Club Motociclistico Centauri dell'Inferno

Role per exquisitecorpses e Delin.

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    Y A M I D Ø D S O N

    CLUB MOTOCICLISTICO CENTAURI DELL'INFERNO


    Narrato x Parlato Yami x Pensato Yami


    Mosse lesta il passo verso il ragazzo sconosciuto. A poco più di un metro da lui, piantò il tallone a terra per rallentare l'avanzata. Con uno schiocco di dita, le sue fiamme si diressero verso il corpo dell'avversario. Questa volta obbedirono più velocemente: riusciva a sentire che a ogni secondo che passava il suo controllo sulle lingue di fuoco si affinava, diventava più preciso, meno grezzo. La sua idea era quella di creare uno sbarramento di fuoco alla sinistra del ragazzo elettrico in modo da farlo schivare verso destra e liberarsi la via. Le cose andarono più facilmente del previsto. Lo studente della Yuuei si mosse, lei riuscì a dirigersi alla sua destra tentando di riprendere l'equilibrio con le mani sul cemento. Quando lo superò, sentì il ragazzo complimentarsi, ma non le importava. Portò i capelli alle spalle, in modo da evitare il più possibile di far del male al suo compagno. Steso a fianco all'ormai più morto che vivo Saito, per fortuna aveva ancora addosso la camicia di forza ignifuga.
    Sarebbe stato meglio se fosse stata anche isolante, cazzo. - pensò tra sé e sé, colmando la distanza tra lei e l'altro ragazzo dai capelli bianchi. Lo tirò su in fretta e furia, avvolto nella giacca anti-fiamme. Il capo poggiava sull'interno del suo gomito destro, le gambe penzolavano giù dal braccio sinistro. Alzandolo e muovendosi, sentì un rumore metallico. Voltò lo sguardo velocemente. Il suo kukri era scivolato dalle mani di Ryo, restando sul terreno. Si morse il labbro, stizzita, ma cosa poteva fare? L'occhio passò poi involontariamente sul ragazzo lancia-saette. L'aura luminosa attorno al suo corpo era svanita e rendeva difficile scrutare bene nell'oscurità. Doveva essere un lato positivo, però. Probabilmente non poteva far nulla in quello stato, era al sicuro. Decise di fidarsi del suo istinto e spense i capelli, guardando poi avanti per non voltarsi più. I tacchi degli stivali echeggiavano tra i palazzi che chiudevano quel lungo vicolo. Le spiaceva per il coltello ma doveva aspettarselo, quella che stava portando in braccio era più un'ameba che una persona a quel punto. Sbucò sulla strada illuminata dalla luce fioca di qualche lampione. A qualche metro sulla sinistra, l'insegna di un ristorante. Lì di fronte, varie moto erano parcheggiate in cerchio. I centauri fumavano, urlavano, ci provavano insistentemente con delle ragazze che - onestamente - non saprei dire se fossero lì per interesse o trasgressione. Tutti avevano la stessa, pacchiana giacca in pelle bianca con scritto dietro il nome del gruppo in kanji: Club Motociclistico Centauri dell'Inferno. Tra queste, una moto vuota. Gli uomini non sembravano essersi propriamente accorti della mancanza di Saito o se non altro non ci davano molto peso. Chissà se - una volta scoperto ciò che era successo - si sarebbero dispiaciuti, forse incolpati, o se sarebbero rimasti indifferenti lo stesso. Corse verso la moto dell'uomo, qui poggiò con delicatezza Ryo sulla parte posteriore del sedile. Non era sicura se fosse cosciente o meno in quel momento, ma era visibilmente messo molto male. Non poteva portarlo in un ospedale, si sarebbero posti delle domande e non era proprio il caso. Lei per prima, poi, non poteva permettersi un casino del genere. Ignorò gli altri uomini: erano troppo ubriachi e troppo maschilisti per poter credere che una donna sapesse guidare una moto o per capire cosa stesse succedendo. Oh, piccola curiosità: non sapeva farlo. Improvvisò. Sarebbe stato un viaggio turbolento. Salì in sella e legò le lunghe maniche della camicia di forza al suo ventre. Era il modo migliore per tenere Ryo quantomeno saldo al suo corpo, nel caso non fosse stato sveglio o con abbastanza forze da tenersi da solo. Sperava solo che non avrebbe fatto un bel volo o - viste le sue condizioni - era davvero finita. Tolse il cavalletto con un colpo di tacco e accelerò.

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    Edited by exquisite†corpses - 26/5/2018, 13:43
     
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    Aveva teso la mano in avanti con la mente ancora confusa e aveva inaspettatamente trovato una risposta: il suo angelo non lo fece volare con leggiadria in alto, ma arrivò con ben poca leggerezza e frettolosamente lo prese tra le braccia. Era ancora cosciente ma gli veniva difficile capire le cose, come se il suo cervello fosse andato in cortocircuito, alternando momenti in cui vedeva la scena chiaramente e altri in cui tutto veniva avvolto da una nebbia bianca. Vide Yami prenderlo tra le braccia come il marito alla sposa, offrendogli le proprie gambe per scappare. Protestò debolmente, anche se poteva al massimo muovere gli arti di poco.
    Non dobbiamo scappare! No! No! Era come in uno di quei sogni dove si cerca di urlare, di dire qualcosa alle persone che si incontrano, però tutto ciò che si riesce ad emettere è un suono strozzato, che ti si blocca in gola. Non era completamente incapacitato nel parlare, ma il fatto di trovarsi mezzo svenuto non lo faceva ragionare, gli sembrava di addormentarsi per pochi attimi e poi risvegliarsi ancora più stordito di prima. La ragazza aveva spento i capelli e cominciò ad avviarsi davanti a se, però fermandosi e voltandosi indietro quando sentì qualcosa di metallico cadere. Si chiese cosa poteva essere. Ryo girò la testa cercando di vedere oltre la spalla di Yami, notando che la luce del ragazzo elettrico non c'era più. Perché si fosse arreso non lo capiva, ma continuava ad odiarlo. Sperava che colei che l'aveva preso in braccio si girasse e lo ammazzasse, se lui proprio non poteva. Questa però non lo fece e dopo questa breve pausa corse fino alla fine del vicolo, lasciandosi indietro qualunque cosa avesse perso. Ebbe un altro di quei flash e la testa gli girò per qualche secondo, non vedendo più chiaramente. La nausea la sentiva ancora, ma lo sfogo di prima lo aveva aiutato a non sentire più quell'impellente bisogno di vomitare. Quando riuscì a capire la realtà intorno a se di nuovo vide una marea di giacche bianche, simili a quella che aveva sporcato di sangue quella sera, e diverse moto che emanavano un forte odore di smog e benzina. Poteva sentire anche la puzza dell'alcool, che probabilmente proveniva dagli stessi motociclisti. Gli ricordò quella volta che si era ubriacato una sera, quando ancora stava a casa ed era tornato tardi. Ricordò anche lo sguardo apprensivo dei suoi genitori e i sorrisi di beffa dei suoi fratelli. Memorie cancellate da una nausea ancora più forte, ma doveva resistere. Non poteva certo rimettere sulla sua salvatrice.
    Ancora però non si spiegava perché ancora quella donna lì si ostinasse a volerlo salvare, lo infastidiva che si preoccupasse di una persona come lui. Doveva avere in qualche modo un secondo fine, o forse voleva fargli del male sin dall'inizio. Che volesse rapirlo? Aveva fatto qualche azione che aveva infastidito qualcuno? Non voleva dubitare di lei, ma cominciò un po' a prendergli l'ansia. Nel momento in cui Raul era arrivato, pure lei era pronta lì a salvarlo. Che fosse uno di quei tanti Vigilantes che perlustravano le strade più malfamate di notte? Gli sembrava improbabile, lo avrebbe fermato ben prima. Sentiva gli schiamazzi dei centauri infernali che ci provavano con le ragazze, le risatine acute di queste, suoni di bottiglie rompersi e rotolare sull'asfalto. Avvertiva anche i sobbalzi che la corsa di Yami gli faceva fare, ondeggiando su e giù come delle piccole montagne russe. Improvvisamente però, tra la confusione sonora e visiva, si fermarono e venne appoggiato da qualche parte. Sentì la sua schiena appoggiarsi su uno schienale e aprendo gli occhi, un po' più lucido, vide che erano su una moto.
    Che cosa... Vide la ragazza appoggiarsi sul posto di guida della vettura, facendola sobbalzare leggermente. Ryo aveva i piedi appoggiati nei posti appositi accanto alle ruote e vicino la marmitta. La giacca nera che prima gli aveva dato ora fungeva da sostegno per tenerlo fermo e anche se il bisogno era minimo, non poteva affidarsi alle sue mani tremolanti in quel momento.
    A proposito di mani... Notò con gran dispiacere che erano vuote, senza il coltello di Yami in mano, quella preziosa arma che lei gli aveva affidato. Oh no...
    Era sinceramente afflitto dall'aver perso il cimelio della sua compagna, una lama che sembrava veramente pregiata anche ai suoi occhi profani. Si chiedeva dove la avesse potuta perdere, forse in uno di quei momenti di perdizione corporea. Era rimasta nel vicolo e probabilmente qualcuno la avrebbe raccolta. Stava per dire un debole "Mi dispiace", quando vide la sua compagna mettere le mani indecise sui manubri, togliere il cavalletto che bloccava il movimento ed accelerare di colpo. Sentì l'aria in faccia all'improvviso, accompagnata da uno strattone.
    Ma questa sa guidare?! Ryo sperava che avesse preso quella moto ma che avesse la patente o almeno la capacità di usarla. La giacca lo aveva protetto dal cadere ma si aggrappò alle spalle di Yami, come fanno tutti i passeggeri che salgono per la prima volta sulle due ruote. Si chiedeva dove quella donna avesse intenzione di portarlo e soprattutto se non volesse schiantarsi, perché sembrava aver intenzione di andare veloce.
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    Ho modificato il post precedente perchè come ogni volta non avevo modificato il titolo nel layout :asd:











