Sbiaditi attimi

Role tra exquisite†corpses e ~Wyrd

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    ☿ YAMI DØDSON ☿


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    Il ragazzo non sembrava aver preso nel verso giusto il suo scherzetto, per nulla. La ragazza dai capelli bianchi si era forse fatta prendere troppo la mano per il sollievo di non essere stata scoperta o, perlomeno, che la domanda di Shizuka non la riguardasse direttamente. Probabilmente, però, quella domanda era più importante per il ragazzo di quanto potesse pensare. In effetti, ci rifletté solo dopo, quel ragazzo sembrava pesare ogni sua singola parola. Quella era a conti fatti la seconda domanda che poneva, la prima era stata quella sugli eroi. Non sembrava un grande fan del parlare del più o del meno, anzi. La prima questione che aveva posto era stata decisamente importante e forse la svedese aveva sbagliato nel prendere sottogamba la seconda. Quella leggera onda schiumosa di emozioni che fino a poco prima si muoveva in quegli occhi azzurri sembrò ritirarsi nuovamente per la bassa marea, lasciando solo una pesta e opaca palude fino all'orizzonte. Deglutì piano.
    Shizuka ora non sembrava porsi più tanti problemi sullo stare sotto lo stesso ombrello o sul contatto fisico. Per qualche motivo e con tono quasi inquisitore - espresso più dal linguaggio del corpo che dalla sua espressione - si era fatto pericolosamente vicino alla ragazza. Mantenendo lo sguardo dritto ma abbassando lo sguardo quanto bastava per guardarlo negli occhi, Yami poteva vedere i residui del suo naso non del tutto cancellati dalla sovrapposizione del campo visivo come fossero un promontorio annegato nel mare degli occhi del giovane. Qualcosa nella sua voce era cambiato, mentre le confermava la non comicità del suo intervento. Solo il "-san" aggiunto minuziosamente dopo il suo nome era rimasto dello Shizuka di pochi secondi prima. Come un reflusso, mentre i suoi occhi si erano svuotati qualcosa ribolliva nella sua voce. Era il ritirarsi delle acque prima di uno tsunami. Le rotture nella crosta terrestre causavano il ritiro delle acque dalle zone balneari: un liquido tende ad occupare tutto lo spazio disponibile e una spaccatura è decisamente più confortevole di una spiaggia piena di turisti. Il colore degli occhi di Shizuka era sceso a riempire un altro spazio, una spaccatura creata da un'emozione più forte dell'interesse di conoscere Yami o dell'aver trovato una persona più o meno simile o stimolante con cui dialogare. Da quella ferita, un crepaccio che si affacciava direttamente sul nucleo bollente del suo cuore, poteva fuoriuscire solamente una cosa: lava incandescente. Era questo che la giovane poteva percepire nella sua voce. Rabbia, forse paura. Un tempo lei e suo fratello si facevano chiamare Hypnos e Thanatos. Sonno e morte, dice qualcuno, sono fratelli. Altri sostengono siano cugini. E non erano forse rabbia e paura parenti anche loro? La rabbia genera paura e spesso la paura porta rabbia a sua volta. Yami, inesperta di rapporti umani com'era, non riusciva a distinguere le due cose nelle sue parole.
    Questa "Madame De Steal", aggiunse quindi Seishiro, aveva provato a rapirlo. La ragazza si odiava per questo, ma non riuscì a stupirsi. Cielo, forse non quanto avrebbe voluto. Aveva ucciso i suoi genitori, aiutato a rapinare una banca, tagliato arti, visto aggressioni. Tradito persone. Per quanto il pensiero potesse nausearla, quella era ormai la sua vita. Distolse lo sguardo, alzando leggermente il labbro come una bestia che ringhia. Quelle parole potevano non farle effetto, questo non significava certamente che non si sentisse in colpa per aver agito in quel modo.
    Scusa. - esordì con queste parole. Un semplice "gomen", a dire il vero. A Seishiro il verdetto: giudicarlo rude e maleducato o immaginare di essere ormai considerato dalla giovane un amico o qualcosa di molto simile. Si passò il polso destro sulla fronte per asciugare qualche goccia che la stava rigando, calandosi lentamente dai suoi capelli.
    Pensavo fosse un'attrice, o una idol, o qualcosa del genere. - forse non del tutto sincera, ma non poteva certamente aspettarsi una situazione del genere. Sarebbe stato davvero scortese farlo conoscendo l'identità di questa misteriosa "Madame" ma lei, la svedese, non sapeva davvero chi fosse. Forse offeso o forse semplicemente scosso al pensiero, Shizuka non rispose alle sue domande. Certo, a dire il vero le aveva comunque evitate quasi tutte sin dall'inizio. Sembrava di trovarsi quasi davanti a uno di quei grandi monaci muti e sordi ad ogni domanda, ma sempre pronti a porre agli altri quesiti che dovrebbero farli riflettere sulla propria esistenza. Quello e il peso che dava ad ogni singola parola facevano sembrare il giovane, per Yami, una persona decisamente poco sincera. I suoi occhi, però, parlavano un'altra lingua. Sembrava come uno di quei video di richiesta di riscatto dove la vittima è costretta a leggere un copione ma il suo sguardo implora davvero pietà e chiede aiuto. Quello che Yami non poteva sapere era che l'aguzzino di Shizuka o forse addirittura di Seishiro... Era Seishiro stesso. Una metafora tra l'altro divertente, visto il contesto.
    Perchè avrebbe provato a rapirti? - domandò quindi, portando ora nuovamente lo sguardo a Shizuka che affondò al contempo gli occhi nei suoi. Forse in quel mare blu affogava dormiente Seishiro. Forse aspettava solo che qualcuno tendesse la mano, decidesse di tuffarsi per prenderlo in spalla e portarlo fuori dall'acqua. L'individualità è una strana cosa perchè, per quanto riguardi l'individuo anche nel termine stesso, esiste solo se ne sono presenti due o più. Nel buio della propria stanza nessuno può sapere di essere davvero vivo, neppure con delle scritte su uno schermo davanti a sé. Seishiro non poteva salvarsi da solo, neppure volendo. Avrebbe avuto bisogno di qualcun altro.
    Rapire una persona non è come rubare una borsetta. - aggiunse, forse facendosi influenzare nella similitudine dagli eventi di poco prima seppur involontariamente - Non ne prendi una a caso sperando ci sia qualcosa dentro. O lo fai perchè quella persona ha molti soldi o lo fai perchè quella persona ha molto potere. O... - riprese quindi a camminare, sperando di essere seguita dal ragazzo con l'ombrello. Avrebbe preso di nuovo la pioggia, altrimenti. Mise le mani nelle tasche del giubbotto in pelle.
    Beh, o perchè questa persona ti ha calpestato i piedi. - concluse quindi il punto lasciato in sospeso qualche secondo prima - Tu a che categoria appartieni? - domandò quindi, alzando lo sguardo al cielo per quanto visibile dai limiti dell'ombrello di colore scuro.
    Hai evitato tutte le mie domande finora, Shizuka. - aggiunse, abbassando quindi lo sguardo al marciapiede - Non pensare che io sia stupida. Se vuoi che io ti aiuti... - spostò quindi i suoi occhi pallidi sul volto del ragazzo, nuovamente - Se vuoi che io ti aiuti devi iniziare a rispondere. Non posso continuare a giocare a battaglia navale e cercare di capire dalle esplosioni nei tuoi occhi se ho colpito qualcosa o no.
    Una figura retorica decisamente impressionante. Improbabile l'avesse partorita da sola, probabilmente era stata ispirata da qualche film o da qualche canzone. Sorrise come possibile al giovane per rassicurarlo. Nel possibile, lo avrebbe aiutato. Non era un'eroina ma si era promessa, dove possibile, di aiutare gli altri. E forse il ragazzo si era aperto con lei proprio per questo, vista la reazione all'aggressione di poco prima.

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    Yami Dødson - LVL 7

    Esperienza: 1550
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    Quirk: 320
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    » Seishiro Harada


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    » Scheda « » Quirk «

    Narrato Parlato Pensato



    Fu sorpreso dalle scuse della giovane. Dopotutto lei non poteva saperlo, era stato gentile provare ad essere simpatica e Seishiro si era reso conto di questo.
    In ogni caso, le apprezzò molto; erano, in qualche contorto modo, le prime scuse che poteva considerare dirette alla sua vera essenza e non ad un qualche personaggio di cui aveva indossato le caratteristiche.
    Ed accadde un evento al limite del magico, perché le sue gote si tinsero di un leggero rossore causato da un sincero imbarazzo che lo avvolse in un abbraccio con la sua purezza, facendolo sentire, finalmente, solo un ragazzino.

    E, come una persona normale, le parole di Yami lo investirono, dandogli quella scossa che aspettava da parecchio.
    Durante l’adolescenza ci si crede invincibili; noi, soli contro il mondo al pari di un eroe romantico, sospesi in un mare di nebbia troppo irruenti e desiderosi d’attraversarlo, spesso non ci fermiamo ad ascoltare cosa ha da raccontare.
    E’ inevitabile. E’ il normale corso della vita, la maniera migliore per crescere, in cui si impara che cadere è il primo passo per potersi rialzare.
    Seishiro era, alla fine, un adolescente.
    Spesso si trovava ad interrogarsi su temi troppo maturi per la sua età, ma i suoi modi non si discostavano troppo da un qualsiasi ragazzino arrogante: quel bisogno di sfidare il mondo adulto, come a dimostrare che sì, non era più un bambino, quella sicurezza data dall’invisibile e costante protezione della famiglia, quella spavalderia energica di chi, finalmente, può scoprire il mondo da solo.
    Era l’adolescente medio, solo aveva incanalato tutto quell’ardore giovanile in metodi di difesa meno convenzionali, elaborati con minuzia di particolari non appena aveva scoperto alcune piccole verità sulla società in cui viveva.
    Ma Yami aveva ragione: non poteva essere aiutato se continuava a rimanere aggrappato solo alle proprie menzogne; esporsi, rischiare di essere ferito, sperimentare davvero la sensazione d’essere spaesato e in balia del mondo erano dei passi che, prima o poi, avrebbe dovuto fare per crescere.
    Aveva, con il tempo, imbrigliato la propria coscienza in un circolo vizioso, facendole credere d’aver bisogno di ogni menzogna, che da sola sarebbe stata troppo debole; l’aveva relegata in una prigione appositamente costruita, lasciandosi guidare dai personaggi che amava interpretare, come un guscio vuoto guidato da chissà quali fili.
    Ma, da quando aveva visto il vuoto in sé attraverso lo specchio, si era ripromesso di affrontare ogni cosa, liberandosi in un certo senso da sé stesso.

    Era lì, bloccata ad una sedia, caviglie e polsi saldamente stretti; non poteva muovere un muscolo, costretta nella posizione che un bambino spaventato aveva predisposto.
    Era cieca, sorda e muta, incapace di percepire altro se non il freddo e il dolore: più cresceva e più le costrizioni la ferivano, facendole versare lacrime che sarebbero rimaste inascoltate.
    Poi, un giorno, aveva aperto gli occhi, benedetta dal dono della vista.
    Immobile, ma consapevole.
    Gli occhi sono davvero lo specchio dell’anima ed essere riuscito a liberare loro per primi sarebbe stata la salvezza di Seishiro, un piccolo passo verso l’autenticità di una vita costruita con menzogne non più volte a ingannare sé stesso. Certo, non avrebbe smesso di creare e indossare maschere; avrebbe smesso di lasciare che si indossassero.

    Con la consapevolezza che, dentro di lui, qualcosa stava disperatamente cercando di suggerirgli di afferrare la mano che Yami gli stava tendendo, Seishiro non lasciò la donna sola sotto la pioggia quando riprese a camminare. Con qualche secondo di ritardo la raggiunse, obbligandola nuovamente a fermarsi.
    Le aveva afferrato la giacca all’altezza del gomito.

    Quando i loro occhi si incontrarono nuovamente, la donna vide un semplice adolescente; dal labbro che si mordeva, dai suoi occhi, da quella convenzione sociale violata… tutto le suggeriva che, finalmente, quel ragazzino si stava aprendo e mostrando almeno un po’, vergognandosi profondamente della propria fragilità ma rendendosi conto di come fosse necessaria.

    Yami aveva fatto qualche domanda, ma non gli aveva davvero chiesto nulla.
    E fu per questo che Seishiro le disse tutto.

    « Non si trattava di denaro.» Fece un respiro profondo. « Quella donna rivoltante mirava a ben altro. »

    Lasciò la presa sulla giacca di Yami, ricomponendosi.

