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» Seishiro Harada
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Forza 10
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Agilità 15
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» Scheda « » Quirk «Narrato Parlato Pensato
So until the next time
Have a good sin
~ ♫ ~
Seven deadly sins
Seven ways to win
Seven holy paths to hell
Seven downward slopes
Seven bloodied hopes
Seven are your burning fires
Seven your desires.....Pioveva.
Non si trattava di una pioggia implacabile e spietata, ma di quelle goccioline fastidiose e incessanti che all’inizio sembrano quasi una brezza fresca e allegra, ma infide entrano fin nelle ossa, umide e crudeli, alla ricerca di un disperato abbraccio troppo freddo per essere sincero.
Era decisamente uno di quei giorni in cui per uscire di casa serviva un buon motivo.
In giornate come quelle, le strade di Tokyo si riempivano di ombrelli, dai più colorati ai più neutri, ed ognuno portava con sé la storia di una povera anima costretta ad abbandonare l’asciutto per immergersi nella quotidianità o, per i più fortunati, in qualcosa di meno ordinario.
Seishiro Harada si trovava sotto uno di quegli ombrelli; la sua storia era quanto di più semplice e noioso ci fosse: in casa si sentiva stretto, si annoiava e aveva deciso di fare una passeggiata.
Tempo perfetto per l’umore malmostoso e malinconico del ragazzo; era passato del tempo da quando si era immerso in un mondo nuovo, pericoloso ma eccitante, e la quiete degli ultimi giorni gli dava una strana sensazione.
Non che durante il giorno non sapesse come divertirsi – aveva videogiochi, chat e libri ad intrattenerlo – ma una volta sperimentato qualcosa di non usuale, un animo avido e curioso non può far altro che desiderarne ancora.
Dunque aveva indossato abiti comodi, una lente a contatto bianca sull’occhio sinistro giusto per provare il nuovo paio appena arrivato e si era buttato nelle strade, vagando senza una una meta precisa.
Camminare aveva un effetto terapeutico per la sua mente paranoide: il ritmico movimento delle gambe, i passi tutti della stessa lunghezza… erano davvero come balsamo pronto a lenire quell’insano bisogno di ordine. Senza contare che passeggiare sotto la pioggia era un ottimo modo per pensare senza essere disturbato.
Quando piove, nessuno si preoccupa di lanciare occhiate agli altri passanti, ognuno è preoccupato di tornare a casa in fretta per togliersi quegli abiti umidicci e godersi un bagno caldo. Nelle giornate uggiose si poteva diventare quasi invisibili, pur rimanendo sotto gli occhi di tutti e Seishiro amava quella sensazione.
Si era diretto nella zona del porto, forse per vedere la pioggia riversarsi nel mare, forse perché vicino ai canali diventava meno affollata, così da poter scegliere se immergersi fra i passanti o se fermarsi per godersi qualche attimo di quiete, nel silenzio interrotto solo dal leggero battito della pioggia sull’ombrello.
Si fermò in una piazzetta quasi per nulla frequentata, appena poco lontana dalla strada principale, con vista sul Rainbow Bridge.
Trascorse qualche minuto in piedi, solo con i propri pensieri e il proprio respiro, finché un urlo alla sua sinistra non lo fece voltare.
Una donna era stata presa di mira da un gruppetto di ragazzi; un classico, al limite del banale.
Avrebbe ignorato la cosa senza tanti sensi di colpa, non era abbastanza interessante.
Oh, erano rumori di lotta.
Poverina.
Un vero peccato che non ci fosse nessun eroe pronto ad intervenire per salvarla da quella brutta situazione.
Un urlo, qualche colpo e poi dei passi.
Voltò appena il capo, per ritrovarsi a pochi metri la signora, il volto rigato di lacrime miste a gocce di pioggia e i capelli in disordine.
« Mi aiuti, per favore! Mi… mi hanno rubato la borsa… »
Seishiro la fissò e si sorprese perfettamente in grado di mantenere il controllo dell’espressione seria che lo caratterizzava; sarebbe infatti stato davvero scortese scoppiare in una fragorosa risata davanti alla donna.
Davvero?
Davvero stava chiedendo ad un ragazzino di fare qualcosa contro un gruppo di ladri? Chi pensava fosse? Un eroe solitario in pattugliamento sotto la pioggia? Pensava che avrebbe intrapreso un inseguimento insensato tra la folla, urlando a degli individui non ben precisati di fermarsi? In nome di cosa? Dell’onestà? A dei ladri?
Era troppo divertente.
« Scusi, ma cosa pensa potrei fare? Correre e raggiungerli? E poi? Guardarli male finché non saranno pentiti e restituiranno il maltolto? » Inarcò un sopracciglio. « Al massimo posso prestarle il mio telefono per chiamare la polizia, ma non arriverebbero mai in tempo. O può provare a farsi giustizia da sola, ma immagino che verrebbe arrestata anche se è la vittima del furto, dopotutto non è consentito l’utilizzo del Quirk senza una qualche licenza.»
Sospirò, provando un po’ di amarezza più per la banalità della situazione che per il gesto disonesto dei ladri. Non era la prima persona non tutelata a dovere dalla giustizia e non sarà stata nemmeno l’ultima.
« Le conviene sporgere denuncia e avere fiducia che un eroe professionista riesca a catturarli. Questo mondo va così. »
Guardò la donna con un’impassibilità agghiacciante e giudicante, insensibile al suo pianto.
Però aveva preso il telefono dalla tasca, sarebbe stato almeno abbastanza umano da regalarle una telefonata.
Era bugiardo, non vuoto; aveva un’anima e se la teneva stretta.
Curioso, però, che questa volta avesse dimenticato di indossare la maschera del bravo ragazzo preoccupato e disponibile, rimanendo sé stesso di fronte a una persona dopo tanto tempo.
Lei, infine, si allontanò sconsolata, senza approfittare della cortesia del ragazzo, forse perché scossa dalle sue parole, forse per semplice rassegnazione, e si immerse tra la folla, scomparendo.
Seishiro tornò a guardare il ponte, non senza un po’ di delusione.
Non era nemmeno una strada secondaria, era solo una piazza in cui il flusso di persone non si riversava, eppure nessuno sembrava aver notato il fatto.
C’erano state urla e una minima colluttazione, ma nulla si era mosso.
