Kill this Love

free role | ginxsumire

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    Sumire Murakami
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    La luce del cellulare illuminava il volto imbronciato dell'albina e le sue dita premevano rapidamente lo schermo a formare un messaggio che ormai sembrava quasi un romanzo. Era mezzanotte passata, di solito a quell'ora stava già dormendo, ma il destino aveva voluto tenerla sveglia abbastanza perchè potesse ascoltare quella stupida canzone che Gin aveva postato su Babel, ed allora non era più riuscita a prendere sonno. Probabilmente, o almeno così disse a se stessa, in un altro qualunque momento della giornata non ci avrebbe nemmeno fatto caso, ma di notte, quando rimaneva sola coi propri pensieri, era difficile non riempirsi la testa di dubbi o domande, allora aveva iniziato a chiedersi perchè l'avesse postata, se stava bene, se aveva qualcosa che non andava e perchè non ne parlasse con lei. Iniziò presto a riempirsi di insicurezze che solo qualche istante prima non sapeva nemmeno di avere: aveva fatto qualcosa di sbagliato? Gli sembrava di non essere alla sua altezza, perchè? Perchè non gliene parlava? Era scocciante che preferisse comunicare ciò che provava a gente random sui social piuttosto che a lei, che doveva stare ad indovinare.
    Aveva finito per scrivergli, e il sollievo nello scoprire che non era niente, non bastò a coprire la seccatura che provava, aggiuntosi ora l'enorme imbarazzo di sembrare un'isterica per una sciocchezza simile. Non era proprio colpa di Gin, non era un buon momento per farla preoccupare per nulla, e lui era uno specialista nell'essere inopportuno nei momenti sbagliati. Il messaggio che aveva appena finito di scrivere partiva con: "La mia vita è già abbastanza complicata per stare dietro alle tue cazzate" e finiva con "cresci Gin".
    A fermarsi a rileggerlo, non si sentì così bene, nè con se stessa nè con Gin. Era stato catartico, sì, ma non voleva che il suo ragazzo lo leggesse, stava riversando fin troppa rabbia e frustrazione su di lui, e per quanto lui fosse un idiota non se la meritava. Lo bloccò, perchè per quanto avesse avuto la compassione di non iniziare un litigio, era ancora arrabbiata con lui e lo doveva sapere in qualche modo. (. . .)
    Non seppe nemmeno come sentirsi quando, il giorno dopo, si presentò a casa sua con un bouquet di orchidee. Improvvisamente l'arrabbiatura che aveva provato nei suoi confronti si affievolì e lasciò posto a dei leggeri sensi di colpa, lottava con l'idea che non era colpa sua e non aveva nulla di cui scusarsi o portarle fiori per i suoi capricci e il suo orgoglio, mentre l'altra era comandata proprio da quei sentimenti.
    Per tutto il tempo si comportò come se nulla fosse successo e fu restia a parlare della notte precedente e del perchè si era arrabbiata, perchè lei sapeva quello che gli aveva scritto e mai inviato, e stava appena realizzando che non era solo l'irritazione del momento ad essersi riversata su quel messaggio, ma che un po' lo pensava. Non era però qualcosa che voleva discutere in quel momento, sopratutto non a pochi giorni dal viaggio che avevano programmato.
    Nemmeno si rendeva conto di quanto ingiusta fosse a chiedere sincerità e schiettezza, quando lei stessa faceva l'esatto contrario.

    (. . .)


    I paesaggi di campagna che avevano accompagnalo il loro viaggio per quasi due ore iniziarono a diventare più rari man mano che si avvicinavano all'ex capitale, al verde si sostituiva il grigio deglle case e dei grattacieli, il sole ormai calante filtrava una luce arancione. Ormai non mancava che qualche minuto perchè il treno giungesse alla stazione di Kyoto, ed ogni secondi che passava, ogni metro in cui si avvicinava alla sua città, Sumire sentiva sempre più lo stomaco in subbuglio, per quanto tentasse di sembrare calma, e convincere se stessa lo fosse, era sempre più evidente il contrario; per tutto il viaggio non aveva fatto che sistemarsi i capelli o torturarsi le dita, trattenendosi appena dal raschiare via lo smalto azzurrino dalle unghie, e il suo sguardo cercava perennemente il finestrino, per capire quanto fossero vicini a casa sua.
    Sumire aveva finalmente deciso di presentare Gin ai suoi genitori, dopo ormai più di un anno e mezzo di relazione. In realtà era un viaggio che avevano programmato molto tempo prima, ma per cause di forze maggiori avevano dovuto rimandare, lei stessa non tornava a Kyoto da quando ne aveva parlato con il suo ragazzo.
    Aveva chiamato i suoi, aveva raccontato loro di essersi fidanzata, li aveva aggiornati sugli ultimi mesi ed aveva anche parlato loro del Palazzo Imperiale, non scese nei dettagli perchè non era un'evento di cui amava discutere o ricordare, ma confermò loro di essere stata una dei due studenti della UA presente. Fu una discussione lunga, l'albina rimase chiusa n camera sua per ore, nemmeno ricordava l'ultima volta che aveva parlato così tanto e così sinceramente con i suoi. Non era stata una conversazione tranquilla e divertente, e farli stare in ansia era l'ultimo dei suoi propositi, ma vedere che sua madre mostrasse un minimo di preoccupazione per la sua esistenza era una novità piacevole.
    Erano stati proprio i suoi genitori a chiederle di andare a trovarli e, se voleva, di presentare ufficialmenre il suo ragazzo, di cui conoscevano solo il nome. La cosa la terrorizzava, era strano che loro prendessero iniziativa, ed aveva il sospetto che ci fosse qualcosa sotto.
    E con quei pensieri che sentì improvvisamente un leggero capogiro, come se il treno avessi iniziato a vorticare attorno a lei, e la sua mano volò sulla spalla di Gin. ‹ Sto per svenire. Forse dovremmo tornare indietro. ›, stava chiaramente esagerando, facendosi prendere dal panico, e il capogiro doveva essere più dovuto al fatto che, testarda com'era, non mangiava niente da ore perchè a detta sua non voleva rischiare di vomitare sul treno per colpa dell'ansia.
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    A differenza di ciò che aveva detto a Sumire, forse poteva esserci qualche significato nascosto nella canzone che aveva postato qualche giorno prima su Babel. Le canzoni che ci piacciono, in fondo, ci piacciono per un motivo: vuoi per il loro ritmo, vuoi per la melodia ma, molto spesso, le scegliamo proprio per il significato del loro testo. Che Gin fosse effettivamente cosciente di questa cosa, d'altro canto, era tutto un altro paio di maniche.
    Aveva espresso le sue insicurezze alla ragazza dai capelli bianchi ormai praticamente un anno prima, sulla spiaggia della baia di Tokyo. Era il Tanabata e camminavano spensierati mano nella mano, totalmente all'oscuro di ciò che di lì a pochi giorni avrebbe cambiato per sempre non solo le loro vite ma quelle di tutti gli abitanti della città. Era stato proprio quella notte che Sumire gli aveva proposto di andare assieme a Kyoto, dai suoi genitori. Ci era voluto praticamente un anno perché quel proposito si realizzasse, un anno di giorni passati chiusi in casa, fiamme in città, la missione della ragazza al Palazzo Imperiale e poi i quartieri chiusi, le nuove leggi, la presenza sempre più concentrata di eroi per le vie. Paura, paranoie, diffidenza: questi erano stati i sentimenti che avevano serpeggiato per la capitale giapponese in quei mesi. Si sentiva molto meglio ora però, almeno personalmente. A quelle preoccupazioni quasi esistenziali, pur lentamente, erano tornate a sostituirsi le solite noie mondane da studente dell'università.