    « Mi ha attirato in un evento un po’ fuori dagli schemi, mi ha fatto combattere di fronte ad una platea, con l’intento di stordirmi per potermi prelevare e... » Fece una pausa e deglutì. Ancora provava disgusto all’idea. « …tenermi come giocattolino da buttare via dopo un po’. »

    Seishiro non sapeva davvero cosa Madame de Steal intendesse per “giocattolino”, ma vista l’indole perversa della donna si era aspettato il peggio; che si trattasse di un modo per chiamare una persona che avrebbe ridotto male a suon di botte o definisse con meno precisione le pratiche che portano alla pedofilia, poco cambiava: il cuore del giovane faceva ancora fatica a lasciar correre l’argomento, ferito e violato dalla terribile sensazione di quanto sarebbe potuto accadere.
    Fu scosso da un brivido impercettibile.

    « Immagino volesse punirmi, in qualche modo. Diciamo che... posso essere molto curioso. Un topolino che, non visto, rosicchia i fili giusti fino a lasciare senza elettricità. » Rise, ma sembrava di più uno sbuffo per allentare il disagio. « Ci sono persone che, quando si sentono minacciate da qualcuno, provano in tutti i modi ad eliminarlo; probabilmente la sua logica perversa la guida verso pratiche diverse dal semplice omicidio. Una fortuna per me, immagino. »

    Sospirò.

    « Non penso assolutamente che tu sia stupida, Yami-san. Avevo solo bisogno di un po' di tempo. Difficilmente mi confido in questo modo, specialmente con una persona conosciuta da poco. »

    Si era davvero confidato con qualcuno.
    Non era certo di come si sentisse in quel momento. Certa era, però, la sensazione di ansia ed angoscia che gli stava aggrovigliando i visceri.
    Si era esposto; per la prima volta aveva cercato di afferrare una mano.
    Era terrorizzato che questa lo avrebbe lasciato andare.
     
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    Per la prima volta da forse sempre, Yami si sentì bloccare nella sua avanzata da qualcosa. Simbolicamente, era sempre stata ferma, a volte veniva semplicemente trascinata. Con Disneyland quasi all'orizzonte, quella situazione non poteva che ricordarle - anche se in modo diametralmente opposto - il momento in cui Yuya le aveva afferrato il polso, provando a trascinarla con sé verso il loro obbiettivo. Da quel momento, quel giorno, le cose erano precipitate causando tutto l'incidente, il combattimento con la Yakuza e i loro affiliati e il crollo dell'edificio. Voltò lo sguardo.
    Aveva mosso qualche passo senza essere seguita dal giovane, qualche goccia le aveva di nuovo bagnato i capelli. Ora la mano del ragazzo era tesa verso di lei, stringeva la pelle sintetica della sua giacca nera e suonava come una disperata richiesta di aiuto. A differenza di poco prima, Shizuka aveva nuovamente cambiato del tutto atteggiamento. Ora, a parlare per lui, erano sia il suo sguardo che il suo linguaggio del corpo. Quel braccio teso, i suoi occhi che nuovamente brillavano di azzurro ma in un modo diverso da prima. Il volto espressivo, un paio di denti dell'arcata superiore affondavano nelle rosee labbra inferiori come si affonda la testa in un cuscino al termina di una giornata troppo lunga e decisamente pesante.
    La svedese si era auto-eletta come "Stregone". Mago, insomma. Quello che a volte viene anche chiamato Bagatto. Quello era il tarocco che - nella sua ipotetica associazione - aveva scelto per sé stessa. E in quell'occasione, sebbene non ne avesse fatto parola con nessuno, aveva deciso di abbandonare alle spalle il soprannome di Hypnos per passare a quello forse più evocativo di "Witch".
    L'etimologia della parola "maschera" è incerta, ma buona parte delle interpretazioni la legano a termini, chi dal latino e chi dal tedesco, legati allo stesso concetto. "Stregone". Sin dall'antichità, l'uomo aveva cercato di mascherarsi per le più svariate ragioni. Chi per annullare la propria identità e chi per assumerne un'altra, a volte per rituali religiosi, altre volte in battaglia e altre ancora per impersonare qualcun altro in rappresentazioni teatrali. I romani utilizzavano maschere in cera rappresentanti il volto del defunto nelle cerimonie funebri. In quelle occasioni le vie della città venivano invase da uomini con le maschere addosso, come se l'intero luogo fosse permeato dall'essenza del morto. E per quanto le maschere fossero almeno etimologicamente legate ai maghi, Yami non se ne intendeva proprio per nulla di questi artifici. L'unica maschera che avesse mai fatto parte della sua vita e che come se fosse stata fusa con la pelle del suo volto era riuscita a togliere solo grazie ad un'operazione chirurgica era quella di Hypnos. Quella con cui era obbligata a schermarsi in presenza di suo fratello. Un manufatto rubato da casa prima di scappare, proprio come quel kukri che era finita per amare molto più di quel pezzo di ceramica. Nonostante la sua poca esperienza però, di qualcosa era sicura: nessuna maschera al mondo poteva essere realistica come lo sguardo che ora quel ragazzo aveva sul volto, neppure la più finemente decorata e lavorata.
    Ascoltò con attenzione le parole che Shizuka aveva da dire, ora che si dimostrava più loquace rispetto ai precedenti tentativi di deviare continuamente discorso. In sostanza, per il giovane, non era una questione di soldi. Yami lo guardò, seppur con discrezione: di sicuro in un paio d'anni sarebbe diventato un bel ragazzo, ma non era sicura che questa Madame De Steal avesse tempo e voglia di giocare ad Hansel e Gretel, tenendolo rinchiuso da qualche parte fino al momento giusto. Shizuka era scosso.
    Un dettaglio della storia era importante, almeno per la svedese: il combattimento di fronte ad una platea, come lo aveva chiamato il ragazzo. Era tempo che non lo sentiva ma Yami conosceva Kaido, un uomo relativamente importante nella Yakuza a Tokyo. Kaido e il suo gruppetto organizzavano combattimenti clandestini per guadagnare qualche solo per le loro necessità. Da quel che sapeva la ragazza, quelli erano gli unici Fight Club in Tokyo. La mafia però non era solita includere donne e generalmente non ai piani alti e quello, soprattutto, non sembrava decisamente l'operato di Kaido o quella Yakuza in generale. Quella pista era da escludere, ma forse l'uomo avrebbe potuto saperne qualcosa. Per sua sfortuna, i loro contatti si erano interrotti quando aveva lasciato il Soseiji. Mentre rifletteva, una parola attirò la sua attenzione.
    Quella era la prima volta in cui Yami sentiva dire la parola "topolino" in un dialogo al di fuori dei film e, per di più, con accezione seria. Guardò il ragazzo ridere quasi istericamente dopo aver pronunciato quella frase. Chi diavolo userebbe la parola "topolino" al mondo? Yami arrossì leggermente: che stesse cercando in tutti i modi di farsi carino? Rapido come lo spegnersi di una luce una volta premuto l'interruttore, il discorso piombò nuovamente nell'omicidio. Shizuka aveva alternato nella stessa frase una similitudine da prima elementare e una riflessione molto acuta sul mondo del crimine. Quel ragazzo era interessante ma decisamente strano. Dopo un sospiro, disse semplicemente che faceva fatica a fidarsi delle persone. La svedese, invece, lo faceva fin troppo facilmente. Gli sorrise, cercando di rassicurarlo.
    Nel mio vecchio lavoro avevo incontrato qualcuno che organizzava serate come quelle. - spiegò quindi con calma. Per lei, davvero, quelli erano dei lavori come qualunque altro - Sono sicuro non si tratti delle stesse persone, però. Loro non sono soliti minacciare e neppure rapire. Probabilmente te la saresti cavata con una falange in meno. - riprese quindi a camminare, sperando di essere seguita dal ragazzo - Sei sicuro che fosse tutto organizzato sin dall'inizio? - gli domandò, cercando di riflettere - Intendo, sei sicuro che il rapimento fosse il fine sin dall'inizio? E che non fosse una contromisura per qualcosa che hai fatto nel frattempo? Un conto è cercare un rapitore, un conto è cercare una persona che... - lo guardò di sfuggita, un po' a malincuore. Neppure lei riusciva a capire come la frase che giaceva sulla punta della sua lingua potesse venir pronunciata con così tanta leggerezza. Forse nonostante i suoi ideali, buona parte di lei era stata irrimediabilmente contaminata dal vivere in quella fogna - Che bene o male cerca di proteggere i propri interessi.
    Insomma, se fosse il primo caso ci dovrebbe comunque essere un motivo per cui scegliere proprio te. - aggiunse dopo qualche secondo di riflessione. Era ovvio che, per quell'ipotesi, ci fosse ancora qualcosa su cui Shizuka preferiva tacere - Come ti ha contattato? E perchè ci sei andato? - domandò, cercando di sorridergli in modo da rassicurarlo - Dovresti stare attento, Shizuka. Questo mondo è pieno di gatti e probabilmente è ancora presto per te per uscire dalla tana.
    Forse era la scelta di parole completamente sbagliata, forse avrebbe dovuto farlo desistere dal ficcare il naso nell'oscuro mondo del crimine, un mondo che non esita a trascinarti dentro appena sporgi un occhio nel suo pozzo. Ma chi era lei per fare la predica? Una ragazza che era scappata di casa a tredici anni coi vestiti insanguinati e che aveva cercato di sopravvivere in ogni modo possibile da allora. Certo, Shizuka non sembrava averne bisogno. Non sembrava fosse necessario per sopravvivere. Lei, però, non poteva comunque permettersi di giudicare nessuno. Ognuno è libero di prendere le proprie decisioni. L'importante è non incolpare gli altri quando, dopo aver messo una mano tra le fiamme, tiri fuori solo carbone e cuoio.

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    « Oh, per quello che ho fatto nel frattempo sono certo di averle dato molto fastidio. »

    Seishiro aveva ripreso a camminare al fianco di Yami. Poteva essere un’impressione, ma ora la distanza che li separava si era ridotta, come se per il ragazzo l’aver chiesto aiuto con quell’imbarazzante gesto fosse stato un segno del superamento di qualsiasi convenzione sociale. Era come se la vicinanza fisica dei due corpi potesse favorire il contatto delle anime, facendole entrare in risonanza e creando quei legami che tengono in vita le amicizie più profonde.
    Quella donna in qualche modo si permetteva di giudicarlo, ma non con l’arroganza di chi pretende di essere migliore: sembrava più l’occhio di una sorella maggiore, come se davvero le interessasse di un ragazzino incontrato per strada il cui unico atto gentile nei suoi confronti era stato offrirle parte del proprio ombrello come riparo.
    Forse stava idealizzando Yami.
    Dalle sue parole emergevano frammenti della sua vita, la normalità di chi si trova a doversi immergere, probabilmente più per necessità che per piacere, nel lato oscuro della società.
    Ma, se Yami fosse stata una persona cattiva non solo non si sarebbe lasciata sfuggire dettagli compromettenti – se non per avere un pretesto per portarlo in un vicolo ed accoltellarlo -, ma avrebbe anche avuto un diverso approccio nella conversazione.
    Aveva capito che si trattava di una donna sicura, ma gli dava anche l’impressione che fosse una persona entusiasta della vita, come se avesse imparato a vivere da poco.
    Dopo aver analizzato e conosciuto tante persone in balia della vita, incontrare qualcuno che desiderasse viverla al meglio era molto stimolante per un amante delle persone come lui.
    Per questo era convinto che, nonostante potesse essere coinvolta in affari loschi, Yami fosse una persona fondamentalmente buona.
    Buffo come, in realtà, sono proprio le persone più buone a sporcarsi le mani; amare davvero qualcuno, volere il suo bene non significava anche desiderare per lui felicità e spensieratezza? Quale regalo migliore per qualcuno se non lasciarlo ignaro del lato peggiore delle cose, permettendogli di vivere una vita priva di ansia e angoscia non necessarie?

    Seishiro venne folgorato da quel pensiero, rendendosi conto di un possibile motivo per cui era diventato così curioso.
    Lui amava e aveva due persone che desiderava proteggere; erano i suoi modelli di virtù, puliti, limpidi e sinceri.
    Era certo che anche nell’azienda di suo padre ci fosse del marcio, sarebbe folle pensare che una tale ricchezza si basi solo sull’onestà. Ma Yato non era coinvolto.
    E questo lo metteva in pericolo, gli dava decisamente una posizione di svantaggio rispetto ai furbi manipolatori.
    Ecco il motivo per cui si era buttato in una situazione pericolosa: aveva inconsciamente deciso che, anche se solo adolescente, sarebbe cresciuto con i messi e le idee per proteggere la propria famiglia.
    Ragionamento contorto, ma che gli diede molta gioia. Quel senso di colpa frustrante che aveva provato nel mentire ai propri genitori veniva così eliminato, sostituito dalla consapevolezza che forse non sarebbe mai stato un esempio di virtù, ma lo sarebbe stato di amore.

