La luce del cellulare illuminava il volto imbronciato dell'albina e le sue dita premevano rapidamente lo schermo a formare un messaggio che ormai sembrava quasi un romanzo. Era mezzanotte passata, di solito a quell'ora stava già dormendo, ma il destino aveva voluto tenerla sveglia abbastanza perchè potesse ascoltare quella
stupida canzone che Gin aveva postato su Babel, ed allora non era più riuscita a prendere sonno. Probabilmente, o almeno così disse a se stessa, in un altro qualunque momento della giornata non ci avrebbe nemmeno fatto caso, ma di notte, quando rimaneva sola coi propri pensieri, era difficile non riempirsi la testa di dubbi o domande, allora aveva iniziato a chiedersi perchè l'avesse postata, se stava bene, se aveva qualcosa che non andava e
perchè non ne parlasse con lei. Iniziò presto a riempirsi di insicurezze che solo qualche istante prima non sapeva nemmeno di avere: aveva fatto qualcosa di sbagliato? Gli sembrava di non essere alla sua altezza, perchè?
Perchè non gliene parlava? Era scocciante che preferisse comunicare ciò che provava a gente random sui social piuttosto che a lei, che doveva stare ad indovinare.
Aveva finito per scrivergli, e il sollievo nello scoprire che
non era niente, non bastò a coprire la seccatura che provava, aggiuntosi ora l'enorme imbarazzo di sembrare un'isterica per una sciocchezza simile. Non era proprio colpa di Gin, non era un buon momento per farla preoccupare per nulla, e lui era uno specialista nell'essere inopportuno nei momenti sbagliati. Il messaggio che aveva appena finito di scrivere partiva con:
"La mia vita è già abbastanza complicata per stare dietro alle tue cazzate" e finiva con
"cresci Gin".
A fermarsi a rileggerlo, non si sentì così bene, nè con se stessa nè con Gin. Era stato catartico, sì, ma non voleva che il suo ragazzo lo leggesse, stava riversando fin troppa rabbia e frustrazione su di lui, e per quanto lui fosse un idiota non se la meritava. Lo bloccò, perchè per quanto avesse avuto la
compassione di non iniziare un litigio, era ancora arrabbiata con lui e lo doveva sapere in qualche modo. (. . .)
Non seppe nemmeno come sentirsi quando, il giorno dopo, si presentò a casa sua con un bouquet di orchidee. Improvvisamente l'arrabbiatura che aveva provato nei suoi confronti si affievolì e lasciò posto a dei leggeri sensi di colpa, lottava con l'idea che non era colpa sua e non aveva nulla di cui scusarsi o portarle fiori per i suoi capricci e il suo orgoglio, mentre l'altra era comandata proprio da quei sentimenti.
Per tutto il tempo si comportò come se nulla fosse successo e fu restia a parlare della notte precedente e del perchè si era arrabbiata, perchè lei
sapeva quello che gli aveva scritto e mai inviato, e stava appena realizzando che non era solo l'irritazione del momento ad essersi riversata su quel messaggio, ma che un po' lo pensava. Non era però qualcosa che voleva discutere in quel momento, sopratutto non a pochi giorni dal viaggio che avevano programmato.
Nemmeno si rendeva conto di quanto ingiusta fosse a chiedere sincerità e schiettezza, quando lei stessa faceva l'esatto contrario.
(. . .)
I paesaggi di campagna che avevano accompagnalo il loro viaggio per quasi due ore iniziarono a diventare più rari man mano che si avvicinavano all'ex capitale, al verde si sostituiva il grigio deglle case e dei grattacieli, il sole ormai calante filtrava una luce arancione. Ormai non mancava che qualche minuto perchè il treno giungesse alla stazione di Kyoto, ed ogni secondi che passava, ogni metro in cui si avvicinava alla sua città, Sumire sentiva sempre più lo stomaco in subbuglio, per quanto tentasse di sembrare calma, e convincere se stessa lo fosse, era sempre più evidente il contrario; per tutto il viaggio non aveva fatto che sistemarsi i capelli o torturarsi le dita, trattenendosi appena dal raschiare via lo smalto azzurrino dalle unghie, e il suo sguardo cercava perennemente il finestrino, per capire quanto fossero vicini a casa sua.
Sumire aveva finalmente deciso di presentare Gin ai suoi genitori, dopo ormai più di un anno e mezzo di relazione. In realtà era un viaggio che avevano programmato molto tempo prima, ma per cause di forze maggiori avevano dovuto rimandare, lei stessa non tornava a Kyoto da quando ne aveva parlato con il suo ragazzo.
Aveva chiamato i suoi, aveva raccontato loro di essersi fidanzata, li aveva aggiornati sugli ultimi mesi ed aveva anche parlato loro del Palazzo Imperiale, non scese nei dettagli perchè non era un'evento di cui amava discutere o ricordare, ma confermò loro di essere stata una dei due studenti della UA presente. Fu una discussione lunga, l'albina rimase chiusa n camera sua per ore, nemmeno ricordava l'ultima volta che aveva parlato così tanto e così sinceramente con i suoi. Non era stata una conversazione tranquilla e divertente, e farli stare in ansia era l'ultimo dei suoi propositi, ma vedere che sua madre mostrasse un minimo di preoccupazione per la sua esistenza era una novità piacevole.
Erano stati proprio i suoi genitori a chiederle di andare a trovarli e, se voleva, di presentare ufficialmenre il suo ragazzo, di cui conoscevano solo il nome. La cosa la terrorizzava, era strano che loro prendessero iniziativa, ed aveva il sospetto che ci fosse qualcosa sotto.
E con quei pensieri che sentì improvvisamente un leggero capogiro, come se il treno avessi iniziato a vorticare attorno a lei, e la sua mano volò sulla spalla di Gin.
‹ Sto per svenire. Forse dovremmo tornare indietro. ›, stava chiaramente esagerando, facendosi prendere dal panico, e il capogiro doveva essere più dovuto al fatto che, testarda com'era, non mangiava niente da ore perchè a detta sua non voleva rischiare di vomitare sul treno per colpa dell'ansia.