che l’avvocato avesse preso in simpatia Raoh, non più come un semplice affare di lavoro, almeno così lui pensava. Il mulatto, infatti, non sembrava dispiaciuto o annoiato di passare quel tempo con lui, scoprire la sua vita lavorativa ed anche cosa preferiva fare nel tempo libero. Poteva risultare utile in futuro? Certamente, sia come svago, sia come “protettore” per i suoi problemi rilegati alla legge, se ce ne saranno.
    Kishou fece un piccolo gioco di parole, dove dichiarò Raoh un condannato perché aveva trovato dell’interesse nei racconti lavorativi dell’uomo. Accennò un sorriso divertito, mentre gli occhi si erano abbassati un momento sul tavolo, per poi tornare sul suo viso. Si, l’aveva fatto divertire quel giochino di parole e si notava dalla sua espressione.
    Sospirò nel sapere che quelluomo di cui stavano parlando poco prima, di un cliente dell’avvocato, fosse ancora in galera. Raoh storse il naso un momento e disse con tono leggermente sconsolato:
    «Forse ha fatto la cavolata di non dire subito le cose come stavano. Se tu avessi saputo tutta la verità per filo e per segno, magari appunto potevi rendere meno prolungata la sua permanenza nel carcere… Ma alla fine, è quello che si è meritato. Ha mentito persino al suo protettore… Quindi.»
    Almeno così la vedeva il ragazzo dalla pelle color caffè e latte.
    Al commento dell’altro su quella curiosità elevata per il crimine, Raoh trasalì. Non si era aspettato una simil domanda dall’altro, ma subito sfoggiò un sorriso delicato e rassicurante, mentre fece spallucce e spiegò semplicemente:
    «Sai quando non ci pensi mai a determinati mestieri, avvenimenti, ma poi ti capita la persona che ci sta a stretto contatto e subito si scatenano mille domande nella testa? Ecco, questo è uno di quei casi. Mi piacciono i telefilm o film crime, ma avere davanti un vero avvocato che fa davvero questo mestiere che vedo solo nella tv…Beh, mi fa venire tanta curiosità. Mi dispiace se son sembrato così… Insistente? Noioso?»
    Non sapeva in realtà come definirsi, ma doveva giustificare il suo comportamento che forse poteva risultare molesto e invadente verso l’altro…Anche se non gli pareva così.
    Alla fine lui accettò quell’invito a bersi il caffè in compagnia e passeggiando, sarebbe stata una tranquilla camminata e con in mano un bicchiere di plastica e cartone, con dentro la calda bevanda americana che doveva aiutare i due ad affrontare le ore pomeridiane di lavoro. Raoh si alzò e mentre l’altro si preparava, anche lui fece lo stesso, riprendendo il cappotto che si mise indosso, sistemò i suoi accessori e cercò nella tasca del copri abito stesso gli occhiali da sole a goccia, dalle lenti color nero specchiato. Sembrò però ripensarci e quando li prese in mano, andò a fissare un momento fuori dalla vetrina dle locale, notando come il sole andava e veniva per colpa delle nuvole passeggere. Sospirò e ricacciò nella tasca gli occhiali, mentre si diresse verso la cassa assieme all’avvocato. Pagò ed ordinò i caffè assieme a lui e velocemente furono serviti e ringraziati per il pranzo che avevano consumato e bellamente pagato. Si sa, Tokyo è cara come città.
    Quando i due uscirono, Raoh ricevette quella sferzata di aria fredda che gli fece solleticare la pelle scura, mentre gli occhi si puntarono per un momento in basso, sul proprio caffè che teneva nella mano destra e ancora tappato. La sua attenzione si mosse verso l’avvocato e lo vide avventarsi con “calma” sul beverone bollente. Non fece nemmeno in tempo a dire che era ad alta temperatura che l’altro andò a bere.
    Il fotografo, a differenza dell’altro, cercò di aspettare qualche minuto prima di sorseggiare il caffè, infatti si limitò solo a stappare il contenitore e buttare nell’immondizia il circolare tappo semi rigido.
