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Single Quest | Villa dell'Eden | Adachi

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    KENSEI KURAYAMI
    Era buio ancora e il freddo vento delle prime ore del mattino non sembrava minimamente scompigliargli i capelli rosa gelatinosi.
    Aveva scelto di partire col buio, tutto imbacuccato, cercando di non svegliare nè il cane nè la vecchia, e si era messo in sella al suo fidato destriero lungo quella lenta cavalcata verso un posto molto speciale e molto distante dalla città che chiamava ancora “casa”.
    Oramai conosceva la strada a memoria ma era davvero da tanto tempo che non la percorreva… problemi di varia natura, personali e di famiglia lo avevano tenuto lontano dalla Villa ad Adachi; si ricordava benissimo quanto tempo ci voleva per raggiungerla in bici (anche se conosceva delle scorciatoie e vie traverse per accorciare il cammino) e per questo aveva deciso di alzarsi molto presto - o non dormire la notte a scelta.
    Almeno avrebbe sfruttato quel tempo per pensare.
    Aveva già macinato un bel po’ di strada e a breve l’alba sarebbe giunta ad illuminare lentamente il caos della città che pedalata dopo pedalata si lasciava alle spalle.
    Se qualcuno gli avesse mai domandato: “cos’è per te la libertà?” ecco, la risposta sarebbe arrivata subito, pronta, come un biglietto da visita tenuto nel taschino vicino al cuore.
    La bicicletta.
    Due ruote, un manubrio, due pedali, il freno, il grande cestino sul davanti per portare il cane della vecchia, un colore acquamarina e in allegato le cuffie per ascoltare musica lofi o classica per accompagnare il suo viaggio.
    Questa era la sua libertà.
    Momenti in cui lasciava distendere i nervi, in cui tutti i suoi pensieri divenivano leggeri come le nuvole, in cui non importava se pioveva, nevicava, grandinava o faceva freddo come quella mattina. Tutto sarebbe sempre sembrato perfetto.

    La Villa per Kensei era un luogo pieno di bei ricordi. Ricordi di sere d’estate a bearsi della frescura, giochi di quando era ancora un bambino, esercizi massacranti, nascondini … e poi la libreria.
    Casa sua era un posto lontano dal mondo, magico in cui godersi meritati riposi e soprattutto… godersi la famiglia.
    La famiglia per lui era tutto.
    E non lo diceva così tanto per dire, Kensei era davvero molto legato ad ogni membro - o quasi - dell’Eden. Almeno quelli della famiglia originale: chi poteva chiamare fratello o sorella.
    Difatti era stato un boccone alquanto amaro da buttare giù sentirsi dire che alcune personcine erano entrate a far parte dell’Eden senza essere state “adottate” effettivamente da qualcuno.
    Non che fosse in totale disaccordo con tale decisione ma non poteva dire assolutamente che fu un boccone facile da inghiottire e buttare giù.
    Di sicuro lui non avrebbe mai messo in dubbio la parola di Billie o di sua sorella Junko ma … no.
    Per quanto ci provasse non sarebbero mai stati per lui parte della famiglia.
    La gerarchia, il rispetto e gli ordini erano un conto.
    Il legame affettivo era un altro.
    Dryas dell’Eden era fatto così, tutti lo sapevano.
    Il cambiamento per il ragazzo era qualcosa che riusciva a digerire male, e anche per questo aveva colto l'occasione per tornare alla Villa.
    Come se la mano dell’autore del suo libro avesse deciso di mettere un nuovo nome là dove non ci doveva stare.
    Emil.
    Questo era quel nome, stavolta.

