A Deal With the Devil

Yami e Yuya / Metà 2020

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    «Oh, certo che mi da fastidio. Non sai quanto.» rise Yuya, senza nemmeno prendersi la briga di fingere. Probabilmente ormai non aveva senso, ma l'idea di esporsi gli dava fastidio a prescindere. Togliersi la maschera, metterla sul tavolo e far vedere a Yami il suo volto; mettere a nudo le sue insicurezze, lui che di insicurezze non avrebbe proprio dovuto averne, lui che non era così perché lo aveva voluto, ma perché qualcosa lo aveva costretto a rinchiudersi in un guscio. Sempre meglio essere il cacciatore che la preda. «Ma... sono stato io il primo a chiederti un "favore" e non mi piace restare in debito con le persone, per cui grazie, ma rimandiamo pareri sdolcinati su amici e famiglie a più tardi.» asserì, conscio che se il quel momento avesse rimandato ancora una volta il momento della verità, avrebbe cercato, in futuro, di tagliare i ponti con Yami per sempre. La psicanalisi su Ash, Daisuke, Ryo e... persino Yama poteva aspettare un altro po'.
    Istintivamente si ritrasse, riappoggiandosi allo schienale del divanetto. Si era accorto della ricerca di contatto di Yami, ma in quel momento era lui a non cercarlo il contatto fisico. In più, non la voleva illudere più di tanto. Solo il fatto che fosse consapevole della sua cotta, non voleva dire che poteva ricambiarla. Sinceramente lui, abituato ad oggettificare il sentimento come faceva di solito, non si sentiva nemmeno in grado. Sbuffò, e mosse la coda da destra a sinistra un paio di volte. Perché non entrava la cameriera? Ma insomma quanto ci voleva a preparare un hot dog e un po' di takoyaki?
    «Sai, anche i miei avevano un sacco di soldi. — cominciò, rassegnato. — Abitavo in una di quelle megaville in stile occidentale a Shinagawa. Mia madre è tedesca e non le sono mai piaciute troppo le abitazioni tradizionali. Lei era... una modella emergente, bellissima. — pausa, Yuya prese il suo cellulare, e aprì la galleria. Scavò un po' fra le foto, poi ne mostrò una a Yami. Raffigurava una donna dalla carnagione scura, di un colore molto simile al blu metallico, lo stesso della coda di Yuya, costellata di una miriade di lentiggini e tatuaggi bianchi simili a costellazioni. I capelli candidi, gli occhi gialli, ed una coda, identica a quella del ragazzo. Indossava una corona di ametiste, era palese che fosse uno scatto studiato, ma era comunque bello. Mosse la coda. — Beh. Di tutto questo ben di dio io ho ereditato solo questa. E... alcuni tatuaggi sulla schiena, ma ho la pelle chiara, e quindi si vedono solo al buio ogni tanto. Comunque, non importa.» mise via il cellulare. «Mio padre era un Eroe, invece.» mormorò poi, socchiudendo gli occhi, con una sorta di sofferenza nella voce. «Non esercitava più la professione propriamente detta da tempo, ma era dirigente di una corposa azienda, e principalmente, studiava i quirk. In particolare... le dimensioni parallele. Aveva un quirk molto simile a quello di Daisuke. Poteva aprire dei portali connessi ad un qualche spazio parallelo e transitarci attraverso. L'unica differenza è che poteva aprirli a senso unico, nel senso che poteva rimanere, vivere, in quello spazio a tempo indeterminato e tornare indietro a suo piacimento. Da quel che ricordo, ha sempre descritto quel posto come uno spazio senza limiti di tempo e spazio. Per questo agli altri appariva come teletrasporto. Non hai mai... provato a venire con me, se non sbaglio no?» chiese, mormorando quelle che a pelle sembravano solo tantissime chiacchiere senza senso. Con la mano sinistra, raggiunse la sua coda, e vi chiuse attorno il proprio palmo, lisciandola come se fosse una superficie di metallo. Era lucida.