    Alla domanda sul locale, subito si voltò a guardarlo per una manciata di secondi e ne fissò il volto dell’altro, mentre gli disse dove era situato questo ristorante dove facevano una squisita carne di Kobe:
    «Quindi sabato sera siamo a cena a Shibuya. È un ristorantino che davvero ti si scioglie la carne in bocca. È favoloso! Hakushu mi pare sia il nome, comunque ricontrollerò sull’applicazione del telefono che ho dei migliori locali che ho visitato. È una specie di Blog personale dove mi annoto posti dove tornare.»
    E finalmente l’odore del caffè americano salì alle narici del mulatto, infatti questo sospirò ed avvicinò il contenitore alla bocca, mentre soffiò un paio di volte sulla superficie per farlo stemperare. Si prese qualche sorso di quel liquido nero e forte, non zuccherato, per poi umettare le labbra con la lingua e ripulire queste dai residui di caffè sulla bocca. Alla domanda sui capelli, Raoh restò un momento sorpreso, infatti gli sfuggì un sorrisetto accompagnato da un accenno di risata e cercò di scrollare la testa. Si voltò a guardare l’avvocato e mentre continuava a passeggiare con lui, accanto, rispose:
    «Spesso mi chiedono come mai ho un nome così nerd.. Invece tu mi chiedi dei capelli, sei l’eccezione fatta regola! È un complimento, ovviamente. Non offenderti.»
    Ridacchiò ed andò poi a dire sulla propria acconciatura insolita -almeno per i normali giapponesi:
    «Comodi si, un pochino da starci dietro nel lavaggio ma sono molto comodi. Non devo pettinarli, posso farmi acconciature simili senza nemmeno l’uso di lacca, forcine o cose così…Oppure tenerli sciolti. E no, non ci sono i pidocchi dentro…Ricordo di mammine e vecchiette che pensavano che in capelli simili ci fossero i peggio animali, ma in realtà non è così… Anche perché mi lavo, non sono così selvaggio.»
    Anche la sua carnagione, fisionomia, quel sangue bastardo spesso lo rendeva così “strano” e diverso all’occhio dei normali cittadini giapponesi. Era lo straniero, il diverso, ma sembrava non fregarsene molto il ragazzo.
    «Vuoi anche tu acconciarti così?»
    E rise, per poi prendere un’altra sorsata di caffè, ma mantenendo quell’espressione divertita.
     
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    Era strano essere chiamato "protettore" o "soldato" da qualcuno, non gli era mai capitato. Non aveva mai pensato che quel che faceva nelle stantie aule potesse essere paragonato a qualcosa di così nobile e forse il giovane dalla pelle scura che aveva di fronte voleva solo adularlo un po'. Si chiedeva se ci fosse un qualche obiettivo dietro, sospettoso com'era, ma non ne trovò nella rapida ricerca mentale che scandagliò i suoi pensieri. Era abbastanza improbabile che Raoh fosse un poliziotto della prefettura di Kanazawa sotto copertura e che stesse solo cercando di smascherarlo. Anche perché era un fotografo abbastanza inserito in quell'ambiente, no? Non credeva di essere così importante per le autorità e per la polizia non c'erano ancora abbastanza prove per indicare alcun sospettato di quell'omicidio misterioso. Guardò da un'altra parte sorridendo come per respingere quei complimenti che non sentiva suoi, per poi alzare il capo dopo i commenti del fotografo su quella storia di molti anni prima.
    Già. - Rispose senza neanche pensarci, istintivamente e con un'espressione tranquilla sul viso, completamente d'accordo con quello che aveva appena detto. Si meritava quello che gli era successo dopo le bugie che aveva detto, dopo i crimini che aveva provato a nascondere persino a chi voleva provare a difenderlo. Dopo quell'istante in cui sentiva i pensieri farsi più torvi, si separò da quelle emozioni un po' sorpreso. Non era da lui essere d'accordo con qualcosa senza pensarci su e rispondere così di getto, abituato com'era a ponderare tutti i punti di vista e le possibilità di ogni persona con cui parlava. Non è stata la cosa più furba da fare del mondo, ecco. - Aggiunse, solo per evitare di sembrare troppo crudele con il suo vecchio cliente. Doveva evitare di farsi sfuggire quegli strani momenti di follia, anche dopo essere entrato in confidenza con qualcuno.
