You Can't Push It Underground

Role Libera | Laguna & Tobi (extra)

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    TOBI FUKUDA
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    Lui non ci voleva nemmeno andare a quella maledetta festa. Ma no, bisognava andarci, aveva bisogno di distrarsi dopotutto, passava tutto il tempo a scuola, al tirocinio o in quel maledetto ospedale, eh Yuya? Ed ora non riusciva più nemmeno a pensare a lei senza rendersi conto di quanto tutto ciò fosse stato un gigantesco errore. No, non andare al locale, mettersi con lei.
    Era tutto iniziato in maniera piuttosto innocente, lui si era lasciato trascinare dalla sua ragazza in quel locale di sushi per quella festa che avevano pubblicizzato nelle settimane passate. Sinceramente Tobi non si era informato molto su come funzionasse, ma quando all'ingresso avevano fornito a lui e a Yuya un lucchetto ed una chiave esortandoli a provare a cercare il loro match si era quasi un po' stizzito: sperava di distrarsi trascorrendo una bella serata con la sua ragazza, non alla ricerca di un perfetto sconosciuto. Propose a Yuya di ignorare quello stupido giochino, ma lei sembrava essere convinta che sarebbe stato divertente e che fosse esattamente ciò di cui Tobi aveva bisogno. Lui non ci credeva molto, ma in fondo si era già lasciato trascinare a quel modo da lei e dai suoi amici qualche volta ed aveva finito per dare ragione a loro, quindi decise di assecondarla: provarono a condurre questa ricerca insieme per le prime decine di minuti, ma inevitabilmente finirono per separarsi.
    E Tobi finì per offrire il suo lucchetto un po' a chi capitava, finché i suoi occhi non si specchiarono in quelli vispi di color grigiastro di quella donna. La chiave che ella aveva al collo si avvicinò pian piano alla piccola serratura e nel momento stesso in cui entrò, Tobi seppe che doveva essere lei, quella giusta.
    La chiave girò, il lucchetto scattò ed i due si fissarono negli occhi per qualche istante da quella posizione ravvicinata a cui il gesto li costringeva, dopodiché ne arrossirono e risero entrambi allo stesso modo, per smorzare l'evidente tensione che si era creata. Non successe nulla di particolare quella sera, i due infine decisero di passare la festa insieme e parlarono di moltissime cose, più o meno profonde. Lei non poteva essere quella giusta per Tobi, era una donna fin troppo cool, andava in moto e a quanto pare faceva persino parte di una banda, ma l'ostacolo più grosso era che aveva ventisei anni, quasi dieci più del giovane tirocinante di Providence.
    Eppure, nonostante tutto, Tobi sapeva di provare qualcosa per lei, sentiva un magnetismo che non aveva mai provato prima d'ora e si ritrovava ad adorare ogni suo dettaglio, anche i più insignificanti. E sentiva in qualche modo che anche per lei era lo stesso, sebbene stesse palesemente evitando di anche solo sfiorare l'argomento - probabilmente per gli stessi motivi per cui Tobi lo stava evitando. Si fece notte prima ancora che Tobi potesse rendersene conto ed il ragazzo non riuscì a dire di no quando la motociclista si offrì di accompagnarlo a casa. Forse parte di lui ancora sperava potesse succedere qualcosa. Rimanere abbracciato al suo corpo sorprendentemente esile ma che pareva molto tonico al tatto fu probabilmente la sensazione più bella che il giovane avesse provato da mesi, ed avrebbe voluto che quel giro in moto durasse per sempre. E invece, di lì a una decina di minuti, fu tutto finito. Lei gli stampò un bacio sulla guancia dicendogli che era stato molto carino e lui a malapena riuscì a rispondere, la mente completamente in tilt. Dieci minuti dopo, abbracciava il suo cuscino con aria accigliata, chiedendosi cosa diavolo fosse successo quella sera. E chiedendosi perché non avesse mai provato nulla di simile con Yuya. Lui non era mai stato fidanzato, quindi non aveva la minima esperienza in merito, ma dopo quella serata non poteva fare a meno di chiedersi se non fosse così che avrebbe dovuto sentirsi con la donna che amava.
    La mattina, quel fortissimo sentimento che aveva provato la sera prima iniziò a scemare, come se si stesse risvegliando da un lungo sogno, ma l'amarezza con cui guardava al proprio rapporto con Yuya non accennò a diminuire. Aveva fatto la prima mossa con lei quasi per gioco, per accontentare la sua amica Fuyuko, in fondo non si aspettava minimamente che lei potesse cedere alle sue avance così patetiche. E invece lei aveva voluto rivederlo, un'altra volta e poi un'altra ancora, e Tobi si era lasciato trascinare passivamente in tutto ciò: Yuya gli piaceva come persona, era simpatica e gli piaceva passare tempo con lei, e forse questo sarebbe stato abbastanza se non fosse mai andato a quella festa. Forse si sarebbero sposati ed avrebbero vissuto una vita felice, forse si sarebbero stancati prima l'uno dell'altra, chissà, ma ora Tobi aveva assaggiato un morso del frutto proibito e sentiva che non poteva più tornare indietro. La donna della sera prima gli faceva battere il cuore e percepiva con lei un'intesa inspiegabile: se Yuya avesse deciso di non proseguire la sua frequentazione con Tobi il ragazzo l'avrebbe presa molto sportivamente, invece ricordava distintamente quella sensazione straziante che aveva provato la sera prima rendendosi conto che tra lui e quella donna non ci sarebbe mai potuto essere nulla.
    Guardando il cellulare, vide che aveva ricevuto due messaggi da Yuya, l'ultimo dei quali poteva leggere dall'anteprima che gli stava chiedendo se era tutto ok. No che non era tutto ok. Strinse i denti e desiderò essere dovunque piuttosto che in quella situazione, si intimò più volte di risponderle qualcosa al volo prima di andare all'agenzia, ma non riusciva fisicamente ad aprire la conversazione senza che gli venisse il voltastomaco pensando a quale gigantesco errore aveva commesso.
    Il suo sguardo, poi, cadde su una conversazione molto più vecchia che si trovava poche righe più sotto (Tobi non parlava con molte persone su Babel), ricordava distintamente che razza di tuffo al cuore gli fosse venuto quando aveva ricevuto il suo messaggio, dopo tutto quel tempo. Laguna. Dopo lo stupore iniziale gli era salito un certo nervoso, dopo quanto lo aveva fatto penare ora spuntava così, come se nulla fosse? Sì che quello era il suo numero, maledizione, poteva almeno pensare ad un pretesto più credibile. Eppure in un certo senso gli aveva fatto piacere sentirla, era viva e quindi si era risvegliata in lui la realizzazione che potesse esserci un qualcosa di recuperabile. Un giorno, forse.
    Non ci aveva mai più pensato dopo quel giorno, nonostante la conversazione fosse più o meno sempre sotto i suoi occhi, eppure dal momento in cui l'aveva notata quella mattina era diventata un'ossessione. Non riusciva a pensare ad altro. Ripensò ad ogni singolo istante che aveva passato con lei, e a quanto tempo aveva passato pensando a lei. Forse, dopotutto, significava qualcosa? Il sentimento che aveva provato per la donna la locale la sera prima era molto più diretto, ma forse erano state anche le circostanze, ciò che provava per Laguna era... strano. Non sapeva come descriverlo, ma di una cosa era certo: era forte. Più di qualunque cosa lo avesse mai legato a Yuya.
    Finito il suo turno mattutino all'agenzia tornò a casa e si fiondò immediatamente nella sua stanza, spalancando l'armadio. Buttò all'aria molti dei suoi vestiti e alla fine i suoi occhi caddero su quella felpa verde di cui si era istintivamente appropriato mesi prima, quando era stato a casa sua per cercarla. L'aveva rattoppata come meglio aveva potuto, sostituendo anche interi lembi di tessuto, e l'aveva relegata ad un angolo nel suo armadio come se sapesse che un giorno gli sarebbe tornata utile.
    La estrasse, la posò sul letto e non ci pensò per più di venti secondi (o probabilmente avrebbe cambiato idea): le scrisse. Aveva la sua felpa e voleva ridargliela: avrebbe risposto? A quanto pare sì, e anche prima di quanto il giovane potesse immaginare, ed in poche decine di minuti si erano già messi d'accordo. Per il giorno stesso, di lì a un paio d'ore. Tobi si ritrovò seduto sul letto a fissare lo schermo con aria stranita, come se tutto ciò fosse solamente un lunghissimo sogno lucido e non avesse piena coscienza di ciò che stava facendo.
    Tra due ore vedrò Laguna. Eccolo di nuovo, quell'infame batticuore. Per qualche motivo sentì il bisogno di mettersi i vestiti migliori che aveva e frugò fra i capi che aveva sparso per l'armadio poco prima. Alla fine optò per una maglietta grigia vagamente lucidiccia con un piccolo logo nero sul pettorale destro. La impreziosì con una giacca nera. Indossò poi per dei jeans grigio scuro con due begli strappi sulle ginocchia e degli stivaletti in camoscio nero senza lacci, con delle bande elastiche ai lati della caviglia.
    Sciarpa rossa a quadretti e piumino con collo alto completarono il quadro e Tobi si ritrovò ad uscire di casa e prendere i mezzi diretto a Ueno. La sua mente era stranamente vuota, come se stesse andando in autopilota, ma continuava a tormentarsi le mani facendo scricchiolare i manici del sacchetto di plastica in cui la felpa verde era contenuta. Come se il suo corpo sapesse di dover essere in ansia per qualcosa che la sua mente ancora non realizzava.
    Arrivato ai piedi dell'edificio indicatogli dall'americana tirò un lungo sospiro e la avvisò della sua presenza con un messaggio, come richiesto.
    Poi trattenne il fiato.
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    CITAZIONE
    Tobi utilizza lo slot extra.
     
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    -fidanzato. Nonostante la signora Mishima provasse a metterle la pulce nell'orecchio, sospettando che quello non fosse altro che un semplice pretesto per vederla, la realtà dei fatti lasciava poco spazio a equivoci: Tobiko era fidanzato e stava solo venendo a portarle una felpa a casa, niente di più. Salutata la vecchina, sarebbe salita sulla sua motocicletta e si sarebbe diretta nuovamente verso casa.

    ...avrebbe voluto che lo fosse, qualcosa di più? Si morse l'interno della guancia. L'americana non riusciva a capire perchè, dopo quella notte lontana ormai due anni, il pensare al ragazzo la mettesse così in difficoltà. Ancora il suo "perchè?" non aveva ricevuto alcuna risposta, l'aveva addirittura cercato lei stessa un po' di tempo prima per ringraziarlo, ma non sapeva neanche di cosa gli sarebbe dovuta essere grata, esattamente. Da dove fosse arrivato quel battito più forte che aveva sentito quella notte, lo stesso che l'aveva spinta ad assalirlo in maniera totalmente sfrenata, era ancora un mistero per lei. Non sapeva neanche perchè gli avesse provocato una reazione del genere, ricordava una certa preoccupazione improvvisa. Anzi, non prendiamoci in giro, era una vera e propria paura. Paura che, per una seconda volta, potesse crearsi delle false aspettative riguardo qualcuno. Ecco perchè aveva soppresso quel battito, ecco perchè gli si era gettata addosso sbraitando che era soltanto un bugiardo, in maniera più colorita.

    Era dentro il suo appartamento, a breve Tobiko sarebbe arrivato. A portarle la sua felpa. Continuava a ripeterselo mentalmente, ma sentiva comunque una sensazione d'ansia aggrapparle lo stomaco. Non si era nemmeno cambiata dal suo rientro, indossava ancora un paio di jeans, delle semplici scarpe basse invernali bianche, una maglia giallastra e una giacca felpata nera con cappuccio. Aveva poggiato la sua sciarpa rossa su un sedia, dopotutto la casa era riscaldata, non ne aveva bisogno. La sua mente, i suoi pensieri, intanto, continuavano a volteggiare attorno a quello che sarebbe successo di lì a poco. Come l'avrebbe dovuto salutare? L'avrebbe dovuto fare entrare? Come doveva comportarsi? La svegliò la vibrazione del telefono, posato sul tavolo. Allungò una mano per raggiungerlo e sollevarlo, in modo che potesse vedere di chi si trattasse: era lui, era arrivato.

    Cercando di sciogliere il nodo allo stomaco che le si era formato nel momento in cui il suo cervello aveva realizzato che tutto ciò stava succedendo davvero, Laguna si sarebbe alzata dalla sedia, portandosi dietro le chiavi dell'appartamento, mettendosele nella tasca posteriore dei jeans e avviandosi verso le scale nel secondo piano in cui abitava, fino ad arrivare davanti alla porta e realizzare che... non si era legata i capelli. Li aveva sciolti appena rientrata, poggiando l'elastico sul tavolo, ma con tutta quella nube di pensieri non si era curata di riprenderselo, e ormai sarebbe stato ridicolo farsi due piani per andare a prenderlo. Li sistemò con le mani, erano comunque in ordine, scuotendo poi la testa. Ma perchè diavolo le importava come fossero i suoi capelli? Girò la chiave nella pesante serratura del portoncino, prima di prendere fiato e aprire la porta.

    Era davvero lui, solo più... grande? Non riuscì a nascondere un momento di sorpresa. Dimenticava che era davvero da tanto che non si vedevano e, soprattutto, che lui era qualche anno più giovane, almeno. Era anche normale che ora le sembrasse più adulto e maturo. Eccolo là, un battito.

