A terrible wind

Evelynn Harcrow, Yami Dødson

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    [Scheda] [Quirk] Evelynn Harcrow
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    Quante volte poteva capitarmi che un cliente mi contattasse per invitarmi a fare una gita allo zoo di Ueno? Sono sincera, era la prima volta che mi capitava e la notifica era stata una piacevole sorpresa: sì, ho detto proprio piacevole dato che per me era un'assoluta, assolutissima novità. Da quando mi ero trasferita qui a Tokyo non avevo mai trovato il tempo né, sono sincera, la voglia di recarmici dato che il primo periodo era stato tutto di ambientamento e di apprendimento completo della lingua, concentrandomi subito dopo su quello che era il mio attuale lavoro. Avevo preferito dimenticare i motivi per i quali ci eravamo trasferite, avevo cercato di lasciarmi alle spalle tutti i ricordi del posto dedicandomi anima e corpo (letteralmente) a qualcosa che mi desse modo di dedicare le mie energie mentali a qualcosa e per fortuna fino ad ora non mi ero potuta lamentare proprio per niente.
    Ero riuscita in qualche modo a far fruttare ogni singolo secondo del mio tempo, avevo un giro personale che non aveva niente da invidiare a chi era già in città da molto prima di me, avevo l'aspetto che mi aiutava e soprattutto, quello che giocava a mio favore, era la nazionalità: non so come mai ma i giapponesi in particolare sono attratti dalle ragazze che provengono da fuori, forse essendo un po' più riservati rispetto al resto del mondo trovano un po' più di curiosità in quello che è il prodotto "ignoto" e che viene da posti fuori dalle loro corde. Stuzzica curiosità e sì probabilmente quella era la carta migliore che avevo tra le mie armi per quel che riguardava le prime impressioni: la curiosità.

    Tipo quella che avevo per andare allo zoo oggi.

    « Come sto? »
    Faceva abbastanza caldo oggi, per questo ero anche vestita un po' più leggera: adoravo l'estate perché mi permetteva di espormi un po' di più, mandando molto più facilmente in tilt i clienti che mi contattavano. Era divertente a volte vederli che distoglievano lo sguardo per non farsi scoprire a fissare punti che normalmente non guarderesti quando parli con qualcuno faccia a faccia e poi con tutta la cura che dedicavo al mio corpo, era un peccato non metterlo in mostra.
    Comunque la domanda che avevo fatto a quel ragazzo che per oggi aveva noleggiato i miei servizi era relativamente semplice e riguardava un piccolo accessorio che non mi dispiaceva per niente: un cerchietto con delle orecchie da piccolo e tenero panda. Potevo sceglierne tanti di accessori così ma mi ero concentrata particolarmente su quello per via dei colori che risultavano particolarmente in tinta con il colore della mia pelle e dei capelli, soprattutto con questi ultimi. Sarebbe stato anche il primo accessorio della catena, chissà che magari in futur-

    E' pronta per andare in gabbia con gli altri animali.
    Eccolo, come potevo non aver sentito quando nemmeno quell'ometto che non avevo nemmeno visto non si era nemmeno premurato di abbassare il tono della voce? Smisi di ondeggiare le code realizzando immediatamente che quella frase fosse diretta a me ma nonostante l'incredibile asprezza di quelle parole non mi voltai nemmeno, non almeno come il mio accompagnatore che sembrava aver intenzione di dirgliene quattro. Lo bloccai subito appoggiandogli la mano sul braccio e mostrandogli un sorriso abbastanza rassicurante. « Lascia stare, tesoro, non è un problema. » Non che fossi completamente inerme perché del fastidio lo provavo pure io, ormai però ero talmente tanto abituata a frasi del genere quando uscivo di giorno che non ci davo nemmeno più peso sia perché era un vero e proprio disgusto quello che mi suscitava e non volevo rischiare di vomitare guardando in faccia gli autori (in generale) di quelle parole, sia perché non ne sarebbe valsa la pena: cosa sarebbe successo se mi fossi messa a discutere con una persona del genere in pieno giorno? Il modo migliore che avevo per affrontare la cosa era mostrare un pizzico di superiorità, ignorare ed andare avanti per la mia strada.
    Questo di giorno. Se fosse stata sera sarebbe stato un altro discorso ed una piccola lezione avrei pure pensato di dargliela: era più facile non farsi notare quando la luce era poca ed era anche per questo che odiavo uscire di giorno, più imbecilli del solito se ne stavano in giro. Mossi una coda in modo da afferrare al mio accompagnatore il polso con delicatezza per tenerlo sul posto e non farlo andare avanti mentre mi toglievo il cerchietto e me la rigiravo tra le mani. « Che ne dici se vado alla cassa ed usciamo di qui? » Il negozio dello zoo non era proprio piccolo e di sicuro era anche più facile disperdersi o far finta di non aver sentito, meno tempo però stavo in determinati luoghi dopo determinate frasi e più basso era il rischio che la situazione peggiorasse. « Arrivo subito. » Un amichevole bacio rassicurante sulla guancia prima di recarmi alla cassa intenzionata ad andare via il prima possibile da lì: non volevo rovinarmi la giornata così presto.

    Il fatto era che evidentemente oggi i pianeti erano allineati male.
    Perché? Perché tempo di far pochi passi che ciò che catturò la mia attenzione fu una bambina che vedendo il mio cerchietto chiese alla mamma di comprargliela: fin lì tutto normale se non fosse per il fatto che quella che avevo in mano era l'ultima e non ne erano rimaste altre, causando alla piccolina (che avrà avuto a malapena cinque anni) un attacco di tristezza con conseguente pianto condito da "ma io lo voglio!".
    E niente cattura di più l'attenzione di una ragazzina che piange anche in mezzo ad un negozio gremito di persone, soprattutto se poi è la madre che si lascia andare ad affermazioni come "ringrazia quella persona brutta e cattiva se non ce ne sono più". Perfetto, era davvero la giornata ideale dato che avevo proprio voglia di insulti gratuiti in questo modo. Niente rallegra la tua giornata come un'ondata di cattiveria in mezzo ad uno zoo. I commenti di lì a poco si sprecarono e dato che già ne avevo sentito uno non molti secondi prima, probabilmente diverse persone colsero la palla al balzo.

    A cosa le serve quando già lei è un animale da esposizione?
    Ma non dovrebbe venir controllata da qualcuno?
    Dov'è il guinzaglio?


    Ma non importava, come detto ci ero abituata ormai e la cosa migliore era in questo momento passarci seriamente sopra e fare la cosa migliore.
    Guardai l'accessorio che avevo in mano, sorrisi amara e mi voltai verso la mamma senza mostrare alcuna cattiva intenzione, stavo cercando di far il possibile anche per non dimostrarmi seccata in volto. Volevo solo fare la cosa più sensata per uscirne bene da questa situazione, ovvero... « Senta, se la bambina le vuole posso lasc- » Niente, la bambina piangeva e la mamma se la nascose dietro come se fossi stata io a metterle paura. Odiavo questo tipo di situazione.

    Tirava davvero una brutta aria.

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    Erano gli ultimi giorni di maggio e Yami si trovava in giro da sola. Yuya era probabilmente a lavorare alla clinica, lei stava ancora cercando un'occupazione ma la sua inettitudine assieme al fatto che in fondo non avesse chissà quale bisogno di lavorare per mantenersi rendevano quella procedura quantomeno lenta. La svedese non aveva particolari talenti o capacità e non aveva neppure finito le scuole medie, quindi la sua persona non era chissà quanto spendibile sul mondo del lavoro, specialmente in uno così tanto competitivo come quello giapponese. Aveva da qualche mese incominciato a frequentare delle scuole serali per supplire quantomeno a quella mancanza, da quando l'uscire finalmente pulita dal processo a suo carico le aveva permesso di tornare a vivere la sua vita in modo legale dopo quasi sette anni di clandestinità tristemente forzata.
    Yami passava quindi le sue giornate a studiare o a giocare a qualche giochino per il telefono nella sua casa di Asakusa. Alla cosiddetta "Eternium House" avevano una console ma aveva dimostrato in più occasioni di essere abbastanza incapace con quel tipo di videogiochi (come muovere la telecamera in maniera organica era ancora un mistero per lei) e preferiva comunque leggere, uscire o ascoltare musica come passatempo.
    Sin da quando si era trovata quel giorno a Disneyland Tokyo assieme a Yuya, nella giovane dai capelli bianchi si era sviluppato pian piano il desiderio di esplorare tutte quelle cose che nella vita di una normale persona erano più che scontate ma che lei non aveva potuto sperimentare prima perché abitava fuori città e poi perché era una ricercata per omicidio. Andare in un parco divertimenti era appunto una di quelle, così come andare al mare o in spiaggia, andare al karaoke o, come quest'oggi, andare allo zoo.
    Lo stesso concetto dello zoo la straniva: aveva visto molti movimenti contrari a quei luoghi sui social e lei stessa riusciva a capire cosa potesse esserci di sbagliato in dei poveri animali rinchiusi in delle gabbie. Ciononostante, era abbastanza sicura che finché venissero trattati da esperti e con rispetto non doveva essere poi così male, in fondo erano molto spesso più a rischio nel loro ambiente naturale che in quell'ambiente protetto. Per farsi un'effettiva idea e anche solo per vedere gli animali aveva deciso di andare a vedere di persona.
    Gli animali più grossi di lei le davano un certo senso di inquietudine, come se si sentisse completamente dominata dalla loro presenza. Un rinoceronte così come un ippopotamo avrebbero probabilmente potuto privarla della vita in una sola mossa, e questo la spaventava enormemente. Le tigri invece, coi loro movimenti sinuosi e la loro coda che sferzava l'aria, le ricordarono Yuya. Le star dello zoo di Tokyo erano però i panda: tanto carini quanto scemi, questo era il pensiero di Yami.
    Per l'occasione la giovane dai capelli bianchi aveva indossato una maglia larga di colore beige che, con un merletto, si stringeva direttamente all'altezza delle spalle lasciando quest'ultime e le clavicole scoperte. Le gambe erano fasciate fino a poco sopra il ginocchio da una gonna di colore nero e ai piedi portava delle vans a coprire i suoi calzini neri. La chioma bianca, libera, ondeggiava ritmicamente ad ogni suo passo. Alla spalla destra era appoggiata la fibbia di una borsetta in finta pelle di colore nero al cui interno si trovavano il suo portafoglio, un burrocacao e poco altro: Yuya la prendeva spesso in giro per le sue labbra che si screpolavano facilmente quindi aveva imparato a portarsene uno per ogni evenienza, pur scordandosi di usarlo.
    La giovane svedese aveva terminato il suo giro e si trovava al classico negozietto terminale della struttura. Stava guardando i libri, chiedendosi se al suo ragazzo piacessero gli animali, se insomma oltre che di medicina fosse interessato anche di veterinaria o se forse, più semplicemente, gli avrebbe fatto comodo un libro per insegnargli un po' come comportarsi con Nubia.
    Yami era immersa nei suoi pensieri quando iniziò a sentire una stridula voce rotta in procinto di scoppiare nel pianto. La ragazza aveva pensato più e più volte a se mai un giorno si sarebbe ritrovata ad essere una madre, conscia di non averne certo le capacità e neppure sicura che il suo corpo glielo permettesse dopo tutto ciò che era successo (senza escludere che probabilmente Yuya si sarebbe teletrasportato in Sud America sapendola incinta), ma quando succedevano cose come quella tutta la sua voglia scompariva in un istante. I bambini erano dei rompiscatole senza rispetto buoni solo a piangere per ottenere tutto ciò che volevano... e ogni tanto ti uccidevano pure, sorrise amaramente ripensando al suo passato. In ogni caso, ascoltando un po' più attentamente si accorse che non si trattava dei semplicissimi lamenti di una bambina non in grado di accettare la realtà, ma la situazione sembrava essere decisamente più grave. Una ragazza dalla pelle scura e apparentemente dotata di una o due code stava venendo presa di mira per quel fatto. La questione dei mutant stava molto a cuore a Yami così come, nuovamente, a Yuya. Si era inoltre promessa di intervenire sempre qualora si fosse trovata di fronte a un'ingiustizia e questo sembrava certamente il caso.
    La ragazza si avvicinò alla bambina ora nascosta dietro la madre e, chinandosi, tirò fuori il cellulare dalla borsetta. Non ci vollero più di una decina di secondi di ricerca sul browser per trovare un cerchietto in tutto e per tutto simile a quello che la ragazzina tanto voleva su un famoso marketplace online: era sconvolta di quanto poco la gente fosse avvezza a tali pratiche nel 2022 e che dovesse metterle in mostra lei che aveva vissuto senza internet fino a due anni prima.
    Guarda, qui ce ne sono quanti vuoi. - le disse sorridendo, mostrandole lo schermo - E puoi anche scegliere il colore! - aggiunse, per poi alzarsi e guardare la madre, spostando poi lo sguardo verso Eve e accennandole un occhiolino di intesa. Sapeva che non sarebbe mai riuscita a far ragionare delle persone intolleranti ma magari, spegnendo quella scintilla sul nascere, tutti se ne sarebbero semplicemente andati borbottando qualcosa di brutto sui mutant e nel giro di qualche giorno quella situazione sarebbe stato solo un brutto ricordo da dimenticare il più in fretta possibile.
    La signorina ha anche detto che è disponibile a lasciare il suo, semmai può comprarlo lei su internet. - concluse quindi voltandosi verso la ragazza dalla pelle violacea: era sicura che lei più di tutti volesse che quella situazione finisse il prima possibile e che avrebbe collaborato come possibile.

