Sbiaditi attimi

Role tra exquisite†corpses e ~Wyrd

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    » Seishiro Harada


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    » Scheda « » Quirk «

    Narrato Parlato Pensato



    So until the next time
    Have a good sin

    ~ ♫ ~
    Seven deadly sins
    Seven ways to win
    Seven holy paths to hell

    Seven downward slopes
    Seven bloodied hopes
    Seven are your burning fires
    Seven your desires.....



    Pioveva.
    Non si trattava di una pioggia implacabile e spietata, ma di quelle goccioline fastidiose e incessanti che all’inizio sembrano quasi una brezza fresca e allegra, ma infide entrano fin nelle ossa, umide e crudeli, alla ricerca di un disperato abbraccio troppo freddo per essere sincero.
    Era decisamente uno di quei giorni in cui per uscire di casa serviva un buon motivo.
    In giornate come quelle, le strade di Tokyo si riempivano di ombrelli, dai più colorati ai più neutri, ed ognuno portava con sé la storia di una povera anima costretta ad abbandonare l’asciutto per immergersi nella quotidianità o, per i più fortunati, in qualcosa di meno ordinario.

    Seishiro Harada si trovava sotto uno di quegli ombrelli; la sua storia era quanto di più semplice e noioso ci fosse: in casa si sentiva stretto, si annoiava e aveva deciso di fare una passeggiata.
    Tempo perfetto per l’umore malmostoso e malinconico del ragazzo; era passato del tempo da quando si era immerso in un mondo nuovo, pericoloso ma eccitante, e la quiete degli ultimi giorni gli dava una strana sensazione.
    Non che durante il giorno non sapesse come divertirsi – aveva videogiochi, chat e libri ad intrattenerlo – ma una volta sperimentato qualcosa di non usuale, un animo avido e curioso non può far altro che desiderarne ancora.
    Dunque aveva indossato abiti comodi, una lente a contatto bianca sull’occhio sinistro giusto per provare il nuovo paio appena arrivato e si era buttato nelle strade, vagando senza una una meta precisa.
    Camminare aveva un effetto terapeutico per la sua mente paranoide: il ritmico movimento delle gambe, i passi tutti della stessa lunghezza… erano davvero come balsamo pronto a lenire quell’insano bisogno di ordine. Senza contare che passeggiare sotto la pioggia era un ottimo modo per pensare senza essere disturbato.
    Quando piove, nessuno si preoccupa di lanciare occhiate agli altri passanti, ognuno è preoccupato di tornare a casa in fretta per togliersi quegli abiti umidicci e godersi un bagno caldo. Nelle giornate uggiose si poteva diventare quasi invisibili, pur rimanendo sotto gli occhi di tutti e Seishiro amava quella sensazione.
    Si era diretto nella zona del porto, forse per vedere la pioggia riversarsi nel mare, forse perché vicino ai canali diventava meno affollata, così da poter scegliere se immergersi fra i passanti o se fermarsi per godersi qualche attimo di quiete, nel silenzio interrotto solo dal leggero battito della pioggia sull’ombrello.

    Si fermò in una piazzetta quasi per nulla frequentata, appena poco lontana dalla strada principale, con vista sul Rainbow Bridge.
    Trascorse qualche minuto in piedi, solo con i propri pensieri e il proprio respiro, finché un urlo alla sua sinistra non lo fece voltare.
    Una donna era stata presa di mira da un gruppetto di ragazzi; un classico, al limite del banale.
    Avrebbe ignorato la cosa senza tanti sensi di colpa, non era abbastanza interessante.
    Oh, erano rumori di lotta.
    Poverina.
    Un vero peccato che non ci fosse nessun eroe pronto ad intervenire per salvarla da quella brutta situazione.
    Un urlo, qualche colpo e poi dei passi.
    Voltò appena il capo, per ritrovarsi a pochi metri la signora, il volto rigato di lacrime miste a gocce di pioggia e i capelli in disordine.

    « Mi aiuti, per favore! Mi… mi hanno rubato la borsa… »

    Seishiro la fissò e si sorprese perfettamente in grado di mantenere il controllo dell’espressione seria che lo caratterizzava; sarebbe infatti stato davvero scortese scoppiare in una fragorosa risata davanti alla donna.
    Davvero?
    Davvero stava chiedendo ad un ragazzino di fare qualcosa contro un gruppo di ladri? Chi pensava fosse? Un eroe solitario in pattugliamento sotto la pioggia? Pensava che avrebbe intrapreso un inseguimento insensato tra la folla, urlando a degli individui non ben precisati di fermarsi? In nome di cosa? Dell’onestà? A dei ladri?
    Era troppo divertente.

    « Scusi, ma cosa pensa potrei fare? Correre e raggiungerli? E poi? Guardarli male finché non saranno pentiti e restituiranno il maltolto? » Inarcò un sopracciglio. « Al massimo posso prestarle il mio telefono per chiamare la polizia, ma non arriverebbero mai in tempo. O può provare a farsi giustizia da sola, ma immagino che verrebbe arrestata anche se è la vittima del furto, dopotutto non è consentito l’utilizzo del Quirk senza una qualche licenza.»

    Sospirò, provando un po’ di amarezza più per la banalità della situazione che per il gesto disonesto dei ladri. Non era la prima persona non tutelata a dovere dalla giustizia e non sarà stata nemmeno l’ultima.

    « Le conviene sporgere denuncia e avere fiducia che un eroe professionista riesca a catturarli. Questo mondo va così. »

    Guardò la donna con un’impassibilità agghiacciante e giudicante, insensibile al suo pianto.
    Però aveva preso il telefono dalla tasca, sarebbe stato almeno abbastanza umano da regalarle una telefonata.
    Era bugiardo, non vuoto; aveva un’anima e se la teneva stretta.
    Curioso, però, che questa volta avesse dimenticato di indossare la maschera del bravo ragazzo preoccupato e disponibile, rimanendo sé stesso di fronte a una persona dopo tanto tempo.

    Lei, infine, si allontanò sconsolata, senza approfittare della cortesia del ragazzo, forse perché scossa dalle sue parole, forse per semplice rassegnazione, e si immerse tra la folla, scomparendo.

    Seishiro tornò a guardare il ponte, non senza un po’ di delusione.
    Non era nemmeno una strada secondaria, era solo una piazza in cui il flusso di persone non si riversava, eppure nessuno sembrava aver notato il fatto.
    C’erano state urla e una minima colluttazione, ma nulla si era mosso.
    Davvero viveva in un mondo così abituato all’ingiustizia e all’intervento risolutivo degli eroi da non notare nemmeno più dettagli del genere? Oppure era semplice indifferenza ai problemi altrui, troppo concentrati ad inventarne sempre nuovi per sé stessi?
    Che strana vita.
    Riflettere su questo argomento sarebbe stato interessante, accompagnato dalla melodia che la pioggia stava suonando per lui.
    Non era abbastanza empatico da essere preoccupato per la donna, ma era abbastanza sensibile per rendersi conto di come fosse stato ingiusto ritrovarsi impotente e che frustrazione possa aver provato sapendo che, se anche avesse usato il proprio Quirk, non sarebbe mai stata nel giusto.
    Lasciò vagare lo sguardo lontano.
    Forse le sue parole dure le avrebbero fatto capire qualcosa invece di demoralizzarla.
    Chissà.
     
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    Era passato qualche giorno da quando Yami si era misurata col ragazzo dai capelli neri e il vestito elegante di nome Daisuke. La giovane svedese aveva aperto gli occhi con la vibrazione del telefono accompagnata dal suono di centinaia di migliaia di gocce d'acqua che, noncuranti della loro vita, si buttavano sui tetti e sull'asfalto ed esplodevano come tanti piccoli fuochi d'artificio. Coi capelli arruffati per il tempo, guardò fuori dalla finestra. La ragazza abitava praticamente fuori da Tokyo. Se si voltava a sinistra vedeva grigiore e palazzi fino all'orizzonte, se guardava a sinistra c'era solo verde finchè l'occhio non si perdeva e lo mescolava con l'azzurro del cielo. Quel giorno, però, era grigio da entrambe le parti. Delle grosse nuvole, come incrociatori extraterresti in un qualche film di fantascienza di serie B, sorvolavano la capitale asiatica riversando pioggia. Erano le dieci di mattina, più o meno. Si fece un the e rimase, per la mattinata, a guardare il cielo dalla finestra. Alla giovane piaceva la pioggia - nonostante amasse il Sole - ma la rendeva decisamente malinconica. Quello, poi, era il primo temporale a cui assisteva da quando si era liberata di Yama. Aveva comunque dei piani per quella giornata. Fatto il pranzo, si preparò per uscire. Mise dei jeans skinny neri, un paio di vans nere e una maglia - attenzione attenzione, nera anch'essa - molto larga, infilata nei pantaloni in modo da cadere leggera sul davanti e chiusa da una cintura di tipo militare. Per coprirsi dalla pioggia, prese solamente una giacca da biker in pelle nera. Chiuse a chiave e si mosse verso Tokyo. Molte persone - la maggioranza dei giapponesi a dire il vero - utilizzava gli ombrelli in quei casi di necessità. Forse era la sua predisposizione per la natura o la sua sfiducia nel progresso dell'uomo, ma non aveva mai capito il bisogno di schermarsi da quattro gocce di pioggia. Tanto tempo fa, le avevano detto, la vita era nata proprio in acqua. Anche colonizzata la terra aveva dovuto sviluppare un uovo acquoso al suo interno per garantire un ambiente ottimale. Ancora oggi, gli uomini erano composti al settanta percento d'acqua e dovevano berne in continuazione. Nonostante questo riuscivano a preoccuparsi per un po' di pioggia? Prese il pullman per il centro della città.
    Le cuffiette nelle orecchie riproducevano il self title dei Front Bottoms. Quel disco aveva ormai nove anni ma restava uno dei suoi preferiti. Molte canzoni erano allegre, almeno musicalmente, e stonavano con l'atmosfera fuori dal mezzo di trasporto: le serviva per non farsi trascinare a picco dal meteo. L'obbiettivo di Yami era fondamentalmente un qualche negozio di sport. Dopo il combattimento con Daisuke si era resa conto di quanto fosse nauseabondo l'odore di carne bruciata, doveva comprare un qualche tipo di mascherina e sapeva di poterle trovare lì. Su internet aveva letto buone parole su un certo Decathlon ma l'unica sede giapponese era ancora Osaka. Solitamente Yami apparteneva a tutto un altro genere di vestiario, per cui non era molto esperta. Si diresse quindi da Nike Harajuku: un grosso buco nell'acqua. Probabilmente avrebbe fatto meglio a chiedere qualcosa di apposito ad Orochimaru sin dall'inizio. In vena di buchi nell'acqua, prese un paio di mezzi per dirigersi al porto. Con quel tempo, trovava rilassate vedere le gocce d'acqua perdersi nel mare. La faceva sentire come se tutto prima o poi finisse al proprio posto.
    Da lì, poi, si poteva avere una buona vista su Tokyo Disneyland, seppur da lontano. Voleva vedere come fosse la situazione con quella casa degli specchi in cui aveva lottato un po' più di una settimana prima. Voleva assicurarsi che fosse davvero sparito, sperando fosse una costruzione di quel bizzarro Yakuza e non una futura attrazione in via di sviluppo. Coi pugni nelle tasche della giacca, giunta in prossimità del porto si tolse le cuffiette. Voleva sentire il rumore delle gocce infrangersi sul muro blu del mare. Attraversato a piedi il Rainbow Bridge dal percorso pedonale di destra, era ormai circondata dal mare. Da lì, in lontananza si poteva vedere il Monte Fuji. Non quel giorno, però. Le nuvole offuscavano tutto come un orribile presagio, ma sapeva benissimo che quella era probabilmente una giornata come tante. Poco dopo il ponte vi erano vari piccoli parchetti pubblici. La sua idea era di raggiungere il Dinosaur Bridge per una vista ottimale, ma delle urla la attirarono. Voltandosi, riuscì a vedere dei ragazzi scappare e una signora in lacrime. Affrettando il passo si avvicinò alla scena. La donna, che aveva perso l'ombrello nella lotta, stava chiedendo aiuto ad un ragazzino. La pioggia si mescolava alle sue lacrime. Yami si avvicinò: i ragazzi erano ormai troppo lontani e non poteva far nulla per raggiungerli. Sotto l'acqua, poi, non era sicura di come si sarebbero comportati i suoi capelli e - soprattutto - se avrebbe disintegrato i vestiti con le fiamme. Avvicinandosi, riuscì a sentire le ultime parole del ragazzino. La donna aveva chiesto aiuto e il giovane si era rifiutato, specificando che avrebbe dovuto sperare nell'aiuto di un eroe professionista e che utilizzare la propria unicità in pubblico era illegale. Vero ma non necessariamente giusto, anzi.
    Va tutto bene, signora? - chiese con gentilezza, mentre il ragazzino a cui la donna aveva chiesto aiuto si era voltato di nuovo verso il ponte, coperto dal suo ombrello - Ho visto tutto da lontano e non ho fatto in tempo per fermarli, mi spiace. - sorrise per rassicurarla, accennando un inchino. In fondo era già ricercata per altre questioni, usare i propri poteri per aiutare qualcuno non era di certo un problema. Il vero problema sarebbe stato scappare dopo averlo fatto. La donna si allontanò sconsolata.
    Sai bene che nessun eroe si muoverà per un furto del genere, vero? - domandò quindi al giovane. Aveva intravisto i suoi capelli neri e gli occhi bianchi. Un tocco particolare ma nulla di cui stupirsi in un mondo del genere. A dire il vero il ragazzo aveva una lente a contatto sull'occhio sinistro ma era l'unico profilo che la svedese aveva visto per ora.
    La sua reticenza per l'agire era certamente comprensibile ma la giovane non capiva comunque come le persone potessero essere così egoiste. Certo, forse agire usando il suo quirk l'avrebbe resa una "vigilante"? Le categorie erano troppo rigide. Nella sua visione, tutti avrebbero dovuto avere la possibilità di utilizzare la propria unicità. Quel sistema non funzionava: i criminali usavano i propri poteri senza remore, consci che quirk più o quirk meno una volta commesso un crimine avrebbero comunque dovuto pagare. Per questo le persone avevano timore persino a difendersi a mani nude, consce che gli altri avrebbero potuto reagire ben più violentamente. Doveva realizzare il suo sogno in fretta, era evidente che quel mondo ne aveva bisogno.
    Potevi anche essere più gentile, comunque. - aggiunse voltandosi verso il ragazzo.

