What's My Age Again?

SQ -- Miyasato Oshima (Stan)

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    Kaworu Oshima
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    Passò il biglietto sopra lo scanner per oltrepassare il gate d'arrivo, un gesto che lo ricopriva di vergogna. Kaworu riusciva a scendere a compromessi per spostarsi attraverso Tokyo, ma fare i lunghi viaggi tra città in treno – piuttosto che su una moto – era un'umiliazione fin troppo bruciante.

    Fortunatamente alle prime luci di quella mattina domenicale non c'era troppa gente sulla linea verso Yokohama, tuttavia sempre più dell'ideale, ovvero uno, a cavallo di una moto su cui rilassarsi e meditare durante il tragitto.

    Fu l'ultimo a salire in carrozza e il primo a scendere, tenendosi il più lontano dai miserabili salarymen e dalle banali famigliole. Gente senza anima la cui presenza rischiava di risucchiare anche la sua nel loro vuoto.

    I mezzi pubblici non facevano bene alla salute umana.

    Manco serve dire, quindi, che metter piede su un autobus appena uscito dalla stazione tagliò corto il suo senso di sollievo dopo lo sbarco. Si sarebbe risparmiato tale odissea verso la città vicina se non per la presenza della bottega-officina Imata che l'attraeva lì.

    Il solo nome portava alle memorie innummerevoli pomeriggi di gioventù spesi tra carcasse di motociclette vivisezionate e odori onnipresenti di grasso più altre sostanze del mestiere. Accompagnati ovviamente dalle frequenti sgridate di Babbo Imata, sia verso suo figlio che al resto dei Noraneko, quando una moto appariva lì dentro disastrata a causa di una mossa troppo coraggiosa per strada.

    Nel 21esimo secolo quel nome ancora persisteva... Ma soltanto il nome. L'edificio talmente caro e chiave dei suoi ricordi non esisteva più, il suo spirito era stato travasato a Yokohama decenni fa. Pensandoci, gli Imata ormai erano stati in operazione più a lungo lì di quanto lo furono mai a Tokyo.

    Kaworu si dirigeva ad un miraggio della sua gioventù.

    Scese alla propria fermata, identificata grazie al foglietto stropicciato su cui si era appuntato le istruzioni di "maps" dettate da Miya. Si rivolse a lui e le sue capacità cibernetiche per una mano a trovare il posto, però – lasciando l'accademia così preso al fine settimana – era chiaro preferisse recarcisi quando il coinquilino ancora dormiva (nella strana maniera in cui solo loro erano capaci).

    Destra dopo l'incrocio. Dritto fino a via taldeitali. Gira l'angolo qui... L'internet non mentiva, trovò quel che cercava proprio dove profetizzato dal web. Un negozio che gli sarebbe parso totalmente anonimo se non per il cognome sull'insegna.

    Marciò alla porta d'ingresso con un passo anche troppo rapido. Sarebbe forse sembrata determinazione, o fretta d'incontrare chi sperava, ma probabilmente era anche un modo d'esternare la propria ansia.

    Afferrò la maniglia esterna e si spinse dentro, annunciato dallo squillo di un campanellino appeso sopra la testa dei clienti.

    Subito era nel bel mezzo dello showcase d'accoglienza, dov'erano ben in mostra le vetture a due ruote più sexy e accattivanti per la vetrina... Quello era l'intento, almeno. Un po' gli pianse il cuore a vedere anche quel posto – per lui un santuario in passato – essere mosso in avanti dagli stessi trend estetici che lo allontanavano da altri negozi.

    « Buongiorno. Come posso aiutarla? ​»

    Dal bancone al fondo della stanza sbucò un uomo sulla trentina, poco prima impegnato a maneggiare con qualcosa sotto la scrivania. A pochi minuti dall'apertura era naturale non si aspettasse di già un cliente.

    « Sto cercando Imata. ​»

    Disse, vagando ancora con lo sguardo per il fronte dell'attività. Oltre a moto – che in ogni caso non erano le mostruosità viste da Yamaha o Kawasaki – erano in vista anche gadget e strumenti. Seppur fosse leggermente meno spazioso dell'originale continuava a non mancare nulla.