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    Notò una leggera pressione sul suo corpo. Il ragazzo sembrava ancora cosciente e sembrava stesse cercando di aggrapparsi a lei. Diede il colpo col tacco al cavalletto, le mani sui manubri.
    Tieniti forte, Ryo. - sussurrò, per poi partire e sgusciare via da quella banda di motociclisti. Non sapeva guidare, l'aveva visto in qualche film, stava improvvisando. Alla fine non poteva essere tanto più difficile che andare in bicicletta, no? Non aveva neppure la patente per l'auto, ma quella vita le aveva insegnato ad adattarsi. Girò a sinistra all'incrocio dopo e poi di nuovo a sinistra. Mentre cercava di tenere la strada, un'ambulanza con luci e sirene accese le sfrecciò a fianco: probabilmente stava andando a occuparsi di Saito e della ragazza che era con lui. Riportando gli occhi sull'asfalto, si chiese se il ragazzo elettrico fosse rimasto lì ad aspettare i soccorsi o se ne fosse andato. Aveva fatto un grosso errore di giudizio: pensava di trovarsi un eroe sotto gli occhi, ma il suo comportamento l'aveva portata a pensarla diversamente. La aveva incolpata di aver interferito con la sua mira facendogli perdere l'equilibrio con le sue fiamme, ma la verità era che nessun eroe sano di mente avrebbe comunque sparato un fulmine in direzione di un ostaggio innocente o perlomeno - fino a prova contraria - presunto tale. Non era ora però il momento di pensarci. A parte qualche frenata un po' brusca e qualche curva non troppo perfetta, il viaggio fu tutto sommato tranquillo e - a quell'ora - lontano da occhi indiscreti.
    Dopo una mezz'oretta di tragitto, la moto si fermò. Se ancora cosciente, Ryo avrebbe potuto notare una serie di villette a schiera in periferia. Di giorno, in lontananza era pure possibile intravedere del verde. Mise giù il cavalletto nuovamente con un colpo di tacco degli stivali e si guardò intorno, sperando di non essere osservata dai vicini. Negativo, tutti sembravano riposare. Slacciò le maniche della giacca in modo da liberarsi, si alzò e riprese il ragazzo in braccio, dirigendosi verso la sua abitazione. Non era una buona idea tenere quella moto lì: tra ciò che era successo a Saito e il furto della moto, fare due più due non era troppo difficile. Ora c'erano un sacco di testimoni e i capelli bianchi non sono così comuni in Giappone. Avrebbe dovuto liberarsene in prima possibile. Saltò il muretto di ingresso col ragazzo in braccio, mettendosi poi sul breve percorso sterrato verso la porta. Qui, allungando la mano e cercando di non far cadere Ryo, prese la chiave che teneva nascosta nel suo solito posto e la infilò nella toppa. Salì il gradino d'ingresso senza togliersi gli stivali: non c'era tempo.
    Di fronte al soggiorno, girò a sinistra. Portò il ragazzo nella camera di suo fratello, tanto ormai era vuota. Una sorta di stanza degli ospiti per una ragazza che non ne riceveva mai. Aprì la porta con le spalle e poggiò con attenzione il corpo del ragazzo dai capelli bianchi e la pelle scura sul materasso, per poi controllare le sue condizioni.
    Ehi, Ryo... - sussurrò, spostando i capelli dalla sua fronte con la mano destra per guardarlo meglio - Tutto bene? - chiese a bassa voce, cercando di non disturbarlo. Accese l'abat-jour sul comodino per illuminare la stanza ma non infastidirlo con troppa luce.
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    Gli disse di tenersi forte, come in quei film di azione dove il protagonista avvisa la sua donna che il viaggio sarà un po' movimentato. Ed effettivamente Yami guidava come se avesse imparato guardando film. In quel caso era lui la donna che si teneva forte, prima alle sue spalle per poi aggrapparsi ai fianchi cercando di non avere troppo contatto con il corpo della guidatrice. Dopo un paio di svolte sentì una sirena avvicinarsi sempre di più nella loro direzione, facendogli pensare di essere inseguiti. Alla fine però si rivelò essere un'ambulanza che sfrecciò nella direzione opposta alla loro. Probabilmente stava andando dove Saito si trovava in quel momento. Lo aveva visto per l'ultima volta a terra nel vicolo e non si era nemmeno girato per vedere come stasse.
    Probabilmente sarà morto. Un vero peccato... Voleva porre delle domande a Yami, ad esempio dove se ne stessero andando e chi fosse ma il rombo della moto e il fatto che se ne stava completamente irrigidito per la paura di cadere lo trattennero dal parlare. Si sentiva strano con l'aria che gli scompigliava i capelli e aveva le mani incollate ai vestiti della conducente. Si sentiva impotente e allo stesso tempo esposto, era come se fosse stato rapito senza essere legato, ma non poteva muoversi per il dolore e il nervoso di essere arrestato. Era con gli occhi che si guardavano nervosamente intorno ogni volta che giravano, per paura di trovarci la polizia ad aspettarli e gli cascava il cuore ogni volta che frenavano. Perlomeno si sentiva meglio riguardo agli svenimenti, anche se aveva ancora il corpo intorpidito. Ryo si preoccupò di non poter usare più gli arti come prima, chiedendosi se l'elettroshock fosse stato troppo forte e se gli avesse scompigliato il cervello o i nervi. Nonostante la durata del viaggio si avvicinasse alla mezz'ora, il tempo passò molto velocemente per il ragazzo, complice la sensazione nuova che la moto gli dava e il fatto che non ci fosse traffico a quell'ora. Si chiedeva che ora potesse essere, forse erano persino le tre di notte. Uscirono dalla zona più degradata e si addentrarono appena fuori dal centro, dove una serie di ville disposte come in un vicinato americano erano allineate come soldati in marcia. Il boato della moto echeggiava nella strada vuota e completamente deserta, gli scoppi della marmitta truccata che si diffondevano nell'aria e nell'asfalto. Yami saltò giù dalla moto slegandosi dalla presa della sua giacca, anche se non serviva più. Provò a scendere lui stesso dalla vettura, ignorando la volontà di Yami di prenderlo tra le sue braccia, ma appoggiando i piedi sul terreno per poco non perse l'equilibrio rischiando di cadere rovinosamente a terra, salvandosi agli ultimi istanti appoggiandosi al sellino. Decise quindi di accettare l'aiuto della sua compagna che lo riprese in braccio come prima, cosa che ora che era lucido lo metteva in imbarazzo. In primis perché la stava mettendo in difficoltà ad aprire la porta e si sentiva letteralmente un peso e poi perché farsi scortare da una ragazza in casa sua era...strano, di quelle sensazioni che ti aggrovigliano la pancia dall'ansia.
    Vide brevemente l'ingresso di quella che sembrava la casa di Yami. Questa accese velocemente le luci, cosa che gli fece strizzare gli occhi per qualche istante, per poi dirigersi velocemente verso un corridoio che dava su un'altra camera. Sembrava piuttosto ricca per essere una tizia che se andava a spiare persone dei quartieri malfamati. Forse si guadagnava da vivere così. La stanza dove lo portò sembrava essere stata usata recentemente, ma era tutto così in ordine che Ryo dubitò che qualcuno ci abitasse regolarmente. O almeno poteva vedere ciò dalla penombra che la poca luce offriva. La ragazza lo appoggiò sul letto e lui poté trovare almeno un po' di sollievo dal dolore alle gambe, anche se sentiva un forte dolore provenire dalla zona dell'osso sacro, più precisamente dove la pelle veniva forata dalla coda. Non si sdraiò completamente, preferendo restare appoggiato sul muro cercando di non appoggiarsi troppo sul fondoschiena. Yami si avvicinò nuovamente accendendo una lampada situata sul comodino accanto al letto, muovendosi nella sua direzione e, cosa che gli sembrò strana, gli spostò i capelli dalla fronte sudata. Gli chiese se andasse tutto bene, pronunciando un'altra volta il suo nome.
    Uh... Come si sentiva? Gli facevano sicuramente male tutti i muscoli del corpo, come se glie li avessero stirati tutti insieme. Aveva ancora malditesta ma la nausea gli era passata almeno. Ciò che gli faceva più male era il punto di collegamento della coda con la pelle, che probabilmente era il punto dove l'elettricità aveva scaricato di più. Si toccò dalla giacca poco sopra l'osso sacro e sentì che qualcosa nella consistenza della cute non andava, era come se avesse una crosta che si era seccata, sentiva la durezza delle piastrine pungergli la ferita.
    In qualche modo bene, credo. Mi fa un po' male il culo... Gli rispose d'istinto, senza troppi giri di parole. Ora la questione principale era un'altra.
    Grazie di avermi tirato fuori da quel casino, ma vorrei capire cosa ci facevi lì in quel vicolo e soprattutto perché mi hai portato in casa tua. Sai, con tutti i maniaci che ci sono in giro... Fece una corta risata che probabilmente era troppo finta per essere credibile. Forse non erano le domande giuste. Non gli aveva nemmeno chiesto il nome, di sicuro che non glie lo avrebbe mai rivelato, soprattutto se lavorava per qualcun'altro. Certamente non gli avrebbe detto dei motivi della sua presenza, però valeva la pena provare. Forse lo aveva scambiato per un suo fratello disperso, come accade nei reality show in televisione? Ci pensò su un attimo, ma probabilmente quello che li differenziava era maggiore di quello che li accumunava.
    Mi hai portato via di lì per quale motivo? Non c'era bisogno di salvare un criminale come me. Potevo morire come spazzatura e non sarebbe importato a nessuno. Cambiò giro di domande, citando in parte ciò che gli aveva detto Raul. Il tono della sua voce era incuriosito, ma anche preoccupato nel realizzare che probabilmente quell'eroe lo avrebbe denunciato. O forse no? Alla fine neanche lui si era comportato in modo esemplare. Era nella loro stessa posizione, cosa che fece sollevare Ryo anche se solo in parte. Le aveva posto quei quesiti con calma, ma dentro di se si chiedeva con chi diavolo avesse a che fare.