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    Yami Dødson - LVL 7

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    » Scheda « » Quirk «

    Narrato Parlato Pensato



    Una voce femminile, diversa della precedente, spezzò la magia della pioggia.
    Le sue parole erano ferme, quasi severe, ma sopratutto inaspettate.
    Piacevolmente, a dire il vero.

    « Certo. E anche lei lo sa, per questo non ha telefonato. »

    Seishirò si voltò, dunque. Non poteva negare che una conversazione con l’unica persona che si era preoccupata dell’accaduto non fosse degna d’interesse; anche perché l’esistenza stessa di quella donna gli aveva dato torto sull’indifferenza della gente. Si meritava il massimo dell’attenzione.
    La prima cosa che pensò di lei fu, banalmente, relativa alla sua bellezza: era alta, magra con lunghi capelli chiari e occhi di ghiaccio, una bellezza del Nord Europa. Forse era russa? Non aveva avuto di conoscere molti europei nella propria vita, faceva fatica ad assegnare una provenienza precisa, ma almeno riusciva a collocarli sommariamente.
    In alcuni ambienti che frequentava andava molto di moda cercare di sembrare più occidentali con vestiario e make up, tanto che molte ragazzine indossavano abitualmente circle lenses di ampio diametro, per dare l’illusione di avere un occhio meno orientale.
    Quella donna aveva degli occhi grandi, bellissimi, velati da un sentimento che Seishiro non sapeva identificare; che fosse arrabbiata con lui? No, non credeva di essere così importante; doveva essere qualcosa d’altro, di più incisivo.
    Si trattava di una persona giovane ma matura e – confessò di essersi soffermato sulle curve del corpo evidenziate dall’abbigliamento – con buon gusto nella scelta dell’abbigliamento, anche se monocromatico. Non che lui si fosse dilettato in abbinamenti fantasiosi, ripiegando allo stesso modo su colori scuri e neutri, quasi fosse un modo per non offendere il brutto tempo.
    Tuttavia non era semplicemente bella e decisamente poco ordinaria, v’era qualcosa in più, adesso si trattava solo di scoprire di cosa si trattasse esattamente.
    Che fosse una persona buona non v’era dubbio, non dopo le sue azioni e le sue parole che suonavano decisamente come un rimprovero. L’idea che potesse essere una di quelle persone definite comunemente “vigilantes” si presentò quasi subito, affiancata da quella che fosse semplicemente impegnata nel combattere le ingiustizie a modo proprio, magari addirittura con propaganda e chissà quali altri stratagemmi.
    Ma non v’era dubbio quella donna doveva avere una profonda conoscenza della società in cui viveva, tanto da aver smascherato uno degli effettivi problemi del loro tempo.
    Seishiro non riteneva che questo rendesse il mondo sbagliato, ma trovava importante rendersi conto dei paradossi e dei limiti per poter effettivamente vivere e non limitarsi ad esistere; scegliere se accettarli o sfidarli era parte fondamentale del creare emozioni.
    Che scelta aveva fatto la bionda? Come aveva deciso di vivere?
    Forse avrebbe avuto occasione di scoprirlo, se avesse suscitato in lei qualcosa di abbastanza forte da farla restare a parlare almeno per qualche minuto.

    La risposta di Seishiro alla donna fu piatta, atona e accompagnata da uno sguardo indecifrabile; forse per via della lente bianca, forse per il riflesso dell’acqua, negli occhi del ragazzo non si riusciva a leggere nulla. Non v’era la minima emozione, come se fosse assolutamente vuoto, quasi agghiacciante. I giapponesi sembravano tutti sempre più giovani di quanto non fossero davvero, ma in ogni caso quello era sicuramente un ragazzino – avrà avuto almeno quindici anni - ed un’espressione del genere non era esattamente rassicurante; poteva essere un problema generazionale e la situazione sarebbe stata decisamente grave, oppure si trattava semplicemente di un individuo insolito.
    O, forse, era per la lente bianca, spersonalizzante e decisamente irreale.
    Ma, dopotutto, l’altro occhio, di un azzurro intenso, non mentiva; e non mostrava nulla.

    « Sì. Avrei potuto essere molto più cortese, cercando anche di consolarla. » Cercò di stabilire un contatto visivo fisso. « Ma la domanda è: perché avrei dovuto? Cosa si ottiene ad essere cortesi? »

    No, basta! Stava esagerando, non poteva esporsi in quel modo davanti ad una perfetta sconosciuta, poteva provocarla anche in maniera differente, dannazione.
    Oh, ma lo voleva così disperatamente, aveva bisogno di sentirsi di nuovo vivo, di essere la persona che desiderava, di spogliarsi d’ogni bugia e poter urlare quel suo amore per la vita.
    No, no, stava quasi per tremare, doveva contenersi.
    Fece un respiro leggermente più profondo degli altri e sbattè le palpebre.

    « Non mi interessa di essere stato uno stronzo se la prossima volta reagirà invece che limitarsi a lasciarsi vivere. »

    Un leggero ghigno piegò le sue labbra, accompagnato da una strana luce negli occhi, rendendoli improvvisamente profondi con una punta di malizia; qualcosa si era acceso con un’intensità incredibile, mostrandosi per un attimo, una toccata e fuga, sopita immediatamente come se non fosse mai esistita, nascosta agli occhi del mondo ma pronta a divampare nuovamente.
    Eppure, quel secondo aveva portato con sé sentimenti tutti aggrovigliati, mischiati così che non vi fossero più distinzioni; paura, eccitazione, curiosità, malinconia, noia, fu una piccola esplosione che Seishiro si concesse, questa volta più per sé stesso che per vedere la reazione della donna.

    « Sarebbe davvero interessante. » Abbassò lo sguardo, il viso nuovamente piatto. « Ma molto probabilmente non succederà non succederà. Un vero peccato che questo mondo sia statico. Pazienza. »

    Poi un’ultima occhiata accompagnata da un sorriso sghembo. Che fosse imbarazzo?

    « Almeno ho scambiato qualche parola con una donna bellissima. »
     
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    Si voltò verso il ragazzo con l'ombrello, pronunciando quelle parole. Yami, in realtà, non era proprio nessuno per far quel tipo di predica. Scappata inevitabilmente di casa quando neanche aveva quindici anni, era da allora che viveva da sola. Certo, relativamente da sola. Suo fratello era con lei, ma nessun altro. La prima notte dopo la fuga aveva provato a stare a casa di una sua amica ma quando la notizia del brutale omicidio dei suoi genitori si diffuse, non poté fare altro che abbandonare anche quel legame. I primi quattro anni li visse in totale isolamento, cercando un modo per sopravvivere. Solo grazie a Yoshimura al Soseiji aveva iniziato a fare qualche conoscenza ma la maggior parte sparivano dopo neppure un giorno. Solo ultimamente aveva iniziato ad avere un paio di conoscenze che continuavano ad orbitarle attorno: Ryo, Daisuke, Yuya. La svedese non sembrava attirare molte figure femminili, aveva conosciuto solo una ragazzina una sera al parco ma era sparita nel nulla ben prima del dovuto. Il rapporto con suo fratello non era certo dei migliori ma proprio per questo, nonostante solo ora che si era liberata di lui potesse affacciarsi verso una vita più o meno normale in quel mondo, aveva deciso di essere il più gentile possibile. Certo, perlomeno con coloro che non facevano qualcosa per meritarsi il contrario.
    Il ragazzo non aveva davvero gli occhi bianchi: l'iride di uno dei due era di quel colore ma l'altro, per quanto chiaro, era azzurro proprio come quelli della svedese. Una strana eterocromia che non aveva mai visto neppure su internet: probabilmente si trattava di lenti a contatto come andava di moda. Bisognava solo scoprire quale dei due fosse quello originale. Yami non era mai stata una fan di quelle cose: prima che Orochimaru le rifacesse il guardaroba si vestiva spesso in stile Barocco francese: molti gruppi visual kei si vestivano in quel modo e anche alcune delle sue amate band emo abbracciavano uno stile simile a quello di tanto in tanto. Non aveva però mai provato a modificare il suo corpo né con tatuaggi, né lenti a contatto e neppure piercing: non aveva neppure gli orecchini. L'unica altra persona che conosceva che utilizzasse le lenti a contatto era Yuya, per motivi di lavoro. Era palese - però - che quel ragazzino non facesse certamente quel mestiere. La sua risposta, comunque, era facilmente dimenticabile visto che diede semplicemente ragione alla giovane dai capelli bianchi. Il modo con cui si espresse - però - non lo era per nulla. La mancanza totale di emozioni nella sua voce e nel suo sguardo non poteva che ricordarle Daisuke. Per fortuna quel ragazzo, a differenza dell'amico di Ryo, non sembrava altrettanto loquace. Fissandola, comunque, continuò a parlare, spiegando che essere cortesi - a suo modo di vedere - era completamente inutile. Lì per lì la giovane europea non rispose, visto che le sembrava più una domanda retorica che altro. La risposta poi era ovvia: nulla. Neppure lei aveva ottenuto qualcosa dall'essere gentile con quella signora che era stata derubata. Probabilmente però, mentre Yami non si aspettava certamente un tornaconto per ogni mossa fatta sulla scacchiera della vita, quel giovane la pensava diversamente. Sorridendo, il ragazzo dagli occhi di colore diverso spiegò che trovava giusto essersi comportato in quel modo se in qualche modo quel comportamento avrebbe potuto accendere qualcosa nella donna, forse una scintilla di ribellione. Per quanto quel ghigno fosse inquietante, era certamente meno spaventoso di trovarsi di fronte ad una bambola senza emozioni. Yami poi qualcosina nella sua vita lo aveva visto, e quel sorriso non era nulla in confronto a quelli di suo fratello in battaglia. Finchè quel ragazzo non poteva trapassarla da parte a parte con una motosega, andava più che bene. La verità, però, è che quelle parole non avrebbero certo portato la donna a reagire in futuro: probabilmente se ne sarebbe dimenticata troppo dispiaciuta per i documenti persi o si sarebbe ricordata di lui in futuro più con rancore che per altro.
    Sono abbastanza sicura che quello sia incitare a un crimine e non è un gioco a cui un ragazzino come te dovrebbe giocare. - ridacchiò la svedese tra una sua pausa e un'altra. Il bue che da del cornuto all'asino, visto il suo grande progetto segreto.
    Ascoltò le ultime parole di rassegnazione e il suo saluto, riferendosi alla svedese come "una donna bellissima". Yami arrossì: era sicura che neppure Yuya le avesse mai detto qualcosa di simile se non per provocazione. Spostò lo sguardo a sinistra.
    M-ma che diavolo stai dicendo? - sbottò imbarazzata - Guarda che sono ancora una ragazza! Quanti diavolo di anni credi che io abbia, trenta?! - proseguì, per poi aggiustarsi i capelli bagnati dietro l'orecchio destro usando la relativa mano.
    Tsk... - emise il suono, osservando quel ragazzino fissare terra. Ok, quello era decisamente imbarazzante: probabilmente era dovuto alla sua poca esperienza con le persone, ma anche quel giovane non sembrava per nulla allenato nei rapporti sociali. Probabilmente era un nerd, un NEET, un hikikomori o un altro di quei termini che ultimamente andavano tanto di moda per identificare un gruppo sempre crescente di giovani giapponesi - B-Beh, comunque se la pensassero tutti come te non andremmo da nessuna parte. - sbottò, più per cambiare discorso e ravvivare quella conversazione che per altro. Se ne sarebbe potuta andare ma il tizio restava girato verso di lei e la svedese non sapeva come salutarlo - Se ti si fulmina una lampadina ti attivi per cambiarla, no? Mica te ne stai a fissarla piagnucolando perchè nessuno la cambierà mai! - proseguì. Non era arrabbiata, ma leggermente irritata dal suo comportamento di sicuro. Non capiva le persone che non si muovevano in primo luogo per ottenere ciò che volevano - O perlomeno ringrazia gli elettricisti come me. - aggiunse. Forse il definirla "forte" dell'Okada l'aveva resa più sicura nei confronti della propria forza o forse era la solita Yami che nascondeva il suo nome salvo pronunciarlo due secondi dopo al telefono sovrappensiero. In ogni caso, ciò che conta è che quell'informazione, per quanto metaforica, avrebbe fatto meglio a restare nella sua testa. Lei però neppure si accorse di averla detta. Insomma, la sua guardia era decisamente abbassata in quel momento, molto probabilmente per l'imbarazzo per le parole del giovane.
    Cavolo, sei peggio di Daisuke... - borbottò tra sé e sé, riferendosi alla loro comune abilità di piangersi addosso senza provare a cambiare le cose. Forse, come con Ryo, stava giudicando una persona troppo in fretta senza neppure conoscerla per l'ennesima volta. Magari prima o poi sarebbe cresciuta e avrebbe smesso.