    Un anno prima, osservando il nero oceano di fronte a Tokyo, Gin aveva rivelato a Sumire i suoi dubbi riguardo alla loro relazione. All'idea di conoscere i suoi genitori aveva leggermente tremato, conscio di non essere certamente il ragazzo che chiunque avrebbe voluto per la propria figlia. Figuriamoci, poi, se la madre di tale ragazza era una pittrice famosa e chissà cosa diavolo faceva suo padre.
    Ascoltata in quell'ottica, quella canzone poteva forse avere un senso e, si tratta sempre di speculazioni, forse aveva anche senso che gli fosse venuta in mente proprio in quel momento, quando si stava preparando per quel viaggio che avevano programmato un anno prima.
    Forse le sue insicurezze si stavano manifestando di nuovo, ma Gin non era più la persona che era allo scorso Tanabata e certamente lo stesso poteva dirsi della ragazza dai capelli bianchi. In modi diametralmente opposti, se lui sembrava essere diventato più e più sicuro col tempo per qualche motivo Sumire sembrava sempre più insicura e sfuggente. Era impossibile dimenticare i fatti del Palazzo Imperiale.

    Il viaggio in treno era stato lungo, se non altro per gli standard del Nakano che non si era quasi mai spinto fuori dalla cinta di Tokyo. A renderlo più lungo almeno alla percezione era però stato il comportamento di Sumire: non aveva mai visto la ragazza così agitata e faceva fatica a comprenderne il motivo, ma era dovuto intervenire più e più volte ad afferrarle le mani quando dal riflesso sul finestrino la osservava tentare di martoriarsi le unghie, per impedirle di portare a termine quella tortura. Solo un anno prima avrebbe pensato di essere lui il problema ma, come detto, era ormai ben cambiato e, almeno consciamente, pensieri simili non ammorbavano più la sua mente. Aveva evinto che Sumire avesse un qualche tipo di problema coi suoi genitori, ma lei non era solita parlare di fatti così privati e a lui non interessava ficcare il naso nelle sue questioni se non era lei a parlargliene. Forse gli sarebbe stato tutto più chiaro dopo averli incontrati ma, a conti fatti, perché accettare il loro invito e dirigersi lì se non aveva intenzione di vederli? La soluzione più logica gli sembrava pensare che qualsiasi cosa fosse non dovesse trattarsi poi di questioni chissà quanto gravi, altrimenti sarebbero semplicemente rimasti a Tokyo. Dal canto suo, Gin aveva sempre avuto un ottimo rapporto coi suoi genitori quindi gli risultava abbastanza difficile cercare di capire quale potesse essere il problema.
    Oi. - sorrise voltandosi verso di lei, sentendola parlare - Guarda che ormai siamo arrivati, il treno di certo non si gira sul posto e torna indietro. - scherzò quindi, non sapendo bene cosa dire. Sumire era decisamente una persona melodrammatica e a cui piaceva lamentarsi, quindi immaginava quello fosse più che altro uno sfogo del momento. Mosse la mancina verso la spalla dove si era posata la mano di Sumire, stringendola a sua volta come a volerle infondere forza e sicurezza. Gli veniva quasi da ridere a pensare che quando la ragazza gli aveva proposto quel viaggio nella sua mente i loro ruoli erano fondamentalmente invertiti. Ovviamente l'idea di conoscere i genitori della ragazza non lo lasciava del tutto indifferente ma aveva fatto pace col fatto che lui era così, lei voleva stare al suo fianco e fondamentalmente così stavano le cose, di certo non si sarebbe potuto fingere un'altra persona solo per compiacere qualche sconosciuto.
    Vedrai che andrà tutto bene. - aggiunse quindi lanciandole un tenero sorriso - Di che hai paura? - le chiese poi. La ragazza aveva persino deciso di non mangiare niente prima del viaggio e sebbene Gin non fosse di certo un fan della colazione quella reazione gli sembrava un po' sopra le righe.
    Il tempo a Kyoto, stando alle previsioni che avevano guardato prima del viaggio, non era dei migliori. Sumire indossava un vestitino bianco con sopra un cardigan e fortunatamente gli aveva fornito l'occasione di vestirsi in modo simile, con una semplice maglietta di colore bianco e una giacca simile a quella studentesca addosso, di colore nero: grazie alle maniche lunghe poteva coprire quei tre o quattro lividi che diceva di procurarsi in palestra ma che, in realtà, derivavano dai suoi allenamenti segreti col coinquilino della ragazza, la perfetta trama per una qualche telenovela che occupa il palinsesto pomeridiano di uno dei canali su cui nessuno capita se non per sbaglio. Indossava poi dei pantaloni abbastanza eleganti del medesimo colore della giacca e delle scarpe da ginnastica per tenersi comodo per il viaggio. Forse sarebbe dovuto essere un po' più elegante per l'incontro coi signori Murakami ma, ovviamente, si era premurato di portarsi dietro qualche buon cambio in valigia per ogni tipo di occasione, giusto per fare bella figura.
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    Per un secondo il mondo stava girando attorno a lei, in maniera letterale, e la sua mano aveva raggiunto la spalla del corvino per cercare un sostegno, in realtà più mentale che fisico. La mente di Sumire era un groviglio di pensieri e possibilità, una più catastrofica dell'altra, su come sarebbe potuto andare l'incontro con i suoi genitori e Gin. Essendo lei una persona a cui piaceva avere il controllo, era inevitabile che volesse precedere tutto, anche il tempo, e sapere come sarebbero andate le cose in modo da pianificare in anticipo come avrebbe dovuto comportarsi. Purtroppo non sapeva viaggiare nel tempo e non le restava che dare ascolto alla sua paranoica testa.
    Perchè aveva accettato di portare Gin con sè, se chiaramente sarebbe stato molto più semplice senza di lui? C'erano molti motivi, tra cui anche il non voler andare da sola, ma principalmente perchè stava iniziando a sentirsi in colpa. Sumire aveva intrapreso quella relazione con l'innocenza di un adolescente che si trascina in una situazione cui ignora l'esito, probabilmente l'unica scelta della sua vita che non sapeva dove l'avrebbe portata, e l'unica per cui non aveva bisogno di pianificare nulla. Ormai però era passato più di un anno e si stava rendendo conto che le cose che prima sembravano stabili e serene stavano cambiando, lei era cambiata, mentre la relazione sembrava essere rimasta ferma, indietro. E sapeva che ciò era principalmente colpa sua. Sumire teneva la sua relazione con Gin come in una capsula di vetro, a cui non lasciava nessuno entrare, nè lui uscire. Lui non conosceva la sua famiglia, non aveva nemmeno idea dell'esistenza di suo fratello, non conosceva i suoi amici, se non Tobi e non certo grazie a lei, non sapeva quello che stava passando, ed iniziava a sentire che semplicemente non conosceva veramente lei. Non sapeva più come gestire la relazione, non era abituata a stare con una persona per così tanto tempo e sperava un po' che quel viaggio potesse aiutare a risolvere ciò che provava, senza la necessità di parlarne.
