A Deal With the Devil

Yami e Yuya / Metà 2020

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    Erano passati pochi giorni dall'incontro che la svedese aveva avuto con un giovane ragazzo giapponese, nei pressi del Rainbow Bridge. Nonostante la pioggia che aveva preso, andando in giro senza ombrello, era comunque riuscita ad uscirne sana e senza un bel raffreddore ad arrossirle le narici e screpolarle il naso. Il cielo era stato sereno da allora, a differenza sua. Non sapeva chi fosse quella "Madame" di cui le aveva parlato il ragazzo presentatosi come Shizuka, ma non sarebbe passato molto tempo da quel giorno prima che l'intero giappone leggesse il suo nome sui notiziari, scoprendo il suo giro d'affari e tutti i politici corrotti con cui aveva avuto a che fare.
    Era mattina, e per una volta la ragazza dai capelli bianchi si era svegliata presto. Era seduta sul davanzale della grossa finestra in salotto mentre l'orologio appeso alla parete, con le sue lancette quasi a forma di lettera v, indicava le nove e un quarto. Il freddo legno al contatto coi suoi glutei nudi ricopriva le sue gambe di pelle d'oca, come un flebile impulso che dato ad un nervo si distende per tutta la gamba. Nelle sue mani, avvolta dalle sottili dita di entrambe le mani, una tazza di the caldo. I suoi occhi gelidi scrutavano oltre il vetro, osservando per quanto possibile la natura che si stagliava dal vuoto della sua periferia. Poco più in là, anche se lo sguardo ora non poteva arrivarci, quella specie di dojo abbandonato in cui tempo addietro aveva dato la carta del Carro a Daisuke. Bevve un sorso di the, piegando leggermente il collo a sinistra.
    Nella casa risuonava Stand Too Close dei MCS mentre la giovane svedese si alzava dal davanzale e, accennando qualche timida mossa a tempo lontanamente simile ad un ballo, si spostava in cucina. Sul tavolo, qui, il suo cellulare con lo schermo sbloccato. Vi buttò un occhio, accennando un mezzo sorriso per poi mettere la tazza, ormai vuota ma ancora calda, nel lavandino pieno di piatti. Tutto si può dire di Yami tranne che fosse una ragazza ordinata, e quello era il suo habitat naturale.
    "Ehi, è ancora questo il tuo numero di telefono? So che... Umh, è passato un po' di tempo ma... Ti va di vederci? Domani a mezzogiorno al Teatro Kabuki-za, Ginza. Y. (◍•ᴗ•◍)" - questo era il testo che campeggiava alla destra dello schermo del suo smartphone. Si era firmata solo con la Y., perchè sapeva quanto il ragazzo ci tenesse al suo anonimato e il suo nome, per quanto probabilmente chiunque si fosse dimenticato della sua storia, poteva comunque essere potenzialmente pericoloso. Era passato poco più di un anno dal loro ultimo incontro e sì, si sentiva leggermente stupida a scrivergli ora, in quel modo. Probabilmente non si ricordava neppure più chi fosse. Forse, invece, gli era impossibile scordarla. Non tanto per lei, certo, quanto per suo fratello e ciò che gli aveva fatto.
    Sospirò, alzando la manopola del lavandino e facendo scrosciare l'acqua nella tazza per pulire almeno quella. Una cosa che la aveva colpita era come Yama, suo fratello, non fosse comunque riuscito a fermare il ragazzo con la coda dallo starle vicino. L'ultima volta che si erano incontrati lei era già stata liberata da quel peso ma, nonostante il ragazzo dai capelli neri non lo sapesse, aveva comunque deciso di starle vicino. A lei, che per quel demone interiore aveva allontanato tutto e tutti. Forse, pensava, ora che era ufficialmente libera le cose sarebbero andate meglio, sarebbero, in qualche modo, andate oltre. Tutte le sue amicizie, pensava, si erano formate dopo che si era liberata di suo fratello. Inconsciamente, dopo che lui era morto.
    Yami non era una stupida e sapeva benissimo che Yuya non aveva un singolo motivo per rispondere al suo messaggio. Era un ragazzo popolare, con una vita normale. Lei era l'esatto opposto: una clandestina, un nessuno che da anni viveva immersa nel bianco di una società ma come un punto nero, esterno, separato. Si era iscritta ai social qualche mese prima e lo aveva visto, era riuscita a vedere anche solo un frammento della sua vita normale. Lei, invece, non aveva nulla di simile.
    C'era però un motivo per cui aveva deciso di scrivergli, ora. Aveva bisogno di tempo per aggiustare alcune cose, in primis sé stessa. Tutto ciò che era successo era un brutto colpo per una ragazza appena ventenne, indipendentemente da quanto forte volesse sembrare agli altri. L'incontro con Shizuka, però, le aveva dato rinnovate speranze di sapersi comportare come un essere umano. Aveva un progetto e ancora molte carte da consegnare, e sapeva che a Daisuke la presenza di Yuya avrebbe sicuramente fatto piacere e a lei, onestamente, di più. In qualche modo, era l'"amico" più duraturo che avesse, nonostante i loro pochi incontri. Ciononostante, aveva ben chiari gli intenti del ragazzo sin dal primo momento in cui si erano incontrati, quando era uscito dal buio vestito di tutto punto in un magazzino abbandonato al porto: soldi o niente. E lei non aveva soldi da offrire, solo Ryo Daisuke e sé stessa. Per questo, nel messaggio, non aveva cercato di ammaliarlo dicendo di avere "un lavoro" o "qualcosa che avrebbe ripagato bene". Quelli che erano con lei erano con lei per lei e non poteva certo mentire al diavolo. Fosse venuto di sua sponte bene, altrimenti meglio per lui.

    A volte le ore passano estremamente in fretta, a volte lente come si nuotasse nel miele, seppur non così dolci. Queste quattro ore erano passate molto velocemente per la ragazza, nonostante una continua pressione in petto tradisse l'ansia che tentava di impossessarsi del suo corpo, a volte persino più forte del suo gemello. Non capiva perchè fosse così agitata, ma probabilmente si trattava del timore di essere lasciata da sola in mezzo alla strada. Vista la situazione, più che un timore era probabilmente ciò che sarebbe accaduto. Quella, poi, era la prima volta in cui invitava qualcuno ad uscire. Certo, escludendo quando aveva invitato fuori Ash, la sera che tutto era precipitato. Quello però non contava, era per lavoro: non l'avrebbe mai fatto altrimenti.
    Era un sabato forse e molte persone erano in giro per Ginza, molte delle quali non potevano permettersi nulla nei negozi che tappezzavano le vie di quella zona della città. Il teatro Kabuki-za aveva appese fuori locandine in arte tradizionale, come giusto che sia, e lei era lì davanti, in piedi. Aveva un paio di vans nere ai piedi e dei jeans stretti dello stesso colore. Troppo stretti, forse: era stata ferma per mesi e forse aveva messo su un po' di peso. Le mani, pallide e in contrasto con lo smalto nero, erano incrociate poco sopra le ginocchia. Da queste, come impiccata, pendeva la borsetta in cui teneva il telefono, un pacco di fazzoletti e il mazzo di carte bianche e nere. Dal gomito in su la sua pelle era coperta da una specie di corsetto attillato. Il braccio destro era coperto dal gomito alla spalla di pizzo mentre il sinistro era scoperto, così come la parte sinistra del petto. Dalla clavicola destra, infatti, il tessuto era tagliato fin sotto all'ascella sinistra e qui restava libera la spallina del reggiseno, ovviamente nero anche quello. I capelli, comunque, erano lasciati liberi di cadere e coprivano la sua pelle bianca. Gli occhi avevano un leggero trucco nero mentre le labbra erano al naturale.
    Era mezzogiorno meno cinque e si era impegnata per arrivare in tempo. Sorrise, pensando a come sarebbe stato avere un'unicità come quella del ragazzo. Potersi alzare tardi, prepararsi in fretta e presentarsi all'appuntamento in tempo con uno schiocco di dita. Abbassò lo sguardo poi, arrendendosi alla gelida realtà: probabilmente non si sarebbe presentato e basta. Fece un lungo sospiro, scuotendo la testa.
    E tu perchè sei venuta, Yami? - borbottò tra sé e sé, voltandosi a guardare le locandine del teatro. Storie di dei e mostri, samurai valorosi e donne gelose. Si ricordava quando ogni tanto da piccola i suoi genitori la portavano a vedere il teatro kabuki, pur grandi appassionati del nō, solo perchè quest'ultimo era troppo complicato da comprendere per la giovane svedese. Le mancavano molto, e le mancava avere qualcuno.

    Yami Dødson - LVL 8

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    Edited by exquisite†corpses - 26/5/2019, 23:23
     
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    Era raro che Yuya si sentisse in colpa per non aver risposto ad un messaggio; in realtà era raro che Yuya si sentisse in colpa in generale, ma prima ancora di quello era raro che Yuya, per un motivo o per un altro, non rispondesse ad un messaggio.
    A volte lo faceva subito, a volte un po' in ritardo, dipendeva dal mittente, ma lo faceva. Soprattutto quando di messaggi ne aspettava alcuni importanti, il che di solito voleva dire una cosa sola: lavoro. E per la prima volta in vita sua, poteva fregiarsi di qualcosa di assolutamente legale. Non che il resto gli dispiacesse di per sé, i soldi erano soldi ed era sicuro di essere abbastanza avido da non poter mai cambiare opinione, ma quelli che riceveva solitamente erano sempre in nero, ed averne un'altra fonte stabile avrebbe risparmiato un sacco di domande scomode dai suoi compagni universitari che di soldi ne vedevano a cascate.
    Erano passati pochi giorni, ma Yuya aveva davvero ricevuto il suo primo vero lavoro. Era stata un po' una casualità, ma passando in edicola, sfogliando una rivista di moda gli era cascato l'occhio sull'annuncio di un provino: quella rivista cercava un nuovo modello, che sarebbe comparso sulla copertina nella stampa del prossimo mese. Yuya ci aveva pensato un po', immaginando sé stesso al provino, e se all'inizio ci aveva riso sopra dandosi dell'idiota... alla fine, senza sapere cosa l'avesse convinto, ci si era presentato. In realtà non si aspettava proprio nulla, anzi, era convinto di essere andato pure decentemente male, visto che lì riuniti quel giorno c'erano così tanti bei ragazzi che si era sentito un debole persino lui.
    Perciò, quando - due settimane dopo - aveva ricevuto quella chiamata e dall'altro capo del telefono gli avevano detto che lui e un altro ragazzo erano stati scelti per posare per quella copertina, beh... no, aveva mantenuto quel suo solito distacco professionale che gli riusciva ad opera d'arte e che, però, una volta chiusa la telefonata, lo aveva fatto esultare abbastanza da fargli ricordare cosa volesse dire essere veramente contenti. Aveva persino pensato di chiamare sua madre per dargli la notizia, prima di ripensarci considerando che non gli rivolgeva la parola da più o meno cinque anni. Alla fine aveva chiamato Chris, il suo tutore, e almeno con lui era stato in grado di sostenere una conversazione soddisfacente.
    In tutto questo, Yuya stava aspettando un solo messaggio: dall'agenzia, con le info del caso. Peccato che proprio in quei giorni avesse deciso di cambiare operatore telefonico, per cui la sua vecchia SIM stava facendo un po' i capricci, ed era dalla mattina del giorno prima che il segnale andava e veniva, cercando di stabilizzarsi, i suoi ultimi momenti prima di morire per sempre.
    E Yuya ci viveva con il cellulare in mano, fra social e app di messaggistica, quindi la mancanza di segnale la percepiva piuttosto bene, anche se aveva deciso di non farne una questione di stato, tanto prima o poi il messaggio dell'agenzia sarebbe arrivato comunque, bastava mettersi l'anima in pace.
    Ad arrivare prima di quello, però, era stato - sorprendentemente - un altro messaggio, che Yuya non aspettava assolutamente. Era comparsa la notifica sul suo schermo, abbassando momentaneamente il volume della musica che stava ascoltando con gli auricolari, e Yuya si era allontanato dal frigo, chiudendo lo sportello con la coda, mentre cercava di aprire lo yogurt al mirtillo che vi aveva appena tirato fuori.
    Le sue iridi dorate avevano sondato subito il display del cellulare, che segnava le undici e dodici minuti, solo per assumere un'espressione di pura sorpresa nel leggere il contenuto di ciò che gli era appena arrivato.
    Poi, uno strano ghigno si era dipinto sulla sua faccia, più divertito che altro. Perché ad avergli scritto era stata Yami, la ragazza di Disneyland con i capelli bianchi, quella che, bene o male, sembrava incontrare sempre per caso, ammesso che "il caso" esistesse, nelle situazioni... meno opportune. Ma se la ricordava bene, sì, nonostante fosse parecchio che non riceveva sue notizie. Però, ehi, che strano, non lo stava contattando per lavoro?
    «Cos'è, un appuntamento?» aveva mormorato fra sé e sé, lasciando sfumare quel ghigno in una specie di sorriso. Poi aveva letto l'orario e la data del messaggio.
    Il giorno prima.
    Aveva corrucciato lo sguardo.
    Oh.
    Ora fissata: mezzogiorno.
    Il che significava che... mancava meno di un'ora.
    Yuya aveva quasi rischiato di strozzarsi con lo yogurt, poi aveva lanciato qualche imprecazione verso il suo nuovo operatore telefonico e aveva abbandonato la confezione di plastica appena aperta nel frigo, dirigendosi a passo svelto verso la sua camera.
    Mai dare buca ad una ragazza era una sua prerogativa da... anni, probabilmente. Non poteva cominciare certo in quel momento. E soprattutto non con Yami.