    Ma no, ma no. - Kishou agitò le mani rassicurando l'uomo che aveva di fronte. Potrei dire la stessa cosa dei fotografi. La mia esperienza era quella di vecchietti che ti fanno stare fermo con una macchina fotografica istantanea per le foto di famiglia e... Non nego che pensavo che pure lei fosse così. - Tentò un sorriso dopo quella ridicola spiegazione che però corrispondeva alla realtà. Si erano già incontrati in precedenza, ma in un primo momento l'avvocato era convinto che il signor Barakat avesse solo mandato un assistente. Non glie lo avrebbe rivelato giusto per evitare discorsi sulla fiducia ai giovani. Quindi se ha qualche curiosità o dubbio legale chieda pure. Anche se sarebbe meglio spalmare le storie per altre volte. - Era circa un modo per dire che non gli sarebbe dispiaciuto rivederlo in futuro, anche se in pratica si erano già messi d'accordo. Kishou era piuttosto contento di quella curiosità rivolta verso di lui e forse stava un po' sopravvalutando l'interesse di Roah per quel genere televisivo, ma non si accorse di stare un po' troppo parlando di ciò che faceva. A volte capitava anche a lui di buttare alle ortiche tutti i principi di riservatezza che teneva ben stretti.
    Usciti dal locale, notò quel gesto e andò anche a lui guardare fuori notando che in effetti il tempo non era proprio dalla loro parte. Magari si sarebbero trovati meglio a bere qualcosa di caldo per contrastare il freddo, un po' come si faceva ai tempi. Camminando fuori dal locale universitario, salutando il tepore e i rumorosi studenti, aveva decisamente avuto fin troppa fretta a bere la bevanda scura che si era portato dietro. Poteva sentire la punta della lingua diventare già insensibile ed il cervello cercare qualche modo per autodistruggersi dopo la figuraccia, non trovando purtroppo nessun bottone in grado di azionare quel processo. Mandando giù l'amaro caffè avrebbe sentito il palato e la gola ustionarsi, quasi un modo per andare fino in fondo a quel gesto di dolore che stava facendo a sé stesso. Prima di porre quella domanda aveva tossito a bocca chiusa come per sopportare meglio quel masochismo, facendo poi continuare Raoh.
    Ok, sabato sera a Shibuya. - L'uomo dai capelli grigi si girò verso il suo interlocutore, prima di provare timidamente a bere dell'altro caffè. Era decisamente meno bollente di prima e riuscì persino a sentirne il sapore, anche se berlo sulla lingua già colpita dal calore era come bere qualcosa di caldo e freddo allo stesso tempo. Chissà se mettendoci un po' di neve sopra, tralasciando la parte sull'igiene, sarebbe stato meglio. Un'applicazione? Non sono molto pratico coi cellulari ma sembra parecchio utile. - Socchiuse gli occhi per apparire quasi disperato, un sorriso di chi non ne capisce molto che appariva sul volto. Non si era mai abituato agli smartphone nonostante non fosse così avanti con gli anni ed i tempi tecnologici corrispondessero. Sì, sapeva come girare sui social ma preferiva usare il computer per tutto il resto. Se fossero esistiti telefoni con un sistema operativo da PC, li avrebbe usati.
    Beh, sono incuriosito dalle cose che non ho mai visto. Ha qualche significato particolare? - Rise anche lui, prima di porre quell'altra domanda. Stava cominciando ad usare fin troppe parole che non conosceva bene di fila, ma per fortuna si era ricordato di quel termine grazie a una qualche puntata di telefilm. Per quanto riguardava il suo nome, non aveva idea di cosa significasse Raoh ma forse Barakat era l'unione di "rosa" e qualcosa di straniero? Cominciò a dubitare sull'origine giapponese, i cognomi non funzionavano così. Ascoltò interessato ciò che aveva da dire sulla propria pettinatura, constatando che in effetti era piuttosto comodo avere dei capelli che non avevano bisogno del pettine o di prodotti particolari. Un po' aveva pensato che in effetti una capigliatura così potesse essere sporca, ma si fidava di chi ce l'aveva piuttosto che della propria prima impressione.