    « Eccomi. ​»

    Rispose l'altro uomo... La frase lo portò a studiarlo un po' meglio. Discretamente alto, lunghi capelli bruni legati in una coda di cavallo, al mento un pizzetto poco folto. Non era l'uomo che cercava, ma riconosceva in lui gli echi di chi avesse tramandato quel nome.

    « Imata Fujita. ​»

    Specificò il nome di nascita con un sorriso d'intesa. Cercava il padre, non il figlio. Era lieto di sapere però che l'operazione restasse un affare di famiglia, Fujita coltivava la generazione successiva proprio come Babbo Imata fece con lui.

    « Sono un vecchio amico, digli che Oshima è passato a fare un salto. ​»

    L'erede ovviamente sgranò gli occhi confuso, e spese diversi attimi a grattarsi il pizzetto e squadrare l'ospite con scetticismo. Un vecchio amico? Questo ragazzino? Avrà metà dei miei anni.

    Ora che faceva i calcoli, effettivamente anche Kaworu forse era più giovane del figlio di Fujima... In base a come si decideva di contare la sua età.

    « Okaaay. Vediamo cosa dice. ​»

    Lo ringraziò con un inchino, e lo guardò sparire oltre l'angolo del piccolo corridoio al lato della sua postazione, che presumibilmente portava ad uno spazio riservato per le operazioni meccaniche al retro del negozio.

    Non spostò i suoi occhi da quel punto. Magari era quella concentrazione a intensificare ogni secondo, finché l'attesa non sembrò interminabile. Era solo con il silenzio, tenuto compagnia soltanto dal battito irregolare del proprio cuore, e i dubbi dell'ultimo minuto sull'essersi presentato.

    Restando lì, avrebbe dovuto ammettere un sacco, e scusarsi per molto altro ancora. Quando il suo vecchio amico avrebbe sentito il suo nome, forse i primi ricordi non sarebbero stati i tempi allegri spesi assieme, ma la pugnalata alle spalle che ci aveva posto fine.

    Attese per ciò che non doveva esser stato più di un paio di minuti, ma in cui Kaworu riuscì a spremere il disagio di tutti i decenni che separavano lui e Fujita. Dopodiché apparse d'improvviso. E tutti quei pensieri sembrarono evaporare.

    « Imata! ​»

    Non riuscì a contenere un enorme sorriso ebete, ma si controllò abbastanza da tenersi fermo piuttosto che saltargli sulle spalle come una volta. Gli sarebbe ancora stato possibile, visto che gli anni non avevano tolto un centimetro all'imponente statura dell'uomo, sia in altezza che in larghezza.

    Il suo volto era marcato da profonde rughe e brufoli di vecchiaia, i pochi sopravvissuti dei suoi un-tempo-gloriosi capelli erano corti, bianchi, e sottili. Compensava però con degli impressionanti baffoni grigi appena sotto il naso.

    Nell'avvicinamento, Kaworu notò che ancora si muoveva con la stessa imponenza posseduta in gioventù, un passo potente ma al contempo stranamente grazioso e misurato. Imata si fermò a qualche passo da lui, scrutando dall'alto l'entusiasmo del "ragazzo" come fosse un cagnolino.

    Per un po' non disse nulla. Osservava, studiava, cercava nelle proprie memorie la risposta all'incongruenza che si trovava davanti.

    « ...Ah!! Oshima! Chi se lo sarebbe aspettato! ​»

    Il suo sorriso mosse con se anche i baffi, e infiammò immediatamente gli spiriti di Kaworu. Non realizzò quanto gli mancasse sentire il proprio nome pronunciato da una voce familiare fino a quel momento. Fosse stato più calmo non si sarebbe lasciato trasportare, e avrebbe capito prima che non c'era nulla da festeggiare.

    « Devi essere il suo nipotino! Avete gli stessi occhi ribelli, hehehe. ​»

    Se la rise di gusto, offrendo prima un breve inchino poi una palla alla spalla, con una manata abbastanza larga e pesante da dislocare chiunque da dove avessero piantato i piedi.

    Kaworu fece del suo meglio per mantenere un sorriso.

    « No, sono io. Kaworu! ​»

    Ovviamente, era ingenuo sognare in una riconciliazione così semplice ora che le sue circostanze tutt'altro erano eccetto semplici. Aveva tante spiegazioni da fare. E avrebbe dovuto darle in fretta, a giudicare dalla confusione letta in faccia sia a Fujita che al figlio poco dietro lui.