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    « Incitare ad un crimine? Fissare la lampadina rotta piagnucolando? » Seishiro aveva ascoltato il mezzo discorso della donna in silenzio, ma ad un certo non fu più in grado di trattenersi e scoppiò a ridere: era una risata inaspettatamente allegra, cristallina, gioiosa e, sopratutto, sincera; non v’era minima traccia di scherno, malizia, superiorità o derisione: veniva dal cuore, accompagnata dalla dolcezza e quel divertimento puro tipico dei bambini.
    Rideva perché le sue parole erano state completamente fraintese e perché quell’interlocutrice era davvero capitata al momento giusto, portando con sé valori e sentimenti, riversandoli sul mondo come se niente fosse, creando quella reazione che il ragazzo aveva cercato di suscitare e dandogli, infine, un’ulteriore prova di quanto gli esseri umani fossero meravigliosi.
    Come poteva non essere felice e abbandonarsi ad una risata?
    Amava quel mondo, sarebbe stato quasi un torto rimanere con quell’atteggiamento torvo al limite dell’insensibile.
    Seishiro si era davvero sorpreso di sé stesso, confuso per tutte quelle reazioni autentiche, ma al tempo stesso genuinamente felice per la libertà che quel giorno di pioggia gli stava dando; la libertà di essere sé stesso e, in un senso un po’ contorto, la libertà di amare.
    Rise per quasi una trentina di secondi, coprendosi educatamente la bocca con una mano, asciugandosi poi una leggera lacrima prima di tornare a guardare la persona che gli aveva migliorato la giornata.
    Davvero non aveva capito che stava solo cercando di fare in modo che qualcosa succedesse, ma osservando poi da lontano? In effetti era un ottimo attore, ma si aspettava che, prima o poi, qualcuno se ne rendesse conto, più per vedere la reazione che per altro, in realtà.
    Non avrebbe mai perso quel vizio, nemmeno nell’ipotetico scenario di un Seishiro onesto e sincero.
    Per un attimo pensò che, se fosse stata una creatura tanto interessante a smascherarlo, a mettere a nudo che dietro a tanta finzione v’era solo semplice curiosità condita con una buona dose di noia e voglia di vivere non sarebbe stato poi tanto male.
    Un paradosso carino e coccoloso, in effetti, fatto a immagine di un ordinario adolescente giapponese.
    Dopo essersi ricomposto rapidamente, cercò gli occhi cerulei della donna; sperava non si fosse offesa.

    « Mi scusi, non volevo sembrare irrispettoso. E’ che… tutto di lei è bellissimo, sa? Le sue parole, come si comporta, come la pensa… è davvero incredibile. » Le sorrise e accennò un cortese inchino.
    Sembrava davvero un’altra persona, come se quel qualcosa di poco prima si fosse davvero acceso, liberandosi e prendendo il posto custodito a lungo dal vuoto.
    Ora il suo occhio azzurro era solare, pieno di vita e di entusiasmo; il volto allegro e felice stonava con il tempo carico di malinconia.
    Disturbo bipolare, forse? Anche se un’insorgenza così precoce sarebbe stata decisamente preoccupante, in particolare con un cambio da depressione a mania così netto e senza nessun periodo di assestamento.
    No. Per non saperne nulla di psichiatria, non era plausibile.
    Più probabilmente questa irrequietezza emozionale era da attribuirsi all’età dello sviluppo e allo sconvolgimento ormonale che ne consegue.
    Forse. Sarebbe stato avventato giudicare solo per una così breve interazione.

    Seishirò continuò, esprimendo sempre nuove emozioni in volto ma rimanendo molto composto nel fisico; non gesticolava, non si muoveva particolarmente: rimaneva sotto all’ombrello, fermo.
    « E’ davvero pura, da tempo non riuscivo a causare una reazione del genere, grazie. Grazie, grazie! Nemmeno dagli eroi, davvero. » Ridacchiò. « Ed è anche la prima persona a cui lo dico, che imbarazzo... » Che stesse diventando più irresponsabile? Da quando era stato in quel vecchio teatro era diventato forse più incauto? No, aveva il presentimento che quella fosse la persona giusta con cui lasciarsi andare un minimo; il motivo? Era l’unica altra che si era staccata dalla fiumana di gente sulle strade e si trovava su quella piazzetta insieme a lui. « ma immagino che sia perché si tratta di un’elettricista come lei. » Mise particolare enfasi nelle ultime parole, come se stesse lasciando qualcosa di non detto, affidato a chissà quale sguardo d’intesa.
    In realtà Seishiro stava brutalmente fingendo di aver capito qualcosa, sperando che un atteggiamento del genere avrebbe creato una reazione nella donna; da questa avrebbe poi potuto elaborare qualche teoria e comportarsi di conseguenza.

    Fece qualche passo verso di lei, ma si mantenne alla consueta distanza di cortesia. La guardava leggermente dal basso.

    « Senza rendersene conto mi ha fatto un regalo graditissimo; so di essere solo un ragazzino e questo limita molto le mie possibilità, ma vorrei fare qualcosa per sdebitarmi della cortesia, Signorina… ? » Terminò la frase con la classica intonazione di chi non sa con che nome rivolgersi al proprio interlocutore.
     
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    Alle sue parole, e non prima di averle confusamente ripetute, il ragazzo schermato dalla pioggia da un ombrello scoppiò a ridere. Certo, la risata pareva più che spontanea e non una fastidiosa risata di derisione, ma la giovane svedese non riusciva a capirne il motivo. Forse, a volte, era un po' troppo fantasiosa con le sue metafore. Dopo essersi coperto la bocca con una mano a metà risata, il ragazzo cercò di ricomporsi come se nulla fosse e, fissandola nuovamente negli occhi, chiese scusa dandole del lei. Come quando poco prima l'aveva definita donna, sembrava portarle sin troppo rispetto. Non era passato molto da quando Daisuke aveva fatto lo stesso, seppur non per questioni di età ma di altezza nella catena alimentare della criminalità. Tutto ciò era in realtà normale, specialmente in una società come quella giapponese. Il rispetto per i superiori, che lo fossero di età o di abilità, era uno dei principi fondanti dei rapporti sociali in quel paese. In questo, Yami era ancora europea in tutto e per tutto: dal non capire queste regole che trovava obsolete ai suoi eccessi di contatto fisico. I giapponesi non lo apprezzavano particolarmente, ma lei era abituata a dare la mano per presentarsi e aveva persino abbracciato Daisuke. In casa sua, nonostante non fosse effettivamente mai andata in Europa, tutti si comportavano così. Persino i domestici di origine asiatica, a stare con quei gaijin, avevano iniziato a comportarsi come loro. Per questo e forse ben più che per i suoi capelli bianchi e i tratti occidentali Yami era la goccia nera nella parte bianca del Tao, in quel paese.
    Nonostante tutto questo, però, il ragazzo sembrava essersi come attivato: nei suoi occhi, mentre le diceva di quanto le sue idee e le sue parole fossero bellissime, non c'erano più quell'apatia e quel vuoto di poco prima. Mentre la ringraziava dicendo che era tempo che non riusciva a sentirsi così, sempre sorridendo, sembrava una persona completamente diversa rispetto a prima. Le ricordava, in qualche modo, quando Yama decideva di parlare attraverso la sua bocca. Certo, in questo caso però non era un pazzo a farlo. A quel punto, dopo averle dato della "pura" (e questo confuse non poco la ragazza, che certamente aveva le sue mane belle sozze di sangue), riprese la sua metafora definendola un'elettricista e osservandola con uno sguardo strano. Yami non aggiunse altro: almeno a questo punto del discorso le sembrava inutile, che il ragazzo avesse capito o meno. Le cose sarebbero cambiate di lì a breve.
    Il ragazzo la ringraziò nuovamente tra le righe per averlo fatto ridere, aggiungendo che avrebbe voluto sdebitarsi in qualche modo e - indirettamente - le chiese il nome.
    Yami. - rispose con tranquillità la svedese - Mi chiamo Yami. - ripeté per più chiarezza, sorridendo. Yami era una parola giapponese, non un nome. Il nome era in realtà hindu, i suoi genitori erano appassionati di quella porzione d'Asia nonostante si fossero stabiliti su quell'isola e il kukri che portava spesso dietro ne era un dolce ricordo. Quel nome era decisamente atipico in Giappone e la ragazza dai capelli bianchi non poteva certo escludere che, dopo aver sottolineato il suo ruolo da elettricista, il ragazzo non volesse scoprirne il nome per denunciarla alle autorità competenti. Anche se ora sembrava cambiato come il giorno e la notte, però, poco prima non aveva certamente provato a fermare o denunciare quei ladruncoli quindi non avrebbe avuto motivo di farlo con lei. Il suo nome desueto, però, misto ai suoi tratti e a quei capelli bianchi poteva essere un ottimo indicatore per la sua vera identità: quella storia non era durata molto, ma quando aveva ucciso i suoi genitori era finita sui giornali e anche su qualche televisione. A occhio e croce però quel ragazzo non sembrava avere più di quindici anni e probabilmente non aveva neppure mai visto quella storia o avrebbe fatto fatica a ricordarsene. La giovane, poi, non amava particolarmente mentire, indipendentemente da ciò a cui la sua onestà avrebbe portato. Tutto il contrario del ragazzo che aveva davanti, probabilmente. Quel suo comportamento ambiguo, comunque, aveva attirato la sua attenzione. Voltò il capo verso sinistra: Disneyland era ancora coperta dai palazzi. Portò la mano destra a una lunga ciocca che piombava a lato del suo viso, ormai fradicia. Nonostante amasse la pioggia e sentirla picchiettare sul suo corpo la facesse sentire viva, forse aveva sottovalutato la natura, quel giorno.
    Se proprio vuoi sdebitarti... - esordì, mentre l'indice destro attorcigliava i capelli su sé stessi spremendo via un po' di gocce di pioggia - Potresti iniziare dandomi del tu. - sorrise, ironica. Nella sua mentalità mezza occidentale, il lei era direttamente associato all'anzianità e lei era appena diventata maggiorenne per lo Stato Giapponese: le pareva esagerato. Il ragazzino, comunque, non gliela contava giusta. Aveva imparato da Ryo che non sempre un bel visino e un paio di begli occhietti non erano direttamente collegati a un ragazzo modello e quel suo sbalzo d'umore la aveva incuriosita non poco. In poco più di uno scambio di parole aveva dimostrato una totale mancanza di fiducia nei confronti delle forze dell'ordine e - nonostante non si fosse messo in mostra col suo quirk forse per timore o forse per tenere l'anonimato - questo a Yami non importava un granché. Le sue idee non dovevano portare alla nascita di un esercito ma ad una rivoluzione. Se quel ragazzo era scontento quanto lei, questo avrebbe significato molto. Nessuna rivoluzione può nascere senza un popolo a supportarla e i giovani sono il primo carburante di uno Stato. Al di là di questo, era anche il suo comportamento a incuriosirla da un punto di vista umano. Tendeva decisamente troppo spesso a ficcare il naso negli affari altrui, ma le sembrava un ragazzo di buona famiglia, ciononostante il suo comportamento era a dir poco bizzarro. Poco prima aveva pensato si potesse trattare di un hikikomori: magari, al di là di tutto, era un semplice ragazzino a cui i genitori, troppo presi dal lavoro, non davano abbastanza attenzioni? Strizzò la ciocca e lo guardò dritto negli occhi eterocromi.
    Se poi non ti sembra abbastanza, un po' di spazio sotto l'ombrello mi farebbe comodo. - aggiunse sorridendo e indicando i capelli con un movimento degli occhi - Potrei aver sottovalutato la pioggia, oggi. Oh... - si fermò un secondo, guardandolo con sguardo malizioso. Beh, perlomeno con lo sguardo più malizioso che la sua personalità le permettesse di sfoderare - Sempre che tu non vada a vantarti coi tuoi compagni di scuola di essere stato a braccetto con una ragazza bellissima, caro il mio...?
    Lo ripagò con la stessa moneta, lasciando la frase a metà per domandarne il nome.

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    » Scheda « » Quirk «

    Narrato Parlato Pensato



    « Shizuka. » Sorrise molto cortesemente. « Puoi chiamarmi Shizuka, Yami-san. » Pronunciò con una leggera enfasi l’onorifico, accompagnando il tutto con un ghigno birichino.
    Aveva mentito sul proprio nome, ovviamente. Praticamente era parte della sua routine ormai; e sicuramente non si sarebbe mai presentato come Seishiro in una situazione del genere. Aveva già osato molto per provare quell’inebriante sensazione di libertà e autenticità, sapeva quando fermarsi. Non sarebbe mai diventato un meraviglioso bugiardo se avesse agito in modo irresponsabile.