    Sei... cresciuto, Tobiko.

    Ma che diavolo di frase era "sei cresciuto"? Cos'era, la nonna? Fece subito per correggersi, poggiandosi contro lo stipite della portoncino a braccia conserte.

    Cioè, uhm... non ci vediamo da tanto e ho faticato a riconoscerti, a primo impatto.

    La sua espressione era abbastanza neutra, o forzatamente tale. Perchè, di nuovo, non aveva la minima idea se questa visita l'avrebbe dovuta rendere felice. Puntò poi la busta con gli occhi

    Immagino quella sia la mia felpa, giusto?
     
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    Stava... sentendo dei passi? Era solo immaginazione? Una suggestione? Sarebbe davvero stato in grado di sentire dei passi da fuori in strada di una persona che scendeva le scale di un condominio chiuso? Forse, se posava l'orecchio alla porta... doveva posarlo? No, cielo no, se Laguna avesse aperto in quel momento sarebbe stato il top dell'imbarazzo. Se Laguna avesse... aperto... Se Laguna... Laguna stava per aprirgli la porta? Che ci faceva sotto casa di Laguna? Era stato tutto una specie di trip ed in realtà magari era davanti ad una casa qualunque? Non aveva nemmeno suonato il campanello, aveva solo mandato quel messaggio ed ora stava aspettando. Sarebbe davvero sceso qualcuno da quelle scale? Il cuore gli batteva nel cuore come se stesse cercando di uscire: voleva davvero vedere chiunque gli stesse per aprire la porta? Gli salì un potentissimo nodo alla gola e fu tentato di girare i tacchi e correre via prima di essere visto, sarebbe sparito per sempre e si sarebbe alienato: già che c'era sarebbe fuggito anche da Yuya a cui non riusciva più a pensare e da Sumire e tutti gli altri suoi amici che tanto non riusciva più a guardare negli occhi, sarebbe fuggito dall'altra parte del mondo e si sarebbe rifatto una vita se solo... merda, l'inglese. Niente, piano annullato, tanto valeva stare davanti a quella porta ed aspettare di vedere cosa la Provvidenza avesse in serbo per lui.
    L'agognato uscio si aprì di lì a qualche minuto, Tobi ormai tratteneva il fiato da minuti, non sapeva nemmeno di riuscire a trattenerlo così a lungo. Chissà se sarebbe riuscito a riprendere la respirazione o se qualcuno avrebbe dovuto accompagnarlo al pronto soccorso in insufficienza respiratoria. Si rimise dritto, si dette un'ultima sistemata ai capelli scompigliando il ciuffo, si lisciò la giacca e si tirò su i pantaloni e boh, cos'altro poteva fare? Perché la porta ci metteva così tanto ad aprirsi? Quasi quasi si dava un'altra sistemata ai capelli ma niente, un braccio umano fu finalmente visibile. Poi il resto di un corpo che Tobi riconobbe immediatamente. Come non riconoscerla, era rimasta esattamente uguale dall'ultima volta in cui l'aveva vista. Laguna. Aveva i capelli sciolti quel giorno e Tobi non sapeva se fosse più o meno carina a quel modo, forse un po' di più, ma gli piaceva anche l'effetto della frangia e dei ciuffi laterali che le incorniciavano il volto e venivano messi in risalto dalla coda di cavallo. Perché ne parlava come se l'avesse osservata per anni ogni giorno? Come aveva fatto a memorizzarne così bene i dettagli da riuscire a fare confronti in maniera così astratta? Gli occhi del giovane si posarono su quelli scuri della ragazza dinanzi a lui e per un istante non udì nient'altro se non il suono del proprio cuore.
    Poi, incredibilmente, si calmò. Era in imbarazzo, teso, non sapeva cosa dire, e ancora non sapeva se era contento o no di essere lì, ma la crisi esistenziale era superata.
    La prima cosa che lei gli disse, fu che era cresciuto. Forse sentendosi suonare come una nonnina, la finta bionda si affrettò ad aggiungere che era una semplice considerazione data dal fatto che a stento lo riconosceva. Tobi non si vedeva cambiato così tanto, ma del resto conviveva con la sua faccia ogni giorno ed era più difficile accorgersi dei cambiamenti quando li si vedeva avvenire un millimetro alla volta: probabilmente confrontandosi con una foto di sé stesso di un anno prima si sarebbe sembrato un bimbo.
    -Sì, beh.- Esordì, con un'impercettibile alzata di spalle. -Non ci vediamo da un po'.- Cera un lontanissimo tono accusatorio nelle sue parole, ma ci sarebbe voluta una certa dose di paranoia per scovarlo perché era nascosto molto bene. Perché sì, ovviamente se non si erano più visti non era certo colpa sua. -Tu invece non sei cambiata affatto.- Le regalò un sorrisetto appena accennato, vagamente dolce. Non sapeva perché, ma si sentiva già più rilassato: in quel momento decise che sì, era felice di trovarsi lì con lei. Era buffo, ricordava che dei due la più alta fosse lei, eppure ora la sovrastava di almeno un paio di centimetri. Lei chiese della sua felpa e Tobiko gliela allungò, annuendo con aria vagamente assente. E poi, prima ancora di rendersene conto, fece un passo avanti e provò ad abbracciare Laguna, lasciando quasi cadere il sacchetto a terra, lei non avrebbe avuto più di un istante per afferrarlo, tanto improvviso fu l'impeto. Se vi fosse riuscito, le sue braccia si sarebbero chiuse intorno alle spalle di Laguna e la metà superiore del suo corpo si sarebbe avvicinata e posata a quella della giovane: Tobi avrebbe chiuso brevemente gli occhi per la durata del gesto, che non sarebbe stata più di una decina di secondi probabilmente, il tempo di fargli tirare un singolo sospiro quasi sollevato.
    A prescindere da come l'intento fosse andato, il ragazzo si sarebbe schiarito la voce con aria imbarazzata ma senza distogliere lo sguardo. Si sentiva molto meno in imbarazzo di quanto avrebbe creduto - certo, se fosse andata male probabilmente si sarebbe sentito un po' deluso ma in fin dei conti non è che avesse particolari aspettative.
    -Uhm. Sono contento che tu stia bene. Sono stati mesi... Difficili.- Alzò un sopracciglio e la guardò di sottecchi. -E tu di sicuro non te ne sei stata chiusa in casa, per quanto mi piacerebbe pensarlo.- La provocò, fingendosi severo ma tradendo un vago sorrisetto. In fin dei conti se Laguna non fosse stato quello che era, probabilmente Tobi non si sarebbe nemmeno trovato sotto casa sua dopo tutto quel tempo, non riusciva ad avercela con lei nonostante tutto.
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    Quella posizione a braccia conserte che teneva non era una banale comodità. La ragazza sentiva piuttosto un irrefrenabile bisogno di averle in una posizione fissa, ben strette a lei, sentendole quasi formicolare per la tensione che le attraversava. Tenerle lungo il busto o dietro la schiena o in qualsiasi altra maniera l'avrebbe fatta sentire fin troppo a disagio, mentre così era in grado di chiudere le mani su di esse, cercando di scaricare quella tensione sulla propria pelle. Nonostante ciò, continuava a sforzarsi di tenere un'espressione apparentemente tranquilla, nonostante la presenza dello studente in quel momento le trasmettesse tutt'altro che calma. Era agitata, per qualche ragione. Si sforzava di non balbettare a ogni parola che diceva, di non sembrare insicura per via di quell'interazione.

    Un anno? Forse di più?

    Era completamente sparita dalla circolazione per un bel po' di mesi, e anche dopo essersi fatta nuovamente viva al telefono non si erano comunque rivisti. Non aveva minimamente accennato al fatto che si fosse trasferita o che avesse cambiato lavoro. Non pensava avrebbe dovuto, ma ora che sapeva della sua visita a Roppongi si sentiva quasi in colpa. Lo guardò con un sorrisetto beffardo in viso, in risposta al suo così gentile.

    Mi auguro in senso positivo, Tobiko.

    Lo stava chiaramente prendendo in giro. Se lo augurava o lo sperava? Per un attimo, l'idea che il ragazzo potesse aver detto quelle parole in forma di critica nei suoi confronti le attraversò la mente e le fece più male di quel che si potesse aspettare. Forse era per quello che si sentiva così nervosa: aveva paura del suo giudizio, una persona che, per motivi ignoti, nutriva un qualche interesse nei suoi confronti. Se perfino lui, dopo quell'avventura che avevano passato insieme, si era reso conto di quanto l'americana fosse monotona e noiosa, avrebbe significato essere davvero una causa persa. Sì, era chiaramente per quello che stava facendo di tutto per non sciogliersi in un mare di insicurezza, in quel momento. Fece un passo, allungando un braccio, prima di accorgersi che la busta era scivolata via dalle mani dello studente.

    Atten-

    ...

    Era riuscita ad afferrare il sacchetto di plastica che conteneva la sua felpa. Nell'afferrarlo, però, si era ritrovata tra le braccia di Tobiko. Al solo rendersi conto di ciò che era successo, Laguna si fece fuggire un sospiro di sorpresa. Il suo volto poco sopra la spalla di lui. Le braccia del ragazzo attorno alle sue spalle, strette, senza alcuna apparente intenzione di lasciarla andare. Quelle della bionda immobili, paralizzate, oltre il busto del corvino, ma non chiuse attorno a lui. La mano libera semi-aperta, l'altra che teneva la busta tra le dita. Il primo istinto inviato dal suo cervello, quello di dargli un pugno sulle costole e rovesciarlo per terra, con la convinzione che quello fosse un assalto. Istinto soppresso solo dal fatto che, davanti a lei, c'era quel dannato ragazzo che non le aveva lasciato l'anima in pace anche dopo il loro ultimo incontro. Gli occhi di lei si mossero lentamente dal lato dove la testa del corvino poggiava. Non si era ancora mosso. Il cuore che le batteva fortissimo in petto, mentre, molto lentamente provava a chiudere le braccia attorno a lui. Quand'era l'ultima volta che aveva potuto godere di qualcosa di così caldo come un abbraccio? Qualche volta Mitzuki le si avvinghiava alla vita, quando meno se l'aspettava... quindi almeno da due anni, dopo la sua morte.

    Lo sentì sospirare, mentre era ancora addosso a lei. Il gonfiarsi e sgonfiarsi della sua gabbia toracica che ora la faceva sentire ancor più stretta a lui. Le mani andarono timidamente a poggiarsi finalmente sul suo dorso, pochi attimi prima che quel momento si dissolvesse. Attimi che sembrarono ore, in cui riuscì a percepire il suo palmo contro il suo corpo. Quand'era l'ultima volta che lei aveva abbracciato qualcuno? Questa era una domanda ben più difficile. Non ricordava fosse mai successo, da quando era arrivata in Giappone, ormai quasi cinque anni. Nulla di strano che quella brevissima sensazione, rotta dall'allontanarsi di lui, le sembrasse così strana e inusuale.

    Anche dopo che si erano separati, le braccia della bionda rimasero leggermente aperte e il suo sguardo ancora stralunato, nonostante fosse rivolto a lui. Era impossibile nascondere la sua sorpresa, il suo viso leggermente arrossato. Ora si sentiva così vuota. Mentre Tobiko le rivolgeva nuovamente la parola, i suoi occhi scesero verso la busta che teneva tra le mani, per ispezionarne il contenuto. Era la sua felpa verde, ecco dov'era finita. L'aveva davvero data a lui per ricucirla? Possibile non lo ricordasse? Si risvegliò di soprassalto, sollevando di nuovo la testa verso di lui. Le aveva rivolto una frecciatina, ma era passato un po' prima del suo rendersene conto, nonostante non si fosse effettivamente persa una parola di quel che aveva detto. Sogghignò, riportando di nuovo lo sguardo sulla busta e abbassando leggermente la testa.

    Ho fatto cose peggiori di uscire senza permesso. Ma dubito che la cosa ti sorprenda.

    L'aveva beccata mentre pestava una prostituta. Le aspettative di Tobiko erano decisamente troppo basse. Ancora con gli occhi bassi, si morse l'interno della guancia.

    V-vuoi...

    Alzò la testa, a guardarlo di nuovo.

    Vuoi salire? Se ti fa di fare due chiacchiere, ovviamente.
     