    « ...Eh. ​»

    Da dove iniziare.

    « Comunque tuo padre sarebbe furioso a vedere cafonerie come queste! ​»

    Incalzò giocoso, aggrappandosi alla prima scialuppa che gli venne in mente. Indicò l'angolino della bottega dov'erano appesi vari campioni di caschi.

    « Te l'avrà ripetuto mille volte: "MAI sospendere i caschi, vanno messi su piedistalli!" ​»

    Approfondì la sua voce e si fece grosso con le spalle per mimare il Babbo Imata... Fujita non lo trovò buffo. Anzi, sembrava mortificato. Investigava i suoi lineamenti come Kaworu fece con lui, senza trovare gli stessi segni d'invecchiamento... O anche solo la persona a cui apparteneva quel passato condiviso.

    « Oshima... ​»

    Gli aneddoti di quel diciottenne, il suo sguardo affilato, la cadenza con cui parlava o soltanto la sua postura... Fujita ancora pareva incerto della realtà che aveva davanti, eppure stavolta la pronuncia di quel nome non era solo un suono, era una memoria.

    — ❈ —
    Mentre Babbo Imata era impegnato a sistemare il bolide di uno o l'altro tra gli scapestrati del gruppo, i ragazzi combattevano per spartirsi un divanetto scucito ideato per due persone, ma su cui ce ne finivano puntualmente almeno cinque. E sempre al lato di quel muro – abbastanza lontano dall'area centrale dove si lavorava – l'atmosfera era completata da una vecchia e scassata macchina del caffè, matrice di bevande squallidissime, anche perché nessuno aveva briga di pulirla. Ma andava bene, era il loro divano e la loro macchinetta, i difetti erano parte del fascino, non li avrebbero mai sostituiti.

    Al retro della nuova sede Imata, invece, lo spazio era ridotto ma infinitamente più ordinato e pulito. L'equivalente del divanetto in disparte erano due poltrone affacciate l'una all'altra, separate da un basso tavolino da salotto. Su una di queste ora sedeva Kaworu, anche se la piccola area pausa doveva essere studiata per Fujita e suo figlio Okano.

    « Eheheh, caspita hai ragione, mi ero totalmente scordato di Hanko! Anche se forse era meglio così, con quel che mi racconti... Meno male che non bevo più come facevamo da ragazzini! ​»

    L'amico gli posò una tazza fumante davanti prima di sedersi a sua volta. Le sue abitudini in bevute non erano diverse solo per gli alcolici evidentemente, siccome gli servì tè piuttosto che caffè.

    « Ringrazia che sia una capsula del tempo vivente! È grave dimenticarsi certe storie leggendarie. ​»

    Fu un po' scomodo farsi capire riguardo la stramba convivenza tra lui e Miya visto che nemmeno per loro due certi passaggi erano chiari. Ma a meno che non si volesse tirare in ballo il paranormale, il bizzarro nel ventunesimo secolo diventava credibile finché di mezzo c'erano le unicità.

    « Facile per te dirlo, non hai subito i miei ultimi 47 anni di vecchiaia, hehe. ​»

    Kaworu afferrò la tazza ma ancora non ci posò le labbra, preferendo soffiarci sopra finché non fosse scesa di temperatura.

    « A pensarci, l'ultima volta che ti ho visto eri più giovane di tuo figlio, e adesso io sono più giovane di lui! Chi l'avrebbe mai detto saremmo finiti così. ​»

    Nessuno avrebbe potuto indovinare quell'adolescente fosse una volta stato coetaneo all'anziano signore con cui condivideva valorose storie nostalgiche. Anche per Kaworu erano un tuffo nel passato ma solo di qualche anno, non mezzo secolo.

    Prese il primo sorso... Era deteinato. Decisamente non la sua bevanda di scelta, ne avesse avuta. Faceva strano chiacchierare con Fujita senza il prodotto della macchinetta lercia in officina sotto il naso.

    E col tempo non si era andato a perdere soltanto il caffè. Sarebbe stato un bel sogno riunirsi al vecchio amico e trovarsi subito in una bolla spaziotemporale anni '70. Tuttavia dopo cinque decenni, due matrimoni, e la paternità, l'uomo seduto all'altra poltrona era un uomo, non il ragazzo poco più che ventenne preservato nei ricordi di Kaworu.