    Yami, dunque.
    Buffo, a dire il vero.
    Si aspettava un nome come Irina, Tarja, magari Giselle o qualsiasi altro nome europeo.
    E invece si chiamava Yami, o aveva scelto di farsi chiamare così, Oscurità secondo la lingua giapponese.
    Una parola, un unico termine e la mente di Seishiro stava già viaggiando verso le teorie più improbabili.

    In un primo momento pensò che Yami dovesse essere uno pseudonimo, un nome per identificarsi in determinati ambiti; per questo motivo la scelta di quella parola, con tutti i correlati più mistici e interiori che essa portava con sé. Così come gli eroi sceglievano una specie di nome di battaglia pubblico con una certa sonorità, non vedeva perché nella parte illegale e nascosta della società questo non potesse accadere.
    Purtroppo la donna non aveva proseguito il discorso sull'essere "un'elettricista", quindi poteva basarsi solo su impressioni e congetture, ma era sicuro che fosse coinvolta in qualcosa che normalmente non era prudente raccontare in giro. Nell’oscurità, appunto, per poi riaccendere la luce; che si trattasse di una criminale o di una brava persona, poco importava.
    Ripensandoci poi, nella tranquillità della propria camera, avrebbe riso pensando che una che si chiamava Yami si fosse definita un’elettricista.

    Tuttavia, oltre alla teoria del nome d’arte, con tutte le conseguenze che questo comportava, Seishiro non poteva ignorare la possibilità che quello fosse effettivamente il suo nome.
    E in questo caso sarebbe stato ancora più curioso; palesemente europea ma identificata con una parola giapponese, una vita confusa o a maggior ragione con un’identità profonda, forte di portare un nome con una tale potenza evocativa?

    Nomen omen.



    In molte culture v’era particolare attenzione al significato dietro ai nomi, non solo perché in genere è la prima cosa che si conosce di una persona, ma perché è riconosciuta la potenza dietro alle parole.
    Seishiro era ancora giovane, non si era mai occupato in maniera seria della propria spiritualità, ma credeva fermamente nel fatto che il linguaggio verbale fosse straordinario e al tempo stesso spaventoso: le parole, una volta pronunciate, non possono ritornare al mittente né essere annullate. Sono il legame più forte e anche più sottovalutato, spesso considerate semplice mezzo di comunicazione, senza rendersi conto che l’atto del comunicare è esso stesso una forma di legame particolarmente subdola.
    Pensandoci, la lingua era davvero qualcosa di terribile, fosse essa parlata o scritta; i migliori possono fermare addirittura un proiettile, ma come puoi bloccare una frase? Come puoi limitare e cancellare un’idea? Il linguaggio si insinua in ogni ambiente, basta far scivolare nella conversazione quello che si desidera per portarlo alla luce, oppure non citarlo perché in quel momento non venga considerato.
    Nella storia grandi oratori hanno coinvolto le masse servendosi della scenicità ma, sopratutto, di un'eloquenza e potenza nel discorso superiore alla media; con la giusta persuasione si poteva convincere a fare cose terribili, solo utilizzando i giusti termini: si poteva indirizzare all'odio o all'amore, si salvavano o condannavano vite.
    Nulla era più potente delle parole. Per la fortuna di quel mondo, pochi se ne rendevano conto.

    L’idea che Yami fosse il nome di quella donna e la rappresentasse con tutte le sfumature del suo significato, fu per Seishiro incredibilmente eccitante. Identificarsi con qualcosa di mistico e spirituale, con una delle paure più ancestrali dell’uomo, con ciò che arriva sempre primo, raggiunto poi dalla luce che cerca di eliminarlo ma riesce esclusivamente a limitarlo, lasciandolo in disparte, come una piccola ombra pronta a riprendersi tutto alla prima occasione… aveva improvvisamente molte aspettative nei confronti di quella donna, di Yami.

    Poi accadde qualcosa di meraviglioso, una specie di ossimoro fra il buio nel nome e la luce nei gesti: Yami chiese spazio sotto l’ombrello.
    In Giappone.
    Il cuore di Seishiro saltò un battito per l’entusiasmo, causato non tanto dal fatto che si trattasse di una gran bella donna – anche se è giusto ricordare che era pur sempre un ragazzino nella pubertà, sarebbe stato più che normale – ma dall'ingenuità e purezza di quella richiesta, accompagnata da un malizioso tentativo di scherno.
    Non si sarebbe mai lasciato sfuggire l’occasione di essere molesto, non quel giorno, non con Yami.
    Sfoggiò un sorriso malizioso e ambiguo, attingendo a tutta la dose di androgeni da adolescente accompagnata da anni in cui aveva imparato come sfruttare al meglio il linguaggio del corpo; rimaneva comunque un ragazzino, ma almeno non sembrava ridicolo mentre mostrava quel lato più sensuale e intrigante.
    Non era seriamente interessato alla donna, voleva solo provocarla per quel perverso bisogno di bearsi delle reazioni degli esseri umani; e, se si stava impegnando a tal punto, poteva significare solo che aveva davanti a sé una persona interessante, qualcuno che valeva la pena stuzzicare per poi conoscere.

    « Yami, ci siamo appena conosciuti e già mi vedi in quel modo? » Senza la minima esitazione si avvicinò e, con forse troppa lentezza, alzò l’ombrello in modo da coprire entrambi, senza interrompere il contatto visivo. « Solo gli innamorati stanno sotto lo stesso ombrello. » Ammiccò.

    La cultura giapponese, con tutti i suoi paradossi e vincoli, aveva anche l’usanza che solo una coppia potesse stare sotto lo stesso ombrello. Era molto più comune vedere un ragazzo cedere il proprio ombrello alla ragazza ambita e tornare a casa sotto la pioggia invece che passeggiare insieme, come vorrebbe il buonsenso; l’onore prima di tutto, sarebbe stato decisamente sconveniente ospitare un’altra persona, visti da una società incredibilmente chiusa e rigida.

    Era per questo che Seishiro non aveva proposto alla donna di ripararsi con lui, ma alla sua richiesta non aveva resistito alla possibilità di infrangere quella regola e di suscitare un po’ di imbarazzo.
     
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    Il ragazzino dai capelli neri e gli occhi eterocromi si presentò come "Shizuka". Shizuka, davvero? Yami inarcò le sopracciglia, confusa. Come detto, non aveva molta esperienza con le persone ma era abbastanza sicura che fosse un nome femminile. Aveva una compagna alle elementari che si chiamava così, una ragazzina anche abbastanza antipatica e, se non ricordava male, era anche il nome di una nota pattinatrice su ghiaccio. Non era uno sport che entusiasmava la svedese nonostante tutta la neve nella terra dei suoi genitori. Aveva vinto una medaglia d'oro alle Olimpiadi, però, per questo se la ricordava. In ogni caso, anche se il Giappone era un paese straordinario e spesso confusionario riguardo alla linea di demarcazione dei sessi, quello di fronte a lei pareva proprio un maschio. Finora, inoltre, aveva usato solamente forme maschili per riferirsi a sé stesso. O i suoi genitori avevano deciso di fargli un bello scherzo, o stava usando uno pseudonimo per proteggersi, oppure era una ragazza molto brava col makeup. A quel punto, però, perchè usare i pronomi maschili ma il nome femminile? A quel punto la teoria dello pseudonimo era quella più plausibile e Yami non aveva certo difficoltà ad immaginarne le motivazioni: era una donna sconosciuta e che si era presentata con un nome che più che un nome proprio era, in quella lingua, un sostantivo. Bisognava essere coraggiosi o stupidi per rivelare il proprio nome ma, forse, mai quanto per usarne uno femminile. Che lo avesse fatto apposta e volesse essere smascherato? O magari, preso dal panico, aveva pronunciato il primo che gli era passato per la mente? Magari era il nome della ragazzina più bella della sua scuola e di cui tutti, lui compreso, erano perdutamente innamorati. La verità, a quel punto, era che non importava più di tanto. Se necessario, avrebbe tirato fuori l'argomento successivamente. Sospirò, guardandolo sorridere.
    Se fosse stata la Yami di qualche tempo prima, avrebbe cercato di portarlo in un posto isolato e avrebbe maledetto il non essersi portata dietro un kukri. Per sua fortuna e soprattutto per fortuna di Shizuka, pian piano aveva preso più confidenza con la sua forza e ora sapeva di non dover temere (quasi) nulla. Anche le sue manie di persecuzione erano pian piano sfumate: dopo aver scoperto quanto Orochimaru sapesse su di lei, aveva iniziato a credere di aver lasciato troppe informazioni in giro, soprattutto a causa di suo fratello Yama. Queste idee si erano poi sintetizzate nella figura di Daisuke che, a lungo, aveva temuto essere un poliziotto. Con un po' di ragionamento a freddo, per fortuna, tutte queste idee erano ormai un passato tanto più lontano nella sua mente che nel tempo. La pioggia era fredda e l'ombrello era più importante di un nome falso o qualche bugia di un ragazzino che, di sicuro, non poteva essere un eroe o un poliziotto. Neanche un paranoico di dimensioni assurde avrebbe potuto immaginare quella scena del furto e il dialogo tra Shizuka e la donna come una pagliacciata per incastrarla. Lei, in fondo, non era nessuno. Non ancora.
    Nella presentazione, il ragazzo sottolineo con la voce e fare goliardico l'onorifico nonostante la ragazza gli avesse espressamente detto di comportarsi normalmente. Era evidente che lo facesse apposta per infastidirla e il suo comportamento la confondeva. Si stava divertendo? Forse era nel periodo di ribellione nei confronti del mondo. I ragazzini si divertivano molto, in quegli anni. Qualcuno si faceva i capelli in modo improponibile, i più ribelli si tatuavano, in quel paese che vedeva ancora l'inchiostro sotto pelle come un diretto legame con la malavita. Shizuka sembrava divertirsi (probabilmente) a indossare lenti a contatto e, soprattutto, a giocare con le persone. Yami era certo ingenua, ma spesso era una facciata. Se ci aveva visto giusto, comprendeva appieno i sentimenti del giovane dai capelli neri. Lei, però, quella fase della crescita non era mai riuscita a vederla. Non aveva nessuno a cui ribellarsi: restava solo il loro sangue sulle sue mani. Irrigidendo le spalle, sfregò le fragili dita pallide le une con le altre, quasi per volerle lavare da quel cremisi invisibile con la fredda pioggia giapponese. Una sorta di novella Lady Macbeth, con un marito identificabile in suo fratello che - in questa tragedia - era ben più propenso di lei ad uccidere per diventare il Re. E in quella tragedia lei si sentiva allo stesso tempo coltello, Macbeth e strega. Quest'ultimo, ironicamente, il nome che aveva scelto per sé stessa dopo aver abbandonato i vecchi pseudonimi di Hypnos e Thanatos.
    Per quanto fosse una dimostrazione di debolezza, si perse nei suoi pensieri finchè la voce di Shizuka non la riscosse da quella sorta di sonnambulismo scatenato dal ricordo della morte dei suoi genitori. A differenza di Lady Macbeth, lei non si sentiva colpevole ma, per quanto fosse stato tutto a causa del suo gemello, lei era il mezzo attraverso il quale quel cruento delitto si era manifestato. Sorrise tristemente al giovane nonostante le sue parole richiedessero una reazione di tutt'altro tipo: si sarebbe rimessa in pari poco dopo. Lentamente, l'ombrello del ragazzo si alzò a coprire anche i suoi capelli bianchi ormai grondanti. Il ragazzo sembrava essere più basso di lei di un po' meno di dieci centimetri ma - di sicuro - nella crescita avrebbe probabilmente superato la media giapponese. Rendendosi conto poi delle parole del giovane, non poté che arrossire: nonostante tutto, era comunque una ragazza giovane e non aveva ancora avuto alcun rapporto col sesso maschile, a parte suo fratello e qualcun altro.
    Il tuo sentimento non è ricambiato. - rispose, accennando una risata, mentre cercava di occupare meno spazio possibile sotto l'ombrello del giovane: nonostante tutto era uno sconosciuto e vi si era infiltrata dopo aver attaccato bottone personalmente, le sembrava scortese. Prese i lembi inferiori della giacca in pelle e li avvicinò il più possibile per cercare di non bagnare i suoi vestiti. Sospirò, asciugandosi la fronte.
    Non ti sembra stupido? - chiese, probabilmente inutilmente non avendo specificato il soggetto della questione - Perchè non puoi offrire l'ombrello ad una persona in difficoltà solo per paura di essere guardato male? - aggiunse, quindi, con voce rilassata. Il Giappone era certamente avanti su molte questioni riguardo alla libertà personali, primo tra tutti ad esempio la quasi totale accettazione del genderless clothing, ma era sicuramente molto ma molto indietro su molte questioni sociali. Per Yami, la libertà di utilizzare il proprio quirk non era l'unico obbiettivo ma uno tra i tanti nella lista di una ragazzina probabilmente un po' troppo appassionata della Rivoluzione Francese.
    Come possiamo aiutare gli altri... - proseguì - Come potresti aiutare quella donna di prima in un mondo dove hai timore di abbracciare una persona? - aggiunse, cercando di veicolare con le parole un concetto che, probabilmente, a un ragazzo nato, cresciuto e immerso nella società nipponica appariva totalmente estraneo.
    Le nostre braccia sono fatte per abbracciare gli altri... Per aiutarli... - fece un attimo una pausa. Nel mentre, i suoi occhi erano persi nel vuoto, lo sguardo abbassato e che fissava la linea tra il bordo dell'ombrello e l'asfalto di fronte a lei - La nostra unicità non è nulla di diverso dalle nostre braccia. Fa parte del nostro corpo e questa società continua a legarci le mani dietro alla schiena, in tutto. - terminò, per poi scuotere la testa e sorridere al ragazzo. Ok, forse ora iniziava a sembrare un po' troppo rivoluzionaria. Si grattò il naso con l'indice sinistro, pensando al da farsi.
    Scusa, discorsi da vecchia. - ridacchiò, ironizzando sul rispetto non meritato che Shizuka le mostrava attraverso le sue parole - Senti, hai da fare, Shizuka? Io stavo andando un po' più avanti al porto. Volevo vedere se si riesce a vedere quella costruzione che è crollata a Disneyland un po' di tempo fa, non so se ne hai sentito parlare... - domandò, un po' per cambiare discorso e un po' per gentilezza: se aveva accettato di farla stare sotto il suo ombrello era evidente che non avesse nulla da fare. O, certo, che non fosse così importante rispetto allo stare sotto lo stesso ombrello con una ragazza bella come lei. Sorrise aggiustandosi i capelli, spostandoli dalla spalla opposta a quella dove si trovava il giovane dai capelli neri: quella massa bianca era un vero e proprio gavettone a orologeria e avrebbe potuto fare dei grossi casini se lasciato libero a vagare sotto il nero dell'ombrello. Shizuka, diavolo, che pessima scelta.