    Emil.
    Quel nome non riusciva a toglierselo dalla testa.
    Così come il fatto che sua sorella Junko si era autoproclamata la nuova Madame.
    Inaspettato, quanto meraviglioso che il cuore di Kensei si gonfiò così tanto di orgoglio -quando ricevette la notizia da Indra- che non riuscì a trattenere neanche le lacrime e dovette rifugiarsi in bagno chiudendo veloce la chiamata.
    Il testimone era passato a sua sorella più grande, la più bella e caparbia, la dea della guerra, irraggiungibile e perfetta per quel ruolo.
    Ora che sua sorella sarebbe diventata una Madame a sua volta, Kensei non poteva che essere felice per lei eppure allo stesso modo sentì crescere dentro di lui un senso di angoscia.
    I cambiamenti divenivano sempre più frequenti, quasi non riusciva a stare al passo e questo gli metteva ansia. Ansia perchè più andava avanti e più si sentiva lasciato indietro.
    Cosa avrebbe dovuto fare?
    In tutto questo divenire, sarebbe dovuto restare con i propri tentacoli ancorato al passato o fare come Jace e Junko? Accettare ed essere parte del cambiamento stesso?
    Evolversi in un qual modo…
    Il Kraken aveva davvero paura di tutto questo.
    Per quanto non lo desse a vedere si sentiva turbato e sopraffatto da questa logorante angoscia e sapere che prima o poi avrebbe ricevuto la chiamata della sorella per incontrare Billie in persona non giocava a suo favore.
    Uno sbuffo di aria calda uscì come una nuvoletta dalle sue labbra screpolate - si era quasi dimenticato di respirare - mentre si preparava a scendere da una discesa tenendo la cartella a tracolla stretta al suo fianco per paura che il vento gliela strappasse.
    Sapeva in cuor suo che non c’era posto migliore di casa propria per poter almeno tentare di fare un passo avanti per non restare indietro o immobile sul posto.
    Con la scusa di conoscere il nuovo arrivato e in un certo senso accoglierlo nella famiglia a suo modo, in realtà Kensei tornava a casa per cercare sè stesso.

    La sfacchinata per arrivare fino alla magione era stata lunga, tortuosa, sfiancante ma alla fine ce l’aveva fatta.
    Casa, in tutto il suo splendore.
    Chi non era abituato alla vista della sua imponenza dal gusto occidentale ne sarebbe rimasto stralunato, come se qualcuno avesse preso la Casa Bianca e l’avesse teletrasportata nel verde nipponico.
    Era inusuale vedere una villa di tali dimensioni, e tale raffinatezza di particolari, anche se per Kensei non era così: era sempre stato abituato alla sua presenza e rivederla come se la ricordava fu solo una grande e immensa gioia.
    Per Dryas non era neanche assimilabile ad una casa… era quasi un tempio. Con i suoi colonnati, i giardini tenuti alla perfezione e gli interni dal design ricercato e degni di un luogo sacro come quello.
    Con attenzione e delicatezza, parcheggiò la bici nel solito posto - prima dell’ingresso - sotto il solito vecchio albero.
    Il giardino una volta varcata la soglia del cancello in ferro battuto era rimasto uguale a sempre ( che fosse stato qualcuno a tenerlo sempre così perfetto o che fosse rimasto immutato per via di un incantesimo poco importava).
    Percorse il viottolo, dove non c’era neanche una foglia secca a corrompere il bianco del pietrisco, giungendo all’ingresso della casa e per quanto le gambe gli tremassero per la fatica, il ragazzino affrettò i passi arrivato in fondo e aprì la porta dell’immensa villa e subito venne colto dall’odore di casa, dal calore e dalla bellezza del suo cuore.
    Era come se stesse vivendo un sogno ad occhi aperti, e quasi stentò a riconoscere o ricordare ogni cosa su cui i suoi grandi occhi si posavano: era tutto esteticamente di un altro livello rispetto a quello a cui era abituato in città.
    Gli faceva uno strano effetto.
    Salutò qualcuno, di sfuggita, lo fece in automatico tanto era rapito da quel momento che a ricordarsi non sapeva effettivamente chi aveva incrociato il suo sguardo.
    Si prese un momento, in silenzio, preso da tutti i ricordi che riaffioravano nella sua mente.
    Come quello delle immense scalinate per il piano superiore che aveva proprio di fronte a sè e che si stagliavano in tutta la loro magnificenza: aveva ancora il segno su un ginocchio grazie a Momo che l’aveva per scherzo spinto un po’ troppo per gioco all’incirca a metà di quella gradinata.
    Era gioia poggiare di nuovo i piedi su quel luogo sacro e sentì il cuore battere così forte che si dovette tenere il petto per timore che uscisse fuori dalla sua gabbia toracica.
    Ricordi felici appartenevano a quel posto, solo ricordi che teneva stretti come un tesoro inestimabile…come la sua libreria.
    Aveva una voglia matta di salire al secondo piano.
    Pregò Odino per calmare quella sua pazza idea di salire quei gradini al volo e riscoprire, rivedere tutte le stanze, gli studi, le salette, le sale grandi e fiondarsi nella sua amata libreria.
    La donna dai mille volti, da infinite pagine e dall’odore di carta e di avventura.
    Il suo mondo fatto di scaffali e scaffali in cui amava perdersi.
    Sentì un immenso calore pungergli le guance e se non fosse stato per il fatto che poteva spuntare qualcuno della famiglia da un momento all’altro si sarebbe fermato qualche minuto a piangere, di commozione, a sfogare quelle emozioni pure e semplici che potevano racchiudersi in una sola piccola frase.
    Era tornato a casa.