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    Ad essere sinceri, Tobi aveva l'impressione che l'americana fosse molto tesa: non sapeva perché, ma non era sicuro di collegare la cosa alla sua presenza, in fondo era sicuramente piena di nemici e poteva darsi che semplicemente fosse preoccupata di far vedere il suo muso yankee in pieno giorno. Eppure, c'era anche la minuscola possibilità che fosse nervosa per la presenza di Tobiko. Anche lì, potevano essere molteplici ragioni: era pur sempre più o meno circa un rappresentante della legge (o aspirante tale) e l'aveva vista commettere un crimine piuttosto grave, sebbene non l'avesse mai denunciata poteva sempre cambiare idea o ricattarla. Oppure poteva pensare che volesse qualcosa da lei e il non capire cosa la rendesse nervosa in quanto abituata a trattare con gente che di norma non voleva mai nulla di buono. Ma nella minuscola possibilità che fosse nervosa per Tobiko, esisteva anche una minuscola possibilità che fosse semplicemente nervosa per la sua presenza? Che avesse le farfalle nello stomaco? Che fosse attanagliata dagli stessi dubbi e stesse provando le stesse sensazioni? Che avesse lo stomaco in subbuglio ed il battito cardiaco accelerato come ce li aveva lui? E anche in caso... Poteva significare quello che pensava il ragazzo? Tobi deglutì nervosamente: chissà.
    Un anno e due mesi, perché se lo ricordava in maniera così precisa? Probabilmente perché era stato un evento particolarmente eclatante, sì.
    -Forse qualcosa di più.- Scelse invece di risponderle, diplomaticamente, scrollando le spalle per non farglielo pesare più di tanto. Il sorrisetto beffardo di lei non lo sfiorò nemmeno, era troppo concentrato a mantenere una parvenza di contegno, inoltre visto come l'aveva vista tesa intuì che dovesse solo essere un modo per smorzare il clima.
    Il ragazzo quasi raggelò quando lei si augurò che la sua osservazione fosse in senso positivo: l'aveva detto così senza pensarci, era la prima cosa che la sua mente gli aveva suggerito, e non lo intendeva né in senso positivo né in negativo, era una semplice constatazione. Ci rifletté, però: come lo faceva sentire il fatto che lei fosse sempre la stessa? Di nuovo, fu l'istinto a venirgli incontro e suggerirgli una parola prima ancora che il giovane avesse modo di angosciarsi con decine di domande per psicoanalizzarsi: si sentiva sollevato. In qualche modo significava che non doveva essere successo nulla di troppo grave, non si era perso nulla, o almeno questa era la sensazione che quel non-cambiamento gli dava.
    -Ovviamente.- Le rispose a sua volta in maniera un po' beffarda, ritrovandosi complice in quel tipo di umorismo vagamente provocatorio. Ma era più forte di lui, non riusciva a mantenere un'espressione troppo seria o di scherno per troppo a lungo, tale era il suo sollievo nel vederla dopo tutto quel tempo. E constatare che era sempre la solita Laguna. Che poi, che diavolo di nome era Laguna? Lo aveva pronunciato nella sua mente per tutto quel tempo senza nemmeno rendersi conto che non gli suonava minimamente americano. No, non gli suonava nemmeno vagamente reale, era più che sicuro di aver sentito di qualche personaggio videoludico col suo stesso nome (nella saga di Last Fantasy, forse?), magari i suoi genitori erano dei giganteschi nerd e la avevano appositamente chiamata così, ma francamente non ricordava di aver mai sentito di nessun altro di reale che condivideva un nome del genere. Certo, parlava lui che si chiamava Tobiko, ma dettagli: lui non aveva motivo di mentire sul suo nome (anche perché almeno avrebbe provato ad inventarne uno figo) , lei invece ne aveva eccome. Ma in fondo, non gli importava nemmeno di quello: ora che l'aveva ritrovata c'era tempo per approfondire ogni cosa, un passo alla volta.
    Doveva solo trovare il modo di rendere quell'incontro il primo di una serie, e non un semplice "eccoti la felpa, addio".
    Già, la felpa, doveva continuare a ricordarsene perché l'impulso di lasciar cadere il sacchetto a terra completamente dimentico dell'oggetto era molto forte. Si era aggrappato a quella felpa come ad un'ancora, quel giorno in cui era andato a cercare la finta bionda a Roppongi, poi l'aveva riparata minuziosamente nel suo tempo libero e l'aveva custodita in un angolo dell'armadio fino a quel giorno, eppure ora non riusciva a ricordarsene per più di tre o quattro secondi di fila, forse perché non c'era più motivo di attaccarsi ad essa quando il motivo per cui vi si era affezionato era proprio davanti a lui.
    Ora che ci pensava, aveva tenuto quella stupida felpa per tutto il tempo in cui era stato insieme a Yuya. Era stato fortunato che la felpa non fosse esplicitamente femminile? O che Yuya non avesse mai curiosato nel suo armadio? Si sarebbe ingelosita? Gli avrebbe chiesto di buttarla? Cosa avrebbe fatto se Yuya gli avesse chiesto di buttarla? Gli sarebbe piaciuto pensare che l'aveva presa istintivamente e l'aveva aggiustata unicamente per non avere una felpa bucata in armadio, o anche solo perché in fondo gli piaceva sistemare le cose. Gli sarebbe piaciuto pensare che se Yuya gliel'avesse chiesto, avrebbe semplicemente scrollato le spalle e l'avrebbe buttata via senza problemi. Ma ci sarebbe davvero riuscito? In fondo lo sapeva che il tenersi quella felpa era stato solo creare un flebile filo che lo teneva legato ad una persona a cui voleva essere legato in qualche modo anche se sembrava sparita nel nulla. Ed ora, quella persona era tornata, quel filo era diventato un ponte, ed ora che il ragazzo lo aveva attraversato l'oggetto aveva asservito il suo scopo.
    E dunque, Tobiko l'abbracciò. La sentì sospirare, e scattare leggermente, sicuramente sorpresa dal gesto, ma senza poi fare nulla per sottrarvisi. Sollevato, Tobi continuò a stringerla per qualche secondo. O forse qualche decina di secondi, chissà, ad essere sinceri era veramente difficile tenere il conto del tempo quando ti sentivi quasi di tremare per l'emozione. E infine, dopo interminabili momenti, sentì anche le mani di lei posarsi sulla sua schiena. Timidamente, goffamente, come se fosse un movimento a cui non era affatto abituata e dovesse costringere il suo corpo ad ubbidirle. E poi, il tempo ricominciò a scorrere intorno a loro, e Tobi capì che era il momento di separarsi prima che chiunque dei due si sentisse costretto ad un imbarazzante pat pat che avrebbe completamente annichilito l'atmosfera.
    Ancora con le braccia leggermente aperte, come in una sorta di parziale paralisi, Laguna lo fissava con sguardo stralunato e gote arrossate, ed altrettanto faceva Tobi, come se non si rendesse ancora troppo bene conto di ciò che aveva fatto. Una strana sensazione di vuoto gli stringeva il petto, doveva... abbracciarla ancora? Il solo pensiero, ora che la sua mente era più fredda e lucida, gli fece avvampare le guance di una seconda ondata di calore, che si sarebbe tradotta in un rosso ancora più accentuato. Non poteva, sarebbe stato troppo strano, e allora cosa doveva fare? Provò a tornare ad una conversazione normale con quelle poche parole che le rivolse, distogliendo lo sguardo mentre lei rimirava la sua felpa nel sacchetto.
    La sua provocazione ed il suo sguardo lanciato di sottecchi probabilmente sarebbero suonati molto meno beffardi e convinti di quanto avrebbero dovuto, ma in fondo andava bene così, non aveva intenzione di passare tutto il tempo a stuzzicarla. E quello che aveva detto, in fondo, lo intendeva davvero.
    -Temo di no.- La cosa non lo sorprendeva, no, doveva ancora capire come fare pace con quelle cose, ma in fondo era meglio affrontare le cose un passo alla volta ed incasinarsi la vita per bene prima di rendersi conto di essersi cacciati in una situazione terribile.
    E dopo quel breve scambio, la mente di Tobi fu deserta, un encefalogramma piatto gli si dipingeva quasi sulle pupille mentre si chiedeva: e ora? Sentiva come di essere arrivato dinanzi ad un muro e di non avere idea di come proseguire. Era ora di tornare a casa? Missione compiuta? Forse, però... era normale che avesse la sensazione che il suo cuore fosse fermamente ancorato a quel posto e che se avesse fatto anche solo un passo indietro gli si sarebbe strappato fuori dal petto pur di rimanere lì? Era forse opera di un Quirk nemico?
    E poi arrivò, quello che la mente di Tobi riconobbe come il naturale proseguo della situazione, una singola proposta che gli dette tutto il sollievo di cui aveva bisogno: lei lo stava invitando a salire. Ecco come doveva proseguire, ecco perché sentiva di essere arrivato dinanzi al muro: la mossa successiva toccava a lei.
    -Certo, mi andrebbe.- Confermò, a voce leggermente più bassa di prima, senza riuscire a celare in alcun modo il proprio imbarazzo ma senza balbettare, come se fosse assolutamente certo di cosa voleva. Il che era vero, quantomeno per quello che riguardava le successive manciate di secondi: salire le scale da cui la ragazza era scesa poco prima, questo era tutto ciò a cui riusciva a pensare. -Fai strada.- Il resto sarebbe venuto da sé, probabilmente.
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    La conversazione tra i due, a mente fredda, sarebbe apparsa davvero imbarazzante. Sia lui che lei davano l'impressione di non voler dire troppo, usando le parole col contagocce, probabilmente temendo che frasi troppo lunghe o elaborate potessero fra trasudare le loro insicurezze di fronte all'altro. Quell'abbraccio era sta una mossa fin troppo audace per il ragazzo che, per il poco che lo conosceva, le era sempre sembrato restio al contatto fisico. Doveva tuttavia essere stato mosso da qualcosa all'infuori del suo comune comportarsi, dato che pochi momenti dopo vide le guance di Tobiko avvamparsi, come a rendersi conto di ciò che aveva appena fatto. Quel rossore era così autentico, le ricordava quando, la prima volta che si erano incontrati, l'aveva salutato con due leggere pacche sulle guance. A quel tempo, il corvino era solo un ragazzino come tanti. Quindi quand'è che le cose erano cambiate? Ricordando il loro secondo incontro, molto più movimentato del primo, Laguna non riusciva a puntare il dito contro l'istante esatto in cui la sua visione dello studente era mutata in maniera confusionaria. Il momento in cui aveva sentito quel battito improvviso e quello in cui l'aveva riaccompagnata a casa tenendola stretta per aiutarla a camminare erano mescolati tra di loro, rendendo impossibile distinguere cosa fosse effettivamente successo nel periodo di tempo che legava i due episodi. Una nuvola di emozioni miste e inaspettate che le impedivano di capire cosa la stesse legando a quella persona che stava rivedendo dal vivo dopo più di un anno.

    Sorrise leggermente di più nel momento in cui Tobiko accettò il suo invito, voltandosi e invitandolo ad attraversare l'uscio dell'edificio, prima di chiudere la porta e sorpassarlo senza alcuna fretta per fargli strada su per le scale. Una salita silenziosa, accompagnata solo dal rumore delle scarpe che calpestavano i gradini. L'aveva invitato a fare due chiacchiere, ma... di cosa avrebbero dovuto parlare? Sapeva davvero poco di lui, anzi forse l'unica cosa di rilievo che sapeva era che fosse uno studente della Yuuei. Per il resto, erano due completi sconosciuti.

    ...e lui cosa sapeva di lei? Chi era nella sua testa: la barista bionda di un locale per buzzurri o una teppista americana da due soldi? Chissà perchè, una non suonava meglio dell'altra. Più faceva di queste considerazioni, più continuava a chiedersi cosa diavolo ci facesse uno come lui in casa di una come lei. Arrivati al secondo piano e davanti alla sua porta, Laguna tirò fuori le chiavi di casa, infilandole nella serratura e facendole girare un paio di volte, prima di spalancarla, entrando per seconda, in modo da chiudersi la porta a chiave alle spalle. Niente di allarmante, era buona abitudine dato lo stile di vita della ragazza, che poteva tranquillamente ricevere qualche inaspettato nemico in visita non gradita.

    La disposizione della casa era molto simile alla vecchia, seppur in migliori condizioni: un tavolo con quattro sedie, una per lato, posizionato davanti alla televisione, una zona cucina della stessa stanza che faceva da soggiorno, un sacco da boxe nell'angolo opposto e due porte, chiuse, che portavano al bagno e alla camera da letto. Affiancato alla porta, un appendiabiti teneva su una giacca in finta pelle nera, mentre su una delle sedie si erano accumulate una o due magliette, un paio di jeans e la sciarpa rossa che aveva poggiato rientrando a casa quel giorno.

    Siediti pure. E non far troppo caso al disordine, grazie.

    Lasciò che il ragazzo si accomodasse come meglio credeva, poggiando la busta con la felpa su un ripiano della cucina e andando ad aprire il frigo.

    Non credo di avere dell'aranciata. Però ho della Coca Cola.

    Avrebbe girato la testa dietro di sè, verso di lui, aspettando una qualche risposta affermativa o negativa. Ne avrebbe comunque presa una per sè, afferrando un pacco di patatine da uno sportello e avvicinandosi al tavolo, che già ospitava un posacenere semi-pieno e una bottiglia di birra da 0,3 vuota. Avrebbe lasciato la bibita in lattina davanti a Tobiko, sempre che avesse risposto affermativamente alla sua proposta implicita, sedendosi poi dal lato opposto del tavolo quadrato, posando la busta di patatine al centro, dopo averla aperta in modo che entrambi fossero liberi di mangiarne.

    Beh, studi ancora in accademia?

    Una veloce occhiata per avere un contatto visivo con lui mentre poneva la domanda, più di circostanza che altro, sull'unico argomento di cui era a conoscenza. Avrebbe approfittato della risposta del ragazzo per aprire la sua lattina di cola e berne qualche sorso, prima di metterla di nuovo sul tavolo. Un diversivo, la risposta sarebbe stava totalmente irrilevante, perchè la domanda che la attanagliava era un'altra. Si mise rilassata, alzando i gomiti e poggiandoli sullo schienale della sedia per stare più comoda, una caviglia sopra il ginocchio opposto.