    Yuya odiava fare cose come quella a viso aperto, insomma, comparire dal nulla in mezzo a posti non troppo in vista non era proprio il massimo, perché non sapevi mai chi o cosa potevi trovarci, soprattutto di sabato a mezzogiorno. Però, si era ritrovato, senza volerlo, con l'acqua alla gola e molte poche alternative. Le strade di Ginza, in effetti, erano ghermite dalla gente, e Yuya ringraziò gli dei che la ragazza avesse scelto un posto famoso come il teatro Kabuki-za o non sarebbe arrivato in tempo nemmeno con il suo quirk. Alla fine, si era lasciato prendere dalla fretta ed era riuscito ad arrivare ben con quattro minuti di anticipo. Ed aveva finito col vestirsi quasi completamente di bianco.
    Yami, come al solito, non era stata difficile da individuare: una figura sottile, con una chioma candida, vestita completamente di nero. In netto contrasto fra loro, Yuya si chiese, per la prima volta, se si vestisse così per tentare di uniformarsi alla massa di persone giapponesi che la circondavano e che le camminavano intorno. Alla fine, il tempo di chiedersi perché lo avesse chiamato non lo aveva avuto, quindi sperava che fosse sul serio un appuntamento, perché lui si era preparato mentalmente per quello.
    Il ragazzo con la coda, che stavolta si era premurato di non nascondere, aveva deciso di avvicinarsi in modo cauto, evitando quindi di comparirle bruscamente alle spalle in un ricettacolo di fumo e zolfo. Per quanto comportarsi in quel modo potesse piacergli, in alcune occasioni... beh, era meglio evitare. La vedeva irrequieta già di suo, da lontano. Riuscì ad avvicinarsi abbastanza giusto in tempo per captare e comprendere uno dei suoi borbotti, che lo fecero istintivamente sorridere, portandolo a schiarirsi la voce con un colpo di tosse, mentre lei alzava lo sguardo per scrutare le locandine degli spettacoli, come in un cinema.
    «Per vedere me, suppongo?»

    | Villain | #Livello 6 | 23 y/o | |
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    Edited by Ryuko - 28/5/2019, 19:37
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    La ragazza era impegnata e ingarbugliata nei suoi pensieri, passando le iridi pallide sulle locandine del teatro ma non percependole veramente. Si stava davvero chiedendo cosa fosse andata a fare lì, considerato che non vedeva quel ragazzo da un paio d'anni e lui non aveva alcuna buona motivazione per presentarsi a quella specie di appuntamento, ammesso che non avesse cambiato numero.
    Erano cambiate molte cose dal loro ultimo incontro, quando gli aveva proposto quel lavoro da parte di Orochimaru. L'infiltrazione alla Yuuei assieme a Ryo e Daisuke. Sorvoliamo sulle implicazioni successive di quell'atto, a cui Yami spesso e volentieri preferiva semplicemente non pensare. Tuttavia, due dei tre infiltrati allo U.S.J. erano irrimediabilmente rimasti invischiati nella sua vita, tanto da dare origine a quel gruppetto che lei aveva nominato "Eternium". Persino quel giovane incontrato qualche giorno prima e conosciuto allora ancora come 'Shizuka' sarebbe entrato a far parte di quel gruppo un giorno, forse. Eppure Yuya, per un buon periodo, era stato probabilmente la persona che aveva incrociato più spesso. Era sicura che per lui non fosse lo stesso: a vedere dai suoi social era una persona attiva, piena di amici. Forse, pensava, in quei due anni di vuoto era riuscito a tirarsi fuori dal mondo della criminalità. Aveva un bel faccino pulito e tutta la possibilità di tirarsi indietro, volendo e potendo. E lei, in fondo, era una presenza pericolosa. Non sapeva se magari lui si fosse informato sul suo conto, un giorno o l'altro. Non ci sarebbe voluto un granché a trovare informazioni su Yami Dodson, purtroppo, tanto che utilizzava un'identità falsa su carta di credito e affini, pur continuando a presentarsi con quel nome a chiunque. In ogni caso, per quanto ci sperasse, non si aspettava che il ragazzo si sarebbe presentato davvero dopo quell'sms raffazzonato un giorno prima.
    Per questo motivo, sentendo la sua voce alle spalle e non aspettandoselo, balzò sulle punte dei piedi irrigidendosi con la schiena. Arrossendo leggermente, si voltò. Erano passati un paio d'anni, ma il ragazzo non sembrava cambiato minimamente. Come al loro ultimo vero incontro a Disneyland, le sue iridi dorate abbagliarono le sue confermando, ben tre anni dopo il loro primo incontro, che era quello il loro colore naturale e non il rosso di quella notte al magazzino.
    C-ciao... - balbettò, accennando un saluto con la mano. Il ragazzo era vestito interamente di bianco, risolvendo il tutto in uno strano contrasto cromatico col suo, di vestiario. Sul suo volto si fece spazio un piccolo sorriso: era sicura che fosse in buona fede ma, a conti fatti, quell'outfit si presentava in un modo quasi pacchiano. Nelle foto che postava su internet, insomma, mostrava decisamente di avere più gusto.
    Non pensavo che saresti venuto. - sorrise, ora più seriamente, portando la borsetta che pendeva dalle ginocchia sulla spalla destra - Come stai? E' molto che non ci vediamo... - aggiunse, indicando poi la strada con la mano destra, come volesse invitarlo a camminare un po'. Notò solo ora che la coda era lasciata fuori dai vestiti.
    Per qualche motivo, aveva davvero voglia di vederlo. Da quando era libera di suo fratello, aveva fatto molte conoscenze. Certo, molte persone riderebbero a leggere una frase simile detta da una persona come Yami, ma è innegabile che fosse una ragazza timida. Due, tre persone per lei erano molto più che sufficienti, nonostante certe persone avessero centinaia e centinaia di amici. Ryo e Daisuke, principalmente, erano rimasti al suo fianco in un modo o nell'altro. Ciononostante, pur non capendo di cosa si trattasse di preciso, non sentiva nei loro confronti lo stesso che sentiva nei confronti del ragazzo con la coda che ora era di fronte a lei.
    Sì, si era praticamente spogliata davanti al Tatsuki. E sì, aveva stretto al suo petto Daisuke come una madre dopo avergli ustionato il braccio, ma le cose erano diverse. Aveva dei ricordi precisi di Yuya: c'era lui quando suo fratello si era gettato come un folle su una motosega, causandole molto probabilmente un'emorragia interna. E c'era in quella specie di strano sogno, vestito con una stramba tuta da gatto o qualcosa di simile. Ultimo ma non ultimo, seppur intontita, si ricordava le sue spalle dritte e il suo volto affaticato in quell'ingarbugliata situazione a Disneyland.
    Ciononostante, nonostante avesse voglia di vederlo, come un bisogno primordiale, lo aveva contattato anche per un motivo preciso: Eternium. Era quasi più un pretesto per la prima motivazione, conscia che non avrebbe mai acconsentito senza un buon compenso in denaro, che lei non aveva certamente. E poi, come detto, poteva benissimo essersi lasciato quella vita alle spalle. Lo sperava per lui, quasi.
    Vorrei proporti una cosa... - aggiunse, camminando, per poi portare la mano sinistra e le sue unghie nere all'altezza del basso ventre - Ti spiacerebbe parlarne mentre mangiamo qualcosa? O hai già mangiato, Yuya-san?

