Wounder Girl

SQ, Shiisa Tsubasa, Cimitero di Aoyama

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    Smile at Despair, in the name of Hope

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    Shiisa Tsubasa
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    Avevo sempre pensato di avere più tempo.
    Quando mi ero liberata da quell'incubo, era stato come ricominciare a vivere. Un battesimo sanguinolento e altamente traumatico, che probabilmente era tra le cause principali per il mio strano tic, insieme agli anni di sfruttamento e percosse da parte di Wounder. Vivevo nella luce di quella strana consapevolezza che mamma era riuscita a scappare a quest'inferno, era al sicuro da qualche parte. Lontano da lui, lontana da me.

    Inevitabilmente, ci pensavo qualche volta. Magari era rimasta con lui per me. Non l'aveva denunciato prima per me. Perché non voleva che io rimanessi da sola, non riusciva a pensare di potercela fare con me a carico. La odiavo, forse, per questo. Ma appena l'odio iniziava a germogliare nel mio cuore arido, veniva subito soppiantato dal fortissimo sentimento di simpatia che era irrimediabilmente generato al ricordo delle sue grida e dei suoi pianti.

    George Elliot sosteneva che il dolore fosse la chiave fondamentale per progredire come persona e che dovevamo rifuggere dalla tendenza moderna di diventare insensibili ad esso. Perché creature predatorie proprio come mio padre, stavano iniziando a nascere. Creature che trovavano piacere nel dolore altrui e non avevano spazio per la compassione che naturalmente l'uomo dovrebbe provare.

    Tch.
    Una delle prime cose che avevo fatto, mossa probabilmente da quel sentimento di simpatia, era stato andare a cercarla. Con il terrore in corpo, con la paura, con l'ansia. Sperando che non fosse troppo tardi, come se stessi gareggiando contro l'inevitabile per poterla vedere un'ultima volta, prima che fosse troppo tardi. In cuore mio sapevo già che non sarebbe servito a niente; una banale sensazione. E trovare la conferma al cimitero di Aoyama, qualche settimana dopo, non mi aveva fatto bene. Certo, adesso facevo parte di un gruppo... ah, ma è una storia che probabilmente mamma vorrebbe sentire.

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    « Ciao mamma. Kek. »

    La mia voce non era spezzata, o stanca. Era la mia solita voce. Un poco squillante, per nulla aggraziata e ora che ci facevo più attenzione irrimediabilmente rovinata. Chissà se avevo mai avuto una bella voce. O se il mio cervello aveva mai funzionato in una maniera coerente. Non ricordo benissimo il periodo prima, solo spezzoni in cui mamma sorride che vengono immediatamente distrutti e fatti a pezzi. Mi inginocchiai di fronte alla tomba che recava il nome "Mako Namatsukasa" per sistemare meglio i fiori che erano stati lasciati in maniera troppo disordinata per i miei gusti.

    « Ho fatto nuove amicizie, dall'ultima volta che ci siamo visti. C'è questa ragazza, Zero. Mi da dei lavoretti ogni tanto, credo di starle simpatica. Kek. Ma sai che non sono mai stata brava a giudicare le persone. Kekekek. »

    Il mio lavoro continuava minuzioso e attento, mentre con la mente andavo irrimediabilmente altrove. A come avrei potuto vederla un'ultima volta, se non avessi perso tempo con cose stupide come cercare un alloggio, fare documenti falsi, trovare dei soldi. Mangiare poteva essere secondario, in fondo. Avrei potuto irrompere nell'ospedale dove la tenevano, abbracciarla un'utlima volta prima di rimettere in ordine la mia vita. E invece no, avevo ancora una volta fallito.

    Il pomeriggio in cui scoprii che era morta fu orribile.
    Avevo sempre avuto la stupida idea di essere un'eroina all'interno di un libro. Che stavo solo sopportando ingiustizie per essere alla fine ricompensata per tutto il dolore, tutte le lacrime. Tch. E invece ero la protagonista di un romanzo tragico, senza le caratteristiche che definiscono di solito quel tipo di eroe. Non ero coraggiosa, non ero virtuosa - solo una matta con una maschera antigas e un costume pagato un poco troppo. Avevo persino un mantello. Quanto si può essere ridicoli, kek.

    « Non credo che farò mai quello che volevi per me. Non diventerò una professoressa, mamma. Kek. Non riuscirò a scrivere un libro, alla fine. Diamine, probabilmente morirò giovane, visto quanto spesso succede in kekek questo tipo di lavoro. »

    I fiori erano in ordine, adesso. Potevo finalmente mettere il mazzolino di fiori di rosmarino che le avevo portato, ravvivare il mazzo e lasciarlo lì, in mezzo a tutti gli altri. Era notte, nessuno avrebbe notato che mi ero introdotta qui per fare questa offerta. Certo, ammesso e non concesso che fossi riuscita ad andare via rapidamente.

    « -- mi dispiace non averti potuto aiutare. Di essere stata un peso per te. »

    Ammisi, mentre gli occhi mi si facevano un poco lucidi. Dio faceva male. Faceva malissimo non ridacchiare. Faceva così male rendersi conto della realtà della mia situazione. Non permettere alla mia testa di andare dove voleva, in posti così strani e folli.

    « Kekekekekek. »

    Andava un poco meglio.
    Ma stasera sembrava così difficile. Così troppo, troppo.
    Tirai un lungo sospiro. Cercando di calmarmi, di ributtare sotto lo stomaco quell'orribile sensazione di colpevolezza, di inadeguatezza. Avevo letto di decine e decine di filosofi, letterati. Ma nessuno di loro sembrava essere in grado di convincermi che prima o poi sarebbe andato tutto meglio.

    « Voglio ucciderli tutti, mamma. Tutti quelli come papà. Kek. Non guardare verso di me quando succederà, per favore. Sono ancora la tua bambina, quella che legge tanto. Solo... kek. Kek. kek. Kekekkeekekekekekkeekek. »

    Colpo di tosse.
    Non riuscivo ad andare avanti.
    Mi tirai uno schiaffo.
    La risata mi si mozzò in gola, mentre silenzio tornava ad attorniare il deserto cimitero di Aoyama. In primavera qui ci sono i fiori che piacciono tanto ai forestieri. A me non sono mai piaciuti. E anche questa volta, non sarei riuscita a finire quel discorso che avrei voluto fare a mamma. Del resto, cosa avevo in più di volta scorsa? Una tipa che mi parlava solo perché aveva del lavoro da darmi. Non avevo conosciuto gente nuova, non avevo fatto nessun passo avanti.

    Ma ci sarebbe stato tempo.
    Avrei potuto, un giorno, abbandonare quel luogo di pace che è la ridicola risatina che mi accompagna sempre. Sarei diventata una persona nuova, una persona migliore. Avrei abbandonato la dimensione estetica, fatta di indecisione e fantasia, per lanciarmi verso qualcosa di nuovo con la fermezza di cui aveva bisogno.

    Ma era così difficile.

    « Kekek. Volta prossima... ti presenterò un'amica. O un amico. Dipende di chi mi fiderò abbastanza da poter mostrare questo posto. »

    Nessuno sapeva che ero sua figlia, del resto. E per fortuna. Dopo quanto tempo qualcuno avrebbe capito che ero la figlia scomparsa di Wounder? Il tempo continuava a stringere. E come persona, non stavo andando da nessuna parte.

    Silenziosamente, mi alzai. E un passo dopo l'altro, abbandonai il cimitero. Non volevo tornarci da sola. Era troppo difficile per una persona sola.

    ...
    Kek.

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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.

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    Molto bella, ho apprezzato!
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    Chiudo!
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