Davvero viveva in un mondo così abituato all’ingiustizia e all’intervento risolutivo degli eroi da non notare nemmeno più dettagli del genere? Oppure era semplice indifferenza ai problemi altrui, troppo concentrati ad inventarne sempre nuovi per sé stessi?
Che strana vita.
Riflettere su questo argomento sarebbe stato interessante, accompagnato dalla melodia che la pioggia stava suonando per lui.
Non era abbastanza empatico da essere preoccupato per la donna, ma era abbastanza sensibile per rendersi conto di come fosse stato ingiusto ritrovarsi impotente e che frustrazione possa aver provato sapendo che, se anche avesse usato il proprio Quirk, non sarebbe mai stata nel giusto.
Lasciò vagare lo sguardo lontano.
Forse le sue parole dure le avrebbero fatto capire qualcosa invece di demoralizzarla.
Chissà.. -
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Una voce femminile, diversa della precedente, spezzò la magia della pioggia.
Le sue parole erano ferme, quasi severe, ma sopratutto inaspettate.
Piacevolmente, a dire il vero.
« Certo. E anche lei lo sa, per questo non ha telefonato. »
Seishirò si voltò, dunque. Non poteva negare che una conversazione con l’unica persona che si era preoccupata dell’accaduto non fosse degna d’interesse; anche perché l’esistenza stessa di quella donna gli aveva dato torto sull’indifferenza della gente. Si meritava il massimo dell’attenzione.
La prima cosa che pensò di lei fu, banalmente, relativa alla sua bellezza: era alta, magra con lunghi capelli chiari e occhi di ghiaccio, una bellezza del Nord Europa. Forse era russa? Non aveva avuto di conoscere molti europei nella propria vita, faceva fatica ad assegnare una provenienza precisa, ma almeno riusciva a collocarli sommariamente.
In alcuni ambienti che frequentava andava molto di moda cercare di sembrare più occidentali con vestiario e make up, tanto che molte ragazzine indossavano abitualmente circle lenses di ampio diametro, per dare l’illusione di avere un occhio meno orientale.
Quella donna aveva degli occhi grandi, bellissimi, velati da un sentimento che Seishiro non sapeva identificare; che fosse arrabbiata con lui? No, non credeva di essere così importante; doveva essere qualcosa d’altro, di più incisivo.
Si trattava di una persona giovane ma matura e – confessò di essersi soffermato sulle curve del corpo evidenziate dall’abbigliamento – con buon gusto nella scelta dell’abbigliamento, anche se monocromatico. Non che lui si fosse dilettato in abbinamenti fantasiosi, ripiegando allo stesso modo su colori scuri e neutri, quasi fosse un modo per non offendere il brutto tempo.
Tuttavia non era semplicemente bella e decisamente poco ordinaria, v’era qualcosa in più, adesso si trattava solo di scoprire di cosa si trattasse esattamente.
Che fosse una persona buona non v’era dubbio, non dopo le sue azioni e le sue parole che suonavano decisamente come un rimprovero. L’idea che potesse essere una di quelle persone definite comunemente “vigilantes” si presentò quasi subito, affiancata da quella che fosse semplicemente impegnata nel combattere le ingiustizie a modo proprio, magari addirittura con propaganda e chissà quali altri stratagemmi.
Ma non v’era dubbio quella donna doveva avere una profonda conoscenza della società in cui viveva, tanto da aver smascherato uno degli effettivi problemi del loro tempo.
Seishiro non riteneva che questo rendesse il mondo sbagliato, ma trovava importante rendersi conto dei paradossi e dei limiti per poter effettivamente vivere e non limitarsi ad esistere; scegliere se accettarli o sfidarli era parte fondamentale del creare emozioni.
Che scelta aveva fatto la bionda? Come aveva deciso di vivere?
Forse avrebbe avuto occasione di scoprirlo, se avesse suscitato in lei qualcosa di abbastanza forte da farla restare a parlare almeno per qualche minuto.
La risposta di Seishiro alla donna fu piatta, atona e accompagnata da uno sguardo indecifrabile; forse per via della lente bianca, forse per il riflesso dell’acqua, negli occhi del ragazzo non si riusciva a leggere nulla. Non v’era la minima emozione, come se fosse assolutamente vuoto, quasi agghiacciante. I giapponesi sembravano tutti sempre più giovani di quanto non fossero davvero, ma in ogni caso quello era sicuramente un ragazzino – avrà avuto almeno quindici anni - ed un’espressione del genere non era esattamente rassicurante; poteva essere un problema generazionale e la situazione sarebbe stata decisamente grave, oppure si trattava semplicemente di un individuo insolito.
O, forse, era per la lente bianca, spersonalizzante e decisamente irreale.
Ma, dopotutto, l’altro occhio, di un azzurro intenso, non mentiva; e non mostrava nulla.
« Sì. Avrei potuto essere molto più cortese, cercando anche di consolarla. » Cercò di stabilire un contatto visivo fisso. « Ma la domanda è: perché avrei dovuto? Cosa si ottiene ad essere cortesi? »
No, basta! Stava esagerando, non poteva esporsi in quel modo davanti ad una perfetta sconosciuta, poteva provocarla anche in maniera differente, dannazione.
Oh, ma lo voleva così disperatamente, aveva bisogno di sentirsi di nuovo vivo, di essere la persona che desiderava, di spogliarsi d’ogni bugia e poter urlare quel suo amore per la vita.
No, no, stava quasi per tremare, doveva contenersi.
Fece un respiro leggermente più profondo degli altri e sbattè le palpebre.
« Non mi interessa di essere stato uno stronzo se la prossima volta reagirà invece che limitarsi a lasciarsi vivere. »
Un leggero ghigno piegò le sue labbra, accompagnato da una strana luce negli occhi, rendendoli improvvisamente profondi con una punta di malizia; qualcosa si era acceso con un’intensità incredibile, mostrandosi per un attimo, una toccata e fuga, sopita immediatamente come se non fosse mai esistita, nascosta agli occhi del mondo ma pronta a divampare nuovamente.
Eppure, quel secondo aveva portato con sé sentimenti tutti aggrovigliati, mischiati così che non vi fossero più distinzioni; paura, eccitazione, curiosità, malinconia, noia, fu una piccola esplosione che Seishiro si concesse, questa volta più per sé stesso che per vedere la reazione della donna.