    No. Purtroppo credo che i miei clienti scapperebbero nel vedere qualcosa di così diverso dalla norma. - Ci aveva pensato un attimo su prima di rispondere, anche se non voleva di certo offenderlo. Sono fortunato a tenere i capelli così lunghi senza farmi giudicare per strada, ma immagino che a Tokyo con tutte le varie Unicità non sia la cosa più notabile. All'interno di uno studio però mi trovo spesso le stesse madri che pensavano male di te. - Spiegò rigirando un po' il caffè con un gesto circolare. Non sapeva perché, forse lo calmava o perché si diceva che era sempre meglio girare il caffè prima di berlo. Anche loro camminavano, seppur non in cerchio, cominciando a camminare sotto un sentiero alberato che però in quel momento non era particolarmente utile. Sicuramente d'estate avrebbero apprezzato una pausa dal sole, ma in quel momento c'erano solo panchine e molte foglie per terra.
    Rispetto a dove abitavo a Tokyo mi sembra ci sia un po' più di tolleranza verso il diverso. Un po' più aperti di mentalità e ci sono tante cose che nelle parti più chiuse del Giappone non potrebbero mai capitare. - Si trattava sempre della capitale nipponica, ma quell'enorme territorio ospitava così tante persone che era difficile trovare il tempo di giudicarne una in particolare. Si è un po' più libertini nell'utilizzo del Quirk ed infatti un sacco di problemi che mi vengono posti riguardano quello, sa? C'è molta gente che si è sentita in dovere di usarlo durante quei giorni bui. - Divagò un po' i pensieri che aveva in testa, anche se non li riteneva così interessanti per gli altri dopo averli fatti uscire dalla propria bocca.
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    Passeggiare in quella via alberata, in compagnia del cliente, era una cosa piacevole. Digerivano facendosi quattro passi e chiacchiere, accompagnando il tutto da un modesto caffè americano che avevano nei bicchieri usa e getta. Sembrava che Raoh apprezzasse quelle poche ore di svago, dopotutto conoscere nuova gente era anche una buona cosa, faceva bene allo spirito, ma anche ai suoi interessi..
    Erano finiti a parlare di cause in cui l’avvocato si era cimentato, delinquenti ed innocenti, ma finirono anche a parlare di capelli e le libertà che c’erano a Tokyo -si fa per dire- rispetto ai paesini più piccoli.
    Ma andiamo per gradi, non bruciamo le tappe.
    Sfarfallò le ciglia il ragazzo mulatto, mentre sorpreso voltò per un momento la faccia in direzione dell’avvocato e lo fissò. C’era una diversità di altezza tra i due, il fotografo infatti sembrava più alto rispetto all’altro, ma non sembrava farci poi così caso. Sembrava che Kishou non volesse affrontare oltre quell’argomento sul cliente che gli mentì prima della sentenza, mandando tutto a rotoli il tentativo di salvarlo dalla galera. Non controbatteva, infatti Raoh rimase in silenzio e si limitò a fissarlo, ma quando gli venne descritta la versione Standard dei fotografi giapponesi vecchio stile, non riuscì a trattenere una leggera risata.
    Lo divertì quella descrizione, infatti voltò il capo in avanti e donò il profilo ridacchiante all’avvocato. Gli occhi color miele si socchiusero e in tralice andarono a guardare verso l’altro, con la coda dell’occhio stesso:
    «E invece ti sei ritrovato me.. Spero non sia stata una brutta sorpresa. Ahaha! Speriamo in vecchiaia di continuare a fare il fotografo, ma con stile..»