    Il suo passo si fece impercettibilmente più deciso, animato da una nuova forza.

    « Sai, Yami-san, starò anche uscendo troppo presto dalla tana, ma di certo non me ne vado in giro impreparato. » Ridacchiò. « Ho registrato tutto. So che la Madame voleva rapire me, la persona che mi ha aiutato a fuggire me lo ha rivelato. »

    Ripensò per un momento a Karen; non desiderava coinvolgerla, non voleva che le venisse fatto del male. Era una persona che non era ancora riuscito a comprendere al meglio, ma con lui era stata decisamente buona e gentile, non avrebbe avuto nessun motivo per desiderare il suo male.
    Alla fine Seishiro non era cattivo o vendicativo; era un ragazzino, si occupava di mille problemi nella propria testa, risolvendo situazioni ipotetiche per necessità di ordine, ma poi nel piano pratico non meditava nulla fino al momento del bisogno.
    Per Karen non aveva pensato a soluzioni che la riguardassero in modo negativo: le doveva molto, non riteneva giusto considerare di poco conto un favore.

    « Allora? Che ne pensi? » Sul suo viso si fece strada un ghigno malizioso. « Se anche la Madame lo sapesse, non penso che sarebbe così stupida da cercarmi in modo irresponsabile. Con una prova del genere e il fatto che posso permettermi ottimi avvocati non sarebbe troppo difficile incastrarla. » Sospirò « Tuttavia preferisco che la mia famiglia non venga coinvolta in queste questioni, per questo sto cercando informazioni da solo. »

    Alzò lo sguardo, accompagnando con un respiro profondo ciò che stava per ammettere.

    « Prima ho mentito sul non essere un buon utilizzatore degli smartphone e in generale dei mezzi di comunicazione. Probabilmente nelle mie ricerche a tempo perso sarei potuto arrivare a scoprire qualcosa di scomodo. » Fece una breve pausa, più per rendersi conto di aver appena rivelato di aver detto una menzogna che per altro. Era strano, come se fosse spogliato della propria identità.
    Ma stava facendo la cosa giusta, ne era certo.

    « Quando mi è arrivato un messaggio con l’invito per l’evento, ci ho pensato molto. All’inizio volevo andare solo per dare un’occhiata, ma una volta arrivato c’era davvero. Volevo capire cosa stava succedendo. E una volte dentro... mi sono fatto riconoscere. Non ho resistito, dovevo vedere la reazione della Madame ai comportamenti di un ragazzino che era in grado di metterla in difficoltà. Ma ho imparato la lezione, in un certo senso. » Concluse senza che quel sorriso sghembo sparisse.
     
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    Yami camminava, ascoltando le parole del giovane. Ammettendo di averla in qualche modo infastidita - non specificando però come - confermò le idee della svedese a riguardo della Madame. In quel mondo, in fondo, a nessuno piaceva avere qualcuno pronto a calpestargli i piedi. Shizuka la seguiva con l'ombrello: non era sicura se fosse effettivamente così o se fosse solo un'impressione, ma le pareva che non facesse più così tanta attenzione a mantenere le giuste distanze. Non era sicura se fosse un comportamento minaccioso, una dimostrazione di fiducia o se semplicemente stesse prendendo troppo bene l'idea di stare sotto l'ombrello con una ragazza e mostrarsi in giro con lei. Lo vide aumentare il passo, dicendo di aver registrato tutto quella sera e specificando di essere sicuro di essere lui l'obbiettivo di quel rapimento, il tutto ridacchiando. Sembrava ora decisamente più sincero o, perlomeno, il suo comportamento sembrava più naturale. Umano, semplicemente. Come tutti gli umani si fece prendere per qualche secondo da quel sentimento che sembrava tanto vendetta o voglia di far soffrire gli altri. Quella voglia naturale di spogliare chi ci fa soffrire di tutto ciò che ha di più caro. Preso forse da quella foga che tanto spesso rendeva gli umani più simili alle bestie che a Dio, si lasciò scappare un'informazione tanto innocente quanto importante. Riferendosi alla sua famiglia e agli avvocati che poteva permettersi, confermò a Yami la sua condizione agiata che aveva lasciato a tacere alla domanda precedente, né confermandola e né negandola. Non poteva certo biasimarlo comunque, anche lei era riuscita a mettere da parte un bel gruzzoletto grazie ad Orochimaru ma non poteva certo andare a rivelarlo al primo passante per strada. A maggior ragione se aveva già rischiato di essere rapito una volta, in quel caso la reticenza del ragazzo era tutt'altro che ingiustificata. Per ora non disse nulla, concentrandosi su altri dettagli al momento più importanti.
    Purtroppo, Shizuka... - esordì la ragazza, guardandolo - Beh, forse un giorno ti accorgerai che certe volte la legge non può fare molto davanti a certe persone. - proseguì, riflettendo sulla situazione - Un po' come per quella signora di prima. A volte ci sono crimini dove l'occhio della legge non arriva, altre volte... - una donna con abbastanza soldi e potere per organizzare spettacoli e fight club privati e potersi permettere di rapire una persona senza battere ciglio pur restando nell'anonimato doveva certamente essere protetta da qualcuno - Altre volte quell'occhio si chiude di sua spontanea volontà e preferisce guardare da un'altra parte. - sorrise, cercando di farlo rilassare. Era palese che quella situazione, nel bene o nel male, lo eccitasse - Sarò cinica, ma ti consiglierei di tenere le prove per te finchè non hai un piano B pronto, in caso gli avvocati decidano di deluderti. - aggiunse. Per quanto triste, a volte la legge era come un'asta: andava al miglior offerente. Sospirò al pensiero.
    A quel punto Shizuka rivelò di aver mentito riguardo la sua incapacità sui mezzi di comunicazione. Yami storse leggermente il naso, ma era riuscita a fiutare l'odore di qualche menzogna in quella conversazione. Questo si sommava alla mezza verità sulla sua ricchezza dandole certamente un'impressione positiva visto che si stava aprendo, ma le fece domandare su quanto fosse stato onesto nei minuti precedenti e su quanto no. Lo ascoltò parlare della sua curiosità e riassumere vagamente gli avvenimenti di quella sera. La svedese voleva chiedere informazioni più dettagliate ma da come si scaldava parlandone sembrava che non fosse ancora passato abbastanza tempo, per il giovane, per poterci riflettere a mente fredda. Sarebbe stato probabilmente indelicato tentare di approfondire il tutto in quel momento.
    Ehi. - disse la svedese, portando pollice e indice destri al mento del ragazzo per spostare con decisione ma dolcezza i suoi occhi in quelli di lei - Tra il cellulare e l'aver sorvolato sull'essere ricco, mi hai raccontato un sacco di bugie. Magari vuoi dirmi che non ti chiami Shizuka? - lo provocò, sorridendo, ancora col ricordo del nome di quella compagna di classe in testa e la convinzione che fosse un nome femminile - Yami è il mio nome per davvero. - lo rassicurò, conscia che si trattasse di un nome atipico.
    Con quelle informazioni e in quel momento non poteva fare molto. Orochimaru, poi, non era forse la persona migliore a cui chiedere. Forse l'unico modo per indagare davvero era partecipare ad uno di quegli incontri, ma ne valeva la pena? Non conosceva questa Madame e anche volendo non poteva rischiare così grosso. Era un'ipotesi, però, e forse quella più funzionante. D'altro canto se vuoi scoprire cosa c'è in una stanza o chiedi a tutti quelli che conosci sperando sappiano qualcosa oppure sfondi direttamente la porta. Lasciò il mento del ragazzo, portando la mano al fianco.
    E... Come ti è arrivato il messaggio? - domandò, curiosa - Voglio dire, hai fatto qualche ricerca strana in quei giorni? Hai ficcato il naso dove non dovevi? Devi... Senti. - come tutti i ricchi, forse i suoi genitori erano pieni di lavoro. Forse annegava la sua mancanza di attenzione e di affetto comportandosi in quel modo spericolato, come se volesse dimostrarsi e dimostrare agli altri di bastarsi da solo e di poter fare tutto ciò che voleva senza l'aiuto degli altri - So che a volte i vecchi sono fastidiosi, ma cerca di non sentirti più intelligente di nessuno. A volte i predatori si fingono preda. Non devi dimostrare niente a nessuno, in certe occasioni faresti comunque meglio a farti i fatti tuoi. Ora... - gli sorrise, sperando di non essere stata troppo dura. Voleva solamente cercare di fargli capire che comportarsi in un modo così spericolato solo per il proprio diletto e divertimento poteva essere dannoso. In un certo senso, non per mezzi ma per fine, le ricordava suo fratello. Quello stupido che voleva sentirsi Re del mondo ed era disposto a fare di tutto pur di dimostrarlo. Lui, però, era invincibile. Beh, certo, in realtà tutti i danni si ripercuotevano su di lei, ma il fatto è che Shizuka (o Seishiro, se le avesse rivelato la sua identità) non lo era. Avrebbe dovuto muovere i suoi prossimi passi con molta attenzione, come se si stesse muovendo su una sottilissima lastra di ghiaccio già crepata - La persona che ti ha aiutato chi era? Uno spettatore? O un lottatore come te?

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    Yami Dødson - LVL 7

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    » Seishiro Harada


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    » Scheda « » Quirk «

    Narrato Parlato Pensato



    Ancora una volta veniva trattato come un bambino.
    Il suo Io sospirò, agguantando l’Es prima che potesse sfuggirgli nuovamente per buttarsi rovinosamente contro il Super Io. Si contendevano la sua anima, la sua identità; ognuno desiderava che lo seguisse, spezzandola, frammentandola e ricostruendola malamente, con il risultato di lasciarla a pezzi e in solitudine.
    Un povero animo, dilaniato non solo dalle proprie componenti, ma dalle sue stesse definizioni, che ne proponevano diverso genere. Spesso si dice che l’anima è donna, poiché associata alla figura paziente e gentile di una madre, comprensiva e molto più spirituale e sensibile di quanto potrebbe mai essere un maschio.
    Come se il cromosoma Y non portasse con sé una paragonabile quantità di interiorità e paranoie.
    L’animo di Seishiro voleva considerarsi, in questo, non binario, come tanto va di moda definire; non si riteneva più affine alle riflessioni femminili o maschili, era già andato oltre, proiettandosi verso una dimensione più filosofica e speculativa.
    Si potrebbe dunque chiamare anim@, dimostrando apertura mentale alle nuove tendenze e godendosi un po’ la sensazione di iniziare disorientamento che questa non identificazione può causare.

    Dunque, l’anim@ di Seishiro di trovava in una posizione scomoda: desiderava ribattere, farsi sentire, urlare e ribadire che non era uno stupido anche se aveva solo sedici anni. Certo che sapeva che una come Madame de Steal doveva essere protetta da persone molto potenti! Una parte del suo piano faceva davvero affidamento sulle abilità di retorica e dialettica spesso riconosciute nella figura dell’avvocato, ma non si sarebbe limitato a quello.
    Il problema delle menti con una certa dose di paranoia è che finiscono con il pensare troppo, rielaborando sempre gli stessi dati da prospettive differenti, scoprendo spesso aspetti molto singolari ed alternativi delle questioni; una serie di informazioni così analizzate e poi catalogate secondo la compulsione che caratterizzava il ragazzo era un buon metodo per avere sempre ben presente come agire.
    Fallire era anch’essa un’opzione, lasciarsi vivere senza nemmeno provare no.
    Spesso l’anim@ si interroga sulla sfida dell’Accidia, tentato dalla dolcezza del non agire, cullato dagli eventi che scuotono il mondo, semplicemente beandosene senza mai scegliere.
    Seishiro percorreva una strada di vita troppo vicina a quel vizio, ma più che cedervi sembrava spesso osservarlo e sfidarlo, quasi a dimostrare che è possibile essere uno spettatore attivo.

    Decise di non commentare le parole di Yami; le era in qualche modo grato per quella strana premura che stava dimostrando nei suoi confronti dunque, per quanto gli desse fastidio essere sminuito e quasi rimproverato in quel modo, lasciò perdere.
    Le avrebbe, forse, dimostrato qualcosa con i fatti.
    Dopotutto, crescere era un percorso che comprendeva anche la consapevolezza di quando è più opportuno parlare.
    Si limitò ad annuire leggermente e guardare la donna con l’espressione di chi ha capito.