    «Io non... No, mmh. Mettiamola così, sono una brutta copia dei miei genitori. I loro quirk si sono fusi in modo strano e mio padre mi ha passato la sua struttura molecolare solo nella coda, occhi e polmoni. Non posso aprire portali e questa è come se fosse un cordone ombelicale tra me e quel posto. Quando tento di fare quello che faceva mio padre ed entrare in quella dimensione, mi respinge. Perché io non sono fatto per viverci come lui. Posso attraversarla e non subire effetti collaterali che avete voi perché sono leggermente diverso, ma non posso comunque viverci. Attraversandola con delle coordinate in mente, riesco il a teletrasportarmi. Mi segui?» mormorò, esponendo una rudimentale spiegazione. Purtroppo era noioso, ma necessario. «Ed andava tutto bene. Avevo una vita magnifica e bla bla, poi un giorno mio padre è... semplicemente sparito. Dietro uno dei suoi portali, nessuno sapeva di preciso cosa stesse facendo. Lo hanno cercato per sei mesi, dopodiché è stato dato per disperso ed il caso è stato chiuso.» scostò lo sguardo, passando in rassegna gli oggetti sul tavolo. Non avevano nemmeno acceso il televisore. «Mia madre ha provato a far fronte a tutto da sola, ma non è andata bene. L'agenzia chiuse, e lei si trovò sommersa di debiti e con un figlio da mantenere. Vendette la casa, la macchina, tutto. Né risentì psicologicamente, perse il lavoro, cominciò a bere e a dare di matto. Iniziò ad avere bisogno di medicine, ma ci mancavano i soldi. — altra pausa. — Io ho fatto brutte amicizie, ho iniziato a spacciare, ma lo avrebbe fatto chiunque al mio posto, soprattutto se cerchi d'impedire che tua madre diventi una prostituta. — sembrava quasi che volesse giustificarsi. — Poi... è arrivato un vecchio amico di mio padre, e mi, anzi, ci ha salvato dalla strada. Si è preso cura di mia madre e mi ha offerto un lavoro. Il resto lo sai. Se qualcuno mi paga, faccio qualunque cosa. Questa persona... da il mio contatto a chi ne ha bisogno e loro mi chiamano. Lavoro per lui, in un certo senso. Ma non posso dirti chi è. Mi dispiace.» sospirò. In teoria, non aveva altro da raccontare, però gli venne un flash. Yami aveva menzionato la storia dell'acido e non credeva sapesse tutte le dinamiche precise, a meno che non gliele avesse raccontate Ash, del resto erano stati entrambi tra i Bloody Snake, e per poco non ci era finito in mezzo anche lui. «Certo, ogni tanto ci sono degli intoppi, come la storia dell'acido. Sai, lo abbiamo rubato io, Ash ed un altro tizio. A mia discolpa posso dire che non sapevo volessero usarlo per scioglierci dei bambini. Credo di avere ancora un briciolo di morale da qualche parte. Poi, beh, un prete si è convinto che io fossi la reincarnazione del diavolo, mi ha iniettato una droga anti-quirk e per poco non ci rimetto la pelle. Puoi ridere se vuoi.» asserì, cercando si smorzare un po' l'atmosfera. Avrebbe lasciato alla ragazza il compito di fare due più due: non era difficile capire che il ragazzo della notizia che aveva fatto scalpore un paio di anni fa era proprio lui.
    «Cerco solo di vivere la mia vita come avrei voluto, non sono un "idol" brontolò infine, con una smorfia. Si sentiva un po' la gola secca, aveva parlato troppo. «Ah, dannazione. Ho sete.»