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    Yuya infilò le mani nelle tasche dei jeans, bianchi, proprio come i capelli di Yami. Doveva ammetterlo, in quel momento poteva ritenersi particolarmente di buon umore, e la ragazza in sua compagnia non avrebbe avuto particolari difficoltà a notarlo: vuoi per quel sorriso compiaciuto che gli si era stampato in viso al suo "ciao" ingarbugliato; vuoi per quel muoversi quasi ritmico, da destra verso sinistra, della coda che gli spuntava poco sotto al cardigan che gli faceva da giacca.
    «Beh, ti fai sempre viva nei momenti più... disparati. Sai di solito gli appuntamenti si chiedono con un po' di anticipo.» commentò, sfregandosi appena l'indice della mano destra proprio sotto il naso, prima di riporre la mano in tasca, senza aggiungere altro e risparmiando alla giovane tutto il... resto. Soprattutto la storia della SIM e del suo patetico ritardo. Era piuttosto convinto che non gliene fregasse proprio nulla.
    Oddio, forse no. Visto che si trattava di Yami, e Yuya per via dei loro precedenti incontri era ormai piuttosto convinto che sarebbe stata ad ascoltarlo anche se avesse tenuto un seminario su come coltivare frutta. Le iridi dorate del giovane si mossero rapide verso il cielo, con fare dubbioso, per poi tornare rapide a fissare lo sguardo azzurrino della ragazza.
    «Ti avrò abituata male a presentarmi sempre puntuale ogni volta che mi chiami?» mormorò poi, incurvandosi appena verso di lei. Yami era piuttosto alta, per la media giapponese, sfortunatamente però, lo era anche Yuya per cui la loro differenza d'altezza continuava a rimanere piuttosto palese. Yuya arginò così il suo "non pensavo saresti venuto", considerando che fino a poco meno di un'ora prima... non lo pensava nemmeno lui. Ebbe modo, invece, di scrutare la sua figura snella e di notare quel buffo contrasto: lui con i capelli neri, vestito completamente di bianco; lei con i capelli, bianchi vestita completamente di nero. «Sono molto carini, comunque. - aggiunse, dopo un secondo di muto silenzio, accennando appena un sorriso. - i vestiti.»
    Sperò di non averla fissata troppo, nonostante fosse quasi certo di averlo fatto, o almeno non così tanto da metterla a disagio. Però lo aveva pensato sul serio, che stesse bene vestita e truccata in quel modo.
    In realtà c'erano una miriade di ragioni per cui poteva definirsi di buon umore in quel frangente, sia per come erano andate le cose nei giorni scorsi, sia per altro, tipo che fosse bel tempo, ma una delle ragioni era comunque l'essere lì in quel momento. Yuya prese a camminare a fianco di Yami, accettando il suo invito a muoversi. Il sole sulle strade di Ginza diffondeva un calore abbastanza piacevole.
    Non era certo di quale fosse il motivo, ma era sicuro che la sua presenza c'entrasse qualcosa. Perché quando passava il tempo con lei, in qualche modo, riusciva ad essere davvero sé stesso. Non sentiva di aver niente di particolare da nascondere, o almeno, non le cose che di solito nascondeva agli altri. Certo, poi c'era quel discorso che ogni volta che era con lei rischiava di rimetterci la pelle: e quando era suo fratello, e quando erano le richieste che gli faceva, e quando era lei che andava a buttarsi in delle trappole palesemente ovvie.
    Però se ci pensava adesso non poteva fare a meno di trovarlo divertente. Come dire, sembrava che la vita si smuovesse quando c'era Yami nei paraggi, probabilmente per via dei segreti che si portava sulle spalle o... chissà. Nemmeno Yuya li sapeva. Forse non c'era nemmeno una vera e propria spiegazione.
    «Oh? Quindi non era un appuntamento? Mi sono sbagliato e mi hai chiamato davvero per lavoro?» rispose, con una nota di vera sorpresa nella voce, alla successiva frase della ragazza, mentre si lasciavano il teatro alle spalle. «Peccato... Ma no, non ho mangiato, dove vuoi andare? Karaoke? Offro io.» chiese, stranamente pieno di brio. Ammesso che Yami ci fosse mai stata in un karaoke. Chissà se sapeva cantare.

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    Il ragazzo si infilò le mani in tasca, osservandola a lungo e invitandola, seppur indirettamente, a farsi sentire con un maggiore anticipo la volta successiva, chiamando quell'uscita "appuntamento". Yami piegò leggermente la testa verso sinistra, cercando di non arrossire. Certo, lei in un certo senso vedeva quell'uscita in quel modo, ma sapere che lui la considerasse nulla di più la imbarazzava non poco. Forse sarebbe stato meglio se fosse stata più chiara nel messaggio? Quello, tra l'altro, era il suo primo "appuntamento". Non aveva mai avuto molto tempo per dedicarsi ai ragazzi, specialmente avendone uno dentro di sé per la maggior parte del tempo. No, non in quel senso.
    Come potresti farmi aspettare? - risposta alla sua domanda, probabilmente retorica, inarcando all'insù il labbro inferiore e sbattendo ripetutamente le palpebre, cercando insomma di mostrare il faccino più tenero che potesse. Yuya probabilmente lo avrebbe notato senza troppi problemi: la svedese non era più la stessa di due anni prima. Era cambiata, maturata, pur restando sempre la solita ragazza innocente. Prima, però, sarebbe probabilmente andata in panico arrossendo e non riuscendo più a proferir parola. Ora, come aveva anche dimostrato qualche tempo prima con Seishiro, era semplicemente più spontanea e, in un certo senso, meno timida.
    Sorrise al suo complimento, socchiudendo gli occhi e mettendosi in marcia. Aveva certamente notato lo sguardo del ragazzo dai capelli neri, ma non le aveva dato fastidio. Da gaijin, e soprattutto con quella massa di vaporosi capelli bianchi, era abituata ad avere molti occhi addosso. Figuriamoci poi quando anni addietro aveva il doppio taglio rasato ai lati, come una vera teppista. E dire che ai tempi indossava pure vestiti strambissimi. Per fortuna, insomma, non si faceva vedere molto in giro.
    Era contenta del complimento sui vestiti, però. Le sembrava ieri quando aveva bruciato il suo vecchio armadio, quello da adolescente. E da allora aveva fatto abbastanza fatica a trovare un proprio stile, a cercare di rendere più sobria quell'eccedenza barocca che da sempre l'aveva contraddistinta. Aveva passato letteralmente giorni tra negozi vintage e di vestiti di seconda mano cercando di capire cosa potesse andare bene e cosa no. A quanto pare le sue scelte si erano rivelate giuste, seppur avesse dovuto aspettare anni per scoprirlo.
    Si voltò, accelerando leggermente il passo, alle successive parole del ragazzo. Stava ora camminando all'indietro, guardandolo, tenendo la borsetta stretta sulla spalla. Onestamente, non poteva neppure dire che si trattasse di lavoro. Siamo sinceri: presa così alla sprovvista, ora, non sapeva cosa rispondere. Tecnicamente lo aveva invitato lì per parlargli di Eternium ma, come detto, era sicura al cento - no - al duecento per cento che avrebbe rifiutato. Sarebbe meglio ritirarsi da una battaglia persa in partenza, e allora perchè era lì? Probabilmente doveva smettere di mentire a sé stessa ed accettarlo: sì, quello era un appuntamento.
    Sono un po' fuori dal giro... - ridacchiò, alzando entrambe le mani di fronte alle spalle - Non è un lavoro, io... Volevo parlarti di una cosa. - fece un secondo di pausa - E sì, probabilmente avevo voglia di... sapere come stai.
    Si voltò nuovamente, sorridendo e tornando a camminare nella giusta direzione. La "nuova Yami", come si era battezzata ormai più di un anno fa, non aveva paura di ammettere la verità. E pensandoci, si chiedeva come fosse il "nuovo Yuya". Tutti cambiano in un lasso di tempo così lungo, senza eccezioni.
    Mh? Karaoke dici... - portò l'indice sinistro alle labbra, alzando leggermente lo sguardo per riflettere - Non ci sono mai stata ma... Ce n'è uno ad un paio di minuti da qui. - portò dunque lo stesso dito di fronte a sé - Si chiama Karaoke Ironman, tra due incroci a sinistra se non erro! - gli sorrise - Ti va?
    Per quanto cantasse sotto la doccia o in casa quando era da sola (ovvero sempre) non era mai andata in un locale di Karaoke. A dir la verità, non era solita frequentare locali in generale. Aveva perso l'abitudine a causa di Yama, che ne approfittava ogni volta per attaccar briga, e non aveva mai ripreso il vizio. Aveva solo fatto quell'uscita con Ash un anno e passa prima, e tutti sappiamo quanto in malora era andata quella volta. Forse, ora, era il momento giusto per cancellare i brutti ricordi.
    Io... - piegò le labbra in una smorfia, quasi in segno di disappunto - Scusami se ti ho avvertito così in ritardo. Mi è venuto in mente ieri e... - fece un secondo di pausa, sospirando - Non ho molto da fare ormai, quindi cerco di occuparmi quando posso. - proseguì, facendo spallucce e guardandolo con un mezzo sorriso sul volto.

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    A Yuya venivano in mente circa una dozzina di modi in cui poter far aspettare Yami, o meglio, come far aspettare una persona in generale, tuttavia decise di non infierire troppo. Non era certo il campione della puntualità, ma grazie alla praticità del suo quirk si era salvato numerose volte da situazioni altrettanto spiacevoli. Soprattutto nel periodo in cui ancora andava a scuola e aveva ancora degli orari piuttosto rigidi da rispettare. Fortunatamente veramente in pochi fra i suoi amici sapevano che fosse in grado di teletrasportarsi, e quindi sembrava tutto incredibilmente normale.
    «Non saprei, già il fatto che tu sia qui dovrebbe suggerirti qualcosa.» sospirò, trattenendosi per un pelo dal soffiarle in faccia per farle chiudere quegli occhioni da cerbiatta che aveva osato sbattergli davanti al naso. Ce ne sarebbe voluto di tempo ancora, prima che il cuore di Yuya si sciogliesse davanti ad un'espressione tenera.
    Districandosi in mezzo alle persone che affollavano le strade di Ginza, Yuya realizzò che per essere primavera faceva abbastanza caldo e decise di sfilarsi di dosso il cardigan. Alla faccia che il bianco non doveva assorbire la luce del sole. Decise di sistemarselo sottobraccio, rimanendo così solo con la sua maglia a mezze maniche dal comodo scollo a V, e si accorse proprio in quel momento, mentre ascoltava Yami parlare, di aver dimenticato una cosa importante. Non aveva messo nessuna collana, il che era un peccato, visto che - in generale - gli piacevano molto.
    «Molto carino da parte tua.» commentò, scrollando le spalle, in risposta alla premura di Yami, che indirettamente gli aveva chiesto come avesse passato l'ultimo periodo della sua vita. Ma non aggiunse tanto altro. Già, Yuya dal canto suo non era cambiato molto. Qualunque cosa si aspettasse Yami, sarebbe probabilmente rimasta delusa: il giovane era rimasto il solito ragazzo spigliato e a tratti irritante che lei aveva sempre conosciuto. Lo stesso che al "Day One" le aveva fregato il suo coltello ricurvo da sotto il naso. Il suo guscio era sempre lì, saldo al proprio posto. C'erano così tante cose che avrebbe potuto dire o raccontare, ma così facendo Yuya avrebbe rischiato d'intaccare quello specchio di perfezione dietro al quale gli piaceva nascondersi. «Oh. Mi hanno chiamato da una rivista di moda. Poserò per la loro copertina a quanto pare. Come pensi che stia?» mormorò infine, optando per la cosa più classica da dire. E forse anche la più interessante. «Ti ascolto volentieri, comunque. Ma suppongo che tu non voglia parlarne qui, quindi muoviamoci, fa caldo.» asserì, aumentando appena il passo, solo per raggiungere la ragazza che gli stava camminando di fronte e prenderla per le spalle.
    Non in modo aggressivo; in realtà poggiò solamente i palmi delle proprie mani sulle spalle di Yami, in modo il più equidistante possibile dalla base del suo collo. Un gesto abbastanza amichevole, per gli standard dei contatti che i due avevano avuto fino a quel momento.
    «E non fa niente. Ci sono tanti modi in cui puoi farti perdonare. - mormorò, accompagnando la frase con un occhiolino. In realtà avrebbe potuto benissimo ammettere che in parte la colpa fosse sua e del fatto che avesse deciso di cambiare operatore telefonico, ma in fin dei conti Yuya era così e non vedeva il motivo per non approfittare della cosa facendo tutto il possibile per mettere a disagio gli altri. - Ma se continui a camminare così rischi di colpire qualcuno, tesoro. Quindi girati e andiamo.» asserì, sottintendendo che aveva accettato l'invito a quel Karaoke che avrebbe dovuto chiedere i diritti d'autore a Tony Stark.