    « Sì. » Rispose secco alle insinuazioni sulle sue menzogne. « Anagraficamente non mi chiamo Shizuka, ma in questo momento è il nome con cui desidero essere identificato da te, Yami-san. E’ importante per me. »

    Completamente ignaro dei possibili fraintendimenti di genere che quel nome poteva creare nella mente della donna, Seishiro fu sincero almeno sul fatto che desiderava essere Shizuka mentre parlava con lei. Un concetto molto contorto che, forse in un futuro, avrebbe potuto spiegare e confondere ancora di più sulla propria stabilità emotiva e mentale.

    Ammise a sè stesso di sentirsi decisamente spaesato nel momento in cui Yami si permise di prenderlo dolcemente per il mento; il sollievo provato alla conferma che Yami fosse il suo vero nome, buffo e intrigante al tempo stesso, fu cancellato dal disagio che un contatto così diretto poteva causare.
    Non era tanto la sua educazione tipicamente giapponese a dargli quelle spiacevoli sensazioni; immaginava di poter tranquillamente sostenere il contatto fisico con una mano, forse addirittura con un abbraccio.
    Ma il viso… no.
    Sul volto di una persona si dipingono le emozioni, si crea una storia che ogni interlocutore può scegliere di leggere o no; è sicuramente il distretto corporeo che per Seishiro ha il valore più privato ed intimo, non qualcosa che ci si può permettere di toccare ad un quasi sconosciuto.
    Un bacio è, per portare l’esempio su un piano estremo, molto più difficile ed intimo di un rapporto carnale; è facile provare piacere senza coinvolgimento emotivo, ma è quasi impossibile baciare bene fingendo. Ma baciare davvero.
    Senza contare che le labbra sono una delle superfici in cui abbiamo una sensibilità più fine, avvicinarsi in quel modo e toccare la pelle poco distante era una chiara violazione, quasi un imporsi sull'altro.
    Si era dimostrato molto meno tradizionalista di quanto si poteva aspettare da un normale giapponese, ma per motivazioni personali non accettava ancora quel tipo di contatto, a meno che non si trattasse di persone più che amate.

    Probabilmente Seishiro arrossì per l’imbarazzo, nascondendo così il fastidio di essere stato toccato proprio sul viso. E fortunatamente Yami non aveva avuto la pessima idea di scegliere una zona vicina agli occhi; il ragazzo avrebbe quasi potuto avere una crisi di panico.
    In ogni caso, per tutta la durata del contatto, il sorriso sparì dal suo viso, sfuggendo allo stretto controllo sulle emozioni proprio perché una corda sensibile era appena stata toccata.

    « No, nessuna attività diversa rispetto al solito. » Prese il telefono dalla tasca e, con movimenti veloci e sicuri del pollice, arrivò presto allo screen del messaggio, mostrandolo a Yami.
    Sicuramente si poteva notare che si trattava di un modello di smartphone tutt'altro che economico.

    CITAZIONE
    "Scommetti fino all'ultimo centesimo in una serata per VIP all'insegna del sangue! Ospiti speciali: Madame S! Caldamente consigliata è una maschera e tutti i soldi che avete!
    Antico Teatro Oshida, ore 23.00."

    « Questo è tutto ciò che mi è stato inviato. Numero sconosciuto, messaggio intrigante; come vedi c’è anche il link per le coordinate gps. Alla fine era un giro di scommesse illegali su incontri clandestini. Come gioco hanno invitato un ospite casualmente scelto a combattere sul palco. Sapevano chi ero, perché la persona che mi ha salvato mi ha chiamato per nome e cognome. » Sorrise al pensiero di Karen. « E’ una sottoposta della Madame, una donna onorevole e gentile. »

    Detto questo, lasciato il tempo a Yami di leggere il messaggio con calma, chiuse tutte le finestre, bloccò lo schermo e ripose lo smartphone da dove l'aveva preso.


    Edited by ~Wyrd - 5/10/2018, 12:13
     
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    Shizuka ammise di chiamarsi in un altro modo, specificando poi di voler però essere chiamato in quel modo da lei. O chiamat*? Si premurò poi di aggiungere che fosse importante, per lui, usare quel nome. Caduti tutti i muri, alla svedese sembrava stupido utilizzare un nome falso per semplice sicurezza, soprattutto dopo aver ammesso esplicitamente di chiamarsi in realtà in un altro modo. In un certo senso, questo si legava al suo ripudio del soprannome di "Hypnos" e all'adottare quello di "Witch". La ragazza dai capelli bianchi era conscia che il suo obbiettivo fosse decisamente sopra le righe e quasi impossibile da realizzare. Quell'Hypnos che doveva essere solo in relazione col Thanatos di suo fratello aveva col tempo assunto un altro significato: l'utilizzo di quel nome, praticamente mai pronunciato in pubblico ma inciso a fuoco nella sua anima, era strettamente legato ad un periodo della sua vita in cui, in un certo senso, era lei intrappolata in un lungo sonno. Solo grazie all'allontanamento di Thanatos, Yama, suo fratello, era finalmente riuscita a liberarsi e a svegliarsi da quel torpore, da quella condizione che la rendeva una schiava senza manette e le cui uniche catene erano quel cordone ombelicale etereo che collegava il suo corpo a quello immateriale del gemello. Compreso di non essere lei il peso del fratello ed essendosi liberata da quel macigno, aveva deciso di tentare qualcosa che nessuno aveva mai tentato: proprio come Ryo le aveva lasciato intendere quando avevano parlato in camera sua, il suo desiderio era talmente grande che neppure soffiare le candeline su una torta di compleanno o guardare le stelle cadenti in cielo sarebbe bastato per esaudirlo. Sarebbe decisamente servito un miracolo o una magia. E per questo, proprio per questo motivo aveva deciso di abbracciare il nome Witch. Quei tre nomi scandivano momenti separati della sua esistenza ma ugualmente importanti e mescolati nella sua individualità. Alle persone si presentava ancora come Yami, ma tendeva ad occultare il suo cognome. Qualche secolo addietro Carl von Linné, tra l'altro compaesano della svedese, aveva pubblicato un'opera destinata a cambiare completamente la tassonomia: il Systema Naturae. Lavoro di una vita, edito in tredici edizioni lungo una settantina d'anni, opera in continua evoluzione, il Systema Naturae è, fondamentalmente, un'opera di classificazione. La vera novità di quest'opera stava però nell'utilizzo sistematico della nomenclatura binomiale. Fino a quel momento, ogni autore era solito dare il proprio nome agli organismi in base alle caratteristiche che riteneva più importanti. Guardando un rinoceronte, ad esempio, qualcuno poteva evidenziarne il corno e qualcun altro la stazza. La nomenclatura binomiale invece si propone di dare un nome ad ogni organismo basandosi sulla combinazione di due diversi termini: il nome del genere a cui appartiene la specie, in quanto tale generico, e poi un epiteto specifico atto a distinguere, tra le tante specie del genere, proprio quella presa in esame. Yami trovava conforto in questo concetto. Al mondo esistono milioni di persone con lo stesso nome, ma già la probabilità che esistano molte persone con lo stesso nome e cognome è decisamente minore. A maggior ragione se la combinazione è "Yami Dødson". Yami si sentiva al sicuro nel suo nome. Come nello stesso genere di serpenti potevano esserci esemplari velenosi e altri no, la svedese sentiva il non specificare il suo cognome come uno schermo, una protezione. Come se essere una Yami tra tante lavasse via dalle sue mani il sangue che queste avevano versato, seppur sotto la guida o l'obbligo di suo fratello. A questo punto, e Shizuka?
    Nonostante fosse un Paese spesso rigido e chiuso sulle proprie convinzioni, il Giappone era un'isola dove la gente, almeno nelle grandi città, poteva andare in giro vestita come più preferiva. Harajuku era piena di persone vestite con colori e capi bizzarri ad ogni ora del giorno. Una delle più recenti conquiste era il diffondersi del genderless clothing. L'idea, decisamente corretta, per cui i capi di abbigliamento non abbiano una destinazione privilegiata di genere sessuale. In antichità ad esempio la gonna, oggi vista come indumento femminile, era indossata senza distinzione di genere. L'idea stessa di sessualità era poi controversa in Giappone: molti asiatici avevano tratti femminili, androgini, e i forti tabù a riguardo in una società dove persino abbracciarsi era visto come una violazione dell'intimità non aiutavano di certo. L'impossibilità di sfogare i propri desideri e di avere sempre il peso delle aspettative sociali, scolastiche e lavorative sulle spalle obbligava spesso le persone (e soprattutto i ragazzi) a tenersi dentro tutto fino ad esplodere. In questo mondo, per qualche strano motivo, Yami sembrava essere una calamità per le persone dalla sessualità bizzarra. Prima Ryo e Daisuke (che fortuna incontrare in momenti separati i membri di una coppia!), ora Shizuka. Per la svedese, la necessità del ragazzo di sentirsi chiamare con un nome femminile o comunque neutro era un chiaro indicatore della sua ambiguità sessuale. E se Shizuka voleva sentirsi una ragazza, quel giorno, Yami non poteva certamente fare nulla per impedirglielo. Sorrise annuendo, pur col desiderio di scoprire il suo vero nome. Lo vide arrossire al contatto delle sue dita col mento: a volte era troppo invasiva, ma comunque non ci badò. Voleva la sua attenzione e l'aveva.
    Lesse dallo smartphone del ragazzo il messaggio ricevuto. Quel telefono sembrava decisamente costoso ed era tenuto meticolosamente al contrario del suo coperto di ditate, ma la ragazza non se ne intendeva così tanto di apparecchi elettronici. Il messaggio di testo era chiaro: sangue, scommesse e questa Madame S. Il fatto che pubblicamente si facesse chiamare così era certamente sospetto. Il luogo, però, era un luogo pubblico e non uno privato. Alquanto strano. Concluse sostenendo che la persona che l'aveva aiutato a scappare era in realtà un sottoposto di questa Madame: decisamente sospetto. Arricciò il naso, riflettendo mentre camminava.
    Davvero hai risposto ad un invito ricevuto da un messaggio anonimo e in cui vengono menzionate lotte all'ultimo sangue? - fece spallucce - Devi essere un topolino davvero molto curioso, Shizuka. - aggiunse, riprendendo la sua metafora. Silenzio di riflessione.
    Se questa persona è un sottoposto di questa "Madame", perchè aiutarti? - forse, in questo preciso istante, la sua vena paranoica stava ritornando. Ma la domanda era legittima: perchè aiutare la preda del tuo datore di lavoro? Compassione? I due avevano forse un legame? Sarebbe stato plausibile, avrebbe anche spiegato come la Steal fosse giunta a Shizuka, ma improbabile. In quel caso probabilmente avrebbe usato altre parole, ad esempio "un mio amico che lavora per la Madame".
    Fai attenzione. - aggiunse quindi con premura - Forse è tutto appena iniziato. Conosci qualcuno di importante? Il dirti esplicitamente di essere l'obbiettivo, lasciarti andare... E se fossi una semplice esca? Magari puntano su qualcuno che ti sta attorno. Magari si aspettano che ne parli con questa persona e la attiri in trappola, pur non volendo. Ne hai parlato con qualcun altro? - domandò, guardandolo negli occhi, per poi riportare lo sguardo di fronte a sé. Alla sinistra il verde dell'Akatsuki Terminal Park. Per proseguire sarebbero dovuti entrare in una galleria subacquea. Una di quelle noiose, però. Pareti in cemento, non avrebbe visto i pesci nuotare attorno a lei. Yami non c'era mai stata.
    Io proseguo, tu hai altro da fare? - sorrise al ragazzo con gentilezza - Ti ringrazio molto per l'ombrello, ma non vorrei star rubandoti troppo tempo.

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    Narrato Parlato Pensato



    « Sì, lo sono. » Seishiro si rendeva perfettamente conto che agli occhi di chiunque sembrava aver fatto una grandissima stupidaggine a recarsi nel luogo dell’invito.
    Lo era sembrato anche a lui, in effetti.
    Aveva pensato più volte se andare, aggrovigliando pensieri e domande, valutando la situazione, ma, alla fine, aveva ceduto quell’irrazionale desiderio dell’uomo di sentirsi vivo, trasgredire le regole della quotidianità che si ripete sempre allo stesso modo.
    Da sempre l’umanità si è trovata a dover affrontare i sentimenti verso l’ignoto, prendendo strade diverse ma convergenti, intrecciate e a tratti parallele: scienza, filosofia, religione, psicologia… molte discipline sono nate dai desideri degli uomini più che dalla necessità pratica; perchè, da qualche parte nel mondo, c’è sempre qualcuno abbastanza saggio e curioso da trovare il tempo per porsi domande e non darsi risposte.