« Sarebbe davvero interessante. » Abbassò lo sguardo, il viso nuovamente piatto. « Ma molto probabilmente non succederà non succederà. Un vero peccato che questo mondo sia statico. Pazienza. »
Poi un’ultima occhiata accompagnata da un sorriso sghembo. Che fosse imbarazzo?
« Almeno ho scambiato qualche parola con una donna bellissima. ». -
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« Incitare ad un crimine? Fissare la lampadina rotta piagnucolando? » Seishiro aveva ascoltato il mezzo discorso della donna in silenzio, ma ad un certo non fu più in grado di trattenersi e scoppiò a ridere: era una risata inaspettatamente allegra, cristallina, gioiosa e, sopratutto, sincera; non v’era minima traccia di scherno, malizia, superiorità o derisione: veniva dal cuore, accompagnata dalla dolcezza e quel divertimento puro tipico dei bambini.
Rideva perché le sue parole erano state completamente fraintese e perché quell’interlocutrice era davvero capitata al momento giusto, portando con sé valori e sentimenti, riversandoli sul mondo come se niente fosse, creando quella reazione che il ragazzo aveva cercato di suscitare e dandogli, infine, un’ulteriore prova di quanto gli esseri umani fossero meravigliosi.
Come poteva non essere felice e abbandonarsi ad una risata?
Amava quel mondo, sarebbe stato quasi un torto rimanere con quell’atteggiamento torvo al limite dell’insensibile.
Seishiro si era davvero sorpreso di sé stesso, confuso per tutte quelle reazioni autentiche, ma al tempo stesso genuinamente felice per la libertà che quel giorno di pioggia gli stava dando; la libertà di essere sé stesso e, in un senso un po’ contorto, la libertà di amare.
Rise per quasi una trentina di secondi, coprendosi educatamente la bocca con una mano, asciugandosi poi una leggera lacrima prima di tornare a guardare la persona che gli aveva migliorato la giornata.
Davvero non aveva capito che stava solo cercando di fare in modo che qualcosa succedesse, ma osservando poi da lontano? In effetti era un ottimo attore, ma si aspettava che, prima o poi, qualcuno se ne rendesse conto, più per vedere la reazione che per altro, in realtà.
Non avrebbe mai perso quel vizio, nemmeno nell’ipotetico scenario di un Seishiro onesto e sincero.
Per un attimo pensò che, se fosse stata una creatura tanto interessante a smascherarlo, a mettere a nudo che dietro a tanta finzione v’era solo semplice curiosità condita con una buona dose di noia e voglia di vivere non sarebbe stato poi tanto male.
Un paradosso carino e coccoloso, in effetti, fatto a immagine di un ordinario adolescente giapponese.
Dopo essersi ricomposto rapidamente, cercò gli occhi cerulei della donna; sperava non si fosse offesa.
« Mi scusi, non volevo sembrare irrispettoso. E’ che… tutto di lei è bellissimo, sa? Le sue parole, come si comporta, come la pensa… è davvero incredibile. » Le sorrise e accennò un cortese inchino.
Sembrava davvero un’altra persona, come se quel qualcosa di poco prima si fosse davvero acceso, liberandosi e prendendo il posto custodito a lungo dal vuoto.
Ora il suo occhio azzurro era solare, pieno di vita e di entusiasmo; il volto allegro e felice stonava con il tempo carico di malinconia.
Disturbo bipolare, forse? Anche se un’insorgenza così precoce sarebbe stata decisamente preoccupante, in particolare con un cambio da depressione a mania così netto e senza nessun periodo di assestamento.
No. Per non saperne nulla di psichiatria, non era plausibile.
Più probabilmente questa irrequietezza emozionale era da attribuirsi all’età dello sviluppo e allo sconvolgimento ormonale che ne consegue.
Forse. Sarebbe stato avventato giudicare solo per una così breve interazione.
Seishirò continuò, esprimendo sempre nuove emozioni in volto ma rimanendo molto composto nel fisico; non gesticolava, non si muoveva particolarmente: rimaneva sotto all’ombrello, fermo.
« E’ davvero pura, da tempo non riuscivo a causare una reazione del genere, grazie. Grazie, grazie! Nemmeno dagli eroi, davvero. » Ridacchiò. « Ed è anche la prima persona a cui lo dico, che imbarazzo... » Che stesse diventando più irresponsabile? Da quando era stato in quel vecchio teatro era diventato forse più incauto? No, aveva il presentimento che quella fosse la persona giusta con cui lasciarsi andare un minimo; il motivo? Era l’unica altra che si era staccata dalla fiumana di gente sulle strade e si trovava su quella piazzetta insieme a lui. « ma immagino che sia perché si tratta di un’elettricista come lei. » Mise particolare enfasi nelle ultime parole, come se stesse lasciando qualcosa di non detto, affidato a chissà quale sguardo d’intesa.
In realtà Seishiro stava brutalmente fingendo di aver capito qualcosa, sperando che un atteggiamento del genere avrebbe creato una reazione nella donna; da questa avrebbe poi potuto elaborare qualche teoria e comportarsi di conseguenza.
Fece qualche passo verso di lei, ma si mantenne alla consueta distanza di cortesia. La guardava leggermente dal basso.
« Senza rendersene conto mi ha fatto un regalo graditissimo; so di essere solo un ragazzino e questo limita molto le mie possibilità, ma vorrei fare qualcosa per sdebitarmi della cortesia, Signorina… ? » Terminò la frase con la classica intonazione di chi non sa con che nome rivolgersi al proprio interlocutore.. -
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« Shizuka. » Sorrise molto cortesemente. « Puoi chiamarmi Shizuka, Yami-san. » Pronunciò con una leggera enfasi l’onorifico, accompagnando il tutto con un ghigno birichino.
Aveva mentito sul proprio nome, ovviamente. Praticamente era parte della sua routine ormai; e sicuramente non si sarebbe mai presentato come Seishiro in una situazione del genere. Aveva già osato molto per provare quell’inebriante sensazione di libertà e autenticità, sapeva quando fermarsi. Non sarebbe mai diventato un meraviglioso bugiardo se avesse agito in modo irresponsabile.
Yami, dunque.
Buffo, a dire il vero.