    Si era fatto più pacato, contemplativo. Fortunatamente non si lasciò mai inasprire abbastanza da perdere il suo fare buffo e rilassato, ma non vi era più traccia delle sue indoli un po' insicure di fondo. L'Imata odierno sorseggiava dalla propria tazza e bastava quello a dargli un'aura profondamente zen.

    In compagnia di Amaterasu si sentiva forse troppo anziano e saggio per essere suo pari, davanti a chi era Fujita oggi rischiava di sentirsi dalla parte opposta. Sembrava immaturo? Bambinesco? I suoi occhi vissuti lo giudicavano così come Kaworu considerava Miyasato?

    « Beh, beh, beh. L'ultima volta che ci siamo visti, sarebbe meglio dire. ​»

    Lui sorrise tranquillo, anche se era una rivelazione sufficiente ad abbassare il capo di Kaworu sotto il peso delle sue colpe. Lo temeva, e ora sapeva fosse vero. Una volta abbandonata Tokyo non provò mai a mettersi in contatto con il vecchio gruppo, anche quando si trovò sul letto di morte.

    Che imbecille. Ebbe quasi cinquant'anni di tempo, e nemmeno li degnò di una lettera? C'era davvero voluto tutto questo affinché gli entrasse in zucca il valore di ciò che aveva perso?

    O meglio, ciò che aveva abbandonato.

    « Onestamente, dal modo in cui te ne andasti non pensavo ti avrei mai rivisto. Se non fosse per queste circostanze straordinarie sarebbe stato così, deduco. ​»

    Se in Fujita c'era mai stato risentimento o tristezza verso quegli avvenimenti, il suo tono dimostrava fossero lutti oltrepassati e perdonati, ne discuteva con la leggerezza di un finale deludente a qualche film.

    « Quindi cosa ti porta qui? Credevo avessi chiuso con i "Noraneko", heh. ​»

    Non riuscì nemmeno a pronunciare quel nome senza lasciarsi fuggire una risata nostalgica. Forse erano anni che il loro gruppetto non gli passava di mente, doveva essere un ricordo tenero nella sua buffezza.

    « Volevo... Vedere una faccia familiare, credo. ​»

    Tragicamente, tra i nomi degli amici con cui era cresciuto, riuscì a risalire soltanto a Imata per via della sua presenza online associata all'impresa. Ci furono altri che scoprì per certo fossero stati sopraffatti dal cerchio della vita, ma per chi ancora non aveva una conferma... Probabilmente doveva fare i conti col peggio.

    Avrebbe voluto farsi perdonare per essere fuggito senza un addio. Un'opportunità che il se in carne ed ossa aveva rifiutato, e ora sembrava troppo tardi per recuperare.

    « Quando lasciai Tokyo ricordo l'unica cosa che davvero notavo guardandovi era quanto steste invecchiando. ​»

    Un sentimento sciocco anche solo da dire ad alta voce, ora che si trovava faccia a faccia con una vita davvero vissuta fino alla vecchiaia.

    « Si diventava grandi, si scartavano le moto in favore di una macchina per la ragazza o la famiglia, ci si trovava un lavoro stabile, e si girava sempre meno con i vecchi amici. ​»

    Col tempo rimase lui l'unico dedito allo stile di vita libero e ribelle su cui avevano costruito la loro identità. Fece del suo meglio per accomodare i bisogni di tutti senza lasciare che il gruppo si sfaldasse. Ogni singola settimana, era lui a fare del suo meglio per mantenere vivi certi riti e tradizioni, combattendo le opposizioni e l'agenda piena degli altri.

    Piuttosto che venirgli incontro, capire quel che stesse cercando di salvare... Gli dissero tutti che fosse rimasto indietro. Che li stesse appesantendo. Era Kaworu a dover raggiungere loro, "a crescere e farsi serio".

    Dal suo punto di vista era stato abbandonato lui per primo.

    « Sembravate tutti così lontani... Quando ho capito che non avrei risanato il gruppo ho preferito seppellirlo in una botta sola. Però non vi avrei dato la soddisfazione di trasformarmi anche io. ​»

    Salì sulla moto e prese l'autostrada senza guardarsi alle spalle. Spese i primi tempi a girovagare di luogo in luogo, era circondato da nuove amicizie per ogni città in cui si fermasse, ci fu un periodo in cui se la spassò come non faceva da tempo anche con i Noraneko. Dopo aver esaurito le possibilità di un posto o assaggiato abbastanza ragazze da sentirsi pieno, puntava alla tappa successiva.