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    La fronte di Ryo era calda e sudata, lo percepì spostando i capelli dalla sua fronte. Non era proprio ferrata in medicina, ma di sicuro non doveva essere un buon segno. Eppure quel ragazzo sembrava avere una resistenza straordinaria. Anche poco prima, mentre stava cercando di rendere stabile la moto, aveva provato ad alzarsi da solo nonostante non ne fosse palesemente in grado. Certamente sembrava un tipo poco disposto ad arrendersi.
    Erano nella vecchia camera di Yama. Il ragazzo era steso sul suo materasso. Gli occhi erano lucidi e socchiusi ma sembrava comunque cosciente. Borbottò qualcosa prima di riuscire a mettere insieme una frase con senso. A suo dire stava relativamente bene, l'unico dolore che effettivamente lamentava era al culo. La coda era sparita, molto probabilmente era frutto di un qualche tipo di transformation quirk. In un certo senso lo capiva. Quando Yama combatteva, non si faceva alcuno scrupolo nel subire danni, ma quelli ricadevano sempre su di lei. Si ricordò di quando svenne di fronte a Yuya - arrossendo leggermente - perchè suo fratello si era fatto infilare una motosega in petto da Sajin. Sajin, già. Quella situazione le era stranamente familiare. Le ricordava quando aveva investito Fireflower ed era fuggita con Roy e Sajin, bruciato come un pezzo d'asfalto che era stato troppo sulla griglia. Le somiglianze erano troppe a dire il vero, quasi da rendere il tutto inquietante. Uno bruciato e l'altro folgorato, entrambi sul suo letto, ma soprattutto entrambi sembravano non avere la minima idea di cosa significasse la parola resa, forse per coraggio, forse per onore, probabilmente per stupidità. Tutte quelle persone che non aveva mai più visto, un vero spreco. Aveva lasciato una vita al Soseiji, ora ne aveva una nuova.
    Il ragazzo non sembrava voler perder tempo però, anche se non era sicura se fosse l'elettricità a parlare per lui o meno. La ringraziò per l'aiuto, ma non senza una nota di sospetto, e poi rise. Circa. Yami si sedette sul letto a fianco a lui e si spostò leggermente i capelli dalla fronte, passando le dita sulla ciocca mozzata da Raul. Col nuovo potere - a detta di Orochimaru - sarebbero cresciuti in fretta. Ora comunque non le importava, aveva altro a cui pensare.
    Umh, niente. - sorrise col volto verso il ragazzo e gli occhi chiusi, declinando il suo ringraziamento. D'altro canto non lo aveva fatto per piacere o bontà d'animo. E, questo, Ryo sembrava averlo intuito. Le chiese ora direttamente per quale motivo l'aveva salvata. A dire il vero erano domande a cui era difficile dare una buona risposta. Quello era un lavoro in cui - solitamente - lo scopo era proprio non farsi beccare da quelli che stai seguendo. Oltre a ciò, Orochimaru era solito indicare col dito la persona, ma non spiegare perchè la stava puntando. Da questo punto di vista la conoscenza di Yami dei suoi piani era molto ristretta, ma finchè la paga era decente non le importava un granchè. Sorrise al ragazzo, alzandosi e strofinando le mani sulle gambe - Aspettami qui, ok? Beh, ammesso che tu riesca ancora a muoverti... - ridacchiò, andando verso la porta. La chiuse dietro di sé. Non aveva problemi a lasciare il ragazzo solo nella camera, non c'era un granchè. Il comodino, la lampada, il letto. Un armadio, certo, ma anche avesse avuto il tempo di alzarsi e barcollare fin lì per aprirlo per chissà quale motivo, ne sarebbe rimasto molto deluso: era vuoto. Si mosse per il corridoio, oltrepassando il soggiorno, e giunse in cucina. Prese il telefono dalla fruttiera. Per qualche motivo che non riusciva a spiegarsi, conservava ancora quello di Yama. Era ancora lì, non era mai stato usato. Tornò in camera, sperando di trovare il ragazzo ancora lì.
    Le dita scivolarono su un'app di messaggistica molto nota. L'ultimo messaggio era di Yuya, non aveva molte altre persone con cui parlare. Zoommò sulla foto con l'indice sinistro, per poi mostrarla a Ryo. Mostrargli una persona conosciuta era probabilmente il modo migliore per rassicurarlo in quella situazione, e forse anche la migliore per evitare domande più sensibili.
    Lo conosci, giusto? - chiese, retorica. Non fece il nome di Yuya, non era sicura si fosse presentato così, come Kuroo, se avesse usato un altro nome o non si fosse presentato per nulla - L'altro giorno avete svolto quel lavoro alla U.S.J, lavoro per... L'uomo che vi ha voluti per quel lavoro. - bloccò il telefono, appoggiandolo poi sul letto - Il mio capo vorrebbe che non vi cacciaste nei guai, quindi... - sospirò - Beh, tu sembri avere un'inclinazione naturale a farlo, Ryo.
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    La padrona di casa si era messa sul letto dopo avergli tolto i capelli dal viso, tenendo una certa distanza che a Ryo non fece dispiacere. Quella scrutava oltre che lui anche la stanza e sembrava pensierosa, quasi malinconica nello sguardo. Forse era una stanza dove prima abitava qualcuno in particolare? Non lo poteva veramente sapere e non ci teneva a chiederlo alla ragazza infuocata. Questa aveva accettato con una certa rimostranza il suo ringraziamento e non reagì molto alla sua terribile battuta. La cosa che però lo premeva di più non ebbe risposta e anzi Yami rimase in silenzio, per poi decidere di alzarsi dal letto all'improvviso. Gli aveva raccomandato di restarsene lì, come se potesse andarsene da qualche parte, uscendo ridacchiando dalla porta che chiuse dietro di se. Se avesse potuto se ne sarebbe già andato, non tanto perché quella tizia non gli stesse simpatica, perlopiù perché si sentiva a disagio in quella situazione. Gli sembrava di essere in ospedale ed aspettare l'infermiera che si occupava di controllarlo periodicamente, spuntando da un buio corridoio. Guardò un pochino meglio la stanza dove si trovava. Era come già detto tristemente vuota. I muri erano dipinti di bianco, colorati dalla calda luce arancione della lampada. Il pavimento, osservò guardando un poco oltre il letto, era in parquet. Sembrava arredata come una di quelle case che spuntano dal nulla in strade nuove. Si chiedeva da quanto fosse innocuppata, nonostante il letto ancora fatto potesse dimostrare il contrario. Non c'erano molti punti di interesse, era completamente diversa dalla sua vecchia camera di casa sua. Si ricordò i muri stretti che erano bianchi come quelli, il letto attaccato al muro e la piccola televisione che era posizionata lì davanti e con cui passava le giornate. Non gli venne nostalgia, provava un forte rifiuto per quei giorni.
    Tralasciati i ricordi, notando che Yami non tornava subito, decise quantomeno di capire cosa avesse provocato la scossa lì dietro. Si tolse il cappotto grigio e lo ripiegò grossonalamente su se stesso, notando che la parte posteriore si era sporcata tutta di terra. Decise quindi di non metterlo sul letto, per evitare di sporcare.
    Anche se effettivamente sono appoggiato con le scarpe... Sotto quell'indumento aveva una maglietta nera a maniche corte, rivelando le sue magre braccia scure. Con un po' di fatica si mise sul bordo del letto, cercando di non strisciare troppo i talloni sulle lenzuola, e alzò la maglietta fino alla cassa toracica per provare a vedere se la portata di quella ferita era così grave come aveva tastato da sopra l'abito pesante. Con una piccola torsione poteva vedere appena un segno nero spuntare dai pantaloni, che poteva sentire fino all'osso sacro. Sembrava una crosta che era stata tolta troppo presto, il rosso della carne viva si poteva intravedere tra le crepe della pelle bruciata.
    Cazzo... Non sapeva quanto fosse grave in realtà, forse era solo una ferita superficiale. O almeno sperava che lo fosse. Fece in tempo a tirarsi giù di nuovo la maglietta che Yami fece di nuovo ingresso dentro la stanza. Sperò che non sembrasse che se ne volesse andare. Era di nuovo lì con il telefono in mano questa volta, molto più moderno del suo ovviamente. Gli si avvicinò mostrandogli una foto di una persona che all'inizio non gli disse niente, ma che riconobbe poco dopo. Era quello che aveva conosciuto diverso tempo fa al fight club dove aveva incontrato Saito e per cui aveva lavorato una volta, infilitrandosi all'interno della U.A per iniettare una sostanza strana ad uno studente. Quando Yami gli chiese se lo conoscesse, lui fece di sì con la testa. La cosa che lo interessò di più però era scoprire che quella che aveva davanti aveva lavorato per la stessa persona per cui aveva lavorato lui, anche se inconsapevolmente. A quanto pare però questa misteriosa figura non aveva smesso di seguirlo, forse per prudenza.
    Uh...ho capito. Non voleva che si cacciasse nei guai? Come aveva detto Yami, lui i guai se li cercava spesso. Quell'inclinazione naturale era un'ossessione pericolosa. Oh no, non cerco guai. E' come cercare l'amore invece. Pensi tantissimo ad una persona finché non è tra le tue braccia. Ryo gli sorrise come se stesse dicendo la cosa più naturale del mondo, come se parlasse dell'amore vero. Non era sicuro che Yami potesse capirlo. Beh, penso sia più complicato di così...Comunque, qual è il piano? Ci viene a trovare il tuo amico? Disse indicando il telefono ormai spento. Si passo una mano sulla fronte e si accorse che oltre ad essere sudato, era più caldo del solito, anche se non si sentiva molto febricitante. C'era bisogno di un dottore?