    Quello era il posto a cui apparteneva.
    Il posto a cui adesso apparteneva anche Emil.
    L’emozione che aveva avuto in quel momento sembrò tramutarsi in nervosismo al ricordo di ciò che era venuto realmente a fare in quel posto, ovvero conoscere suo… nipote?
    Beh non poteva chiamarlo fratello visto che era stato adottato da sua sorella.
    Era agitato, parecchio agitato, tanto che lasciò scivolare i suoi tentacoli sotto la felpa come se fossero delle code perchè se continuava a stringersi il ventre sarebbe finito per soffocare.
    Non era tanto fare la sua conoscenza che lo spaventava, era più la sensazione che in quel posto, assieme a lui, avrebbe trovato le risposte alle sue domande.
    Era una sensazione difficile da poter spiegare a parole, si sentiva solo a disagio e in qualche modo… solo in mezzo a tutta la sua famiglia. Immobile, fermo ad osservare lo scorrere del tempo attorno a sè.
    Poteva sembrare all’apparenza forte, caparbio, una macchina da guerra, e un grande protettore ma dentro nessuno poteva comprendere e nessuno doveva sapere quanto fosse fragile.
    Sospirò, i suoi tentacoli si attorcigliavano su se stessi come gli yoyo e per quanto fosse gratificante come cosa non riusciva a smorzare quella tensione.
    Restando con le cuffie ancora nelle orecchie, decise di muovere i passi verso il ragazzino e di fare il giro del piano di sotto.
    La magione era stata costruita ad opera d’arte, e non le mancava niente: sale imponenti, grandi e sfarzose.
    Sala da ballo, sale ricevimenti, sala da pranzo … lo sfarzo che possedeva era eguale al potere che la sua famiglia aveva un tempo e che stava riconquistando.
    Pezzo dopo pezzo.
    Ricordo dopo ricordo.
    Era un po’ vuota certo, ma presto non sarebbe stata così.
    Ora che Junko aveva tirato fuori gli attributi ed era diventata la Madame, presto tutto sarebbe cambiato e quel posto sarebbe rifiorito di nuovo.
    Con nuovi ricordi.

    Sapeva di trovare Emil nella serra, una parte della casa che non gli piaceva particolarmente, lo trovava un posto noioso e umidiccio e puzzolente.
    Uscì fuori dalla villa, dove già ci aveva lasciato il cuore, per andare sul retro là dove c’era il corpo esanime della grande balena: era solito chiamare il gazebo progettato per essere un qualcosa di molto simile ad un garage… mai utilizzato da nessuno per tale scopo.
    « La serra… dovrebbe trovarsi da quella parte. » pensò. Giusto per avere un’idea di quante volte fosse stato in quel posto.
    Passò il garage, entrò nella serra facendo piano come se fosse cacciato da un predatore invisibile, si tolse perfino le cuffie e le incastrò nella felpa.
    Il posto sarebbe stato un Paradiso perfetto per Shion, il fioraio: piante di ogni tipo, divise in due zone a seconda della loro origine (e al livello di umidità che consentiva loro di crescere rigogliose).
    L’odore gli fece storcere più volte il naso e si insinuò nelle sue narici disgustandolo, almeno però era un po’ più calduccio dentro rispetto a fuori.
    Si portò avanti, con passi lenti, felpati, adocchiando ogni zona, ogni punto finchè non arrivò nei pressi della voliera mettendosi appostato dietro un mucchio di piante dalle foglie larghe che coprivano la sua figura.
    Kensei venne totalmente rapito dalle bestiole alate presenti nella voliera. Messaggeri divini con corpo di coniglio e ali da piccione o colomba (??)... perfetti e splendidi e batuffolosi come una creazione divina.
    Conigli con le ali. Ammetteva che lì per lì pensava che Indra lo avesse preso per il culo quando gli parlò delle bestiole e quasi lo mandò a quel paese poi quando glielo spiegò per la seconda volta - con un tono più "serio" - decise di fermarlo e di lasciar perdere l’argomento perchè gli sembrava troppo assurdo.
    Troppo assurdo per un mutante con i tentacoli che gli scendevano tipo mantello proprio in quel momento dai fianchi e dalla schiena.
    Sì. Assurdo proprio.
    Adesso che aveva visto con i propri occhi quelle bestiole mitologiche stentò quasi a credere che esistessero e pensò che forse avrebbe dovuto chiamare Indra e dirgli di averle viste anche lui - come se avesse bisogno di una conferma per escludere un'illusione -.
    Poi qualcosa sembrò uscire dal nulla e passare di fronte alla voliera per spostarsi in un luogo che Kensei non riusciva a scorgere da quella posizione.
    Emil. Sì, doveva essere proprio lui.
    Quella figura eterea dai capelli biondi.
    Il cuore del Kraken ebbe un sussulto.

