Historia Magistra Vitae

Single Quest || Yuya

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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.

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    Yuya Mirokuji
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    In fondo, quell'accademia era troppo affascinante per potersi permettere di ospitare gentaglia qualunque. In mezzo all'idillio variopinto di aule, palestre, banchi di legno ammodernati, spazi verdi e cortiletti pittoreschi sembrava non esserci spazio per nulla che non portasse i kanji di "progresso" incisi in fronte. Faceva quasi invidia al campus della Todai. Non faticava ad immaginare perché gli ammessi fossero pochi e i diplomati ancora meno; non c'era spazio per gente mediocre. Chi usciva di lì doveva essere crème de la crème, il primo dei primi, un vero fiore da appendere all'occhiello, oppure... doveva aver avuto abbastanza forza di volontà per andare avanti anche se il fato gli si era mostrato avverso. Era davvero il posto perfetto per uno come lui. O almeno, lo sarebbe stato.
    Yuya continuò a camminare lentamente alle spalle di Natsume Kisaragi, lasciando scorrere le iridi ambrate oltre le finestre che separavano i corridoi dall'esterno. Stavano costeggiando la pista d'atletica e qualche ragazzo correva ridacchiando in mezzo ai compagni. La Yuuei. Ah, la Yuuei, la Yuuei.
    Chi l'avrebbe mai detto che ci avrebbe messo nuovamente piede. Erano passati quanti? Cinque o sei anni? Da quando ci si era illegalmente introdotto per rapire dei ragazzini. Mh, beh... dire che li avesse rapiti non era esattamente corretto. Aveva solo dato una mano a chi voleva farlo e poi la storia non aveva avuto proprio la sua gloriosa conclusione. Uno dei due era pure morto, ma ormai era passato. Probabilmente i nuovi iscritti nemmeno se lo ricordavano più. Chissà se doveva aggiungerlo alla conta degli omicidi di cui era colpevole. Meglio di no, gli piaceva pensare di poter essere legalmente perseguibile solo per la faccenda del Sagrestano Homura. Al tempo era poco più che ventenne, non sapeva esattamente nemmeno lui quello che faceva.
    Era solo buffo pensare che ora fosse dall'altra parte della barricata, a visitare la scuola come un perfetto turista.
    In un certo senso gli piaceva pensare di essere in parte artefice di quella rivoluzione, anche se sapeva che Yami e gli altri avevano contribuito molto di più, mentre lui era impegnato con l'Eden. Era passato tanto tempo, ma chissà, se quell'evento non fosse accaduto forse l'accademia non avrebbe mai avuto la possibilità di epurare il vecchio staff.
    O almeno, così la vedeva lui.
    «...E questa è l'infermeria! Una delle tre, per lo meno.»
    La voce squillante di Natsume lo riportò al presente, mentre la giovane gli mostrava la stanza oltre la porta scorrevole che aveva appena aperto. Era una ragazza giovane, ad occhio non doveva essere più alta di un metro e sessantacinque e non sembrava dimostrare più di venti, ventitré anni. Aveva degli splendidi, lunghissimi e lisci capelli verde scuro, ornati da una frangetta disordinata, e un'aria che Yuya avrebbe definito da "svampita", cosa che - a dire il vero - entrava un po' in contrasto con la divisa che indossava e che pareva una tuta attillata, simile ai modelli standard delle tute da eroe, e ornata di cacciaviti, chiavi inglesi e altri arnesi tutt'intorno alla cintura. Era una delle responsabili del corso di meccanica, gli aveva detto, ed era stata incaricata di mostrargli la scuola, visto che era arrivato in anticipo.
    La giovane azzardò qualche passo all'interno dell'aula e posò - finalmente - il pacco di libri e materiale che stringeva sottobraccio su una delle scrivanie presenti.