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    Edited by Dëlin - 27/5/2018, 23:25
     
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    Scusa il post corto ma non c'era molto da dire :asd:











    Y A M I D Ø D S O N

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    Quando mise nuovamente piede in camera, notò che il ragazzo si era tolto il cappotto. Magari aveva caldo oppure si sentiva appesantito. In ogni caso, non le importava più di tanto. Chiuse la porta alle sue spalle e gli mostrò la foto di Yuya come era sua intenzione. Alla visione dell'immagine, Ryo annuì. Forse richiedere degli sforzi di memoria non era una delle cose più intelligenti da fare ad un ragazzo che aveva fondamentalmente appena subito quello che poteva essere un elettroshock, ma sul momento non ci pensò. Si sedette quindi ai piedi del letto, facendo attenzione a non dargli fastidio. I due erano ora seduti uno a fianco all'altra: Yami era seriamente stupita di quanta forza avesse ancora il ragazzo dalla pelle olivastra per riuscire quasi a reggersi in piedi. Il ragazzo coi capelli bianchi iniziò a spiegare che - secondo lui - non si cacciava nei guai. Complice forse l'elettricità in corpo o la temperatura alta, iniziò a farfugliare qualcosa sul cercare l'amore, sull'avere nella tua mente il pensiero fisso di una persona finchè questa non si trova finalmente vicino a te. Non capiva cosa potesse c'entrare in quel momento e l'argomento le fece mettere in dubbio le condizioni psicofisiche del ragazzo, ma non poté far altro che arrossire. Capelli neri, sguardo affascinante. Nella sua mente - udendo quelle parole - si delineò perfettamente il volto di Yuya. Scosse la testa per scacciare l'immagine.
    O-ok...? - sussurrò non capendo. Riflettendoci poi però, tutto le sembrò più chiaro. Aveva seguito per giorni quel motociclista, non gli aveva staccato gli occhi di dosso un attimo. Gli aveva mostrato un astio possibile solo verso una persona che conosci bene, davvero bene. Per l'adrenalina di tutto ciò che era successo, se ne era dimenticata. Ora l'immagine però era nuovamente viva nella sua testa. Si chiedeva cosa fosse successo tra i due ragazzi, chissà quale tipo di malsana relazione c'era stata. In un certo senso poteva capirlo, lontanamente, visto il rapporto con suo fratello. Eppure ora non sembrava il momento giusto per parlarne, soprattutto visto che da come ne parlava sembrava davvero innamorato del ragazzo dalla giacca bianca - Mi... - sussurrò, tremando, con le mani poggiate sulle cosce - Mi spiace per il tuo... Mi spiace per il tuo ragazzo. - inclinò poi il volto, guardandolo negli occhi - Quel tizio era fottutamente pazzo. Non ho la minima idea di cosa volesse. - scosse la testa, ascoltando Ryo.
    Umh... - borbottò quando il ragazzo chiese quale fosse il piano - No, non... - sorrise dopo che Ryo chiese se ora avrebbe chiamato Yuya - Non è una persona così disponibile in realtà... - prese il telefono dal letto e lo strinse tra le mani - Beh, il mio capo è un medico. Uno molto bravo anche. Pensavo di chiamare lui... - concluse, iniziando a scrollare la rubrica alla ricerca di una Jenny che potesse fare al caso loro.
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    Alle sue parole la donna reagì in modo strano, prima di tutto distogliendo lo sguardo e arrossendo visibilmente. Qual era il motivo di questa reazione? Le persone arrossiscono quando si parla di amore? Era una cosa che Ryo non capiva bene, anche se era evidente che se parlava di amore, gli piaceva qualcuno. Forse lei poteva capirlo? Era ancora in dubbio su ciò. La seconda cosa che lo fece preoccupare erano le parole consolatrici che lei gli offrì, come se stesse cercando di riparare un cuore spezzato da brava sorella maggiore. Ryo si ricordò che già all'inizio aveva frainteso, pensando che lui e Saito fossero legati in qualche modo profondo, che fossero fidanzati in qualche modo. Sinceramente non aveva mai pensato all'amore sul serio. Non provava niente nel pensare di baciare qualcuno, non aveva mai desiderato qualcuno che non volesse uccidere e le donne non lo attraevano, così come gli uomini. Per lui erano tutti pupazzi da rompere e svuotare dell'imbottitura, l'amore disinteressato e dove ci si dava per l'amante lo disgustava.
    Oh? Saito non era il mio ragazzo, Fuocherella. Gli disse ricambiando lo sguardo e accenando un sorriso a Yami. Era solo un divertimento per me. Ne troverò un altro. Si guardò le gambe e le mani appoggiate, anche se i pantaloni non davano risposte o conforto. Le parole della ragazza su Raul gli fecero tornare nel cuore la rabbia, che però doveva essere contenuta per non contribuire a mal di testa ed aritmia, il battito del cuore così veloce che lo poteva sentire saltare nella magra cassa toracica. Gli aveva tirato due fulmini senza pentirsene e forse aveva ucciso Saito, magari pensando di aver fatto un bel lavoro. Sarà stato uno di quei pazzi che pensano che la loro "giustizia" valga qualcosa, come se potessero cambiare le regole di questo mondo spazzatura. Lo dichiarò con aria amareggiata. Della società a lui non glie ne fregava niente.
    Ryo si portò una mano sulla scapola sinistra, che sentiva indolenzita e dolente a causa della caduta di prima, sussultando un poco. Non aveva ricevuto molte risposte, però almeno la ragazza si era decisa a dirgli le sue intenzioni. Non voleva chiamare Yuya, che a quanto pare sembrava essere una persona molto occupata. Voleva chiamare un dottore? Era davvero necessario? Era stupito a quanto potesse arrivare Yami per aiutarlo. Forse si sentiva in colpa per non averlo protetto? Avrebbe voluto anche solo potuto dormire, però voleva evitare di doversi occupare di una brutta ferita infetta sulla schiena. Non era un medico, però forse la scossa aveva alterato qualche funzione vitale. Il cuore gli batteva forte da un po' e il mal di testa gli picchiava ancora il cranio. Le gambe non avevano ancora riacquistato completamente la loro mobilità e Ryo temeva un danno ai muscoli. Forse per una volta doveva fidarsi.
    Uhm...ok. Chiamalo pure, se non ti costa niente. Il dubbio trasparì dalle sue parole. Mentre guardava la ragazza prendere il telefono, decise almeno di porgli un'ultima domanda. Senti...qual è il tuo nome? Tu il mio lo conosci. Non vorrei chiamarti Fuocherella per tutta la serata, sinceramente. Sorrise nuovamente, questa volta in modo più sincero. Si sentiva strano a chiamarla indirettamente od usare quello strano soprannome, nonostante fosse più che azzeccato. Non era sicuro che quella che lavorava per un misterioso tizio volesse rivelargli il suo vero nome. Però se non me lo vuoi dire lo capisco...fai tu.