    Dove hai preso quella felpa?

    La testa di poco inclinata in avanti, a rendere lo sguardo che gli stava dedicando più serio, il tono secco. Solo perchè ancora non capiva quali emozioni provava per lui, o quali lui provasse per lei, non voleva dire che avrebbe abbassato la guardia così facilmente. E no, la scusa di avergliela data lei stessa reggeva davvero pochissimo.
     
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    Quell'atmosfera colma di silenzi, esitazioni e reciproco studio proseguì ancora per qualche battuta. Tobi non poteva fare a meno di pensare che ci fosse qualcosa che l'americana stava tacendo. Del resto anche lui stava tacendo qualcosa, era partito con le migliori intenzioni di essere diretto ed esplicito ma non era così semplice, bisognava creare le circostanze adatte ad affrontare certi argomenti. Per inciso, non aveva nemmeno troppo chiaro dove avrebbe voluto andare a parare, ma non aveva intenzione di evitare il discorso. Ciononostante, il fatto che anche lei stesse celando qualcosa non faceva che rendergli più difficile esporsi, lo avrebbe reso molto più tranquillo giocare a carte scoperte ma non sapeva se era disposto a scoprirle per primo. D'altro canto, era sicuro che valesse lo stesso per lei, ad un certo punto uno dei due avrebbe dovuto fare la prima mossa o di quell'incontro tanto sofferto (almeno da Tobi) non ne avrebbe ricavato niente nessuno.
    Si lasciò condurre su per le scale, senza spezzare il religioso silenzio creatosi, mentendosi e dicendosi che lo faceva per rispettare il silenzio condominiale, perché se Laguna era zitta un motivo ci doveva pur essere. Ma in realtà doveva sforzarsi di compiere meccanicamente il gesto di mettere un piede davanti all'altro senza inciampare, perché sentiva le gambe pesanti ed il cuore pompava a mille, come se tutto il sangue del corpo fosse lì. Stava per svenire? Sperava proprio di no, sarebbe stata una bella figuraccia a patto che fosse sopravvissuto alla caduta. Pensa andare a trovare quella ragazza, essere invitato a salire a casa sua, chiudere gli occhi un momento e svegliarsi in ospedale. Magari nel lettino accanto a quello di sua madre. Tobi per favore non pensare a tua madre adesso.
    La bionda aprì la porta di casa e si scostò per far passare il tirocinante, richiudendo l'uscio dietro di sé. Il ragazzo udì le chiavi girare nella serratura ma non vi diede troppo peso, poiché una volta dentro si era guardato intorno colto da un'improvvisa curiosità nel vedere la nuova casa dell'americana. Era... beh, spartana? Non che Tobi avesse particolari pretese o pregiudizi, anzi, in realtà gli ricordava un po' il monolocale in cui aveva vissuto a Ueno. Più che altro lo sorprese come sembrasse un diretto upgrade di quello in cui viveva prima, come se avesse appositamente scelto una casa uguale ma non diroccata. Era stata una coincidenza? O aveva cercato in lungo e in largo una casa così uguale alla precedente per sentirsi più a suo agio? E soprattutto, perché Tobi si stava ossessionando con la questione? Il suo cervello continuava a tentare di concentrarsi su dettagli futili e distrarlo dal vero motivo per cui era lì, quasi come se inconsciamente desiderasse fuggire. Ma perché l'inconscio doveva essere così? Era sempre a causa sua che ora Tobi si trovava lì, ed adesso si tirava indietro e lo lasciava lì da solo? Codardo. A che piano erano? Sarebbe sopravvissuto buttandosi dalla finestra? Se solo avesse avuto la sua tuta con i Wide Arrow che gli uscivano dai polsi.
    Tobi, basta, il tuo inconscio ti ha abbandonato, ma il tuo Io razionale è ancora qui ed è pronto ad affrontare il problema, per quanto la natura stessa dell'Io razionale gli impedisca di comprenderlo. Però ce l'avrebbe messa tutta. Magari vedendo che la situazione volgeva a suo favore anche quel codardo dell'Es sarebbe tornato. Aspetta, Laguna aveva detto qualcosa? Lo aveva invitato a sedersi, forse? Sì, probabilmente, l'aveva vista indicare con un vago cenno il tavolo e le sedie, almeno quello lo ricordava. Non osò risponderle sebbene fosse sicuro che avesse detto qualcosa perché non era sicurissimo di cosa avesse detto, e si malediva per essersi distratto da solo, si accomodò invece sulla sedia che aveva più vicina, aprendosi il cappotto ma senza osare toglierselo sebbene avesse visto l'appendiabiti. Fortunatamente, Tobiko si riprese per ascoltare la sua sbrigativa "offerta" (o forse doveva chiamarla constatazione? Però aveva intuito che l'eventuale bibita doveva essere per lui) e poté dunque risponderle di conseguenza.
    -La Cola va benissimo.- Rassicurò, con un vago gesto della mano destra. Mentre la bionda si allontanava, lo sguardo di Tobi cadde sul posacenere pieno di mozziconi accartocciati e cenere, e lo colse un vago moto di disgusto. Non aveva mai capito troppo bene l'attrattiva del fumo e, sebbene le sigarette in sé non lo infastidissero, vedere lo sporco che lasciavano lo turbava un po', fosse pure all'interno di un oggetto creato appositamente per contenere suddetto sporco. A fianco ad esso, una bottiglia di birra vuota di cui invece non pensò alcunché, al massimo ne trasse la conferma di quelle che erano già le sue ipotesi sullo stile di vita dell'americana, non che vi trovasse nulla di male. Cioè, non nella birra quantomeno. Fra il suo campo visivo ed i due oggetti venne posata una lattina rossa, resagli familiare dall'enorme pubblicità che le veniva fatta sebbene lui non ne fosse un grande fruitore. La prese, l'aprì e ne prese un sorso, rendendosi conto in quel momento di quanto gli si fosse seccata la gola: il liquido freddo fu piacevole e rinfrescante al suo passaggio, e Tobi si sentì quasi rinvigorito. Un retrogusto di caffeina molto vago gli riportò la mente al ben più amaro caffè in lattina che consumava anche troppo spesso, dandogli una sensazione di familiarità.
    -Sì, sono all'ultimo anno. Sto facendo il tirocinio.- Rispose, dopo essersi schiarito la voce. A lei, in realtà, non sapeva cosa chiedere. -Ah... tu lavori ancora in quel bar o...?- Mormorò, incerto, come se stesse organizzando la domanda parola per parola. A dire il vero, non gli era mai venuto in mente di indagare su di lei, e sebbene avesse sentito delle vicende legate a Hebenon non aveva mai collegato che il bar dov'era morta quella ragazza fosse quel bar, né ricordava di essersi mai soffermato sulla lista dei sospettati. Si sarebbe stupito di vedere il nome della ragazza lì, probabilmente, ma più per la coincidenza che per le circostanze: non avrebbe esitato a credere che lei fosse veramente il killer di Hebenon come sospettavano i giornali, ed anzi, avrebbe solo avuto un motivo in più rispetto ai media per pensarlo.
    Ma era evidente che quelle erano solo chiacchiere di circostanza, Laguna stessa non sembrava pendere dalle labbra di Tobi o aspettare una sua risposta a quella domanda sulla scuola che gli aveva posto. Di lì a poco, infatti, gliene avrebbe posta un'altra, e Tobi capì che era quella la faccenda che le premeva di più.
    Dove aveva preso quella felpa. Non se l'era bevuta, quindi, sapeva di non essere stata lei a dargliela, eppure aveva comunque accettato di vederlo. Il tono e lo sguardo fattisi più severi della bionda lo misero sull'attenti e lo fecero sentire come se lei lo stesse accusando. In effetti lo stava accusando, sebbene in maniera implicita, di essere un bugiardo.
    -Umpf.- Ma il ripensare a come aveva ottenuto quella felpa, non aveva fatto altro che ricordare a Tobi come lei fosse sparita senza dire una parola per tutto quel tempo. Perché se aveva trovato quel capo a casa sua era solo perché si era esasperato così tanto da decidere di andarla a cercare ed aveva infastidito la signora del piano di sotto col campanello. Istintivamente, posò la lattina ed incrociò le braccia, posandosi allo schienale della sedia. -A casa tua.- Sentenziò, facendosi a sua volta più serio: aveva avuto il suo appuntamento e la bugia che aveva usato come pretesto non gli serviva più. -L'avevi lasciata appesa dietro la porta, immagino volessi buttarla, era messa parecchio male.- Illustrò, alzando le spalle. Era strano, solitamente la frustrazione e la rabbia annebbiavano il suo giudizio, ma ricordare perché si era tanto infastidito al tempo gli donava quasi lucidità, vedeva gli argomenti di cui parlare delinearsi davanti ai suoi occhi e doveva solo scegliere quale freccia scoccare. -Sì, sono stato a casa tua.- Anticipò la sua domanda. -Non ti sei mai fatta viva e dopo un po', viste le tue brutte abitudini, ho iniziato a preoccuparmi che potesse esserti successo qualcosa. Non avevo nessun contatto quindi ti sono venuto a citofonare, la signora del piano di sotto ha sentito il campanello, mi ha fatto salire e mi ha detto che te ne sei semplicemente andata da un giorno all'altro.- E quindi sono andato avanti con la mia vita, completò nella sua mente. Con Laguna, invece, scelse di scrollare nuovamente le spalle. -Tutto qua.- Concluse, con semplicità, cercando con i suoi occhi scuri quelli della ragazza, con un'implicita richiesta di spiegazioni.
    Perché era sparita?
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    Proprio come lei, anche Tobiko rimase in silenzio durante la loro salita degli scalini, non aprendo bocca se non dopo l'offerta della bibita. Intanto, la bionda tentava di costruire una nuova comfort zone attorno a sè, mettendosi in una posizione che l'avrebbe dovuta far sentire più rilassata. Inutile dire che non aveva funzionato granchè, nonostante fosse comunque in grado di mantenere una credibile facciata. Era arrivato fino al tirocinio finale, dunque. Ormai era a un passo dal diventare un eroe professionista. Laguna si sentì in un certo senso sollevata, non per il traguardo raggiunto dal ragazzo, del quale poteva importarle relativamente, piuttosto per il fatto che avesse evitato di infilarsi in mezzo ad altre situazioni scomode che avrebbero irrimediabilmente macchiato la sua vita, piuttosto che la sua carriera. Sapere che appoggiare criminali non era sua consueta abitudine la rassicurò... e la indispose ulteriormente. Perchè ciò significava che lei era stata un'eccezione.

    Non più. Non dopo l'episodio di Hebenon.

    Rispose alla domanda del corvino, con un pizzico di malinconia, prima di assaporare il suo primo sorso di cola. Dava per scontato che, dalle notizie sui giornali, si potesse comunque risalire all'identità del locale, perciò non vedeva alcun vantaggio nel nascondere che si trattava proprio di quello in cui aveva lavorato e nel quale aveva incontrato Tobiko per la prima volta. Non si era dilungata nel raccontare di cosa si stesse occupando ora, dato che il suo interesse era altrove, al momento. "A casa tua". Al sentire quelle parole, la testa di Laguna si portò indietro inconsciamente, il suo volto che ora puntava al soffitto. La signora Mishima le aveva detto che era passato, lei era stata più che capace di sommare gli ovvi indizi, ma nonostante ciò continuava a sperare di sbagliarsi, di essere stata lei stessa a dargli la felpa che le aveva appena riconsegnato. Perchè sarebbe stato molto più facile ammettere di essersene dimenticata, piuttosto che cercare di spiegarsi come mai lui agisse in quella maniera così imprevedibile.

    Rimase in quella posizione mentre lo studente proseguiva a esporre le ragioni che lo avevano spinto a venirla a trovare a casa. Non si era mai fatta viva e lui si era preoccupato. Si curvò stavolta in avanti, poggiando entrambi i comiti sul tavolo e tenendosi i palmi sulla fronte, la testa abbassata, come chi sta cercando di risolvere un enigma a cui non riesce a venire a capo. Fece qualche secondo di silenzio anche dopo che lui ebbe finito di parlare, prima di tornare col busto contro lo schienale, sistemandosi con una mano i capelli che aveva scompigliato in quella posizione, fissandolo con uno sguardo meno duro stavolta.

    Sì, so che sei passato nel mio vecchio appartamento. Sono passata a trovare la signora del piano di sotto proprio stamattina. Pensavo non importasse granchè a nessuno che mi stessi trasferendo.

    Parlò con un tono svogliato, prima di prendere un altro sorso dalla sua lattina, sperando che la aiutasse a rinfrescarsi la testa, passandosi poi il pollice sulle labbra per asciugarsi dalle tracce di bagnato, tornando a guardarlo.

    Ma evidentemente mi sbagliavo. Non ho molto da dire a mia discolpa.

    Un secondo sorso, poi silenzio. La testa voltata altrove, di nuovo il gomito sul tavolo e la mano a tenerla su, sotto il mento, mentre rimaneva visibilmente pensierosa, non più seria, quella traccia di malinconia che pian piano avevo iniziato a prendere il sopravvento. Respirò profondamente dal naso, concludendo in un delicato sospiro. Ci pensò su, prima di aprire nuovamente bocca, parlando senza essere rivolta in sua direzione.