    La cura della bellezza estetica non doveva mancare, neppure da anziano! Sia mai, poi aveva una fisionomia ed intreccio di etnie che lo rendevano così particolare, a tratti anche affascinante. Per un momento sembrava concluso il discorso, ma bofonchiò con tono divertito:
    «Cristo santo, mi dai di nuovo del Lei, Kishou?»
    Disse ma con un tono che non era affatto cattivo, anzi, voleva mettere a suo agio l’altro e farlo di conseguenza ridere con lui per quella piccola gaff. Prese un’altra sorsata di caffè, ora più tiepido, mentre ascoltava il discorso dell’altro sul fatto di levare curiosità o simile sul lavoro allo studio legale. Avere a disposizione un avvocato così “gentile” e che di desse spiegazioni su possibili dubbi e gabole da trovare nel sistema legislativo non era affatto male! Raoh sorrise sulle labbra, compiaciuto di quella affermazione, mentre annuì con un cenno della testa e si voltò appena di due terzi col volto per rispondere:
    «Potrai farmi da canta storie alla cena, se ti farà piacere. La cosa mi incuriosisce, sono sincero. Vedere il lavoro di un avvocato vero è davvero intrigante e così complesso rispetto a quello che sparano in televisione. Forse ti sembrerò fastidioso, perdonami se lo diventerò, ma la curiosità mi fa perdere il controllo.. Ahaha!»
    Sperava di aver fatto intendere all’altro che era una battuta, voleva fare un pochino di spirito, anche se lì nel mezzo c’era della verità. Era come un gatto: curioso ed ossessionato di scoprire le cose che gli interessano.. E lui ora era diventato un suo interesse.
    L’altro tossicchiò a bocca chiusa e Raoh per un momento rimase in silenzio e lo guardò di sottecchi per controllare che tutto andasse liscio come l’olio. Magari si era solo strozzato col caffè, ma una cosa da niente, infatti tempo poco rispose con una breve affermazione sull’app del cellulare. Si, quell’applicazione era una cosa utile e Raoh, preso sempre dallo scoprire nuovi locali e forme di divertimento dove svagare, aveva scaricato quel motore di ricerca per locali di ogni genere, dove chi era iscritto poteva lasciare il suo commento su come si era trovato lì, dando una votazione. Sospirò ed andò a dire con calma e pacatezza:
    «In caso tu volessi avere l’app sul telefono, dimmelo che ti dico il nome..Tranquillo, è molto semplice e ci si naviga bene. Trovi tutti i locali che vuoi e tutte le recensioni su di essi.»
    E tornò a sorseggiare un altro pochino di caffè, mentre l’altro si incuriosì sul nome del mulatto, anche se alla fine fu proprio lo stesso ragazzo a mettere quella pulce nell’orecchio all’avvocato. Sghignazzò e fece una leggera negazione con la testa, come se si fosse rassegnato a dover essere preso in giro -o forse no- per il significato del suo nome:
    «Non ridere… Anche se sarà difficile, lo ammetto.»
    Avvisò l’altro, mentre sospirò rassegnatosi al fatto che ben presto avrebbe avuto una risata in più dovuta al suo nome:
    «Mio padre era un fissato di manga ed anime..Anzi, lo è… Ha preso il nome da uno dei personaggi di un anime vecchio più di me, dove c’era questo colosso biondo di nome Raoh. Siccome gli piaceva come personaggio, ebbe la brillante idea di chiamarmi come lui. Da una parte sono stato fortunato, pensa se gli fosse piaciuto un fumetto o altro tipo… Batman… Joker… Pimpa.»
    Schioccò la lingua sul palato e nacque nel suo viso un sorriso che era divertito, anche se si mostrava quel velo di timidezza che finalmente si era dipinta su quella faccia da ragazzo modaiolo. Calò lo sguardo verso il caffè, mentre cercò di dare uno sguardo al liquido scuro che ondeggiava nel bicchiere, mosso da ogni passo che il fotografo faceva per camminare.