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    Aveva gli occhi sul cellulare mentre il ragazzo seduto sul letto di suo fratello stava proseguendo a parlare. Chiamandola nuovamente con quel buffo soprannome, disse che il ragazzo di poco prima - Saito pareva chiamarsi - non era il suo ragazzo ma solo un divertimento. Lo guardò di sfuggita con la coda dell'occhio. Lei non era così. Non aveva mai amato nessuno a dire il vero, ma sentiva di non essere la persona in grado di accettare una relazione - fisica o emotiva - solo per convenienza o per divertimento. Aveva vissuto tutta la vita sola, escludendo suo fratello, e per poter accettare qualcuno al suo fianco... Beh, quella persona doveva davvero essere qualcuno di importante. Sorrise comunque alle sue parole, fingendo di capire ciò che intendeva. Riferendosi poi al ragazzo elettrico che aveva interferito coi loro piani, si mise a parlare di giustizia e cose così. Anche queste parole le erano perlopiù oscure. Ryo, il ragazzo dai capelli bianchi, non aveva un minimo concetto di giustizia, nella sua testa? Le sembrava naturale pensare che chiunque avesse un'idea di cosa fosse "giusto" e agisse per assecondarla. Ed era per quello che esistevano le leggi. Per decidere ciò che è giusto per la maggior parte delle persone. Un concetto di giusto, poi, che spesso era contrario a ciò che sentivano... quelli come loro. Mentre il ragazzo con la coda da scorpione si toccava faticosamente una scapola, Yami era stupita della povertà di quella rubrica. C'era il numero di Orochimaru ma le pareva improponibile contattarlo solo per quello. C'era una Jenny per il cibo, l'aveva chiamata spesso quando non aveva voglia di cucinare. Una Jenny per le armi che non aveva mai contattato, le bastava il suo kukri. Perso. Si morse il labbro e scosse la testa per non pensarci. Una Jenny per il trasporto - la prima che aveva conosciuto - e una Jenny per le pulizie. Mille numeri, ma nessuno utile in quella situazione. Decise di chiamarne una a caso e spiegare la situazione: probabilmente non si aspettavano la necessità di curare un ragazzino dai capelli bianchi attaccato da un tizio che spara fulmini. Aveva già preso la sua decisione quando Ryo le chiese il suo nome. Lo fermò con un cenno della mano destra, mentre con la sinistra portava il telefono all'orecchio e si alzava dal letto. Si diresse verso la porta, ma non uscì dalla stanza. Dopo qualche secondo, l'autista rispose. Era quella con cui aveva più confidenza, aveva deciso di chiamare lei.
    Jenny, sono Yami. - disse a voce contenuta al telefono - No, non ho bisogno di un passaggio, ho bisogno di un favore... - attese qualche secondo - Stavo... Seguendo Ryo Tatsuki, è stato attaccato da un qualche tizio... - proseguì gesticolando con la mano libera - No, io tutto ok. Sì, è cosciente, ma... - si voltò a guardarlo - Ha... Delle ustioni, credo? E' stato colpito da un fulmine. Se potessi... - si fermò - Sì, se potessi venirlo a prendere o mandare qualcuno... - parlando, continuava a girare in tondo nella camera - Sì, grazie. Siamo a casa.
    Chiuse la chiamata e si avvicinò al letto, sorridendo prima di sedersi.
    Tutto bene - sorrise la ragazza, guardando Ryo e attendendo qualche secondo - Oh, sì, dicevamo... Il mio nome. - si grattò la fronte ridacchiando. In effetti la prospettiva di essere chiamata fuocherella non era delle più allettanti. Era un nome strano, più che altro perchè aveva quel potere da molto poco. Non era abituata neanche a sentirsi in quel modo o a guardarsi lo specchio, figuriamoci ad avere un nome legato a quei capelli.
    Non è che importi molto, il mio nome è Yami Dodson. - sorrise, posando nuovamente il telefono sul letto - Magari l'hai già sentito, se te lo ricordi, umh... - si grattò il mento - Sono finita per un po' al telegiornale qualche anno fa quando... Umh... Io e mio fratello abbiamo ucciso i nostri genitori? - ridacchiò, accarezzandosi la testa con la mano sinistra. Era una situazione un po' imbarazzante per quanto difficile da spiegare. Probabilmente era la prima persona al mondo ad aver "cambiato" unicità in qualche modo, ed era comunque difficile trovare un modo per spiegare il fatto che suo fratello fosse... il suo quirk. Chi lo aveva visto, poteva capirlo. Agli altri - forse - sarebbe risultato già più difficile. Quel Ryo... non sembrava male, dopotutto.
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    Gli sorrise quando parlò di Saito, forse intuendo qualcosa o capendo il suo discorso. La ragazza continuava a scorrere lo schermo del suo cellulare e invece di rispondergli, gli fece segno di attendere portando il telefono all'orecchio. Aveva chiamato una certa Jenny e gli raccontò brevemente delle sue condizioni con frasi brevi e coincise, rivelando inavvertitamente il suo nome mentre parlava. Yami...un nome non molto comune al dir del vero ma non si mise a commentarlo, aspettando a labba serrate che finisse quella conversazione che gli ricordò come lei conoscesse la sua identità. Non aveva capito molto bene chi sarebbe arrivato e quando, ma doveva essere qualcuno amica della ragazza se poteva chiamarla a quell'ora. Yami si girò nuovamente verso di lui e senza problemi gli disse il suo nome, pronunciando poi un cognome strano che aveva un'aria sconosciuta e straniera. Forse aveva delle origine estere, anche perché i suoi lineamenti erano decisamente diversi dai suoi e dalla maggior parte delle persone che aveva incontrato. Sembrava piuttosto tranquilla a dirgli il nome, però cominciò un altro discorso che invece le fece fare una smorfia di quel che a Ryo sembrò imbarazzo. Gli disse che probabilmente aveva già sentito lei e suo fratello, poiché erano finiti sul notiziario per aver ucciso i propri genitori. Aggrottò le soppracciglia non tanto per lo stupore o per il disgusto ma perché non si immaginava proprio che Yami potesse farlo, forse perché la aveva conosciuta come sua protrettrice. Come quando si ha una buona prima impressione delle persone e ci viene difficile pensare che abbiano dei difetti, Ryo non aveva nella mente una giovane Yami che potesse fare una cosa del genere. Pure lui ci aveva pensato più volte a farlo, anche perché sapeva benissimo gli spostamenti della sua famiglia. Però per lui era l'unico limite che non era riuscito a superare, l'unica perversione che non era mai riuscito a portare a fondo. La faccia dei suoi genitori e dei suoi fratelli lo malediva ogni volta che provava odio nei loro confronti, eppure gli tremavano le mani quando pensava di fare una cosa del genere. Una debolezza stupida, un sassolino nella scarpa e forse l'unica emozione che riusciva a provare autonomamente.
    Oh...quindi hai un fratello? Fu l'unico argomento che gli veniva in mente senza dover scavare nei ricordi di entrambi, voleva evitare quella discussione. Forse il letto dove stava seduto in quel momento apparteneva al consanguineo di Yami. Le immagini dei suoi fratelli gli passarono nella mente un'altra volta. Pure io ne ho, due per la precisione più grandi di me. Però è un po' che non li vedo... Ryo copiò il gesto precedente di Yami, portando la mano destra tra i capelli bianchi tentando un sorriso. Yami aveva ucciso i suoi genitori e Ryo bramava di poter chiedere come fosse stato. Aveva provato rimorso dopo? O li avevano uccisi a sangue freddo? Probabilmente quella non era la casa della ragazza allora, o almeno non la credeva così perversa da poter vivere nello stesso luogo dove aveva tolto la vita ai due. Non era spaventato dalla donna ma affascinato, forse erano più simili di quanto credeva. Era in grado di uccidere tranquillamente e lo faceva sentire come se i due condividessero qualcosa, come due amici coinvolti in attività illecite. Era decisamente una tipa che sapeva il fatto suo.
    Sinceramente non sapeva molto di cosa parlare mentre aspettavano quella Jenny, anche perché l'unica domanda che voleva porgli era perché li avesse uccisi. La sua mente decise però che non era il caso, probabilmente lo avrebbe visto come un maniaco ancora di più se le avesse chiesto una cosa del genere.
    Non credo di averti mai sentito al telegiornale, neanche a tuo fratello. Gli confessò arricciandosi i capelli con le dita. Forse aveva letto di un caso del genere, ma si perdeva nelle memorie di anni fa tra numerosi crimini che accadevano ogni giorno. Però...mi sembri piuttosto normale e anche gentile, se mi hai salvato, anche se era per lavoro. Era piuttosto imbarazzato dalle sue parole e si riportò la mano tra i capelli, cercando di sorridere veramente questa volta. Queste parole erano un miscuglio tra la sincerità, non voler restare in silenzio, il voler evitare di premere su un tasto dolente e la voglia matta che aveva di sentire la sua storia.