    No, in realtà qualcosa da dire ce l'ho.

    Ancora un attimo per pensarci.

    La verità, Tobiko, è che io...

    Un ennesimo attimo di pausa, prima di girare solo di poco la testa, il tanto sufficiente a far si che i suoi occhi scuri potessero inquadrare la figura dello studente.

    ...ti odio.

    Lo continuò a guardare in quella posizione. Era quella la conclusione a cui era arrivata e la ragione che le creava agitazione anche il solo pensiero del giovane studente. Non lo sopportava. Non sopportava assolutamente nulla di lui. Sarebbe stato molto meglio per lei se non l'avesse mai incontrato.

    Ti odio perchè ogni volta che parliamo vedo ogni mio singolo errore e fallimento passarmi davanti agli occhi.

    Si voltò maggiormente in sua direzione, lo sguardo un po' più serio rispetto a prima.

    Ti odio perchè nonostante te ne abbia fatto di tutti i colori, continui a starmi in mezzo ai piedi.

    Alla sua visita al locale l'aveva preso figurativamente a schiaffi. Al loro incontro quell'altro notte l'aveva preso letteralmente a pugni. Era sparita senza fargli sapere nulla, l'aveva a mala pena contattato per un insignificante ringraziamento. Eppure lui era andato a trovarla a casa sua, perchè era preoccupato. Si sollevò dalla sedia, caricandosi con entrambe le mani aperte sul tavolo, rischiando di rovesciare la bottiglia vuota di birra. Il suo sguardo ancora più serio.

    Ti odio perchè piuttosto che denunciarmi, quel giorno, hai preferito farmi da complice pur di farmi uscire pulita da quella situazione.

    Il tono di voce era più alto rispetto a prima, deciso. Tuttavia, la bionda si fece cadere nuovamente sulla sedia, la testa nuovamente tra le mani.

    Ma più di ogni altra cosa, ti odio perchè, nonostante ti odi, continui a fare di tutto per impedirmi di odiarti sul serio.

    Stavolta la sua voce era molto più debole stavolta. Perchè, com'era ovvio intuire, Laguna non lo odiava davvero. Ciò che non sopportava era, al contrario, il fatto che non riuscisse a odiarlo. Nonostante l'avesse aiutata senza secondi fini. Nonostante stesse per realizzare il suo sogno. Nonostante, dopo tutto quel tempo che l'aveva ignorato, si fosse presentato sotto casa sua per abbracciarla.

    Scusa. Semplicemente non ti capisco.
     
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    Non dopo l'episodio di Hebenon. Il cervello di Tobi fece quasi rumore mentre le rotelline al suo interno giravano ed egli processava la frase pronunciata dall'americana. Ancora qualche istante, prego. Oh. Ecco la realizzazione, giunta come un fulmine che carbonizza un albero ignaro. Laguna aveva davvero rischiato di essere fatta secca da Hebenon, e Tobi non ne sapeva nulla, e non era nemmeno tanto per dire visto che la pericolosa omicida aveva ucciso - un momento, quindi era una collega di Laguna quella che Hebenon aveva ucciso? Era assurdo si sentiva così frustrato e preoccupato a saperlo ora, soprattutto al sapere che l'americana doveva aver affrontato tutto ciò completamente da sola. La frustrazione durò poco, tuttavia, perché se Laguna era lì davanti a lui tutta intera e aveva addirittura cambiato appartamento spostandosi in una zona migliore ed in condizioni migliori, significava che se l'era cavata. Ed ora a Tobi rimaneva solo un certo senso di tristezza per essersi perso tutto ciò, non sapeva di preciso perché gli importasse così tanto ma il pensare a lei che se la vedeva da sola con l'omicidio della sua ex-collega gli faceva venire una stretta al cuore: avrebbe voluto esserci stato, anche solo per quello. E al momento non aveva nemmeno collegato che quella nella lista dei sospettati fosse lei, figurarsi quando lo avrebbe scoperto (perché sì, ovviamente il caso Hebenon era diventato per lui improvvisamente molto più interessante).
    -Capisco.- Mormorò, funereo. Gli sarebbe piaciuto farle molte più domande, ma ci sarebbe certamente stato il tempo per farlo: leggeva negli occhi dell'americana che quel breve scambio era stato una mera formalità, domande di rito, convenevoli, ma che non le andava di approfondire nulla prima di chiarire quella che era la sua vera preoccupazione. Che, a quanto pare, era il modo in cui Tobi aveva ottenuto la sua felpa: il giapponese ne fu quasi offeso, tutto qui? Era quello ciò che aveva da chiedergli? Era per quello che l'aveva invitato a casa sua? Era solo sospettosa nei suoi confronti? La risposta del giovane a riguardo fu piuttosto esaustiva e completamente sincera, e Laguna parve non avere nulla da ridire. Lentamente, i gomiti della ragazza si posarono sul tavolo e la sua testa andò a riposarsi sui palmi rivolti verso l'alto, come se fosse in qualche modo incredula e si aspettasse di veder sparire il ragazzo nel nulla una volta rialzato lo sguardo, perché era più facile pensare di essersi immaginata tutto rispetto al credere che lui si era semplicemente preoccupato. Tobi, sinceramente, non capiva che cosa ci fosse di così strano, si era così disabituata ad avere delle persone intorno che si interessassero alla sua sorte? Quando si sciolse da quella posizione si rialzò e si lasciò cadere sullo schienale della sedia, sistemandosi poi i capelli un po' scompigliati dalla posizione di prima. Solo in quel momento Tobi ebbe una realizzazione: stava bene con i capelli sciolti, non l'aveva mai vista prima d'ora. Le sue gote si colorarono vagamente di rosso e si odiò per questo, perché il momento era serio e voleva rimanere concentrato e severo, non poteva ammorbidirsi.
    Lo sapeva, lo sapeva che era stato nel suo appartamento, e allora perché glielo aveva domandato? Era un test? Voleva sapere se il ragazzo sarebbe stato sincero? Glielo aveva detto la signora del piano di sotto, a quanto pareva, ed infatti Tobi non ne aveva fatto alcun mistero: aldilà del suo voler essere onesto, sapeva che la bugia avrebbe avuto le gambe molto corte. Non lo aveva detto via messaggio semplicemente perché uscirsene dal nulla con una cosa del genere dopo mesi di silenzio sarebbe stato davvero inquietante e si sarebbe probabilmente giocato l'incontro. L'americana non ebbe molto da dire in sua difesa, si limitò a sminuire dicendo che non credeva sarebbe importato a nessuno se spariva, il che portò Tobi a sospirare. Aveva quasi fatto l'offeso prima, ma in fondo se lo aspettava che se lei era sparita era solamente perché pensava che nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, ormai aveva capito che era abituata ad essere lasciata sempre sola.
    -Sì, beh, non fa nulla.- Il suo tono era ancora vagamente seccato, ma molto meno di prima, si capiva che si stava addolcendo, sebbene al contempo fosse evidente che non era vero che non facesse nulla. Ma se la questione si fosse chiusa lì, sarebbe certamente stato in grado di perdonarla: non si poteva fargliene una colpa se nessuno si era mai interessato a lei, ed in fondo la maggior parte della sua frustrazione derivava dallo spavento che ricordava di aver preso. Poi, certo, aveva anche pensato di non essere abbastanza importante per lei e quello aveva fatto male, e probabilmente non era nemmeno falso, in fondo non avevano avuto troppo modo di legare. Oggettivamente si riconosceva che il suo attaccamento nei suoi confronti non fosse del tutto razionale.
    Ma poi, improvvisamente, lei riprese il discorso, dicendo che qualcosa da dire a sua discolpa ce l'aveva. Tobi la vide distogliere lo sguardo e per qualche motivo iniziò a sentire già il gelo avvolgerlo, sentiva che stava per sentirsi dire qualcosa di davvero sgradevole, se nemmeno lei riusciva a guardarlo in faccia mentre glielo diceva.
    Forse sforzandosi, forse per pura educazione, forse perché voleva che il messaggio penetrasse meglio, gli occhi scuri di Laguna tornarono a specchiarsi in quelli di Tobi poco prima di pronunciare quelle due parole che avrebbero trafitto il giovane come delle lance.
    Ti odio.
    Forse aveva capito male? Non aveva difficoltà a credere che qualcuno potesse odiarlo ovviamente, ma non capiva perché lei avrebbe dovuto odiarlo e soprattutto gli sembrava così... improvvisa e gratuita come cosa. Quasi come se l'americana se lo fosse tenuta dentro tutto quel tempo e le fosse finalmente scappato di bocca, incapace di trattenersi un secondo di più ora che quell'odioso ragazzino aveva invaso anche il suo spazio personale. Un momento, possibile fosse davvero così? E allora perché accettar- la felpa, ecco perché, la rivoleva. Giustamente, era la sua felpa e non c'era motivo per cui dovesse averla Tobi, ora che l'aveva riavuta poteva semplicemente dirgli che lo odiava così magari se ne sarebbe andato fuori da casa sua e dalla sua vita, finalmente, per sempre. E Tobi avrebbe voluto arrabbiarsi e odiarla a sua volta, ma tutto ciò che sentiva dentro era un'orribile sensazione di vuoto, sentiva che non sarebbe stato in grado di alzarsi da quella sedia nemmeno se ci avesse provato, il suo corpo aveva improvvisamente perso tutto il suo tono muscolare, probabilmente di lì a poco si sarebbe sciolto e Laguna avrebbe dovuto asciugarlo da terra con un mocio.
    Ma non era ancora finita, in maniera assolutamente non richiesta l'americana iniziò ad elencargli i motivi per cui lo odiava, Tobi fu tentato di chiederle di smetterla ma non riuscì ad aprir bocca, chinò semplicemente il capo in avanti mentre ascoltava, sforzandosi giusto di non crollare sul tavolo. Le motivazioni tuttavia non erano nulla di vagamente simile agli insulti che Tobi si immaginava, il che lo destò almeno leggermente sebbene continuasse a desiderare di sparire. La seguì con lo sguardo mentre si alzava e sobbalzò impercettibilmente quando le sue mani si posarono sul tavolo con veemenza. Lo odiava perché le ricordava dei suoi fallimenti, lo odiava perché le stava tra i piedi anche se lei lo aveva trattato male, lo odiava perché si era compromesso per aiutarla invece di denunciarla come sarebbe stato giusto.
    Ma allora... odiava lui o odiava sé stessa? Lei odiava Tobi o credeva che lui avrebbe dovuto odiarla?
    Ti odio perché mi impedisci di odiarti, aveva detto, quindi forse avrebbe voluto odiarlo ma non ci riusciva? E perché avrebbe voluto odiarlo? Forse perché non era più abituata ad avere alcun tipo di legame e non sapeva come gestirlo? Era semplicemente più facile odiarlo? Tobi non poteva sapere cosa le passasse per la testa, ma perlomeno si era un po' tranquillizzato, specie all'ultima frase della bionda, in cui si scusava e diceva che semplicemente non riusciva a capirlo. Le sue parole facevano ancora male, perché qualunque fosse il motivo gli aveva detto che lo odiava ed era un verbo che portava con sé un certo peso, e Tobi non era uno psicologo né tantomeno aveva particolari doti nel comprendere le persone, e nondimeno non credeva spettasse a lui perdonare tutto, essere sempre comprensivo e pronto a porgere l'altra guancia anche con quella che a tutti gli effetti era poco più di una sconosciuta, che provasse o meno sentimenti nei suoi confronti.
    -D'accordo, mi odi.- Mormorò, cercando di mantenere un tono composto e giungendo le mani sul tavolo con aria riflessiva - mentre in realtà si stava solo letteralmente aggrappando a sé stesso per non cadere dalla sedia. -Non capisco perché, anche io non ti capisco poi tanto. E se devo essere sincero non capisco nemmeno io troppo bene perché ho fatto tutte quelle cose che hai detto. Al momento mi è sembrata la cosa giusta.- Ripensò a quella povera disgraziata pestata a sangue sul marciapiede e dovette correggersi. -No, anzi, era semplicemente quello che volevo fare e l'ho fatto. Non ho rimpianti e non l'ho fatto per avere qualcosa in cambio, hai tutto il diritto di odiarmi immagino.- Incrociò le braccia al petto, mano a mano che parlava gli stava tornando un po' di fiato nei polmoni ed un po' di tono ai muscoli. -Io ci tengo a te, non lo so perché, non deve esserci per forza un perché, è così e basta. Sarebbe molto più semplice se ti odiassi anche io, ma non è così.- Non era del tutto convinto che lei lo odiasse, in fondo, quindi decise di esporsi per primo nella speranza che la spingesse ad essere onesta con sé stessa. Certo, era pur sempre possibile si fosse immaginato tutto e che lei lo odiasse sul serio, e il solo ripensarci lo fece sprofondare di nuovo con un secondo sospiro.
    -Beh, hai la tua felpa comunque.- Mormorò, cercando di suonare più serio possibile e di non sembrare sull'orlo di una crisi di depressione. -Vuoi che me ne vada?- Non voleva ripetere ancora una volta il concetto che lei lo odiasse, non solo perché gli faceva male pensarci, ma anche perché non voleva sembrasse che stava tentando di sottolinearlo per far sì che lei si sentisse in colpa e ritrattasse. -Non mi farò più vivo, questa volta, puoi stare tranquilla.- Gli sarebbe costato uno sforzo disumano e non era ancora sicuro di come avrebbe fatto a smettere di pensarci, ma se lei davvero lo odiava e lo voleva fuori da casa sua non avrebbe mai più sentito parlare di lui se non come Meijin al telegiornale.
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    Avrebbe preferito sentirlo alzare la voce e infuriarsi, sollevarsi dalla sedia rovesciandola a terra, farle una doccia di insulti prima di gridarle che non voleva più avere nulla a che fare con lei. Sarebbe stato semplice, molto più semplice del cercare di reggere il peso delle parole appena uscite dalla bocca di Tobiko.