    ---

    I due incroci vennero superati piuttosto in fretta, complice il fatto che, sì, erano piuttosto vicini, e che forse entrambi si trovavano in assieme ad una persona di cui non trovavano sgradevole la compagnia. Yuya e Yami si ritrovarono ben presto di fronte ad un ingresso abbastanza vistoso che, senza ombra di dubbio, apparteneva al Karaoke.
    «Oh, direi che ci siamo. Prima le signore, giusto?» domandò, con una punta d'ironia, inclinando il capo, e lo sguardo di conseguenza, verso la giovane che lo stava affiancando.

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    Yami sorrise alle parole del ragazzo. Posare per la copertina di una rivista di moda, davvero? Avrebbe ribattuto che lei anni addietro era stata in copertina di tutti i giornali ed era finita pure in televisione, ma l'interazione con Seishiro le aveva insegnato che certe battute così spinte era forse meglio tenerle per sé stessa. Non sapeva poi neppure se il ragazzo fosse al corrente del "piccolo incidente" di quando aveva tredici anni o meno. Fortunatamente il Giappone sembrava scordare certe cose in fretta, e probabilmente era meglio così. Avrebbe anche voluto ribattere sulla possibile qualità della rivista visto l'abbigliamento col quale si era presentato all'appuntamento, ma sorvolò: era sicura che ci sarebbe stato uno stilista a scegliere gli abiti e comunque avrebbe semmai potuto dargli qualche consiglio più tardi, risultando forse meno fastidiosa. Si aggiustò i capelli dietro l'orecchio destro, osservandolo.
    Ma dai, davvero? - ridacchiò - Eppure mi sembri un po'... Ingrassato. - aggiunse. Era ironica, ma era probabilmente una risposta più interessante di un normale, piatto complimento. D'altro canto era sicura che Yuya fosse ben conscio della propria piacevole apparenza, e doveva sicuramente esserlo se si era proposto per posare per una rivista, e a maggior ragione se lo avevano davvero chiamato.
    Arrossì quando il ragazzo, accelerando il passo, poggiò i palmi delle mani sulle sue spalle nude. Tutto sommato, però, quel contatto e quel calore erano rassicuranti: la svedese, cresciuta all'europea, trovava fastidiosa la freddezza dei rapporti degli orientali. Come aveva anche provato la sua camminata con "Shizuka", la sua fisicità nei contatti umani la tradiva come gaijin tanto quanto il colore pallido dei suoi capelli. Il ragazzo con la coda, invece, pur essendo un ragazzo orientale era sempre stato più portato al contatto rispetto ai suoi compaesani. Anche troppo, forse. E forse era proprio questo a renderlo così interessante per la ragazza: perchè, in qualche modo, le ricordava casa. Dopodiché, pur essendo già sui toni rossastri, il colore delle sue gote aumentò di intensità: aveva sentito davvero bene?!
    Modi per farsi perdonare? Stava forse parlando di cose per adulti? E come se non fosse abbastanza, aveva condito il tutto con un occhiolino e chiamandola "tesoro"?! Quest'ultimo non era poi tanto una sorpresa, in fondo l'aveva chiamata così anche a Disneyland. Eppure oggi si stava comportando in modo davvero strano: che fosse venuto a sapere in qualche modo che Yama non era più presente dentro di lei? O avrebbe davvero corso quel rischio, col suo gemello? Cercò di voltarsi in fretta, più per nascondere le guance arrossate che per seguire il suggerimento del ragazzo, mentre il cuore le batteva all'impazzata nella gola.

    Il locale occupava un vero e proprio angolo di un incrocio: la facciata dell'edificio era ricoperta di insegne e manifesti pubblicitari e in alto campeggiava il logo della catena. Si trattava di una specie di uomo in armatura bluastra che puntava una spada al cielo. Il "Tetsujin" del nome, insomma. Si aggiustò nuovamente i capelli dietro l'orecchio con la mano destra quando il ragazzo la invitò ad entrare per prima, con un cenno del capo. Dopodiché portò la stessa mano ad afferrare la tracolla della borsetta poggiata sulla spalla, entrando nel locale per prima seguendo l'invito.
    L'entrata era decisamente luminosa: un corridoio dalle pareti beige con numerose luci ai lati. Dopo qualche passo, l'entrata vera e propria. Il locale non sembrava certamente brulicare di gente nonostante fosse un sabato, probabilmente perchè i karaoke erano più gettonati di sera. In ogni caso, meglio per loro: Yami non amava essere circondata da tante persone, e per un periodo della sua vita - seppur breve - aveva persino sofferto di manie di persecuzione. Meglio così, davvero.
    Siamo in due. - sorrise, facendo un inchino, alla cameriera che li portò in una stanza privata passando per la splendida sala pubblica, dai tavolini bianchi e neri che, alternati, davano vita ad un elegante contrasto. La stanza aveva invece un tavolino quadrato in simil-legno e delle poltroncine bianche in simil-pelle ai due lati. Quello destro era appoggiato al muro su cui era fissata una piccola televisione per il karaoke, appunto. La donna si premurò ovviamente di fornire anche dei menù, essendo ora di pranzo. La ragazza si accomodò sulla poltroncina a destra, poggiando la borsetta per terra e rovistandoci dentro per un attimo, per poi guardare il ragazzo.
    Ti ho chiamato perchè... - si interruppe, facendo un attimo di pausa come se questo potesse in qualche modo generare della suspance in una situazione in cui era chiaramente impossibile - Ho imparato a leggere i tarocchi. - ridacchiò, mostrando nella mano sinistra il mazzo di carte che aveva estratto dalla borsetta poco prima - Sei interessato? - aggiunse, per poi posare il mazzo a carte coperte alla destra del menù, aprendo quest'ultimo per scegliere cosa ordinare. Era chiaro che fosse ironica, anche perchè il mazzo era mutilo di ben tre carte. Questo però, a ben pensarci, Yuya non lo sapeva. Probabilmente però avrebbe lasciato quell'appuntamento fra qualche minuto, pentendosi di essersi offerto di pagare il pranzo una volta visto quanto mangiava Yami. Se non si fosse trattenuta, almeno.

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    Yuya si lasciò sfuggire un sospiro, abbozzando un sorriso. Quando aveva risposto alla ragazza, lui ovviamente si era riferito ad un suo possibile stato psicologico, non ad uno fisico, ma in fin dei conti Yami pareva aver lavorato giusto un briciolo di più sul suo senso dell'umorismo, cosa che non doveva essere del tutto negativa.
    «In effetti il bianco ingrassa. - Yuya si era fatto pensieroso per un momento, poi però aveva afferrato l'orlo candido della maglietta che aveva indosso e l'aveva sollevato appena. In concomitanza, un simpatico ghigno si era dipinto sul suo viso. La t-shirt, infatti, andò a scoprire la sinuosa V dell'inguine di Yuya e quelli che sembravano a tutti gli effetti degli addominali ben scolpiti. - Ma, si chiamano muscoli, Yami. Mai visti prima?»
    La sua ironia pungente durò comunque poco, perché erano pure sempre in pubblico, e la stoffa scivolò al suo posto tanto in fretta quanto si era sollevata. Ciò non risparmiò comunque un altro occhiolino a Yami, sempre amichevole, s'intende. «Se vuoi toccare puoi richiedermelo più tardi.»

    ---

    Una volta entrati nel locale, ad accoglierli fu una cameriera. Yami si occupò degli "onori di casa", e Yuya si senti sollevato, perché... non riusciva mai a parlare alle cameriere senza far sembrare che ci stesse provando con loro, e questo era meglio che Yami non lo sapesse.
    Yuya la ringraziò solo in un secondo momento, una volta che li ebbe condotti nella stanza riservata e che ebbe lasciato loro i menù. Senza farsi troppi problemi, il giovane si accomodò sulla poltroncina di pelle rimasta libera. Strano. Pensava che per una stanza privata bisognasse almeno prenotare, o essere in tanti. Forse avevano avuto fortuna perché non c'era troppa gente, ma Yuya aveva giurato di aver visto qualche gruppetto nella sala pubblica. Beh, non che gli dispiacesse.
    In compenso Yami partì in quarta: Yuya non fece nemmeno in tempo a pensare di prendere il menù che la ragazza estrasse dalla borsetta un mazzo di tarocchi asserendo di saperli leggere.
    «Oh. - mormorò, rimanendo interdetto per un attimo, perché in effetti poteva dire qualsiasi cosa, ma non se lo aspettava. - Uhm... e come funziona?» chiese, inarcando un sopracciglio e fissando il mazzo di carte posto sul tavolo.
    Poi estrasse il cellulare dalla tasca. «Ehi, metti la mano qui.» disse, indicando la superficie del tavolo, proprio di fianco ai tarocchi.
    Se Yami lo avesse accontentato Yuya, aperta la fotocamera, avrebbe scattato una semplice foto.
    No, non voleva violare la privacy di nessuno, ma in realtà il ragazzo non era molto pratico di quelle cose, proprio per niente. Del resto se Yami lo avesse guardato perplessa o se gli avesse chiesto coda diavolo stava facendo, Yuya avrebbe risposto con una mentalità profonda tanto quanto quella di un bambino di cinque anni. «Cosa c'è? Dovrebbe essere figo farsi leggere i tarocchi, no?»
    Nella sua testa qualcosa come farsi leggere i tarocchi era una roba da serie televisiva, per quello era sicuro che quella foto con il giusto filtro, avrebbe acchiappato le sue belle dozzine di like. Insomma, un mazzo di carte, la mano di una pseudo-cartomante con lo smalto nero...

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    La ragazza arrossì vedendo il ragazzo tirarsi su, seppur parzialmente, la maglietta. Deglutì alla sua provocazione successiva, quella riguardo al toccare, ma cercò di voltarsi dritto e non pensarci. Effettivamente, riflettendoci, la risposta alla sua domanda era no: no, non aveva mai visto dei muscoli. Non aveva mai visto un ragazzo senza vestiti - se non da molto piccola - ad esclusione di Yama. Lui però non contava, dato che si sarebbe persino dovuto discutere il se quello contasse effettivamente come un corpo o meno. Il viceversa, invece, era stato già più comune. Si era spogliata di fronte a Ryo una volta, fraintendendo probabilmente il suo orientamento sessuale, e lo stesso Yuya la aveva probabilmente vista senza veli - almeno parzialmente - seppure lei fosse svenuta in quel momento. Effettivamente, detta in questo modo potrebbe certamente gettare determinate ombre sulle modalità di approccio del ragazzo con la coda, ma in realtà si trattava di circostanze di vita o di morte. Una di quelle due o tre volte in cui - senza il suo aiuto - sarebbe probabilmente morta. A saperlo però sarebbe probabilmente morta lo stesso. Dall'imbarazzo.