    Seishiro era stato vinto da quel bisogno di osare e, pensandoci a posteriori, non se ne pentiva né vergognava. Che i giudizi fossero positivi o negativi, l’unica cosa che importava era che quell’evento così insignificante per lo scorrere del tempo era stato per lui l’inizio di un percorso di formazione e analisi, come se avesse finalmente trovato il coraggio di usare una vecchia chiave per aprire le porte del propri@ anim@.
    Un viaggio difficile, che difficilmente mostra risultati prima che l’impeto iniziale della ricerca si spenga, in cui l’ostacolo principale era rappresentato da Seishiro stesso, con tutte le paure che con il tempo gli si erano incollate, rimodellandolo e costringendolo alla crudeltà della malafede.
    Non era ancora riuscito a liberarsi di nulla, ma aveva fatto propria la consapevolezza della paura; gli impavidi non sono reali, sono personaggi di fantasia che nel mondo farebbero una pessima fine. Il vero coraggio si ottiene con l’accettazione, mentre la rimozione di ogni male crea solo illusioni e speranze fittizie.
    Oh, Speranza, tu che tanto nutri gli animi dei mortali, male più profondo e custodito con cura, lasciasti il vaso come ultima, schernendo la vita stessa, creando, con la tua venuta, la trappola che la tua essenza comporta. Sventurati coloro che ciecamente ti invocano, ingannati dal velo di misericordia con cui ti copri. Dunque, cara, placati. Sconfitta dalla ricerca della verità e ad essa asservita; strumento di costanza in cui dolore è ormai noto, non hai più il potere d’illudere.
    Finchè non ci volteremo dall’altra parte e dimenticheremo…

    Dopo un piccolo silenzio di riflessione, le domande di Yami, giustamente, tornarono. Seishiro preferiva quel modo di conversare quando non doveva fingere, era molto più autentico rispetto ad un lungo racconto.

    « Ho visto in lei una profonda tristezza per gli atteggiamenti della Madame. E un animo buono. » Sorrise, non senza una certa amarezza. « Credo sia rimasta leale ad un ricordo, più che alla sua signora. »

    Dalle parole di Karen aveva percepito un profondo amore, con toni dolci e amari, abbracciato alla memoria e amareggiato dal presente, incapace di spegnersi per la fiamma che nel cuore ancora accendono ombre sbiadite e tremolanti.
    Probabilmente, voleva solo aiutare la Madame a ritornare quella di un tempo, correggendo da sé gli errori che commetteva, amandola a tal punto da disobbedire alle sue direttive.
    Un sentimento così puro che avrebbe potuto risplendere e dare una piccola luce a quel mondo oscuro; invece restava sopito e custodito gelosamente nel cuore, manifestato attraverso il sacrificio non compreso e una bontà apparentemente sprecata.

    Ed eccole; alcune delle sue amate paranoie avevano preso voce attraverso la donna europea, infine espresse e non più solo meditate.

    « Non penso mirassero alla mia famiglia. Sarebbe stupido farlo così, ci sono molti altri modi per colpire, probabilmente tutti più efficaci. Se lo so io alla mia età, figuriamoci una criminale. No, credo fosse proprio un volermi avvisare o punire, semplice e conciso. E sei la prima persona con cui ne parlo, Yami-san. » Rise; era cristallino, forse finalmente sereno. « Una sconosciuta. »

    Quando si fermarono, prima di proseguire attraverso una galleria subacquea, per un attimo Seishiro pensò che fosse giunto il momento di separarsi da quella strana donna.
    Una sensazione, un presentimento. Non sentiva pericolo, non pensava che volesse fargli del male. Si sentiva, semplicemente, come se stesse per fare un salto nel vuoto; come se attraversare quella costruzione avesse un qualche valore simbolico per la sua interiorità.
    Sarebbe stato stupido negare d’aver timore dei cambiamenti, ma cercò di indossare quella paura, accogliendola come una compagna di viaggio invece che ritenerla un ostacolo.
    Sospirò e fece quel metaforico passo, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi sghembi.

    « E perdermi tutta la storia sulla costruzione crollata? Direi proprio di no, Yami-san. Non penso ti libererai di me, per il momento. »
     
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    Ascoltò Shizuka parlare della donna che lo aveva aiutato, non prima di aver confermato di essere davvero un ragazzo molto curioso. Le parole riguardo a Karen, l'aiutante di Madame De Steal che Yami almeno per il momento non conosceva, la colpirono molto. Il giovane sorrise mentre ne sottolineava l'animo buono. La svedese iniziava a pensare che il ragazzo usasse quell'appellativo un po' spesso e forse a sproposito. La ragazza dai capelli bianchi, però, in un certo senso capiva la situazione in cui versava la sconosciuta Karen, almeno secondo le parole utilizzate dal ragazzino con l'ombrello. In fondo non era anche lei così? Una ragazza buona e gentile ma costretta in un circolo di crimini e malefatte come una pianta il cui vaso non viene mai esposto alla luce del Sole. Magari, un giorno, anche lei avrebbe guardato ad Orochimaru come questa donna guardava alla sua Madame? Ma, innanzitutto, aveva mai guardato ad Orochimaru con ammirazione? Certo, nutriva un enorme rispetto per il suo lavoro di medico ed era evidente che - come genetista - fosse molti passi avanti rispetto a quasi la totalità della sua concorrenza, ma perchè aveva iniziato a seguirlo?
    Non era certo per stima o rispetto, anzi. Anche se guidata dal fratello coi capelli neri, era comunque stata un'oculata, egoistica scelta per liberarsi di quel cancro che lentamente la stava corrodendo dall'interno. Si era sentita abbandonata dal Soseiji, dove tutti i compagni che reclutava erano solo visioni di una notte, ma non aveva trovato una situazione così diversa tra le fila dei Bloody Snake. Certo, Orochimaru le aveva offerto una casa a differenza di uno scantinato in un bar, ma le persone che continuava ripetutamente ad incontrare sembravano indicare più una casualità che un disegno ben delineato. Sorrise, ma con ben poco di cui sorridere davvero.
    Forse questa donna aveva iniziato a seguire questa Madame nel momento del suo maggiore splendore, ma poi quest'ultima si era lasciata corrompere col tempo dal denaro o dal potere. Yami invece era ben conscia dei traffici dei Bloody Snake, o comunque lo era diventata dopo poco. Questo probabilmente la rendeva una persona decisamente peggiore. Eppure, se l'anonima Karen aveva aiutato Seishiro senza conoscerlo e lei ora stava facendo lo stesso con Shizuka - anche se in un altro modo - forse le due non erano poi così differenti. Per quanto, volendo immedesimarsi in quella storia come fosse una fiaba, la svedese si sentisse decisamente a suo agio nei panni della sconosciuta donna, una paura si stava facendo spazio nel suo cuore silenziosa come un minatore in una cava. E se fosse invece finita per essere la Madame? La svedese stava cercando di fondare un gruppo, un gruppo rivoluzionario. La Rivoluzione Francese era stata troppo rumorosa per non insegnare niente: basta un singolo errore per passare da paladini del popolo a terroristi. Era sicura che, almeno nei primi tempi, i normali cittadini avrebbero visto le sue azioni come frutto di una mente criminale e anarchica, ma sarebbe riuscita a rompere le catene di questo ruolo o si sarebbe abbandonata al loro gelido abbraccio trovandolo rinfrescante e confortevole?
    La sconosciuta giusta, forse. - rispose alla risata di Shizuka abbandonandovisi anche lei, come se quel rumore potesse coprire quello dei suoi problemi. I due erano ormai all'entrata del tunnel sotterraneo, sui minuscoli marciapiede che stavano ai lati della carreggiata. D'altro canto quella galleria era certamente frequentata più da mezzi che da persone a piedi. Si fermò e si voltò verso Shizuka. Sorrise, quando il giovane disse di voler proseguire con lei almeno fino a Disneyland. Evidentemente la sua storia doveva averlo interessato. Era indecisa se parlarne liberamente o cercare di celare quella che - fondamentalmente - era la sua vita. Decise di aspettare una domanda esplicita a riguardo prima di decidere: a volte non è necessario fasciarsi la testa prima di rompersela. Quel ragazzo era strano, e ancora non riusciva a capire se fosse interessato a lei o meno. Da un lato le sembrava stupido che avesse chiesto ad una sconosciuta informazioni su questa Madame, essendo lei una sconosciuta come detto poco prima dal ragazzo stesso. Dall'altro lato, era appena successo. Cosa lo aveva spinto a fidarsi di lei e gli faceva pensare che lei potesse avere quelle informazioni?
    Beh, allora vado io. - ridacchiò, incamminandosi sullo stretto marciapiede che non permetteva più di stare uno a fianco all'altro - Tu fai attenzione a non perderti. O farti rapire. - aggiunse. Stava per ridere, ma si coprì la bocca come a voler fermare il proiettile in canna prima che questo venga esploso ma dopo aver già premuto il grilletto. Non era decisamente brava a tenersi le battute per sé, anche se queste potevano infastidire gli altri. Il suo passo era rilassato ma deciso.
    Quanti anni hai, Shizuka? - domandò senza voltarsi, per fare conversazione. A quell'ora la galleria non sembrava molto trafficata e passava solo un'automobile ogni tanto, graffiando i suoi occhi e la sua pelle con la luce degli anabbaglianti e costringendola ad utilizzare la mano destra - quella non vicina al muro - per schermarsi. Onestamente quella giornata si era evoluta in un modo decisamente inaspettato, e neppure era arrivata a Disneyland. A questo punto si aspettava quantomeno di trovarci un drago in carne ed ossa. O scaglie ed ossa?

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    » Scheda « » Quirk «

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    « Magari sei proprio tu la mia rapitrice, Yami-san. Mi stai portato in un luogo isolato come un bravo pifferaio. » Rise. « Sono sempre in guardia. »

    Appena sotto il tunnel, scrollò leggermente l’ombrello, liberandolo dal peso di quelle gocce che implacabili si proiettavano verso il suolo, colpendo indistintamente, ticchettando su ogni superficie come ad indicare che sotto i loro colpi qualsiasi cosa diventa grigia e immobile.
    Sbiadisce nella nebbia, cullata dal ritmico suono delle lacrime versate dal cielo.

    Chiuse l’ombrello e si incamminò sullo stretto marciapiede dietro alla donna.
    Qualsiasi adolescente in una normale situazione psicofisica sarebbe stato decisamente felice di trovarsi in quella posizione privilegiata, osservando le forme di Yami, ben evidenziate dall’abbigliamento aderente.
    Seishiro non faceva eccezione.
    Per quanto l’interesse romantico o riproduttivo non fossero ciò che guidava i suoi pensieri in generale, era un adolescente giapponese abituato agli spettacoli piatti che le compagne di classe offrivano in rare occasioni. Le lezioni di educazione fisica erano l'unico momento in cui poter sbirciare dei corpi che pian piano si sviluppavano, con pantaloncini fascianti e magliette aderenti, ma svolgere quelle lezioni separati fra maschi e femmine permetteva solo una sbirciatina ogni tanto, lasciando più l'aspettativa che la realtà.
    E quel gruppo di ragazzi, pur di elevato ceto sociale, si ritrovava nello spogliatoio circondato solo da altri muscoli, con il lontano ricordo di dolci curve.
    Yami, al contrario, aveva il corpo di una donna, con curve proporzionate e un fisico snello: era, oggettivamente, una bellezza.
    Probabilmente molti utilizzerebbero termini molto più coloriti per definirla, ma Seishiro era, nonostante tutto, un signorino e sapeva come fare dei complimenti, anche se sarebbero rimasti nei suoi pensieri.

    Guardava i suoi piedi sostenere le lunghe gambe snelle e toniche; i suoi glutei morbidi ondeggiavano in armonia salendo dai fianchi alla stretta vita, celata dalle ciocche dei lunghi capelli platino.
    E man mano proseguivano sotto le luci della galleria, più quei movimenti diventavano quasi ipnotici per l’alternarsi con l’oscurità.