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    » Scheda « » Quirk «

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    « No. » Seishiro rispose con incredibile naturalezza. « Non mi sembra affatto stupido. » Guardava la donna negli occhi, cercando ogni possibile reazione; probabilmente quelle parole non erano ciò che un’elettricista si aspettava di sentire, ma per una volta non le aveva pronunciate sapendolo e quindi con l’intento di provocare. Ci credeva davvero.
    Strano come, sotto quella pioggia e in compagnia di Yami, Seishiro si sentisse abbastanza libero per parlare sinceramente, come se l’acqua potesse in qualche modo lavare ogni parola, con l’illusione che rimanesse solo un suono nel vento e non potesse colpire nessun animo.
    Non sentiva la minima affinità con quella donna; rispettava le idee che erano emerse dalle sue parole, ma non facevano per lui. Non era così buono, non pensava che la natura lo avesse dotato di braccia per aiutare il prossimo. E, sicuramente, non considerava un gran problema non poter soccorrere un’altra persona a causa dei freni e limiti imposti dalla società.
    Amare non significava quello, non solo almeno.
    Non per lui.
    Un ragionamento simile si poteva applicare alle restrizioni dell’uso del Quirk, con però una variante: sicuramente Seishiro non si sarebbe battuto per poter utilizzare il dono con cui era nato a vantaggio di altri, gli dava solo molto fastidio non poterlo fare per sé stesso; senza contare che lo irritava molto il fatto che non venisse mai capito. Solo perché non picchiava forte o non creava fiamme non significava che le sue abilità facessero schifo; erano mediocri, ma perché aveva iniziato da poco ad allenarsi seriamente per padroneggiarle, non perché le potenzialità fossero basse. I primi anni di scuola aveva incontrato solo bambini e, ancora più grave, insegnanti stupidi che non lo hanno mai incoraggiato a valorizzare il proprio Quirk. Se le cose fossero andate diversamente ora sarebbe potuto essere una persona molto diversa, magari addirittura uno dei tanti ragazzini che sognano di diventare eroi.
    Chissà.
    In ogni caso non era tipo da prendere parte a idee rivoluzionare; al massimo sarebbe rimasto a guardare, dando ogni tanto una spintarella quando necessario.
    Per questo non proseguì quel punto del discorso di Yami, non voleva esporsi.
    E, forse da qualche parte nel suo cuore, non desiderava mostrare tutta la propria insensibilità.
    Non subito.

    « La società è quella in cui viviamo in seguito a secoli ed anni di eventi storici; è, semplicemente, il frutto dello sviluppo di una certa cultura e la reazione a determinati avvenimenti. » Fece una breve pausa. Abbassò leggermente lo sguardo, poi tornò a guardare l’orizzonte, regalandosi un sorriso sghembo prima di tornare a parlare. « Questo non significa che a tutti debba andare bene, ovviamente. Ma non ha senso pensare che tradizioni e regole siano stupide: sono il risultato di secoli di storia. Come può essere stupido? E’ bellissimo, è l’eredità che la presenza dell’essere umano ci ha lasciato. » Si voltò nuovamente verso Yami; non aveva negli occhi lo stesso entusiasmo di prima, ma non v’era più traccia dell’apatia.
    Il suo viso sembrava quasi rilassato, spaventosamente ordinario e normale per le parole che invece uscivano dalle sue labbra. « Ma è anche vero che chi è scontento si fa sempre sentire, prima o poi. Ed è giusto così, altrimenti una società rimarrebbe statica e moriremmo di noia. »

    Ridacchiò. Spesso questi pensieri potevano sembrare fin troppo cinici per un adolescente, forse perché meno superficiali della media; in ogni caso, Seishiro credeva davvero in una sorta di ciclicità del tempo, rappresentandolo più come una spirale che come una linea: analizzando i vari periodi storici in relazione alle differenti parti del mondo, era inevitabile trovare dei punti fissi, variati in qualche dettaglio, ma che preservavano le caratteristiche principali. Tutto ritornava in una diversa forma, ripresentandosi e, spesso, portando agli stessi errori.
    Rappresentare lo scorrere del tempo come una linea è, senza dubbio, un metodo pratico per la memorizzazione degli eventi. Tutti i bambini devono imparare certe date e ripeterle all’insegnante per ricevere una valutazione positiva.
    Ma… se la Storia fosse anche altro?
    Date ed eventi saranno sempre sui libri o sulle piattaforme digitali, quindi perché perdere anni della propria vita ad imparare e ripetere? Sicuramente può essere un buon esercizio per allenare la memoria, ma per Seishiro il tempo poteva essere speso in modo migliore.
    Quindi era inevitabile che la conoscenza del passato doveva obbligatoriamente inserirsi in un contesto più profondo, non tanto come un insegnamento, ma più come la necessaria premessa per pensare. E perdersi nella spirale dello scorrere degli eventi.

    Osservò la donna a lungo: come cercava spesso un contatto con i propri capelli – bellissimi anche gonfi di pioggia -, come i suoi modi fossero incredibilmente cortesi e dissonanti rispetto ad alcuni commenti espressi verbalmente, come le sue pallide gote si tingevano di leggero imbarazzo, segno di una qualche innocenza.
    Stava iniziando a mettere insieme i pezzi di quel puzzle, delineando una personalità per Yami.
    Nonostante tutto, gli sembrava una persona sicura di sé, che manifestava il proprio senso di giustizia senza la minima goffaggine. Inoltre era sagace e pronta ad affrontare una conversazione in cui, più che parlare, ci si punzecchiava; sapeva resistere alle sue provocazioni, reagendo in modo naturale e senza indignarsi, riuscendo anche a ribattere.
    E, infine, v’era un’incognita: perché gli dava l’impressione di essere così sola?
    Forse il fatto che si fosse fermata a parlare con uno sconosciuto gli stava dando un’impressione sbagliata. In realtà più che voler conversare, lo aveva rimproverato. Ecco, Yami era sicuramente buffa; ma si trattava di quel buffo carino, per nulla ridicolo.
    Che credesse che anche lei fosse sola, perché in una giornata di pioggia non era da qualche parte circondata di amici?
    Stava proiettando, non poteva permettersi di giudicarla solo perché era in strada, avrà avuto i suoi motivi.
    Era lui quello senza amici a cui potersi veramente mostrare, dopotutto.
    Sorrise, non senza un po’ d’amarezza a scuoterlo nel profondo.

    « Sei troppo buona, Yami-san. O almeno ti presenti in questo modo. Dai, ti accompagno, così potrai raccontarmi tutto di quella storia. So che voi signore non vedete l'ora di parlottare del più e del meno. » Fece una linguaccia, ma quel gesto era intriso di purezza, non di malizia. Si era permesso un ultimo commento perchè era stata Yami stessa ad ironizzare, facendogli capire con una risata che sì, non le dava troppo fastidio qualche presa in giro.
    Dopotutto era passato ad una forma colloquiale anche se non aveva ancora abbandonato gli onorifici.
    Non era così dispettoso, alla fine.
     
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    Il discorso di Yami era sconclusionato e con salti di ragionamento decisamente azzardati. Come detto, non si aspettava che il ragazzino potesse capire le sue parole. Non che fosse stupido o meno acculturato, anzi. Probabilmente, visto che la giovane aveva lasciato gli studi ben prima dei quindici anni, le posizioni erano molto probabilmente invertite. La svedese, però, era per l'appunto europea. Non aveva mai visitato il continente, ma i suoi genitori la avevano educata come tali. A casa sua strette di mano, abbracci e baci erano all'ordine del giorno. Sentiva molto distante il freddo rispetto che permeava la società nipponica. Tempo addietro, si ricordava, aveva messo in difficoltà una giovane ragazza porgendole la mano durante i convenevoli. In effetti, ci rifletté ora, la ragazza formica e il ragazzo dall'occhio bianco che aveva ora a fianco avevano molto probabilmente la stessa età. Lei studiava per diventare un'eroina, aveva da poco iniziato i corsi alla Yuuei Academy. Shizuka, a una prima impressione, non sembrava decisamente il tipo. Certo, nessuno studente aspirante eroe avrebbe utilizzato la sua unicità in pubblico, in fondo sarebbe stato come se uno studente di medicina, trovato un ferito per strada, si fosse improvvisato medico. Altrettanto certo però è che nessuno studente di quella scuola avrebbe reagito ad una situazione simile con la stessa freddezza. Il ricordo della reazione di quel Raul Garret - per quanto si trovassero in un vicolo in piena notte - era ancora viva e vivida nella sua mente.
    Come previsto, il ragazzo rispose di no. La giovane dai capelli bianchi non era sicura che fosse una risposta realistica o una provocazione, in fondo il ragazzino sembrava divertirsi molto con quest'ultime, ma il discorso che intavolò dopo qualche secondo la convinse che si trattasse della prima ipotesi. In caso contrario, doveva decisamente essere uno di quei troll che si divertivano a tirar su lunghissime discussioni inutili per il piacere di... beh, per piacere e basta. Decise quindi in buona fede di credergli.
    Il discorso di Shizuka, in sostanza, filava abbastanza liscio. Scemato l'entusiasmo ma rimasta probabilmente la voglia di dibattere con tranquillità, spiegò che secondo lui le regole - derivando da secoli e secoli di evoluzione della società - non potevano essere sbagliate. Yami non si aspettava certo che fossero tutti d'accordo con lei ma riusciva a vedere in queste parole lo stesso rispetto per ciò che è venuto prima che, probabilmente, spingeva il ragazzino a trattarla con riguardo e rivolgersi a lei in un determinato modo. Per la svedese questo discorso, per quanto ragionevole in sé, era comunque un discorso insensato. Sostenere qualcosa di simile non era uguale, in fondo, nel dichiarare che un quadro dipinto in una decina d'anni dovesse necessariamente essere un capolavoro? O che terminata la costruzione centenaria di un edificio questo debba necessariamente essere bellissimo ed eterno?
    Yami era, come già detto, una grande fan della Rivoluzione Francese. Mentre nel vecchio continente si discuteva dell'irrazionalità della pena di morte da una trentina di anni, negli anni 90 del Settecento Robespierre inventò la ghigliottina, adottata e perfezionata da Charles-Henri Sanson, boia di Parigi. Per quanto apparentemente fuori contesto, c'era un piccolo dettaglio di questa storia che Yami aveva scoperto gironzolando su internet e che la stupiva ogni volta che ci pensava. L'ultima pena di morte in Francia, punita sempre tramite l'utilizzo della ghigliottina, venne eseguita nel 1977. Quasi duecento anni dopo. Nonostante il dibattito andasse avanti da duecento anni, buona parte dell'Europa abbandonò una simile barbarie attorno a quella data. Il suo paese natale, in ogni caso, la abolì nel 1910. Yami aveva certamente un gusto macabro, ma non era questo il punto. In buona parte del mondo, la pena di morte esisteva ancora. America, lo stesso Giappone, Cina. In quest'ultimo paese erano i familiari della vittima a pagare il proiettile utilizzato per l'esecuzione. Era dunque la cultura di quei Paesi una scusa per il loro comportamento? Le regole sono sviluppate dalla società ma si evolvono e devono evolversi nel tempo, qual è la scusa per stare fermi? Per la svedese, la legge sull'utilizzo del quirk era un crimine contro l'umanità. Quello degli eroi era un business, non un atto di volontariato. E solo una piccola parte della popolazione era autorizzata ad utilizzare il quirk legalmente. Mentre però la polizia doveva rendere conto di ogni singolo proiettile sparato con la propria pistola d'ordinanza, il controllo sugli eroi era ben lungi dall'essere così restrittivo.
    Shizuka, parlando, manteneva il contatto visivo. Sembrava essere importante per lui ed era difficile da sostenere per una ragazza timida come Yami, a maggior ragione se poco abituata alla vita in società. Il ragionamento di Seishiro era giusto: lei non aveva amici, era davvero ben lontana dall'averne. Nel mondo della criminalità, in fondo, un rapporto d'amicizia era sinonimo di un rapporto di utilità reciproca.
    Shizuka ridacchiò, dopo aver sottolineato anche lui che l'evoluzione è necessaria. In fondo - socialmente o fisicamente - è proprio l'evoluzione che permette di adattarsi al luogo ed ai tempi. Le unicità stesse erano il passo avanti nell'evoluzione, tentare di bloccarli era decisamente sciocco. Come si sarebbe evoluto il mondo se, al passaggio da pesci a tetrapodi, fosse stato permesso solo ad alcuni di spostarsi sulla terra? Gli eroi, probabilmente, sarebbero presto diventati una società a sé stante all'interno della società umana. Yami sorrise e per ora decise di non ribattere.
    Troppo buona? - sbottò quindi con innocenza alle parole del compagno - In che senso?
    Forse era vero. Liberatasi da suo fratello, si sentiva come una persona nuova. Una grossa nuvola nera si era finalmente spostata dalla sua vita e ora si sentiva pronta per dare amore a chiunque. E comunque era abbastanza sicura che avrebbe fallito nel suo piano ma valeva provarci. Come una martire, forse il suo fallimento sarebbe servito ad aprire gli occhi al mondo e incendiare i cuori del popolo.
    E che storia? - aggiunse, camminando. Per osservare il parco divertimenti bisognava arrivare almeno all'Akatsuki Terminal Park - Parli di Disneyland? Non hai letto le notizie? - sorrise dolcemente - Io ho ricevuto il mio primo telefono non molto tempo fa. Da allora non riesco più a farne a meno. - ridacchiò, pensando a come quel dispositivo aveva cambiato la sua vita. Finalmente poteva ascoltare di nuovo la musica, giocare a qualcosa quando si annoiava e, soprattutto, trovare informazioni. Parlando non pensò a come nel 2020 poteva essere strano sentire una ragazza di vent'anni dire di aver da poco ricevuto il suo primo smartphone - A quanto pare, dal nulla è apparsa una nuova attrazione simile ad una di Disneyland Paris ma fuori dal percorso. Dopo pochi minuti è crollata su sé stessa e sotto le macerie hanno trovato due possibili affiliati della Yakuza. - spiegò, forse fraintendendo il discorso o forse evitandolo di proposito. Come detto da Shizuka, forse si presentava solamente come buona. Ignorò poi il ricorso all'onorifico e come questo stonasse col riferirsi a lei col "tu". Aveva capito che a quel ragazzino piaceva fare l'ambiguo, gli avrebbe insegnato ad essere più diretto o a restare a bocca asciutta. Come aveva flirtato poco prima con lei, se proprio voleva quelle informazioni, doveva impegnarsi di più ed essere più chiaro. Non aveva nulla da temere in fondo: utilizzare il proprio quirk senza apposita autorizzazione era illegale, no? Terminato il discorso, rispose alla sua linguaccia con un occhiolino. Era così innocente all'apparenza, ma era così sicura che fosse solo una maschera. Eppure riuscì comunque a portare la sua mente in territori mai esplorati prima.