    Ma alla fine, la cosa che lo fece per un momento stare zitto fu quel commento sulla diversità. Perché dove era l’altro prima, nel suo paese, non erano accettati meticci come Raoh? Oppure avere la libertà nell’avere un’acconciatura di un’etnia diversa? Per un momento rimase senza parole, non sapeva effettivamente come rispondere a Kishou su quella questione. Arricciò il naso e sospirò, mentre sollevò lo sguardo in avanti e fece appena un leggero tic di sollevamento il sopracciglio destro, era chiaramente contrario a quel discorso che risuonava nelle suo orecchie da bigotto:
    «Beh, essere diversi non significa essere inferiori o superiori. Alla fine io sono nato e vissuto in Giappone, sono giapponese… Anche se sono di colore diverso e dalla pettinatura stravagante, sono pur sempre un uomo giapponese libero di esprimermi come voglio… Certo, restando nei limiti della decenza. E tu? Tu come vedi questa cosa… Ti fa strano stare a contatto con un mulatto?»
    E non lo guardò, almeno fin quando non terminò quella domanda e puntò gli occhi indagatori sull’uomo. Non smise di passeggiare, ma si era limitato a stare più in silenzio per attendere una risposta dall’altro. Era un argomento molto delicato, un po’ come quello dei Mutant che non erano ben visti:
    «Sei pro o contro il diverso, ad esempio?»
    Chiese schiettamente.
    Al commento sull’uso dei Quirk, quella libertà che “c’era” lì a Tokyo, fecero storcere il naso al ragazzo. Scosse la testa, quasi rassegnato, per poi mormorare:
    «Sul fatto della libertà sull’uso delle unicità non è proprio così, Kishou. Sono molto rigidi, penso come da te. Anzi, forse essendoci anche molta affluenza di turismo devono tenere ancora più a bada la situazione unicità. Frustrante come cosa, ma…che ci vuoi fare…Un po’ li potremmo capire questi che hanno usato i loro poteri in tempi bui, con quel casino successo… Tu se eri al loro posto, avresti usato la tua unicità? Se ne hai una, ovviamente.. Oppure avresti semplicemente rispettato le regole e saresti rimasto nell’ombra ad attendere che finisse tutto?»
    E forse qui le domande si facevano più interessanti, ma anche più serie, dove toccavano argomentazioni totalmente diversi da un banale taglio di capelli o che lavoro facevano i due per guadagnarsi da vivere.
     
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    Forse era perché le persone con cui parlava così tanto erano clienti, forse perché quando cominciava a parlare con qualcuno ormai era naturale parlare in quella maniera. Quell'imprecazione stupì Kishou inizialmente perché non era proprio una cosa di tutti i giorni sentirsi imprecare addosso, seppur scherzosamente. Secondariamente si chiese se Raoh fosse cristiano, considerato che aveva l'aspetto leggermente diverso rispetto al tipico giapponese. Non capitava così spesso di incontrare qualcuno con una tale fede nella terra nipponica, visto che le comunità era estremamente limitate. Quella era la spiegazione che avrebbe dato un geografo con dei dati alla mano, ma personalmente l'avvocato non aveva mai semplicemente entrato a contatto con qualcuno con tali credenze. Era qualcosa di curioso e stranamente affascinante, come se avessero una caratteristica in più rispetto agli altri. Kishou era abituato a seguire le tradizioni di quella che a lui sembrava più una filosofia e, seppur non condividendo gli ideali di una religione monoteista, si chiedeva quale fosse il sentimento che spingesse loro a credere. Avrebbe potuto trattare l'accaduto come una semplice coincidenza o una scelta di vocabolario particolare, ma in Giappone era in pratica impossibile sentire qualcuno urlare il nome della figura religiosa senza che fosse in contatto con la cultura occidentale. Magari era una nuova moda tra i più giovani che il fotografo, molto più a contatto con loro, aveva preso?