    Oh, a quell’età si guardano le donne, va bene? O gli uomini, in base alle preferenze.
    Seishiro non aveva mai riflettuto sulla propria sessualità, ma sapeva distinguere molto chiaramente una persona bella e Yami lo era. Forse era l’unico adolescente che in quella situazione non era spinto dal puro e semplice istinto ormonale ma da una curiosità più interiore, mettendo in secondo piano lo spettacolo davanti a lui per ritirarsi nella propria introversione per qualche istante.
    Effettivamente non aveva mai toccato davvero il corpo di una femmina, immaginava che desse una sensazione molto morbida e piacevole; quelle forme lo sembravano davvero.
    Che ironia rendersi conto di come le proprie connazionali non fossero benedette dalle stesse fortune. Tuttavia era certo che ogni persona avesse qualcosa da offrire e, se gli uomini da secoli e millenni continuano a riprodursi, probabilmente l’aspetto fisico giocava solo una parte nella grande questione dell’accoppiamento.
    Una buona parte, certo.
    D’altra parte non vedeva assolutamente contro natura le relazioni senza finalità riproduttiva; l’essenza stessa dell’uomo ricerca il piacere, ottenerlo sotto quella forma non era per nulla disdicevole. Era meglio non farlo sapere in giro per via delle restrizioni sociali, ma nel privato dare sfogo a pulsioni omosessuali era assolutamente condiviso dal ragazzo. Alla fine, sono affari privati.
    In realtà Seishiro era sempre molto curioso di osservare manifestazioni pubbliche d’affetto, così proibite e respinte dalla società in cui viveva; era interessante osservare come, per ogni persona, un gesto poteva assumere diversi significati e causare reazioni sempre nuove. Sembrava quasi che, al contrario della presunta univocità della parola, il linguaggio non verbale non potesse essere codificato, poiché esprimeva l’individualità di ognuno.
    Affascinante a tal punto da distogliere lo sguardo dall’ondeggiare di Yami dopo essere stato abbagliato da una coppie di fari, perso nelle proprie riflessioni riversate nella sua mente dall’implacabile flusso di coscienza.
    Eh, povero ragazzo.

    « Sedici. » Rispose con tono pacato. « Tu? »

    Effettivamente gli interessava conoscere l’età di Yami. Aveva accennato qualcosa sulla sua vita difficile e sul proprio lavoro.
    Era giunto il momento di sommergerla di domande. Aveva fatto la persona quasi cortese e riservata fino a quel momento, pensava di meritarselo.

    « Cosa fai per vivere, Yami-san? Il tuo capo è uno studioso di Quirk, hai detto… tu cosa sei? Adesso hai una casa? Dove vivi? Ti piace il nero come colore o è semplicemente più comodo per lavoro? Non hai mai pensato di fare una treccia? Quanto spesso pettini i capelli al giorno? Usi il balsamo? Che marca? Hai una bella pelle, usi prodotti per il corpo? Perchè sei uscita senza ombrello con un tempo del genere? Cosa si prova ad avere un fratello? »

    E, passo dopo passo, guidati da quella pista di luci come se fossero molliche di pane, giunsero all’uscita del tunnel.
     
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    Ti piacerebbe, forse. - ridacchiò la svedese con i pugni stretti nelle tasche del giubbotto da biker in similpelle, all'idea che potesse anche solo pensare di rapire il ragazzo - A me di sicuro sì, un po' di soldi mi farebbero comodo. - aggiunse, dopo la risata del ragazzo e prima che questo aggiungesse di essere sempre in guardia. Un'affermazione ironica, visto che si era gettato a braccia aperte in una situazione molto pericolosa come se fosse un mucchio di dolci e canditi, con quella "Madame". Se davvero era riuscito a salvarsi solo grazie a quella donna sconosciuta (e, fiero come sembrava, forse non era il concetto che voleva trasmettere ma decisamente quello che traspariva dalle sue parole), forse il giovane sopravvalutava decisamente le sue abilità.
    Riflettendo su quanto fosse felice di essersi finalmente schermata dalla pioggia di quella giornata, Yami si accorse dell'ironia della questione. Nonostante ci fossero quattro pareti in pesante cemento a proteggere i due ragazzi e le macchine che sfrecciavano nel tunnel, si trattava comunque di un passaggio sottomarino. C'era, ora, molta più acqua sopra i due di quanta ce ne fosse stata in tutta la strada precedente.
    Ignara dello sguardo famelico di Seishiro che scivolava sul suo corpo, la ragazza camminava nella galleria sollevata del fatto che, questa volta, Shizuka non avesse preso male la sua battuta sul rapimento. Il ragazzo rispose poi alla sua domanda, dicendo di avere sedici anni. Non c'era molto da dire, le forme del suo corpo combaciavano perfettamente con l'età dichiarata e pertanto - salvo strani quirk di ringiovanimento o camuffamento - la svedese aveva tutte le motivazioni per credere che quella, finalmente, non fosse una bugia. A quella notizia, comunque, la giovane sorrise. Era contenta che fosse scampato da quel rapimento, anche se sperava che non mettesse più il suo naso da topolino in affari di quel tipo. Nonostante tutto sembrava un ragazzo normale, ben vestito e comunque amante della (e amato dalla?) sua famiglia. Se provava a ripensare a sé stessa a quell'età la situazione non era decisamente così florida. Il sapere di essere un caso isolato e non la normalità, almeno in quello, la rendeva felice. Molti giovani dal passato burrascoso diventavano eroi con la speranza di, in qualche modo, salvare gli altri dal proprio passato. Era un'utopia e persino lei che voleva realizzarne una, per quanto differente, se ne accorgeva. Non avrebbe potuto salvare nessuno: certe cose accadevano da sempre e sempre sarebbero accadute. Poteva solo gioire che quelle cose non fossero la normalità.
    Ne ho venti. - rispose quindi sorridendo e piegando parzialmente il collo per guardarlo con la coda dell'occhio. Una manovra pericolosa in un tunnel buio come quello e in cui le auto sfrecciavano ad alta velocità. Nonostante rischiasse di essere investita, non furono tonnellate di ferro a colpirla in pieno ma il vagone merci di domande del ragazzo. Troppe, davvero troppe nello stesso momento. C'erano più domande stipate in quei secondi di quante lei riuscisse a riversarne in un dialogo qualsiasi lungo anche decine di minuti. La prima impressione che aveva visto guardando quel ragazzo era che assomigliasse a Daisuke. Approfondire la sua conoscenza, per quanto possibile in quel tempo, l'aveva piacevolmente contraddetta. Quel giovane sembrava notevolmente più furbo dell'Okada e, soprattutto, decisamente più fiducioso delle proprie capacità. Ora, però, con quella scarica di domande degna dei migliori mitragliatori sul mercato, la somiglianza tra i due era nuovamente in bella vista. Sbarrò gli occhi stupefatta.
    Ehi, tesoro, calmo. - ridacchiò quasi imbarazzata, voltandosi e continuando a camminare all'indietro sullo stretto marciapiede. Le mani, scivolate fuori dalle tasche, erano all'altezza dei seni col palmo rivolto verso lui come a volerlo tranquillizzare - Non scappo da nessuna parte, hai tutto il tempo del mondo per le tue curiosità. - aggiunse, ridendo, per poi voltarsi nuovamente. Diavolo, quel topolino era davvero più curioso di quanto si aspettasse. La velocità delle questioni non le aveva materialmente dato il tempo di seguirle tutte. Come quando ad una lezione un po' noiosa ti distrai un attimo e poi cerchi di ricapitolare ciò che è stato detto in fretta e furia, con estrema fiducia nei confronti del tuo udito e della tua memoria, così Yami cercava di richiamare a sé stessa quelle domande che avevano sovraccaricato i suoi sensi cercando un filo conduttore per rispondere. Come sempre, solo le più interessanti restavano memorizzate in quel computer chiamato cervello, per non sprecare spazio prezioso.
    Faccio un po' di tutto... - rispose alla domanda sul lavoro, fermandosi per metabolizzare le altre domande - Ho una casa, è fuori città... Il nero è un bel colore, rispecchia la mia anima... - rise, qui. Forse un tempo, ma non ora - Sto lavorando sulle trecce... - proseguì: era vero. Aveva da poco mandato a Orochimaru il progetto di quelli che le piaceva chiamare "deadlocks", dei bead che le permettessero di sfruttare al meglio la sua unicità. Ironico poi che Shizuka si fosse soffermato su quelli, fonte del suo quirk, ma forse era normale visto il colore - Mi piace la pioggia. Mi fa sentire a posto con me stessa e parte della natura. E... - si fermò. Aveva ricapitolato solo ora quell'informazione, la domanda su suo fratello. Aggrottò la fronte camminando.
    E' fastidioso avere un fratello e sono molto felice che sia sparito dalla mia vita. - disse, con tono neutro, imboccando ormai l'uscita del tunnel. Era forse la prima volta che si lasciava trasportare così tanto nel parlare di Yama, ma per una volta voleva essere onesta con sé stessa. Il ragazzo dai capelli neri era stato una sciagura e aveva rovinato la sua vita più e più volte. Proprio come il suo agglomerato fisico di cellule, era un cancro figurato nella sua quotidianità. Come un castello su gambe, era stata infestata per anni da quel sadico, violento e malato fantasma. Ora, però, era finalmente libera. Si fermò e mosse di lato, dando le spalle al muro alla sua sinistra e indicando con la mancina il passaggio fuori dal tunnel sottomarino ormai terminato.
    Prego. - lo invitò, sorridente, a superarla. In fondo era lui ad avere l'ombrello - C'erano altre domande che ho dimenticato oppure ho soddisfatto tutte le tue voglie, topolino?

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    » Scheda « » Quirk «

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    « Quindi non sei in grado di rispondere ad una raffica di domande quando non sei sotto stress. Capisco. »

    Osservava Yami camminare in modo decisamente non idoneo alla potenziale pericolosità della situazione, rafforzando in qualche modo l’idea che dovesse trattarsi di una persona con una buona dose di sicurezza; che fosse derivata dalla personalità o da un particolare Quirk non sembrava troppo importante.
    Certo, avrebbe potuto tenere per sé anche quell’affermazione, ma perché privarsi di una possibile reazione? Aveva da un po’ l’impressione che la donna lo giudicasse un ragazzino molto infantile, con velate prese in giro, travestite da consigli pungenti; in realtà questo lo deludeva un po’, ma oltre a questo non gli dava particolari sensazioni: avrebbe continuato a comportarsi come preferiva, senza lasciarsi troppo influenzare da quel giudizio.
    Anche perché non lo conosceva davvero. Non si conosceva lui, sicuramente una quasi sconosciuta non era stata in grado di leggerlo.
    E, buffo a pensarci, anche se fosse riuscita, avrebbe trovato ben poco, dato che aveva iniziato a riscrivere le pagine della propria esistenza da poco.

    In ogni caso, le risposte di Yami non furono esattamente soddisfacenti: aveva evitato più o meno le domande meno interiori, più adatte ad una conversazione frivola.
    Male.
    O meglio per lui. Gli permetteva di inquadrarla come una persona non troppo attenta ai dettagli, confermando l’idea che i suoi comportamenti e parole avevano già dato.
    D’altra parte, anche ciò che la donna aveva detto era abbastanza elusivo e poco approfondito; a volte, però, molto calzante, come l’ammissione che amare il nero come specchio della propria anima, quasi come un distorto paragone con il significato di yami.
    Tuttavia, Seishiro non ci credeva.
    Non pensava che la donna stesse mentendo, credeva semplicemente che non avesse davvero avuto modo di leggersi, ma leggersi davvero, sconvolgendosi a tal punto da disperarsi.
    Il nero è spesso associato al male e alla tristezza, ma non nella cultura giapponese, tanto che il colore dell’abito per il defunto è spesso il bianco, associato ai crisantemi trovati spesso nei cimiteri.
    In realtà il nero è un colore stupendo con la caratteristica d’assorbire tutte le lunghezze d’onda della luce, o così almeno si insegna a scuola.
    Ma per ora ci accontenteremo di una definizione alla portata di tutti, senza coinvolgere né lo spettro del visibile né la fisiologia dell’occhio, che ci permette di percepire il mondo.
    Rimane comunque il fatto che per Seishiro un colore non potesse mai essere rappresentativo di un’interiorità, perché le nostre percezioni sono limitate dai nostri sensi, mentre l’anima è un piccolo infinito. Come si poteva ridurre un infinito ad una singola rappresentazione?
    Sembrava quasi di fargli un torto; non si sarebbe mai permesso.
    Al tempo stesso trovava interessante l’affermazione sulla comunione con la natura che la sensazione della pioggia sulla pelle poteva dare. Per lui, effettivamente, avrebbe avuto come effetto solo l’arrivo di un brutto raffreddore nel migliore dei casi; ma, per fortuna, ogni essere umano è unico e speciale, ciò che di più meraviglioso esiste al mondo, ma che spesso non viene riconosciuto come tale.

    Ah, ovviamente non mancò di notare la spinta elusività in merito alla domanda relativa al suo impiego, prendendola come una parziale risposta. Alla fine chiunque faccia un lavoro onesto o sia privo di segreti, non ha nessun problema a riferirlo.
    Capiva benissimo la donna, quindi decise di non insistere. Se, compiuti i vent’anni, non poteva essere precisa su certe questioni poteva solo immaginare che il destino non fosse stato troppo clemente con lei.
    Fu molto colpito dall’affermazione sul fratello. Decise anche qui di non indagare in modo troppo fastidioso.