    Poi il corvino le ricordò che stavano per arrivare e Sumire si riprese abbastanza per fulminarlo con gli occhi celesti. Certo, il fatto che fossero arrivati a Kyoto e l'apocalisse fosse imminente era esattamente ciò che voleva sentirsi dire. ‹ Grazie, sei molto d'aiuto. › disse, senza nascondere il sarcasmo nel tono. Inspirò, e poi espirò, spostando lo sguardo sulla mano che Gin posava sulla sua, addolcendo lo sguardo.
    Di cosa aveva paura? Gin non poteva capire, perchè lui non conosceva i suoi genitori —a malapena conosceva la sua ragazza le suggerì una vocetta maliziosa nella sua testa—, e loro potevano essere terribili, o almeno era sempre stata la sua percezione di loro e il timore reverenziale che provava per suo padre non aiutava affatto. Temeva il giudizio dei suoi, di suo padre, e un po' anche il giudizio di Gin verso di loro... e qualunque cosa lui potesse dire o fare, lui era la variabile imprevedibile di cui più si preoccupava. Ma, ancora una volta, era meglio non parlarne. Rimase in silenzio per qualche secondo, pensando, prima di esclamare: ‹ ...di Tobi. L'ho lasciato da solo, e se gli succede qualcosa? E se succede qualcosa a casa mia? ›, nonostante tutto si fidava di Tobi almeno quanto di se stessa, con lui era sicura che tornando in appartamento l'avrebbe trovato esattamente come l'aveva lasciato, probabilmente era l'ultimo dei suoi timori.
    Il treno iniziò a rallentare, e nel giro di qualche minuto si fermò nella bella stazione di Kyoto, invitando i passeggeri a scendere. Sumire inspirò ed espirò di nuovo, dopo tanto tempo, era tornata a casa.
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    Pfff. - ridacchiò all'occhiataccia di Sumire e alla sua risposta piccata. Punzecchiarla e stuzzicarla erano tra i suoi hobby preferiti ma, in tutta onestà, quella volta aveva davvero cercato di essere d'aiuto, cercando di convincerla che tutto sarebbe andato bene, ma sembrava aver fallito. Capitava spesso, perché per quanto amasse la ragazza dai capelli bianchi non poteva certo dire di essere un esperto nel comprendere i suoi pensieri ed i suoi sbalzi d'umore. La conosceva abbastanza da non poterla chiaramente considerare un'estranea ma il suo comportamento era così bizzarro che a volte gli sembrava di interfacciarsi con un animale selvatico che passa dal cercare calore ad aggredire chi ha a fianco in modo imprevedibile e nel giro di qualche secondo. Quando ciò accadeva tutto ciò che poteva fare era sospirare, contare fino a dieci e poi aspettare che le passasse tastando periodicamente il terreno con qualche battuta o tentativo di contatto fisico.
    Le cose sembravano se non altro essere andate diversamente quella volta e lo sguardo di lei si era addolcito in poco osservando la mano del ragazzo posarsi sulla sua. No, non riusciva proprio a convincersi di capirla. E, a quel punto, l'ennesima bugia: la preoccupazione di Sumire era legata a Tobiko, certamente non a ciò che stavano andando a fare. In tutta onestà Gin avrebbe riconosciuto che si trattava di una menzogna anche un anno prima quando ancora non conosceva davvero il ragazzo. All'insaputa dell'albina poi i due avevano stretto un rapporto e si vedevano con abbastanza costanza perché Gin sapesse benissimo che non vi era il minimo rischio che il suo coinquilino potesse fare un qualsivoglia tipo di casino, persino stringendo in mano una semplice scopa sarebbe riuscito a ramazzare tutte le stanze di casa con la professionalità di una squadra di maggiordomi.
    Non era la prima volta che Gin si rendeva conto di una palese bugia ovviamente, anzi. Anche se non riusciva a capire cosa le passasse per la testa o perché lo facesse era abbastanza esperto nel capire quando la ragazza mentiva, no, quando non era del tutto onesta riguardo ai suoi pensieri. Nonostante tutto il Nakano sapeva che non mentiva per malizia, solo per non dire davvero ciò che le passava per la testa. La cosa peggiore era che pur accorgendosene per il benestare della conversazione decideva sempre di non sottolinearlo e di fare finta di nulla. Se Sumire non voleva parlarne, pensava, perché obbligarla.
    Sono certo che casa tua sarà ancora intera quando ritorneremo. - disse con un sorriso. Quella volta non era certo diversa da tutte le altre, sarebbe stato al gioco - Alla peggio puoi spillargli soldi se rompe qualcosa, un po' come quei famosi sandali. - ridacchiò, riferendosi alla chiacchierata che avevano avuto ormai più di un anno prima sulle spiagge di Tokyo. Era già passato un anno e tra il periodo di quarantena e tutto il resto era stato così difficile. Si rendeva conto che tutto ciò che era successo li aveva pian piano allontanati ma i suoi sentimenti non erano cambiati ed era certo che sarebbe stato in grado di risolvere anche quella situazione se avesse voluto. Poteva trattenere i suoi pensieri quanto voleva ma era conscio che ad un certo punto sarebbe esploso in uno di quei suoi soliti discorsi strappalacrime ed eccessivamente mielosi per intrappolarla nuovamente in una prigione di zucchero. Il fatto che si fosse finalmente decisa a presentargli i suoi genitori, poi, lo convinceva che in fondo neanche i sentimenti di lei erano cambiati. I periodi no capitano a tutti, bisogna semplicemente riuscite ad andare oltre dopo averci sbattuto la testa e sperando di non essersela rotta.
    Bene. - mormorò osservando la stazione di Kyoto farsi pian piano più nitida fuori dal finestrino. Se per Sumire quella era casa, per lui era un territorio completamente inesplorato. Si era informato un po' prima di partire, scoprendo quanto fosse grossa quella stazione che ospitava persino centri commerciali ed uffici del governo. Nulla di troppo strambo comunque, anche le stazioni di Tokyo erano mastodontiche. Si ricordava però di aver studiato all'università il caso riguardante il suo aspetto, una sorta di monolite proiettato nel futuro in una città che in virtù del suo status di antica capitale imperiale si rifiutava di avanzare. Chissà se i genitori di Sumire incarnavano quello stesso pensiero, certamente avrebbe spiegato molte cose nel comportamento e l'educazione della ragazza. Gin dal canto suo era sempre cresciuto in una famiglia molto al passo coi tempi, forse persino troppo, il suo aspetto esteriore di certo non faceva mistero delle loro idee bizzarre e poco ortodosse.
    Le valigie le prendo io. - disse quindi alla ragazza con un sorriso quando era il momento di scendere e perdersi in quella mastodontica stazione - E per prima cosa andiamo in un bar e ti prendi qualcosa da mangiare. - aggiunse con tono autoritario - Non voglio che la prima volta che i tuoi genitori mi vedono sia mentre ti porto in braccio con un vestitino bianco come se ci fossimo appena sposati. - concluse stringendo il manico di una delle valigie. In realtà l'idea non gli spiaceva per nulla ma era certo che sarebbe stato invece un ottimo deterrente per la ragazza.
