Narrato - Parlato - Pensato
[3 Febbraio - Ore 10:30 - Yanaka Cemetery]Non sentiva niente.
Nemmeno la pioggia che cadeva incessantemente da qualche giorno. Né le nenie dedicate a quel corpo che veniva calato nella bara. Né la mano che qualcuno le stringeva.
Calò lo sguardo smeraldino verso la punta dei suoi stivaletti, macchiati dalla fanghiglia e bagnati dalla pioggia che non dava tregua nemmeno in quei istanti. Un corteo silenzioso, tutti vestiti con i colori del lutto ed uniti in quella tragedia. Quei acerbi boccioli di ciliegio, che coloravano il cimitero nei pressi del parco di Ueno, non le erano di conforto. Sembrava quasi che i suoi occhi non riuscissero più a percepire le sfumature del cielo, che tristemente piangeva insieme ai presenti la scomparsa di una giovane vita. Si era stretta a volti amici, senza riuscire più a ritrovare quel calore e quel conforto che cercava. Perché nessuno poteva davvero capire come si sentiva e chi sosteneva di capire stava mentendo. Non c’era fiamma, non c’era fuoco dentro di lei. Sentiva quel vuoto che inghiottiva tutto. Le sembrava quasi di essere trascinata via in quella fossa, insieme alla bara. Incapace di sollevate gli occhi e leggere le lettere incise sulla lapide. Era troppo doloroso.
Eppure sapeva che prima o poi avrebbe dovuto guardare in faccia alla realtà. Seduta accanto a quel letto aveva invocato i Kami e qualsiasi entità esistente per porre fine a quella sofferenza. Aveva bisogno solo di un epilogo, ma in quel preciso istante quando il destino aveva deciso di recidere quel filo si era resa conto che non c’era fine per nessuno. La fine era iniziata quella maledetta notte, quando avevano ritrovato Ryu-kun privo di coscienza. Lì suo fratello era già morto, incapace di tornare indietro. Forse la fine era iniziata ancor prima, quando aveva perso contatti con l’amato fratello. Un silenzio durato per interi anni, una costante ricerca che aveva smembrato la famiglia e la serenità di tutti. Forse la fine era iniziata ancor prima, quando aveva visto lo sguardo del fratello incupirsi e minimizzato quel comportamento come un passeggero malumore. Infondo Ryuko Tanaka, Pro-Hero dell’Endeavor Team, era un giovane talento ed orgoglio di un’intera famiglia. Se solo si fosse accorta di qualcosa, forse avrebbe potuto salvarlo e trattenerlo in qualche modo.
Era un po' come perdere una parte di sé, che nessuno ti avrebbe mai restituito. Inutile disperarsi, imprecare o avercela con il mondo. Nulla sarebbe cambiato. Stinse il manico dell’ombrello fino a farsi sbiancare le nocche. Aveva bisogno di un contatto con la realtà, di qualcosa che la facesse sentire di nuovo viva. Perché sentiva di star sprofondando in quella tomba. Non sentiva la madre piangere. Il fratello chiedersi del perché. O il padre chiudersi nel tipico silenzio di chi pensava di non aveva fatto abbastanza. Una tragedia preannunciata, ma che nessuno era pronto ad affrontare. Nessun medico si era sbilanciato, mai segni di miglioramento. Poi aveva esalato l’ultimo respiro, liberando finalmente l’anima da quel cadavere. Cosa le rimaneva? Solo un cadavere da seppellire.
“C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo.” Non ricordava dove lo avesse letto. Aveva pensato che fosse un pensiero davvero triste, ma ora capiva che davanti a tanti volti rigati di lacrime si sentiva comunque sola. Perché avrebbe dovuto lei elaborare il lutto, accettare che non avrebbe mai più parlato con suo fratello e trovare una ragione per andare avanti. Si rendeva conto di essere vissuta fino a quel momento nell’ombra di Ryu-kun ed ora si ritrovava sola e spaventata a dover affrontare la dura realtà. Si era fatta carico di un sogno non suo, rendere orgoglioso un padre che l’aveva data sempre per scontata e crescere un fratello con l’obbligo di farlo sorridere e mai piangere. Piegata in due dal dolore, non osava soffermare lo sguardo su sua madre. Quella chioma turchese identica alla sua e le lacrime che le avevano scavato il viso. Trovare una ragione per non sprofondare, per non cadere in quella buca.
Qualcuno le stava sfiorando le mani. Anzi una mano ben più grande della sua provava a staccarle le dita dall’ombrello. Era Yumeru, che con dolcezza provava ad afferrare l’ombrello e cingerle le spalle con il braccio. Era così esausta. Aveva smesso di combattere, che si abbandonò alla sua spalla ringraziandolo per quelle premure. Un gesto che non significava nulla, ma un invito a ricordarle che lui era lì per lei. Le bastava voltarsi dall’altra parte per notare il viso dispiaciuto di Tobi e le lacrime di Hamuko. Se dall’uno aveva imparato il valore dell’amicizia dall’altro invece il significato di un sorriso. In quella cupa giornata e tra le vesti del lutto non poteva non spiccare la chioma albina di Sumire. Bella anche nella tristezza, forte come poche. Una vergine di ferro capace d’infonderle coraggio anche senza aprire bocca. Perché in queste situazioni una parola sarebbe stata troppo poco, invece due troppe.
“Io non ne ho bisogno.” Non sapeva se quel cielo fosse opera sua. La tristezza che provava era così forte da far piangere anche il cielo. Nonostante non provasse nulla, nonostante non sapeva con quale forza svegliarsi l’indomani, sapeva di non essere sola. Avrebbe pianto insieme a loro, fino a quando non avesse esaurito anche l’ultima lacrima. Una mesta consolazione, di cui ne avrebbe compreso il prezioso valore solo in un secondo momento. Gli occhi erano ciechi, il cuore era chiuso e le orecchie sorde.
Chiese di rimanere sola dopo la cerimonia funebre.
Finalmente era sola.
Piangere come la pioggia, urlare come il vento e colpire come il tuono.Aveva riposto quell’ombrello sul prato accanto alla lapide. Incurante della veste che s’impregnava d’acqua e di terra, si chinò accanto ad essa. Leggeva a fatica quelle lettere incise. Le deboli mani che sfioravano il freddo e bagnato marmo. Chinò il viso fino a sfiorarlo con la guancia. Una guancia già bagnata dalle lacrime. Non sentiva niente. Era solo una fredda lapide, mentre la pioggia batteva su di lei, sul prato e gli alberi di ciliegio. Bagnata non avvertiva il freddo, nemmeno se lo avesse voluto. Quel dono le impediva di percepire alcunché. Di Ryuko le era rimasto solo un bagaglio di ricordi. Il suo unico timore era quello di dimenticare il suo viso quando la vita sarebbe andata avanti anche per lei. Però le era rimasto un’agenda, trovata tra le sue cose quasi per caso. Segni strani. Impossibile da leggere. Al centro un albero con vigorose radici ed un ossimoro riportato su carta.
Ryuko restava un mistero, così come in vita anche nella morte.