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    Probabilmente non ci sarebbe voluto molto per l'arrivo di un dottore o qualcosa di simile. Riattaccò il telefono e si sedette sul letto, per parlare col ragazzo. Era passato qualche anno ormai e parlava di quella storia con leggerezza, senza pensare a come si sarebbero sentiti i suoi interlocutori. Alla fin fine l'aveva presa come un'opportunità. Se non fosse successo, ora non sarebbe stata ciò che era. Non riusciva a isolare la sua vita da quell'evento, per cui aveva imparato ad accettarlo e basta. Se fosse stata una sua decisione, non lo avrebbe fatto. Ma forse esisteva un destino più in alto di tutti. Forse quello era il motivo per cui era nata, era quella la sua strada. In ogni caso - almeno all'apparenza - al ragazzo dai capelli bianchi sembrava non importare molto. Forse il gene dei capelli albini era strettamente correlato a quello della difficoltà a provare rimorsi e sentimenti per i genitori e i familiari in generale. Le chiese se aveva davvero un fratello - probabilmente era una domanda retorica - e aggiunse di averne due più grandi di lui, ma che non vedeva da un po'. dopodiché si accarezzò i capelli tentando di sorridere. Assieme alla risata di qualche minuto prima, questo sembrava confermare il fatto che quel ragazzo doveva avere qualche problema ad esprimere i propri sentimenti. Tutto ciò che faceva sembrava finto, anche se non finto apposta. Lo guardò, inclinando la testa a destra.
    A dire il vero è... Complicato? - ridacchiò tra sé e sé. Come detto, hai voglia a cercare di spiegare di avere un gemello che si comporta come il tuo quirk e che ha ucciso i tuoi genitori sfuggendo al tuo controllo - Siamo gemelli ma... - sospirò, era difficile - Abbiamo vissuto insieme per quasi vent'anni, se ne è andato poco più di una settimana fa, forse due. Questa... - si guardò attorno, corrugando le labbra in una strana smorfia - Questa è camera sua. Beh, non l'ha mai usata a dire il vero, però... - si interruppe, facendo spallucce. Non aveva molto altro da dire su suo fratello. Avevano preso strade diverse e probabilmente era giusto così. Nonostante fosse finita su quel sentiero, non aveva mai avuto intenzione di far male a nessuno. L'unica vittima di cui aveva il sangue sulle mani era Fireflower, quel giovane Pro Hero, ma anche lui se l'era cavata con qualche mese di prognosi e basta. Anche quella notte aveva cercato il modo per concludere le cose cercando di evitare lo scontro fisico, per quanto possibile.
    No, no... - lo interruppe, quando disse di non ricordarsi né di lei né di suo fratello - Di sicuro non puoi ricordarti di lui, diciamo che... - portò una mano al mento, alzando gli occhi al soffitto per pensare - Diciamo che hanno beccato solo me, ecco. E' complicato in realtà...
    Scoppiò a ridere, poi, quando il ragazzo le disse che sembrava piuttosto normale. Forse non aveva mai pensato seriamente al suo passato. Magari quel che aveva fatto la rendeva una sorta di mostro agli occhi degli altri, una bestia psicopatica, ma lei sapeva che non era così. Non era stata lei a sterminare la sua famiglia, era stato Yama. In più - ora che non aveva più voci nella testa - si sentiva più libera e più sana che mai. Era come se ora, davvero, fosse ciò che doveva essere. Ryo sorrise di nuovo, questa volta in modo leggermente più convincente.
    Cosa significa, scusa? - proseguì nella risata - E' capitato... Ho due occhi, un naso, una bocca, mi piace la moda, i... I giochi per cellulare, i manga... - sorrise - Sono normale... Sono una ragazza come tante altre, perchè mai questo dovrebbe fare qualche differenza? - si lasciò andare, scivolando in avanti col sedere e cadendo con la schiena sul soffice materasso del letto. I capelli erano scompigliati sulle coperte e la testa sfiorava quasi il muro.
    A volte... - il suo tono di voce si incupì, mentre guardava il soffitto - Certe cose non ci vengono chieste, accadono e basta, io... - si fermò per qualche secondo - Non sono un mostro. - inclinò il viso, per guardare il ragazzo dai capelli bianchi - E'... questo ciò per cui voglio combattere. - chiuse gli occhi - Le persone non sanno ciò che succede a quelli come me o come te e non hanno la minima idea per cui, a volte, siamo costretti a comportarci come ci comportiamo. - parlava come se sapesse tutto di Ryo, ma molto probabilmente non era per niente così.
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    Gli parlò di suo fratello, di come la situazione con lui fosse complicata. Che se ne era andato da poco, lasciando quella casa e la stanza dove aveva vissuto per vent'anni con la sorella. Ryo scrutò le pareti e le lenzuola dove stava seduto con Yami in quel momento. Tutto ciò lo faceva sentire...triste. Quando udiva questi avvenimenti non poteva fare a meno che pensare come sarebbe diversa la vita di una persona se ci fosse stata una perdita in meno, un avvenimento doloroso mai accaduto. Solitamente non gli importava delle persone che incontrava, ma con quella ragazza era leggermente diverso. Chissà cosa sarebbe accaduto se in quel momento ci fosse stato il gemello di Yami, che tipo di persona era. Forse era gentile come la sorella? O più burbero e protettivo nei confronti di chi era venuta al mondo con lui? Si immaginava una figura scura, un'anima senza volto che camminava in quella stanza. Lei non sembrava così scossa, però anche se non capiva cosa provasse, per logica credeva di poter sapere che quell'avvenimento la aveva colpita anche se lei sembrava voler gettar via quel peso alzando le spalle. Sul volto di Ryo si dipinse una leggera smorfia di malinconia e intrecciò le dita guardandosi le mani unite. Lei aveva proseguito dicendo che avevano beccato solo lei, raccontando la storia come una marachella combinata da ragazzini. Non le importava veramente? Ryo non era stupito o confuso, voleva semplicemente capire cosa significasse quell'evento per lei.
    Al suo sorriso e alla sua specie di complimento lei rispose con una fragorosa risata, che non sapeva se lo faceva sentire sollevato o se si doveva preoccupare. Gli parlò di lei come se fosse una strega legata al rogo che cerca di dimostrare la sua umanità davanti al boia. Lei era una ragazza normale e ciò che aveva fatto non importava più di tanto. Parlava come se l'assassinio dei suoi genitori fosse una cosa che le era accaduta, come una malattia grave ormai sconfitta e superata, che non la influenzava più. Lei combatteva per qualcosa, per le persone come lei o come lui che non venivano capiti per i loro comportamenti. Ryo aggrottò di nuovo le sottili sopracciglia, forse questa volta più per tristezza. Lei si era sdraiata sul letto, forse per riposarsi e non era sicuro che lei potesse vedere la sua espressione.
    Davvero Yami pensava che loro fossero simili? Che potevano essere messi nella stessa categoria? Lui poteva forse capire che i fatti del suo passato non la toccassero più di tanto, che quell'omicidio fosse una cosa lontana e che non gli importasse molto. Però...per lui essere associato ad un'altra persona gli faceva sentire qualcosa di strano all'interno del cuore, una smania di allontanarsi da lì non tanto con il corpo ma come se sentisse il pericoloso avvicinarsi di un dolore e dovesse scappare. Strinse tra di loro le dita intrecciate. Era come un'ansia inesorabile creare rapporti. La vicinanza delle persone lo spaventava, voleva distruggere tutto ciò che sentiva di nuovo, cancellarlo prima che potesse fargli male.
    Io... Si girò verso di lei, che lo stava già guardando. Con le dita sfilò la benda dall'occhio destro per vederla meglio, l'iride libera per la prima volta nella serata. Il cuore lo tentava di dire come si sentiva, ma si tenne dentro ciò che provava, cambiando il soggetto del discorso. Tu credi ci sia qualcosa per cui valga la pena combattere? Ryo non credeva che la società potesse cambiare. Aveva conosciuto parecchia gente quando era un ragazzino che sognava di riformare il mondo, le stesse persone che lo guardavano con occhi disgustati o di lontana indifferenza. Come poteva cambiare un posto del genere, se non potevano neanche accettare lui? Non credeva nei rivoluzionari. Yami forse era ingenua a combattere per chi non ci avrebbe pensato due secondi a tradirla o a sfruttarla, anche se sicuramente era abbastanza forte da potersi far rispettare. Ryo conosceva solo la facciata di quella donna, una facciata fatta di azioni spericolate e malinconia, però non provava rancore. Quella serata era stata di domande che si era posti tra di loro, lui sicuramente di più verso di lei. Questa aveva una sensazione diversa, non c'erano sorrisi questa volta o sviamenti di discorsi. Yami era veramente illusa di voler combattere per gli altri?