    Ahh, perdonami. Ormai sono troppo abituato coi clienti. - Cercò di scusarsi guardando da un'altra parte, anche se il mulatto non era così serio ed anzi stava ridendo, mentre il brizzolato semplicemente sudava freddo dall'imbarazzo. Ma sentirsi così tanto influenzato dal lavoro nella vita di tutti i giorni, cambiando modo di parlare e di comportarsi, non era qualcosa che neanche uno stacanovista come lui apprezzava. Non ci avrebbe probabilmente più pensato dopo una giornata, ma quel momento di imbarazzo probabilmente se lo sarebbe ricordato quella sera a letto. No comunque, ho trovato questo cambiamento piuttosto interessante. L'importante è restare eleganti fino alla fine dei propri giorni. - Terminò quell'argomento lì, anche perché preferiva andare avanti a parlare di altro che si allontanasse dalla figura che aveva appena fatto. Si chiedeva tra l'altro perché lui si considerasse fastidioso quando gli aveva dato la sua benedizione a chiedergli ciò che voleva. Forse era l'aria di serietà che circondava il mestiere e che quindi creava una barriera imperscrutabile tra gli altri e lui, non lo sapeva veramente. Era abituato ad essere amico con gente che faceva più o meno le stesse cose.
    La curiosità uccise il gatto, ma per fortuna lei non è un felino. - Cercò di essere simpatico ed anzi, quella battuta gli sembrava particolarmente adatta a quel contesto. Che ciò si riflettesse su Raoh era un altro discorso che per ora non lo toccava, visto che stavano facendo una chiacchierata su quelle applicazioni misteriose. Non che fosse completamente "tecnofobo", ma non aveva mai esplorato i confini infiniti dell'applicazione che gli permetteva di installare altre app. Ah, certo. Conosco quei siti! Anche se li guardo più che altro da computer in ufficio. - Ammise inizialmente con un po' più di entusiasmo, prima di prendere un sorso di caffè che per fortuna sembrava già ben più bevibile. Ascoltò quindi quel discorso, rimanendo più incredulo che divertito. Cercò di rimanere positivo rispetto alla situazione, anche se non gli scappò un'esalazione d'aria a causa dell'assurda origine del suo nome.
    Ma davvero? Beh, non è una cosa poi così inusuale... Diciamo che Pimpa Barakat non è sicuramente la migliore accoppiata. Però se non me lo avessi detto probabilmente non ci sarei mai arrivato, quindi sei abbastanza fortunato a persone che probabilmente esistono e si chiamano All Might Suzuki o Endeavor Tanaka. - Kishou non era un patito di fumetti o serie del genere quindi non capiva molto la passione del padre rispetto a quella serie. Da piccolo guardava certamente i cartoni animati ma non si sarebbe mai sognato di chiamare proprio figlio come uno dei robottoni che combattevano in televisione. Trivella Cosmica Sazama non gli pareva molto azzeccato, ecco.
    Se prima avevano parlato di cose poco serie e leggere però, dopo quel commento innocente sui suoi capelli l'atmosfera cambiò leggermente tanto da far accorgere immediatamente all'avvocato di aver detto qualcosa di non particolarmente felice. Se il fotografo gli rispondeva con entusiasmo e quasi con la voglia di prenderlo in giro, ora le sue parole sembravano un po' più amare e dettato da un sentimento che sentiva "vero". Era una sensazione strana da spiegare, ma era come se la vera natura di chi aveva di fronte si fosse manifestata apertamente solo dopo che l'avvocato si era trovato dalla parte del torto almeno per il suo interlocutore. Kishou intuì che non ce l'avesse con lui in particolare e non era nemmeno sicuro fosse veramente arrabbiato, ma aveva portato su un discorso un po' più pesante rispetto a prima. Per come era cresciuto, probabilmente Raoh avrebbe trovato alcuni suoi modi di fare o pensare come antiquati o anche discriminatori, ma dall'altra parte Kishou tentava di staccarsi dalla mentalità chiusa di casa sua cercando di trovare un connubio tra il nuovo ed il vecchio. Lui non si riteneva una persona che manifestava i suoi pregiudizi o le sue opinioni non particolarmente positive, seppur non potesse evitare di pensarle tra sé e sé. Ma riteneva che chi esprimesse le proprie idee poco felici fosse ben peggio di chi almeno provasse a convivere con cosa non gli piaceva, quindi non si sentiva lontano dalla ragione. Corrugò la fronte e guardò a tratti le chiome degli alberi, ma cercando di fissare il suo sguardo verso di lui.