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    La ragazza dai capelli bianchi accennò un leggero sorriso alla risposta di Yuya. D'altro canto, a chi nella loro condizione avrebbe fatto piacere raccontare la propria storia? Certe volte, però, confessarsi era positivo. Lei lo aveva fatto una sola volta, con Ryo, ma non poteva forse considerarla valida: d'altro canto una buona parte degli aspetti negativi della sua storia si erano palesati solo dopo quella discussione.
    Yami non poté fare a meno che pensare a "Shizuka", il ragazzo incontrato non molto tempo prima che non aveva fatto che raccontarle una buona marea di bugie. Ai tempi aveva pensato a quanto fosse uguale a Yuya ma ora, forse, poteva iniziare a dissentire da quella prima impressione. Certo, questo prendendo per vera la storia che Yuya stava per raccontarle. Purtroppo, però, la svedese non possedeva un'unicità di lettura del pensiero e - ancora oggi - quello è l'unico modo per potersi fidare al cento per cento delle persone: tutto il resto altro non è che un semplice atto di fede.
    No, no, non mi interessa in ogni caso. - ridacchiò, agitando le mani davanti al volto, alla necessità del ragazzo con la coda di tenere privato il nome del suo "salvatore". Yami aveva deciso di allontanarsi da quel mondo il più possibile, per quanto combattuta tra due diversi detti: "la legge non ammette ignoranza" e "occhio non vede, cuore non duole". Certe volte è meglio non riflettere sulle possibili implicazioni morali o meno di ciò che si sta facendo, coprirsi gli occhi come i cavalli e continuare semplicemente ad andare avanti. Complice il suo rinnovato stato di benestante grazie ai suoi "alleati svedesi", però, aveva deciso di accantonare il lavoro illegale. A breve, forse, sarebbe riuscita a riportare la sua fedina penale ad essere candida come un abito della prima comunione e chissà, magari trovarsi un lavoro, riuscire a vivere una vita normale. Certo, escluso il suo sogno.
    Al ritrarsi di Yuya durante il suo discorso, puntò il palmo della mano destra con le dita della sinistra, cercando di impegnarle per tenerle a bada. La storia del ragazzo era triste, ma era difficile che qualcuno con un passato luminoso e brillante si ritrovasse - insomma - nelle sue stesse circostanze. Il loro passato pareva essere profondamente diverso: l'una aveva fatto ciò che aveva fatto obbligata da forze maggiori, l'altro per esigenza ma pur sempre per scelta. Questo non significa, ovviamente, che la giovane lo biasimasse o giudicasse, era una semplice riflessione. D'altro canto il corvino non si era buttato in quella vita per piacere o per un narcisistico bisogno, ma aveva le sue motivazioni. Alla fine della storia, se non segui la regola della giungla vai a letto affamato, non c'erano molte altre alternative per le persone come loro.
    Tua madre è una donna molto bella. - sorrise, intrecciando le dita davanti al volto, ricordando la foto della donna dalla pelle blu e i capelli, simili ai suoi, di colore bianco. Era quasi ambiguo il fatto che lui fosse nato coi capelli così scuri, ma probabilmente dovevano derivare dai geni di suo padre. Padre, sottolineato anche dal ragazzo, che pareva avere un'unicità davvero molto simile a quella del Carro.
    Sì, lo so dell'acido. - aggiunse quindi semplicemente, poggiando il volto pensieroso sul dorso della mano sinistra e tamburellando sul tavolo con le unghie nere della destra. A quel riguardo aveva detto ciò che pensava a Yoshimura, e basta. Certo non si aspettava che fosse proprio Yuya il "ragazzo incrociato" delle news, ma non ne fece parola per non creare una situazione imbarazzante. Stesso motivo, tra l'altro, per cui non gli fece le condoglianze per il padre. Era passato fin troppo tempo, in fondo, e sarebbe stata una semplice formalità. Dalle sue parole, poi, non traspariva chissà quale tristezza per l'avvenuto, quanto più per le conseguenze.
    In quel momento, la cameriera entrò nella piccola stanzetta con un grosso vassoio in mano. Poggiò la bevanda gassata e un piatto con un grosso hot dog al centro di fronte a Yami, per poi allungare un piatto con dei takoyaki di fronte al ragazzo con la coda e una bottiglia da mezzo litro d'acqua. Con un inchino, chiese scusa al ragazzo asserendo di aver portato l'acqua dato che non aveva ordinato nulla da bere, ma di farle sapere nel caso in cui volesse qualcos'altro. Successivamente uscì dalla stanza lasciando i due nuovamente soli. Yami prese in mano il grosso panino.
    Sai, no, non sono mai stata... nella tua unicità. - disse sommariamente, non sapendo bene come esprimere il concetto - Magari dopo possiamo usarla per... andare da qualche parte più tranquilla? - domandò, salvo poi arrossire dopo un paio di secondi - P-per parlarti di queste i-intendo, p-preferisco non parlarne in pubblico... - aggiunse, imbarazzata, picchiettando sul dorso delle carte che erano rimaste sul tavolo con indice e medio della mano destra. Effettivamente non era ancora riuscita a toccare l'argomento per il quale aveva inizialmente contattato il giovane. Con le gote ancora rosse avvicinò il panino alla sua bocca e diede un leggero morso, sporcandosi leggermente il labbro inferiore con un po' di salsa rossa.