Si aspettava un nome come Irina, Tarja, magari Giselle o qualsiasi altro nome europeo.
E invece si chiamava Yami, o aveva scelto di farsi chiamare così, Oscurità secondo la lingua giapponese.
Una parola, un unico termine e la mente di Seishiro stava già viaggiando verso le teorie più improbabili.
In un primo momento pensò che Yami dovesse essere uno pseudonimo, un nome per identificarsi in determinati ambiti; per questo motivo la scelta di quella parola, con tutti i correlati più mistici e interiori che essa portava con sé. Così come gli eroi sceglievano una specie di nome di battaglia pubblico con una certa sonorità, non vedeva perché nella parte illegale e nascosta della società questo non potesse accadere.
Purtroppo la donna non aveva proseguito il discorso sull'essere "un'elettricista", quindi poteva basarsi solo su impressioni e congetture, ma era sicuro che fosse coinvolta in qualcosa che normalmente non era prudente raccontare in giro. Nell’oscurità, appunto, per poi riaccendere la luce; che si trattasse di una criminale o di una brava persona, poco importava.
Ripensandoci poi, nella tranquillità della propria camera, avrebbe riso pensando che una che si chiamava Yami si fosse definita un’elettricista.
Tuttavia, oltre alla teoria del nome d’arte, con tutte le conseguenze che questo comportava, Seishiro non poteva ignorare la possibilità che quello fosse effettivamente il suo nome.
E in questo caso sarebbe stato ancora più curioso; palesemente europea ma identificata con una parola giapponese, una vita confusa o a maggior ragione con un’identità profonda, forte di portare un nome con una tale potenza evocativa?Nomen omen.
In molte culture v’era particolare attenzione al significato dietro ai nomi, non solo perché in genere è la prima cosa che si conosce di una persona, ma perché è riconosciuta la potenza dietro alle parole.
Seishiro era ancora giovane, non si era mai occupato in maniera seria della propria spiritualità, ma credeva fermamente nel fatto che il linguaggio verbale fosse straordinario e al tempo stesso spaventoso: le parole, una volta pronunciate, non possono ritornare al mittente né essere annullate. Sono il legame più forte e anche più sottovalutato, spesso considerate semplice mezzo di comunicazione, senza rendersi conto che l’atto del comunicare è esso stesso una forma di legame particolarmente subdola.
Pensandoci, la lingua era davvero qualcosa di terribile, fosse essa parlata o scritta; i migliori possono fermare addirittura un proiettile, ma come puoi bloccare una frase? Come puoi limitare e cancellare un’idea? Il linguaggio si insinua in ogni ambiente, basta far scivolare nella conversazione quello che si desidera per portarlo alla luce, oppure non citarlo perché in quel momento non venga considerato.
Nella storia grandi oratori hanno coinvolto le masse servendosi della scenicità ma, sopratutto, di un'eloquenza e potenza nel discorso superiore alla media; con la giusta persuasione si poteva convincere a fare cose terribili, solo utilizzando i giusti termini: si poteva indirizzare all'odio o all'amore, si salvavano o condannavano vite.
Nulla era più potente delle parole. Per la fortuna di quel mondo, pochi se ne rendevano conto.
L’idea che Yami fosse il nome di quella donna e la rappresentasse con tutte le sfumature del suo significato, fu per Seishiro incredibilmente eccitante. Identificarsi con qualcosa di mistico e spirituale, con una delle paure più ancestrali dell’uomo, con ciò che arriva sempre primo, raggiunto poi dalla luce che cerca di eliminarlo ma riesce esclusivamente a limitarlo, lasciandolo in disparte, come una piccola ombra pronta a riprendersi tutto alla prima occasione… aveva improvvisamente molte aspettative nei confronti di quella donna, di Yami.
Poi accadde qualcosa di meraviglioso, una specie di ossimoro fra il buio nel nome e la luce nei gesti: Yami chiese spazio sotto l’ombrello.
In Giappone.
Il cuore di Seishiro saltò un battito per l’entusiasmo, causato non tanto dal fatto che si trattasse di una gran bella donna – anche se è giusto ricordare che era pur sempre un ragazzino nella pubertà, sarebbe stato più che normale – ma dall'ingenuità e purezza di quella richiesta, accompagnata da un malizioso tentativo di scherno.
Non si sarebbe mai lasciato sfuggire l’occasione di essere molesto, non quel giorno, non con Yami.
Sfoggiò un sorriso malizioso e ambiguo, attingendo a tutta la dose di androgeni da adolescente accompagnata da anni in cui aveva imparato come sfruttare al meglio il linguaggio del corpo; rimaneva comunque un ragazzino, ma almeno non sembrava ridicolo mentre mostrava quel lato più sensuale e intrigante.
Non era seriamente interessato alla donna, voleva solo provocarla per quel perverso bisogno di bearsi delle reazioni degli esseri umani; e, se si stava impegnando a tal punto, poteva significare solo che aveva davanti a sé una persona interessante, qualcuno che valeva la pena stuzzicare per poi conoscere.
« Yami, ci siamo appena conosciuti e già mi vedi in quel modo? » Senza la minima esitazione si avvicinò e, con forse troppa lentezza, alzò l’ombrello in modo da coprire entrambi, senza interrompere il contatto visivo. « Solo gli innamorati stanno sotto lo stesso ombrello. » Ammiccò.
La cultura giapponese, con tutti i suoi paradossi e vincoli, aveva anche l’usanza che solo una coppia potesse stare sotto lo stesso ombrello. Era molto più comune vedere un ragazzo cedere il proprio ombrello alla ragazza ambita e tornare a casa sotto la pioggia invece che passeggiare insieme, come vorrebbe il buonsenso; l’onore prima di tutto, sarebbe stato decisamente sconveniente ospitare un’altra persona, visti da una società incredibilmente chiusa e rigida.
Era per questo che Seishiro non aveva proposto alla donna di ripararsi con lui, ma alla sua richiesta non aveva resistito alla possibilità di infrangere quella regola e di suscitare un po’ di imbarazzo.. -
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« No. » Seishiro rispose con incredibile naturalezza. « Non mi sembra affatto stupido. » Guardava la donna negli occhi, cercando ogni possibile reazione; probabilmente quelle parole non erano ciò che un’elettricista si aspettava di sentire, ma per una volta non le aveva pronunciate sapendolo e quindi con l’intento di provocare. Ci credeva davvero.