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    [spoiler_tag][/spoiler_tag]Lascio a te la gestione delle reazioni degli "npc" come preferisci. :**:


    Edited by exquisite†corpses - 29/5/2020, 12:38
     
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    La situazione vista da fuori era davvero equivocabile: una bambina che piangeva nascosta dietro la madre mentre davanti si trovava una ragazza dalla pelle diversa, due code e l'aspetto poco rassicurante. Come si faceva a non pensare che io in questo caso non avessi fatto qualcosa di sbagliato e di conseguenza prendersela con me? In fondo era davvero la soluzione facile, no? Chi mai si sarebbe messo ad esaminare il quadro generale, si sarebbe messo a pensare che in fondo non fosse niente di che e che non fosse davvero colpa della mutante che sicuramente era tanto cattiva da spaventare addirittura una bambina?
    Cavoli questa era davvero una brutta situazione, mi voltai intorno alla ricerca anche del ragazzo che mi accompagnava come se gli volessi chiedere aiuto con lo sguardo ma...non c'era: sparito, volatilizzato nel nulla dopo aver sentito ben più di una voce. Dunque con una aveva avuto quello scatto per quale motivo, per far colpo o far bella figura? Perché magari ad uno solo avrebbe potuto dir qualcosa mentre a più persone no e non voleva passare dalla parte del "torto"? Ecco questo mi fece abbastanza male dentro e devo dire che mi spiazzò non di poco. Mi aspettavo che almeno chi aveva speso dei soldi per stare con me avesse il coraggio di intervenire, strapparmi quel cerchietto di mano, darlo alla bambina e portarmi via senza dire niente: non che volessi per forza apparire come una damigella in pericolo ed anzi se non fossimo state in un posto del genere pieno di gente me la sarei anche già cavata facendo davvero la persona diretta ed un po' rude però dovevo solo immaginarmi il provare a fare la persona dura con una mamma a difesa di una bambina (a difesa da chi poi?): quanto tempo sarebbe passato prima che le persone mi avrebbero dato addosso dalla prima all'ultima? Sarebbe peggiorata la mia situazione non di poco.

    Almeno provaci fino in fondo comunque a fare l'eroe anche se non ti riesce, che diamine.

    « Ma guardi, davvero non mi serve. »
    Ma il continuo ripetere "lo voglio" da parte della bambina sovrastava persino ogni mio tentativo di giustificazione e più passavano i secondi, più saliva il mio nervosismo e più potevo sentire vari brobottii ed il malessere generale crescere sempre di più. Santo cielo che frustrazione, quanto sarebbe stato bello addormentare quella piccola bambina ma se già era difficile immaginarsi uno scenario sicuro solamente con qualche parola un po' più rude, figurarsi ad usare la mia abilità su una bambina.
    Cavolo riconoscevo pure io che di base l'idea era terribile e proprio io l'avevo pensata.
    Mentre si stava facendo sempre più largo nella mia testa l'ipotesi di lasciare il cerchietto per terra e levare i tacchi, il cielo mi mandò qualcuno in soccorso sotto forma di una ragazzina apparsa da chissà dove che si era avvicinata alla bambina senza che la madre - impegnata a lanciarmi occhiate a cui mancava solo la parola - se ne accorgesse. Ne rimasi sorpresa pure io ma almeno non sembrava una persona cattiva, al contrario mi stava dando una grossa mano: era ovvio che il problema della bambina non fossi io, il fatto però era che lo fossi per la genitrice che stava decisamente traendo il più possibile dalla situazione. Cosa ci otteneva? Sperava che le persone mi assalissero e mi mettessero le mani addosso? Cos'aveva intenzione di fare, dar contro a tutti i mutant che stavano nello zoo?

    E' arrivata la padrona della bestia.


    Meglio cogliere la palla al balzo, non mi aveva fatto un'occhiolino d'intesa per niente. « Esatto, non è così urgente per me. » Allungai la mano che teneva il cerchietto verso la madre, porgendolo a lei. « Poi alla gente piace di più un piccolo panda cucciolo rispetto ad uno un po' più grandicello, no? » Qualsiasi fosse la razza animale era quasi scontato che un esemplare appena nato ricevesse molte più attenzioni ed apprezzamenti di uno più grandicello. Sorrisi alla signora come per mostrarle che dal canto mio non me la fossi presa per la situazione - o che non avessi proprio colto il fatto che fosse una di quelle persone - quasi insistendo perché lo prendesse. « Non mi costa niente ordinarlo su internet, far contenta la bambina è più importante. »

    Più che altro era anche impossibile per la signora rifiutare dato che senza farle dir niente, le avevo praticamente premuto addosso il cerchietto nemmeno stessi cercando di farglielo entrare nella pelle. Dovevo levare le tende il prima possibile, anche se non era successo niente sapevo benissimo come funzionasse questa cosa e da lì a trasformare tutto in urla e, di conseguenza, una mia reazione poco pacata il passo era relativamente breve.
    Fin troppo.
    « Consoli la sua bambina, i bambini non dovrebbero piangere per una cosa del genere. » E potei ritenermi fortunata: tutto ciò che ricevetti fu un semplice gesto stizzito del braccio come ad allontanarmi seccata ed un banale "pensa agli affari tuoi e stammi lontana" che suonava molto più debole di quanto in realtà fosse. Tutto merito di quella ragazza a cui ora dedicai appena lo sguardo ed indicai con la testa l'esterno del negozietto: non potevo ringraziarla per l'aiuto qui dentro, non con tutta la gente che mi teneva gli occhi addosso.
    Era il momento di una ritirata strategica. « Ben lieta di farlo, signora. » Ed in un attimo mi ritrovai a girare i tacchi, imboccando l'uscita in mezzo a diversi sguardi di disapprovazione ed un "finalmente se ne torna nella sua gabbia" al quale per la mia salute non reagii.
    Non sarei sparita proprio dalla zona, davanti al negozio a circa una decina di metri più o meno avevo visto prima una comoda panchina che per mia fortuna era rimasta libera per tutto questo tempo. Ne presi momentaneamente e parzialmente possesso sedendomi in maniera abbastanza pesante, sperando che quella ragazza almeno avesse colto il mio segnale così come io avevo colto il suo.

    « Oltretutto piantata in asso, molto bene. »
    Non avrei di certo contattato quel ragazzo chiedendogli di tornare indietro, ma almeno un'occhiata al telefono di lavoro ce la diedi: magari mi aveva contattata almeno per chiedermi scusa...figurarsi. Speravo solo non muovesse nessuna critica, in quel caso sarebbe stato davvero fastidioso.

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    Yami sospirò: in un modo o nell'altro le cose erano finite bene. Pur non con tutta la gentilezza possibile - ma in fondo non poteva biasimarla - la ragazza dalla pelle violacea consegnò il cerchietto alla madre della bambina piagnucolona e si diresse fuori dal negozio. Quella fuga riuscita, quello "scampato pericolo" non rendeva minimamente meno grave quanto accaduto ma per fortuna era riuscita ad evitare il peggio. Una flebile scintilla quasi invisibile percorse i suoi capelli durante quel sospiro liberatorio: non era mai successo nei primi tempi dopo l'operazione, ma pian piano che il suo corpo sembrava abituarsi alla sua "nuova" unicità e viceversa i suoi capelli stavano lentamente diventando espressione del suo stato d'animo in particolari momenti di tensione o quando era sovrappensiero, così come la sua pelle si stava abituando al calore e alle fiamme.
    Prima di fuggire dal negozio dello zoo, la ragazza le fece un cenno col capo, come per ricambiare quel fugace occhiolino di prima. Accennò un mezzo sorriso, indecisa se seguirla o meno: non voleva essere ringraziata, aveva solo fatto quello che qualsiasi cittadino responsabile avrebbe fatto o, perlomeno, avrebbe dovuto fare. Ciononostante, non aveva particolari impegni di lì a poco quindi non le sarebbe costato molto andare lì e consolarla o... insomma, qualsiasi cosa di cui avesse bisogno. Non era neanche da escludere che qualcuno da dentro il negozio potesse seguirla fuori per continuare quell'inutile stigmatizzazione.
    Visto? Alla fine è andato tutto bene! ~ - sorrise alla bambina, per poi alzarsi e tornare allo scaffale di libri a tema animale alle sue spalle. Stringeva ancora nella mancina un libro su come essere un buon padrone per un gatto: lo ripose al suo posto e si diresse fuori dal negozio, perché onestamente le era passata la voglia di fare compere - Buona giornata! - salutò quindi varcando la soglia dello zoo. Era un peccato non portarsi a casa nessun souvenir sebbene, come detto alla bambina, tutto poteva essere acquistato su internet. C'era però un valore speciale, il valore del ricordo, nell'acquistare qualcosa direttamente una volta terminata la visita.
    Tristemente, con quanto accaduto il giro allo zoo non era neppure stato propedeutico per l'annosa questione su cui voleva interrogarsi, ovvero se fosse giusto o sbagliato tenere degli animali in gabbia. Tutto ciò che rimaneva ora nella sua mente era l'immagine delle orribili, sporche appendici degli animali ricoperte di fango incrostato, ew.
    Se fosse stata nella ragazza aggredita poco prima, Yami avrebbe certamente scelto un posto di sollazzo un po' più distante da dove l'aggressione - pur verbale - era avvenuta. Era certa che la giovane dall'aspetto provocante dovesse essere conscia quanto lei che il pianto della bambina non era che un catalizzatore, una motivazione, e che quelle persone l'avrebbero infastidita in ogni caso con un motivo qualsiasi. Per buona parte della sua vita Yami era stata del tutto estranea a quei problemi: non ti interessi un granché delle problematiche altrui quando non fai altro che studiare tutto il giorno e vivi fuori città e poi, viceversa, non te ne preoccupi allo stesso modo quando sei troppo impegnata a cercare di rimanere in vita e vivi nello scantinato di un bar gestito da dei criminali.
    Non riusciva a comprendere se fosse cambiato qualcosa a Tokyo o se semplicemente lei fosse diventata più sensibile alla tematica considerando anche che, beh, anche il suo fidanzato era mutant. Non aveva la pelle viola o una pelliccia, ma una coda che si muove nella folla riesce comunque ad attirare l'attenzione. Chiaramente le tensioni erano aumentate dopo i fatti del Corteo Nero, ma dire che tutto era iniziato da lì sarebbe stata una pericolosa banalizzazione: la stessa esistenza di quella manifestazione dimostrava che vi erano già pulsioni nella società giapponese.
    Brutta storia, eh? - sorrise alla ragazza seduta sulla panchina, intenta a guardare il suo telefono. Purtroppo non le era venuto un apripista migliore, considerato anche che la giovane dai capelli bianchi non era certamente la persona più gentile o sensibile al mondo. Si sedette al suo fianco, mantenendo comunque un po' di distanza. Non che temesse il suo colore della pelle o le sue code, semplicemente per rispettare il reciproco spazio personale. Stava cercando, col tempo, di adattarsi alle buone maniere giapponesi: non avrebbe avuto la minima possibilità di trovare un lavoro altrimenti... ammesso lo volesse davvero trovare.
    Normalmente l'avrebbe semplicemente salutata e se ne sarebbe andata, ma decise di sedersi perché la visita allo zoo era stata abbastanza lunga e si era stancata. Le sue pallide mani con le unghie nere per lo smalto iniziarono a massaggiarsi le gambe nelle parti lasciate scoperte dalla gonna. Era un po' fuori allenamento, anche perché si era abituata al teletrasporto di Yuya che ovviamente rendeva le cose molto, molto più facili.
    Mi dispiace per quello che è successo, ma perlomeno l'hai gestita bene. - disse con semplicità - Sarebbe potuta finire mooolto peggio, anche per quella bambina. - aggiunse. Per quanto i suoi pianti fossero fastidiosi, Yami sapeva benissimo che la colpa non era sua, ma della malizia presente nei cuori di chi la circondava. Certo, forse dopo quell'accaduto anche lei avrebbe iniziato ad avere delle inutili riserve nei confronti delle persone dall'aspetto bizzarro, ma sapeva benissimo che i bambini, fortunatamente, erano privi di queste infrastrutture: proprio per questo aveva deciso di rivolgersi direttamente a lei piuttosto che provare a ragionare con la madre.