    Al karaoke, la svedese non si aspettava certamente la reazione che le si presentò davanti agli occhi: lei stava fondamentalmente scherzando, ma pareva che il ragazzo avesse una certa considerazione per lei che lei stessa non aveva. Che questa fosse molto positiva o molto negativa dipendeva probabilmente dalle sue considerazioni riguardo a tarocchi e oroscopi, però. In ogni caso, si sarebbe reso conto molto, molto presto che Yami non aveva la benché minima competenza nella lettura delle carte, che per lei significavano tutt'altro: non era un granché brava ad improvvisare.
    Huh...? - borbottò stranita alla sua richiesta, pur ubbidendo come una marionetta. Chiuse il menù che stringeva tra le mani con dolcezza e lo appoggiò sul tavolo, per poi stendere le sue bianche dita a fianco del mazzo di carte come richiesto. Solo dopo si accorse che il ragazzo seduto di fronte a lei stava tenendo il cellulare tra le mani, scattando una foto sottolineata dal rumore meccanico e sintetico dell'otturatore della fotocamera, ovviamente simulato.
    Umh... Suppongo di sì... - sussurrò, grattandosi dietro la nuca con la mano opposta. Era, a dire il vero, indecisa su come reagire: distruggere i suoi sogni rivelando di star scherzando, o preoccuparsi della foto visti i suoi precedenti con la legge? Non sapeva cosa avesse ripreso, ma poteva essere rischioso. O, forse, semplicemente si preoccupava troppo. Nessuno, dopo sette anni e la pubertà, avrebbe probabilmente riconosciuto una criminale di campagna. In ogni caso, fece probabilmente la scelta migliore: decise di non curarsene, per poter vivere quella giornata come fosse una giornata normale. Ogni volta in cui i due si erano incontrati, infatti, le cose erano finite male in qualche modo. Tra un'emorragia interna, fughe dalla Yakuza e strani sogni, quella sembrava la prima volta in cui riuscivano ad interagire come due persone normali, lontane dall'ambiente che di solo caratterizzava i loro incontri.
    Umh... - borbottò nuovamente, prendendo le carte tra le sue fragili dita e mescolando il mazzo, per poi porgerlo con la mano destra verso "Kuroo" - Colpisci dolcemente le carte, così posso leggerle a te. - proseguì, mettendo particolare enfasi su quelle due ultime parole. Solo in quel modo, infatti, il ragazzo con la coda avrebbe trasmesso la sua energia alle carte permettendo la lettura del suo destino. O perlomeno, questo sarebbe stato vero credendo nella lettura dei tarocchi e se Yami fosse effettivamente stata in grado di leggerle. Solo dopo il suo gesto sarebbe andata avanti.
    Sì, pur essendo uno scherzo, decise di portarlo avanti per un po'. In fondo non avevano molto di meglio da fare, no? L'unica cosa che le spiaceva era il doverle organizzare nuovamente, dopo, preferendo di tenere gli arcani maggiori ben separati dai minori. Ci avrebbe pensato più tardi, comunque, ora non era il momento.
    A questo punto, le prime tre carte ti guideranno. Per prima cosa devi concentrarti su cosa vuoi chiedere... - proseguì, posando le prime tre carte del mazzo di fronte a sé, con la figura ovviamente rivolta verso il tavolo. Yami sapeva effettivamente come leggere i tarocchi, a livello meccanico, era ovviamente la parte interpretativa ad esserle completamente estranea. Quello, in ogni caso, era solo uno dei tanti possibili modi di leggerle, uno dei più semplici oltretutto.
    Mosse quindi indice e medio della mano destra verso la carta alla sua estrema destra e dunque, di riflesso, alla sinistra di Yuya. Aspettò qualche secondo, prima di rovesciarla. Sulla carta, a fondo nero e incisioni bianche come tutte le altre, due scheletri coperti da veli neri si scambiavano gesti affettuosi sotto un cielo stellato. Uno dei due aveva le mani attorno al teschio volto dell'altro, che invece stringeva tra le mani ossute dei fiori: era l'Innamorato, o gli Amanti che dir si voglia, rivolta verso Yuya e quindi da lui ben leggibile. Yami arrossì leggermente, salvo poi ridacchiare tra sé e sé. Tra tutte le possibilità, l'unica che le avrebbe permesso di bullizzarlo in modo peggiore poteva essere solo il Diavolo. Molto spesso, però, le sue provocazioni nei suoi confronti finivano per essere totalmente reindirizzate verso di lei.
    Oh oh oh... - ridacchiò con voce tronfia - Devi dirmi qualcosaaaaaaa? - aggiunse, con tono acuto, prendendolo in giro. Chissà che al colloquio per posare per la rivista di moda avesse trovato qualche ragazza. Oh, beh, probabilmente ne avrebbe trovate molte dopo il servizio. Ciononostante, a giudicare dai suoi profili social, il ragazzo sembrava essere single. Beh, di certo Yuya non era un idol, ma molte persone con un minimo di seguito fingevano pubblicamente, nei paesi asiatici, di non avere legami sentimentali. Per essere il sogno proibito di qualcuno, in fondo, devi essere desiderabile. E la gelosia non lo è mai. Le altre due carte intanto riposavano a faccia in giù sul tavolo e, probabilmente, la cameriera avrebbe comunque interrotto la loro ridicola lettura delle carte. Probabilmente meglio così, a dire il vero.

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    L'atmosfera era sicuramente diventata strana meno di un minuto dopo che la cameriera aveva inforcato l'uscio della porta per lasciarli soli, ma Yuya aveva avuto più o meno - senza saperlo - la stessa sensazione di Yami.
    Tralasciando che no, nemmeno questa volta aveva idea del motivo per cui la ragazza albina lo avesse chiamato, era la prima volta che uscivano come due normali, normalissimi, ventenni. Il che considerando le rispettive situazioni non era cosa da poco. Anche se nessuno dei due era a conoscenza delle dinamiche precise per cui l'altro ci si trovava, se non per pochi dettagli, i loro incontri precedenti - soprattutto il primo - non lasciavano molto spazio alle parole.
    E che stessero giocando o meno a fare le persone normali, non era una brutta sensazione.
    «Tranquilla, la tua privacy è al sicuro con me.» mormorò il corvino, lasciando slittare il telefono sulla superficie del tavolo. «Ho fotografato solo la tua mano... oh, ma se ci tieni posso taggarti.» le sorrise. Lo schermo del cellulare, infatti, non era spento, e mostrava la fotografia che il giovane aveva appena scattato: la carnagione diafana delle dita di Yami proprio a fianco delle carte. Nulla di più, però effettivamente, era una foto carina.
    Dopo averla "rassicurata" - per così dire, visto che aveva scambiato l'incertezza di Yami per puro e semplice imbarazzo dovuto all'apparire in foto - Yuya obbedì e colpì con l'indice il retro della prima carta del mazzo dei tarocchi. Tre leggerissimi colpi, come se stesse bussando ad una casa per bambole.
    Si era incuriosito abbastanza da prendere la cosa leggermente sul serio.
    La ragazza cominciò a separare le carte e a dire... di come esse avrebbero dovuto guidarlo. Sì, ma dove? Alle sue orecchie tutto ciò che Yami stava dicendo suonava completamente nuovo. Decise comunque di stare al gioco, e mantenere la sua poker face. Era quello che sapeva fare meglio.
    "Cosa voglio chiedere, uh?" si disse, mentalmente.
    Chiuse gli occhi una frazione di secondo e... fece finta di pensarci sul serio, nonostante non avesse la più pallida idea di cosa volesse dire. Ce ne erano di cose che avrebbe voluto chiedere: a sua madre, a suo padre, ai suoi amici, a Yami. Forse anche alle sue ex, ma era la cosa meno importante. Serviva a sdrammatizzare. Ora, le carte... erano lì per fare da catalizzatore o semplicemente per far diventare Yami la sua psicologa personale? Fortunatamente a questa domanda non trovò risposta, perché dopo appena qualche secondo, Yami svelò la prima carta che si rivelò meno ostica del previsto, per quello che si aspettava Yuya. Anzi.
    Ora, lui non era un grande esperto, ma gli arcani maggiori più famosi a grandi linee li conosceva. E nonostante quel mazzo fosse un tantino macabro, era quasi certo di poter dire che l'unica carta a rappresentare due soggetti fosse quella degli Amanti.
    E alle parole di scherno di Yami, ne ebbe solo la conferma. Un sorriso si delineò sul suo volto, ed il ragazzo si ritrovò a distendere la spina dorsale sullo schienale imbottito della poltroncina. Poi, accavallò le gambe.
    Davvero, Yuya non lo faceva apposta. Ma ogni tanto sembrava proprio che Yami gliele offrisse su un piatto d'argento quelle occasioni. E chi era lui per non coglierle?
    «In realtà... sì.» Yuya sospirò e chiuse gli occhi, congiungendo le mani proprio sopra il ginocchio della gamba accavallata. Era piuttosto palese che stesse recitando la parte stereotipata di un uomo omosessuale. Difatti, dopo un secondo raddrizzò la schiena e si sporse in avanti, abbassando il tono di voce, fino a ridurlo ad un sussurro.
    «La rivista di moda, sai... dovrò posare assieme ad un altro ragazzo e, insomma, noi...» si strinse il labbro inferiore in una morsa, ma interruppe lì la frase, perché era palese dal suo tono di voce fasullo che stesse mentendo. Però non riusciva a fare a meno di sogghignare divertito, perché già prevedeva dove sarebbe andata a finire la conversazione: in un altro bellissimo modo per stuzzicare Yami.
    «Ti conviene sbrigarti se vuoi confessarmi il tuo amore... o potrei cedere alle sue lusinghe.»
    Perché insomma, era abbastanza palese che Yami si fosse presa una cotta per lui. E Yuya lo sapeva più che bene. Sperava solo che la cameriera non entrasse proprio in quel momento.