    « Oh, capisco. » Fece una breve pausa, poi sorrise con una punta di amarezza nello sguardo. « A me sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella. » Era vero, dannatamente vero. Poteva sembrare un paradosso che un bugiardo come lui desiderasse un’altra persona nella propria vita; non credeva che con un altra figura in famiglia sarebbe stato meno invogliato a mentire e costruire maschere, ma sperava che in un universo parallelo il Seishiro con un fratello o sorella potesse essere sincero almeno con quella persona.
    Così, per avere almeno una vera amicizia.

    Soffriva terribilmente per la mancanza di relazioni autentiche, ma non aveva ancora trovato qualcuno con cui confidarsi a tal punto: doveva essere una persona a cui donare tutto il proprio amore, ma che non amasse abbastanza da voler proteggere da quel buio che aveva scoperto nella propria anima.
    Era una questione difficile e delicata.

    Sospirò e riaprì l’ombrello prima di uscire da quel tunnel, facendo strada a Yami.

    « No, Yami-san. » Le sorrise, invitandola ad accomodarsi nuovamente sotto l’ombrello. « Non sono soddisfatto. Sei stata molto breve ed elusiva su tutte le questioni più rilevanti. Perchè? Non sembri una persona timida, quindi non c’entra la tendenza personale a parlare poco. Sai, per me è difficile essere sincero, quindi capisco; e non ti giudico. Solo, è stato un po’ deludente. Pensavo fossi diversa da me, Yami-san. »

    Ops.

    « Questo non mi impedisce di trovare piacevole la tua compagnia. C'è una storia su una costruzione crollata e due yakuza che ho ancora voglia di ascoltare, dopotutto. »
     
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    Yami sospirò alle parole del ragazzo ma, in una prima battuta, lo ignorò. Non era sicura che fosse serio, ma chi diavolo sarebbe riuscito a rispondere ad una serie simile di quesiti, uno dopo l'altro e senza pausa? Mentre prima aveva ringraziato quella conversazione dal vivo per l'attesa minima che poteva garantire tra una risposta e l'altra, ora quasi rimpiangeva di non star chattando col suo smartphone. Certo, in quel modo avrebbe avuto tutto il tempo per rileggere le domande, creare un bel discorso, porre ogni parola nel giusto ordine. Dal vivo, però, le cose non stavano così. Yami aveva esclusivamente risposto a quelle domande che erano abbastanza particolari da restare impresse nella sua debole, debolissima memoria. Forse Seishiro, e quello lei non poteva saperlo, era ormai abituato sin troppo alle conversazioni via chat. Certo, la mole di domande proposte dal ragazzo era comunque enorme e destabilizzante, soprattutto per la quasi totale assenza di fili logici tra un quesito e l'altro, ma magari una persona con una buona quantità di pazienza (come la nostra svedese, d'altronde) si sarebbe comunque presa il suo tempo per rispondere a dovere. L'impressione che ebbe la ragazza dai capelli bianchi fu quella di uno Shizuka non troppo avvezzo alla conversazione faccia a faccia, o perlomeno non una conversazione di quel tipo. Era forse quello che gli anglofoni chiamerebbero un “long shot”, una deduzione improbabile vista la sua età, ma era ciò che trasmetteva alla giovane. Avere dei compagni di classe ed essere costretti a socializzare, in fondo, non includeva necessariamente il doversi interessare per davvero a loro e alle loro vite.
    Al mesto sorriso di Shizuka riguardo alla possibilità di avere un fratello, lo lasciò passare avanti. Le sue parole erano sensate. Un sacco di gente voleva avere fratelli a dire il vero, ma molti idealizzavano quella situazione. In fondo le possibilità di stare bene col proprio fratello o sorella erano uguali a quelle che garantivano di stare in buona compagnia con uno sconosciuto qualsiasi: molto basse. L'essere nato dalle stesse persone (o, a volte, dalla stessa o, a volte, persino da persone diverse ma semplicemente essere cresciuti assieme) era un fattore genetico, influenzava lievemente lo sviluppo della propria personalità. Dove ci sono due persone, può esserci gioia o può esserci guerra. I gemelli Dødson, figli della morte, sembravano portati ad una guerra di logoramento piuttosto che ad una vita in pace. Yami faticava a capire quel concetto, forse per le sue esperienze passate. Fratelli, genitori, parenti non erano come degli amici. Non erano compagnie che puoi scegliere, erano persone con cui eri obbligato a passare la tua vita, e spesso potevano essere compagnie negative o difficili da sopportare.
    Suppongo dipenda da caso a caso. - sorrise la giovane aggiustandosi i capelli - Ci sono fratelli e fratelli. - e persone come suo fratello, aggiunse solo nel pensiero, era meglio non ci fossero. Non per il suo bene, ma per il bene del mondo intero. Quel ragazzo era pericoloso e aveva mezzi che accentuavano questa sua pericolosità. Sorpassatala, però, il ragazzo proseguì a parlare mentre apriva nuovamente l'ombrello per schermarsi dalla pioggia. Le sue parole, sarò onesto, non piacquero alla giovane svedese. Forse, per una volta, era lei a provare il brivido di essere giudicati nel modo sbagliato. Non che le desse fastidio essere paragonata a quel ragazzino dagli occhi chiari, anzi, ma i due erano davvero diversi. Seishiro aveva messo il muso in affari che non lo riguardavano, sporcandosi un poco quel candido faccino ma uscendone tutto sommato pulito. Lei, Yami, era stata trascinata nel fango con la forza e ora l'odore acquoso dello sporco non voleva più staccarsi dal suo corpo, non importava quanto forte strofinasse quando si faceva il bagno. Era contenta, come già detto, che Seishiro fosse ancora fuori da quella vita, ma le sue reticenze non potevano minimamente essere paragonate a quelle del giovane. Lei non ci provava alcun gusto a mentire, ma c'erano certe cose di cui preferiva non parlare o per cui ancora non riusciva neppure a trovare una risposta lei stessa. Il suo lavoro, ad esempio. Un cameriere la mattina si sveglia e sa che dovrà mettersi il grembiule e servire chi va nel suo locale. Un avvocato si sveglia e sa che dovrà leggere vagonate di pagine e organizzare una buona arringa. Lei aveva seguito persone, a volte le aveva difese e a volte le aveva aggredite, le era pure stato chiesto di radere al suolo un'intera organizzazione. Faceva davvero “un po' di tutto”. Strinse i pugni nelle tasche della giacca mentre Shizuka finiva di parlare della Yakuza e di Disneyland. Poco prima, il giovane l'aveva invitata ad andare sotto l'ombrello. Sbuffò, emettendo un rumore simile ad un ringhio. Non si può dire che stesse perdendo la pazienza, ma non era calma.
    Cosa vuoi che ti dica, Shizuka? - domandò, facendo un lungo passo e portandosi sotto l'ombrello del giovane. Era a pochissima distanza da lui, guardandolo leggermente dall'alto al basso vista la poca differenza in altezza tra i due. Le sue labbra erano quasi vicine alla sua fronte - Mio fratello ha ucciso i miei genitori ma il mondo ha incolpato me, costringendomi a scappare di casa quando ero più piccola di te, obbligandomi a vivere per strada e a fare tutto ciò che posso per sopravvivere. E dopo essermi venduta al miglior offerente per anni, ora il miglior offerente è un medico che mi usa per seguire ed eventualmente rapire quelle che suppongo diventino poi cavie dei suoi esperimenti, oppure a minacciare e uccidere le persone che sgarrano all'interno di quello che lui chiama il suo “territorio”. È questo che vuoi sentirmi dire, Shizuka? - sbottò, per poi portare nuovamente due dita sotto al suo mento (della mancina però, questa volta) e alzare il suo sguardo come aveva fatto qualche minuto prima - Sará meglio che continui a guardarmi con gli stessi occhi con cui mi hai guardato finora, però, altrimenti confermerai che facevo meglio a stare zitta. - aggiunse, per poi concedersi un lungo sospiro per riacquisire la calma. Non era arrabbiata, ma quel ragazzino si comportava in un modo abbastanza ambiguo e complicato da mandarla in confusione. Yami era profondamente convinta che le persone, volendo, potessero cambiare. L'importante era esserne pienamente convinti e trovare la forza. Non amava parlare del suo passato perché era tanto vicino bel tempo quanto lontano dalla sua persona. Come un catalizzatore accelera reazione chimica che naturalmente impiegherebbe ore intere per svolgersi, così i recenti eventi che avevano caratterizzato la sua vita la avevano cambiata e allontanata dal passato ad una velocità che neppure lei credeva possibile.
    Se ora non ti faccio schifo, possiamo proseguire. - sussurrò mostrando l'intenzione di muovere qualche passo - Altrimenti vorrà dire che mi prenderò un raffreddore. Non sarà il primo e non sarà l'ultimo. - concluse con fare ironico, ma senza che la sua espressione o la sua voce accentuassero in qualunque modo l'intento simpatico delle sue parole.

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    Narrato Parlato Pensato



    Era stato deluso dalle risposte di Yami, aveva avuto il coraggio di essere sincero ed esprimerlo e, per lui, era già più che abbastanza.
    Non si aspettava altri risvolti, immaginava che il discorso sarebbe caduto lì, come coperto da un velo di imbarazzo che con i secondi avrebbe assunto sempre più l’aspetto di un tappeto. Già pronto a spazzar via tutto ma senza dimenticarlo davvero, accadde qualcosa.
    Quel fuoco, quell’ardore che sentiva a pelle provenire dalla donna, avvampò come rabbia e leggera frustrazione; era quello stato d’animo in cui una parola sbagliata può svegliare la collera, mentre una parola giusta è in grado di spegnere l’incendio.
    Era, per Seishiro, uno dei momenti in cui il cuore diveniva più autentico, mostrandosi al mondo con la purezza del sentimenti.
    Così fece Yami.
    Era furente nell’animo, ma dai modi ancora abbastanza pacati da parlare civilmente; sbottò la propria storia dai tristi risvolti, giudice e giudicata, forse finalmente libera di raccontare.

    Chiunque sarebbe colpito da una vita del genere, sul filo del rasoio al confine fra crimine e legalità, con sogni soffocati chissà dove ma ancora così intensi da far guardare al futuro con coraggio; Seishiro non era da meno: fu molto toccato dalle parole di Yami, sinceramente commosso. Ma non si sarebbe di certo messo a piangere o ad abbracciarla, dandole quel bisogno d’affetto che spesso si crede necessario ed opportuno; necessario sì, opportuno decisamente no.
    La donna gli aveva finalmente regalato ciò che desiderava, confidandosi e, in questo modo, dimostrandosi diversa da un certo ragazzino tanto spaventato dal mondo da mentire alla propria famiglia.
    Ed era splendida.

    Quando gli toccò il viso, Seishiro si sentì nuovamente violato, ma sopportò.
    I loro occhi si incontrarono e in un attimo sembrarono scambiarsi più di mille parole. Lo sguardo del ragazzo, in quel momento, esprimeva tutta l’ambiguità che caratterizzava l’esistenza di quella creatura: la lente era inespressiva, coprente, una maschera sull’iride azzurra, la copertura perfetta per l’anima; l’occhio cristallino, invece, era profondo, vivo e pieno d’emozione.
    Era uno sguardo diverso dai precedenti, ma non perché carico di pietà: quel calore, quel turbine che si celava sotto la superficie si stava muovendo, proiettando sul pigmento quel tumulto interiore. Era molto simile agli attimi di poco prima, ormai sbiaditi nell'uggiosa giornata.
    Seishiro era felice. Faceva davvero fatica a manifestarlo in quel modo, senza proferire parola ma semplicemente lasciando che gli occhi brillassero.
    Era felice e per nulla pietoso!
    Guardarla diversamente? Ma scherzava? Cosa doveva fare, piangere per la povera piccola Yami, nuova eroina di quella tragedia chiamata vita?
    Ma per favore.
    C’è chi ha una vita più difficile e chi più facile e la sensibilità di ognuno varia di fronte a questo, ma l’atteggiamento no. Come ci si poteva permettere di dimostrarsi gentili e cortesi di fronte a qualcuno meno fortunato, giusto per non offenderlo?
    Ipocrisia e falsità.
    E, pensato da un bugiardo, rendeva la situazione quasi surreale.
    La differenza stava che Seishiro nelle proprie menzogne era sempre sincero e corretto, per nulla bisognoso di farsi scudo di un buonismo lenitivo per le lacerazioni nell’anima.
    Quindi sì, avrebbe guardato Yami con occhi diversi, gli occhi di chi sta disperatamente cercando un modo per continuare a parlare con quella persona, senza farsi sbraitare di andarsene.
    Non pensava al brivido che avrebbe potuto dargli analizzare in dettaglio la storia della donna, convinto che il fatto di avergliela raccontata fosse più importante del racconto stesso. O meglio, si ripromise di farlo in un secondo momento; non poteva certo perdersi informazioni come un fratello omicida e un datore di lavoro pazzo criminale.
    Per ora, c'era solo Yami, in tutta la sua complessità, fragilità e forza, una splendida creatura sempre più indecifrabile man mano che si procede nel profondo.