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    Yuya aveva appena finito di parlare, che la cameriera che li aveva serviti per tutto il tempo, era entrata portando loro da mangiare. Non aveva fatto nemmeno in tempo a rispondere per le rime a Yami, che aveva liquidato il suo discorso con un sintetico e laconico "sì, so dell'acido" e Yuya non ci credeva che non volesse aggiungere altro. Semplicemente non ci credeva, dopo che gli aveva servito quell'occasione per prenderlo in giro su un piatto non d'argento, ma d'oro. Forse però, Yami era un po' più matura di lui e nel bel mezzo di un discorso serio riusciva anche a mantenere un certo contegno, non vedendo ogni occasione come un pretesto per sfottere la gente. Anche se a Yuya piaceva farlo con una certa classe, ammetteva che non sempre poteva risultare gradevole.
    In ogni caso, l'ingresso della cameriera interruppe la loro conversazione in medias res e Yuya dovette prenderne atto e ringraziare la cameriera per avergli portato la bottiglia d'acqua assolutamente non richiesta perché stava effettivamente morendo di sete.
    Dopodiché, con un'inchino, li aveva congedati ed era uscita dalla stanza, lasciandoli di nuovo soli.
    Tornato al presente, il ragazzo sospirò, e si aprì la bottiglia d'acqua, versando il contenuto nel bicchiere di vetro che gli era stato portato con essa. Yami, alla fine, aveva davvero ordinato un hot dog. La fissò ancora qualche altro istante, mentre la giovane svedese sollevava il panino, e poi si costrinse a distogliere lo sguardo. Yuya si chiese se fosse consapevole di averlo fatto: insomma, mangiarne uno davanti ad un ragazzo era più o meno come ordinare un calippo in spiaggia e chiedere agli amici maschi perché sono sdraiati a pancia in giù sugli asciugamani.
    «Non è tutta questa grande meraviglia. Ti senti male e basta.» asserì, riferendosi alla sua unicità, e tentando un minimo di distrarsi e cambiare discorso. Non gli importava che Yami si accorgesse di essere fissata, l'importante era che rimanesse relegata nella sua innocenza e che non capisse perché.
    «Ma se proprio ci tieni possiamo, sì. — aggiunse, portandosi il bicchiere alle labbra e prendendo un sorso d'acqua. — Mi stavo chiedendo quanto ancora dovevo aspettare per sapere di cosa dovevi parlarmi all'inizio.»
    Quella in realtà, era una bugia bella e buona: Yuya se ne era già dimenticato da un pezzo di cosa voleva parlargli Yami all'inizio, e non in modo volontario. Ma era tutto successo in modo un po' strano. Era cominciata con una seduta esoterica mentre parlavano di tarocchi... ed avevano finito parlando delle loro vite. O meglio, non era finita affatto, a quanto diceva Yami, ma Yuya fece finta di niente.
    Aveva già sfigurato abbastanza per oggi. Dalle sue parole sembrava non se ne fosse mai dimenticato.