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    Sorrise alle parole del ragazzo. Non aveva problemi da un bel po' di tempo ormai, e non stava neppure lavorando per qualche strano e folle criminale col desiderio di far saltare in aria la città in quel preciso momento, ciononostante il fatto che Yuya capisse che non aveva piacere a mostrarsi troppo in giro la rassicurò. Si chiese se, in qualche modo, il suo atteggiamento potesse sembrargli strano. In fondo lui era lì, quasi dedito al mettersi in mostra in ogni momento possibile, dalle sue foto sui social a quel lavoro da modello. Lo stesso fatto che avesse deciso di fare una foto a quella situazione era la prova che, anche se riusciva a staccare dall'inseguire mafiosi in campi divertimenti e vestirsi da gatto per importunare la gente, forse non riusciva altrettanto a staccarsi dal suo perenne bisogno di apparire: erano così diversi loro due, in fondo.
    Una volta voltata la carta e mostrati al soffitto i due scheletri stretti in un tenero amplesso, ridacchiò tra sé e sé. Il problema, però, è che come sempre il ragazzo con la coda riusciva a stupirla e, bisogna dirlo, voltare sempre le carte in tavola.
    Lo vide sorridere, per poi stendersi sulla sedia come un gatto e accavallare le gambe, per poi rispondere affermativamente alla sua domanda. Sussurrando, le rivelò qualcosa riguardo ad un fantomatico ragazzo con cui avrebbe dovuto fare quello shooting fotografico tra qualche giorno, accennando alla sua presunta omosessualità o perlomeno, viste le successive parole alla ragazza dai capelli bianchi, bisessualità.
    Ora. Yami era una ragazza ingenua e certamente non omofoba, ma non sarebbe tanto sbagliato additarla come una totale ignorante riguardo a molto di ciò che circondava la sessualità e, in genere, si potrebbe dire persino i rapporti umani. Per questo non vide nulla di troppo malizioso negli atteggiamenti del giapponese di fronte a lei. Bisogna considerare, insomma, che giusto un paio di anni prima aveva additato come omosessuale un ragazzo che stava accoltellando un uomo in un vicolo con la propria coda: Ryo. Era passato del tempo e Yami era cresciuta, ma in fondo la società giapponese era piena di ragazzi androgini e idol il più femminili possibili. Per quello, in fondo, non le sembrava poi così strana quella frase sulla rivista: esistevano, in fondo, riviste per persone di tutti i tipi. Ma lei era vissuta sotto una campana di vetro per diciotto anni e faceva persino fatica a non stringere la mano alle persone, figuriamoci capire certe cose. Arrossì, riprendendo in tutta fretta la carta degli Innamorati e ricongiungendola al resto del mazzo a fianco al menù chiuso sul tavolino, poco prima di far cadere un silenzio talmente lungo da sembrare interminabile.
    Non... - balbettò quindi dopo una buona, abbondante manciata di secondi - Amore è una parola grossa. Enorme. - aggiunse, quasi con un non voluto doppio senso oserei dire - Io... E' solo che... - era agitata, e cercò di stemperare il nervoso muovendo la mano destra, tremante, ad aggiustare la cascata bianca di capelli dietro all'orecchio - Quando sono con te mi sento al sicuro. - sospirò, guardandolo.
    Si passò la lingua sulle labbra, secche, per inumidirle, abbassando lo sguardo non riuscendo a sostenere il contatto visivo. Non era in fondo anche quello il motivo per cui lo aveva invitato ad uscire? Era sempre stato così, a Disneyland ad esempio. Sebbene fosse una giornata lavorativa, era stato il primo momento in cui si era davvero sentita libera e felice dopo anni. Era sicura che se lui fosse stato con lei alla Yuuei, anni prima, non avrebbe tremato neppure di fronte a quello strano uomo-melma con la telecinesi. In una vita di ombre nella gabbia di suo fratello, lui era stato il primo - seppur involontariamente - a far breccia e portare un po' di luce.
    Da quando non c'è più Yama io... - prese nuovamente parola, per poi iniziare a gesticolare non riuscendo a trovare le parole adatte - ... Voglio solo vivere, non mi importa del resto. Voglio fare tutto ciò che non ho potuto fare prima. - fece un secondo di pausa, guardandolo pur con lo sguardo basso - Questo, ad esempio.
    Onestamente, non si ricordava se gli avesse già parlato di come Yama era uscito dalla sua vita ed era certa che una frase simile potesse suonare davvero strana, specialmente per una persona che lo aveva visto uscire dal suo corpo e aveva avuto una visione ben chiara di come i due erano connessi. Era passato tanto tempo, però, e ormai si era praticamente abituata alla sua assenza che era in grado di parlarne come fosse una cosa completamente normale.
    Non penso neppure di sapere cos'è l'"amore", non ho mai avuto neppure la possibilità di parlare con qualcuno per la maggior parte della mia vita. So solo che... Quando sono con te mi sento bene, anche se mi ci sono voluti tre anni per chiamarti ed è stato come fare un salto nel vuoto. - concluse, osservando il pavimento e facendo un secondo di pausa - P-però se ti piacciono gli uomini è u-uguale lo stesso! - aggiunse quindi agitando le mani vicino alle sue spalle, come a voler minimizzare tutto ciò che aveva detto finora. Effettivamente sarebbe stato decisamente imbarazzante se fosse stato davvero omosessuale e/o avesse davvero qualcosa con quel ragazzo. Per una volta si era semplicemente lasciata andare e non aveva pensato e ripensato se fosse serio o se stesse scherzando solo per punzecchiarla come al suo solito, dato che pareva divertirsi molto a farlo. D'altro canto, non c'era un singolo motivo per tenerselo dentro giunti a quel punto.



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    A Yuya piaceva giocare a fare lo spavaldo. Gli era sempre piaciuto. E spesso esagerava senza nemmeno rendersene conto, ritrovandosi invischiato in situazioni più grandi di lui.
    Difatti, alle parole di Yami, gli tocco fare un passo indietro.
    In senso figurato, ovviamente.
    Yuya pensava di essersi preso parecchie cotte nell'arco della sua vita, ma dire che sapesse dare una definizione di "amore" sarebbe stato come provare a raccontare un libro senza averlo letto.
    Yuya sapeva cos'era il sesso, cos'era l'attrazione fisica, l'infatuazione, ma una definizione di amore non era certo di poterla dare.
    Non sapeva se doveva collegarlo a quel sentimento che provava quando continuava a preoccuparsi per la salute di sua madre, nonostante la distanza che si fosse creata tra loro; non sapeva se doveva collegarlo a quella vana speranza di vedere, un giorno, suo padre spuntare da uno dei suoi soliti varchi dimensionali per abbracciarlo e dirgli che era fiero di lui; e non sapeva nemmeno se doveva collegarlo all'affetto fraterno che provava per la sua unica amica d'infanzia che, nonostante tutto, gli era rimasta vicino.
    Per quanto potesse illudersi e darsi arie da esperto dongiovanni, non lo sapeva e basta. Perché non credeva di averlo mai davvero provato, nonostante tutti i suoi compagni d'università andavano da lui, a chiedere, quando dovevano tentare di conquistare una ragazza. E poi lui era il primo, quando una ragazza gli interessava veramente, a non saper cosa fare.
    Anche perché, a conti fatti, quella era la prima volta che sentiva che una ragazza gli interessava veramente. E non sapeva nemmeno se fosse un interesse romantico, o solo genuina curiosità di saperne di più su di lei una volta per tutte.
    Sì, stava parlando di Yami.
    Nella storia che Yuya conosceva di lei mancavano così tanti tasselli che ricostruire un puzzle al momento era impossibile.
    Il corvino sospirò, schiarendosi la voce con un colpo di tosse, ed accantonando quella fastidiosa vocina nei suoi pensieri, origine di tutte le sue paranoie mentali. Scompose la sua posizione fasulla e si rilassò di nuovo stravaccandosi sulla poltroncina.
    «Mi spiace, non posso aiutarti.» mormorò, distogliendo lo sguardo che fino a quel momento era rimasto fisso sul viso della ragazza. «Cioè, davvero non so che idea tu ti sia fatta di me, ma probabilmente è sbagliata. Sono una pessima scelta per sentirsi "al sicuro".» enfatizzò, facendo con le dita il tipico gesto delle virgolette per accentuare quelle parole.
    Era la prima volta che Yuya non cantava lodi di sé stesso in presenza di Yami.
    «È strano che tu non te ne sia accorta, visto che hai rischiato la vita ogni volta che ci siamo incontrati.» Ironia a parte, era strano, ma il giovane giapponese non stava trovando alcuna ragione per mentire, come faceva di solito. Forse si era reso conto che stava portando avanti la sua recita da troppo tempo. Qualunque tipo di recita fosse.
    «Poi... io non so davvero niente di te. Tranne che per qualche ragione sei stata accusata di omicidio a tredici anni. Basta scavare un po' tra le ricerche del tuo nome su internet.»
    Questa volta, forse, ci era andato giù particolarmente pesante, era capace che nemmeno Yami si aspettasse che il suo compagno di conversazione riesumasse un argomento del genere. Ma era vero, Yuya l'aveva fatto, seppur non di recente. Qualche tempo dopo Disneyland probabilmente. Visto il sostanzioso numero di volte che si erano incontrati, a lui era sorta solo la curiosità di sapere chi fosse. E l'aveva cercata. Anche se c'era la possibilità di non rivederla affatto. Ma al posto del suo profilo Facebook, Instagram o di qualsiasi social, erano spuntate delle notizie ambigue, e poi... dei vecchi articoli di giornale.
    «Quindi, posso avere delle spiegazioni? Chi sei tu, chi è Yama e perché mi hai contattato quella notte di tre anni fa insieme a quel tipo vestito da... Daft Punk? Come si chiamava, Sanji?» anche riesumare il loro primo incontro era un osare molto pericoloso. Non era detto che Yami avesse voglia di parlare con lui di tutte queste cose, ma il tono di Yuya era diventato improvvisamente abbastanza serio. Quello di uno che esigeva delle risposte che gli erano rimaste precluse per troppo tempo.
    Proprio in quel momento, tuttavia, tre lievi colpi sulla porta, susseguiti da un socchiudersi della stessa, interruppero l'atmosfera carica di tensione e aspettative.
    Era la cameriera.
    Già, Yuya si era scordato di guardare il menù. Lanciò una veloce occhiata alle carte posate sul tavolo, e poi fece cenno alla cameriera che poteva entrare. Puntò il dito a caso, ma in una sezione ben precisa del menù. «Per me questo, grazie.» mormorò. Più o meno qualsiasi cosa con il pesce andava bene. Poi sospirò, di nuovo, quasi come rilassandosi.
    «Ordina, dai.» asserì rivolto a Yami.