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    Per correttezza segnalo di aver editato il post precedente perché mi ero dimenticato di inserire il livello di Yami. :zizi:
     
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    Non proprio una buona giornata, almeno dal mio punto di vista, ma era stato più un augurio che avrei dovuto fare anch'io per mostrarmi almeno educata. Credo però che nessuna di quelle persone ormai lì dentro avrebbe preferito sentirmi dire una parola di più rispetto a quello che non era già successo nonostante non avessi fatto niente, assolutamente niente se non scegliermi un cerchietto e pensare di poterlo prendere senza considerare quella bambina fastidiosa che si era messa a piangere.
    Il problema oltretutto non ero stato nemmeno io, era stato il fatto che non c'erano rimasti altri accessori di quel tipo ed a quella piccola bestia del demonio dovevano piacere più i panda rispetto a quanto potessero piacere ad altri. Sicuramente anche più che a me, l'avrei presa solo per fare una piccola figura in più di fronte a quel ragazzo che era sparito come una piuma portata via dal vento quando invece di una brezza si avvicinava una vera e propria tempesta. Una di quelle che portano solo sabbia e detriti che ti possano fare male nel loro passaggio.
    Ed era pur sempre vero che a cose normali me ne sarei andata subito, probabilmente sarei sparita direttamente dallo zoo decidendo di tornare a casa dato che esser piantata in asso era per me ineccepibile e quasi un'offesa personale che ti metteva immediatamente in lista nera. Oltretutto non aveva nemmeno avuto l'ardore di scrivermi un messaggio di scuse. Oddio ardore...era più una cosa dovuta: prima mi chiedi di esser accompagnato in un posto come questo (ma dico io di tutti i posti dove mi puoi invitare scegli proprio lo zoo?) e poi te ne vai? Cos'avrei dovuto fare io? Avevo anche idea di chiamarlo ma la ragazza che mi aveva dato una mano uscì dal negozio seguendo il mio segnale e mi si accomodò accanto senza troppi giri di parole pensando di dover iniziare il discorso lei: in realtà l'avrei anche fatto io, solo che mi aveva preceduta. Alzai lo sguardo dal telefono e lo spostai verso di lei squadrandola pochissimi istanti, giusto per capire con chi avessi effettivamente a che fare: volto pulito, dei begli occhi azzurri, sembrava avere una pelle liscissima, dei bei lineamenti, lunghi capelli bianchi...chissà se erano più lunghi i miei, non che fosse una competizione.
    Grazie al cielo.
    « Ormai non me ne sorprendo più, quando succede. » Era vero, sentivo di casi così frequenti e spesso ne provavo anch'io in qualche locale che non ci davo più nemmeno troppo peso. Le persone approfittavano di qualsiasi scusa pur di dar contro a quelli come me e ciò che era appena avvenuto ne era la più classica e palese dimostrazione. « Cerco sempre di passarci sopra, in genere le persone nonostante la cattiveria mi danno il tempo di andarmene: l'obiettivo di base quello è, per loro. Almeno voglio credere. » Sospirai, mettendo il telefono nella borsetta. « E' ancor più terribile quando ti piantano in asso senza darti nemmeno un po' di aiuto, perché chiedermi di uscire a questo punto... »
    Paradossalmente sì, era questo ciò che mi aveva dato più fastidio di tutta questa situazione: che la mia compagnia fosse sparita in un lampo lasciando al suo posto solo una sagoma di fumo come nei migliori cartoni animati. Sospirai, scuotendo il capo. « Scusa, so che non dovrebbe essere questo il mio pensiero principale: succede quando ci sei abituata ormai. Uscire di giorno è un terno al lotto: non è nemmeno questione di "se", è questione di "quando" succederà. » Spostai le code di fronte al volto: mi domando come sarebbe stata la mia vita se non le avessi avute e fossi stata una ragazza come quella che avevo di fianco. Magari non avrei avuto così tanti problemi a casa negli Stati Uniti, non avrei avuto degli ultimi anni di liceo davvero turbolenti e non avrei fatto questo lavoro adesso.
    Insomma sarebbe stata una vera e propria noia mortale. Avrei fatto la persona per bene? Brividi, davvero.
    « Vaglielo a spiegare alle persone che il mio Quirk non è Mutant e che questa è genetica: mica ti ascoltano. Magari cambierebbero idea, c'è troppa paura dei Quirk in generale. » Allargai appena le braccia, lasciando però protesa poi quella più vicina alla ragazzina: almeno un ringraziamento se lo meritava. « Eve. » Il mio nome, era il minimo che potessi fare almeno il presentarmi. « E ti ringrazio per l'aiuto che mi hai dato lì dentro, per quanto sia abituata a passarci sopra ammetto che mi stessi innervosendo e non credo sarebbe finita così. »
    Probabilmente mi sarei messa ad urlare qualcosa, qualche insulto di sorta e la situazione sarebbe degenerata di lì a poco dato che credo fosse ciò che qualche persona stesse aspettando in gloria. Magari avrebbero fatto come quell'ometto di piccola statura morale aveva tentato di fronte alla farmacia quando quel ragazzo così gentile mi tirò fuori da una brutta situazione.
    Possibile che mi stessi generalmente rilassando e che ogni volta avessi bisogno di essere salvata? Almeno avevo a che fare con delle persone gentili una volta ogni tanto.
    « E vorrei sdebitarmi in qualche modo. » Trovato anche come sfogarmi: potevo mandare il conto a lui e come penale per essersene andato, fargli pagare ciò che avrei comprato e/o consumato di qui a poco anche grazie all'aiuto della ragazza. « E non accetto un "non ho bisogno di niente" come risposta, davvero: vorrei sdebitarmi. » Inoltre non era tanto ovvio che si mettesse in mezzo e mi desse una mano, non quando l'aria stava cambiando in peggio: avrebbe potuto voltarsi dall'altra parte ed andarsene invece aveva voluto perdere tempo e tirarmi fuori da un bel guaio.
    Sia mai che non ricambio il favore ad una bambolina come quella.

    ► Statistiche
    ● Livello: 3.
    ● Peso trasportabile: 4.
    ● Energia: 175.
    ● Forza: 15.
    ● Quirk: 70.
    ● Agilità: 65.
    ● Tecniche usate: //.
     
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    Le sue labbra si corrucciarono in un sorriso più mesto ora che sentiva la ragazza parlare. Le sue parole erano dure perché evidenziavano la sua rassegnazione nei confronti di quell'orribile situazione. La rassegnazione è la morte della libertà, o almeno questo pensava Yami: come è possibile riuscire a cambiare le cose se semplicemente ci si accontenta, si pensa che in fondo ciò che accade è ciò che ci si merita e che bisogna solo stringere i denti e resistere finché non si finisce nella tomba? Questo valeva ovviamente tanto per le discriminazioni verso le persone dall'aspetto bizzarro che, ad esempio, per la regolamentazione sull'uso delle unicità. Perché le cose sarebbero dovute cambiare se a tutti andavano semplicemente bene, o perlomeno nessuno aveva il coraggio di ribellarsi?
    La svedese dai capelli bianchi ne comprendeva appieno il potere e i rischi. Lei stessa infatti, per buona parte della sua vita, aveva semplicemente deciso di accettare tutto ciò che il mondo intendeva tirarle contro, stringendo i denti e ingoiando il boccone amaro, come se si meritasse tutta quella violenza e quei maltrattamenti che, giorno dopo, suo fratello perpetuava nei suoi confronti. Era giunta a convincersi della sua grandezza, che fosse giusto essere solo una pedina nelle sue mani, il suo punching ball personale, come se quella potesse essere la sua espiazione per aver funzionato da veicolo per quell'orribile essere che aveva privato della vita i suoi genitori.
    L'unica cosa che la giovane non riusciva a perdonarsi era il fatto di essere stata rassegnata fino alla fine: non avrebbe fatto nulla per cambiare la situazione, non ne aveva la forza, il coraggio o semplicemente la voglia. A conti fatti farsi dominare da suo fratello era anche la sua migliore possibilità di sopravvivenza. Era un'ingenua ragazzina ricercata per omicidio, cosa poteva fare senza di lui? Per questo era stato lui a cercare l'indipendenza e liberarla da quel fardello, rimanendo poi schiacciato dal peso delle sue stesse ambizioni. Non era riuscita a ribellarsi, e per questo conosceva bene la pericolosità che si celava dietro quelle parole apparentemente innocenti.
    No, penso che sia carino. - le sorrise la ragazza socchiudendo gli occhi, pur non capendo benissimo a cosa si riferisse considerato che, quando si era girata, l'aveva già vista sola e senza alcun accompagnatore - Le persone al nostro fianco sono i pilastri che ci impediscono di cadere. - aggiunse. Era vero: anche quando si era liberata di suo fratello non sapeva cosa fare della sua vita. Era come se si fosse abituata a quella situazione e a quegli abusi e una volta libera non sapeva proprio cosa farsene della sua libertà. Yuya e i ragazzi di ETERNIUM erano stati la sua guida in quel momento. Aveva ammaliato Daisuke parlandogli di una famiglia e dei suoi doveri, ma la verità era che al tempo - così come ora - era lei la prima ad averne bisogno. L'accompagnatore di quella ragazza dalla pelle violacea non doveva necessariamente difenderla, mostrarsi come un paladino in armatura scintillante pronto a combattere dei draghi per lei, sarebbe bastato portarla via e sostenerla. Il fatto che si fosse tirato indietro anche da quello, beh, dimostrava non fosse decisamente "quello giusto per lei".
    Per quanto Yami davvero pensasse che preoccuparsi per il proprio accompagnatore fosse normale, le parole della ragazza seduta a fianco a lei erano comunque tristi, come se si parlasse delle ultime pronunciate da un condannato a morte... solo uno all'oscuro della data scelta per la sua sentenza. Spalancò gli occhi vedendola agitare nervosamente le code, come se volesse coprire il proprio volto o posizionare una barriera tra loro due. Doveva essere difficile, aprirsi su un argomento simile con una sconosciuta. O forse, viceversa, riusciva a farlo proprio perché lo era. Osservò poi interdetta il suo braccio teso: voleva stringerle la mano? La sua interlocutrice non sembrava propriamente una giapponese e il nome certamente non lo era, però le sue maniere occidentali l'avevano messa in cattiva luce con gli sconosciuti molto spesso. Decise di giocarsela cauta e accennò un semplice inchino col capo.
    Il mio nome è Yami, piacere di conoscerti. - disse con una strana leggerezza. Per anni aveva avuto timore a pronunciare il suo nome in giro, pur trattandolo sempre con fierezza. Il fatto però di essere ricercata e di avere un nome facilmente riconoscibile le aveva sempre messo un po' di paura. Ora il peggio che poteva accadere era solo sentirsi dire "ah, sei quella che NON ha ucciso i suoi genitori!", nulla di particolare insomma.
    Beh, se non fossero ignoranti non sarebbero razzisti. - aggiunse con semplicità - Se ancora non hanno capito che non esistono le razze figurati se comprendono la differenza tra mutant e non. - ridacchiò. Il fatto che la ragazza affermasse di non esserlo, doveva ammetterlo, stupiva anche lei. Per quanto non la ritenesse un mostro, in fondo anche lei era un essere umano e come tutti era volente o nolente schiava dei pregiudizi. La concezione di "mutant" era ben più profonda del semplice aspetto bizzarro, ma era abbastanza sicura che a nessuna di quelle persone interessasse davvero fare una distinzione tra le due cose.
    Uh... Potresti comprarmi un cerchietto. - ridacchiò alla giovane che voleva sdebitarsi. Yami non era mai stata famosa per le sue buone battute, anzi. Diciamo che la sua capacità di riconoscere quando una cosa era fuoriluogo era pari a zero se proprio non andava in negativo - Scherzo, scherzo... - mise subito le mani avanti (letteralmente, agitandole di fronte al volto come volesse fisicamente spingere la battuta via) - Vediamo...
    La ragazza si mise a rovistare nella sua minuscola borsetta alla ricerca del telefono. Tirandolo fuori una delle carte del suo mazzo di tarocchi scivolò fuori atterrando sul marciapiede dopo un tuffo olimpionico. Si trattava dell'Imperatrice, il terzo arcano maggiore. Il Mago era conservato a parte essendo la carta associata alla svedese, così come il Folle era posseduto da Ryo. L'Imperatrice era quindi ormai la carta in cima al mazzo e non era un caso che, sfregando contro il telefono, fosse stata proprio lei a liberarsi dal gioco della prigione rappresentata dalla borsa della ragazza.
    Oopsie, vieni qua tu. - borbottò chinandosi a raccogliere la carta per confinarla nuovamente nella borsetta assieme alle sue sorelle. Guardò l'ora sul telefono: sì, era presto, aveva del tempo.
    A meno che tu non abbia un'unicità di teletrasporto per farmi tornare a casa senza muovermi potresti offrirmi un the. - ridacchiò quindi in risposta alla proposta dell'americana - La visita allo zoo è stata lunga e ho ancora tutte le gambe indolenzite, per cui mi farebbe comodo qualcosa di fresco e un po' di riposo. - aggiunse noncurante del fatto che chiedere ad una persona di utilizzare la sua unicità non fosse proprio normale. Al momento però era troppo impegnata a pensare a quanto fosse divertente la battuta sul teletrasporto considerato che Eve aveva persino una coda in più rispetto a Yuya e quanto fosse triste il fatto che, non conoscendolo, lei non l'avrebbe potuta capire. Un vero peccato.

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    Dimenticavo sempre quando tendevo ad essere meno calma del solito che le persone non erano del tutto abituate ai miei costumi ed in tutto questo forse c'era anche qualcosa di sbagliato da parte mia: quanti sono gli anni trascorsi dal mio arrivo qui? Cinque? Quasi sei? Eppure nonostante tutto continuavo a non ricordarmi che in Giappone ci fosse un certo costume ed un certo modo di affrontare le cose. Una sorta di contatto diretto anche come una semplice stretta di mano da alcuni poteva considerarsi troppo informale e non sempre andava bene. Per questo non ci rimasi male quando non mi strinse la mano, anzi semmai mi diedi della stupida per non averci pensato io. « Piacere mio, davvero. »
    Portai la mano al grembo per unirsi all'altra e rispondere all'inchino a mia volta e con la sua stessa intensità. Non ero abituata a farne. « Scusami, è un'abitudine che dovrei dimenticare. » Quella di salutare a modo mio intendevo e considerando che avevo parlato subito dopo aver ritratto la mano speravo che capisse che non volevo per niente essere invasiva. Insomma mi aveva letteralmente presa per le code per tirarmi fuori da lì all'ultimo secondo, figuriamoci se volevo darle fastidio.