    «Ecco, qui c'è la scrivania, appena liberata. Ah! Se c'è altro mi faccia pure sapere, m-ma questione di minuti e dovrebbe arrivare anche Miss Plague, stanno finendo le lezioni.»
    Yuya le sorrise, mani nelle tasche dei jeans scuri, e si fece strada oltre la soglia a sua volta. Era una stanza più lunga che larga; c'erano dei lettini con lenzuola fresche ed anche delle tende che permettevano di avere una certa privacy nel caso ce ne fosse stato bisogno. Sulla destra, di fronte ad essi, c'era una lunga tavolata di scrivanie unite fra loro con tanto di tre computer, cassetti, una serie di libri che potevano tornare utili in svariate occasioni e comode sedie girevoli, che più che sedie sembravano poltroncine. Averle avute così alla clinica Omori, probabilmente si sarebbe risparmiato una bella dose di mal di schiena.
    «Oh, non c'è problema. È perfetto, grazie. Aspetterò qui, dopotutto sono io ad essere arrivato in anticipo.» Natsume annuì, e il corvino salutò educatamente la giovane con un cenno accompagnato da un inchino, prima di guardarla allontanarsi e socchiudere la porta scorrevole.
    Non appena rimase solo prese a guardarsi intorno, la coda che si muoveva sinuosamente alle sue spalle come quella di un gatto curioso, e infine si lasciò sprofondare in una delle suddette sedie, per constatare se fossero davvero comode come sembravano. Spoiler: lo erano, e quello fu sufficiente a imprimergli un sorrisetto ben più accentuato del precedente sulle labbra. Strisciò un dito sulla liscia superficie marroncino chiaro della scrivania davanti a lui. Non c'era neanche un filo di polvere. Era incredibile che la sua vita si fosse raddrizzata così tanto da essere quasi tornata a viaggiare sui binari giusti.
    Yuya non credeva nel destino, eppure quello sembrava volersi continuamente prendere gioco di lui, proprio come se gli stesse dicendo di continuare ad ignorarlo se avesse voluto, perché tanto le sue zampaccie invisibili sarebbero giunte ovunque.
    Ma in fin dei conti andava bene così. Sebbene la sua espressione pensosa sembrasse raccontare il contrario, non c'era nulla che lo turbava in quel momento.
    Era una bestia affamata.
    Prima lo era stata di soldi, ma quando li aveva trovati e ottenuti si era reso conto che non era quello a cui anelava. Non solo. Forse aveva solo vissuto con la convinzione di dover recuperare quello che aveva perso, ma quel giorno di tanti anni fa, quando la sua vita si era frantumata in mille pezzi con la facilità di un piatto caduto da una credenza... non aveva perso soltanto il denaro e la sua vita agiata. Aveva perso anche lo status di cittadino modello che soltanto l'esser figlio di suo padre e sua madre gli conferiva.
    Per questo si era accorto che gli mancava qualcosa oltre i soldi. La fama.
    Soddisfatto quel primo bisogno primario, ne aveva sentito il richiamo come uno sciacallo avrebbe sentito il sangue, e così era finito lì.
    Pratiche infinite con l'università, fogli, moduli, burocrazia, ma era fatta. Tra meno di sei mesi si sarebbe laureato ed aveva già un posto assicurato per lavorare alla Yuuei come assistente medico.
    Sembrava una bugia. Una cosa che qualcuno avrebbe raccontato per farsi figo con gli amici, e invece era la solida realtà sotto i suoi piedi.
    Certo, ad occhio non avresti pensato a lui come un medico, sembrava l'incrocio fra un motociclista e un modello di Armani a cui avevano strappato la cravatta: giacca di pelle, camicia bianca con il colletto ripiegato e jeans grigio scuro che si infilavano in delle basse scarpe di camoscio nero. Ma forse era colpa di Teruko che veniva a lavorare con gli anfibi alti fino al ginocchio e lo aveva influenzato.
    Yuya si frugò nelle tasche e tirò fuori il proprio portafoglio: lo aprì e ne estrasse una fotografia stropicciata.