Strano come, sotto quella pioggia e in compagnia di Yami, Seishiro si sentisse abbastanza libero per parlare sinceramente, come se l’acqua potesse in qualche modo lavare ogni parola, con l’illusione che rimanesse solo un suono nel vento e non potesse colpire nessun animo.
Non sentiva la minima affinità con quella donna; rispettava le idee che erano emerse dalle sue parole, ma non facevano per lui. Non era così buono, non pensava che la natura lo avesse dotato di braccia per aiutare il prossimo. E, sicuramente, non considerava un gran problema non poter soccorrere un’altra persona a causa dei freni e limiti imposti dalla società.
Amare non significava quello, non solo almeno.
Non per lui.
Un ragionamento simile si poteva applicare alle restrizioni dell’uso del Quirk, con però una variante: sicuramente Seishiro non si sarebbe battuto per poter utilizzare il dono con cui era nato a vantaggio di altri, gli dava solo molto fastidio non poterlo fare per sé stesso; senza contare che lo irritava molto il fatto che non venisse mai capito. Solo perché non picchiava forte o non creava fiamme non significava che le sue abilità facessero schifo; erano mediocri, ma perché aveva iniziato da poco ad allenarsi seriamente per padroneggiarle, non perché le potenzialità fossero basse. I primi anni di scuola aveva incontrato solo bambini e, ancora più grave, insegnanti stupidi che non lo hanno mai incoraggiato a valorizzare il proprio Quirk. Se le cose fossero andate diversamente ora sarebbe potuto essere una persona molto diversa, magari addirittura uno dei tanti ragazzini che sognano di diventare eroi.
Chissà.
In ogni caso non era tipo da prendere parte a idee rivoluzionare; al massimo sarebbe rimasto a guardare, dando ogni tanto una spintarella quando necessario.
Per questo non proseguì quel punto del discorso di Yami, non voleva esporsi.
E, forse da qualche parte nel suo cuore, non desiderava mostrare tutta la propria insensibilità.
Non subito.
« La società è quella in cui viviamo in seguito a secoli ed anni di eventi storici; è, semplicemente, il frutto dello sviluppo di una certa cultura e la reazione a determinati avvenimenti. » Fece una breve pausa. Abbassò leggermente lo sguardo, poi tornò a guardare l’orizzonte, regalandosi un sorriso sghembo prima di tornare a parlare. « Questo non significa che a tutti debba andare bene, ovviamente. Ma non ha senso pensare che tradizioni e regole siano stupide: sono il risultato di secoli di storia. Come può essere stupido? E’ bellissimo, è l’eredità che la presenza dell’essere umano ci ha lasciato. » Si voltò nuovamente verso Yami; non aveva negli occhi lo stesso entusiasmo di prima, ma non v’era più traccia dell’apatia.
Il suo viso sembrava quasi rilassato, spaventosamente ordinario e normale per le parole che invece uscivano dalle sue labbra. « Ma è anche vero che chi è scontento si fa sempre sentire, prima o poi. Ed è giusto così, altrimenti una società rimarrebbe statica e moriremmo di noia. »
Ridacchiò. Spesso questi pensieri potevano sembrare fin troppo cinici per un adolescente, forse perché meno superficiali della media; in ogni caso, Seishiro credeva davvero in una sorta di ciclicità del tempo, rappresentandolo più come una spirale che come una linea: analizzando i vari periodi storici in relazione alle differenti parti del mondo, era inevitabile trovare dei punti fissi, variati in qualche dettaglio, ma che preservavano le caratteristiche principali. Tutto ritornava in una diversa forma, ripresentandosi e, spesso, portando agli stessi errori.
Rappresentare lo scorrere del tempo come una linea è, senza dubbio, un metodo pratico per la memorizzazione degli eventi. Tutti i bambini devono imparare certe date e ripeterle all’insegnante per ricevere una valutazione positiva.
Ma… se la Storia fosse anche altro?
Date ed eventi saranno sempre sui libri o sulle piattaforme digitali, quindi perché perdere anni della propria vita ad imparare e ripetere? Sicuramente può essere un buon esercizio per allenare la memoria, ma per Seishiro il tempo poteva essere speso in modo migliore.
Quindi era inevitabile che la conoscenza del passato doveva obbligatoriamente inserirsi in un contesto più profondo, non tanto come un insegnamento, ma più come la necessaria premessa per pensare. E perdersi nella spirale dello scorrere degli eventi.
Osservò la donna a lungo: come cercava spesso un contatto con i propri capelli – bellissimi anche gonfi di pioggia -, come i suoi modi fossero incredibilmente cortesi e dissonanti rispetto ad alcuni commenti espressi verbalmente, come le sue pallide gote si tingevano di leggero imbarazzo, segno di una qualche innocenza.
Stava iniziando a mettere insieme i pezzi di quel puzzle, delineando una personalità per Yami.
Nonostante tutto, gli sembrava una persona sicura di sé, che manifestava il proprio senso di giustizia senza la minima goffaggine. Inoltre era sagace e pronta ad affrontare una conversazione in cui, più che parlare, ci si punzecchiava; sapeva resistere alle sue provocazioni, reagendo in modo naturale e senza indignarsi, riuscendo anche a ribattere.
E, infine, v’era un’incognita: perché gli dava l’impressione di essere così sola?
Forse il fatto che si fosse fermata a parlare con uno sconosciuto gli stava dando un’impressione sbagliata. In realtà più che voler conversare, lo aveva rimproverato. Ecco, Yami era sicuramente buffa; ma si trattava di quel buffo carino, per nulla ridicolo.
Che credesse che anche lei fosse sola, perché in una giornata di pioggia non era da qualche parte circondata di amici?
Stava proiettando, non poteva permettersi di giudicarla solo perché era in strada, avrà avuto i suoi motivi.
Era lui quello senza amici a cui potersi veramente mostrare, dopotutto.
Sorrise, non senza un po’ d’amarezza a scuoterlo nel profondo.