    Bugie o meno le sembrava comunque sin troppo agitata, quindi la avrebbe tenuta d'occhio per sicurezza per evitare che le venisse una crisi di panico o che svenisse in mezzo alla strada. Da quando si conoscevano la aveva vista assumere un sacco di comportamenti bizzarri ma era sicuro di non averla mai vista così preoccupata e agitata.
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    Nonostante certe volte fosse cosciente degli errori che commetteva, che le sue azioni finivano solo per infierire su se stessa e sulle proprie relazioni, per Sumire risultava difficile cambiare ciò che era e ciò che inconsciamente le era stato insegnato. Yumeru le aveva più volte ripetuto che aveva bisogno di appoggiarsi in qualcuno, di parlare quando non si sentiva bene, ma per il contrario aveva visto che se si era un problema si veniva lasciati indietro. Era difficile per lei trovare un equilibrio tra le due cose, quand'era tendente a stare sull'estremo più tossico. Ad aggiunta di ciò, tutti i suoi amici stavano passando un brutto periodo e si sarebbe sentita egoista a dar loro ulteriori preoccupazioni, quando si autoconvinceva di potercela fare da sola. Con Gin era tutto ancor più complicato, lui faceva parte della sua vita in modo diverso da quel che erano i suoi amici, e dopo tutto il tempo trascorso assieme aveva sperato che il prendere fiducia e confidenza con lui l'avrebbero aiutata ad essere più onesta con lui, ma ciò era risultato l'esatto contrario. Vi erano così tanti motivi, alcuni di cui s'era resa conto soltanto di recente, dopo quel messaggio non inviato. Gin le rendeva così facile nascondersi dietro piccole e innocenti bugie, e Sumire aveva trovato confortevole approfittarsene. Aveva sempre funzionato bene in quel modo, non avevano nemmeno mai litigato seriamente, ma ultimamente le cose non le andavano più bene così, pensieri e insicurezze avevano iniziato ad invadere la sua mente, e più passava il tempo e più si rendeva conto che per quanto si fosse sempre considerava come il problema nella relazione, aveva iniziato a realizzare che certi atteggiamenti di lui erano diventati un'ostacolo. Davvero Gin non capiva come si sentiva lei realmente, o il suo era solo disinteresse? E se non capiva nemmeno come lei stava, certo non avrebbe capito i suoi problemi... e se non gli interessava allora forse non l'amava come lei pensava.
    L'ennesimo sorriso e un'alzata d'occhi al soffitto, mentre entrambi continuavano quella farsa senza fine. ‹ Se mi ritrovassi casa distrutta non vorrei i suoi soldi, ma la sua anima. ›, in tutta onestà, se davvero si fosse ritrovata la casa ridotta male, avrebbe solo capito che lì dentro Tobi aveva ospitato Yumeru. ‹ ...e tu mi devi ancora i soldi per i sandali. › lo prese in giro, senza nemmeno ricordare bene com'era andata quella vecchia storia del tanabata, l'unico momento impresso nella sua mente di quel giorno era la loro confessione, e il boato dei fuochi d'artificio in sottofondo. Ma se non altro era riuscita a rilassarsi almeno un pochino.
    Non protestò nemmeno quando Gin decise di occuparsi delle valigie, e per sua fortuna Sumire ne aveva presa soltanto una: stava andando a casa propria, non aveva bisogno di portarsi dietro più dell'essenziale. Lo sguardo della ragazza spiava la stazione dalle finestre, dall'ultima volta cùin cui c'era stata era passato molto tempo, e i ricordi legati non erano dei migliori.
    Alzò di nuovo gli occhi ed annuì nonostante non avesse affatto fame, guardò l'orario, giusto per assicurarsi non fossero in ritardo rispetto a quello che aveva pianificato; erano quasi le nove di sera, poteva permettersi di fermarsi un secondo al bar per prendere qualcosa... magari più di un secondo, forse per sempre. E poi il suo viso s'accigliò al sentir parlare di matrimonio, il primo pensiero ch'ebbe fu che Gin parlasse troppo a vanvera
    Le salì un'immenso senso di disagio al pensiero di essere sposata con Gin, non perchè le sarebbe dispiaciuto o perchè magari non sarebbe potuto accadere in futuro. Ma appunto, futuro, molto distante. L'idea di sposarsi con chiunque le sembrava strana e molto lontana da lei, soprattutto in quel periodo. ‹ ...sarebbe un'ottimo modo per farli prendere un infarto. › disse distrattamente, voltandosi e dirigendosi verso l'uscita dal treno. Questa volta però non riuscì proprio a trattenersi: ‹ ...e poi sul serio Gin? Sposarci? ›, aggiunse, col chiaro tono di chi pensava stesse correndo troppo, ma con l'intenzione di capire cosa realmente pensasse.
    Nonostante l'orario la stazione era sempre caotica e piena di persone, tutto ciò che Sumire detestava, probabilmente avrebbe preferito prendere qualcosa appena fuori, piuttosto che dentro. ‹ Comunque, in realtà i miei volevano venirci a prendere ma ho detto loro che non era necessario. ›, casa sua in realtà non distava affatto molto dalla stazione, volendo avrebbero potuto andarci a piedi, ma con le valigie era un po' difficile.
    Siccome Gin non conosceva il luogo, doveva essere lei quella a guidarlo, anche se essendo così grande nemmeno lei lo conosceva così bene. Lo portò verso la sala ristoro, in cerca di qualche piccolo bar o chiosco. ‹ Prendimi una bottiglietta d'acqua e qualche snack... ›
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    Una volta sceso dal treno, quello che appariva a Gin era un mondo nuovo ma allo stesso tempo tremendamente mondano. Non avendo quasi mai viaggiato nella sua vita si aspettava chissà quale sensazione poggiando piede nella stazione di Kyoto, ma a conti fatti aveva fatto un viaggio solo di qualche ora, si trovava ancora in Giappone e nulla sembrava particolarmente diverso da una qualsiasi delle stazioni di Tokyo. L'antica capitale imperiale, si vociferava, cercava di vivere ancora di quegli antichi fasti, forse riluttante a rinnovarsi e proiettarsi nel futuro a differenza dell'attuale capitale, ormai una delle metropoli più importanti e futuristiche dell'intero globo. Magari le cose gli sarebbero sembrate diverse una volta uscito dalla stazione ma, per ora, era tutto così... normale. Poco male, in fondo era lì più per conoscere i genitori di Sumire che per fare il turista anche se probabilmente lei avrebbe preferito fare tutto il contrario e dedicarsi alle passeggiate nei parchi.
    Mmmmmh. - borbottò guardandosi intorno. Era pieno di gente che scendeva dai treni e altra che vi saliva, la maggior parte in completo elegante erano probabilmente dei semplici pendolari. Sì, nulla era diverso da Tokyo, forse persino al punto da risultare deludente - Bah. - scosse quel pensiero di dosso come un cane che si agita per liberarsi dalla pioggia addentrandosi nei corridoio della stazione assieme a Sumire, accogliendo la sua battuta sui sandali con un semplice sorriso. Anche se solitamente accoglieva ogni bugia o mezza verità con tiepida accettazione, sentiva ormai di essere al punto di non ritorno. Era a quel punto in cui solitamente faceva qualcosa di estremamente impulsivo e stupido e che quasi certamente avrebbe infastidito da morire la ragazza dai capelli bianchi, tipo un'orribile dichiarazione d'amore o qualcosa di simile insomma.