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    Edited by Dëlin - 8/6/2018, 01:47
     
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    Riaprì gli occhi, guardando il ragazzo. Aveva le dita intrecciate, come avesse le mani giunte. Che stesse pregando, o fosse preoccupato per qualcosa? Anche la sua espressione tradiva in qualche modo un certo turbamento interiore. Certo non sapeva come sorridere o ridere, ma sembrava molto bravo a sembrare triste. Lo vide infilare le dita scure sotto la benda in pelle nera, per sfilarla. L'altra iride verde si rivelò alla ragazza. Yami sorrise. Chissà perchè la teneva. Si aspettava non avesse un occhio, o ci fosse qualche tipo di cicatrice o deformazione orribile, in realtà sembrava un occhio normale. Forse era semplice fashion? Alla fine lei non poteva parlare. Col nuovo guardaroba si era data una calmata, ma fino a poco tempo prima indossava camicie con gorgiere enormi, decorazioni dorate e altre cose simili. Gli piacevano, comunque, gli occhi del ragazzo. Facevano un bel contrasto coi capelli e con la pelle. Chissà da che razza di miscuglio doveva essere uscito, per avere tutti quegli strani tratti somatici. Con le mani strette e il volto corrugato da ciò che sentiva dentro, Ryo le chiese se secondo lei c'era qualcosa per cui valesse la pena combattere. Yami strabuzzò gli occhi, stupita. Non si aspettava di certo una risposta così. Si tirò su, mettendosi a sedere e cliccando il pulsante di accensione del telefono. Sì, forse avevano ancora abbastanza tempo per parlarne. Sorrise, prendendo in mano i lacci degli stivali e slacciandoli. Guardò il ragazzo sorridendo, con un po' di capelli sul volto.
    E' una storia lunga ma... - ridacchiò, togliendo gli stivali facendo perno sul tallone prima con uno stivale sull'altro, poi col piede libero avvolto in una calza di colore nero su quello precedente - L'hai chiesto tu, quindi non lamentarti! - si aggiustò i capelli dietro un orecchio, con la mano.
    Alzandosi in piedi, slacciò la cintura tattica dei pantaloni in pelle, sbottonò il bottone in metallo e lentamente iniziò a sfilarli, rivelando agli occhi verdi del giovane un paio di mutandine nere e le sue lunghe gambe pallide. Allo stesso modo, camminando verso l'armadio della stanza con le gambe nude, si slacciò il corpetto nero in pelle, lasciandolo a cadere al suo fianco. La pelle chiara della sua schiena era rigata solo dal reggiseno nero. Si piegò, aprendo uno dei cassetti. Per fortuna Orochimaru - ai tempi - aveva comprato qualcosa anche per Yama. Prese una maglia e se la mise addosso. Il ragazzo era alto più di un metro e novanta, e a lei andava come un vestitino, pertanto non mise nulla a coprire le gambe oltre a quella, che andava già oltre le parti intime. Portandosi l'indice sinistro alle labbra, scrutò nel cassetto e prese una maglia color panna e dei pantaloni neri. Chiuse il cassetto col ginocchio, e si diresse nuovamente verso il letto.
    Vuoi? - chiese a Ryo, porgendogli i vestiti con entrambe le mani. Il ragazzo era abbastanza basso e probabilmente gli sarebbero stati larghissimi, ma magari era meglio che stare con quei vestiti sporchi e mezzi carbonizzati. Indipendentemente dalla sua risposta si sarebbe seduta sul letto, sfilando le calze con l'indice destro e incrociando le gambe sul letto, rivelando le dita smaltate di nero. In quella posizione simile a una mossa di Yoga, mise le mani sulle ginocchia e guardò Ryo, sorridendo. Quella serata era iniziata in un pessimo modo, ma sembrava finire con un pigiama party. Raccolse i capelli portandoli dietro alle spalle. Davanti al volto le penzolava ormai solo la ciocca recisa da Raul con un fulmine, troppo corta per star dietro alle spalle.
    Dunque... - iniziò, portandosi un dito al mento, pensosa - E' una storia complicata, ma ti prego di credermi. Quando avevo quattro anni ho... mostrato al mondo la mia unicità. Ero in grado di... Come dire, far uscire delle parti del corpo aggiuntive dal mio corpo. Lo so... - gesticolò, indicandosi il volto - I capelli e tutto ma... Insomma, ai tempi mi uscivano braccia dalla schiena e cose così. A sei anni... - sospirò. Era passato tanto tempo, ma quello a volte ancora le pesava. Quelle violenze erano durate anni, in fondo - Ho... Insomma, ho iniziato a sentire una voce dentro di me. Ho fatto un sacco di visite psicologiche ma... - ridacchiò - Beh, nessuno ha mai capito di cosa si trattasse... Finchè non l'ho capito da sola. - abbassò lo sguardo. Aveva accettato quello che era successo, ma ricordarlo era tutta un'altra cosa. Aveva ancora dei flash chiari in mente, come fosse successo solo qualche giorno prima - Io... Non mi sono mai piaciuti gli eroi. - portò una mano dietro la testa, sorridendo - Avevo deciso che avrei studiato, sarei diventata... Una brava ragazza, non un eroe o... Cose così. Insomma, non usavo il mio quirk da anni... Una... - deglutì - Una sera ero a cena e un braccio è uscito da me. Ha preso un coltello, io... Non lo volevo. Non so se... - lo indicò - Non so se la tua coda è mai uscita da sola ma fidati che è strano forte e... Non è uscito solo un braccio. E' uscita un'intera persona, insomma. Un ragazzo, e... - si grattò il mento - Beh, ha ucciso la mia famiglia. La... nostra famiglia. E' andata così. - sospirò, per prendersi un po' di tempo - Tornando in me mi ha sporcato di sangue. La badante mi ha vista e la colpa è ricaduta su di me. - ridacchiò. Era una cosa così stupida, nonostante la serietà del fatto - Quel... Ragazzo era mio fratello. Ha vissuto con me... e... in me... Per anni, insomma. - annuì, guardando Ryo. Sperava ci stesse capendo qualcosa e le credesse, era la prima volta che raccontava quella storia a qualcuno - Per anni ho creduto fosse il mio quirk, di recente ho scoperto che... Umh, era una sorta di gemello parassita e riusciva a uscire per la sua unicità, non per la mia. La mia, sai... - indicò i capelli, sorridendo - L'ho scoperto da qualche giorno. Comunque... Siamo riusciti a separarci, ora lui se n'è andato come ho detto. Io... - alzò lo sguardo al soffitto. Le sue gambe erano coperte di puntini, ora. Aveva la pelle d'oca.
    Cos'è un eroe, Ryo? - abbassò lo sguardo. L'azzurro dei suoi occhi si mescolò col verde del ragazzo, fissandolo - Quello che... Ti ha fatto quello... - indicò il suo basso ventre, riferendosi alla coda - Può essere un eroe? Io... - spalancò le gambe, una ciondolò giù dal letto e l'altra toccava il muro - Non volevo uccidere i miei genitori, è successo. Chissà quante persone sono come me. Come te. - nuovamente pretendeva di conoscerlo, per qualche strano motivo - Non puoi diventare un eroe se il tuo quirk è un pazzo omicida. La società... La società non ha mai pensato che qualcuno possa non essere in grado di controllare il suo potere. Dobbiamo tenerlo dentro, non possiamo usarlo in pubblico. Non... - scosse la testa - Non è stupido? E' come se potessimo tenere tutti una pistola in casa, ma senza il permesso di usarla. Quando ti serve, quando forse pensi di essere nel giusto... La usi. E o manchi l'obbiettivo, o ti uccidi, o uccidi chi hai davanti. Non può finire in altri modi. - era seria, ora. Forse non aveva lo stesso carisma del fratello, ma il suo intento era certamente più nobile - Voglio lottare per un mondo in cui nessuno debba vergognarsi della sua unicità, un mondo dove viene insegnato alle persone come controllarla... Un mondo dove una ragazza non debba tenere un mostro dentro di sé per dodici anni e poi finisca per rovinarsi la vita senza avere la minima idea di cosa diavolo può essere successo.
    Y a m i