    Accennai ad un mezzo sbuffo insoddisfatto riguardo alle persone, ritornando momentaneamente a quella fuga di quel ragazzo di cui non farò il nome così tanto veloce da sembrare di non esserci mai stato. « Dipende anche da quanto questi lo vogliono essere: se ti mollano sul posto solo perché ti prendono di mira allora sono pilastri durati a non veder nemmeno la fondamenta gettata. » Non avrei più parlato di quel tizio, c'ero rimasta sufficientemente male da farmi passare la voglia di lavorare per tutto il resto della giornata.
    Avrei dovuto fare un paio di telefonate ma penso che mi sarei liberata di qui a breve anche solo per starmene sul divano in casa a non far niente, quella era la mia zona sicura e di sicuro lì nessuno mi avrebbe potuto fare del male. Poi se qualche squilibrato mi avrebbe seguita fino a casa non potevo saperlo, speravo vivamente di no. E per quanto riguardava i razzisti...scrollai le spalle. « Il problema però non è nemmeno loro. Dei razzisti dico. »
    Mi rivenne in mente il dialogo con quel finto "eroe" incontrato qualche sera fa in un quartiere di Akihabara, quell'eroe che aveva addirittura pensato che trovarsi a quella manifestazione a fare da cane da guardia fosse addirittura la cosa giusta senza nemmeno domandarsi se si sarebbe potuto far qualcosa per non arrivare nemmeno a quel punto. Oh cavolo, perché volevo rovinarmi la giornata con un ricordo del genere? « Non completamente almeno, è più un problema di cultura e di educazione civica: basterebbe che quelli che dovrebbero dare il buon esempio e che si spacciano per paladini della giustizia dessero davvero l'esempio ma fino ad ora non ho visto molto a riguardo. » Ecco se cercava un po' di amarezza in me quelle erano le parole giuste per toglierle questa soddisfazione. Dubito fosse così ma il mio umore adesso mi stava portando a dedicarmi un po' a quest'argomento. « Ma dato che nessuno fa niente, nessuno va ad arginare l'ignoranza ed alla fine una come me cosa può fare? Basterebbe poco, giusto un po' più di familiarità quotidiana con i Quirk e---mio dio scusami, sto parlando troppo. »

    Mi fermai, non volevo partire per la tangente, rischiare di annoiarla e farla scappare.
    Bel ringraziamento che sarebbe stato il mio ma ehi, almeno aveva un po' di senso dell'umorismo. Era riuscita a farmi sorridere. Voltai lo sguardo verso il negozio dal quale eravamo appena uscite, piegando la testa da un lato. « Spero non con le orecchie da panda, quelli erano finiti. » Picchettai un labbro con fare pensieroso. « Potrei rubarlo ad una bambina un po' troppo rumorosa, ma dato che hai detto di scherzare rinuncio all'idea. » Rimasi anche in silenzio ad aspettare la sua successiva richiesta, preparandomi però a raccogliere la carta nel caso in cui la ragazza non se ne fosse accorta. Era un tarocco quello? Ammetto di esser sempre stata abbastanza incuriosita riguardo quel tipo di carte, soprattutto a come leggerle. Mi sarei fatta volentieri i fatti miei ma la curiosità era nata da dentro ed una domanda del genere non pensavo sarebbe stata nemmeno troppo invasiva. « Sei un'appassionata? »
    Chissà se aggiungendo al mio curriculum la lettura dei tarocchi avrei potuto ampliare la mia cerchia di clienti, magari attirando qualche credulone o chi ci credeva. Magari studiandoli avrei potuto provare a fare delle predizioni anche su di me, che ne potevo sapere che non ci avrei mai preso e quello predetto non sarebbe accaduto davvero? Per quanto riguardava la richiesta era qualcosa di semplice e fattibile, almeno sulla seconda parte. « Teletrasporto no, però ci sto circa lavorando: mi sarebbe anche tornato utile. » Ammetto che dalla visita nella clinica di PL avevo iniziato a svolgere dei piccoli esperimenti nel privato per capire quanto effettivamente potessi spingere il mio Quirk al limite dopo aver scoperto, questo limite, quale fosse: potevo sviluppare un rapporto con la mia ombra tale da poter diventare tutt'una con essa? Avrei mai potuto usarla per "tuffarmici dentro" e trovare riparo dal mondo esterno? Difficile e per ora erano solo domande teoriche, solo un po' di pratica mi avrebbe potuto dare le risposte. « Per la bibita...sicuro, certamente. Ho visto un chioschetto qui vicino, se hai le gambe indolenzite te la vado a prendere lì immediatamente. Giuro che non scappo. »
    Era letteralmente dietro l'angolo: questa zona del parco era fatta apposta per essere un'area di sosta per tutti i turisti, presentando un paio di negozi di souvenir, delle comode panchine come quella dove ci trovavamo adesso per riposarsi, uno spiazzo verde dietro dove potersi mettere a sedere in tutta libertà che fosse al sole o all'ombra di quel piccolo alberello presente nel mezzo e soprattutto diversi chioschi mobili sparsi qua e là per dare ai visitatori i "mezzi" per potersi rilassare. C'era anche un piccolo bar vicino al negozio di accessori ma volevo evitare di andare proprio lì di fianco.
    Più che altro avevo una domanda davvero, davvero importante da farle. « Limone o pesca? »

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    E' ok, è ok. - ridacchiò alle scuse della ragazza riguardo al modo in cui aveva deciso di presentarsi - Capitava spesso anche a me... Quando inizi a conviverci ti ci abitui però. - le sorrise. Beh, per quanto Yami fosse effettivamente giapponese almeno su carta, essendo nata in Giappone, probabilmente Eve non l'avrebbe comunque associata all'arcipelago ad una prima occhiata: per quanto i suoi capelli bianchi potessero essere giustificati da un qualche tipo di unicità i suoi lineamenti non mentivano. C'erano però state numerose falle nell'educazione di Yami e l'aver vissuto letteralmente per strada per quasi un terzo della sua vita certamente non aveva migliorato le sue capacità relazionali. Non si era offesa o indispettita per il tentativo di approccio della ragazza americana, stava solo cercando di attenersi alle regole sociali del paese, o non avrebbe mai trovato un lavoro rispettabile.
    Non aveva molto altro da aggiungere alle parole della giovane dalla pelle violacea riguardo al suo accompagnatore, ed era anche abbastanza sicura che lei stessa non volesse sentirne parlare. Ciò che intendeva era che è giusto appoggiarsi agli altri per sostegno, e non è né patetico né sbagliato. Ovviamente questo però non era il caso.
    Mmmmmmmh. - borbottò alzando gli occhi al cielo ascoltando le parole successive. Un tempo anche Yami provava tutto quell'astio verso gli eroi, se non persino di più. Insomma, si riferiva a loro con "paladini della giustizia", giusto? Per un periodo era riuscita persino a farsi convincere da suo fratello, e il loro obbiettivo era sterminarli tutti. Aveva cercato di vedere un barlume di giustizia e morale nel suo obbiettivo, probabilmente decidendo volontariamente di fingere che non fosse solo un modo per mettere alla prova la sua forza. Col tempo, libera dall'influenza di Yama, era riuscita a smussare gli angoli delle sue idee più estremiste - Non saprei, non penso che possano fare molto. Alla fine non è il loro lavoro. - le sorrise. Non era tanto una questione di responsabilità per Yami (sebbene non fosse comunque loro responsabilità), quanto di capacità. Yami si sentiva a malapena al protetta in un mondo dove gli eroi svolgevano il loro lavoro, si sarebbe sentita al sicuro in un mondo dove questi erano anche in diritto di dare giudizi morali? Forse era un'opinione un po' controtendenza ma la svedese pensava che, proprio visto il gigantesco bacino d'utenza che gli eroi avevano, era meglio per tutti tacere su determinati argomenti. Insomma, chissà quanti eroi segretamente razzisti esistevano, così come quanti stupidi: era davvero necessario ascoltare e valorizzare il loro parere?
    Sul resto però hai ragione. - aggiunse sorridendo, perdendosi poi ad osservare la sua mano sinistra smaltata di nero - Sarebbe bello vivere in un mondo dove le persone possono crescere in armonia con le proprie unicità e comprendere davvero sé stessi. - aggiunse mentre il suo sorriso si trasformava lentamente in una smorfia malinconica. Quelle sue mani erano sporche di sangue: come sarebbero andate le cose se, potendo usare liberamente il suo quirk, si fossero accorti prima di quel demonio che le abitava dentro? I suoi genitori sarebbero ancora vivi? Fino a poco tempo prima Yami avrebbe preferito vivere da quirkless piuttosto che vivere la sua vita. Ora che aveva conosciuto Yuya, Ryo e Daisuke le cose erano cambiate: aveva capito che non aveva senso piangere troppo a lungo sul latte versato e doveva pensare come vivere al meglio quel futuro che il suo passato aveva costruito. Eppure... con una maggior consapevolezza... Si ricordava benissimo anche delle paranoie di Ryo, spaventato di poter essere sempre stato manipolato dalla sua unicità dopo che la Serpe tentatrice gli aveva infilato quella pulce nell'orecchio. Il mondo temeva le unicità, e come un tempo si faceva con la mano sinistra dei mancini in occidente cercava di proibirne l'uso, ma quei metodi non avrebbero mai ridotto la paura, semmai l'avrebbero alimentata.
    Alcune persone pensano che le unicità siano armi... - disse rovistando nella borsa alla ricerca del telefono - E' certamente vero che alcune possano esserlo, ma pensa a quante persone con negaquirk o disabilità potrebbero vivere meglio se... - si interruppe lì, osservando l'Imperatrice cadere come se il suo palazzo fosse stato conquistato. Yami era la prima a possedere un'unicità completamente distruttiva, ma questo non le impediva comunque di avere una morale. Si chinò a recuperare la carta.
    Oh, umh... qualcosa di simile? - ridacchiò sentendosi chiedere se fosse un'appassionata. La svedese era effettivamente un'appassionata di occultismo, ma non poteva comunque definirsi chissà quanto esperta. E quanto ai tarocchi, comunque, non era minimamente in grado di leggerli - Anche volendo non potrei leggerli, al mazzo manca qualche carta. - specificò evitando di sottolineare la sua ignoranza.
    Corrucciò il muso sentendola parlare del teletrasporto: cosa significava? Yami si poteva definire quantomeno un'esperta di teletrasporto, conoscendo non una ma ben due persone con un'unicità simile. Quella ragazza pensava di poter migliorare qualunque-fosse-la-sua-unicità fino al teletrasportarsi? Yami in fondo era la prova vivente della possibilità di miglioramento dei quirk tramite l'utilizzo, ma quelle parole le suonavano comunque oscure. Dopo quanto accaduto, però, non le sembrava il caso di indagare con così tanta leggerezza sulle capacità della donna.
    Oh no, vengo anch'io. - disse alzandosi in piedi con leggera fatica, sentendo i muscoli delle gambe tirare come fosse appena stata in palestra - Se fossi così distrutta dopo una camminata a vent'anni sarebbe un grosso problema. - ridacchiò - Ci saranno dei tavolini a cui sedersi, no? - le fece l'occhiolino, intenzionata a seguirla a quel chiosco. Allontanarsi dal luogo dove la ragazza era stata aggredita verbalmente era comunque una buona idea, così come lasciarla andare da sola sarebbe stato un rischio. Forse Yami era troppo apprensiva, ma era fatta così e c'era poco da fare.
    Limone comunque, ovviamente. - rispose con leggerezza - A meno che non abbiano del the verde! - specificò quindi con un sorriso.

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    Quello dei miei usi e costumi differenti rispetto a quelli del posto era diventato un argomento ricorrente delle mie ultime interazioni con le persone, che stessi diventando così noiosa e ripetitiva? Per l'amor del cielo speriamo di no e non parliamone più, la ragazza oltretutto non sembrava averci dato peso ammettendo magari di non essere propriamente del posto nonostante il nome mi suonasse come tutto sommato locale, magari avevo capito male io? Non credo, però era particolare quanto ci fossero così tante persone straniere in una città come questa: che fosse una sorta di richiamo per chi voleva provare a svolgere uno stile di vita più tranquillo? Probabilmente il fatto che qui avesse sede la Yuuei all'esterno appariva come una garanzia di sicurezza, una delle scuole più famose di tutto il mondo per l'addestramento di eroi doveva per forza rendere la città un pochino più sicura, no?
    « Difficile, ma basta un po' di buona volontà. » E tanta voglia di applicarsi per imparare i modi di fare locali. Certo che quando sei abituato per tantissimi anni a comportarti in un certo modo, ce ne vogliono davvero tanti per cambiare i tuoi modi di fare. Prima o poi ci riuscirò, sarà che non ci vedevo niente di male nell'essere un po' più amichevole con le persone. Mi aiutava parecchio nel mio lavoro.

    Per quanto riguardava la cultura generale e la concezione che di base sembrava avere verso gli eroi ugh, mi trovavo per la seconda volta in meno di una settimana ad affrontare questo terribile argomento ma solo perché stavolta ero stata io a tirarlo fuori. Almeno da quelle poche parole che aveva detto sembrava non essere una completa inetta come quello che avevo incontrato addietro, quel cagnolino che si credeva un leone ma che era scappato con la coda fra le gambe senza pensarci due volte. « Dici? » Sentendo però che secondo lei non fosse il loro lavoro quello di provare a dare l'esempio, mi sovvenne una domanda. « Chi dovrebbe fare qualcosa? Se ci pensi bene nessuno meglio di loro sarebbe capace di influenzare la gente. » Insomma io se vedessi in televisione degli eroi che promuovono del movimento anti-razzista (dal punto di vista etico, presente quelle pubblicità sensibilizzanti che si vedono ogni tanto? Ecco, tipo quelle) allora qualche domanda me la farei: chi è davvero nel giusto e nel torto?
    Anche se arrivare al punto in cui ci sia bisogno di queste cose è davvero triste e riprovevole. Almeno sembrava essere parzialmente d'accordo con me almeno sull'altra metà del discorso: la cosa mi sorprese, era davvero la primissima volta che affrontavo un discorso del genere. « Il punto è che se già ti impongono da subito un grosso limite che ti impedisce di diventare familiare non solo con la tua abilità, ma anche con quelle che ti stanno intorno allora la situazione è difficile: mi sono messa spesso a pensare perché ci sia questa forte ondata ed alla fine mi sono quasi convinta che sia perché c'è tanta paura dei poteri. Magari no, ma viene quasi uhm... » Ci riflettei qualche secondo, non sono convinta che fosse la parola giusta ma quella che in giapponese mi veniva più immediata in questo momento era-- « ...imposta? Non proprio, inculcata? Non so proprio quale sia il termine giusto ma spero tu mi capisca. » Mi grattai la guancia, sperando di esprimermi. « Tutti hanno bisogno di un foglio per usare la propria abilità, i Mutant no perché gli chiederesti di non vivere e se la base è che usare i poteri senza permesso è sbagliato, allora essere Mutant è sbagliato. Almeno credo che questi poveracci la pensino così. »
    Libera di sbagliarmi.
    Forse qualche passante mi stava anche sentendo perché dopo quest'ultima frase un paio di persone che transitavano di lì per sbaglio mi lanciarono anche un'occhiata distratta, magari era anche solo per l'aspetto.