    "Io ci tengo a te."

    La domanda le sorse spontanea, quella che la attanagliava fin dal giorno dopo la fatidica serata, ma ancora prima arrivò la risposta: non serviva un perchè. Era così e basta. Ancora una volta, il giapponese stava un passo avanti a lei, sotto qualunque prospettiva. Soltanto a quella breve frase, testa e cuore della bionda andarono su di giri. Ed era frustrante, diavolo se lo era. Ovvio che non lo odiasse sul serio, ovvio fosse tutta una buffonata, come lo era quel suo atteggiamento da teppista e come lo era stata fin'ora tutta la sua vita in Giappone. Era chiaro da molto prima di quelle parole che Tobiko fosse in qualche modo interessato a lei, che per qualche ragione tenesse al suo bene, a prescindere che questo derivasse da un interesse sentimentale o di pura empatia nei confronti di una ragazza in difficoltà con se stessa. Ma lei era così profondamente incastrata nella sua eterna messa in scena che, piuttosto che esprimere un minimo di riconoscenza o anche solo concedergli uno spazio riservato nella sua piccola cerchia di conoscenze, gli aveva detto che lo odiava.

    Si vantava di quanto fosse forte, ma non aveva trovato neanche il coraggio di mostrargli un sorriso, tanto era terrorizzata dai suoi stessi demoni, dalla possibilità di essere tradita ancora una volta. Nonostante fosse uscito dalla sua strada per darle una mano, lei preferiva tenere su la guardia per tenerlo lontano. E ora era pronto ad andarsene, per sempre stavolta. Strinse i propri capelli con le mani, i gomiti sul tavolo e la testa bassa. Ricordava benissimo com'era finita l'ultima volta che si erano persi di vista, lasciandola vuota e confusa come soltanto un'altra volta si era sentita. Eppure non riusciva a dirglielo, la sua lingua imbrigliata, incapace dirgli di restare. Perchè, alla fine, era debole ed era il motivo per cui si ritrovava nella situazione in cui era. Rimase in silenzio, a pensare, prima di alzarsi di scatto, sbattendo una mano sul tavolo e rovesciando la sua lattina, con ancora dentro abbastanza cola da sporcare il suo lato, ma non se ne preoccupò assolutamente. A passo deciso si sarebbe portata a fianco al ragazzo seduto, fino ad arrivargli a distanza di braccio. Rimase lì, in silenzio, prima di inspirare profondamente, con lo sguardo fisso su di lui.

    Per abbracciarlo. Le mani si sarebbero mosse molto lentamente dietro la testa di Tobiko, prima di tirarla con altrettanta dolcezza fino a tenerla contro il lato sinistro del suo petto. Laguna respirava lentamente. Stava facendo uno sforzo disumano per mantenere quella posizione, avere una persona così vicina era sempre stato sinonimo di pericolo fino a quel momento e, ora, lo stava facendo volontariamente. Ma se la sua voce non aveva intenzione di esprimere ciò che voleva davvero dirgli, non aveva altra scelta. Il suo cuore, che in quel momento stava battendo all'impazzata, avrebbe parlato al posto suo. Gli avrebbe detto di restare, di non lasciarla per nessun motivo e di quanto era difficile per lei farglielo capire in qualunque altra maniera. Le sue braccia si strinsero un po' di più attorno alla sua testa, la mani che affondavano nei suoi capelli.

    Scusami, sono un disastro.

    Inutile continuare a metterlo in guardia sul fatto che facesse meglio a stargli lontano, che non fosse una buona compagnia da frequentare. Lui non l'avrebbe capito, quel dannato testardo. Però, qualcosa doveva farla. L'unica cosa giusta da fare, nei confronti di quel ragazzo che così tanto voleva dimostrare di tenere a lei. Mollò la presa, lentamente, perchè tutto sommato le dispiaceva abbandonare quell'abbraccio, dentro al quale si stava trovato più a suo agio, attimo dopo attimo. Si sedette dal lato del tavolo che faceva angolo con quello dello studente, visto che il suo era ancora sporco di cola, afferrando il telefono, chiaramente cercando qualcosa. Trovato, senza dir parola, avrebbe avvicinato il telefono verso di lui, in modo che vedesse, prima di far partire il video. Era un breve servizio del telegiornale, a mala pena un minuto . Parlava di una ragazzina di 16 anni dai capelli neri, sparita agli occhi di tutti nel 2019. Una breve spiegazione del perchè si era recata in Giappone, dei vestiti che indossava e dei contatti da avvertire in caso qualcuno la vedesse. Il video finisce prima dell'introduzione della seguente notizia.

    Laguna mimava con la bocca le parole della giornalista. Lo conosceva a memoria, dopo tutte le volte che l'aveva visto. Terminato il servizio, la bionda avrebbe rimesso il telefono in tasca, prima di portarsi una mano alla testa, per tenere i capelli in una coda, a mimare l'acconciatura della ragazza del video, per quanto il colore fosse diverso, guardando Tobiko dritto negli occhi.

    Mi chiamo Hannah Harley. Sono scomparsa a Tokyo circa 4 anni fa e mai ritrovata.
     
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    Tobiko se ne stette in silenzio ad attendere il responso dell'americana. Stava tentando di mantenere un'aria composta e vagamente distaccata, come se della sua risposta non gli importasse poi così tanto, per evitare di metterle troppa pressione addosso e condizionarla. Poi, chiaramente, per averle detto quelle cose era evidente che un po' gli importasse, quindi era una recita che reggeva fino a un certo punto, ma sperò che fosse sufficiente.
    La verità è che ogni istante di silenzio una salda presa si serrava sempre di più sul cuore di Tobi, stringendolo, no, strizzandolo minuto dopo minuto. Aveva fatto un salto nel buio, ma ora un'insistente voce nella sua testa gli stava urlando che le aveva servito su un piatto d'argento la possibilità di sbatterlo fuori casa e lui non voleva andarsene. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla parte superiore della testa della ragazza - che lei gli offriva standosene sul tavolo con la testa fra le mani. La vide stringersi i capelli e fu quasi lì lì per aspettarsi un altro scatto di rabbia, deglutì ed attese trattenendo il fiato. In qualche modo, sembrava che lei ci stesse pensando: fosse stato chiunque altro avrebbe solamente pensato che stava tentando di mandarlo via in maniera diplomatica, ma se aveva capito qualcosa di lei era che la diplomazia non le interessava particolarmente, e dunque se non lo aveva ancora fatto sloggiare significa che non aveva ancora deciso se farlo sloggiare. Forse doveva aggiungere qualcosa? No, sarebbe sembrato che la stesse supplicando. Aveva dato il suo ultimatum, ormai, rimangiandoselo avrebbe perso credibilità, ora stava a lei.
    Perché diavolo si sentiva come se stesse negoziando con un terrorista?
    Un botto improvviso, ecco lo scatto d'ira, era arrivato, doveva prepararsi a difendersi? No, pareva la vittima fosse stata il tavolo ancora una volta: vide la lattina di coca cola della giovane cadere e rovesciare il suo contenuto sul legno e non fu abbastanza pronto a scattare e prenderla al volo. Ma non ebbe tempo di pensarci, la donna era scattata in piedi e si era avviata a passo deciso verso di lui, ora forse avrebbe dovuto difendersi, lo aveva già preso a cazzotti una volta del resto. Ma lui si era appena offerto di andarsene, perché doveva infierire? Era una di quelle cose stupide con cui era ossessionata sul "far vedere chi comanda", come per la povera disgraziata picchiata a sangue svenuta sul marciapiede?
    Eppure, Tobi decise di non sollevare le braccia e di rimanere immobile, seduto, come in attesa del giudizio divino, con gli occhi chiusi e le mani chiuse a pugno posate sulle proprie cosce, pronto a sopportare il dolore. Le stava dando fiducia, non aveva letteralmente nessun motivo per credere che lei non volesse picchiarlo, ma dopo tutte quelle belle parole e dopo averle esplicitamente chiesto se voleva che se ne andasse, voleva darle un'ultima dimostrazione della sua buona fede rimanendo fermo immobile. Male che vada un cazzotto poteva sopportarlo, si sarebbe scansato al secondo. Sentì che era a pochi centimetri da lui, ma continuò a non avvertire alcun tipo di contatto e dopo pochi istanti che a lui parvero infiniti si concesse di sbirciare con la coda dell'occhio. E vide Laguna spalancare le braccia e fargliele passare lentamente ai lati della testa: non era un attacco, era inequivocabilmente un movimento lento, delicato, quasi sinuoso. Sentì le mani della giovane, un po' fredde, posarsi sul suo collo e poi fare una lieve forza per avvicinarselo, come se volesse abbracciarlo. Lo stava abbracciando? Il ragazzo sciolse le spalle ed i muscoli, che aveva istintivamente irrigidito per "difendersi", e assecondò il movimento che l'altra voleva fargli compiere: in pochi istanti, la sua testa si posò su qualcosa di morbido, e Tobi arrossì istintivamente capendo di cosa si trattava, ma stette immobile, quasi in tilt. Sentiva il diaframma della giovane gonfiarsi e sgonfiarsi ritmicamente, lentamente, profondamente, come se stesse provando a sua volta a calmarsi. Una breve sensazione di sollievo pervase il ragazzo: non capiva ancora bene cosa stesse succedendo, ma se non altro non era l'unico ad essere così nervoso. Entrambi stavano navigando nel buio, tentando semplicemente di fidarsi l'uno dell'altra. Dopo qualche istante in quella posizione, si accorse di un altro movimento, e capì che forse era quello che Laguna voleva fargli sentire facendolo posare proprio con la tempia. Un battito, Tobi non se ne era accorto subito perché non aveva il ritmo che ci si aspetterebbe da un cuore a riposo: batteva, no, martellava all'impazzata, forte e veloce. Sollevò leggermente una mano e la posò sul proprio petto, sentendo che il proprio cuore non batteva in maniera troppo dissimile. E quindi, cosa significava? Significava qualcosa? Perché il suo cervello aveva deciso di abbandonarlo proprio in quel momento? Perché non riusciva a pensare?
    Le mani di Laguna si mossero sulla sua testa, carezzandogli i capelli che gli crescevano cortissimi, fitti e sottili, intorno al capo, e il tirocinante provò quasi un moto di commozione mentre si sentiva stringere più vicino al corpo dell'altra. Ora sì che sembrava un abbraccio.
    Scusami, sono un disastro. La sentì mormorare, con tono sconfortato, come se fosse delusa da sé stessa. Tobi tentò di rigirarsi sulla sedia senza divincolarsi dalla presa ed avrebbe dunque provato a ricambiarla, cingendo la bionda all'altezza dei fianchi - a quell'altezza era il meglio che poteva fare - e tirando un sospiro di sollievo. Era sollevato che lei non lo avesse cacciato, era sollevato che nemmeno lei avesse le idee chiare su cosa stava succedendo, ed era soprattutto sollevato del fatto che in qualche modo, lei sembrasse aver accettato i suoi sentimenti. Lo aveva lasciato avvicinare, finalmente. Nessuno poteva dire se sarebbe durato o meno, se fosse una cosa di cui si sarebbe pentita di lì a cinque minuti e poi magari sarebbe sparita di nuovo, ma aveva finalmente fatto breccia, per davvero questa volta.
    Dopo quello che sembrò contemporaneamente un'infinità di tempo e troppo poco, sentì le braccia di Laguna perdere la presa e capì che era arrivato il momento di distanziarsi. Anch'egli a malincuore, la lasciò allontanare e si rimise dritto sulla sedia, rendendosi conto improvvisamente che stava morendo di caldo. Tentò di capire se l'incontro stava per terminare in qualche modo, e quando capì che Laguna stava tentando di mostrargli un video sul cellulare capì che c'era ancora qualcosa di cui discutere, dunque si sfilò il cappotto e lo appese sulla sedia dov'era seduto, pur senza staccare gli occhi di dosso dal piccolo schermo luminoso che Laguna gli stava allungando, su cui si susseguivano le immagini di un servizio giornalistico datato duemiladiciannove. Una ragazzina americana dichiarata dispersa dopo un viaggio in Giappone, una certa Hannah Harley, sedicenne dai capelli neri ma con una faccia familiare. Ancora una volta, le rotelline nel cervello di Tobi si mossero lentamente e rumorosamente mentre questi arrivava al motivo per cui Laguna gli stesse mostrando quel video proprio mentre lei stessa glielo rivelava.
    Era lei, Hannah. Scomparsa e mai ritrovata, a dire suo, ma... Se ne era consapevole e sapeva che la stavano cercando, non poteva semplicemente tornare? Evidentemente non era così semplice, se davvero aveva preferito invischiarsi con la malavita per non morire di fame piuttosto che tornare a casa, probabilmente stava scappando da qualcosa.
    -Hannah.- Ripeté Tobi. Se non altro era più facile da pronunciare di Laguna. Suonava come Hana, che era un nome giapponese e quindi non gli dava problemi. O perlomeno lui lo pronunciava così. -Sei, uhm... - In fuga? Se gliel'avesse posta in quei termini, probabilmente un cazzotto se lo sarebbe preso sul serio visto com'era orgogliosa e suscettibile. -Stai sfuggendo alla tua famiglia?- Sfuggire, sì, sebbene più o meno significasse la stessa cosa, rispetto a fuggire sembrava implicare più peripezie, più lotte. Insomma, sembrava meno da codardi. -Era una situazione... difficile?- Se glielo stava raccontando, forse, voleva parlarne.
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    Gliel'aveva detto... e adesso? Per la prima volta aveva confidato a qualcuno che Laguna Lee era soltanto una falsa identità, ma non sapeva se sarebbe stata anche pronta a spiegare la motivazione che l'aveva portata a dover fingere di essere qualcun'altra. Nonostante tutto, Tobiko non sembrava esageratamente sconcertato da quella sua rivelazione. Forse se l'aspettava o forse la tensione all'interno di quella stanza stava sopprimendo qualsiasi forma di reazione emotiva esagerata. L'avrebbe capita?