    «Piuttosto, come fai a mangiare quella roba?» disse, indicando il panino nelle mani della ragazza, quasi come fosse un rimprovero. Ognuno dei takoyaki nel vassoio che la cameriera gli aveva portato era infilzato con un sottile stuzzicadenti in legno. Yuya posò il bicchiere e ne prese uno. Ci soffiò sopra e lo portò alla bocca. Erano caldi, ma non così tanto da scottare. Lui non andava pazzo per gli hot dog, e nemmeno per la coca cola a dire il vero. Non che fosse un salutista, stava letteralmente mangiando delle polpette fritte alla fine, ma perché mangiare delle cose simili quando appunto esistevano cose come il salmone o il ramen?
    Probabilmente di geni tedeschi sul gusto da sua madre ne aveva ereditati davvero pochi.
    Inoltre, nonostante si stesse sforzando di fare del suo meglio per vedere la sua compagna attraverso un filtro di castità e purezza, la ragazza non sembrava collaborare.
    Aveva solo morso l'hot dog, e si era già sporcata con il ketchup. Senza accorgersene per giunta, o almeno non ancora. Non che Yuya avesse intenzione di dargliene, del tempo. L'unica cosa che aveva intenzione di darle in quel momento, era un motivo per far esistere quel rossore che le aveva colorato le guance qualche attimo fa e ancora persisteva lì, come volesse solo rendere l'espressione della ragazza più appetibile ai suoi occhi.
    E ci stava riuscendo abbastanza bene.
    Yuya allungo una mano verso Yami, e protese l'indice sinistro verso il suo labbro. Sfiorandola appena, non esitò un'istante a toglierle quella sbavatura rossastra dal viso, abbozzando un sorriso, per poi si portarsi il dito alla bocca, racchiudendolo tra le labbra, lavando via la macchia anche dalla sua pelle.
    Ketchup.
    Fu sufficiente quella minuscola quantità per convincerlo a fare una smorfia poco convinta. L'evidente faccia di quando si assaggia qualcosa di poco gradito. «Ha proprio un sapore orribile. Insomma, perché il ketchup quando esiste una cosa meravigliosa come la salsa otafuku?» mormorò, indicando il proprio piatto, ovviamente riferendosi al condimento che copriva i takoyaki. «Ammesso che... tu la abbia mai assaggiata. No, vero? Ne vuoi uno?» chiese, ed il suo sorriso si ampliò leggermente.
    Senza darle tempo di rispondere, Yuya afferrò un secondo stuzzicadenti dal vassoio, e sollevò un takoyaki fumante. Non sapeva perché gli fosse venuta l'idea, ma come Yami aveva detto all'inizio probabilmente non era mai davvero stata ad uno di quei negozi lungo le strade, assieme agli amici, dopo gli esami scolastici o qualcosa di simile. E se mangiava hot dog e coca cola... era forse una fan del cibo spazzatura americano, probabilmente.
    Yuya protese di nuovo la mano verso Yami, ma non si fermò abbandonando lo stuzzichino sul piatto, dove probabilmente una persona normale lo avrebbe lasciato. Yami aveva le mani occupate a reggere l'hot dog, per cui non poteva prenderlo. L'unica soluzione sarebbe stata o rifiutare o aprire la bocca ed assecondare il gesto di Yuya che pareva proprio volerla imboccare.
    «Fai attenzione, scottano.» sogghignò, senza nascondere un briciolo di malizia. La stava decisamente stuzzicando.
    Per qualche attimo, sembrarono decisamente tornati ad una normale coppia di ragazzi qualunque; il loro passato sigillato alle spalle, un po' più uniti di prima.