« Sei troppo buona, Yami-san. O almeno ti presenti in questo modo. Dai, ti accompagno, così potrai raccontarmi tutto di quella storia. So che voi signore non vedete l'ora di parlottare del più e del meno. » Fece una linguaccia, ma quel gesto era intriso di purezza, non di malizia. Si era permesso un ultimo commento perchè era stata Yami stessa ad ironizzare, facendogli capire con una risata che sì, non le dava troppo fastidio qualche presa in giro.
Dopotutto era passato ad una forma colloquiale anche se non aveva ancora abbandonato gli onorifici.
Non era così dispettoso, alla fine.. -
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« Tutto il discorso sulle braccia che servono per aiutare gli altri non ti sembra avere molte di quelle caratteristiche che si definiscono buone? » Seishiro alzò un sopracciglio alla risposta della donna, quasi come se fosse sorpreso che non si rendesse conto dei messaggi che le parole portavano. « Dalle tue parole emerge un animo molto gentile, per questo dico che sei troppo buona. »
L’idea che buona parte delle energie fossero catalizzate verso uno scopo altruistico era associata inevitabilmente ad un cuore generoso e puro; in una società in cui ognuno si limita a fare il proprio interesse, sfruttando ogni errore dei propri rivali e approfittando di ciascuna opportunità, trovare pensieri così controcorrente era decisamente divertente.
Specialmente se pronunciati da un’elettricista.
Quelli erano quasi pensieri da eroe: volgersi al prossimo in modo disinteressato solo perché si trattava della cosa giusta da fare era la vocazione iniziale che aveva portato individui anonimi a diventare figure acclamate dai più. Poi tutto questo era, a detta di alcuni, degenerato verso la creazione di “falsi eroi”, avidi solo di popolarità e guadagno e ormai privi del vero spirito.
Questi accumulatori di denaro e fama avevano infangato l'immagine dell'eroe tradizionale.
Tutte stronzate.
In un mondo in cui si nasce con quelli che tempo addietro sarebbero stati definiti superpoteri perché chi li voleva utilizzare per l’ordine pubblico avrebbe dovuto avere solo pure idee di giustizia e avere in antipatia i soldi? Era un lavoro, nulla di più; permetteva di indossare un bel costume, mettersi in mostra con azioni buone e spettacolari e utilizzare al meglio le proprie abilità, ma sempre di un impiego si trattava. Anche gli eroi devono mangiare, cosa significa pensare che debbano salvare le persone gratis? Come puoi svolgere al meglio e a tempo pieno un’attività se devi pensare anche ad un altro lavoro per poterti mantenere?
Da sempre le forze di polizia o i militari hanno percepito uno stipendio, pur occupandosi di ordine pubblico.
Medici, infermieri e personale sanitatario dedicano la propria vita al migliorare quella degli altre e non lo fanno di certo perchè sono brave persone e vogliono aiutare tutti gratuitamente; certo, magari chi sceglie un lavoro che si occupa degli altri ha una certa sensibilità, ma non è un qualche santo che si immola in una vita di miseria per gli altri.
Ma scherziamo?
Erano idee assurde, ma interessanti, specchio dello scontento di chi non si rende conto dei complessi meccanismi che permettono ad un mondo civilizzato di continuare ad esistere.
Da sempre l’uomo è stato costretto a compromessi a causa della propria natura egoistica, altrimenti ora starebbero tutti vivendo felicemente e senza bisogno di un sistema monetario. Una grande famiglia felice che va d’amore e d’accordo.
Che aspettiamo? Salpiamo tutti per Utopia e immergiamoci con Thomas More nella bellezza illusoria di una società perfetta, sogno di una realtà di pace i cui pilastri sono cultura ed uguaglianza; dimentichiamo ogni male e lasciamoci avvolgere dall'ambiguità di un desiderio irrealizzabile che, alla fine, rimarrà solo impresso nei libri come monito di un mondo migliore.
Dimentichiamoci la bellezza della vita anche quando sembra ingiusta e difficile e danziamo attorno ad un fuoco, inebriandoci dei profumi di illusorie bontà; isoliamoci, tagliamo i ponti con tutto, ignoriamo secoli di civiltà che hanno portato solo guerra, cattiveria e infelicità; torniamo a scoprire i folletti e le fate nei boschi, giocando con le lucciole quando arriva sera e cantando insieme al vento.
Davvero?
Una noia mortale.
Seishiro non era decisamente una brava persona, ma forse questo lo rendeva abbastanza realista da conoscere la propria epoca e provare a comprenderla.
Pretendere di cambiare la natura stessa dell’uomo è pura follia: ci sono persone buone e persone cattive, persone altruiste ed altre avide, socievoli o introverse; ognuno è un piccolo miracolo, adornato da tutti i pregi e i difetti, in continua evoluzione in seguito agli eventi che si ritrovava a vivere.
Mai voltarsi indietro se non per fermarsi a guardare da dove si è partiti; la via è avanti, immersi nella spirale del tempo.
« Oh, davvero? » Rispose con incredulità ai commenti sulla tecnologia. « Io non amo per nulla gli smartphone, uso pochissimo il mio. » Eccolo. Non poteva mancare, perfettamente recitata, la menzogna quotidiana per soddisfare quel bisogno perverso di dire una falsità a qualcuno. « Però immagino siano comodi. Dovrei imparare ad usarlo di più, sicuramente eviterei di fare la figura di chi non sa nulla del mondo. » Ridacchiò innocentemente, ascoltando però attentamente come Yami riferiva la notizia.
Interessante. Vaga quanto bastava ma non eccessivamente da sembrare voluto.
Si trattenne abilmente dal farsi sfuggire un ghigno compiaciuto.
Avrebbe approfondito in seguito, magari una volta arrivati sul posto.
« Oh, capisco. Che situazione curiosa. » Rispose con un cenno del capo, rimanendo il ragazzino normale e sereno che camminava sotto la pioggia ospitando sotto l’ombrello una donna bellissima.
Camminarono ancora un po', poi Seishiro decise che poteva permettersi di porre una domanda. Questa volta non si voltò in direzione della donna, quasi come a dare l'impressione che si trattasse solo di un modo per passare il tempo e non di un quesito con un secondo fine. Parlava con tono calmo, una classica conversazione, inaspettatamente senza ambiguità nei toni e nei modi.
Diretta e semplice, quel tipo di domande a cui anche essere elusivi è dare una risposta.