    Quante persone con negaquirk avrebbero potuto vivere meglio se...
    Questa frase mi colpì dritta come un treno e lasciai cadere lo sguardo a terra prendendo un respiro profondo. « Potrebbero vivere e basta. » Non lo conoscevo quel ragazzino ma vedermelo morire davanti era stato uno shock non da poco e sicuramente una cosa di alto, altissimo impatto che mi aveva segnata per un bel po' condito anche da tutta la circostanza e tutta la cornice che quel quadro aveva involontariamente assunto. Quel posto era lì per collezionare informazioni sui quirk e negaquirk perché legalmente non era possibile, non in quel modo, e trattare delle abilità era una cosa talmente delicata da... « Invece serve un foglio di carta anche per quello. » Sospirai, tornando a trattare un altro argomento per evitare di rabbuiare troppo una conversazione delicata già di suo abbastanza delicata. Battei appena le mani. « In ogni caso! » Vedendola alzarsi, feci la stessa cosa: se si voleva muovere di lì non potevo che esserne contenta, sia mai che qualcuna di quelle simpatiche persone che stavano dentro il negozio non decideva di uscire per far partire un secondo round ed a quel punto non sono proprio sicura di quanto sarei rimasta tranquilla ed impassibile. Borsetta sulle spalle, apprezzavo il suo spirito di iniziativa.
    « Sarebbe strano se non ci fossero dei tavolini. » E tirai un finto sospiro di sollievo dopo essermi appoggiata una mano sul petto, come se mi avesse fatto passare una grossa paura e mi avesse tolto un macigno enorme dalle spalle: niente thé alla pesca, meno male. « Oh grazie al cielo, se avessi scelto l'altro mi sarebbe venuto un colpo. Andiamo. »

    Il chioschetto, come detto poco prima, non era molto distante: l'area per l'appunto era fatta apposta perché i visitatori potessero prendersi una pausa e fatto circa un minuto di camminata a piedi non era difficile intravedere la destinazione: un casottino in legno di discrete dimensioni adornato da diversi posti a sedere, tutti tavolini tondi accompagnati da almeno tre sedie ciascuno. Per tenere un po' di frescura nell'ambiente erano stati aperti anche degli ombrelloni piazzati in apposite basi, era tutto sommato una buona mossa: chi camminava da un bel po' per le gabbie aveva voglia magari di godersi qualcosa di fresco e farlo al sole non era proprio un'ottima idea. « Prendi pure posto, ad ordinare ci penso io. » Lavoro di squadra, in pratica, come succedeva in tutti i posti del genere. C'erano giusto un paio di persone davanti a me ma l'attesa sarebbe stata minima, giusto un paio di minuti prima di presentarmi all'eventuale tavolino scelto da Yami con due bicchieri in mano: un'aranciata per me, un thé al limone per lei. « Scusami honey, quello verde non ce l'avevano. » Era la sua preferenza e ci avevo provato, ricevendo risposta negativa avevo dovuto optare per il "piano b". Presi posto a mia volta, ignorando un commento molto poco carino che la persona che aveva ordinato subito dopo di me si lasciò andare. Un "te l'avevo detto di prender posto, invece l'abbiamo dato a quella cosa lì" che decisi di ignorare volutamente. Se non era venuto a dirmi di andare via e lasciarglielo era solo perché Yami aveva deciso di accompagnarmi, niente di più.
    « Oh, spero di non averti dato fastidio. » Dissi alla ragazza dai capelli bianchi subito dopo. « Tendo a chiamare le persone così con un po' troppa facilità. » Non sempre davo nomignoli a chi mi stesse simpatico però era più forte di me ed anche in questo caso, quando incontravo qualcuno, non era una questione di "se" gliene avrei dato uno ma "quando". Ero comunque sempre pronta a fare un passo indietro in fretta, mi bastava una parola.

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    Non è un problema. - sorrise arrossendo leggermente al nomignolo che la ragazza aveva utilizzato e le successive scuse. Forse la coda non era l'unica cosa che quella giovane aveva in comune con Yuya. Le due si erano alzate dalla panchina e si erano dirette al chiosco indicato dall'americana, dove Yami aveva preso posto attendendola come richiesto. Yami si era seduta ad un tavolino all'ombra, coperto da un ombrellone: per quanto le fosse praticamente impossibile scottarsi e avesse sviluppato anche una buona resistenza al calore preferiva comunque proteggere la sua pelle estremamente pallida e godersi appieno quelle poche carezze di vento che ogni tanto si alzavano nell'aria primaverile.
    Attendendo il ritorno della ragazza dall'aspetto bizzarro la svedese si era messa a controllare a caso i vari social sullo schermo del suo telefono come spesso faceva nei momenti vuoti. Si chiedeva a volte come diavolo avesse fatto a sopravvivere tutti quegli anni senza un telefono. In ogni caso una volta sentita la voce della giovane dalla pelle violacea lo bloccò e lo poggiò a schermo all'ingiù sul tavolino, allungando poi la mano sinistra verso il bicchiere sportole dall'altra.
    Va benissimo al limone. - aggiunse quindi afferrando il bicchiere di vetro e poggiandolo prima su una coscia e poi sull'altra. La frescura della bevanda che si trasmetteva al bicchiere era un toccasana per le sue gambe affaticate, e l'avrebbe tenuto lì ancora per un po' prima di iniziare a berlo. L'altra sembrava invece aver preso un'aranciata.
    Dicevamo... - Yami aveva paura del silenzio, a maggior ragione in presenza di sconosciuti. Aveva passato buona parte della sua vita nel silenzio più totale e ogni tanto aveva timore che, rimanendovi troppo a lungo, potesse tornare nuovamente a sentire la voce di suo fratello nella sua testa. A conti fatti nessuno le assicurava che la notizia della sua morte fosse davvero vera. Per questo molto spesso, anche quando era in casa da sola, cercava di annegare i momenti di silenzio con la musica o con la televisione accesa in sottofondo. Tornando al discorso di prima, comunque, aveva notato un incupirsi delle parole e del volto della ragazza quando aveva menzionato i cosiddetti "negaquirk". Yami non era un'esperta a riguardo e certamente non era una scienziata, si trattava a conti fatti di teorie di cui aveva letto online e che aveva visto alla televisione. Aveva invece evinto dalle parole dell'americana che lei dovesse averne certamente un'esperienza maggiore, forse persino personale. Le sembrava insomma un argomento da evitare, se possibile. Ognuno aveva i propri nervi sensibili.
    ... Influenzare, sì. Non penso di volermi fare influenzare dagli eroi. - ridacchiò quindi riprendendo il discorso - Non fraintendermi, penso che il loro lavoro sia necessario e rispettabile, semplicemente... - a conti fatti, nel suo mondo ideale non era neppure necessario. Una persona che utilizzava l'unicità per compiere un crimine compiva già un crimine, questo non doveva influenzare minimamente l'utilizzo o meno. Sarebbe stato come proibire la vendita e l'utilizzo dei coltelli perché qualcuno aveva usato un coltello per compiere un omicidio. Yami non apprezzava minimamente quello che chiamava il "monopolio delle unicità" in mano agli eroi, ma finché un enorme ondata di rinnovamento non avesse colpito il Giappone (e il mondo in generale) il loro lavoro restava comunque indispensabile - Insomma, non credo che avere un grande bacino di utenza renda né capaci di parlare di determinate tematiche né obblighi al parlarne. - aggiunse, sollevando il bicchiere dalle cosce e sorseggiando un po' di the al limone - Non penso debbano parlarne gli eroi così come non dovrebbero parlarne cantanti o attori. Dovrebbero parlarne gli scienziati e chi di dovere, e loro dovrebbero far capire che le unicità non sono niente di più e niente di meno che nostre parti del corpo, a volte ben visibili e altre volte no. - aggiunse. Quelle, se non ricordava male, erano un po' le stesse parole che aveva detto a Ryo la notte in cui si erano conosciuti. Proibire alle persone di utilizzare la propria unicità era come proibire loro di usare le mani per paura che potessero picchiare qualcuno, o proibire loro di parlare per paura che potessero ferire qualcuno con le loro parole. Una censura, insomma.
    Sono certa che gli eroi siano preparatissimi su ciò che li riguarda, ma non penso dovrebbero avere valore in questo caso. - riprese quindi - Escludendo il fatto che permettere a tutti di usare le unicità andrebbe completamente contro i loro interessi, mi chiedo quanti di loro abbiano scelto quella carriera per vendicare un parente morto durante un crimine commesso con l'utilizzo di un quirk... Insomma, quello che intendo è che probabilmente molti di loro sono contro il libero utilizzo delle unicità, altrimenti il loro stesso lavoro non sussisterebbe. - sospirò - Oh, e mi riferisco a questo caso specifico. - aggiunse con un sorriso - Penso che tutti dovrebbero combattere contro le discriminazioni palesi come in questo caso... Ma immagino che per questioni di immagine abbiano le mani legate sia in un senso che nell'altro. - la componente "marketing", che poi era una delle cose che Yami più detestava, era ormai inscindibile nel lavoro degli eroi. Era insomma abbastanza ovvio che preferissero non esporsi su determinati temi quando sia una scelta che l'altra avrebbero probabilmente influito sulla loro percezione mediatica e avrebbero portato alla perdita di una buona parte della propria fanbase.
    E' possibile sia come dici. - aggiunse dopo aver bevuto un altro sorso di the - Riguardo all'odio per le unicità mutant poiché "sempre attive", intendo. E' possibile in alcuni casi penso, ma non penso sia fattibile una casistica generale. - il padre di Yami era solito parlarle di antropologia quando era più piccola e la svedese ben sapeva che probabilmente buona parte dei razzisti erano tali senza una vera e propria motivazione logica. Alcuni potevano solo essere spaventati, altri volevano solo far parte di un gruppo che desse loro una giustificazione per manifestare i loro impulsi violenti.
    Di sicuro eliminare il grande taboo sulle unicità non potrebbe che far bene in ogni caso. - concluse. Anche per una sognatrice come Yami cancellare tutta la società e ripartire da capo era una palese utopia. Non avrebbero mai potuto ribaltare la tavola e fare finta di niente: si trattava di un lavoro che avrebbe richiesto probabilmente decine di anni. Era abbastanza difficile far cambiare idea alle persone, per cui tutto poteva avere un'influenza seria solo sulle future generazioni. Molti bambini in fondo ignoravano le leggi sull'utilizzo dell'unicità in un'età in cui la comprensione stessa del concetto di "legge" è nebulosa. Secondo Yami sarebbe bastato insegnar loro il rispetto e un po' di buonsenso. Insomma, chi voleva utilizzare la propria unicità - noncurante della legge - già lo faceva senza farsi problemi.

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    Che carina che era anche leggermente arrossita quando l'avevo chiamata con quel nomignolo, sembrava una ragazza abbastanza gentile e disponibile con gli altri. Se non lo fosse stata non mi sarebbe venuta incontro dentro quel negozietto, avrebbe preso le sue cose e se ne sarebbe andata senza nemmeno considerare se valesse la pena o meno di darmi una mano ed aiutarmi ad uscire da quella spiacevole situazione.
    E poi era del partito del thé alla pesca, mica una roba da poco. Sperai di non averci messo troppo, conosco benissimo cosa significa guardare il telefono durante una conversazione: indice di noia, io lo usavo come segnale nelle mie uscite per comunicare silenziosamente all'altra persona di fare qualcosa di interessante o sarebbe stata una serata davvero, davvero brutta ed il tempo non sarebbe trascorso mai. Però aveva cercato lei di riprendere il discorso di poco prima e la cosa mi faceva solo piacere, non era male affrontare questa tematica e scoprire che qualcuno (finalmente direi) condivideva anche solo una minima parte di quello che dicevo io. Quella sulle abilità insomma, sugli eroi mica tanto ma non avevo la minima intenzione di convincerla: cosa che forse quel piccolo ragazzino-leone aveva creduto cercassi di fare e che lui aveva cercato di fare con me prima che se ne andasse come un codardo.

    Almeno aveva saputo scegliere un argomento di conversazione mica male.
    « Eppure non ti sorprenderai nel sapere che purtroppo quelli che subiscono l'influenza degli eroi sono davvero tanti e lo riconosco, con i canoni della società attuale il loro lavoro è indispensabile. » Ci mancherebbe altro, come avevo detto qualche sera fa le leggi sono importanti in un sistema societario per evitare di sprofondare nell'anarchia: quello che serviva era un qualcosa di leggermente più accomodante e meno proibitivo, terrorizzante e limitante verso l'utilizzo delle unicità. « Però appunto se non loro, chi? Una qualsiasi persona seduta al bar ascolterebbe me o te o un Endeavor? » La risposta mi sembrava alquanto scontata. « Non è tanto una questione di scienza secondo me, è una vera e propria questione di natura: chiunque ha usato almeno una volta il suo potere nella propria vita ed il novanta percento di questi non ha nemmeno la più remota possibilità di prenderla una licenza. Per farti un esempio: se per sbaglio urtassi la tua borsa ed io usassi il mio potere per prenderla al volo cosa ci sarebbe di sbagliato? Nulla, secondo me, ma per chiunque altro potesse guardare magari sì. Non avevo purtroppo mai considerato la questione di immagine e di interessi. »
    Seriamente non l'avevo mai fatto e Yami aveva detto bene: se tutti potessero usare il proprio potere allora che senso avrebbe che esistano individui con costumi speciali a far giustizia? Tutti potrebbero eventualmente farsela da soli. Inoltre c'erano eroi più adatti a fare determinate cose ed altri no per motivi legati al modo di apparire. Iniziai a tamburellare ritmicamente la punta delle dita sul tavolino, ponderando: questo succedeva quando qualcuno invece di attaccarti e cercare di dire che qualcosa era giusto solo perché fatto da un eroe, ti poneva qualche pensiero e ti metteva davanti dei ragionamenti.