    Aye aye, lo so. - ridacchiò alla reazione di Sumire riguardo alla battuta sul matrimonio - Sposarti giovane infrangerebbe i tuoi sogni da donna in carriera. - aggiunse mentre trascinava con sé le due valigie, una della ragazza e una sua. In realtà a Gin piaceva l'idea di una famiglia tradizionale, sposarsi, avere dei figli e vivere in una di quelle classiche villette a schiera da periferia o quartiere residenziale. Non si ricordava neppure se lo aveva detto a Sumire al loro primo appuntamento ma lo aveva certamente pensato. Non di sposarsi con lei, s'intende, ma che quello fosse il suo ideale di famiglia, insomma, ciò che avrebbe quasi certamente voluto nel suo futuro.
    Non preoccuparti, comunque. Non ho comprato un anello da darti qui in viaggio o qualcosa del genere. - sorrise - E temo che non ce l'avrò ancora per un po', penso che servano un bel po' di soldi per un anello che non mi faccia rifiutare dai tuoi standard. - e se c'era una cosa che mancava a Gin erano certamente i soldi. Aveva visto un sacco di video di bizzarre proposte di matrimonio, anelli nei sacchetti delle patatine e cose simili, roba imbarazzante persino per uno come lui. No, non era il momento di mettersi davvero a pensare ad una proposta per Sumire dopo una semplice battuta delle sue.
    Signorsì signora. - accenno un ironico inchino all'ordine di Sumire quando, giunti nelle vicinanze di un bar in quegli sterminati corridoi della stazione, le lasciò in custodia le valigie per prenderle qualcosa. Se davvero stava così male da non riuscire a mangiare per quanto avrebbe voluto non poteva prenderle chissà cosa di bizzarro, quindi si limitò ad una bottiglietta d'acqua come richiesto e dei semplicissimi pocky sticks alla fragola, così nel caso in cui le fosse venuta la nausea avrebbe potuto smettere di mangiarli quando voleva richiudendo semplicemente la confezione.
    Il cuore gli batteva ben più forte del dovuto quando, mentre si apprestava a pagare, non riusciva a fare a meno di pensare che avrebbe dovuto fare qualcosa - o meglio dire qualcosa. Se davvero Sumire non voleva andare a casa dei suoi, e sembrava davvero star facendo di tutto per evitarlo, non aveva intenzione di obbligarla, ma voleva perlomeno sapere il perché. Ciò che si erano detti al Tanabata era solo la splendida bugia di una notte, in verità si vergognava davvero di lui? E se era così, perché giungere fino a quel punto? Non gli aveva presentato neppure i suoi amici, perché era giunta fino al punto di portarlo a Kyoto per poi tirarsi indietro? Forse aveva semplicemente bisogno di un po' di conforto, sapere che Gin non aveva intenzione di comportarsi come una bomba ad orologeria come al suo solito e che avrebbe fatto del suo meglio per non metterla in imbarazzo. Non poteva promettere che ci sarebbe riuscito, ma che ci avrebbe provato con tutto sé stesso sì.
    Tornato da lei le allungò la bottiglietta d'acqua e poi aprì il pacchetto di snack, afferrando uno dei biscotti a forma di bastoncino e porgendolo verso le labbra della ragazza. Le sue invece, di labbra, tremavano leggermente. Come una mano invisibile sembrava stringergli il petto con forza e non riusciva a capire se fosse per far uscire quelle parole o invece trattenerle dentro, come ogni volta.
    Quindi... - si fece forza, abbassando però lo sguardo, il che in realtà non portava ad evitare quello di Sumire vista la loro differenza in altezza - Qual è il problema...? - aggiunse con un po' di incertezza - Dico, il vero problema.
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    In altri momenti, o magari se stessero visitando un'altra città, avrebbe dato più attenzioni alle reazioni di Gin, ora però non si accorgeva nemmeno delle persone che le passavano accanto e della frenesia che c'era in quella stazione, come al solito. Tutta la sua concentrazione stava su se stessa e sul cercare di apparire calma e rilassata, tutto il contrario di ciò che provava veramente; non lo faceva soltanto per non mostrare al suo fidanzato di star andando sempre più in panico, ma anche per autoconvincersi che non era così e che sarebbe andato tutto bene. Non avrebbe aiutato nessuno se sveniva lì nella stazione, probabilmente sarebbe stato solo peggio, e l'incontro con i suoi genitori sarebbe avvenuto comunque, solo che in ospedale.
    Il suo sguardo quindi risultava assente nonostante i suoi occhi saettassero qua e là per la stazione, e lei si dirigeva verso la parte di ristoro come se conoscesse la strada a memoria, probabilmente un po' se la ricordava.
    Almeno Gin capiva che sposarsi a diciotto anni non era un pensiero che aveva attraversato la sua mente, ma non era proprio per il motivo che lui pensava. Sposarsi o stare assieme non faceva nessuna differenza per quel che riguardava la sua carriera, aveva già comunque Gin in mezzo ai piedi, si trattava più del fatto che era un compromesso impegnativo, che non si sentiva abbastanza pronta nè matura per compiere un passo così grande. La verità era che anche a Sumire sarebbe piaciuto formare la propria famiglia, sposarsi, avere dei figli... ma non voleva rischiare di ritrovarsi ad un certo punto della sua vita con l'idea di separarsi dalla persona che aveva sposato, era una decisione di cui voleva essere sicura al cento percento. Uno sbuffo uscì dalle sue labbra quando il ragazzo disse che sarebbero passati anni prima di potersi permettere un anello che soddisfacesse i suoi standard. ‹ Io non ho nessuno standard, non iniziare con i pregiudizi da proletariato. › borbottò, facendo l'offesa —tutto il nervosismo che già provava doveva pur sfogarlo in qualche modo—.
    Sumire era materialista? Molto, amava il lusso e se poteva scegliere prendeva sempre la cosa più cara che trovava. Lei poteva permetterselo, ma non avrebbe mai imposto agli altri uno standard o rifiutato un regalo perchè costava troppo poco. Certo non avrebbe rifiutato un matrimonio per il valore dell'anello... lo avrebbe chiaramente rifiutato solo se fosse stato brutto, quindi a Gin bastava concentrarsi sul non comprarle qualcosa di troppo pacchiano.
    Sumire se ne rimase in disparte assieme alle valigie, e per un secondo pensò di raggiungerlo, in quel momento non voleva stare da sola con i suoi pensieri, Gin era bravo a distrarla e farle smettere di pensare alle proprie paranoie, amava ciò. I suoi occhi azzurri seguirono quindi Gin verso il negozio, cercando di indovinare cosa le avesse preso, per poi osservarlo sulla via del ritorno.
    Afferrò la bottiglia d'acqua, dandone qualche sorso, e poi il bastoncino alla fragola che le offrì il corvino. La sua espressione recitatamente serena si trasformò in vera sorpresa alla domanda del tatuato, come se fosse stata colta a fare qualcosa di illegale, anche se in questo caso si trattava solo della sua piccola bugia. Gin l'aveva capito e glielo stava chiedendo una seconda volta, era inusuale, di solito no insisteva troppo su qualcosa che palesemente lei non voleva dire. ‹ Niente. › sminuì subito, passando una mano davanti al proprio viso. ‹ Non c'è nessun problema. › aggiunse con una leggera risata nervosa, perchè colta alla sprovvista. Probabilmente stava cercando di comunicare a Gin che andava tutto bene e che non c'era nulla di cui preoccuparsi, o meglio, che lui dovesse preoccuparsi. Non era il momento adatto per parlare di tutto ciò che pensava, proprio a pochi minuti dall'incontro con i suoi... era una cosa che, pensandoci bene, avrebbero dovuto discutere molto prima... ma ops, ora era troppo tardi per parlarne e quindi: ‹ ...andiamo? ›. Non che avesse tutto d'un tratto un grande entusiasmo di tornare a casa, lo aveva invece per cambiare totalmente discorso.