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    Yami Dødson - LVL 7

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    » Seishiro Harada


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    » Scheda « » Quirk «

    Narrato Parlato Pensato





    « Tutto il discorso sulle braccia che servono per aiutare gli altri non ti sembra avere molte di quelle caratteristiche che si definiscono buone? » Seishiro alzò un sopracciglio alla risposta della donna, quasi come se fosse sorpreso che non si rendesse conto dei messaggi che le parole portavano. « Dalle tue parole emerge un animo molto gentile, per questo dico che sei troppo buona. »

    L’idea che buona parte delle energie fossero catalizzate verso uno scopo altruistico era associata inevitabilmente ad un cuore generoso e puro; in una società in cui ognuno si limita a fare il proprio interesse, sfruttando ogni errore dei propri rivali e approfittando di ciascuna opportunità, trovare pensieri così controcorrente era decisamente divertente.
    Specialmente se pronunciati da un’elettricista.
    Quelli erano quasi pensieri da eroe: volgersi al prossimo in modo disinteressato solo perché si trattava della cosa giusta da fare era la vocazione iniziale che aveva portato individui anonimi a diventare figure acclamate dai più. Poi tutto questo era, a detta di alcuni, degenerato verso la creazione di “falsi eroi”, avidi solo di popolarità e guadagno e ormai privi del vero spirito.
    Questi accumulatori di denaro e fama avevano infangato l'immagine dell'eroe tradizionale.
    Tutte stronzate.
    In un mondo in cui si nasce con quelli che tempo addietro sarebbero stati definiti superpoteri perché chi li voleva utilizzare per l’ordine pubblico avrebbe dovuto avere solo pure idee di giustizia e avere in antipatia i soldi? Era un lavoro, nulla di più; permetteva di indossare un bel costume, mettersi in mostra con azioni buone e spettacolari e utilizzare al meglio le proprie abilità, ma sempre di un impiego si trattava. Anche gli eroi devono mangiare, cosa significa pensare che debbano salvare le persone gratis? Come puoi svolgere al meglio e a tempo pieno un’attività se devi pensare anche ad un altro lavoro per poterti mantenere?
    Da sempre le forze di polizia o i militari hanno percepito uno stipendio, pur occupandosi di ordine pubblico.
    Medici, infermieri e personale sanitatario dedicano la propria vita al migliorare quella degli altre e non lo fanno di certo perchè sono brave persone e vogliono aiutare tutti gratuitamente; certo, magari chi sceglie un lavoro che si occupa degli altri ha una certa sensibilità, ma non è un qualche santo che si immola in una vita di miseria per gli altri.
    Ma scherziamo?
    Erano idee assurde, ma interessanti, specchio dello scontento di chi non si rende conto dei complessi meccanismi che permettono ad un mondo civilizzato di continuare ad esistere.
    Da sempre l’uomo è stato costretto a compromessi a causa della propria natura egoistica, altrimenti ora starebbero tutti vivendo felicemente e senza bisogno di un sistema monetario. Una grande famiglia felice che va d’amore e d’accordo.
    Che aspettiamo? Salpiamo tutti per Utopia e immergiamoci con Thomas More nella bellezza illusoria di una società perfetta, sogno di una realtà di pace i cui pilastri sono cultura ed uguaglianza; dimentichiamo ogni male e lasciamoci avvolgere dall'ambiguità di un desiderio irrealizzabile che, alla fine, rimarrà solo impresso nei libri come monito di un mondo migliore.
    Dimentichiamoci la bellezza della vita anche quando sembra ingiusta e difficile e danziamo attorno ad un fuoco, inebriandoci dei profumi di illusorie bontà; isoliamoci, tagliamo i ponti con tutto, ignoriamo secoli di civiltà che hanno portato solo guerra, cattiveria e infelicità; torniamo a scoprire i folletti e le fate nei boschi, giocando con le lucciole quando arriva sera e cantando insieme al vento.
    Davvero?
    Una noia mortale.
    Seishiro non era decisamente una brava persona, ma forse questo lo rendeva abbastanza realista da conoscere la propria epoca e provare a comprenderla.
    Pretendere di cambiare la natura stessa dell’uomo è pura follia: ci sono persone buone e persone cattive, persone altruiste ed altre avide, socievoli o introverse; ognuno è un piccolo miracolo, adornato da tutti i pregi e i difetti, in continua evoluzione in seguito agli eventi che si ritrovava a vivere.
    Mai voltarsi indietro se non per fermarsi a guardare da dove si è partiti; la via è avanti, immersi nella spirale del tempo.

    « Oh, davvero? » Rispose con incredulità ai commenti sulla tecnologia. « Io non amo per nulla gli smartphone, uso pochissimo il mio. » Eccolo. Non poteva mancare, perfettamente recitata, la menzogna quotidiana per soddisfare quel bisogno perverso di dire una falsità a qualcuno. « Però immagino siano comodi. Dovrei imparare ad usarlo di più, sicuramente eviterei di fare la figura di chi non sa nulla del mondo. » Ridacchiò innocentemente, ascoltando però attentamente come Yami riferiva la notizia.
    Interessante. Vaga quanto bastava ma non eccessivamente da sembrare voluto.
    Si trattenne abilmente dal farsi sfuggire un ghigno compiaciuto.
    Avrebbe approfondito in seguito, magari una volta arrivati sul posto.

    « Oh, capisco. Che situazione curiosa. » Rispose con un cenno del capo, rimanendo il ragazzino normale e sereno che camminava sotto la pioggia ospitando sotto l’ombrello una donna bellissima.

    Camminarono ancora un po', poi Seishiro decise che poteva permettersi di porre una domanda. Questa volta non si voltò in direzione della donna, quasi come a dare l'impressione che si trattasse solo di un modo per passare il tempo e non di un quesito con un secondo fine. Parlava con tono calmo, una classica conversazione, inaspettatamente senza ambiguità nei toni e nei modi.
    Diretta e semplice, quel tipo di domande a cui anche essere elusivi è dare una risposta.

    « Yami-san, cosa ne pensi degli eroi? » Lanciò il sasso, sperando che l’incresparsi dell’acqua si rivelasse meno banale dei discorsi medi. « Ormai ho capito che ti da fastidio avere restrizioni per l’uso del Quirk e rispetto il tuo pensiero, ma del mestiere dell’eroe cosa pensi? » Parlava con una leggerezza discordante dalla profondità e pericolosità dei temi toccati.
    Sarebbe stato molto curioso ricevere una risposta non conforme ai valori riconosciuti della società, dopotutto erano due perfetti sconosciuti e certe domande è bene che rimangano senza risposta. Diciamo che una certa notte aveva avuto molti indizi sul fatto che è meglio non fare il curioso, ma ogni tentativo di buonsenso era fallito miseramente.
    In cuor suo, Seishiro sperava di ricevere qualcosa, un segno, un piccione viaggiatore, qualsiasi cosa - anche se il massimo sarebbe stata una semplice risposta -; voleva la prova che Yami fosse davvero una donna degna d’attenzione e non una semplice moralista, ne aveva davvero bisogno.
    E poi aveva una domanda ancora più esplosiva, ma per il momento poteva aspettare.
     