    Scrollai appena le spalle, accavallando le gambe ed adagiandomi meglio sulla sedia in plastica di cui avevo preso possesso.
    « Chiaro che non sia per tutti quanti così, qualcuno di sicuro è ancora abbastanza stupido da basarsi nel ventunesimo secolo sul colore della pelle e se una persona ha la coda, il pelo o non ce l'ha. Soprattutto considerando che non credo che nessuno abbia avuto modo di scegliere. Però è estremamente facile odiare qualcosa di cui hai paura, lo mascheri meglio. »
    La paura era un sentimento molto, molto forte che ti spingeva spesso e volentieri a fare cose che normalmente non avresti mai fatto e l'odio, secondo me, era proprio uno di questi elementi definibili come "conseguenza". Era il dito che tutti guardavano puntare la luna mentre il braccio - od in generale chi indicava - non veniva fissato quasi mai. Era un po' come il mio caso, per dire, dove la mia unicità apparteneva ufficialmente alla categoria degli Emitter ma dato che il mio aspetto era differente, dovevo per forza essere un Mutant agli occhi altrui e nessuno era disposto nemmeno ad ascoltarmi una volta preso il proprio partito. Se avessi preso una qualsiasi persona, un qualsiasi passante e gli avessi chiesto cosa fossi secondo lui credo che nessuno avrebbe azzardato a dire che non fossi una Mutant.
    « E penso che la paura sia condivisa anche da qui, quelle leggi, le ha fatte: forse pensavano che senza licenza le persone non avrebbero utilizzato la propria abilità in maniera sconsiderata, però chi vuole infrangere una legge - giusto per fare un esempio - lo fa che abbia quel foglio di carta o meno. Bisognerebbe che le persone venissero educate ad accettare i poteri sin da subito o almeno...aiutate solo nel diventarne familiari. Trovo ingiusto che siano in pochi quelli che possono ricevere un aiuto, una sorta di addestramento sul come sfruttare al meglio ciò che la natura gli ha donato. » Basterebbe insegnarlo nelle scuole, per dire, assieme all'educazione fisica: un'ora di pratica con le proprie abilità alla settimana sin dalla tenera età, qualche esercizio a casa e non ci sarebbe bisogno di aver paura: tutti che saprebbero più o meno controllare ciò che sono in grado di fare, nessuno che avrebbe paura per una perdita di controllo e nessun bisogno di limitare con una licenza.
    E magari un po' di odio in meno.

    « Aiuterebbe anche il trattamento dei negaquirk e nessuna persona dotata di un potere simile sarebbe costretta a dover vivere la propria vita sempre al limite e cercare aiuto dove non possono darglielo. »
    Magari non morirebbero nemmeno in posti dimenticati da...qualunque cosa ci sia lassù ingannati da persone che non avevano le conoscenze sufficienti per arrivare a poter offrire un trattamento, un sollievo. « Purtroppo però questo taboo nessuno sembra intenzionato a toglierlo. » Sospirai appoggiandomi poi in avanti sul tavolo intenta a guardare qualche secondo la ragazza che avevo di fronte e che nonostante sembrasse più piccola di me, aveva delle idee ben chiare e le affrontava anche in tema deicsamente maturo. Aveva un bel po' la testa sulle spalle, non era male. Mento sul palmo, l'altra mano tamburella a malapena sul tavolo, le code dietro di me che ondeggiano ritmicamente come un gatto che valuta se avvicinarsi ad una persona o meno, incrociandosi fra di loro in un ripetersi di uno schema a doppia elica quasi ipnotico se ci si fosse soffermati a guardarlo troppo.
    « Se dovessimo fare un gioco, come ti immagineresti un mondo senza licenza e regolamentato di conseguenza? » Domanda particolare ma non potevo esser la sola ad aver mai perso tempo ad immaginarmelo, uno scenario del genere.

    Keep them longing,
    make them plead.

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    Quella discussione era abbastanza godibile, sebbene alcune idee della ragazza le ricordassero le sue più estremiste convinzioni di tre o quattro anni prima. Yami era la prima ad essere contro la società degli eroi, ma le sue convinzioni erano crollate quando si era ritrovata ad impedire ad una bomba di esplodere e distruggere la UA. Aveva visto il sogno di un giovane portato via assieme alla sua vita e numerosi eroi morire. Aveva iniziato a rifletterci e aveva lentamente capito che quelle persone che voleva lottare così strenuamente erano alla fine semplici persone come lei. Persone con dei sogni, dei desideri, delle vite, delle famiglie. Se il sistema era quello che era, in fondo, non era colpa loro. Avrebbero potuto fare qualcosa per cambiarlo? Forse, ma non era un loro dovere.
    Certo, ma se loro dicessero che i mutant sono il cancro del mondo e andrebbero debellati vorresti ancora sentirli parlare? - la provocò dopo aver sorseggiato un po' di bevanda - Il fatto che una persona venga ascoltata non implica che ciò che dice sia più o meno giusto e... Insomma, non puoi aspettarti che tutti siano d'accordo con te. - le fece un occhiolino. Come detto, gli eroi avevano certamente un bacino d'utenza ampissimo a cui potersi rivolgersi, e molte persone prendevano le loro parole come oro colato. Insomma, questo era ovvio. Ciononostante, spesso questa responsabilità era più un deterrente che un incentivo ad esprimere le proprie opinioni. In quanti in fondo, consci di poter influenzare l'intera opinione pubblica con le loro parole, avrebbero effettivamente parlato? Chi sarebbe stato davvero in grado di prendersi tutte quelle responsabilità? Yami voleva un mondo in cui tutti potessero essere liberi di utilizzare la loro unicità, ma avrebbe potuto confermare che le cose sarebbero state migliori? Assolutamente no.
    Ho sempre pensato che le persone trovino gli animali abissali brutti e spaventosi solo perché ci sono normalmente nascosti. - prese quindi a parlare con un argomento che poteva certamente apparire come strambo e sconnesso dal discorso - Insomma, anche i maiali e le mucche sono abbastanza orribili, però siamo più abituati a guardarli e non ci fanno più effetto. - ridacchiò, riflettendo anche su quanto fossero brutti gli animali visti poco prima allo zoo quando effettivamente ti soffermavi per un po' più di tempo a fissarli nei loro dettagli - E' lo stesso con le unicità. Le temiamo così tanto perché cerchiamo di nasconderle e tenerle lontane dal nostro sguardo. Probabilmente i mutant urtano così tanto alcune persone perché tendono a ricordarci perennemente quella realtà che tanto cerchiamo di tenere lontana dal nostro sguardo. - azzardò, ovviamente non era un'antropologa o una sociologa. L'americana iniziò a tamburellare con le dita sul tavolino, pensierosa o forse nervosa. Yami sperava non prendesse le sue parole come un attacco personale, ma era abituata a scontrarsi con le persone per le sue idee: lo stesso Ryo l'aveva criticata pesantemente alla loro prima discussione.
    Tu sì però. - sorrise sentendo la ragazza parlare del fatto che nessuno sembrasse voler affrontare quel taboo - Certo, se fosse Endeavor o chi per lui a dirlo forse sembrerebbe più affidabile di noi. Ma non possiamo fare per sempre le bambine che stanno nascoste dietro alla madre che ordina per loro al Fast Food. Non puoi aspettarti siano gli altri a dire ciò che tu vuoi dire. - quelle parole potevano sembrare forse dure o insensibili, ma la svedese ci credeva fermamente - Certo, io di sicuro potrò sembrare una privilegiata e mi scuso. Nessuno mi guarda male o mi insulta per strada. Però sono sicuro che sia pieno di persone come te... - fece un attimo di pausa, cercando di trovare le parole giuste - E intendo sia nei tuoi panni che condividono le tue stesse idee. E tutti probabilmente stanno zitti pensando che non verrebbero ascoltati. - sospirò, scuotendo la testa - Come li chiamano i telegiornali? "Mutant Task Force"? - si domandò retorica portando l'indice sinistro al mento e alzando gli occhi al cielo pensierosa - Forse avranno sbagliato nei modi, forse non hanno tirato chissà quanta acqua al loro mulino, ma si sono fatti sentire. E non sono certamente Endeavor, ma persone come me e te. Anche Endeavor era una... "persona normale" prima di guadagnarsi quel pubblico. - spiegò, ed era vero: in fondo gli eroi si faticavano davvero il loro posto, non erano raccomandati in alcun modo (non sempre almeno) e questo significava anche che chiunque altro avrebbe potuto occupare il loro posto - Spero di non averti offesa. - sorrise.
    La giovane dai capelli bianchi schioccò le dita della mano destra sotto il tavolo e i suoi capelli, come seguendo un impulso dal cuoio capelluto fino alle punte, si infiammarono fluttuando ai lati del suo volto in modo da non rovinare i vestiti.
    Penso che tu ti faccia troppo influenzare dall'opinione degli altri. - aggiunse tranquilla - Certo, io sono un caso particolare e non ho nulla da perdere, ma... - fece spallucce mentre la fiamma che incendiava i suoi capelli si esaurì, facendo tornare la normale chioma bianca poggiata sulle sue spalle. Che qualcuno l'avesse vista o meno non le importava, alla peggio aveva qualcuno con cui doversi giustificare - Vuoi utilizzare la tua unicità? Usala. Un simpatico vecchietto una volta diceva... - fece qualche secondo di pausa, cercando di ricordarsi la citazione più o meno corretta - "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". - asserì fiera.
    Comunque... - cercò di riprendere le redini del discorso, accortasi di aver un po' deragliato - In un mondo così mi vedrei... Laureata, senza cicatrici e probabilmente infelice. - ridacchiò guardando l'americana. Per Yami aveva poco senso fare chissà quali ragionamenti ipotetici sul passato, tutto ciò che si poteva fare era lottare attivamente per il futuro. Nonostante tutto ciò che aveva passato - e ne aveva passate molte - aveva imparato ad apprezzare il suo percorso. In un mondo diverso probabilmente non avrebbe avuto Yuya e neppure Ryo e Daisuke, ETERNIUM... la sua vita insomma.
    E tu, Eve? - le chiese sorseggiando un po' di the.

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    Non potevo escludere che esistesse magari qualche eroe che fosse contrario ai Mutant e dunque razzista. Lo avevo fatto fino ad ora perché mi ero radicata nell'idea che quelli come loro fossero sempre dalla parte del giusto e contro qualsiasi cosa sbagliata dal punto di vista etico e la discriminazione, c'era da dire, qualcosa di sbagliato in fondo ce lo aveva. Anzi, più di qualcosa.
    « Oh credimi, so benissimo che può esistere qualcuno che non la pensa come me: uno studente della Yuuei me l'ha dimostrato un paio di sere fa. E mi sta anche bene, insomma se non avessimo modo di confrontarci con le persone sarebbe un mondo estremamente noioso: peccato se ne sia andato con la coda fra le gambe, letteralmente, ma era un ragazzino. Posso capirlo. » Cresciuto a pane ed eroi non poteva accettare che qualcuno li criticasse così aspramente al punto da non voler nemmeno sentire parole diverse dalle proprie perché gli avrebbero rovinato la teen crush. Peccato perché se fosse stato un bambino un po' più morigerato e con la testa sulle spalle, sarebbe potuto nascere un bel dialogo. « Quello che ha fatto ai suoi tempi quel video contro la manifestazione anti-mutant. Peccato si sia dimostrato un leone solo quando nessuno poteva rispondergli. » Il classico leone da tastiera.
    Letteralmente. Sospirai però, ponderando anche sulle parole di Yami: non ero proprio arrivata a questo punto per lamentarmi di quel bimbetto che aveva preferito rintanarsi dentro la sua cameretta invece che scambiare opinioni con qualcuno che non le condividesse con lui. Me ne farò una ragione. Il punto era che alcune persone potevano avere un'influenza anche negativa sugli altri e tutto quello che avrebbero fatto sarebbe stato semplicemente gettare benzina sul fuoco, ecco.
    Lo avrei voluto? Certo che no.

    « Quello che gioca un ruolo molto importante è il buonsenso delle persone e da quello che posso vedere in giro, è rimasto a pochi. Forse nemmeno a me se non considero nemmeno i fattori più basilari però...è frustrante, sai? Per quanto provi a passarci sopra e spesso e volentieri è il metodo migliore per non peggiorare la situazione: prendi il negozio, la situazione col cerchietto. Cosa pensi sarebbe successo se mi fossi messa a rispondere alzando la voce? »
    Un disastro, ecco cosa. La bambina che si mette a piangere più forte, la mamma che avrebbe cercato di passare come la paladina della giustizia pronta a difendere la propria figlia dal mostro cattivo e le persone che avrebbero frainteso. La cornice perfetta per un disastro annunciato. « Questo per dirti che fino ad ora ho sempre visto poco, pochissimo margine anche solo per provare a fare qualcosa senza considerare che non avrei nemmeno la più pallida idea da dove cominciare: ho sempre pensato per quello che ti ho detto prima che educare le persone sulla familiarità con i poteri fosse necessaria perché alla fine un Mutant è un potere ambulante, perdonami il brutto termine che non voglio far passare come offensivo. Diventi familiare con la tematica, i Mutant non ti fanno più paura. »
    Come fare due più due nella mia testa, solo che ragionavo in maniera talmente semplice da farmi risultare quasi stupida e con tutta probabilità lo ero, lo stavo dimostrando anche adesso: i miei erano dei completi rant senza avere la minima idea da dove cominciare per far cambiare almeno la percezione di me. O di quelli come me. Dovevo arrendermi all'evidenza che nonostante avessi un tipo Emitter, ero più simile ad una Mutant di quanto mai non volessi ammettere.
    Davvero.
    « Il punto è che le mucche ed i maiali li puoi mangiare ad un certo punto, un'unicità no. » Mi permisi una controbattuta alla sua, giusto per togliere un po' di peso dalla mia testa dato che non mi ero mai trovata ad affrontare un argomento così delicata per un tempo così tanto prolungato. Potevo dire che fosse quasi divertente? Nonostante tutto mi stavo davvero divertendo nel confrontarmi così soprattutto con una ragazza che sembrava sapere davvero il fatto suo.