« Yami-san, cosa ne pensi degli eroi? » Lanciò il sasso, sperando che l’incresparsi dell’acqua si rivelasse meno banale dei discorsi medi. « Ormai ho capito che ti da fastidio avere restrizioni per l’uso del Quirk e rispetto il tuo pensiero, ma del mestiere dell’eroe cosa pensi? » Parlava con una leggerezza discordante dalla profondità e pericolosità dei temi toccati.
Sarebbe stato molto curioso ricevere una risposta non conforme ai valori riconosciuti della società, dopotutto erano due perfetti sconosciuti e certe domande è bene che rimangano senza risposta. Diciamo che una certa notte aveva avuto molti indizi sul fatto che è meglio non fare il curioso, ma ogni tentativo di buonsenso era fallito miseramente.
In cuor suo, Seishiro sperava di ricevere qualcosa, un segno, un piccione viaggiatore, qualsiasi cosa - anche se il massimo sarebbe stata una semplice risposta -; voleva la prova che Yami fosse davvero una donna degna d’attenzione e non una semplice moralista, ne aveva davvero bisogno.
E poi aveva una domanda ancora più esplosiva, ma per il momento poteva aspettare.. -
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» Seishiro Harada
Livello 2
Esperienza 100
Energia 100
Forza 10
Quirk 50
Agilità 15
Danni: //
Tecniche: //
Equipaggiamento: //
» Scheda « » Quirk «Narrato Parlato Pensato
Ascoltò attentamente ogni parola, registrando e catalogando ogni informazione, dalle indiscrezioni su una passata vita difficile fino al quasi monologo in risposta alla sua domanda.
Era davvero difficile mantenere un’espressione interessata ma neutra, perché avrebbe davvero voluto esibirsi in un sorriso divertito ad ogni frase.
Ignorò anche la scortesia che lo starnuto in pubblico comportava, concentrato solo ed esclusivamente sul cercare il modo più adatto per chiedere quella cosa.
L’improvviso contatto fisico che il gesto della donna comportò, però, lo destabilizzò per un attimo.
Lo stava trattando come un bambino?
Ovviamente non riteneva buona norma toccarsi durante un dialogo, forse per cultura, forse per la necessità di non mettersi mai in prima persona e lasciare che ogni maschera recitasse come tale; eppure, quel banale scompigliargli i capelli sembrava aver toccato delle corde che da tanto tempo erano rimaste immobili.
Perchè si cerca un contatto con gli altri? In situazioni formali ed eleganti è scortese farlo, ma risulta eccessivamente pesante perché non lo si desidera. In famiglia, invece, ogni abbraccio, ogni carezza è sempre la benvenuta.
Il linguaggio non verbale comprende anche la gestualità, mostrando all’interlocutore che tipo di rapporto si desidera avere: ridurre la distanza, toccare, cercare lo sguardo, tutti erano semplici maniere per portare su un piano più confidenziale, più intimo e, in alcuni casi, più sincero.
Seishiro si riteneva leggermente infastidito da quel gesto: Yami non aveva mai effettivamente smesso ti armeggiare con i propri bellissimi e zuppi capelli, rimanendo inevitabilmente con le mani umide, con la conseguenza di bagnare leggermente anche la testa del ragazzo, prudentemente tenuta sotto l’ombrello proprio per evitare spiacevoli imprevisti come quello.
Senza contare che, un comportamento del genere, si adotta spesso con fare canzonatorio e non solo affettuoso; dato che si conoscevano da nemmeno un’ora, era da escludere il coinvolgimento di qualche sentimento positivo, lasciando come opzione solo lo scherno.
Male.
D’altra parte, Seishiro aveva l’impressione che quella donna fosse fin troppo spontanea ed autentica, quindi non poteva escludere che per lei fosse una maniera molto contorta di sembrare simpatica.
Interessante.
E, in qualche modo, prevedibile per una persona che aveva appena professato come ognuno dovesse essere libero d'essere sè stesso, cosa che comprendeva anche la libertà di utilizzare il proprio Quirk nel rispetto della legge.
Seishiro era d'accordo su questo, non poteva negarlo, ma non era nemmeno obbligato a esprimerlo, quindi non commentò; forse Yami avrebbe potuto intravedere una nota d'approvazione nel suo sguardo, ma non pensava che la donna fosse così interessata alle sue reazioni.
Si impose di non soffermarsi troppo su quelle questioni, aveva decisamente qualcosa di più importante su cui concentrarsi.
Senza dare a vedere il proprio fastidio per il gesto non necessario, si lasciò andare ad un sorriso timido e sottile, preparandosi a rispondere.
« Invece che fingere che mi interessi così tanto di All Might, Iron Man o Titania, sarò sincero con te Yami-san: ho una domanda scomoda da porre. Magari, però, un’elettricista può darmi la risposta che cerco. »
Perchè rispondere ad un quesito che non avrebbe portato a nulla di utile? Avere conversazioni leggere era piacevole: stemperavano spesso le piccole difficoltà quotidiane, allontanando per un attimo la mente dai pensieri più duri, permettendole piccole pause per poter essere ancora più attiva al momento del bisogno.
Ora non era il momento di parlottare per il semplice gusto di farlo, non dopo il discorso che aveva fatto Yami, con il tono pacato di chi sta semplicemente esponendo le proprie idee ma anche la determinazione di chi non è disposto ad abbandonarle.
Se non si va, non si vede, se non si prova non si saprà mai l’esito di un’azione, se non si coglie il momento esso sarà perso per sempre, scivolando nello scorrere del tempo.
E, spesso, non sappiamo scegliere il giusto tempismo, rinunciando a buttarci più che per paura che altro, scegliendo di non scegliere nell'illusione che questo non avrà conseguenze, aprendo le porte alla venuta di rimorso e rimpianto, così bisognosi d'attaccarsi ad un'anima ed esistere con essa.
Meglio compiere errori e poi schiedere scusa oppure attendere sempre?
Per un ormai abituato osservatore come Seishiro non era per nulla facile fare un passo sul palcoscenico della vita, mettendosi in gioco sotto i riflettori senza veli e finzione.
Tuttavia, si era preparato, costruendo giorno dopo giorno i protagonisti che lo avrebbero schermato da quelle luci, dando loro un ruolo, dei simboli e tutto quanto potesse essere utile per renderli vivi, così da poterli indossare e sentire come proprie quelle qualità.