    Gioia, curiosità, malizia, desiderio, fastidio; ora tutto turbinava negli occhi di Seishiro, mostrato solo da un'unica porta sul suo Io, a cui l'Es, ora più che mai, sussurrava di abbandonarsi a quel dionisiaco che tanto caratterizza il desiderio di libertà.
    E lui, stoico, non muoveva un passo, lasciandosi osservare e osservando, occasionalmente concedendosi un leggero sorriso di soddisfazione.
    Però, alla fine, non era davvero cambiato il modo in cu guardava Yami; si era solo perfezionato.

    « Sì. » Rispose, con tono fermo. « Se è la tua vita, è esattamente questo che voglio sentire. Desidero conoscerti, non posso averti incontrata per caso. E non mi interessa se hai un passato doloroso e difficile, io sto parlando con questa Yami, la donna che mi ha rimproverato senza nemmeno conoscermi e che ho accettato di accompagnare sotto l’ombrello perché avevo voglia di parlare ancora con lei! Ho conosciuto una persona che, senza nemmeno volerlo, mi ha spinto a confidarmi. Non la perderò solo perchè hai paura di essere giudicata per come hai affrontato la tua vita. »

    Fece un respiro profondo, poi parlò.
    Un mezzo sorriso beffardo in viso e l’insicurezza del cuore.

    « Vengo da una famiglia benestante, ho una vita perfetta da ragazzino esemplare e avrò un futuro facile. Non mi è mai mancato l’amore. Eppure sono cresciuto con la paura di mostrare il mio vero carattere fin troppo curioso, diventando un bugiardo compulsivo con chiunque, finendo a credere alle mie stesse menzogne finchè non ho aperto gli occhi dopo aver rischiato la vita. Imbarazzante, vero? »

    Ecco, l’aveva detto.
    Ormai.

    « Sai cosa ho da dire dopo tutto questo? Una sola cosa e probabilmente nemmeno ti piacerà. »

    Si fece coraggio e infranse ancora una volta una regola sociale, afferrando con una mano il colletto della giacca della donna, quasi a legarsi in un contorto simbolismo. Quando si trovò in quella posizione, così totalmente fuori da ogni logica, si sentì perso: non sapeva cosa dire o fare, ogni sospirò si era fermato fra le labbra in preda al panico che solo un gesto sincero e impulsivo poteva dare. Indugiò un attimo, poi sorrise con dolcezza; solo due parole sarebbero state appropriate. « Ti ringrazio. »

    Rimasero in silenzio, accompagnati solo dal battere della pioggia sull'asfalto, finchè un sussurro quasi sofferente di Yami non si fece sentire, timido e ambiguo, come se fosse indeciso se essere timoroso o risultare spavaldo.

    « Perchè dovrei guardarti diversamente? Perchè dovresti farmi schifo? Ogni cuore ha luce e ombra, Yami-san. Tu, io, chiunque. Io lo accetto e vi trovo la bellezza. »

    Le diede un leggero colpo d’anca, cercando di sembrare simpatico, ad indicare che non aveva nessuna intenzione di lasciarla sotto la pioggia.

    « Quindi questi Yakuza? E questo tizio che fa esperimenti sulla gente? »
     
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    Narrato - Parlato - Pensato



    Il giovane l'aveva in un certo senso esasperata, ma non era arrabbiata. I due si conoscevano solo da una buona manciata di minuti, e quel tipo di incomprensioni erano normali. Per qualche strano e forse infantile motivo, la svedese non voleva sentirsi dare della bugiarda. Non le piaceva indossare maschere e cercava sempre di essere il più genuina possibile con le persone, a meno che non dovesse scherzare o prendere in giro qualcuno. Non si trovava a suo agio nei panni altrui e non provava alcun gusto a nascondersi dietro un velo. Questo suo lato non era necessariamente gradevole o positivo, anzi. Col tempo aveva e avrebbe imparato che spesso essere onesti - soprattutto quando si è in una posizione di debolezza - può essere certamente dannoso. Proprio per questo ora, dopo che il ragazzino l'aveva forse involontariamente provocata, aveva detto tutta la verità sulla sua vita e sui suoi trascorsi.
    Seishiro, come detto, non l'aveva ferita. Non troppo, perlomeno. Ironico come un ago della giusta lunghezza e della giusta resistenza possa scavare tra la pelle e i muscoli di una persona fino a perforare il suo cuore, mentre molte coltellate anche brutali non riescono a passare oltre quel resistente guardiano chiamato cassa toracica. Le parole di Seishiro erano un ago: sottili, calibrate e dirette al suo cuore, perforandolo nel battito senza far versare neppure una goccia di sangue. Osservando la svedese e l'asiatico, Arthur Schopenhauer avrebbe certamente rivisto in loro due porcospini perfetti per la sua parabola: pur di non prendere la pioggia, si stavano stringendo come possibile sotto ad un ombrello non troppo spazioso. Mentre i loro corpi si sfioravano per schivare le gocce di pioggia scagliate da una natura impietosa e disinteressata agli affari umani, anche le loro due interiorità cercavano di avvicinarsi. Forse entrambi mossi dalla solitudine, forse da un vero interesse, le loro anime e le loro personalità cercavano di corrersi incontro nonostante continuassero a cozzare: calda e appassionata l'una, fredda e calcolatrice l'altra. E mentre cercavano di venirsi incontro per potersi guardare chiaramente negli occhi, i loro aculei continuavano a conficcarsi nella pelle dell'altro. Le spine di Yami erano come ganci spuntati. Le sue maniere occidentali e la sua poca capacità di controllo urtavano il ragazzo dagli occhi azzurri, come era appena successo al contatto tra le sue dita e il di lui mento. Ma, come detto, il manto di Yami era coperto da vecchie spine usurate: un fastidio momentaneo che non lasciava però neppure il segno. Il corpo di Seishiro era invece l'ago da cucito che tesseva la sua trama. I suoi aculei erano forse pochi, ma alla velocità con cui i due ego si scontravano poteva risultare mortale. Col tempo, forse, il dolore sarebbe passato. Forse quell'ago sarebbe rimasto sotto la sua pelle per sempre, ma avrebbe imparato a conviverci. Forse tirarlo fuori avrebbe fatto più male di tenerselo tra le membra. E forse era giusto così.
    Le parole di Seishiro, frantumatesi ormai tutte le maschere oltre al nome falso, arrivarono ferme e convinte, per quanto in un certo senso permeate da una nota infantile. Per quanto sembrassero in un certo senso voler trasmettere il concetto per cui il suo passato era ciò che l'aveva resa quel che era oggi, la sua motivazione era quasi risibile: le persone vanno e vengono e non c'è alcun senso in volerle "tenere". Non si tratta di oggetti e il ragazzo la stava forse trattando come tale, o forse sottointendeva che anche a lei interessasse qualcosa di lui e non lo stesse sopportando solo per l'ombrello. Era così, in realtà: le interessava davvero "Shizuka", ma lui non poteva certo saperlo con certezza, per quanto probabilmente lo volesse.
    Con quel sorriso che - per qualche motivo - da quando qualcosa era cambiato nella conversazione non pareva volersi togliere di dosso, il ragazzo si aprì parlando, seppur sommariamente, della sua vita. Yami apprezzava la sua (presunta) sincerità, per quanto trovasse triste (e non imbarazzante) che fosse dovuta arrivare quella Madame De Steal a insegnargli con le cattive che è impossibile continuare a vivere in una bugia. Anche la svedese, però, lo aveva imparato sulla sua pelle. Il suo manto pallido era privo di difetti, le cicatrici erano incavate direttamente nella sua carne, nei suoi muscoli, nelle sue ossa. La mano del ragazzo, quella non occupata a coprire i due corpi con l'ombrello, si mosse come una serpe verso il suo collo, mordendo con le sue fauci venefiche il colletto in pelle della donna. A quel gesto, la ragazza scattò col volto verso sinistra, emettendo un leggero gemito di disprezzo. Abbassò lo sguardo a quel ringraziamento che giunse leggermente in ritardo rispetto al gesto di per sé eloquente.
    Era, quello, il primo contatto tra i due che non provenisse dalla ragazza. Era evidente che il giovane volesse mandare un messaggio, ma forse i due parlavano ancora una lingua diversa. Qualunque fosse il significato di quel gesto, la svedese non sembrava in grado di decifrarlo. Dopo quello e un altro mucchietto di parole, il ragazzo la spinse dolcemente con l'anca per indicarle di muoversi. La ragazza dai capelli bianchi sbarrò gli occhi: da dove proveniva tutto quel contatto fisico? Si era in qualche modo "sbloccato"? Shizuka era - per lei - una grossa incognita e non solo per l'occhio bianco schermato da una lente a contatto. I suoi comportamenti erano contraddittori e spesso totalmente opposti l'uno all'altro. L'impressione della ragazza era che il giovane non si fosse ancora reso conto di chi fosse davvero. E non poteva biasimarlo, a quell'età: lei era più matura e ancora non si era data la risposta, per sé stessa.
    Suppongo che ora manchi solo il tuo nome, allora. - asserì quindi la ragazza, riprendendo a camminare a fianco del ragazzo. Si riferiva a quella confessione sulla sua vita di poco prima: nonostante tutto, Seishiro aveva deciso di tenere ancora il suo vero nome nascosto, e la svedese non riusciva certamente a capire il perché di questa scelta. La rispettava, ovviamente. Certo, l'avrebbe rispettata maggiormente se fosse stata lei a chiederglielo per prima e non viceversa, ma non poteva farci molto. Proseguendo nella zona del centro di riciclaggio, avrebbero raggiunto a breve un altro ponte. Attraversato quello e proseguendo ad est sarebbero giunti in un po' di tempo al Tokyo Gate Bridge. Usandolo per raggiungere il Wakasu Seaside Park, sarebbero riusciti ad osservare Disneyland, seppur da distante.
    Non è che fossero proprio Yakuza. - aggiunse in risposta al giovane, quindi, cercando di far chiarezza su un argomento che confondeva persino lei stessa - Come ti ho detto prima, conoscevo una persona che organizzava serate simili a quella a cui hai partecipato. - proseguì, riferendosi ad un'informazione data qualche minuto prima - Era uno Yakuza. Ora, da ciò che mi aveva detto, il gruppo cerca di mantenere il sangue puro per fedeltà a qualche vecchio principio dei loro. In sostanza, da quel che ne so ovviamente, nessun membro della Yakuza dovrebbe avere un quirk. - spiegò, camminando fianco a fianco al giovane Shizuka - Io e... - la sua lingua si fermò per un secondo, pensando a Yuya - Io e un'altra persona stavamo seguendo un uomo della Yakuza e, dal nulla, siamo stati aggrediti da questi due individui, come... - fece un secondo di pausa. Sentendosi comunque nel torno, finora non ci aveva mai riflettuto. In effetti, però, quella casa non era qualcosa che si poteva costruire da un momento all'altro - Come se ci stessero aspettando, in un certo senso...
    La ragazza era in un certo senso felice che Shizuka non si fosse allontanato dopo le sue parole. Per quanto per lui il passato fosse importante per la crescita, lei non riusciva a vederla nello stesso modo. Anche ora, sotto la pioggia, riusciva a sentire il sangue sulle sue mani proprio, come già detto, come Lady Macbeth. Per quanto lui non ci vedesse nulla di male, lo considerasse interessante e sostenesse di cercare di vedere il bello nel brutto, lei non era mai riuscita a trovare l'arte nel bianco sciupato di un mucchio di ossa, se non fuori da quell'arte gotica e macabra che tanto apprezzava. Il sangue, però, il sangue era orribile. L'odore più pungente del ferro di un coltello, la sua consistenza e la sua viscosità. Il suo rappresentare la vita che, come un liquido, fluisce fuori dal corpo. Forse lui poteva perdonarla, forse non la giudicava neppure, ma lei non riusciva a perdonare sé stessa. Ci avrebbe messo ancora molto, probabilmente.

    LtL5tpD

    Yami Dødson - LVL 7

    Esperienza: 1550
    Attacco: 270 + 32
    Quirk: 320
    Agilità: 210
    Energia: 775
    Stato fisico: Illesa.







    Edited by exquisite†corpses - 15/10/2018, 22:11
     
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42 replies since 15/9/2018, 15:13   581 views
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