    Hannah. Da quanto tempo nessuno la chiamava più con quel nome. Il solo sentirlo le provocò un improvviso attacco di tristezza e nostalgia, a ricordarle di com'era tranquilla la sua vita prima di quel giorno, dove tutto era andato per il peggio. Tutto era totalmente irraggiungibile, ormai. Si frugò in tasca, aveva assolutamente bisogno di una sigaretta per rilassare un attimo i nervi. Tirato fuori il pacchetto, se ne mise una in bocca, rendendosi conto di non avere con sé l'accendino. Al diavolo, con uno sbuffo se la tolse dalla bocca, usandola piuttosto come giocattolo per le dite, facendola girare tra queste mentre pensava in silenzio a come rispondere allo studente.

    Mio fratello era... speciale.

    Si limitò a dire, come incipit, con gli occhi che osservavano la sigaretta muoversi. E già da questo inizio, un fiume di ricordi dei loro momenti insieme l'aveva travolta senza pietà. Le sarebbe piaciuto davvero che le cose fossero rimaste come le stava vedendo ora, nella sua mente. Stava davvero bene.

    È sempre riuscito in tutto quello che faceva, mamma e papà lo adoravano. E io forse più di loro. Era il mio punto di riferimento in ogni campo.

    Si prese una piccola pausa. Quanto avrebbe resistito senza che le emozioni prendessero il sopravvento su di lei? Alzò lo sguardo verso Tobiko, accertandosi che stesse ascoltando, anche perchè non avrebbe avuto nè le forze nè l'intenzione di ripetersi nel suo racconto.

    Lui aveva deciso di studiare alla Yuuei e noi l'abbiamo sostenuto. Passò ovviamente l'esame, nessuno si aspettava di meno, diventando uno studente eroe a tutti gli effetti. Io ero ancora alle medie e... avrei voluto seguire le sue orme.

    Quante volte ancora avrebbe dovuto ripassare le dita su quella ferità così profonda?

    Io però non ero come lui. Non avevo conseguito i suoi stessi risultati, nonostante l'impegno che ci mettessi. I miei genitori hanno fatto di tutto per farmelo capire, ma io ero testarda. Ero sicura che se ci avessi messo tutta me stessa ce l'avrei fatta.

    Chiuse la mano a pugno attorno alla sigaretta, rimasta incastrata tra le dita e venendo deformata. Parlava con un tono neutro, non perchè rivangare il passato non la facesse soffrire, ma perchè quello era l'unico modo che aveva per continuare il racconto senza versare qualche lacrima. Già era successo che le scappasse con lui, non voleva passare per una frignona.

    Sorpresa delle sorprese: sono stata bocciata al test d'ingresso.

    Disse quella frase con un sorriso amaro e allargando poco le braccia e le mani aperte, guardando Tobiko, come se quella fosse la punchline di una barzelletta che aveva lei come protagonista.

    Incredibile che il cavallo dato per perdente abbia perso, eh?

    Un velo di frustrazione nelle sue parole. Si stava chiaramente trattenendo dall'esternare il grosso delle sue emozioni.

    I miei genitori mi hanno fatto una lavata di capo, dicendomi che non ci avrei neanche mai dovuto provare, tanto era ovvio che fosse un obiettivo che non avrei raggiunto. Ma poi è comparso mio fratello, come una luce in fondo al tunnel.

    Strinse i denti. La voce che si faceva più furiosa.

    Ero sicura che mi avrebbe risollevato. Che mi avrebbe confortato e spinto a non arrendermi, proprio come tutte quelle cazzate che dicono i Pro in televisione. E invece...

    Il suo tono si abbassò nuovamente, gli occhi che non si alzavano dal tavolo.

    Ha annullato ogni mia speranza in poche parole.

    Si morse il labbro inferiore, cercando uno sfogo che la aiutasse a contenersi.

    Di tutta risposta, sono fuggita.

    Si passò una mano tra i capelli sciolti, tenendone qualche ciocca sul palmo.

    Mi sono tinta i capelli, mi sono inventata un nome e ho fatto di tutto perchè nessuno mi trovasse.

    Lasciò andare i capelli, facendo spallucce.

    Che sia stata solo una grande stronzata? Forse. Ma a quanto pare non riesco a fare a meno di farne.

    Solo ora rialzava gli occhi verso Tobiko. Una reazione, uno sguardo, anche disappunto. Era la prima volta che potava avere un parere esterno su quella situazione e, onestamente, era curiosa di sentirlo. Era cosciente di essersi comportata in maniera esageratamente avventata, non avrebbe fatto fatica a sorbirsi qualche critica da parte del corvino. Però, ora che aveva concluso, si sentiva molto più leggera.
     
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    La singola domanda di Tobi sembrò rompere una diga, il che era esattamente l'effetto a cui il ragazzo mirava, ma non era sicurissimo di riuscirci, quantomeno non al primo tentativo. Invece, evidentemente, la diga era già sull'orlo del collasso ed un semplice sassolino era bastato per creare una breccia: l'acqua aveva fatto il resto, ed ora era inarrestabile. Parlò e parlò, raccontò la sua intera storia, raccontò di un fratello che era perfetto in ogni suo aspetto ed era protagonista dell'ammirazione di tutta la famiglia - Laguna (anzi, Hannah) inclusa. Era diventato un eroe alla Yuuei Academy (probabilmente la sua fama era fin troppo prestigiosa anche oltreoceano) ed inevitabilmente anche la sorellina minore che tanto lo idolatrava volle riprovarci. I suoi risultati - accademici, forse? La ragazza non fu troppo chiara - non erano brillanti quanto quelli del fratello ed i suoi genitori non la appoggiarono nella sua scelta. Tobi iniziò a storcere il labbro già a quel punto, se a lui pesava così tanto avere un genitore indifferente figurarsi ad averli entrambi apertamente ostili, per forza che quella ragazzina che era stata Hannah non conseguiva il minimo risultato. La ragazzina aveva dimostrato coraggio e determinazione ed aveva infine deciso di provare lo stesso a seguire il suo sogno, ma purtroppo Tobi aveva già intuito l'epilogo di quella storia: c'era solo da capire il collegamento tra il fallimento al test d'ingresso e l'essere diventata latitante.
    Anche Laguna presentò la sua bocciatura definendola una sorpresa nella maniera più amaramente ironica possibile, dunque Tobi esalò un silenzioso sospiro ed abbassò lievemente il capo. Era strano che si sentisse in colpa di aver passato la prova? Lui, con un Quirk ed una personalità così mediocri, aveva potenzialmente rubato il posto ad una come Laguna. Come se il fallimento di per sé non bastasse, i suoi genitori l'avevano ulteriormente mortificata, meno male che alla fine era arrivato suo fratello e...
    E niente. Le aveva dato il colpo di grazia. La ragazza non riferì con precisione cosa lui le avesse detto, ma il senso era inequivocabile. Si era schierato con i genitori e l'aveva mortificata ulteriormente, e lei aveva avuto l'unica reazione naturale per una ragazzina di quell'età: era scappata via, da quella che era stata solo l'ultima di tantissime mortificazioni. Fuggita da una vita che l'aveva sempre fatta sentire di troppo. Ok, questo non glielo aveva detto, ma Tobi non poteva evitare di empatizzare con una storia del genere, probabilmente i drammi familiari erano il suo punto debole. Per qualche motivo gli tornò alla mente quando aveva litigato in malo modo con sua madre quella sera, senza mai riappacificarsi. Ma, ancora peggio, senza mai avere una risposta alle domande che le aveva posto, sul motivo del suo distacco emotivo dal resto della famiglia. Ammesso che ce ne fosse uno.
    Il suo stream of consciousness fu interrotto dallo sguardo di Laguna, che dopo il non troppo lungo racconto tornò a cercare il proprio. Le sue ultime parole rimbombarono un po' nella mente di Tobi: a quanto pare non riesco a fare a meno di fare stronzate.
    -Mh, a chi lo dici.- Sogghignò, la sua mente immediatamente al Palazzo Imperiale, per poi tornare serio. -Capito, comunque.- Come si sentiva dopo aver ascoltato tutto ciò? Certamente aveva preso nota del fatto che nella sua carriera avrebbe potuto incontrare un certo Pro-hero chiamato Harley di cognome, ed altrettanto certamente avrebbe fatto di tutto per mettergli i bastoni fra le ruote costi quel che costi. Il sentimento predominante dopo il racconto della ragazza era la rabbia e la frustrazione, possibile che una famiglia potesse essere così crudele con il sangue del loro sangue? Farle così tante pressioni psicologiche da rendere più desiderabile letteralmente una vita di latitanza al semplice guardarli negli occhi? Gli facevano schifo, loro, i genitori di Sumire, sua madre, tutti questi adulti che si sentivano in diritto di guardare i loro figli dall'alto in basso o con indifferenza nel migliore dei casi. Chi diavolo gliel'aveva fatto fare di farli, allora? L'invenzione dei preservativi non era certo una scoperta medica all'avanguardia, esistevano da un po'.
    -... Le famiglie sono un disastro.- Asserì infine. -Probabilmente è l'ultima cosa che vuoi sentirti dire ma... mi dispiace. Nessuno merita di essere trattato così.- Cosa doveva fare ora? Doveva abbracciarla di nuovo? Forse poteva essere invadente considerato che si erano appena staccati? -Forse è stata solo una grande stronzata. Forse ti sei liberata di un enorme peso.- Sospirò, poi. -È orribile che sia finita così e che tu ora debba fare... quello che fai per sopravvivere, ma lo capisco. È dura a Tokyo per un gaijin senza la minima referenza.- E quindi? Cosa poteva fare? Offrirle il suo aiuto? Per cosa? Non aveva certo modo di ripulirla e trovarle un lavoro onesto, era solo un ragazzo di campagna e non era nemmeno maggiorenne, cosa poteva fare? Al massimo poteva darle dove dormire ma pareva che almeno quel problema non ce l'avesse. Però voleva farle capire che in qualche modo, per qualunque cosa, lui c'era. Lentamente, in maniera un po' titubante, sollevò la mano destra e l'avvicinò alla mancina dell'americana, facendo per prendergliela. Non era una stretta molto salda, voleva lasciarle la possibilità di divincolarsi e nondimeno si sentiva tremare fino all'ultimo muscolo. Continuava a ripetersi che era un normale gesto di cordiale affetto e di vicinanza fra amici, che non c'era niente di strano o sbagliato, eppure quel minuscolo contatto gli faceva andare il cervello in tilt e le guance a fuoco. Ma si sforzò di rimanere sulla sua posizione, dicendosi che Laguna... no, Hannah doveva averne bisogno in un momento come quello. Si era appena confidata con lui, a conti fatti poco più che uno sconosciuto, un vero e proprio salto di fede.
    -Aldilà delle, uhm, attività che svolgi ora... stai meglio? Nel senso, senza di...- Come definirli? "Famiglia" era un termine che forse faceva male, ma un insulto forse era inappropriato se gli mancavano. -Senza di loro.- Sperò fosse abbastanza ovvio di chi parlasse. -Torneresti indietro?- Domandò infine, cercando lo sguardo dell'americana ignorando l'imbarazzo che il contatto delle due mani (se era avvenuto e se ancora sussisteva, ovviamente) gli dava.
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    CITAZIONE
    chiedo scusa per il lieve ritardo :neko:
     
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    Nessuna critica partì dal ragazzo, nessuna ramanzina su cosa avrebbe dovuto fare invece che scappare o su come la scelta di porsi contro la legge fosse una pessima idea. Al contrario, Tobiko per lei stava mostrando compassione. No, non pietà, quella nella sua testa era dedicata ai poveri disgraziati senza speranza. Vedeva invece la compassione come una più gentile empatia: Tobiko aveva capito il suo malessere, lo riconosceva come valido, ma senza farla passare per un cane bastonato, piuttosto come una persona alla pari, senza sentirsi migliore di lei per non essersi messo nei casini in quel modo, o almeno questo era quello che traspariva dal tono e dall'espressione del corvino. In effetti, a pensarci su, non si aspettava una relazione molto diversa da lui, dopo la loro ultima esperienza. Anche quel giorno aveva provato a tranquillizzarla, senza ricorrere a frasi fatte, sentite e risentite, ma esponendo una sua versione, personale e genuina. Era strano ma, al contrario del solito, non avrebbe immaginato che il ragazzo potesse mentirle, trasmettendole invece una notevole sincerità, a tratti ingiustificabilmente.