Shizuka non era un nome scelto solo per via del bel suono; nomen omen, dopotutto.
Shizuka lo avrebbe custodito e protetto, lasciandolo libero d'essere sè stesso, di essere Seishiro proprio perchè sapeva che la maschera glielo permetteva, in un contorto gioco psicologico che il ragazzo aveva fatto con sè stesso.
Dopotutto, solo chi non ha nulla da perdere o è folle non prova paura.
Poi, c'è chi scopre come accettarla e comprenderla.
Cercò nuovamente il contatto visivo, mostrando un volto incredibilmente impassibile per ciò che stava domandando.
E si buttò.
« Cosa puoi dirmi di Madame de Stael? ». -
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» Seishiro Harada
Livello 2
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Se per lui la questione non fosse incredibilmente seria, Seishiro sarebbe scoppiato a ridere allo scherzo di Yami.
Non lo fece, anzi non si mosse di un millimetro, fissandola con un’espressione totalmente neutra, forse troppo adulta e giudicante per la sua età.
Fu molto deluso dal non aver trovato nell’europea una buona informatrice in merito, ma d’altra parte era anche la prima occasione che aveva di chiedere una cosa del genere in modo diretto. Almeno aveva tentato.
Sospirò e per qualche secondo si limitò a guardare lontano, forse in cerca delle parole più adatte.
Non pensò ad uno stratagemma per tessere una menzogna, non meditò sulla possibilità di dire il vero o almeno una parte.
Non si trattenne non tanto per mancata prudenza, ma per scelta.
Forse era solo un illuso, forse era solo un inguaribile irresponsabile incapace di incanalare le proprie paranoie nella maniera corretta.
O forse aveva visto pochi inverni per poter gestire in modo decente la propria vita.
Inaspettatamente, si avvicinò, rompendo quella convenzione giapponese per cui era più che necessario mantenere certe distanze per una buona conversazione.
« No. Non faceva per niente ridere Yami.san. E sai perché? »
Era infinitamente serio, al limite della rabbia, troppo vero per essere l’ennesima maschera.
Nei suoi occhi v’era ora un mondo; doveva cercarlo il profondità, superando quella maliziosa spavalderia che sempre si annidava nelle sue iridi turchesi. Ma la donna era già passata oltre, scoprendo che il quel mare dalle dolci tonalità dell’azzurro s’annidavano sentimenti tenuti a bada forse da troppo tempo.
Ora scorgeva qualcosa che era rimasto incatenato forse da sempre: faceva fatica a muoversi, ma, non appena si rese conto della libertà ottenuta, sembrò avvampare e rinvigorirsi, alimentandosi e crescendo. Arrivava. Stava correndo. Urlava e ringhiava, una forza roboante e violenta, pronta a riversarsi fuori da quel fragile corpo.
E invece non arrivò mai, trattenuta da una calma terrificante, una compostezza padroneggiata solo da chi per anni si esercita nell’arte dell’inganno, imparando come mascherare ogni emozione, ogni sospiro, ogni sguardo, scomponendolo e ricreandolo plasmato alla maniera più opportuna.
Ma forse era stata tutta un’impressione.
Infatti Seishiro parlò con un tono sufficientemente pacato ma non abbastanza per nascondere una nota di rabbia.
« Quella donna ha provato a rapirmi. »
Era una nota di paura quella che Yami aveva scorto nel profondo degli occhi del ragazzo?
Beh, sarebbe stato comprensibile, umano, normale.
Erano passati numerosi giorni da quando Seishiro era stato coinvolto in una serata decisamente fuori dal comune, attirato in una trappola dove aveva fatto di tutto per provocare e stuzzicare, salvato all’ultimo per la bontà di un animo.
Eppure la sensazione opprimente dell’ansia non era sparita. Per fortuna, a dire il vero.
Il dubbio lo manteneva vigile, attento e più prudente di quanto sarebbe stato se fosse andato davvero tutto liscio; in realtà, aveva un vero asso nella manica contro la Madame, una vera bomba ad orologeria pronta ad esplodere: non solo sarebbe stato in grado di fornire una perfetta descrizione fisica della donna – che aveva prudentemente già scritto prima di dimenticare dettagli importanti – ma possedeva una registrazione integrale di cosa era accaduto quella notte. Ne aveva svariate copie ormai, aveva fatto in modo di avere un numero di backup consoni alle proprie compulsioni.
Era nato tutto come uno scherzo, una cosa da fare perché poteva essere divertente intrufolarsi superando la sicurezza con un registratore in tasca, ma alla fine gli aveva fornito uno strumento decisamente pericoloso. Sperava solo che la Madame ne fosse all’oscuro per poter vedere una sua eventuale reazione, ma anche al corrente di tutto non avrebbe fatto differenza: aveva la prova che quella donna aveva provato a rapire un minore per tenerlo come giocattolino da buttare via poco dopo. Non sarebbe stato difficile per un avvocato mediocre scaricarle addosso delle accuse pesantissime, facendo crollare il suo castello di carte e quello di tutti gli altri politici con cui era ammanicata, figuriamoci per un ottimo avvocato come quello che poteva permettersi la famiglia Harada! Avrebbe coinvolto anche gli eroi, non si sarebbe fatto scrupoli pur di eliminarla e vederla perdere ogni cosa; solo nell’eventualità che fosse nuovamente lei a cercarlo, non contenta dell’esito del loro primo incontro.
L’unica sfortuna della donna era di aver provato a fregare un minore particolarmente bravo a millantare e conscio di potersi appellare ad una discreta quantità di articoli e decreti sui diritti umani.
Cercò gli occhi di Yami, ma non aggiunse altro, rimanendo con lo sguardo saldo e, in qualche modo, determinato.
Non rispose alle domande della donna, non lasciò intendere nulla.
Aveva già detto molto, decidendo di rivelare un segreto così profondo all’unica sconosciuta che in una strada si era voltata per tendere la mano alla vittima di un furto, affidando un piccolo pezzo della propria storia non ad un’eroina, ma ad una donna dal buon cuore e lo sguardo di ghiaccio.
Aveva già gettato alcune maschere con lei, lasciandosi la libertà che solo Shizuka poteva concedergli.
Magari sarebbe riuscito a conoscere davvero qualcuno questa volta..