    Ora era chiaramente di nuovo agitata.
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    Gin ridacchiò alla frecciatina di Sumire che, per una volta, aveva davvero colpito nel segno. Per quanto potesse essere abile nel farsi scivolare le cose addosso - o perlomeno ci provasse - non poteva in quel caso in alcun modo dare torto alla ragazza: Gin era un proletario se così lei voleva chiamarlo e nulla avrebbe mai cambiato quel fatto... beh, tranne vincere alla lotteria o riuscire effettivamente a sposarla, ma quello era un altro discorso. Anche in possesso di un'enorme mucchio di soldi, poi, difficilmente la sua mentalità sarebbe cambiata così radicalmente.
    Il Nakano in realtà non aveva mai avuto chissà quali complessi riguardo la sua situazione. Suo padre aveva un lavoro onestissimo e riusciva a guadagnare grazie alla sua passione e lui aveva sempre frequentato delle buone scuole e lo stava facendo tuttora. Era difficile arricchirsi facendo il tatuatore, specialmente in Giappone, e c'erano periodi in cui lo studio era sempre occupato e altri di vuoto totale. A differenza di altri mestieri, pur avendo un negozio sembrava sempre di essere più un libero professionista che altro.
    Stare con Sumire, però, lo faceva davvero sentire inadatto. Al di là della battuta che aveva fatto, sapeva che per quanto la ragazza potesse essere effettivamente snob non era in realtà così materialista. Pur sapendolo, però, non riusciva comunque a volte a non sentirsi inadeguato. Ciò che più temeva, comunque, era alle porte: se non aveva paura del giudizio della Murakami, beh, certamente l'aveva del giudizio del signor e della signora Murakami. La mela non cade molto lontana dall'albero si dice, ma a volte rischia di scivolare giù per la collinetta e avventurarsi in territori sconosciuti. Quanto era distante Sumire dal suo albero?
    Mmmmmh... - si grattò la lunghissima chioma domata da una treccia borbottando alla risposta della ragazza alla sua domanda. Era inevitabile, per quanto potesse anche solo cercare di scavare a fondo veniva sempre bloccato dalle sue barriere e quando si trovava a quel punto non sapeva più che cosa fare. Perché mai avrebbe dovuto insistere dopo il suo no, anche se stava mentendo? La risposta probabilmente sarebbe stata più per curiosità ed egoismo che per vera voglia di aiutare. Se lei non voleva dirglielo doveva esserci un motivo in fondo, quale che fosse. Aveva raccolto tutte le sue forze per fare quella fatidica domanda e ora non ne aveva più per provare ad andare oltre, anche vedendola tentare di fuggire al suo sguardo e ridere nervosamente. Le sue palpebre si assottigliarono e quel peso nel petto si fece nuovamente più forte, ma non poteva farci molto. Forse, con Sumire, avrebbe dovuto imparare a conviverci ben più di quanto non volesse.
    Va bene. - sospirò scuotendo la testa, per poi afferrare a sua volta un bastoncino di biscotto e spezzarlo tra i denti - Non te lo chiederò più, ma lo sai che se vuoi parlarmi ti ascolto. - aggiunse, conscio di non poter offrire molto altro e ancora più conscio che probabilmente quell'offerta di aiuto non avrebbe mai ricevuto una risposta positiva. Forse ci sono semplicemente delle cose che due persone innamorate non possono dirsi, convinte di dover impressionare l'altro e di non mostrarsi deboli. Forse, per quanto gli piacesse pensare di essere onesto, Gin stesso era fatto così a sua volta, non riuscendo ad esternarle tutti quei dubbi per paura di non ricevere nulla se non una risata.
    Andiamo, allora. - le sorrise, o almeno cercò di farlo, porgendole la mano. Non aveva la minima idea di dove la ragazza abitasse e come detto non era mai stato a Kyoto quindi, avendo rifiutato il passaggio dei suoi genitori, doveva essere lei a guidarlo. Il momento fatidico si avvicinava sempre di più e per quanto amasse mostrarsi forte e sicuro agli occhi della ragazza dai capelli bianchi i suoi dubbi sull'essere inadeguato aumentavano di passo in passo.
    Pensi che dovrei cambiarmi? - disse abbassando lo sguardo sul suo vestiario - Nel senso, era già mia intenzione farlo per il pranzo ma intendo, pensi dovrei farlo... prima? Tipo in una cabina telefonica o qualcosa di simile? - chi meglio di lei poteva saperlo in fondo.
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    Ti chiedo scusa anche pubblicamente per l'interminabile ritardo, giuro che è l'ultima volta. :sadbunny:
     
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    Sumire non era esattamente la miglior bugiarda del mondo, soprattutto quando veniva presa alla sprovvista con una domanda così esplicita, fatta da Gin, da cui queste cose non se le aspettava. Forse era anche il fatto che le dispiaceva mentirgli spudoratamente, era ovvio che c'era un problema, ma questo c'era già da tempo ed anzi, erano più problemi. Lei aveva sempre apprezzato che Gin non fosse insistente, non gli chiedesse nulla più del dovuto, non la assillasse, ma allo stesso tempo aveva iniziato a chiedersi perché si comportasse così, e come faceva a convivere col pensiero di sapere così poco della ragazza che frequentava da più di un anno, Sumire al posto suo non ce l'avrebbe fatta. La sua era cortesia o disinteresse?
    Confessare tutto ora sarebbe stato controproducente, non era il momento adatto... per Sumire non lo era mai.
    E Gin non le stava credendo, non che ci avesse sperato, ma le metteva un certo senso di disagio che sapesse lei gli stesse mentendo, sentiva quasi il bisogno di giustificarsi. Non lo faceva perché non si fidasse di lui, avrebbe voluto essere del tutto sincera e dirgli sempre ciò che pensava, ma quando aveva a che fare con i suoi sentimenti personali le risultava difficile esprimersi; Yumeru aveva dovuto forzarla fino a farla piangere, e Gin non si sarebbe mai spinto a tanto. Meglio così, l'albina non gli avrebbe riservato lo stesso trattamento che al castano, e in quel caso non sarebbe affatto servito a farla aprire con lui.
    Sumire poteva sembrare molto più matura rispetto all'età che aveva, ma rimaneva ancora un'adolescente insicura che non sapeva esattamente quel che desiderava: non voleva che Gin insistesse, ma allo stesso tempo se non lo faceva gli dava l'impressione che nemmeno gli importasse. Non voleva mentirgli, ma nemmeno dirgli tutta la verità. Ma d'altronde se nessuno dei due parlava, non si sarebbero mai capiti.
    ‹ Sì... lo so. ›, alzò le spalle e spostò lo sguardo altrove. L'albina sapeva bene che lui l'ascoltava, molto più attentamente di quel che pensava, stavolta però non erano cose cui gli sarebbe piaciuto udire.