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    Attacco: 130
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    Alla sua domanda la ragazza fece dei gesti che potevano rassomigliare la sorpresa e dopo una breve occhiata al telefono si cominciò a slacciarsi gli stivali, ingombrando la sua bella faccia con i capelli bianchi. Si chiese quante persone con i capelli albini vivessero a Tokyo e se quella rara colorazione fosse un effetto secondario del quirk della ragazza. Per quanto ne sapeva lui il suo quirk non centrava niente, li aveva ereditati dalla madre. Stava rimuginando su questi fatti quando Yami fece una cosa che non si sarebbe mai aspettato. Come se si trovasse di fronte ad un'amica fidata appena tornata da una serata scatenata, si slacciò i pantaloni facendo vedere cosa indossava sotto di essi. Ryo era pietrificato in quella posizione, con le mani intrecciate che cominciavano a sudare. Cosa stava succedendo? Cosa aveva capito quella donna? La situazione peggiorò quando non si fece problemi a girarsi e a mostrare il sedere. Lui non voleva, però non riusciva a distogliere gli occhi da ciò che vedeva, si sentiva le guance e le orecchie bruciare e probabilmente la pelle scura stava arrossendo, la bocca serrata mentre cercava di guardarsi intorno. Una situazione che il suo cervello non registrava, era come se fosse tornato nei portali psichedelici di Yuya. Ora quella si stava pure togliendo i vestiti di sopra, ma ringraziò quando vide che almeno aveva il reggiseno, di colore nero che risaltava sulla sua pelle bianca. Si chiese se lo stesse facendo per provocarlo, perché non aveva vergogna o perché aveva "fiducia" in lui? Ryo non pensava che lei fosse una ragazza facile, almeno da quanto la aveva conosciuta, e forse lei credeva di potersi tranquillamente spogliare in sua presenza perché era una cosa normale tra le persone? Lui non era nemmeno mai stato fidanzato, figurarsi entrare nella stanza di una ragazza. Yami aveva decisamente un fascino e una figura completamente diversa dalle ragazze giapponesi. Era alta e aveva la pelle pallida ma non olivastra come le donne di lì e i suoi capelli bianchi la rendevano solo più bella. Ryo si sentiva strano a pensarla come una donna in "carne ed ossa" , si sentiva strano a pensare chiunque in quel modo. Si sentì sollevato quando lei decise di mettersi una maglia decisamente troppo grande per lei, facendole mostrare comunque le gambe nude, facendola assomigliare ancora di più ad una streghetta pronta a maledirlo.
    La vide poi aprire un cassetto e tirare fuori un altro paio di vestiti molto più grani della sua taglia, per poi avvicinarsi a lui e porgerglieli con aria innocente, chiedendogli se li volesse indossare. Ryo pensò che la ragazza dovesse avere una gran considerazione di lui o avere una bassa considerazione del suo pudore. Voleva che si spogliasse lì? Davanti a lei? Ryo non sapeva come rispondere. Anche se dei vestiti puliti gli avrebbero di sicuro fatto comodo, si imbarazzava a cambiarsi di fronte a lei, ad immaginarsi di togliersi i pantaloni e restare esposto come lei anche se per qualche secondo, di mostrarsi in mutande di fronte a Yami. Allungò dubbioso una mano verso la maglia chiara, sentendola al tocco fresca e morbida.
    P-prenderò questa. Ti ringrazio. Guardò velocemente prima la maglia, poi Yami e di nuovo i pantaloni scuri che preferiva lasciare lì. Se lei non provava vergogna nell'essere praticamente nuda in sua presenza, poteva permettersi di cambiarsi la maglia. Si sfilò da seduto quella semidistrutta di dosso, restando a petto nudo per qualche secondo, guardandosi la pelle scura e le costole che sporgevano sul suo fisico magro. Gli dava fastidio esporre quella sua fragilità in quel modo, e come se il bianco lo purificasse, sentì quindi il tessuto dell'enorme capo avvolgerlo. Profumava vagamente di pulito, la reminescenza di un ammorbidente, di un lavaggio ben curato. Le maniche superavano abbondantemente le sue mani e le fece sgusciare fuori allungando le braccia in avanti, sembrava quasi un monaco cinese. Pensava che avrebbe probabilmente sporcato la maglia con la ferita, ma non credeva che Yami avesse particolari usi delle maglie del fratello, tralasciando la loro nicchia come vestito d'emergenza.
    Lei si era messa sul letto accanto a lui, le gambe incrociate come se fossero due amichette adolescenti che stavano per raccontarsi dei ragazzi più carini della scuola. I loro occhi si incontrarono e in quell'azzurro rivide la malinconia di prima ma trovò anche una vitalità che forse la accompagnava da sempre. In effetti, lei gli aveva detto che sarebbe stata una storia lunga. Ryo ascoltò con attenzione tutte le parole di quella storia, partendo dalla sua Unicità apparente alle voci nella sua testa, a quel braccio omicida che era uscito e aveva ucciso i suoi genitori. Rabbrividì quando gli chiese se la sua coda era mai uscita da sola, anche se Ryo sapeva che era impossibile. Era un arto aggiunto, qualcosa che era strettamente collegato a lui sia nel corpo che nella mente, però anche se gli capitava di attivarla quasi automaticamente quando era eccitato, era sempre stata una sua volontà. Sperava che fosse impossibile.
    Yami sembrava decisamente provata dopo avergli raccontato tutto e se lui si fosse avvicinato di più avrebbe notato la sua pelle d'oca. Lei lo fissò dritto negli occhi, sentendo la pressione di quelle iridi di ghiaccio contro le sue verde prato, un vento di bufera che si abbatteva su un'ignara pianura. Gli chiese che cosa fosse un eroe. Era una domanda alla quale non sapeva dare una risposta. Per lui gli eroi erano buffoni che volevano l'attenzione degli altri, nomi nell'aria che vivevano di fama e se ne ingozzavano. Però sentiva che c'era qualcosa di più profondo rispetto a quello che vedeva con i suoi occhi, anche se era di sicuro d'accordo che quel tizio che gli aveva tirato un fulmine non poteva che essere un'ipocrita nel pensare di esserlo. Il tono della conversazione rispetto alla situazione di prima era completamente diverso. Parlò di potere. Il potere sugli altri era probabilmente ciò che più gli uomini bramavano di avere. E se qualche dio o scherzo del destino aveva scelto l'umanità come detentori di potere, aveva sbagliato alla grande. Paragonò i quirk ad una pistola, che crediamo di usare nel giusto e se sbagliamo non possiamo che cadere nella disperazione in un modo o nell'altro. Lei lottava per quello. Per un mondo a suo parere giusto, dove le persone non sono limitate nell'utilizzo del proprio potere ma istruite, dove una persona come lei non doveva nascondersi, non doveva temere. Ryo abbassò lo sguardo seguendo Yami, se prima però era stato al discorso della ragazza questa volta doveva dissentire.
    Tu credi che questo mondo così sbagliato possa veramente cambiare? Guardò di nuovo la ragazza albina, cercando il suo sguardo, la voce che esprimeva una certa rabbia. Che la società accetterebbe mai persone come te o me? C'era insicurezza nell'includersi in quel discorso. Lei li aveva accostati un'altra volta, facendolo irritare. Doveva smetterla di pensare che loro fossero simili. Lui, lei, chiunque avevano una parte in quel teatro corrotto del Mondo. Lui era un assassino, una persona che si odiava, non era nobile come Yami. Che i miei genitori, le persone che mi guardavano da lontano, i parenti e gli amici di chi ho ucciso mi accetterebbero? L'umanità era assetata di potere ben prima che spuntassero i quirk, sono solo giocattoli nuovi che l'uomo ha sviluppato solo per ammazzarsi meglio. Ryo strinse le nocche in pugno fino a far impallidire la pelle scura. Io...io non mi scorderò mai gli occhi di mia madre quando vedeva il mio quirk! La paura, il rifiuto che sentivo dentro di lei! Io ho ucciso, l'ho fatto per piacere e non me ne pento. Stava quasi gridando. Si sentiva salire le lacrime agli occhi. Perché aveva tirato fuori una questione del genere? Sentiva le emozioni che teneva represse da tempo risalirgli dallo stomaco fino alla testa, gli faceva male la gola tanto da stringere i denti. Forse alla fine voleva solo qualcuno a cui dirlo, a cui confessare il dolore che teneva nascosto da tempo. Yami era una sconosciuta, ma non poteva fare a meno che riversare su di lei ciò che sentiva. Il tuo è un ideale nobile...ma questa società è troppo corrotta per essere cambiata! L'unico modo per correggere questo mondo è distruggerlo. Disintegrare tutto per ricominciare da zero. Ryo sospirò, cercando di calmarsi coprendo il viso con la mano destra. I quirk andrebbero controllati dici? Sono solo una maledizione, l'illusione che l'uomo si è dato per sentirsi superiore ad un maiale. Quella benda serve per coprire questa maledizione. Si rannicchiò con le ginocchia sul mento, la maglia di Yama che lo copriva ancora tutto come una coperta, guardandosi le ginocchia che erano coperte da quei luridi pantaloni.
    Scusami. Non sapeva di cosa dispiacersi, forse di averle affibbiato quel dolore che lui da solo non riusciva a gestire. Appena arriverà quel dottore me ne andrò. Era piuttosto sicuro che lei non gli volesse parlare più di tanto ormai. Forse vedevano il mondo in modo troppo diverso, lei troppo speranzosa e lui troppo pessimista. Yami era una persona forte. Sia caratterialmente, quando aveva sfidato quel temibile eroe, sia mentalmente se credeva di poter cambiare il mondo in quel modo. Era sicuramente la tipa più a posto che aveva conosciuto di recente. Ryo ripensò a Saito, alla sua morte e ai genitori del motociclista che avrebbero sentito domani mattina la probabile scomparsa del loro figlio. Questo rientrava nelle regole e negli obbiettivi di Ryo, anche se non riusciva a sentire la soddisfazione che provava di solito. Non capiva perché. Forse era stata Yami. Sperava di no.
    Passarono diversi minuti in cui il silenzio, fosse stato per Ryo, avrebbero fatto da padrone. Si chiedeva che ora fosse e attendeva quel dottore che la sua salvatrice aveva chiamato. Non passò molto tempo che sentì il gracchiare del citofono provenire dal soggiorno e rimbombare fino alla camera da letto. Guardò brevemente Yami, aspettando che si alzasse per andare ad aprire. La ferita gli faceva male ancora, anche se era stata superata da quello che si erano detti quella sera. Si sentivà più leggero rispetto a prima grazie allo sfogo con Yami. Guardò la finestra che dava sul buio davanti a se, anche se un debolissimo chiarore proveniva dal sole estivo che avrebbe fatto presto la sua comparsa. L'alba, come aveva letto tante volte, era simbolo di rinascita e della sconfitta della morte. Che fosse così anche per lui?

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