    Le famiglie sono un disastro, diceva. Effettivamente anche lei non sapeva nulla di lui, i loro incontri avevano rivelato molto più della sua situazione rispetto a quella dello studente, ancora incognito da quel punto di vista. Ma stando a quelle parole, forse anche lui stava passando, o aveva passato, delle brutte situazioni in famiglia. Storse un po' il naso a quella parola usata da lui, ma decise di non fargliela pesare, vista la situazione e dato che non l'aveva detta con tono discriminatorio.

    I guess, ma tutto sommato me la sono cavata, con le buone e con le cattive.

    Fece spallucce, tornando con gli occhi sulla mano destra che teneva la sigaretta ormai rovinata. Le ritornò in mente tutta la storia di quegli ultimi anni, la fatica per trovare soggiorno da qualche parte che non fosse il marciapiede, non prima di essere riuscita a trovare qualche lavoro, legale o illegale che fosse. Beh, in realtà la sua presenza lì in Giappone era assolutamente illegale, dunque era impossibile trovare un lavoro che fosse realmente regolare, per quanto i documenti falsi lo facessero sembrare tale. Ma fu mentre ragionava su questa cose che sentì un tocco alla mano sinistra. Gli occhi vi si fiondarono: sopra la sua mano giaceva un'altra, quella di Tobiko. Sollevò lo sguardo a incontrare il suo e inevitabilmente arrossì leggermente. Le stava tenendo la mano? Le stava davvero tenendo la mano? Il cuore, che aveva rallentato durante la sua storia, schizzo nuovamente di battiti. Anche quella era una sensazione che pareva fin troppo nuova, tant'è che il suo primo istinto era stato quello di tirarla via. Ma doveva smetterla di seguire l'istinto. Tobiko... Tobiko era diverso.

    C-cosa?

    Cavolo, aveva detto qualcosa. Fortunatamente era stata solo una distrazione momentanea, il messaggio arrivò al cervello solo un attimo dopo essersi resa totalmente ridicola con quella domanda. Girò lo sguardo, ancora leggermente imbarazzata.

    Uhm... ecco...

    Contieniti, Hannah. Sembri una ragazzina.

    ...no, non sto meglio.

    Si rilassò un attimo, la mano del ragazzo passava in secondo piano, mentre abbassava nuovamente lo sguardo.

    Odio questo posto. Nonostante sia qui da anni, continuo a sentirmi una totale estranea e anche se ne passassero altri 10 continuerei a sentirmi tale.

    Senza neanche accorgersene, aveva leggermente stretto la presa sulla mano di Tobiko.

    Avevo degli amici, in America. E anche se i miei genitori non erano il massimo, avevo una famiglia. Ero libera di uscire, di comportarmi come una normale ragazza della mia età, senza dovermi preoccupare del fatto che potrei non arrivare alla fine della giornata.

    Sollevò la mano destra agli occhi, accompagnando il gesto con un singhiozzo. Se l'era promessa, ma non era certo facile aprendosi in quel modo con qualcun altro. Tutto diventava di nuovo dannatamente reale.

    Non ho mai finito la scuola, non ho mai festeggiato i miei 21 anni, non ricordo l'ultima volta che ho potuto mettere un bel vestito per uscire.

    Si era mossa dalla più seria alla più frivola, ma in realtà anche la somma di tutte quelle piccole cose che le mancavano non facevano altro che renderle più difficile. La stretta sulla mano che si faceva più forte mentre i rubinetti erano ormai completamente aperti dietro la mano che le nascondeva gli occhi.

    Sono bloccata in quest'isola di merda, dove tutti parlano una lingua che non ha nulla a che fare con me, dove ogni persona mi evita come la peste perchè tutto quello che sono buona a fare è tenermi lontane le altre persone.

    Afferrò il braccio di Tobiko con l'altra mano, alzando finalmente lo sguardo verso di lui. Il volto arrossato, bagnato. Gli occhi neri, di solito così pungenti e decisi, non facevano altro che riempirsi incontrollabilmente di lacrime.

    NON È QUESTA LA VITA CHE VOLEVO, TOBIKO!

    Teneva lo sguardo alzato, respirando pesantemente con la bocca visto che il naso si era ormai quasi del tutto tappato per via del pianto. Stava tirando fuori tutto quello che aveva in corpo, quello che aveva visto Tobiko fino a poco prima era soltanto un misero assaggio dell'inferno che l'americana sentiva bruciare dentro di sè. Rimase così, in silenzio, per un po', provando a calmarsi leggermente e cercando di alleviare la tensione che sentiva alle spalle e alle tempie. Lasciò finalmente andare la mano con entrambe le sue, lasciandosi cadere schiena contro la sedia e guardando in alto, esausta.

    Ma non c'è più nulla ad aspettarmi, neanche in America. La mia vita è tutta qui.

    Si passò una mano sul volto per tentare di asciugarselo, facendo scorrere le dita sotto gli occhi in un vano tentativo di pulirsi dalle lacrime che sarebbero irrimediabilmente scese subito dopo.

    Vuoi un'altra coca, per caso?

    Non sapeva nemmeno se avesse finito quella che le aveva già dato, voleva solo che quel turbine di emozioni si concludesse il prima possibile, cercando di chiudere tutto con quell'offerta.


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    Se Dio vuole dovrei aver finito con i ritardi.
     
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    TOBI FUKUDA
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    Se l'era cavata, diceva, con le buone o con le cattive: per Tobiko il solo fatto che si fosse trovata costretta a ricorrere alle cattive significava che aveva dovuto fare più di quanto avrebbe dovuto fare per inserirsi nella società giapponese. E l'unica società in cui era riuscita ad inserirsi alla fine era quella della criminalità, quindi era una vittoria un po' mutilata.
    La vide avere una certa reazione al suo prenderle la mano, il ragazzo immaginò di averla... Sorpresa? Forse? Doveva essere quello, sì, in fondo era stato un gesto piuttosto improvviso. Forse era un po' presto per quel tipo di dimostrazioni di complicità. Eppure lei non fece nulla per sottrarsi alla presa di Tobiko, fosse anche solo per non fargli un torto, dunque egli perseverò in quel suo contatto.
    La risposta alle domande del ragazzo fu inizialmente semplice, secca e decisa. No, non sto meglio. Prima che il ragazzo potesse chiederle nulla, però, fu lei ad ampliare la sua risposta con un resoconto di tutto ciò che non andava nella sua vita. Odiava il Giappone perché si sentiva un'estranea, odiava l'aver detto addio ai suoi amici e alla sua famiglia che, per quanto disfunzionale, era pur sempre una famiglia. Elencò poi tutte le cose più mondane ed ordinarie che a tutte le ragazze dell'età di Hannah piaceva fare mentre a lei non era concesso. In conclusione, era bloccata lì in un paese straniero e non aveva nessuno con cui condividere le poche gioie che la sua vita avrebbe potuto regalarle. L'altra mano della giovane scattò improvvisamente verso Tobiko che sobbalzò e scattò impercettibilmente all'indietro, stringendo leggermente la presa sulla mano della ragazza per la sorpresa: Laguna lo afferrò per il braccio e lo guardò dritto negli occhi, sbraitando che non era quella la vita che avrebbe voluto, mentre il cuore del giovane veniva stretto in una presa molto più feroce di quella che la giovane aveva sul suo braccio. Tobi, a quello scatto, non seppe come reagire lì per lì, sentiva che lei si stava ancora solamente sfogando, ma al contempo forse desiderava che lui le rispondesse qualcosa? O che facesse qualcosa, magari? Forse era il momento di un abbraccio? Un altro? Le cose non sarebbero diventate eccessivamente melense a quel modo? Non si poteva certo mettere a tacere ogni cosa con gli abbracci. Qualsiasi cosa lei si aspettasse da lui, ammesso che si aspettasse qualcosa, questa volta Tobiko l'avrebbe delusa non riuscendo a reagire in tempo. La ascoltò mormorare che ormai a quel punto la sua vita era in Giappone e che in America non c'era più nulla ad aspettarla.
    E infine, chiese a Tobi se voleva un'altra bibita, domanda che riportò il ragazzo coi piedi per terra, ricordandogli che esisteva su un piano fisico e che si trovava a casa di Laguna, partito da casa sua senza alcuna aspettativa, senza alcun piano, senza alcuna idea, ed ora si ritrovava a vestire i panni della valvola di sfogo per quella ragazza repressa e messa in ginocchio dalla vita. Ma la via che stava percorrendo era quella dell'autodistruzione, ed era ora che se ne rendesse conto.
    -Ma se tutto sommato ti manca la vita che facevi con la tua famiglia, per quanto avesse i suoi problemi, perché non sei ancora tornata in America? Non puoi inventarti qualcosa sull'essere stata rapita o stronzate del genere? Insomma, parli come se la strada della tua vita fosse già determinata, ma sei ancora giovane.- Il ragazzo scrollò le spalle. -Torni in America, ti riappropri della tua identità, ti trovi un lavoretto e ti trasferisci lontano dai tuoi genitori in maniera legale a vivere il resto della tua vita in pace. Cosa ti trattiene? Ti prego, non dirmi che l'unica cosa che ti tiene ancorata qui è che ti sei intestardita o che sei troppo orgogliosa.- La supplicò il ragazzo, con aria incredula che potesse trattarsi di un motivo così banale. -So che pensi che loro non ti accetteranno mai e non approveranno qualunque cosa tu faccia, ma non sei più una bimba, non possono farci proprio un bel niente.- Concluse il ragazzo infine, scuotendo il capo. -N-non che ti voglia rimandare a casa ad ogni costo, ovviamente, è che mi sembrava di capire che lo preferiresti se potessi.- Mormorò, vagamente in imbarazzo, rendendosi conto di star suonando come qualcuno che voleva rimpatriare a forza la ragazza. -Il Giappone in fondo ti fa schifo.- Sminuì, scrollando le spalle, chiedendosi se non c'era proprio nulla del Giappone che le interessasse. Questione di abitudini, probabilmente, lui avrebbe detto esattamente la stessa cosa dell'America pur senza esserci mai stato, solo da ciò che sapeva su di essa tramite i media.
    -Va bene, comunque.- Mormorò, dal nulla, salvo poi rendersi conto che l'offerta della bibita risaliva a diversi minuti prima e rispondere a quel modo non aveva senso. -La coca, dico.- Precisò quindi, dedicando uno sguardo fugace alla lattina da cui stava bevendo, rovesciata sul tavolo. Tirò poi un lungo sospiro. Era assurdo, ingiusto e forse anche un po' egoista da parte sua pensarlo, ma nel suo cuore era quasi felice della confessione di Hannah, perché quantomeno significava che se era una specie di criminale o quello che era, lo faceva perché era costretta a farlo in quanto priva di un'identità giapponese. Non poteva avere un lavoro legale se non era registrata all'anagrafe, ufficialmente Laguna non esisteva. Probabilmente era quello anche il motivo per cui si era ritrovata in quella topaia dove stava prima a vivere, chi le avrebbe mai concesso un intero appartamento in affitto in nero? O forse aveva un'identità falsa, certo, ma bastavano ben poche verifiche per vanificare centinaia di yen di documenti falsi, doveva stare molto attenta a ciò che faceva e, probabilmente, scendere a più compromessi di quanti non ne avrebbe voluti.
    Forse avrebbe potuto invitarla a vivere a casa di sua madre? Rabbrividì immaginandosi la ragazza alle prese con una villetta tradizionale giapponese con futon e kotatsu, e inoltre c'era il fatto che aveva preso accordi con Gin per vedersi più o meno regolarmente lì, come avrebbe giustificato la sua presenza a lui? Poteva spacciarla per la sua fidanzata? Un diciassettenne che già conviveva con una tizia palesemente straniera e per giunta più vecchia di lui? Poteva davvero giustificare una cosa del genere? Gin gli avrebbe creduto? Si stava facendo troppi problemi? Probabilmente sì. Ma ad ogni modo, la nuova sistemazione di Laguna era più che accettabile, il ragazzo non aveva nulla da ridire, anzi, forse sarebbe stata più comoda lì piuttosto che in una'abitazione tradizionale giapponese.
    -Uh... Quindi... Dovrei chiamarti Hannah o preferisci...?- Domandò poi, vagamente in imbarazzo, senza sapere bene il perché. In qualche modo chiamarla in un modo che (almeno in Giappone) poteva conoscere solo lui gli sembrava... Intimo?
    Che razza di film si stava facendo? Non significava nulla, era solo capitato lì, nel posto giusto al momento giusto, ed era capitato che la ragazza si confidasse con lui. E questo era quanto, per quanto fosse inspiegabilmente triste sminuire la cosa a quel modo. Forse, pian piano, Tobi si stava rendendo conto di cosa stava cercando davvero quel giorno.
    « YOU FORGOT AND THAT MADE ME FEEL LIKE NO ONE. »

    CITAZIONE
    chiedo scusa per il ritardo sebbene notificato :neko:
     
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22 replies since 16/4/2021, 10:28   556 views
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