    Prese un altro bastoncino alla fragola con la sinistra, ed afferrò la mano di lui con la destra, incamminandosi verso l'uscita. Ormai si era abituata a tenerlo per mano e non le recava alcun fastidio o imbarazzo come succedeva all'inizio, anzi in quel momento sentiva il bisogno di quel contatto. ‹ Ahm... sì, cambiati. › disse, gettandogli una veloce occhiata. Non era vestito in modo stravagante, ed essendo lei abituata a gente come Yumeru, qualunque cosa usando quel confronto aveva la parvenza di normalità. La verità era che pensava che non sarebbe cambiato molto e che qualunque cosa avesse indossato, suo padre avrebbe trovato un motivo per odiarlo in ogni caso. Se aveva acconsentito era solo per perdere un po' di tempo prima che giungesse l'inevitabile. ‹ Potevi venire già pronto non credi? ›
    Lo condusse verso i bagni, dato che le cabine telefoniche non erano il massimo della riservatezza. Si sarebbe fermata lì vicino, rubandogli i pocky per avere qualcosa da sgranocchiare nel mentre aspettava.
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    Mi scuso a mia volta per l'enorme ritardo :sadbunny:
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    Si abbandonò ad un semplice sospiro ascoltando la risposta sfuggente della ragazza dai capelli bianchi. Forse avrebbe dovuto insistere maggiormente? Ciò che gli sembrava sbagliato era cercare di considerare che tutti fossero come lui, così impulsivi ed emotivi nel rapporto con gli altri quasi da rischiare di bruciarsi di continuo. La sua schiettezza e il suo umorismo tagliente - a volte persino fastidioso - non erano affatto in contrasto col suo farsi guidare dalle emozioni e non riflettere molto sulle proprie mosse che, spesso, lo portavano a riversare i suoi sentimenti e i suoi pensieri sugli altri come un fiume in piena. Aveva capito molto presto che non tutti erano come lui e Sumire sembrava anzi l'esatto opposto. Fredda, distaccata, il suo portamento quasi nobile era stato influenzato chissà quanto dall'essere nata e cresciuta a Kyoto, la città dove si trovavano adesso. Alcune persone non amavano esprimersi a parole e preferivano farlo coi gesti... ecco, la Murakami spesso neppure con quelli. Col tempo aveva capito che erano due persone davvero molto diverse e che nonostante tutto la sua freddezza all'esterno non rispecchiava in alcun modo il tumulto di pensieri e sentimenti che si agitavano in quella statua di ghiaccio. Se un tempo aveva dipinto la ragazza come un profondissimo mare nero ora, dopo tutto quel tempo, l'avrebbe paragonata forse all'Islanda: freddissima e coperta di neve al suo esterno ma un cuore di lava, caldissimo e perennemente agitato.
    U-umh... - tentennò un attimo alla successiva risposta della giovane studentessa della UA: non che non intendesse davvero cambiarsi, in fondo se aveva portato i vestiti di riserva un motivo c'era, ma quella domanda era nata in realtà più come una battuta che altro. Si aspettava una risposta del tipo "certo, quando arriviamo prima del pranzo andiamo in camera e ci cambiamo", non certamente di doversi davvero cambiare in stazione. Sumire sembrava di tutt'altro avviso e, non avendo intenzione di indisporla ulteriormente, decise semplicemente di ingoiare quel boccone amaro. Fortunatamente non aveva intenzione di farlo davvero cambiare come un qualche supereroe di un'opera di finzione ma sperava vivamente i bagni delle stazioni di Kyoto fossero pulite, perché in caso contrario avrebbe fatto più casini che altro.
    Magari qualcuno mi versava del caffè addosso in treno. - le rispose a sua discolpa - Forse ti stupirà, ma non ho molta roba elegante a casa. - aggiunse ironico. Una volta lasciati i dolciumi e la bottiglietta d'acqua alla ragazza si diresse all'interno dei bagni con la sua valigia, lasciando quella di Sumire con la sua legittima proprietaria.
    I vestiti che aveva portato non erano poi chissà cosa, semplicemente i vestiti che ogni tanto indossava all'università se la camicia della divisa era a lavare per qualche motivo. Si trattava molto semplicemente di una camicia di colore bianco su dei pantaloni di colore nero sì eleganti ma comunque abbastanza sportivi. A concludere il tutto vi erano un blazer e una cravatta, sempre di colore nero. Quest'ultima aveva poi una fantasia cucita in filo dorato che, percorrendola nella sua interezza componendo una figura lontanamente simile ad un drago, era comunque abbastanza sottile da non risultare pacchiana. Pur pensando a qualcosa di elegante, insomma, non voleva sembrare un semplice pendolare o un qualche salary-man e si era quindi permesso di non ingessarsi in uno stereotipo che non gli apparteneva. Finito di cambiarsi nel bagno - che doveva ammettere essere decisamente pulito - si diresse nuovamente dalla ragazza fuori dai servizi.
    Come sto, Waisu-chan? - le chiese quindi con un occhiolino, accompagnato dagli ultimi rumori delle rotelle della valigia che strisciavano sul pavimento della stazione, fermandosi quindi di fronte a lei per mostrare il vestito che aveva deciso di portare per quell'occasione.
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    ‹ Non mi stupisce. ›, Sumire non era brava a leggere le persone, ma conosceva il tatuato da tanto tempo ed aveva colto che c'era qualcosa che lo aveva disturbato della risposta di lei, soltanto che non riusciva a capire che cosa. Forse non voleva davvero cambiarsi e lo stava facendo per lei, forse si aspettava che lei gli dicesse che stava bene così e che non ce n'era bisogno. Lo lasciò comunque andare, aspettandolo mentre sgranocchiava qualche pocky, tenendo per sè i propri pensieri. (. . .)
    Lo vide arrivare e le parve di aver davanti un'altra persona. Un ampio sorriso si formò sul suo viso perché era buffo vedere Gin in giacca e cravatta, non era qualcosa a cui lo avrebbe associato. Non che gli stesse male, tutto il contrario, ma era come se Sumire all'improvviso si fosse messa ad indossare baggy jeans e felpe tre taglie più grandi della sua. Sarebbe stato buffo. La cravatta, poi, ovviamente non poteva essere una cravatta normale, ci aveva aggiunto il suo tocco con un ricamo dorato, fortunatamente abbastanza sottile da non risultare stravagante.
    ‹ ...strano. Sembri una persona quasi decente. › disse ironica e con sottile crudeltà come suo solito, salvo per poi rendersi conto che Gin si era cambiato solo per lei e che non c'era bisogno di procurargli altre insicurezze, doveva già essere nervoso di suo, nonostante cercasse di non mostrarlo. ‹ Stai benissimo. › confessò infine con un tono più basso, ma sincero, poggiando una mano sulla sua spalla.
    Porse di nuovo a Gin la bottiglietta d'acqua e i pocky, e si avviò stavolta verso l'uscita della stazione. ‹ Non è cambiata molto dall'ultima volta in cui sono stata, okay che è passato solo un anno e qualche mese ma (. . .) ›, Sumire tendeva a volersi distrarre e pensare ad altro nei momenti in cui sapeva di essere agitata, in questo caso la sua unica distrazione era Gin, quindi aveva iniziato a parlare di qualsiasi cosa gli venisse in mente: Gin si sarebbe sorbito la ragazza che iniziava a descrivere ogni negozio che vedeva e spiegazioni di dove portassero i diversi corridoi e stradine, come se fosse una guida turistica della stazione. Finché non arrivarono all'uscita. ‹ Ecco le scale. › commentò l'ovvio.