    Il ragazzo dai capelli rosa sapeva poco di lui, del suo passato e di chi gli stava dando la caccia: anche se si era molto interessato alla sua storia.
    Anche perchè un “Collezionista” di Mutant non può passare inosservato alle orecchie da chi mutant ci nasce: era diventato un piccolo tarlo per il nostro giovane Kraken.
    Un tarlo che si era insinuato nella sua mente, e gli provocava fastidio, tanto fastidio.
    Si sentiva profondamente irritato - e irato - che una figura simile potesse esistere e che avesse minato la libertà e la vita tranquilla di quel ragazzino solo per il gusto di possederlo, averlo nella sua “collezione”.
    Non sapeva che Quirk potesse avere Emil e non gliene fregava niente, era una cosa ingiusta e dannatamente sbagliata perseguitare un’anima come quella e chissà quante altre assieme a lui.
    Adesso che Emil faceva parte della sua famiglia… questo spettro non prendeva l’aspetto di un criminale psicopatico qualsiasi, era diventata una minaccia.
    Il solo pensiero lo disgustava profondamente.
    Non era giusto, che avesse dovuto patire così per colpa di un simile depravato.
    « Dannazione. » senza volerlo le sue mani in quel vortice di sensazioni così travolgenti e così molteplici si erano serrate a pugno e le sue fini unghie ben curate avevano quasi scavato nella sua pelle.
    Si dovette dare una calmata pensando che doveva lasciare perdere quel figlio di puttana e rimandare quel problema per un altro giorno, per un altro momento.
    Ora solo una cosa era davvero importante.
    Trasse un profondo respiro e lasciò scivolare tutto, restando ad osservare Emil di soppiatto, imboscato tipo stalker, prendersi cura dei piccoli batuffoli di pelo.
    In quel momento Kenny lo vide in volto.
    Aveva un’aria serena, felice.
    Fu come rivedere in parte se stesso…
    Aveva sperimentato in diversa maniera cosa significava la solitudine e il dolore, l’angoscia di non avere nessuno a fianco, il vuoto di non avere nessuno a cui chiedere aiuto e nessuno su cui poter contare, l’infinito e devastante bisogno di ricevere anche solo un gesto di affetto.
    Il suo sguardo si abbassò, alle sue mani, tremolanti.
    Oh sì, Kensei c’era passato a sua volta.
    E quanta felicità, quanta serenità aveva provato in quella casa, in quella famiglia: era stata dura ambientarsi e stringere quei legami, era stato difficile ricominciare da 0 ma ce l’aveva fatta e non c’era riuscito da solo.
    Perchè da quel giorno, quando sua madre scelse lui in quell’orfanotrofio non era mai stato più un singolo essere umano era divenuto parte di una famiglia.
    Quella famiglia che aveva giurato sulla sua esistenza di proteggere.