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    Shizuka spiegò che dalle sue parole traspariva un animo buono e gentile. Secondo il ragazzo, voler aiutare le persone ed essere pronti a tender loro le proprie braccia era una sorta di atto di carità. Viceversa, per la svedese, era semplicemente il normale svolgimento delle cose. Yami non voleva essere un'eroina e non lo aveva mai voluto, neppure per un attimo in vita sua. Vedeva però il potere e dovere aiutare gli altri come un fondamento per l'esistenza stessa della società umana. Qui, invece, l'egoismo aveva preso il sopravvento. Gli umani erano riusciti a colonizzare quasi ogni regione del globo, ad insediarvisi e a proliferare. A differenza degli altri animali, gli uomini avevano smesso di adattarsi all'ambiente e avevano iniziato a modificare quest'ultimo per garantire la propria sopravvivenza. Il Regno Animale, per Charles Darwin e i suoi successori, si basava su alcune semplici regole. Una di questi era la schiacciante superiorità numerica degli individui rispetto alle risorse disponibili. Mentre gli altri animali sono in grado solamente di procacciare il cibo e i più inadatti sopperiscono alla selezione naturale, l'essere umano aveva imparato nei secoli a sfruttare, modificare, cucinare e poi creare il proprio nutrimento. Nonostante questo, in alcune zone del globo l'uomo riusciva ancora a soffrire la fame. Il mondo è un grosso alveare, uno talmente grosso da impedire ad ogni ape di conoscere tutte le altre. Se all'inizio i piccoli branchi di preistorici umani avevano iniziato a condividere il cibo e questo aveva permesso loro di crescere in numero, questo aveva inevitabilmente portato alla loro divisione in villaggi, poi in città, poi in nazioni. Anche in un piccolo paese è raro che tutti si conoscano a vicenda. Lo sviluppo estremamente vario della personalità, poi, impedisce a tutti di andare d'amore e d'accordo. Per questo, ironicamente, più aumentava il numero di persone a contatto le une con le altre, più si accentuava la loro individualità e il loro egoismo. Prima era il cibo, poi il denaro, poi gli uomini erano addirittura diventati gelosi del proprio tempo. Yami era forse un anello debole nella catena evolutiva, ma non riusciva a condividere appieno questo modo di vivere. Le sue braccia non potevano arrivare a tutti, ma perchè camminare con le mani in tasca quando poteva fare anche solo un po' di bene? Yami era stata cresciuta luterana, come normale nei Paesi scandinavi. Persino la sua fede andava contro all'idea comunemente condivisa dal mondo cristiano che fare del bene permettesse di accedere al Paradiso, accettando l'idea che l'uomo fosse peccatore e non potesse riscattarsi con le proprie forze. Forse, a guardarsi attorno, era davvero così. Ma quello non era il gioco a cui voleva giocare. Non più, almeno.
    Shizuka disse poi di non essere un grande fan degli smartphone e che avrebbe dovuto imparare ad usarli meglio per tenersi aggiornato. Ogni sua affermazione era in realtà da prendere con le pinze, ma questo perlomeno rassicurò leggermente la svedese: a quel punto era improbabile che sapesse dei suoi trascorsi e dell'omicidio dei suoi genitori. Per sua fortuna, poi, quel caso non aveva fatto abbastanza scalpore da garantirle una pagina su Wikipedia a vita. Qualcuno di più anziano rispetto a quel ragazzino, però, poteva molto probabilmente esserne a conoscenza. Ora che sapeva il suo nome, poi, si sarebbe potuto certamente informare. Da quel che diceva non ne era il tipo però, e questo andava certamente a suo vantaggio.
    E' normale, suppongo. - rispose quindi alle sue parole, sorridendo - Anche io alla tua età non mi interessavo del mondo. Passavo buona parte del mio tempo chiusa in camera... Beh, quando ero abbastanza fortunata da averne una almeno. - aggiunse. Dalla sua reazione, Shizuka sembrava non aver mai sentito parlare prima di quella storia. Non era nulla di particolare in realtà, ma restava una storia molto misteriosa. Qualcuno aveva avanzato l'ipotesi che fosse la Yakuza a gestire le costruzioni di Disneyland, altri che i due uomini si trovassero lì dentro per concludere un affare e l'attrazione - non ancora sicura - fosse crollata su sé stessa casualmente. Lo staff del Parco Divertimenti però diceva di non sapere nulla di quella che pareva essere una casa degli specchi e i turisti dei giorni precedenti non avevano fatto caso al nuovo complesso. Yami sapeva bene come stavano le cose e voleva osservare il luogo per soddisfare una propria stupida curiosità: generalmente i costrutti di un'unicità spariscono quando al proprio creatore vengono a mancare le forze. Se vi erano ancora i materiali, allora l'unicità di quel tizio li aveva probabilmente solo messi assieme. In caso contrario, aveva partorito una vera e propria casa. I due tizi avevano visto lei e Yuya e non poteva escludere di incontrarli nuovamente in futuro, ogni informazione poteva essere di vitale importanza. All'improvviso, una domanda.
    Shizuka non si voltò: aveva, per questa volta, ridotto il contatto visivo. La sua domanda era legittima, soprattutto visto come la loro conversazione era iniziata, poi esplicitato anche direttamente dalla voce del ragazzo. La svedese sorrise con tranquillità.
    Penso che non dovrebbero esistere. - rispose con voce pacata. Era forse un'idea un po' controcorrente, ma non rischiava nulla a dirlo. Che avrebbero dovuto fare, arrestarla? Finché un'idea resta tale e non diventa realtà può essere immorale, ma certamente non illegale. Lei, poi, non aveva alcuna intenzione di sterminare tutti gli eroi al mondo a differenza di molti in quella città. Beh, non ora almeno. Quando era ancora sotto l'influenza di suo fratello, le sue idee erano ben più radicali e pericolose. Ora, però, aveva capito che poteva esserci un altro modo per cambiare le cose. Yami, come detto, non aveva mai voluto diventare un'eroina. Quando era piccola, mentre molti suoi coetanei giocavano a fare gli eroi, lei preferiva studiare. Forse cliché o forse normale quando si è piccoli, ma i suoi eroi erano i suoi genitori. Vedeva il voler diventare eroi da piccoli come, tempo addietro, si diceva di voler diventare astronauti o cantanti. Crescendo, aveva capito. Quello che non le andava bene non era l'esistenza degli eroi ma quella delle strutture su quel sistema si reggeva, a partire dal nome. "Eroi"? Era un lavoro. Un eroe è, forse, un uomo che si getta in un incendio per salvare un cane. Un uomo pagato è solo una persona che sta facendo il suo mestiere, con ben poco di eroico. Oltre a questo, non digeriva il fatto che venissero trattati quasi come delle idol: contratti, pubblicità, action figure, vagonate di soldi. Non aveva mai visto un poliziotto o un pompiere venir trattati in quel modo, eppure i due svolgevano praticamente lo stesso lavoro. Un criminale, come detto, non si fa alcun problema ad utilizzare il proprio quirk se ha commesso crimini ben peggiori, lei ne era la prova vivente: per quanto agisse raramente con cattive intenzioni, era stata accusata dell'omicidio dei suoi genitori, perché trattenersi dall'utilizzare l'unicità se sarebbe finita in prigione comunque? Eroi e poliziotti combattevano quindi gli stessi criminali ma i primi, più addestrati e con libertà nell'utilizzo dell'unicità, rischiavano molto meno di morire.
    Sai quanti eroi esistono in Giappone? - chiese al ragazzo, portando le mani ai capelli per raccogliergli in una coda dietro alle spalle. Non aveva un elastico ma almeno non le sarebbero più penzolati gocciolanti sul seno - Non penso. A parte qualche nerd, dubito qualcuno guardi tutta la classifica. Eppure, appunto, c'è una classifica! - sottolineò con la voce quest'ultima parte - La classifica è gestita in base alle loro gesta ma anche al gradimento del pubblico. Questo significa che c'è un numero abbastanza piccolo di eroi per far sì che qualcuno possa votarli. - proseguì nella sua spiegazione sorridendo. Era un discorso che le stava a cuore ma non si faceva problemi a parlarne con tranquillità - E' giusto che vengano pagati, nessuno dovrebbe fare gratis qualcosa in cui è bravo. Ma penso che gli eroi non dovrebbero esistere e che dovrebbero addestrare le forze dell'ordine e dare a loro la libertà di utilizzo del quirk. - fece qui una pausa momentanea - Sai, nei fumetti o nei film i supereroi funzionano perché sono gli unici ad avere poteri straordinari e devono combattere quei quattro o cinque cattivi col loro stesso dono. Il nostro mondo non è così. Quasi chiunque ha un'unicità, perché farla usare solo a pochi? Potenzialmente, anche ora, qualcuno qui potrebbe impazzire e usare la sua unicità. Quanto pensi ci metterebbe un eroe ad arrivare? L'ho detto poco fa... Gli eroi sono pochi. - sospirò - Sono pochi e chiunque invece potrebbe usare i propri poteri senza permesso. Quante volte la polizia è arrivata su un luogo del crimine e ha dovuto aspettare per ore l'arrivo di un eroe? Sono persone come gli altri, non possono essere dappertutto in ogni momento... - proseguì nella spiegazione gesticolando un po' - Tutte le forze dell'ordine dovrebbero poter usare la propria unicità e gli eroi dovrebbero sparire. E poi... - arricciò il naso, piegando il volto verso sinistra. Si schermò il naso col dorso della mancina, starnutendo. Forse non era stata una bella idea stare sotto la pioggia - Scusami, dicevo... E poi, le scuole per eroi. Sono poche e a numero chiuso. Sai, il mio datore di lavoro... - aggiunse riferendosi vagamente ad Orochimaru - Lui è uno studioso di quirk, se ne intende. Una volta mi ha detto che molti quirk sono in grado di influenzare emotivamente i loro portatori... - qui, in un certo senso, si riferiva anche a sé stessa e a suo fratello per quanto quella situazione fosse borderline - Penso che ogni scuola dovrebbe insegnare agli studenti a gestire il proprio quirk, anche dopo le medie. In fondo è qualcosa che fa parte di noi, anche nascondendolo non possiamo cancellarlo. - sorrise. A quel punto non le veniva nulla da aggiungere, ma era contenta di trovarsi in quella situazione. Per la prima volta dopo tanto tempo era riuscita ad esporre abbastanza organicamente il suo pensiero sulla questione. Quello era il mondo che voleva, il mondo per cui avrebbe lottato.
    E tu? - sorrise, portando una mano sul suo capo e scompigliandogli i capelli: un gesto decisamente occidentale. Come al solito, non era molto brava a conformarsi alla società nipponica - Sei un piccolo nerd che passa le sue giornate a vedere video di eroi? - probabilmente trattava quel ragazzo come uno molto più giovane di quanto effettivamente fosse. Non era molto brava con le persone, proprio per nulla.

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    » Scheda « » Quirk «

    Narrato Parlato Pensato



    Ascoltò attentamente ogni parola, registrando e catalogando ogni informazione, dalle indiscrezioni su una passata vita difficile fino al quasi monologo in risposta alla sua domanda.
    Era davvero difficile mantenere un’espressione interessata ma neutra, perché avrebbe davvero voluto esibirsi in un sorriso divertito ad ogni frase.
    Ignorò anche la scortesia che lo starnuto in pubblico comportava, concentrato solo ed esclusivamente sul cercare il modo più adatto per chiedere quella cosa.

    L’improvviso contatto fisico che il gesto della donna comportò, però, lo destabilizzò per un attimo.
    Lo stava trattando come un bambino?
    Ovviamente non riteneva buona norma toccarsi durante un dialogo, forse per cultura, forse per la necessità di non mettersi mai in prima persona e lasciare che ogni maschera recitasse come tale; eppure, quel banale scompigliargli i capelli sembrava aver toccato delle corde che da tanto tempo erano rimaste immobili.
    Perchè si cerca un contatto con gli altri? In situazioni formali ed eleganti è scortese farlo, ma risulta eccessivamente pesante perché non lo si desidera. In famiglia, invece, ogni abbraccio, ogni carezza è sempre la benvenuta.
    Il linguaggio non verbale comprende anche la gestualità, mostrando all’interlocutore che tipo di rapporto si desidera avere: ridurre la distanza, toccare, cercare lo sguardo, tutti erano semplici maniere per portare su un piano più confidenziale, più intimo e, in alcuni casi, più sincero.
    Seishiro si riteneva leggermente infastidito da quel gesto: Yami non aveva mai effettivamente smesso ti armeggiare con i propri bellissimi e zuppi capelli, rimanendo inevitabilmente con le mani umide, con la conseguenza di bagnare leggermente anche la testa del ragazzo, prudentemente tenuta sotto l’ombrello proprio per evitare spiacevoli imprevisti come quello.
    Senza contare che, un comportamento del genere, si adotta spesso con fare canzonatorio e non solo affettuoso; dato che si conoscevano da nemmeno un’ora, era da escludere il coinvolgimento di qualche sentimento positivo, lasciando come opzione solo lo scherno.
    Male.
    D’altra parte, Seishiro aveva l’impressione che quella donna fosse fin troppo spontanea ed autentica, quindi non poteva escludere che per lei fosse una maniera molto contorta di sembrare simpatica.
    Interessante.
    E, in qualche modo, prevedibile per una persona che aveva appena professato come ognuno dovesse essere libero d'essere sè stesso, cosa che comprendeva anche la libertà di utilizzare il proprio Quirk nel rispetto della legge.
    Seishiro era d'accordo su questo, non poteva negarlo, ma non era nemmeno obbligato a esprimerlo, quindi non commentò; forse Yami avrebbe potuto intravedere una nota d'approvazione nel suo sguardo, ma non pensava che la donna fosse così interessata alle sue reazioni.

    Si impose di non soffermarsi troppo su quelle questioni, aveva decisamente qualcosa di più importante su cui concentrarsi.
    Senza dare a vedere il proprio fastidio per il gesto non necessario, si lasciò andare ad un sorriso timido e sottile, preparandosi a rispondere.

    « Invece che fingere che mi interessi così tanto di All Might, Iron Man o Titania, sarò sincero con te Yami-san: ho una domanda scomoda da porre. Magari, però, un’elettricista può darmi la risposta che cerco. »

    Perchè rispondere ad un quesito che non avrebbe portato a nulla di utile? Avere conversazioni leggere era piacevole: stemperavano spesso le piccole difficoltà quotidiane, allontanando per un attimo la mente dai pensieri più duri, permettendole piccole pause per poter essere ancora più attiva al momento del bisogno.
    Ora non era il momento di parlottare per il semplice gusto di farlo, non dopo il discorso che aveva fatto Yami, con il tono pacato di chi sta semplicemente esponendo le proprie idee ma anche la determinazione di chi non è disposto ad abbandonarle.
    Se non si va, non si vede, se non si prova non si saprà mai l’esito di un’azione, se non si coglie il momento esso sarà perso per sempre, scivolando nello scorrere del tempo.
    E, spesso, non sappiamo scegliere il giusto tempismo, rinunciando a buttarci più che per paura che altro, scegliendo di non scegliere nell'illusione che questo non avrà conseguenze, aprendo le porte alla venuta di rimorso e rimpianto, così bisognosi d'attaccarsi ad un'anima ed esistere con essa.
    Meglio compiere errori e poi schiedere scusa oppure attendere sempre?