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    Mh, bon imborta! - borbottò la ragazza, ancora masticando, tenendo il panino nella destra e coprendosi la bocca con la sinistra per tentare anche solo di nascondere la scortesia di star parlando con la bocca piena. Il giovane aveva appena detto che la sua unicità "faceva solo star male" ma a lei non importava un granché, era lo stesso intenzionata a provarla. Aveva parlato di altre dimensioni e cose simili, doveva per forza essere figo e aveva decisamente intenzione di finirci dentro prima o poi.
    Magari poi posso fartela vedere anch'io. - proseguì quindi, dopo aver deglutito - L'u-l'unicità. aggiunse. Effettivamente non ne aveva mai parlato apertamente con Yuya: cosa pensava, lui? Era convinto come molti altri che il suo gemello fosse la sua unicità o magari aveva pensato sin dall'inizio che dovesse esserci qualcosa dietro, convinto che Yami nascondesse altre particolarità? Molte persone che aveva incontrato nella sua vita non si erano mai neppure poste il problema ma, a conti fatti, Yuya era probabilmente la persona più intelligente che conosceva. Studiava medicina e per quanto le due cose non fossero necessariamente collegate, biologia e unicità non potevano che intrecciarsi molto spesso. Di sicuro non possedeva la vastità di conoscenza e competenza tecnica del capo di Bloody Snake ma magari aveva abbastanza dati per aver decifrato la sua situazione spinosa anni prima. Alla fine dei conti, però, di sicuro non poteva immaginare con certezza che ora la ragazza fosse in grado di dare fuoco ai propri capelli.
    Alla domanda di Yuya riguardo alle sue abitudini alimentari fece semplicemente spallucce. Schiuse le labbra per provare a rispondere ma in meno di un secondo si ritrovò a contatto con la sua pelle. Il pallido dito del ragazzo stava accarezzando il suo labbro, per poi allontanarsi coperto di rosso: si era sporcata con del ketchup. Tolto il rosso dalle labbra, però, questo non poté far altro che diffondersi sul resto del suo volto, contaminando il suo candore con un vivido rossore imbarazzato.
    Passò la lingua sulle proprie labbra per togliere eventuali residui proprio mentre il ragazzo si infilò il dito tra le labbra per pulirlo, e la coincidenza non poté che nutrire le fiamme di quel fuoco che le stava invadendo il viso.
    N-no, non... - "ho mai assaggiato". Questa era la frase che la ragazza, imbarazzata, stava provando a borbottare. Come ogni diavolo tentatore, però, il ragazzo dalla coda a punta non sembrava avere intenzione di darle il tempo di riflettere, o di agire. Prese una delle polpette di pesce impalate da uno stuzzicadenti nel suo piatto e, sporgendosi sul tavolo, lo mosse verso le sue labbra. La svedese, in difficoltà, non poté far altro se non aprire la bocca e accettare il "dono". La polpetta passò oltre la soglia delle sue labbra e Yami le chiuse, toccando impercettibilmente - almeno per lei - anche la punta delle dita del ragazzo dai capelli neri. Mosse lentamente il capo all'indietro per permettere al ragazzo di estrarre lo stuzzicadenti dalla sua bocca, per poi masticare. Non era male, ma non era solita provare cose sulla fiducia quando mangiava. Era ormai abituata ad avere pochi soldi (anche se le cose sarebbero finalmente cambiate di lì a poco) quindi non aveva energie da investire su esperimenti con cibi che le sarebbero potuti non piacere e sarebbero risultati in uno spreco.
    Fono buoni. - borbottò quindi di nuovo mentre masticava, annuendo. Tutto sommato era abituata a mangiare pesce da piccola, anche se ultimamente aveva iniziato a perdere l'abitudine. Magari la compagnia del ragazzo sarebbe potuta essere un incentivo a ricominciare, sempre che fosse durata oltre quell'uscita.
    Col rossore che iniziava a calmarsi, Yami riprese a mangiare il suo panino. Non era un granché come hot dog: i wurstel erano grigliati anziché bolliti, il pane era abbastanza molliccio e c'erano certamente andati pesanti con la salsa. Proprio per questo, dopo un paio di morsi, dei rivoli di ketchup iniziarono a colarle sulla mano destra. La giovane sbuffò, posando il panino nel piatto e leccando il dorso della sua mano, specialmente il mignolo, per pulirsi. Gli anni di vita di strada le avevano insegnato a nutrirsi ferocemente in preda alla fame e la giovane, nobile Dødson aveva perso tutta quell'eleganza con cui l'avevano cresciuta da bambina. Proprio per questo, ora, la sua lingua passava sulla sua pelle candida e sulle sue dita fragili per pulirsi come fanno gli animali. I suoi occhi si posarono su Yuya, facendola arrossire ma anche ricordandole la sua domanda precedente che, per quanto forse semplicemente retorica, secondo la ragazza dai capelli bianchi necessitava comunque di una risposta per non risultare maleducata. Se non altro, vivendo da sola non era comunque diventata una bestia.
    I miei genitori erano svedesi come ti ho detto. - disse, quindi, mentre prendeva nuovamente in mano il panino con entrambe le mani smaltate di nero - Come... ti ho detto un paio di anni fa, non sono mai stata in un parco divertimenti. A dire il vero, non uscivamo un granché. Ogni tanto, però, ai miei genitori veniva voglia di... mangiare qualcosa che gli ricordasse casa. - proseguì, sorridendo, immergendosi nei suoi ricordi - Non ci sono posti che fanno cucina svedese qui, ce ne sono un paio a Tokyo ma noi... Beh, vivevamo lontano, quindi nulla. Quando i miei avevano queste voglie, andavamo da IKEA. - aggiunse, ridacchiando. Era decisamente una cosa strana da dire, in fondo - I miei... Beh, come ti ho detto erano collezionisti, non avevano certo bisogno di comprare dei mobili lì. Andavano solamente per la sezione ristorante. A me però non piaceva molto, quindi... Beh, c'è la zona fast food, andavo lì e prendevo l'hot dog. Mi ricordano... casa. - ridacchiò, scuotendo la testa. A conti fatti era una cosa stupida, ma per lei aveva valore - In ogni caso questo non è particolarmente buono, te ne do atto. Il wurstel non è neanche bollito. - sorrise, riprendendo a masticare.