    Ci fu un istante in cui lo sguardo del Kraken si illuminò fissando le sue mani.
    Era questa forse la risposta alla sua domanda?
    Era davvero questo quello che cercava?
    Un segno, una persona, un ragazzino che gli potesse ricordare il motivo per cui era lì?
    Strinse le labbra.
    Sì.
    Aveva avuto bisogno di rivedersi in Emil.
    Aveva avuto bisogno di guardarlo in quegli occhi e sentirsi di nuovo… parte di quella famiglia.
    Il suo cuore sembrò esplodere nel suo petto e quasi gli mancò il respiro sentendosi pervaso da una dolce emozione, quasi avesse potuto percepire ancora per l’ultima volta il calore della mano di sua madre.
    E comprese tutto.
    Comprese che tutto ciò che aveva cercato, tutte quelle risposte in realtà erano già dentro di sè.
    Poteva cambiare, poteva evolversi restando sempre lo stesso perchè finché avrebbe avuto un ruolo e un posto in quella famiglia nessuno gliel’avrebbe mai tolto.
    E allora in quel momento anche quel sentirsi lasciato indietro prese un altro significato.
    Non avrebbe fatto passi avanti, si sarebbe invece voltato dalla parte opposta a difendere ciò in cui fermamente credeva.
    Avrebbe guardato loro le spalle, avrebbe sostenuto ognuno di loro, i suoi tentacoli sarebbero stati la base delle colonne portanti della famiglia.
    Non importava che lo notassero, gli importava che ognuno di loro potesse fidarsi di lui e sapere che avrebbe sempre guardato loro le spalle e avrebbe difeso ognuno di loro fino all’ultimo fiato.
    Fratello o sorella che fosse.
    Il Kraken era il guardiano e il protettore della famiglia.
    Non era lasciato indietro perché nessuno credeva in lui, era lasciato indietro proprio perchè si fidavano e confidavano nella sua protezione.
    Fu un'epifania.
    Si sentì realizzato, si sentì di nuovo vivo e tutto prese ad avere un significato.
    Solo grazie ad Emil, aveva avuto bisogno di lui, della sua presenza per ritrovare un senso a quella sua vita andata in frantumi con la morte della madre.
    Si asciugò gli occhi prima di alzarsi e di incamminarsi verso la fiamma che aveva riacceso il suo spirito.