    La stazione dell'ex capitale era situata nella parte più "moderna" della città, a Gin quindi sarebbe parso familiare il paesaggio urbano con alti edifici grigi, strade intasate di macchine e tutto il resto, nulla di poi così diverso da Tokyo. Solo uscendo un po' dal centro si sarebbe ritrovato con i paesaggi e gli edifici più tradizionali che descrivevano Kyoto, cosa che per quel giorno non avrebbe fatto.
    Il viaggio in taxi fu breve e all'apparenza tranquillo, Sumire continuò col suo interminabile parlare, descrivendo il paesaggio dal finestrino, segnalando le boutique in cui lei era solita andare o i locali che frequentava più spesso, ma man mano che si avvicinava, Sumire pareva più agitata. Non riusciva a tenere le mani ferme, esse passavano dai capelli, alle proprie gambe e poi ancora al finestrino, gli occhi celesti danzavano freneticamente da Gin agli edifici, finchè l'auto non si fermò davanti ad uno di essi. La ragazza guardò il fidanzato con un sorriso che cercava di essere rassicurante ma le sue iridi parlavano per sè: era arrivato il momento e lei voleva scappare.
    L'edificio in questione era situato in una delle vie principali, imponente rispetto a quelli che lo circondavano ed elegantemente si estendeva verso il cielo, anche se non era quello più alto; all'esterno pareva molto sobrio, nero, con le vetrate oscurate di un colore appena più chiaro. Sumire scese, lasciando Gin a prendere le valigie, osservando il palazzo quasi lo vedesse per la prima volta.
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    Again, mi spiace molto per i ritardi che sto facendo
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    Scosse la testa con un sorriso sornione alla provocazione della ragazza. Sumire era così, non poteva farci molto, e onestamente il fatto che fosse dell'umore giusto per le sue classiche risposte piccate e pungenti in un certo senso riusciva davvero a rassicurarlo e fargli capire che, forse, era tutto ok. Che questa cosa fosse positiva o meno era tutto un altro paio di maniche, ma probabilmente la giovane Murakami gli piaceva anche in virtù del suo carattere molto forte, in grado di tenergli testa.
    Una volta uscito dal bagno e presentatosi alla ragazza con i vestiti più o meno eleganti che aveva portato non poté fare a meno di corrucciare le labbra ed alzare un sopracciglio alla sua risposta. Come detto, era completamente abituato al suo comportamento e alle sue risposte ma quella era quasi stata in grado di offenderlo. Insicurezze a parte, se c'era una cosa su cui Gin si sentiva di non poter transigere era l'idea di essere una persona... stilosa? Insomma, di certo il suo ideale di bell'outfit non poteva essere il più lontano possibile da quello di Sumire e probabilmente della sua intera famiglia ma non per questo significava non fosse decente. Era abbastanza certo che se avesse frequentato un po' di più il posto sarebbe potuto finire su una di quelle pagine di fashion che documentavano la vita quotidiana di Harajuku col minimo sforzo. Poteva se non altro ammettere che beh, effettivamente tutti quei tatuaggi lo facevano spesso ricadere automaticamente tra le persone "non decenti" della società giapponese e, anzi, probabilmente vista la quantità anche di molti altri paesi al mondo. La mentalità delle persone era più arretrata di quanto avrebbe voluto e non poteva certamente affibiare la colpa alle sue sole coordinate geografiche.
    Oi oi, non ti sembra di esagerare ora? - le rispose piegando la testa di lato, fingendosi un po' offeso. Le parole di Sumire avevano avuto probabilmente molto meno effetto di quanto lei potesse pensare ma le sue parole successive, forse sentendosi in colpa, lo colpirono comunque come una freccia intrisa di qualche piacevole veleno. Strabuzzò gli occhi, perché per quanto fosse abituato a provocazioni e finti insulti lo era molto meno a complimenti sinceri, specialmente nell'ultimo periodo. Per questo motivo, ogni volta che giungevano inaspettatamente erano sempre una gioia, quasi come fosse sempre la prima volta che li riceveva.
    Pfff. - ridacchiò al fatto che Sumire avesse abbassato la voce per complimentarsi, quasi come le desse fastidio dire la verità - Sì, esatto, e di sicuro farò una figura migliore della tua. - aggiunse quindi facendole l'occhiolino, per poi seguirla con le valigie a suo carico come poco prima.
    Avevano deciso di prendere un taxi per dirigersi a casa, il che lo fece riflettere sul motivo di rifiutare il passaggio offerto dai genitori, ma decise di non arrovellarcisi troppo. Vedere Sumire così chiacchierona e in un ambiente familiare aveva un effetto... strano. Gin adorava sentirla parlare, quasi come fosse una sorta di strega ammaliatrice, anche se a conti fatti gli interessava poco o nulla dei negozi della stazione o della zona limitrofa. Capiva però il suo bisogno di parlare e soprattutto si chiedeva quanto fosse importante tutto quello per lei. Era il posto dove aveva passato la sua infanzia e probabilmente almeno parte della sua adolescenza e ora chissà da quanto tempo non vi tornava. Chissà se quei posti le mancavano o ne parlava solo per tenere impegnati la lingua e i pensieri. Pian piano che il taxi percorreva la strada e il tassametro aumentava, sembrava aumentare anche l'agitazione della ragazza e per quanto Gin potesse essere ingenuo solamente un cieco non avrebbe notato il progressivo agitarsi di quella ragazza così posata e pacata nell'esprimersi, un po' come una pentola piena d'acqua che arriva al punto d'ebollizione o la lava che inizia a strabordare dal cratere di un vulcano. Storse il naso riflettendoci.
    Il palazzo sembrava quasi l'opposto di quello dove viveva Sumire, come in una qualche stramba dicotomia di qualche film fantasy. Entrambi erano pieni di vetrate, ma quelle di questo erano oscurate e l'intera struttura era di colore nero, un po' come fosse la base dei cattivi interstellari o il castello del re malefico che complotta per conquistare il regno avversario. Forse si stava solo facendo troppe paranoie... o forse se le stava facendo Sumire, invece.
    Ehi. - avrebbe provato ad afferrarle la mano prima di permetterle di sgattaiolare fuori dalla cabina del taxi - Andrà tutto bene, ok Sumire? - avrebbe quindi aggiunto accarezzandole il dorso della mano col pollice, per poi lasciarla andare. Non la chiamava spesso col suo nome, ma qualsiasi cosa le girasse per la testa gli sembrava necessario essere serio per un momento.
    Dopo aver ringraziato il tassista per il viaggio sarebbe quindi sceso dall'automobile e si sarebbe occupato di scaricare le valigie osservando Sumire quasi impotente di fronte a quel gigantesco monolite nero che svettava quasi trionfante tra gli antichi palazzi della vecchia capitale.
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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.

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    Role chiusa per mancata risposta di Lostien al censimento del 30/10/22.

    Gin: + 50 exp + 50exp (bonus livello);
    Sumire: + 30 exp; (ritirabili in caso di recupero schede)
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