    Gli altri divennero "adulti responsabili", lui da contrappeso mutò in un nomade dello sballo.

    « Sai, avresti potuto parlarcene. ​»

    Nonosante si trattasse di drammi vecchi decenni, Fujita aveva la risposta pronta per offrire la sua prospettiva maturata e distante.

    « Da quel che ricordo sapevamo fossi sempre più a disagio con noi, ma speravamo prima o poi avresti trovato la tua strada anche tu. Non sapevamo sarebbe stata quella che ti avrebbe portato via per sempre. ​»

    Sembravano felici, immersi nei doveri e nelle responsabilità che da sempre la loro combriccola schifava. Dovevano pensare che se erano riusciti a vendere l'anima loro, anche Kaworu inevitabilmente avrebbe seguito il passo. Non avevano previsto quanto fosse duro a morire il suo orgoglio.

    « Una volta che sei sparito abbiamo capito che forse avremmo potuto fare di più. ​»

    Soltanto in quel momento la voce solenne dell'amico si fece più emotiva. Gli anni lavarono via i momenti peggiori, e forse gli unici a rimanere erano i rimpianti, i momenti in cui si sarebbe potuti essere migliori.

    Non era forse quello il malessere che stava risentendo Kaworu? L'implosione della cerchia era stata evitabile, e poi reversibile... Per colpa sua entrambi erano solo ipotetici, ad oggi.

    « Eppure mi dici che questo giovanotto è tuo nipote, giusto? Prima o poi allora ti sei stabilito con una brava donna. ​»

    Tralasciando il fatto che si riferisse a Miya come la vittima di una possessione... Sì, eventualmente incontrò lei. Dire che si fosse stabilito era però un'enorme esagerazione.

    « Prima che mi svegliassi qui, le cose tra me e lei non andavano alla grande già da svariati mesi. Cercavo il più possibile di mantenere la nostra relazione leggera e tranquilla... Dopodiché non so come, siamo finiti a convivere. ​»

    Iniziò come una donna più simpatica della media che ospitava nel suo letto, tanto che condivise tempo con lei anche fuori dalle coperte. Diventò poi la compagna principale nella nuova città, sapendo però che al termine della visita l'avrebbe lasciata lì, passando avanti. Ma lo convinse a trattenersi più a lungo di quanto faceva di solito.

    Senza accorgersene, aveva cominciato a mettere radici assieme a lei.

    « Cominciò a fare "battute" sul matrimonio o sul fare figli, io reggevo il gioco per non affrontare il discorso, e lei si sentiva a suo agio diventando sempre più seria. ​»

    Non avrebbe mai negato l'affetto che li univa, ma sin dai primi tempi era inasprito da gocce di risentimento che divennero un fiume. Era attratto da lei oltre la mera carne, e lei per questo voleva mettergli un guinzaglio e legarselo al polso. E lui – come una rana in pentola – non realizzò per tempo in che guai si fosse cacciato.

    « La verità è che volevo fare i bagagli e partire ogni volta che se ne discuteva... Quando è rimasta incinta, devo essermi deciso per davvero. ​»

    Un codardo, proprio come il suo di padre. Scaricare le colpe di quei gesti miserabili alla versione di se che si era fatta cenere non lo assolveva per nulla, perché sapeva di essere la stessa persona in grado di disertare un figlio. Lui e il Kaworu sgommato via erano separati soltanto da una manciata di giorni.

    Fujita stavolta... Si concesse un momento di riflessione tra se e se. Girava la tazza mezza vuota tra le dita, intanto che Kaworu scese con lo sguardo al volto di Miyasato riflesso nel proprio tè.

    « Quando Okano è entrato nella mia vita, anch'io ho passato notti insonni sognando di scappare. Heh, sembra così ridicolo ora. Diventando padri le priorità cambiano, capisci cos'importa davvero nella vita. ​»

    « Dai Imata, fai il serio. ​»

    D'istinto abbandonò la tazza sul tavolino e sprofondò all'indietro nella poltrona. Era letteralmente raccapricciato dal discorso.