    Lo vide mentre con delicatezza si apprestava a tenere pulito il manto di uno di quelle strambe divinità e il suo volto si distese, dolcemente.
    Con grande coraggio strinse le sue mani alla sacca della borsa che teneva al collo e si aggiustò i tentacoli lasciandoli ondeggiare come una specie di gonna sopra i suoi pantaloni felpati.
    Con passo lento e con un profondo respiro, Kensei si avvicinò al ragazzino seduto su una panchina in ferro battuto finemente abbellita da ghirigori floreali e alzò la mano in segno di saluto.
    « Yo. » disse con una nota di imbarazzo nella voce e le guance rosse « Emil, giusto? » chiese portando la testa da un lato mentre.
    Emil dapprima sorpreso di quella visita piuttosto inaspettata da parte di uno sconosciuto strinse le sue mani sulla creaturina che portava sulle gambe e annuì senza emettere alcun suono.
    Gli avevano detto che ancora il giapponese lo masticava male, e che era un tipo piuttosto silenzioso quindi decise di non creare troppo disturbo e di farlo sentire a suo agio.
    « Mi chiamo Kensei. » si presentò portando la mano destra al cuore indicando il suo petto col pollice. Iniziò poi a scavare nella sua memoria alla ricerca di parole in inglese - tratte da canzoni per lo più - che potessero permettergli una presentazione più decente « Junko’s… brother. Little brother. » commentò per poi mimare con il pollice e l’indice il fatto che fosse il più piccolo, forse tra tutti (non ricordava di avere un fratello o sorella minore).
    Il ragazzino sembrò apprezzare i suoi sforzi e quasi non si mise a ridere, osservando dapprima le sue mani, il sorriso sul suo volto e poi i suoi tentacoli che Kensei faceva ondeggiare lentamente come se fossero un drappo di una sposa.
    Si portò vicino a lui, mimando a gesti se gli dava il permesso di potersi sedere accanto a lui. Il ragazzino annuì e si spostò di lato lasciando un po’ di posto a quel buffo tipo tentacoluto e impacciato.
    « Call me, Kenny. Ok? » gli voleva dire che in quel momento aveva l’onore e il privilegio di essere l’unico nella famiglia ad aver appena ricevuto il diritto di chiamarlo a quel modo ma evitò. Troppo complicato e troppo lungo.
    In fondo Kenny era più semplice di Kensei, o di Dryas o di Kraken (non l’avrebbe mai detto a nessuno neanche sotto tortura o lama puntata alla gola ma … UncleKenny suonava troppo bene rispetto agli altri nomi).
    Portò una mano ad accarezzare la testolina pelosa dello strano essere, orgoglioso nel dire di aver appena toccato un messaggero divino.
    Trovarsi accanto ad Emil, vederlo così, sorridente e quasi indifeso… pensando a ciò che aveva trascorso, a quanta paura e a quanto doveva aver sofferto, a quanto solo doveva essersi sentito… sembrò destare in lui quell’istinto di protezione che possedeva fin da quando era stato preso sotto le ali della Madame.
    Gli mise una mano sulla testa bionda e gli scompigliò i capelli.
    Un gesto da fratello maggiore più che da vero e proprio zio, sperava che non lo offendesse.
    Non sapeva quante di quelle parole avrebbe capito il giovane ma non gli interessava, perchè erano rivolte ad Emil tanto quanto a sè stesso.
    « Sei al sicuro qui. Finchè ci sarò io a guardarti le spalle, e finchè sarai parte di questa famiglia, non dovrai avere più paura di niente e nessuno. Non sei più solo adesso. » gli strappò un sorriso.
    Ecco.
    Quella era l’apoteosi, la vera risposta a tutte le domande.
    Il sorriso arriva solo quando si sta bene, quando ci si sente amati, protetti e quando ci si rende conto di essere felici.
    Ed Emil lo era.
    Dopo tanta sofferenza, solitudine e turbamento, si sentiva felice e si sentiva a casa tanto quanto Kensei.
    Il Kraken sorrise e con i tentacoli si tirò via la cartella che portava a tracolla e fece fare capolino via via ad una manciata di libri consunti e un po’ vecchiotti cercando poi di mimare con l’aiuto anche dei tentacoli e delle mani quello che voleva dire.
    « Ho imparato il giapponese anche io da 0. E questi mi sono stati molto utili. Quindi ho deciso di darli a te. Potrebbero esserti utili. » tanto a lui non servivano più, no? Non sapeva se avrebbero fatto piacere o no al ragazzino ma aveva sentito il bisogno di fargli quel regalo.
    Emil sembrò apprezzare in qualche modo e Kenny gli avrebbe lasciato l’intera borsa in un secondo momento per paura che la bestiola si mettesse a mangiucchiare i suoi preziosi libri - erano i conigli che mangiavano la carta o erano le capre? -.
    « Vuoi? » ruppe quel momento di imbarazzo prendendo le cuffie che teneva ancora nella felpa, passandone una al ragazzino. Non amava molto il silenzio, ma non sapeva neanche cosa dire per non metterlo a disagio così… decise di riempirlo con la musica.
    « Sai, tutti pensano di sapere molto su questa casa ma nessuno conosce il passaggio segreto dietro uno scaffale della libreria. Porta ad una minuscola stanzina dove nessuno può romperti le scatole. Ti ci porto, se vuoi. Mi nascondevo lì quando ero piccolo da… Momo. Quella cieca. Dai capelli bianchi. Coda e… corna. Di sicuro la conosci. E se ti da fastidio, chiamami che la concio io per le feste. » disse cercando di mimare l’aspetto fisico della donna, compreso di corna, occhiali, coda ed espressione alla Momo strappando al biondino una risatina.
    Forse non conosceva il giapponese, ma difficile non ricordarsi di una come Moumoko, soprattutto quando hai avuto a che fare con lei anche solo una volta.
    Emil prese una cuffia e Kenny si portò l’altra all’orecchio e come una brava coppia di fratelli che ascoltano lo stesso brano, rimasero entrambi così a prendersi una pausa dalla giornata estenuante mettendosi comodi sullo schienale un po’ freddo della panchina.
    Memories We Made era il titolo del brano, niente di più azzeccato.
    Kensei osservò il giovane accanto a sè e sorrise, mentre il suo corpo e il suo spirito esausti si sciolsero al ritmo delle note della musica.
    Il resto… il resto non contava più niente.
    « “Memories We Made”. Mpf...» disse, riconoscendo il brano che rendeva quell’atmosfera e quello strano e buffo incontro ancora più dolce.
    « Finché ci sarò io, Emil, nessuno ti porterà più via quel sorriso.»
    Dryas | Villain | Eden's Thorn | Liv.3 | Scheda
     
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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.

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    Molto carina!

    Kensei: +25 exp;

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