    Una cosa che non mi ero chiesta molto spesso, però, era il perché le persone avessero effettivamente paura delle unicità. Per quello che diceva Yami? Perché qualcuno le riteneva un errore della natura? Qualcuno aveva addirittura qualche teoria complottista sugli alieni per quello e per fortuna quasi nessuno prendeva la cosa sul serio. Magari la paura dipendeva anche dal fatto che effettivamente delle persone li vedevano come delle vere e proprie armi non regolarizzate.
    « L'uomo insegna che da sempre è stato capace di ricavare armi da qualsiasi cosa, forse è anche per questo: paura di ferire o esser feriti. » Ed una persona con un potere sempre attivo può ferire anche senza accorgersene. Non riuscivo proprio a distaccare questo presunto terrore per le unicità dalla questione della discriminazione per paura, era come se mi fossi convinta che tante persone si comportavano così perché "prevenire è meglio che curare", come dice il detto. Però se dovessi rispondere sinceramente alla domanda di Yami...volevo davvero affrontare quel taboo?
    Tu sì però.
    « Sì, io sì. » Se avessi avuto i mezzi effettivamente per provare a cambiare qualcosa, li avrei già usati almeno per provarci. Non avevo nemmeno bisogno di amarezza per parlare, era una pura e semplice constatazione: cosa potevo fare io da sola, soprattutto considerando che per il mio aspetto non mi avrebbe guardato o ascoltato quasi nessuno? Era così da sempre ed ormai ero molto più calata nella parte che tanti fattori mi avevano affibbiato da essermi quasi dimenticata di quel piccolo desiderio che mi accompagnava nei sogni quando mi buttavo giù di morale: se non ci fosse tutta questa paura? Se ci fosse più libertà anche nell'affrontare l'argomento? « Sarebbe molto più affidabile, ma l'hai detto prima tu che non è compito suo, no? » Non c'era nemmeno l'ombra di una mezza ritorsione nelle mie parole.
    « Oh non scusarti honey, non è esser privilegiati: è avere a che fare più spesso con persone dotate di un quoziente intellettivo superiore a venti. » Le feci un gesto con la mano ad indicarle di star tranquilla, prima di sbuffare appena. « Quelli sono estremisti e si concentrano sul punto sbagliato della questione, secondo me, però capisco il punto. Loro fanno qualcosa. Ed Endeavor si è guadagnato quel pubblico facendo il Pro-Hero, il cielo mi aiuti se decido di imboccare quella strada. » Anche perché non sarei stata per niente credibile, sono sincera, e mi sarei sentita davvero fuori posto in quell'accademia fatta di persone che badavano molto alla loro immagine e che di propria iniziativa nonostante potessero non facevano molto. Che facevano ciò che solo secondo gli altri era definito "giusto", era così che guadagnavano consensi.

    Dovevo ammettere una cosa di Yami: aveva l'obiettivo ben fisso in testa.
    E no, non parlo dei capelli che andarono a fuoco per qualche secondo. Aveva deciso di mostrarmi così apertamente la sua unicità? Coraggioso da parte sua, considerando che ci trovavamo in mezzo ad un posto pieno zeppo di persone ma era stata talmente veloce da---smisi di getto di tamburellare le dita sul tavolino, fermandomi con l'indice a mezz'aria, riflettendo su una frase. Mi facevo davvero influenzare così tanto dagli altri? « Forse... » Tolsi per pochi secondi gli occhi dal volto della ragazza dai capelli bianchi, fissando un punto non definito alla mia sinistra: non mi interessavano nemmeno le persone che passavano, se mi guardassero o no. Era il mio modo per pensare.
    Non era perché gli altri dicessero che io fossi nata per fare il mio lavoro che avevo finito per farlo davvero? Non era perché mi avevano talmente tanto preso di mira che l'unico modo per vivere tranquilla era stato quello di imbracciare il mio "destino" ed essere ciò che ero adesso? « ...yeah, that's true. E' vero. » Nel mio piccolo ero convinta di influenzare qualcuno pure io ma quello che facevo con i clienti non era questione di influenza, era questione di assecondare in modo che tornassero da me in modo da ricevere sollievo e sollievo e sollievo. Li avvelenavo con falsa sicurezza offrendogli l'antidoto perché alla fine era ciò che avevo accettato fosse lo scopo della mia vita. Quello che mi spaventava era che non odiassi nemmeno questo concetto ma che mi fossi arresa ad accettarla come realtà. Provai a recuperare un po' il corso della conversazione ritornando a guardare Yami, cercando di far passare questo mio piccolo tentennamento come riguardante l'utilizzo dell'unicità. « Cosa ci può mai essere di male ad usare la propria unicità per cose di poco conto? » Spostai la mano aprendo il palmo verso l'esterno, sul fianco del mio volto, come se stessi aspettando che qualcuno mi passasse qualcosa: niente di tutto questo, mi sarei semplicemente passata quel bicchiere da sola. Un semplice movimento, un lineamento nero che sottile sottile scivola da terra fino a sopra il tavolo. Una lingua nera che si allunga e che avvolge lentamente il bicchiere in un paio di spire, lo afferra con fermezza e lo solleva fino a portarlo alla mia mano. Poi si ritrae, ritornando ad essere una semplice ombra sotto il tavolo.
    Inesistente e silenziosa.
    « L'unico male, appunto, è solo la paura di usarla. »

    Mentre sorseggiavo rimasi quasi sorpresa dalla risposta che mi aveva dato: laureata e senza cicatrici erano di sicuro due buone cose, perché dunque infelice? « Uhm. » Non avrei indagato, non avevo tutta questa confidenza per permettermi di fare una domanda così personale e l'unica cosa che potevo fare era rispondere a mia volta dato che mi aveva rigirato la domanda. « Sicuramente mi sentirei più sicura nell'uscire da sola di giorno. » Su questo non ci pioveva e da qualche parte dovevo iniziare a rispondere. « Mi vedrei a mio agio: non aver persone che ti tengono gli occhi addosso tutto il tempo penso sia davvero bello. Forse farei una vita un po' più normale di quella che faccio adesso. » Non so se farei ancora il mio lavoro o se provassi effettivamente a far altro: forse proverei a far l'insegnante di fitness dato che avevo anche una figura che poteva permetterselo.
    In fondo se stavo conducendo questo stile di vita era proprio perché la discriminazione mi aveva portata qui e sì, dico ancora una volta che la paura per i quirk sia legata a quel becero concetto. « Ma soprattutto credo che avrei visto un paio di persone in meno soffrire. » Non avevo paura a dire che avevo visto qualcuno star male perché c'erano molte, molte limitazioni sulle unicità e di conseguenza avevano dovuto rivolgersi a delle soluzioni un po' meno pratiche. Per quello che mi riguardava, era solamente la realtà dei fatti.
    « Quello che mi sorprende, sono sincera, è tutta questa tua sicurezza nel parlare. L'avere più confidenza, lo spronarmi a fare effettivamente qualcosa... » Era intrigante, davvero, perché sembrava davvero mite e riservata eppure aveva delle idee che uscivano oltre la concezione che avevo di lei. Uscivano dalla sensazione di quella prima impressione che dava di sé, ecco, e la cosa mi stuzzicava.
    La osservai dall'altra parte del tavolino con un sorriso che aveva una leggera punta di...sete, curiosità, furbizia. « ...sai quello che dici.
    Mi piacciono le persone come te. »

    Chissà da dove arrivava tutta quella confidenza.

    Keep them longing,
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    Yami non era una ragazza particolarmente social e il numero esiguo di reazioni che i suoi post ricevevano nonostante fosse una ragazza molto carina ne erano probabilmente la prova empirica. Oltre che a giocare a stupidi giochi per lo smartphone e cercare guide a riguardo, la maggior parte delle ricerche della giovane svedese riguardavano video musicali o tutorial su come tenere più pulita casa o cercare di cucinare qualcosa senza avvelenarsi. Per questo portò un indice al mento riflettendo sulle parole di Eve quando questa si mise a parlare di un ragazzino che faceva video su internet. Il Corteo Nero, così era stata chiamata la Manifestazione del Movimento Anti Mutant, era stato un evento di risonanza nazionale. Di sicuro quel tizio non doveva essere stato l'unico a farci un video a riguardo e Yami, come detto, non era certamente un'esperta di youtuber o cose affini, ma forse aveva un'idea. Poteva forse trattarsi di quel ragazzino di cui le aveva parlato Yuya, quello che sembrava una specie di leone? Il ragazzo le aveva riferito di aver visto un suo video a riguardo, e i due sembravano avere un qualche tipo di conoscenza. Conoscendo Yuya, probabilmente nulla di legale.
    Io penso che tu abbia reagito nel modo giusto. - le rispose semplicemente - Buona parte di loro vuole solo provocare per avere una reazione di cui lamentarsi. Immagino che sia difficile, ma bisogna resistere. - aggiunse con un sorriso. Yami aveva visto la violenza, molta violenza, e sapeva che reagire in modo indisposto non avrebbe potuto fare altro che peggiorare le cose. Bisognava essere freddi e glaciali nei confronti delle provocazioni di chi voleva solo scaldare la situazione. In fondo chi vuole dimostrare l'aggressività di un cane certamente cercherà di infastidirlo e provocarlo il più possibile, non provvederà a riempirlo di coccole e biscottini. Come detto la svedese si rendeva conto di essere in una posizione privilegiata: le sue scelte personali non avrebbero inficiato l'opinione sull'interezza di "quelli come lei", che già di per sé era comunque un pensiero razzista. Per quanto l'americana potesse provare a convincerla del contrario, sapeva benissimo di esserlo.
    Ridacchiò sentendola anche solo accennare alla possibilità di un futuro da eroina: no, effettivamente non sembrava proprio il tipo. Al di fuori del giovane Fireflower la svedese dai capelli bianchi non aveva avuto tanti contatti con gli eroi per sua fortuna, e in quel caso non era neppure certa che "investirlo con un furgone" potesse essere considerato un rapporto. Era possibile che la straniera dalla pelle violacea avesse avuto più contatti con loro e questo forse rendeva il suo parere più autorevole, ma... Il suo astio non era forse tanto ingiustificato quanto quello delle persone riguardo i mutant? Non stava forse prendendo di mira un'intera categoria di persone basando le sue impressioni su un campione generico che non necessariamente era espressione dell'intero gruppo? Come detto più volte a Yami non andava particolarmente a genio la società degli eroi, ma era certa che la maggior parte di essi agisse in buona fede. Fino a prova contraria la svedese non negava il rispetto a nessuno.
    Sorrise vedendo la ragazza di fronte a lei utilizzare la sua unicità per impugnare il bicchiere. Non aveva ben capito cosa fosse successo o come quello dovesse portare al "teletrasporto" come accennato in precedenza, ma era sempre bello vedere una persona intenta a sciogliere le briglie della propria rigidità. Se la morale di Eve le impediva di utilizzare l'unicità per proprio guadagno o urtando gli altri perché non usarla per il resto? C'era una legge a riguardo? Certo, ma un sacco di persone la infrangevano per molto peggio. Se l'americana voleva infrangere quella legge doveva smettere di venerarla in rispetto riverenziale, o non sarebbe andata da nessuna parte col suo timore.
    Ascoltò con interesse la risposta alla sua domanda, era evidente che la ragazza avesse avuto la sua bella dose di drama nella sua vita. Chissà se tutti nella sua famiglia avevano il suo aspetto, e se si riferiva a loro quando parlava di persone sofferenti. Yami credeva però fermamente che le persone non dovessero farsi influenzare dalla sofferenza e dalle ingiustizie viste nel loro percorso di vita, perché qualsiasi sentimento forte era una lente pronta a distorcere la realtà del mondo circostante. Aveva imparato nel suo percorso di vita a sollevarsi da qualsiasi senso di colpa e da qualsiasi ottica ottusa, o perlomeno era ciò che le piaceva credere. Se fosse stato altrimenti, il suo petto starebbe ancora bruciando di odio verso gli eroi per ciò che Fireflower aveva fatto a Saijin. Eppure aveva avuto il suo tempo per pensarci su, e... Poteva biasimare un eroe per essere intervenuto durante una rapina in banca? E poteva condannarlo per aver portato Saijin quasi in punto di morte se, in realtà, era stato lui stesso a gettarsi tra le sue fiamme per dimostrare chissà-cosa a chissà-chi? Yami non era più la ragazzina di quattro anni prima.
    Come ti sentiresti se un giorno scoprissi che la tua unicità non è quella con cui hai convissuto fino ad allora? - sorrise in risposta alle sue lusinghe, sorseggiando un goccio di the. Yami non era mai stata particolarmente gelosa della sua storia, non lo sarebbe stata neppure ora. L'americana avrebbe potuto scegliere se crederle o meno, ma alla peggio cosa poteva fare? Denunciare alla polizia "una ragazza che mi ha raccontato una storia"?
    Quando ero piccola delle piccole manine nere hanno iniziato ad uscire dal mio corpo, sembravano un po' come la tua unicità da quello che ho visto. - riprese sospirando - Per molto tempo abbiamo pensato fosse un qualche tipo di unicità Emitter che mi permettesse di... produrre arti d'ombra o qualcosa di simile. - annuì spiegando - Ovviamente non mi interessava minimamente diventare un'eroina, quindi non abbiamo mai indagato a fondo. Perché farlo se non l'avrei mai usata? - ridacchiò - Crescendo... Ho iniziato a sentire delle voci in testa. Inizialmente era un brusio indistinto prima di addormentarmi, poi pian piano quella voce si faceva sempre più distinguibile, più chiara, più martellante.
    Forse dicendolo chiaramente avrebbero indagato più a fondo? Se ne sarebbero accorti? La svedese aveva simulato qualsiasi tipo di scenario nella sua mente, ci aveva riflettuto per anni. Cosa avrebbe potuto cambiare, lei? Se avesse fatto una scelta migliore, come sarebbero state le cose ora?
    Quando avevo tredici anni, durante una cena... - aveva appena ripreso a parlare, ma fece nuovamente una pausa. Erano passati anni, aveva rivisto quella scena migliaia di volte nella sua mente, ma non smetteva mai di fare effetto - Una specie di ragazzino è uscito fuori dal mio corpo e ha ucciso i miei genitori. Sono dovuta scappare di casa... A tredici anni. Ho iniziato a vivere per strada, non potevo fare altro perché... chi mi avrebbe creduto? - le sorrise mestamente - Era... il mio gemello parassita. E quella era la sua unicità. Ripensandoci ora, ogni volta che quelle mani nere uscivano dal mio corpo non ero io a controllarle, ma ero troppo piccola per accorgermene. Non potevo usare la mia unicità, quindi come avrei potuto rendermene conto? - domandò sorseggiando un po' di the dal suo bicchiere.
    Ho fatto quel che dovevo fare per sopravvivere. - asserì con decisione, ma senza snocciolare troppi dettagli per non spaventare la ragazza o mettersi in una brutta situazione. Era comunque da poco reduce di un processo, processo durante il quale era riuscita fortunatamente a nascondere tutta la sua vita criminale, non poteva certo buttare tutto all'aria ora - Ho vissuto per strada per cinque anni, buttando all'aria il mio futuro. Fortunatamente poi ho trovato un "benefattore" che mi ha liberato dalla mia... "maledizione"? Sono certa ci siano persone che stanno peggio di me e che probabilmente è un termine forte da usare, ma non saprei trovarne un altro. - ridacchiò - Ho scoperto la mia unicità e lentamente sono tornata a vivere una vita più o meno normale.
    Quella era una mezza bugia: ancora oggi non era certa che quella fosse la sua vera unicità o un semplice esperimento della serpe che l'aveva aiutata. I suoi genitori non avevano mai utilizzato le loro unicità in sua presenza e a lei non interessava minimamente conoscerle, per cui non aveva prove per poter dimostrare l'una o l'altra cosa. L'unica persona a sapere la verità se l'era portata con sé nella tomba. La giovane aveva raccontato quella storia con leggerezza considerato che probabilmente la straniera di fronte a lei non si trovava in Giappone ai tempi dell'accaduto e, anche fosse stata lì un anno prima quando si era svolto il suo processo, semmai l'avrebbe potuta riconoscere come "quella Yami!".
    Potrei sbagliarmi, ma mi piace pensare che in un mondo dove le unicità sono considerate solo una parte del nostro corpo questo non sarebbe successo. - spiegò quindi - Magari ce ne saremmo accorti prima, avrei potuto dare a mio fratello una vita normale. Magari senza l'astio di vedere in me una prigione non avrebbe fatto ciò che ha fatto. - sospirò - Era un bambino senza nome e senza riconoscimento, perché non era mai nato. Decisi di chiamarlo "Yama", perché ogni volta che usciva dal mio corpo mi sentivo come se venissi impalata da una montagna. - ridacchiò. A ripensarci ora, quanto era stupido? - Il suo non era un vero corpo, e ogni volta che faceva a botte e si feriva tutto ciò che gli accadeva si rispecchiava sul mio corpo. - proseguì. Una strana nostalgia stava intorpidendo la punta delle sue dita. Possibile che oltre ad averlo accettato lo avesse anche perdonato? Che tutto sommato le mancasse? Merito o colpa, era anche grazie a lui che si trovava dov'era ora.
    E fidati... Gli piaceva davvero tanto fare a botte. Ho conosciuto il mio ragazzo quando mi ha curato da un'emorragia interna. - ridacchiò - ... ops, mi sono fatta prendere la mano. - aggiunse portando la mano destra davanti alle labbra. Erano anni che non parlava di Yama, e non poteva dire di essere soddisfatta della sua morte. Senza nome, senza tomba, se n'era andato come era venuto al mondo. Nonostante tutto ciò che le avesse fatto, Yami non poteva non essere dispiaciuta.
    In ogni caso... sì, ho i miei motivi. - le sorrise - Non abbiamo fatto chissà che ma penso che tu possa definirmi... La fondatrice di un gruppo di attivisti per la libertà delle unicità, sì. - aggiunse - Ma non prendermi come esempio, o se proprio devi ti auguro di trovare confidenza con un metodo migliore. - concluse ridendo. Nonostante tutto non avrebbe augurato a nessuno di vivere una vita come la sua, per quanto potesse non odiarla.