    « Non sono materiale da padre e mai lo sarò. Se c'erano chance se ne sono andate quando mio figlio ha compiuto più anni di me! ​»

    Pronunciare "mio figlio" lo metteva a disagio, in genere si riferiva a lui come "il padre di Miya". Non riusciva a concettualizzarlo davvero come la sua prole, non l'aveva visto crescere, nemmeno esisteva il giorno della sua nascita. Era stato solo un donatore genetico... E il colpevole della sua infanzia di merda.

    Doveva fare da babbo a un quarantenne dall'interno del corpo di suo nipote? Con quale crudeltà gli avrebbe rivelato che l'uomo responsabile di tante tribolazioni sia a lui che a sua madre ora invadeva la psiche del figlio?

    « Kaworu. ​»

    Anche lui poggiò la propria bevanda.

    « Posso essere franco? ​»

    In tre parole, l'atmosfera nella stanza si era ribaltata. Stava ancora ricucendo rapporti perduti con un vecchio amico, o ricevendo una lavata di capo da un qualche zio?

    Rispose soltanto con un timido cenno della testa.

    « Hai quasi trent'anni. Sei scappato prima da una vita "adulta", e poi da una potenziale famiglia. Magari hai ragione, non sei il tipo per queste cose... Ma se essere adolescente per sempre fosse la via giusta per te, ora che abiti il corpo perfetto non saresti qui a cercare conforto in un dinosauro come me. Hehe. ​»

    Male. Aveva colpito proprio sul suo punto più sensibile. Parole che lo trafissero come un paletto di ghiaccio, e lo riportarono all'edificio in decadenza visitato con Yoshito.

    Quando Kaworu prese coscienza in Miya, ovviamente fu assalito dalla confusione e dal terrore. Era sperduto, un passeggero inerme trascinato attraverso un mondo incomprensibile.

    Ma una volta afferrata la situazione e compresi i propri poteri in quella nuova forma, il senso di libertà che provò era indescrivibile. Il peso di ogni sua preoccupazione o responsabilità scivolò via. Era rinato, gli avevano concesso un secondo giro sulla corsia della gioventù.

    Allora perché i bei tempi durarono così poco? Se lo chiedeva da un pezzo, e solo di recente aveva cominciato a mettere assieme gli indizi. Non apparteneva tra gli adolescenti, era troppo maturo. Non apparteneva tra i grandi, era troppo immaturo. Forse era questo secolo a stargli stretto? No. Il varco tra Kaworu e i compagni di Miya era insignificante rispetto al gap generazionale a separare lui e Imata, o qualsiasi altro reduce degli anni d'oro.

    Era un uomo senza posto.

    « ...Cosa dovrei fare, allora? È il momento in cui mi dici d'ingoiare il rospo e diventare grande? ​»

    Rispose, sconfitto, appoggiato sulla poltrona come un palloncino sgonfio.

    Imata cadde pensieroso strofinandosi il labbro baffuto, ma solo per un attimo. Tornò presto ad un largo sorriso, ma anche una scrollata di spalle.

    « Non ne ho la più pallida idea, mi spiace. ​»

    « Ma come?! ​»

    Protestò Kaworu sporgendo il busto in avanti a modo scandalizzato.

    « Fai il pozzo di saggezza e mi cadi quando manca il consiglio finale?! ​»

    Nemmeno fece in tempo a completare la frase, l'ultimo quarto venne coperto dalle grasse risate del vecchio amico.

    « Heheheheheeeeehe! Kaworu, amico mio. Il più saggio tra i monaci non è in grado di risolvere la vita a qualcun altro. Quando avevo la tua età ignorai i consigli di mio padre, gli stessi consigli che ora cerco di impartire a mio figlio, ed è lui a pensarsi il più furbo di tutti... Certe lezioni si imparano solo invecchiando, sbagliando, il percorso di ognuno di noi è unico e inimitabile. ​»

    Imata lo fissò, lui ritornò lo sguardo... Ma il silenzio continuò. Non aveva altro da dire mentre Kaworu non sapeva cosa dire. Era tutto lì? Aveva fatto cazzate su cazzate e la soluzione che cercava era imparare e migliorarsi?

    Che razza di epifania D.I.Y. era questa??