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    Mentre Yuya le rispose, Yami si aggiustò nuovamente i capelli dietro alle orecchie. Non poteva negare le sue parole, ma come anche detto da lui poco dopo, il ragazzo con la coda non sapeva nulla di lei. Non poteva sapere, quindi, che tutte le altre volte aveva rischiato la vita per davvero. Una scazzottata con un paio di Yakuza non era come rimanere coinvolta nell'esplosione di un'enorme ordigno o combattere con uno strano tizio guidato da ideali di giustizia contorti e il "grilletto" facile. E quando suo fratello si era gettato in pasto ad una motosega, in quella sera a cui lo stesso ragazzo dai capelli neri seduto davanti a lei aveva fatto riferimento, lui era lì per salvarla, per la prima volta. Se non fosse stato per lui, probabilmente la luce nei suoi occhi si sarebbe spenta in quel momento. Doveva letteralmente la sua vita a lui.
    Ci sto lavorando. - mormorò al riferimento del ragazzo a quella piccola macchia sulla sua fedina penale. Era vero, stava preparando qualcosa grazie a quel tizio svedese che aveva incontrato bevendo il kombucha con Ash. Se tutto fosse andato bene, nel giro di qualche mese si sarebbe tutto risolto e possibilmente senza troppi clamori pubblici. Era tutto sommato un piccolo omicidio in campagna perpetuato da e su stranieri, dopo più di cinque anni all'opinione pubblica non importava più nulla. E proprio perchè era passato così tanto tempo le parole di Yuya non la colpirono minimamente: da un lato era abituata a convivere con quella tragedia e dall'altro, specialmente dopo l'operazione, era pian piano diventata sempre più conscia di non avere la minima colpa di ciò che era successo.
    Schiuse le labbra per rispondere alla sua domanda, ma la cameriera interruppe il loro discorso. Aveva ragione, in ogni caso, pensava mentre il ragazzo indicava la sua ordinazione. Non sapevano un granché l'uno dell'altra, ma era una questione che a lei importava relativamente. D'altro canto, conscia o meno, non poteva ignorare il modo in cui si sentiva in sua presenza. Non bisogna essere astrofisici, insomma, per percepire l'immenso vuoto osservando il cielo stellato in riva al mare, e tant'era. Forse complici le sue provocazioni (prima o poi il ragazzo dagli occhi dorati avrebbe dovuto imparare a tenere chiusa la bocca almeno il 50% delle volte in cui l'apriva), forse la totale assenza di figure ricorrenti durante gli ultimi cinque e più anni della sua vita, ma non poteva ignorare le sue sensazioni. Forse Yami era ancora una ragazza naive con la cultura del "colpo di fulmine", ma gli eventi che avevano tartassato la sua vita come un sacco da boxe le avevano fatto capire che tanto valeva buttarsi e se le cose fossero andate male, beh, avrebbe trovato il modo di rialzarsi, oggi o domani.
    Io prenderei un hot dog con del ketchup e una coca media! - sorrise alla cameriera dopo l'ordinazione di Yuya, congiungendo le sottili dita di entrambe le mani davanti al volto prima di allungarle il menù. Forse il ragazzo dai capelli neri si sarebbe aspettato qualcosa di diverso ma quando mangiava fuori Yami era abituata a mangiare junk food. Beh oddio, spesso anche quando era a casa. Non aveva mai imparato a cucinare e la vita della ragazza di strada non era certo fatta di ristoranti stellati e pasti garantiti, anzi. Da qualche tempo le cose iniziavano ad andare meglio ma se nessuno le avesse insegnato la cultura del mangiar bene probabilmente avrebbe continuato così. I cani randagi non cambiano abitudini neanche col collare.
    Rimasti nuovamente soli, la ragazza dai capelli bianchi non riuscì a prendere subito parola. Era giusto condividere ed era la prima volta che qualcuno le dava l'opportunità di farlo - escluse un paio di parole con Ryo - ma era anche conscia che i successivi due minuti avrebbero potuto modificare la percezione del ragazzo seduto di fronte a lei per sempre. All'idea di dover parlare di certe cose l'imbarazzo di avergli confessato i suoi sentimenti (o meglio, le sue sensazioni) era praticamente svanito.
    I miei genitori erano svedesi, collezionisti d'arte. Venivano spesso in Giappone e quando mia madre è rimasta incinta hanno deciso di stabilirsi qui. Avevamo una casa in campagna, era tipo l'antica casa di uno shogun o qualcosa di simile. Avevamo un sacco di soldi, quindi non era un problema. Avevamo anche dei maggiordomi. - ridacchiò. Aveva preso il discorso molto alla lontana ma era forse l'unico modo per spiegare tutto per bene. Le sue mani tremarono leggermente: era da anni che non portava la sua mente così indietro, almeno consciamente - Mia madre doveva avere due gemelli, ma durante la gestazione ho inglobato mio fratello. "Fetus in fetus", gemello parassita, ha vari nomi. Nel mio caso non era invasivo, quindi non ci siamo mai fatti troppi problemi. A quattro anni ho iniziato a manifestare la mia unicità. Per i medici a scuola era un tipo transformation, ero in grado di manifestare altre parti del corpo dal mio corpo. - proseguì a spiegare, alzando la propria mano sinistra ed osservandola. Era da lì che aveva visto Yama la prima volta. Da lì in poi, tutto era solo degenerato progressivamente.
    Molti miei compagni volevano diventare eroi, ma a me non davano altro che fastidio. Dopo qualche tempo iniziai a sentire delle voci. - fece una pausa, deglutendo - Prima di addormentarmi sentivo dei sussurri e cose simili. Più passava il tempo e più le sentivo chiaramente e più spesso, quando ero sovrappensiero, dopo anni le sentivo e basta. Mi sussurravano che ero inutile, che avrei dovuto uccidermi. - il suo labbro inferiore si inarcò facendo alzare leggermente quello superiore, mentre il suo sguardo si perse nel vuoto per un paio di secondi - Sindrome dell'impostore. Ero una bambina ricca in campagna, dove molti miei compagni a volte non avevano neppure acqua corrente in casa. Ed ero una bambina svedese in Giappone. Sai, a volte mi sento ancora fuori posto anche se... Beh, tu sei peggio di me. - sorrise: effettivamente il comportamento del ragazzo era molto spesso il totale opposto rispetto a quello dei suoi compaesani - Non usavo la mia unicità da qualche anno, perchè non mi interessava. Volevo solo studiare, rendere i miei genitori orgogliosi. Eravamo a cena e vedo una mano uscire dal mio corpo... - spostò quindi lo sguardo sul suo braccio destro - Questa prende un coltello e diventa un braccio, poi una schiena, e un intero ragazzo esce dal mio corpo... Yama. - a questo proposito non c'era molto da aggiungere. Yuya lo aveva visto quindi poteva benissimo trarre le sue conclusioni.
    Quello che ricordo dopo sono io coperta di sangue che scappo di casa e corro per tre o quattro ore per andare a casa di un'amica, e poi scappo a Tokyo. - sospirò, massaggiandosi la fronte con la mano sinistra - Ho vissuto qualche tempo per strada, facendo lavoretti qua e là grazie a lui. Ad un certo punto troviamo il Soseiji e... - fece un attimo di pausa. Yuya aveva lavorato per loro almeno quella volta del furto dell'acido, ma non era neppure sicura che ne fosse conscio o meno - Li avrai sicuramente visti alla televisione, erano anche dietro a quella storia dell'acido e dell'università. Questo tizio, Yoshimura, ci chiede di iniziare a reclutare membri per la sua organizzazione. Ash, Sajin, te... - corresse il nome del "tizio dei Daft Punk". Erano passati anni ma non riusciva a dimenticarsi di lui e di ciò che aveva visto. Aveva combattuto per la causa sbagliata, ma lo aveva fatto con onore.
    Dopo un po' Yama si stanca e lo hai visto, non... potevo farci nulla. Decide di andarsene e incontriamo questo tizio che dice di poterci separare, e ovviamente accettiamo. Per motivi diversi. Ci separa e a quanto pare risveglia la mia vera unicità. - aggiunse, lisciandosi i capelli alla destra del volto con entrambe le mani - Sai meglio di me come funziona quel mondo. Quando qualcuno ti fa un favore devi sdebitarti. Inizio a lavorare per lui e io e te ci incontriamo a Disneyland, poi ti offre quel lavoro alla Yuuei. Forse visto il vostro obbiettivo avrai già fatto due più due da anni ma... - fece un secondo di silenzio, non riuscendo a sopportare il suo sguardo per quelle prossime parole e abbassando la voce - Ero tra i Bloody Snake.
    Quel nome era di dominio pubblico dopo ciò che era successo alla UA, e con buone ragioni. Associarsi a loro e ad Orochimaru era forse il modo più veloce per allontanare il ragazzo, ma non riusciva a trovare alcuna ragione per mentire. Aveva semplicemente ragione: era il momento di prendersi le proprie responsabilità e raccontare le cose come stavano. A tutti i costi.
    Non ho fatto molto altro per loro. Il giorno della bomba alla UA io ero lì... per fermarla. - sottolineò quelle parole, ma non sapeva se Yuya le avrebbe creduto o meno. Lei, d'altro canto, sapeva benissimo che era la verità - Eravamo io, Tatsuki Ryo, Okada Daisuke e Ash. - aggiunse, un po' dubbiosa se si sarebbe ricordato di loro o meno - Stavamo per buttare la bomba in uno dei portali di Daisuke ma arriva questo tizio con... numerosi quirk e... - deglutì. Quello era uno dei tanti argomenti che non aveva mai affrontato dopo l'accaduto - Non siamo riusciti a fare nulla. Siamo scappati ed eventualmente le cose si sono risolte da sole. Mi sono trasferita e ora sto facendo il possibile per rigare dritto. - spostò lo sguardo a destra sullo schermo del karaoke, ovviamente spento - Yama è morto, a quanto pare non è mai sopravvissuto all'operazione. Era il mio gemello parassita in grado di manifestarsi grazie alla sua unicità. - aggiunse, conscia di non aver spiegato bene quel punto. Tutto ciò che c'era da dire era stato detto e ora giaceva come nuda sulla sedia di fronte a lui. Quella era la sua storia, prima della redenzione almeno.
    Sono un mostro e nulla potrà mai cambiare quello che ho fatto. - sussurrò, conscia di non aver fatto altro che accumulare errori su errori per quasi dieci anni - Ma è quello che sono, e non ha senso nascondersi. - terminata la frase prese i tarocchi che ancora erano posati a faccia in giù sul tavolo e li infilò nuovamente nella borsa. Non era di certo il caso di continuare quella simpatica seduta.
    Se vuoi andartene lo capisco, pago io il conto. - aggiunse con la voce tremante, socchiudendo gli occhi - Altrimenti... Sono una tua fan ma so che neppure io ti conosco davvero. - alluse al fatto di seguirlo sui social e ad essere, forse, l'unica a conoscere davvero la sua doppia vita tra i suoi "conoscenti". Lei aveva condiviso e se lui non fosse voluto scappare (e con la sua unicità gli sarebbe probabilmente bastato sbattere le palpebre) forse avrebbe ricambiato.

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    Edited by exquisite†corpses - 26/7/2019, 21:13
     
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    Yuya rimase in silenzio. Gli ci volle qualche lungo attimo per elaborare le parole di Yami e l'immensa mole di informazioni in esse contenute. Era impressionato soprattutto dalla facilità con la quale gliele aveva spiattellate davanti. Ed i suoi pensieri a riguardo erano due: o era veramente cotta, oppure doveva davvero fidarsi di lui, scelta che il giovane non si sentiva affatto di condividere, ma che - forse - poteva iniziare a comprendere.
    Quando però vide la ragazza allungare la mano verso il mazzo di tarocchi per rimetterli in borsa, agì quasi d'istinto. Perché le cose andavano fatte con ordine e non sopportava che qualcuno gli mettesse in bocca parole che non aveva detto. Allungò il braccio a sua volta e le afferrò il polso. Era già successo una volta, a Disneyland, e le cose non erano finite bene, ma stavolta c'era qualcosa di diverso: non aveva fretta e non c'era un briciolo di agitazione nei suoi gesti.
    «Non voglio andarmene.» mormorò, spostando le proprie iridi dorate dal polso sul viso di Yami. Il suo tono era serafico, nonostante, no, Yuya dentro di sé non lo fosse affatto. Stava ancora processando tutte le informazioni ricevute, ma il suo cervello funzionava in modo strano e non era riuscito ad ignorare l'accentuarsi di quel tremolio che la voce di Yami aveva manifestato sin dall'inizio del racconto.
    «Davvero. Però cerca di calmarti e non piangere.» lentamente allentò la presa e liberò il polso della giovane, rilasciando un lento sospiro. I tarocchi sarebbero rimasti al loro posto, e se Yami avesse tentato di metterli via di nuovo poteva star certa che Yuya glielo avrebbe impedito. «O meglio, puoi piangere se vuoi. So come si consolano le ragazze, pensa solo se ne vale la pena o no.» Non aveva mai pensato a Yami come una donna fragile; l'aveva sempre vista più come una bambina ingenua alla "scoperta del mondo", e... che dire, finalmente tutto aveva un senso. Avrebbe voluto dire di avere un sacco di domande, ma... in verità, non era così. Solo due gli ronzavano in testa in modo particolare, per il resto, beh, la cronologia degli eventi gli era piuttosto chiara, e ormai erano passati anni dall'incidente della Yuuei, per quanto avesse senso... non aveva senso parlarne.
    Anche perché Yuya pur non essendo stato lì quel giorno si era sentito realmente una persona viscida quando aveva scoperto che quel compito che proprio Yami gli aveva affidato aveva contribuito al rapimento di uno degli studenti della scuola per eroi. Si era sentito un po' nello stesso modo di quando aveva scoperto quale fosse lo scopo dell'acido che aveva rubato all'università di fisica.
    Da quando? Da quando aveva cominciato ad importargli della sorte delle persone? Yuya non lo sapeva davvero, forse aveva sempre vissuto in simbiosi con i sensi di colpa e stava iniziando a rendersene conto poco a poco. Viveva nel terrore che la sua maschera si sgretolasse, e che tutte le sue insicurezze venissero mostrate al mondo intero.
    Per smettere di pensarci, fece la cosa che sapeva fare meglio: sdrammatizzare.
    «E non esageriamo, ne ho visti di mostri nella mia vita e tu decisamente non rientri fra quelli.» Per quanto potesse suonare ambigua la frase, era davvero la prima volte che Yuya non si riferiva all'aspetto esteriore della ragazza. Certo, la frase era anche fatta apposta per non farlo capire, ma Yuya aveva una definizione ben precisa di "mostro" in mente. Uno che faceva parte di una delle vicende che Yami aveva raccontato, ma che aveva voglia di ricordarsi il meno possibile, per cui, ignorò il riaffiorare della sua figura nella sua testa e tirò dritto con i suoi discorsi.
    «Lo odi? Tuo fratello, dico.» chiese, incurvando appena la schiena in avanti, cercando di non essere troppo aggressivo con quella domanda. Ma curiosità a parte, aveva davvero bisogno di saperlo. Era una cosa strana, ma si rispecchiava in quella situazione più del previsto. Yama, a conti fatti, era la causa della rovina di Yami, esattamente come suo padre aveva rovinato la sua, sparendo, quel fatidico giorno di svariati anni fa. E Yuya ancora non sapeva che tipo di sentimento provare nei suoi confronti, per quello stava cercando un paragone con Yami. Era sicuro che la ragazza fosse più matura di lui, anche se non sapeva perché.
    Poi si poggiò rapidamente una mano sulla fronte, imprecando mentalmente, e fine per passarsela fra i capelli corvini.
    «Cavolo, che casino, vorrei dire che mi dispiace, ma non credo che delle mie scuse tu te ne possa fare qualcosa. Non avevo idea che tu fossi rimasta coinvolta in tutto questo. Non sapevo nemmeno tu conoscessi Daisuke e Ryo. E Ash certo, ma lui potevo aspettarmelo, forse. Sono vivi almeno?» chiese, e per un attimo si sentì un genitore apprensivo nei confronti dei propri figli. SUl serio, Ash poteva comprenderlo, aveva lavorato per il Sosenji anche lui una volta. Anche se non era finita bene. Ma Daisuke e Ryo? Yuya li conosceva da quella volta al fight club clandestino, dove li aveva salvati da un arresto sicuro, e poi li aveva usati per infiltrarsi alla yuuei. Usati letteralmente, perché da quel momento non li aveva più visti. Il perché Yami li conoscesse era un'incognita. Che fosse riuscita a risalire a loro grazie a quel lavoro alla Yuuei, che dopotutto gli aveva commissionato lei? O li conosceva già da prima? Il mondo doveva essere proprio piccolo.
    «Cavolo, non sapevo proprio niente.» rifletté, per finire, rendendosi conto che forse anche Yami si sentiva in quel modo nei suoi confronti. Però non sapeva da dove cominciare. Aveva sempre avuto solo un'amica con cui confidarsi, ma aveva smesso nel momento esatto in cui lei si era iscritta alla Yuuei. Forse... poteva sperare che Yami...
    «Io... Mhh. Beh, ti sorprenderà, ma sono due storie molto simili da un punto di vista diverso. Può bastare?» mormorò, distogliendo lo sguardo con fare decisamente patetico. Gli venne naturale sospirare, di nuovo. «No, vero?»