    Mi sa che non mi sono spiegato bene. Io non ho problemi rispetto alle cose diverse. Se c'è qualcosa che mi piace della legge è che si può applicare a tutti gli uomini e donne, senza alcuna distinzione, e io cerco di seguirla al meglio. - Anche se il brizzolato non pensava che fosse un attacco alle sue idee, cercò comunque di spiegare il proprio punto di vista parlando chiaramente. Per me tu sei una persona come un'altra, con le tue caratteristiche come può esserlo un europeo o un americano. Non volevo offendere il tuo modo di presentarti, anzi! Mi piacerebbe essere libero da pressioni come te. Però se se conti che alcune scuole non accettano studenti biondi naturali o i Mutant, capisci che la persona media ha difficoltà a relazionarsi con queste cose. - Fece una pausa sperando che l'espressione sul viso dell'altro si fosse rilassata e addolcita, continuando poi a parlare.
    Io... non penso che mi importi molto di ciò che è una persona è o fa fino a quando non è un criminale incallito ed è sincera con me. So che non è molto umana come cosa, ma delle persone mi interessa più la loro storia che l'apparenza. - Non era sicuro che fosse un discorso che valesse la pena affrontare con lui che era molto più imbranato del fotografo ad esprimere i propri concetti, ma detta chiaramente non voleva sembrare razzista rispetto a Raoh o a chiunque altro. Proprio lui che si occupava dei casi di chiunque glie lo chiedesse, senza pensare alle loro caratteristiche fisiche o psicologiche per renderli suoi clienti? Raoh sembrò rincarare la dose su quel tema, contraddicendo l'avvocato e illuminandolo sul fatto che Tokyo non era proprio un paradiso per chi voleva usare il Quirk illegalmente. Una cattiva prima impressione unita ad una fama in tutto il Giappone di metropoli che univa ogni tipo di cultura in uno strano calderone.
    Mmh. - Kishou rimuginò sulla domanda che gli avevano appena posto. La risposta non era poi così scontata. La sua Unicità era veramente inutile e non serviva a niente se non a farlo rilassare mentre molleggiava una penna. Un po' si era esercitato nel tempo libero, per una semplice questione di paranoia. Non avrebbe mai ottenuto il porto d'armi sia per una questione di scomodità burocratica, sia perché detestava le armi da fuoco e cosa potevano fare ad una persona. In quel momento gli sarebbe piaciuto essersi ordinato un bicchiere di qualcosa per sciogliersi un po' la lingua e parlare con più calma. Pazienza, avrebbe preso un altro sorso di caffè. Forse? Per quanto la legge vada rispettata, se non avessi avuto alternative avrei provato a fare qualcosa per salvare una vita. Il mio Quirk non è niente di che e sarei stato d'intralcio probabilmente. E' un discorso un po' complicato, eh. - Guardò di lato con gli occhi cremisi, prima di continuare il suo discorso. Qualcuno potrebbe denunciarti per uso improprio di Quirk, ma potresti cavartela dicendo che era una questione di vita o di morte. Non è tanto diverso da intervenire con un'arma per salvare un'altra persona. Il problema principale di dare libertà alle persone è che poi aumenterebbero gli incidenti o la gente che lo usa per scopi personali. - Ammise, cupo. Non pensi che i Quirk dovrebbero essere usati per cose un po' più alte, come il bene dell'umanità? - Aveva parlato un bel po', tanto da quasi farsi venire la gola secca. Gli sembrava di essere un po' in un'aula di tribunale in quel momento, ma stava discutendo con una persona normale in cerca di risposte sincere più che un furbo avvocato.
    gsXRsta
    KISHOU SAZAMA
    VIGILANTES » LIVELLO #4
    | FORZA: 100
    | QUIRK: 75
    | AGILITÀ: 100

     
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24 replies since 3/2/2021, 22:32   501 views
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