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    Avevo reagito nel modo giusto, sì, perché non volevo problemi. L'unica volta che avevo visto qualcuno provare a reagire era perché fosse legata in un container senza le dita e con i pezzi del proprio corpo a terra, quella era stata una visione terrificante e quasi raccapricciante, se non avevo rigettato qualcosa era solo perché la forma degli arti non era per niente convenzionale. Se al posto di cristalli avessi visto del sangue non so quanto sarei riuscita a mantenere il sangue freddo.
    « Ed è qui che ti dico entra in gioco l'abitudine: se sei avvezza a certi commenti sai quanto effettivamente trattenerti. E' brutto da dire ma serve...esperienza? Forse è proprio la parola giusta. » Ed era lì che nasceva anche un po' di rassegnazione, nel dover sopportare a tutti i costi per non cadere nella trappola della provocazione piazzata da chi non attendeva altro che tu alzassi una mano per dire che lo volevi aggredire. Frustrante, terribilmente frustrante non poter nemmeno rispondere a determinate cose anche se c'era da ammettere che la tecnica dell'ignorare funzionava molto bene e non sentendosi considerati, dopo un po' quei cani smettevano di abbaiare. Per quanto riguardava la mia opinione personale non ho mai provato invidia verso nessuno per avere un aspetto normale e convenzionale, perché avrei dovuto? Solo chi ha paura lo fa e solo chi ha tanti rimpianti prova il desiderio di avere qualcosa di impossibile: una volta che ti cresceva una coda, per esempio, era difficile farla sparire. Una volta che nasci con la pelle di un determinato colore, cambiarla era davvero arduo e così via.
    Considerare gli altri in una posizione privilegiata rispetto alla mia sarebbe significato pormi davvero nella scala di giudizio che mi imponevano gli altri e significava davvero distinguere tutto per razze e colori, in questa epoca purtroppo in tanti sembravano essersi dimenticati che al di fuori dei colori, il "modello base" di ogni individuo era quello di una persona normale. Di un comune essere umano.
    I quirk, in fondo, erano accessori che la natura ti metteva addosso senza che tu nemmeno potessi scegliere. A volte era più benevola, a volte un po' meno.

    La domanda che mi fece era strana, implicava qualcosa che di sicuro avrei sentito di lì a pochi secondi (mai previsione fu più esatta) ma prima mi presi giusto il tempo di rispondere. « Come mi sentirei? Non mi sentirei più me stessa. In male direi, adoro la mia unicità. » Era vero, mi piaceva ed anche molto: permetteva di sorprendere, permetteva di fare diverse cose che però ancora non mi ero concentrata nel realizzare. Bastava avere un po' di buona volontà ed era come avere una serie di arti in più che potevano aiutarti per davvero in qualsiasi utilizzo.
    Non mi sarei mai vista senza il mio quirk per niente al mondo e mi reputavo fortunata ad essere una di quelle che erano nate con un'abilità che non avesse nessun effetto negativo sulla propria pelle così come quel povero Hisashi, il cielo accolga la sua anima in gloria: chissà quanto deve aver sofferto nella sua breve vita il poveretto, chissà quante opportunità avrebbe avuto se non avesse vissuto in un'epoca dove tutti avevano un'unicità ma lavorarci sopra era quasi proibitivo. Anzi, sicuramente proibitivo senza quel misero e patetico foglio di carta.
    Mi sentii leggermente, leggermente gelosa quando parlò di arti d'ombra ma la sua storia non si limitava a quello, era tutto volto alla spiegazione del fatto che il quirk che mi aveva mostrato non fosse il suo originario: particolare, curioso e sinceramente non lo credevo possibile. Mi erano sempre sembrate strane quelle storie dove si cambiava l'unicità, praticamente fantascienza dove non racchiudevo però il fatto che tu potessi farlo evolvere il tuo potere con il passare del tempo: scopri altri utilizzi, immagini altri utilizzi che ti possono far completamente cambiare la concezione che hai di come percepire quello che finora eri stata capace di fare. Avevo motivo però di dubitare della ragazza nonostante la storia fosse davvero assurda e strana? Insomma parlare di un parassita che vive dentro di te perché mai nato e cercava di uscire ogni tanto manifestando la sua indole violenta era davvero, davvero pittoresco, romanzesco quasi. Però volevo prendere la sua storia per buona, insomma non mi sembrava una di quelle persone capaci di inventarsi qualcosa per far bella figura o per raccontare qualcosa di solamente stravagante.

    « Hai avuto paura? » Fu la prima domanda che mi venne in mente ed alla quale non diedi nemmeno un attimo di riflessione.
    Passare da avere un'unicità che nemmeno usavi molto a sentire delle voci in testa sempre più forti doveva essere pericolosamente traumatico: se l'avessero scambiata per una folle e dunque rinchiusa in una struttura? Solo a quel punto magari avrebbero potuto indagare sulla sua abilità ma non ci sarebbe stata libertà, ci sarebbe stata l'imposizione dovuta al trovarsi in una struttura particolare.
    Sicuramente non in un posto felice. E poi anche vedere un ragazzino uscire dal tuo corpo quando sei più piccola credo sia una cosa che potrebbe tormentarti negli incubi per anni e decenni a venire. Almeno io non avrei cercato più di chiudere occhio la notte per paura di sognarmelo.
    In realtà la domanda era molto più ampia e meno ristretta a quelle circostanze: sentire voci, veder i propri genitori uccisi dal nulla, vivere per strada, sapere di avere un parassita che controllava la tua abilità contro la tua volontà, sapere che nessuno ti avrebbe mai creduto, cercare di sopravvivere già da tredici anni. Mi resi conto che la domanda giusta da fare non fosse chiederle se avesse avuto paura ma...quanta.
    « Ma cosa ti ha spinto a lottare così per tutto questo tempo? » Oltre alla paura di essere rinchiusa, ecco. Anche questa era una buona domanda. Ebbi giusto un piccolo spasmo nervoso delle code quando la sentii parlare di "maledizione", ricordandomi una piccola attention whore che aveva deciso che parlare di sé anche di fonte ad un ragazzino morto fosse una buona idea. A quella ragazzina avevo detto che nessun quirk doveva essere considerato una maledizione, potevo davvero ripeterlo adesso? Non lo so, vedendo Hisashi ed ascoltando la sua storia l'avrei anche potuto riconsiderare ma non cambiava il fatto che quella parola mi suscitasse una piccola reazione nervosa perché risentivo quella voce e quel fastidioso volto mi tornava di fronte agli occhi.
    « Quello che dici te è il mondo come dovrebbe essere. Tempo fa mi chiesero cosa fosse il mio quirk per me e la risposta che diedi è uguale a qualcosa che hai detto: una splendida parte di una splendida me. » Non facevo un mistero di essere tutto sommato un po' (giusto un po') vanitosa o che pensassi che tutto ciò che avevo mi stesse a pennello, dai capelli all'unicità e anche in quest'occasione non avrei ritrattato per niente: considerando com'avevo vissuto gli ultimi anni in America potevo dire di essere venuta su molto bene per la strada che avevo intrapreso e non riuscivo più a considerare niente di ciò che fosse nella mia vita come fuori posto se non per quest'odio immotivato che il mio aspetto mi portava.

    « Da quello che vedo, però, sei diventata una ragazza con la testa sulle spalle. Un bel fiore, se permetti un complimento. »
    Nessuna implicazione, assolutamente. Volevo fosse un puro e semplice apprezzamento anche perché era davvero una ragazza carina e con un bel modo di fare. Mi permisi un piccolo sorriso, non volevo risultare indelicata ma incontrare il proprio compagno durante un episodio del genere dev'essere stato... « Che romantico. »
    Una battuta, sì. Non fatico ad immaginarmi la scena: quante ragazze avevo visto cadere per una persona che si era rivelata una piccola ancora di salvezza? Non che ci fosse niente di male, era un modo come un altro per capire di voler stare assieme ad una persona nel più classico dei casi da amore a prima vista. Chissà se sarebbe mai capitato anche per me un evento simile, non mi ci vedevo proprio cader vittima della sindrome della damigella in pericolo.
    Così mi piaceva chiamarla. « Mi sembra di capire però che tu abbia trovato la tua felicità. Come si chiama? » E scoprirla fondatrice di un movimento era davvero particolare, non credevo che una persona così potesse essere a capo di qualcosa perché mi dava l'idea di essere davvero...mite? Era questa la parola adatta? Probabilmente sì ma non essendo una cima a valutare bene le persone potevo anche non sorprendermene più di tanto.
    Però la cosa mi catturò l'attenzione, lo ammetto, perché era la motivazione per la quale sembrava davvero sapere di cosa si parlasse e soprattutto era una persona che forse stava facendo davvero qualcosa: non avevo ancora sentito notizie eclatanti a riguardo però poteva valer la pena di indagare. Mi sporsi un po' in avanti sul tavolo, quello in genere era il mio segno che la mia attenzione era incanalata per gran parte verso un punto preciso.

    Lei.

    « Ed allora chi dovrei prendere come esempio? » Le avevo già fatto presente che gli esempi più comuni da seguire non rientravano nelle mie corde.
    O meglio poteva averlo facilmente intuito. « Ed è più di quanto una come me abbia mai fatto, dunque... » Diedi una rapida occhiata attorno a me, giusto per verificare che nessuno stesse origliando. « ...se ti chiedessi di parlarmene, dovremmo cambiare posto? »

    Keep them longing,
    make them plead.

    SCHEDA | VILLAIN | CRONOLOGIA | #LIVELLO 3

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