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    Quando Yuya si era alzato, dopo aver finito i takoyaki, dicendo a Yami di aspettare qualche secondo, il suo primo pensiero era stato, tristemente, per il karaoke. Era un po' buffo pensare che fossero venuti fin lì e che, alla fine, non avessero cantato nulla, ma era anche l'ora che la smettessero di giocare a fare gli adolescenti in calore. Almeno, quelli erano stati i pensieri del giovane giapponese dopo aver visto la svedese alle prese con l'hot dog.
    Era strano che non se ne fosse accorto prima, ma si era reso conto di aver trovato Yami... attraente, dal punto di vista fisico. Forse persino provocante, a tratti, nonostante fosse quasi certo che lei non ne fosse totalmente conscia. Gli era sembrata, cresciuta, rispetto alla ragazzina che gli aveva offerto di unirsi alla sua causa quasi tre anni prima. E, insomma, era ovvio, perché erano sempre passati tre anni.
    Il resto del pranzo era trascorso in mezzo a discorsi più o meno tranquilli, mettendo da parte qualche commento strano sulla catena immobiliare Ikea e sulle loro unicità. Yuya del resto era rimasto alla versione "Disneyland" dei fatti: ricordava di aver già provato ad indovinare che tipo di unicità possedesse l'albina, ma che lei, per contro, non avesse né confermato né smentito nessuna delle sue versioni.
    Yuya, comunque, aveva promesso che avrebbe offerto il pranzo, motivo per il quale, in conclusione, si era alzato ed era andato alla cassa di persona. E non perché non volesse scomodare ulteriormente la cameriera, ma perché - ormai - aveva una certa fretta. Avrebbe potuto stuzzicare Yami all'infinito, ma... beh, prima voleva sapere cosa la ragazza volesse dirgli, e dopo voleva continuare. Diciamo che, non era mai stato il tipo di persona capace di stare a girarsi i pollici davanti a qualcosa che voleva, soprattutto se per ottenerla gli bastava allungarsi un pochino. La questione era che in quel momento non era di un oggetto che stava parlando, ma di una persona, e anche se già pendeva dalle sue labbra... gli piaceva fare le cose con criterio.
    La cameriera gli diede il resto, Yuya la ringraziò e se lo mise in tasca, percorrendo a ritroso il corridoio dal quale era venuto.
    Socchiuse la porta scorrevole e si appoggiò allo stipite con la spalla, facendo un cenno a Yami. Era l'ora che se ne andassero.
    «Yami. — mormorò. — Andiamo.»
    Il che in sintesi era equivalente a "mi spiace per il karaoke, ci rifaremo un'altra volta, ma parliamo d'affari".
    Se la ragazza avesse deciso di seguirlo, ad accoglierli, una volta fuori, avrebbero trovato il decisamente poco piacevole dislivello di temperatura tra caldo e fresco, dovuto all'aria condizionata. Ma l'ora era quella che era, e le strade di Ginza non erano certo la cima del monte Fuji.
    Se davvero Yami era intenzionata a provare il quirk di Yuya, si sarebbero dovuti allontanare dal karaoke almeno un po'. In realtà si sarebbero dovuti allontanare almeno un po' dalle strade in generale. «Quindi, dove vuoi andare?» chiese Yuya, cominciando a fare strada. In realtà, lui aveva una meta ben precisa in testa: casa sua. Qualunque risposta, da parte della svedese, probabilmente avrebbe solo cambiato il tempo che ci avrebbero messo ad arrivarci. «Quanto è top-secret quello di cui vuoi parlarmi? In ogni caso, se pensi di essere una persona forte di stomaco possiamo andare anche a Parigi.» ironizzò, porgendo il braccio destro alla ragazza. Come le aveva già detto, non sarebbe stato un viaggio di piacere. «In più, sarebbe meglio tu scegliessi un posto in cui usare il tuo di quirk sia safe. Altrimenti ti porto a casa mia, possiamo salire sul tetto.»