    Per un ormai abituato osservatore come Seishiro non era per nulla facile fare un passo sul palcoscenico della vita, mettendosi in gioco sotto i riflettori senza veli e finzione.
    Tuttavia, si era preparato, costruendo giorno dopo giorno i protagonisti che lo avrebbero schermato da quelle luci, dando loro un ruolo, dei simboli e tutto quanto potesse essere utile per renderli vivi, così da poterli indossare e sentire come proprie quelle qualità.
    Shizuka non era un nome scelto solo per via del bel suono; nomen omen, dopotutto.
    Shizuka lo avrebbe custodito e protetto, lasciandolo libero d'essere sè stesso, di essere Seishiro proprio perchè sapeva che la maschera glielo permetteva, in un contorto gioco psicologico che il ragazzo aveva fatto con sè stesso.
    Dopotutto, solo chi non ha nulla da perdere o è folle non prova paura.
    Poi, c'è chi scopre come accettarla e comprenderla.

    Cercò nuovamente il contatto visivo, mostrando un volto incredibilmente impassibile per ciò che stava domandando.
    E si buttò.

    « Cosa puoi dirmi di Madame de Stael? »
     
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    ☿ YAMI DØDSON ☿


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    Yami aveva appena finito di fare il suo discorso sulla libertà o meno del libero utilizzo dell'unicità. Un discorso, diciamolo, forse abbastanza noioso. Shizuka, infatti, sembrava della stessa idea. E no, non intendo che anche lui pensava bisognasse dare a chiunque la possibilità di utilizzare la propria unicità anche in pubblico, intendo che probabilmente pensava fosse noioso. I suoi capelli erano morbidi e sembravano decisamente resilienti. Nonostante la mano umida della svedese, infatti, mantennero bene o male la loro forma originaria. Il sorriso sommesso di Shizuka, per quanto non volesse dare a mostrare il fastidio, era come un rubinetto: anche chiuso, sai che dentro ci sta comunque l'acqua. La svedese era forse poco cauta, ma non era stupida. Sapeva che starnutire in pubblico e il contatto fisico erano dei taboo per i giapponesi. Lei, in fondo, lo era a tutti gli effetti. Semplicemente se ne ricordava un attimo dopo. Era come una memoria muscolare sfasata, un alzare il braccio per difendersi quando la palla ti ha già colpito in piena fronte. E Shizuka era un ragazzo giapponese: si capiva da come era vestito, da come si muoveva, da come parlava. In un certo senso però, in quel sorriso timido e quasi nascosto, Yami riusciva a vedere una nota di approvazione. Le sue idee, forse era troppo sicura di sé, erano giuste. Quella discussione con Ryo, quella sera in cui era stato aggredito in un vicolo, le era servita. Aveva capito cosa sbagliava, aveva affinato il suo pensiero. Ogni confronto, in fondo, è utile a limare una propria idea. Anche dalla più feroce delle critiche, in fondo, si può ottenere qualcosa di buono. Una motosega che impatta contro un albero non necessariamente lo abbatte, può anche trasformarlo in una splendida scultura lignea. Riportò la mano al fianco.
    La risposta di Shizuka fu repentina e tagliente come una di quelle motoseghe, ma non sembrava poter affinare le sue idee ed ideologie in nessun modo. In qualche modo, il ragazzo sembrava come avere gettato una maschera o, perlomeno, aver tolto la mano che la stava sostenendo per tutto questo tempo. Mostrando totale disinteresse nel mondo degli eroi o perlomeno dicendo di provarlo, cambiò discorso con una velocità da far diventare verde di invidia qualsiasi volo pindarico.
    Riprendendo la metafora dell'elettricista, affermò di avere una domanda scomoda da porre. La svedese a questo punto non era pienamente sicura che il ragazzo avesse afferrato o meno la metafora, ma questo non le impediva di sentirsi il cuore esplodere ritmicamente come una bomba nel petto nonostante il battito, a dire il vero, fosse nella norma. L'effetto era un po' come quando si riceve un messaggio del tipo "Dobbiamo parlare." e il petto viene pervaso da un'ansia che fluisce fuori solo al messaggio successivo, tramutandosi in gioia o dolore. L'unica differenza è che Yami non aveva mai ricevuto quel tipo di messaggio e non aveva nessuno da cui riceverlo.
    La lingua - si dice - è uno dei muscoli più forti del corpo. La forza molto spesso viene considerata un opposto della precisione. Un fucile da cecchino ha una precisione millimetrica ma un potere d'arresto decisamente minore rispetto a quello di un fucile a pompa dal raggio decisamente ridotto. Le dita sono una parte del corpo molto precisa ma spesso fragile e non così tanto forte. La lingua, dicevamo, oltre ad essere forte è anche precisa. Certo, non un raggio laser guidato da un robot, ma precisa quanto basta per l'articolazione e lo sviluppo del linguaggio umano. Se quella fosse stata una conversazione per messaggio - pratica a cui comunque non era praticamente avvezza visto che gli smartphone erano per lei una novità e non aveva molte conoscenze - avrebbe probabilmente dovuto aspettare molto di più. Come su un patibolo, pensieri infestavano la sua mente come fantasmi nelle stanze di un antico maniero. Che conoscesse Yami Dødson? Che si fosse lasciata scappare qualche dettaglio di troppo su quel pasticcio a Disneyland, magari dettagli che non erano stati resi pubblici? La domanda piombò sul suo collo in velocità come la lama di una ghigliottina.

    Yami non aveva mai sentito quel nome in vita sua. Forse una sfortuna nella fortuna, Seishiro aveva trovato la persona meno informata al mondo di fronte a sé. Quella, in fondo, era la stessa Yami che si era buttata tra le fauci di Orochimaru e stava percorrendo il suo corpo venendo lentamente digerita ogni giorno che passava, senza sapere chi fosse. Le conoscenze della svedese su quel mondo oscuro che brulicava sotto la pelle di Tokyo erano pari a zero: aveva servito per mesi il Gufo senza avere la minima idea di star facendolo. Lei non aveva scelto quella vita, in fondo. Era stata una vittima degli eventi, era lì per necessità. Suo fratello l'aveva lasciata portando con sé tutta la sua conoscenza. Le loro coscienze, alla fine, erano sempre state separate.
    Madame de Steal... Lei è... - disse la ragazza con voce mesta e tono basso, spostando lo sguardo verso sinistra. I capelli bagnati coprirono il suo volto occidentale.
    Una persona che non ho mai sentito nominare! - aggiunse con tono squillante, voltandosi di scatto e ridacchiando. Una bambina. - Non... Non faceva ridere, vero? - aggiunse, portando la mano sinistra alla nuca e massaggiandosi i capelli quasi in segno di scusa. Portò quindi lo sguardo nuovamente alto, continuando a camminare.
    Non so chi sia, mi spiace. - aggiunse quindi più seria, grattandosi l'incavo tra naso e fronte - Madame è un titolo, un nome o uno pseudonimo? - domandò, curiosa. In fondo lei si chiamava "Ombra", ogni possibilità era plausibile.
    Vorrei aiutarti ma non sono molto brava a cercare informazioni, lo faceva sempre... Mio fratello... - scostò quindi lo sguardo, questa volta per davvero. Dannazione! Possibile che fosse ancora così ignorante sul mondo che la circondava? Non poteva contare sempre sugli altri. Avrebbe dovuto imparare anche a fare quello. Col suo progetto in mente non poteva permettersi di cadere in un'imboscata o sottovalutare un nemico.
    Beh, non importa. - scostò i capelli portandoli dietro all'orecchio destro con la mano e cercando di inchiodare con due assi e quattro chiodi il sorriso meno sgangherato possibile sul suo volto candido - Posso chiederti chi sia? O perchè è così importante per te? O... - deglutì, cercando di digerire lo squallido pensiero di poco prima - O perchè pensi che io possa avere qualche informazione su questa "Madame"?

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    Yami Dødson - LVL 7

    Esperienza: 1550
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    Quirk: 320
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    » Seishiro Harada


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    Agilità 15





    Danni: //
    Tecniche: //
    Equipaggiamento: //


    » Scheda « » Quirk «

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    Se per lui la questione non fosse incredibilmente seria, Seishiro sarebbe scoppiato a ridere allo scherzo di Yami.
    Non lo fece, anzi non si mosse di un millimetro, fissandola con un’espressione totalmente neutra, forse troppo adulta e giudicante per la sua età.

    Fu molto deluso dal non aver trovato nell’europea una buona informatrice in merito, ma d’altra parte era anche la prima occasione che aveva di chiedere una cosa del genere in modo diretto. Almeno aveva tentato.
    Sospirò e per qualche secondo si limitò a guardare lontano, forse in cerca delle parole più adatte.
    Non pensò ad uno stratagemma per tessere una menzogna, non meditò sulla possibilità di dire il vero o almeno una parte.
    Non si trattenne non tanto per mancata prudenza, ma per scelta.
    Forse era solo un illuso, forse era solo un inguaribile irresponsabile incapace di incanalare le proprie paranoie nella maniera corretta.
    O forse aveva visto pochi inverni per poter gestire in modo decente la propria vita.
    Inaspettatamente, si avvicinò, rompendo quella convenzione giapponese per cui era più che necessario mantenere certe distanze per una buona conversazione.

    « No. Non faceva per niente ridere Yami.san. E sai perché? »

    Era infinitamente serio, al limite della rabbia, troppo vero per essere l’ennesima maschera.
    Nei suoi occhi v’era ora un mondo; doveva cercarlo il profondità, superando quella maliziosa spavalderia che sempre si annidava nelle sue iridi turchesi. Ma la donna era già passata oltre, scoprendo che il quel mare dalle dolci tonalità dell’azzurro s’annidavano sentimenti tenuti a bada forse da troppo tempo.
    Ora scorgeva qualcosa che era rimasto incatenato forse da sempre: faceva fatica a muoversi, ma, non appena si rese conto della libertà ottenuta, sembrò avvampare e rinvigorirsi, alimentandosi e crescendo. Arrivava. Stava correndo. Urlava e ringhiava, una forza roboante e violenta, pronta a riversarsi fuori da quel fragile corpo.
    E invece non arrivò mai, trattenuta da una calma terrificante, una compostezza padroneggiata solo da chi per anni si esercita nell’arte dell’inganno, imparando come mascherare ogni emozione, ogni sospiro, ogni sguardo, scomponendolo e ricreandolo plasmato alla maniera più opportuna.
    Ma forse era stata tutta un’impressione.
    Infatti Seishiro parlò con un tono sufficientemente pacato ma non abbastanza per nascondere una nota di rabbia.

    « Quella donna ha provato a rapirmi. »

    Era una nota di paura quella che Yami aveva scorto nel profondo degli occhi del ragazzo?
    Beh, sarebbe stato comprensibile, umano, normale.
    Erano passati numerosi giorni da quando Seishiro era stato coinvolto in una serata decisamente fuori dal comune, attirato in una trappola dove aveva fatto di tutto per provocare e stuzzicare, salvato all’ultimo per la bontà di un animo.
    Eppure la sensazione opprimente dell’ansia non era sparita. Per fortuna, a dire il vero.
    Il dubbio lo manteneva vigile, attento e più prudente di quanto sarebbe stato se fosse andato davvero tutto liscio; in realtà, aveva un vero asso nella manica contro la Madame, una vera bomba ad orologeria pronta ad esplodere: non solo sarebbe stato in grado di fornire una perfetta descrizione fisica della donna – che aveva prudentemente già scritto prima di dimenticare dettagli importanti – ma possedeva una registrazione integrale di cosa era accaduto quella notte. Ne aveva svariate copie ormai, aveva fatto in modo di avere un numero di backup consoni alle proprie compulsioni.
    Era nato tutto come uno scherzo, una cosa da fare perché poteva essere divertente intrufolarsi superando la sicurezza con un registratore in tasca, ma alla fine gli aveva fornito uno strumento decisamente pericoloso. Sperava solo che la Madame ne fosse all’oscuro per poter vedere una sua eventuale reazione, ma anche al corrente di tutto non avrebbe fatto differenza: aveva la prova che quella donna aveva provato a rapire un minore per tenerlo come giocattolino da buttare via poco dopo. Non sarebbe stato difficile per un avvocato mediocre scaricarle addosso delle accuse pesantissime, facendo crollare il suo castello di carte e quello di tutti gli altri politici con cui era ammanicata, figuriamoci per un ottimo avvocato come quello che poteva permettersi la famiglia Harada! Avrebbe coinvolto anche gli eroi, non si sarebbe fatto scrupoli pur di eliminarla e vederla perdere ogni cosa; solo nell’eventualità che fosse nuovamente lei a cercarlo, non contenta dell’esito del loro primo incontro.
    L’unica sfortuna della donna era di aver provato a fregare un minore particolarmente bravo a millantare e conscio di potersi appellare ad una discreta quantità di articoli e decreti sui diritti umani.

    Cercò gli occhi di Yami, ma non aggiunse altro, rimanendo con lo sguardo saldo e, in qualche modo, determinato.
    Non rispose alle domande della donna, non lasciò intendere nulla.
    Aveva già detto molto, decidendo di rivelare un segreto così profondo all’unica sconosciuta che in una strada si era voltata per tendere la mano alla vittima di un furto, affidando un piccolo pezzo della propria storia non ad un’eroina, ma ad una donna dal buon cuore e lo sguardo di ghiaccio.
    Aveva già gettato alcune maschere con lei, lasciandosi la libertà che solo Shizuka poteva concedergli.
    Magari sarebbe riuscito a conoscere davvero qualcuno questa volta.
     
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42 replies since 15/9/2018, 15:13   581 views
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