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    Non... piango. - rispose Yami sorridendo e, anzi, quasi accennando una risata - Sono passati quasi due anni, ho avuto tutto il tempo di pensarci... E in ogni caso non ho pianto mai. - aggiunse, per poi appoggiare la mano coi tarocchi al tavolo, mostrando al ragazzo dai capelli neri di non volerla ritirare, venendo forse quindi liberata dalla sua salda presa. Era stato audace, il giovane, a decidere di trattenerla in quel modo pur sapendo esattamente (ed era uno dei pochi) come suo fratello la trattasse. Ciononostante, Yami era ormai completamente libera dalla sua influenza e il suo cuore in quel momento era ben chiaro a riguardo. Aveva capito che si trattava di "amore" e non di disprezzo, ora: riusciva a distinguere chiaramente, dopo tanti anni.
    Si aggiustò il ciuffo dietro l'orecchio destro quando il ragazzo con la coda le disse che non era un mostro. Le sue parole avevano un valore per lei perchè sapeva che se qualcuno poteva aver vissuto ciò che aveva vissuto lei, oltre a coloro che erano stati nominati nel suo discorso prima, questo qualcuno era proprio lui.
    A volte, specialmente quando stiamo soffrendo, ci pare di essere unici. Ci sembra di essere le uniche persone colpite dal dolore mentre tutti gli altri, sorridenti, riescono a vivere la propria vita come se nulla fosse. Come se fossimo gli unici colpiti da una qualche strana maledizione: gli unici in grado di pensare, di riflettere, di provare qualcosa. Gli unici affetti dagli eventi in un mondo che continua a vivere meccanico come una macchina. Era passato del tempo, però, e Yami era riuscita a metabolizzare gli eventi - a conti fatti - senza troppa fatica: sapeva di essere un granello di sabbia nell'enorme spiaggia dell'universo. La sua sofferenza non era particolare, non era degna di nota, e non era l'unica a soffrire. Forse Yuya non aveva provato a fermare un'esplosione alla Yuuei, ma di sicuro si era preso la sua bella dose di merda nella sua vita. Già solo gli eventi all'orfanotrofio - pensava - dovevano averlo colpito duramente. O, perlomeno, su di lei avrebbero avuto quell'effetto.
    Spalancò gli occhi alla domanda su suo fratello, per poi richiuderli quasi a formare due fessure mezzo secondo dopo, come a volersi proteggere da quella domanda. Lo odiava? Probabilmente no. Riusciva a ricordare con estrema nitidezza i primi tempi dopo l'operazione, quando sentiva di essere un peso per lui ed era felice del fatto che se ne fosse liberato. A conti fatti, però, si era resa conto molto presto che, forse, era stata proprio lei ad essere liberata. Quando quel ragazzo svedese l'aveva informata del fatto che Yama non era mai sopravvissuto all'operazione, una profonda tristezza si era impossessata di Yami. Non era tristezza per il fatto che lui fosse morto, ma per non essere riuscita ad ucciderlo lei stessa. Era odio, quello?
    Ci aveva pensato a lungo e, come detto, la risposta era probabilmente no. Non si trattava di odio, ma era finalmente riuscita a capire chi fosse suo fratello. Un poliziotto per caso arresta i criminali per odio? No, o almeno non dovrebbe. Conosceva suo fratello e sapeva che era pericoloso. Lasciandolo a piede libero, sarebbe probabilmente diventato un vero e proprio cancro per la città, avrebbe causato la morte di decine, forse centinaia di innocenti. E proprio perchè lo conosceva sapeva che l'unico modo per fermarlo era probabilmente ucciderlo. Sospirò.
    Penso che siamo dei sopravvissuti. - sussurrò, riferendosi principalmente a lei, Daisuke e Ryo ma, chissà, magari anche al ragazzo con la coda - Non ha senso rimanere attaccati al passato, che sia amore o odio. Tutto ciò che possiamo fare è guardare avanti... - aggiunse, portando entrambe le mani davanti a sé sul tavolo, le sue dita si sfiorarono impercettibilmente per un secondo - E' grazie a lui se sono chi sono oggi. Non ne vado fiera... - aggiunse, osservando le carte dei tarocchi e le mani di lui lì vicino - Se non fosse per lui non sarei qui, con te. Forse... - fece un attimo di pausa, passando il dorso della mano destra sotto il mento - Probabilmente sarei all'università, ora. Starei vivendo una vita normale... Non so se sarei insoddisfatta o soddisfatta. E' tutto così lontano, non riesco ad immaginarmelo. - sorrise - Non penso di riuscire ad odiarlo più di quanto non odi i miei genitori per avermi messo al mondo, i medici per aver frainteso cosa stava accadendo o la mia professoressa di matematica... E' solo stato un evento manifestatosi e concluso nel percorso della mia vita. Che, se chiedi a me, vorrei fosse solo all'inizio. - ridacchiò, socchiudendo gli occhi. Due come loro, era brutto pensarci ma era vero, sarebbero potuti morire da un momento all'altro in fondo. Anzi, quante volte avevano rischiato di morire, ormai? Non sapeva se la sua risposta avrebbe soddisfatto o meno il giovane, ma era ciò che pensava senza filtri.
    Oh, sì, stanno tutti bene! - rispose alla domanda sui compagni accennando il più sincero e gioioso tra i sorrisi che le erano usciti quel giorno - Ash... Beh, hai visto che fine ha fatto il bar. Ha semplicemente lasciato. - rispose brevemente, riferendosi all'arresto di Yoshimura pochi mesi dopo i fatti della UA e la chiusura del Soseiji - Daisuke sta viaggiando un po' in giro per il mondo, doveva mettersi un po' la testa a posto dopo ciò che è successo. - aggiunse, portando lo sguardo sul mazzo di tarocchi da cui mancavano la carta del Carro e quella del Folle. Forse Daisuke era stato il più colpito dagli eventi, avendo ucciso quel povero studente innocente, ma le pareva irrilevante riferirlo a Yuya: non voleva rovinare l'opinione che aveva del ragazzo - Ryo sta... Cercando di uscire dal giro. - concluse quindi, parlando dell'altro ragazzo dai capelli bianchi - Purtroppo non siamo tutti idol come te, quindi sta facendo il possibile. - ridacchiò, riferendosi al suo successo su internet ma esagerandone decisamente le lodi.
    Era da tanto che non sentiva un contatto umano. L'ultima volta, forse, era stato quando aveva stretto Ryo al suo petto per sfuggire da quel mezzo criminale di uno studente della Yuuei. In quegli anni non aveva fatto altro che isolarsi, il timore di essere riconosciuta era salito alle stelle dopo gli eventi della Yuuei. Ora, però, stava forse riuscendo a trovare un cavillo che l'avrebbe sollevata dalle accuse dell'omicidio dei suoi genitori e non aveva più intenzione di nascondersi. Avrebbe voluto allungare le sue mani verso quelle del ragazzo come lui aveva poc'anzi fatto con le sue, ma aveva il timore di infastidirlo o, peggio, essere respinta. Massaggiò l'indice destro con la mano sinistra per impegnare le mani e resistere alla tentazione.
    Se... - sussurrò, alle ultime parole del ragazzo - Se non ti da troppo fastidio raccontare, vorrei saperlo. - aggiunse. Non voleva davvero infastidirlo o obbligarlo a parlare, quello in fondo non era certamente un interrogatorio, ma proprio come lei si era appena aperta con lui le avrebbe fatto piacere sentire lo stesso tipo di racconto da parte sua. Era quasi poetico come un ragazzo così tanto sfacciato e aperto sui social fosse poi così riservato e timoroso nella vita vera. Da questo punto di vista era quasi come se fossero stati due opposti, con lei che non si faceva il minimo problema a spiattellare il suo nome con gli sconosciuti nonostante fosse ben conosciuta alle autorità mentre lui non faceva che rivelare una facciata simile ad una maschera.
    E io non so dire se è vero che gli opposti si attraggono ma la sua mano destra, liberata dalla presa della sinistra, si distese sul tavolo inconsciamente, allungandosi verso la parte del ragazzo e - forse - avvicinandosi pericolosamente alle sue.

    Yami Dødson - LVL 8

    Esperienza: 1550
    Attacco: 325 + 45
    Quirk: 450
    Agilità: 250
    Energia: 1100
    Stato fisico: Illesa.





     
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