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    ☿ YAMI DØDSON ☿


    d2xCnrD

    Narrato - Parlato


    Il resto del pranzo, liberatasi dall'imbarazzo, proseguì piuttosto normale. Lei non si era resa conto di aver toccato le dita del ragazzo con le labbra, quando questo le aveva posto i takoyaki. Vista l'assenza di reazioni da parte sua, e conoscendo il tipo che non si lasciava sfuggire alcuna occasione per fare commenti inopportuni, probabilmente non se n'era accorto neppure lui. Yami si pulì le mani con il tovagliolo e pian piano, mangiando, anche il rossore dalle sue guance sparì.
    Yami si stava tamponando con delicatezza le labbra tenendo il tovagliolo con entrambe le mani quando Yuya, alzandosi, le disse di aspettare. La svedese annuì con un cenno del capo e, sorridente, lo guardò uscire dalla stanza privata.
    Alla fine paga davvero lui... - sussurrò tra sé e sé con lo sguardo perso nel voto per un paio di secondi, per poi scuotere la testa e decidere di prepararsi. Si voltò per prendere la giacca appesa alla sedia, salvo poi ricordarsi di non aver portato alcuna giacca quel giorno. Effettivamente, come le era venuto in mente di vestirsi in un modo così provocante e non portare neppure nulla per coprirsi? Prese le carte, che erano rimaste sul tavolo sino a quel momento, e le mise finalmente in borsa. Onestamente era un po' agitata: sapeva che probabilmente al giovane non importava nulla di ciò che gli avrebbe detto e di aver semplicemente aumentato la sua curiosità per nulla con tutta quella storia del "segreto", che poi si rivelava essere solamente un'utopia fuori dalla legge. Sospirò, inforcando la borsa sul braccio e passandosi il palmo della mano, in particolare la zona del polso, sull'occhio destro.
    La voce del ragazzo con la coda la fece sobbalzare: era appoggiato alla porta, e chissà da quanto. Yami fece un cenno col capo e si alzò in silenzio, mentre le sue guance tornavano ad essere rosse. E così rimasero anche una volta usciti dal locale. Le candide braccia di Yami, lasciate nude dal suo corpetto in pizzo, erano strette davanti al suo corpo, serrate con la borsetta tra di esse all'altezza dei fianchi. Era un po' imbarazzata perchè, a conti fatti... beh, chissà dove sarebbero andati ora. Come pietrificata non sapeva che dire, e per fortuna fu (come quasi sempre) il suo compagno a prendere l'iniziativa e chiederle dove volesse andare.
    U-umh... - borbottò la giovane, per poi spalancare le braccia il più possibile, i palmi rivolti verso l'esterno erano poco più in su della sua testa - Toooooooooooooop Secret... - sussurrò con quella che a suo dire doveva essere una voce misteriosa, come se l'apertura alare fosse la misura internazionale della segretezza dei discorsi.
    Parigi sarebbe carino... Ma magari la prossima volta. - aggiunse, ridacchiando. Doveva essere piacevolmente strano essere così tanto liberi. Lei in fondo era stata per anni non solo prigioniera di Tokyo, ma persino prigioniera del suo stesso corpo. Chissà cosa faceva invece il ragazzo nel suo tempo libero. Chissà se quando era solo e triste decideva di sparire e riapparire dall'altra parte del mondo per vedere qualcosa di nuovo, o magari aveva scoperto un'isola deserta solamente per lui per rinchiudercisi dentro come fosse il suo "posticino speciale". Forse il ragazzo si era ormai abituato, o magari non aveva neppure mai avuto il pensiero di usarla in quel modo, ma per lei la sua unicità suonava davvero come qualcosa di fantastico.
    Ca... - sbottò, per poi distogliere lo sguardo dal ragazzo, fissando con gli occhi chiari il marciapiede. Il rosso delle sue guance si intensificò se possibile. Non era mai stata a casa di un ragazzo. Neppure di compagni delle elementari o cose simili. Viceversa, aveva vissuto maggior parte della sua vita assieme ad un ragazzo, ma era decisamente una questione particolare, quella. Deglutì.
    Casa tua va bene. - proseguì quindi, cercando di mantenere una parvenza calma e seria - Casa mia è... - fece un secondo di pausa. Ai tempi viveva ancora nella villa donatale da Bloody Snake pur stando già cercando una nuova casa, e di certo non aveva intenzione di portare il ragazzo lì - Insomma, non posso certo farlo in giardino. - ridacchiò imbarazzata mentre allungava la mano sinistra verso il braccio del giovane studente di medicina. Pronti a volare, suppongo.

    Yami Dødson - LVL 8

    Esperienza: 1550
    Attacco: 325 + 45
    Quirk: 450
    Agilità: 250
    Energia: 1100
    Stato fisico: Illesa.





     
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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.

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    Prendete entrambi 75+Bonus PG (Yami 150, Yuya 100).
    Buon proseguimento!
     
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