    Faceva quasi ridere che la tenesse lì come un vecchio padre di famiglia, ma per l'appunto raffigurava proprio quello. Un ragazzino di all'incirca sette anni stava in mezzo a due eleganti adulti vestiti di tutti punto, sullo sfondo dei rosati sakura tree donavano colore alla carta consunta. La donna aveva la carnagione di un profondo blu notte, i capelli bianchi, e una coda appuntita, proprio come quella del bambino al suo fianco. Era sua madre. Suo padre invece era solo vestito elegantemente, un giapponese dai capelli brizzolati neri, e solo il portamento in lui faceva pensare di avere davanti un ex-eroe a capo di un'azienda votata alla ricerca sui quirk, una che non esisteva più.
    Se non si ricordava male era una foto di una delle sue prime cerimonie scolastiche.
    Yuya la fissò per qualche istante, sbattendo le palpebre come se fosse indeciso sul da farsi.
    In realtà credeva di aver rubato quella foto al portafoglio di sua madre prima che finisse per usarla come pretesto per farsi del male, ma ormai non aveva importanza. Quella foto era il motivo per cui aveva deciso di mettersi all'opera per arrivare fin lì e nient'altro. In fin dei conti era sempre stato destinato alla Yuuei.
    Se la sua famiglia non si fosse sfasciata forse ci sarebbe entrato da studente, ma... quello che contava era la destinazione, non il viaggio. Gli piaceva rigirare gli aforismi per i suoi comodi.
    "Visto? Alla fine ci sono comunque alla Yuuei. Anche se hai pensato di sparire per i cazzi tuoi. E ci sono arrivato da solo. Che ne pensi, papà?" pensò, sogghignando, rivolto proprio all'uomo intrappolato dietro la carta della fotografia.
    Probabilmente era stato troppo tempo ad addossarsi le sue colpe. Seiji Mirokuji era morto quel giorno all'alba dei suoi sedici anni e non sarebbe più tornato. Yuya si sarebbe ripreso da solo ciò che gli spettava di diritto.
    Strinse la mano a pugno e la foto si accartocciò sotto di essa. Adocchiò il cestino a pochi passi dal tavolo e la lanciò come fosse stata una cartaccia. Canestro.
    Ovviamente, con la sua perfetta percezione dello spazio che lo circondava era impossibile che sbagliasse un tiro del genere.
    Poi si alzò dalla sedia e si diresse a guardare fuori dalla finestra. L'infermeria era al piano terra, quindi non c'era chissà quale vista spettacolare di cui poter godere, ma si poteva scorgere l'enorme cupola del Unforeseen Simulation Joint e metà di uno dei campi da baseball.
    Sembrava un buon punto d'arrivo. Ma per Yuya non era altro che l'ennesimo punto di partenza. Sapeva che la vista dalle aule ai piani superiori era migliore. Più in alto si stava sempre meglio.
    Sarebbe giunto il momento in cui si sarebbe lasciato alle spalle anche sua madre, si disse, e riflesse quel pensiero crudele nelle proprie pupille che si intravedevano vaghe sul vetro.
    Proprio in quell'istante la porta si aprì e sulla soglia comparve una donna vestita di nero, un lungo abito a balze con la gonna rigonfia e un corsetto a stringerle la vita. Sul volto aveva una lunga maschera a becco attaccata ad un cappello vittoriano ornato di pizzi e merletti e in mano stringeva un ombrello chiuso che sembrava uscito da un film di Mary Poppins.
    «Il signor Mirokuji, presumo?» disse, varcando la soglia con la sua voce acuta, i tacchetti delle scarpe sotto il vestito a picchiettare sul pavimento. Yuya le sorrise, deliziato.
    Già, perché no. Un giorno avrebbe potuto prendere il suo posto. Quale modo migliore di guadagnarsi un po' di riconoscimento se non diventando un insegnante nella miglior accademia della nazione. «Sì, sono io.»

    VillainEternium#Livello 826 y/o
    « Historia magistra vitae, ogni passo una scossa, una dinamite. »
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    UFFICIALE YUYA FA GLI ADD HERO

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