    Esalò un profondo respiro prima di tornare molle, stavolta cadendo con il volto nei palmi. Avrebbe preferito che qualcuno gli imponesse di vestirsi in giacca e cravatta e trovarsi una carriera d'ufficio, in quel caso avrebbe avuto davanti una scelta: piegarsi al sistema sperando di trovare lì la felicità, o ribellarsi e costruire una terza via inarrivabile da tutti gli altri.

    Rimanere lì nel limbo lo lasciava senza direzione. Fu felice quando pensò di poter ricominciare la sua vita da zero... Ora subiva le conseguenze di avere zero tra le mani.

    « Se ti senti perso, non troverai riparo nel passato, perché non c'è più. E quando nemmeno il presente ti va a genio, l'unica opzione rimasta su cui puntare è il futuro. ​»

    Riportò il suo volto alla luce. Non poteva sapere se fosse vero e soprattutto era biologicamente improbabile, però avrebbe giurato di sentirsi apparire delle occhiaie di stanchezza.

    Ma vabbeh, gli sarebbe passato.

    O quantomeno doveva convincersene. La chiusura di Fujita era semplice... Banale, anche. Ma sapeva apprezzare le filosofie basilari. Quando riduci tutto ai suoi elementi più grezzi, spesso realizzi quanto sia elementare ciò per cui ti stai inutilmente avvelenando il sangue.

    Con che faccia tosta avrebbe fatto la morale a Miyasato, problemato da turbe ben più serie e intense delle sue, se poi si demoralizzava appena non gli era servita la pappa pronta.

    « Hehe, personalmente do colpa ad Eizan se ti fa così ribrezzo adeguarti! È sempre stato una cattiva influenza... Ma perbacco se non era figo. ​»

    « Assolutamente. Fighissimo. ​»

    E risero assieme, in sintonia, pensando che a tanti anni di distanza ricordavano quell'uomo come il punto di riferimento per tutto ciò che fosse cool. Era il tipico ragazzo più grande attorno a cui spesso i Noraneko orbitavano, nonostante in retrospettiva Kaworu aveva il sospetto non li avrebbe tollerati così a lungo se non fossero ottimi clienti dei suoi servizi motoristici.

    « A proposito, che fine ha fatto Eizan? Non sarebbe male fare visita anch– ​»

    S'interruppe prima di finire la frase. Nemmeno dovette attendere la reazione un po' rattristata dell'amico. Ci avesse pensato un attimo sarebbe stato ovvio, il più anziano di tutti era probabile avesse tagliato il traguardo tra i primi... Riposi in pace.

    « Poco da esser tristi. Sicuramente ha fatto una vita invidiabile! Spero da qualche parte abbia lasciato a sua volta un figlio apprendista, le sue tecniche vanno preservate! Come modificava lui le moto non le faceva nessuno, anche fuori Tokyo. ​»

    Il Babbo Imata era l'avanguardia dei ripari, ma nessuno reggeva il paragone ad Eizan nel campo di trasformare banali motociclette in bolidi da strada, infilandoci componenti la cui illegalità era proporzionale al divertimento garantito.

    « Ohi ohi! Ragazzo mio. Eizan era un artista... Ma il mondo è andato avanti! Pensi non sia capace di montare una bestia tosta alla mia età? Heh. ​»

    In quel sorriso ammiccante di vendita, ci trovò intatto lo spirito del suo amico, come non fosse passato un giorno.

    « Beh... Se proprio mi inviti a metterti alla prova, sono in cerca di un veicolo serio da un bel po'... Chi meglio di te potrebbe comprendere appieno i miei bisogni? ​»

    Avevano imparato assieme, bruciarono l'asfalto fianco a fianco per anni, scolpiti dagli stessi gusti nelle medesime annate. Fujita si piegava ai desideri moderni per far business ma sapevano entrambi i loro cuori appartenessero a ben altre correnti di pensiero.

    « ...E non mi dispiacerebbe farci un altro paio di bevute, se capitassi da queste parti ogni tanto. ​»

    « Certamente. Tratto sempre bene i miei clienti. ​»

    Si scambiarono uno sguardo d'intesa, e a seguito di un brindisi ai vecchi tempi, buttarono giù quel che rimaneva del loro tiepido tè.
    Deceduto
    « My friends say I should act my age. ​»
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