Dolci Incontri II

Free Role | Mirai, Ryo & Yoshito

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    RYO TATSUKI
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    L'aria fredda tipica del mattino colpì il giovane ragazzo sul volto quando osò mettere piede fuori dalla porta della villa ad Ueno. Gli sarebbe piaciuto molto tornare dentro e accumulare in qualche modo accumulare calore nel suo corpo prima di dover uscire, ma si ripeté mentalmente che doveva essere forte, soprattutto quel giorno. Erano le sei e proprio in quel momento il cielo aveva deciso di schiarirsi e farsi colorare dal pensiero che il sole sarebbe uscito in poco meno di mezz'ora. Era inverno pieno e l'albino avrebbe volentieri passato la stagione come un orso in letargo per svegliarsi quando faceva un po' più di caldo la mattina, ma tirando su il colletto della sua giacca decise di affrontare il vento. Ryo stava con un'espressione corrucciata e gli occhi socchiusi mentre sentiva la faccia e le mani congelarsi. Aveva deciso un'altra volta per pigrizia e fretta di non metterseli ma si stava già pentendo di quella scelta poco considerata. Gli dava fastidio sporcare i suoi indumenti di farina ed altri ingredienti ed evitava di vestirsi con abiti che macchiandosi lo avrebbero fatto disperare. Stando a contatto tutta la mattina ed il pomeriggio con dolci ormai sentiva quel profumo incollato ai suoi palmi e gli sembrava sempre di "puzzare" di forno ormai. Era una scusa molto buona per giustificare che non avesse semplicemente voglia di preoccuparsi di dove metterli o di dimenticarli. Il percorso per la metro durava poco più di cinque minuti e i suoi occhi verdi videro da lontano grandi macchinari attorno al parco di Ueno. Anche se erano passati ormai mesi giurava che quel posto emanava ancora un forte odore di bruciato, oltre che una tristezza immensa. Non era il tipo da emozionarsi per un edificio o un monumento in fiamme, ma visto che la ETERNIUM House era proprio accanto al parco gli dava fastidio di non avere più la possibilità di farci una passeggiata. Erano pensieri che gli venivano in mente ogni mattina quando usciva per andare in pasticceria, ma non producevano particolari soluzioni o idee nuove. Aveva molto a cui pensare in quel periodo, tra l'apertura dell'attività ed il vivere in una città che voleva recuperare i danni che quell'attacco aveva causato. Quando andava a dormire pensava ai discorsi che aveva fatto con Evelynn e si chiedeva veramente cosa dovesse fare. Probabilmente non c'era niente più soddisfacente nella propria vita che seguire solo i propri ideali per andare avanti, ma in quel momento doveva anche pensare che Ryo Tatsuki doveva gestire un nuovo locale e doveva assicurarsi che filasse tutto liscio. Il viaggio nella metro fu veloce e si sbrigò anche lui nell'arrivare al locale a preparare per l'apertura, anche se non ci sarebbe stato nulla di particolarmente entusiasmante quella mattina. Si impegnò per far uscire quei prodotti con più cura possibile, visto che voleva fare la figura della pasticceria seria con i due che sarebbero arrivati quel pomeriggio per una specie di giornata di lavoro in prova.
    Ebbene sì, il Patisseryo aveva pubblicato online un annuncio in cerca di dipendenti nonostante non fosse un locale particolarmente grande. C'era però molto da fare ed il mulatto stava quasi impazzendo dietro a tutto ciò che doveva fare da solo, ragione per cui aveva deciso di pubblicare un po' dappertutto l'avviso. Non aveva idea di quale fosse la piattaforma migliore ma fintanto che era gratis, l'avrebbe usata. Gli erano arrivati una discreta quantità di curriculum e proposte di lavoro e si era messo ad analizzarle tra un momento libero e l'altro. C'era molta gente che non aveva mai avuto alcuna esperienza in quel campo e voleva semplicemente imparare un mestiere, ma Ryo non era sicuro che fosse la persona giusta per insegnare agli altri a fare dolci. Aiutava Yami ad imparare a cucinare, ma era una questione diversa lì: innanzitutto non doveva pagarla, era una sua amica e si riteneva un esperto a saper cucinare per sopravvivere. Fare il pasticcere era semplicemente una capacità collaterale dell'aver lavorato al Miko's come cassiere, con un pizzico di predisposizione. Però... non riteneva di avere abbastanza esperienza e passione per farlo come aveva fatto con lui la signora Miko, era qualcosa di impossibile per lui in quel momento. Ci voleva molto più amore e pazienza di quanta lui ne avesse da offrire. Per questo aveva deciso di sfoltire un po' i candidati prendendo più che altro chi aveva giusto un minimo di esperienza in quel campo o che semplicemente cercasse semplicemente di migliorare.
    Sotto gli occhi gli era capitata la proposta di una ragazza molto giovane che però lavorava già nella pasticceria dei suoi genitori, cosa che aveva incuriosito molto Ryo. Anche l'altro ragazzo aveva la sua stessa età, se ricordava bene, ma a Ryo non importava particolarmente quanti anni avessero. Beh, sì, doveva evitare di farsi arrestare per lavoro minorile ma se doveva essere sincero apprezzava che degli eventuali dipendenti fossero più giovani di lui. Lavorare con gente più grande come sottoposti lo avrebbe messo un po' in soggezione, come se avesse un qualche tipo di responsabilità verso di loro. Voleva qualcuno che fosse in grado di lavorare subito e sperava di sembrare una persona responsabile perché appunto, era decisamente più giovane di qualsiasi imprenditore che aveva mai conosciuto. Dell'altro ragazzo lo aveva colpito il cognome in tutta onestà: era molto altisonante ed era anche curioso di capire chi si sarebbe trovato davanti. Non sapeva molto di loro se non che fossero entrambi studenti ma gli andava bene comunque, si trattava di un lavoro part time dopotutto. Aveva quindi mandato loro una email cercando di sembrare professionale, accordandosi con loro di venire quel pomeriggio per fare una prova sul campo. Sperava che gli orari più o meno coincidessero con quello delle loro lezioni, ma per quello si sarebbero poi messi d'accordo tra di loro, sempre lo avessero convinto.
    Mi chiedo chi mi troverò davanti. Che stress assumere gente. - Mormorò tra sé e sé il ragazzo poco prima delle cinque di pomeriggio. Le ore del mattino erano passate in fretta e per fortuna c'era stato molto da fare prima di pranzo. Aveva dato loro quell'orario e li stava aspettando mentre puliva con uno straccio il bancone rimasto sporco dopo il passaggio di un cliente abbastanza frettoloso. Il Patisseryo aveva al centro dell'unico e grande spazio un tavolo con numerose sedie, come un'area sociale, mentre entrando già compiuto un passo si poteva notare a sinistra un lungo bancone dove la gente poteva mangiare su alti sgabelli. In fondo c'era un bancone dove la cassa e tutti i dolci erano esposti vicini: dal pane tipico dell'arcipelago ai piatti occidentali più di moda, ce n'era per tutti i gusti. Sulla destra c'erano dei semplici frigoriferi che contenevano sia bevande che i prodotti che dovevano restare al freddo. In quel momento del pomeriggio non c'era molta gente e la vera confusione sarebbe iniziata più tardi, quando la gente che doveva cominciare il turno di notte passava per prendere un caffè od altro. Aveva indosso un grembiule grigio sopra un maglione color nero mentre nella parte inferiore del corpo, per ora nascosta dall'alto mobile, portava un paio di jeans chiari ed un paio di sneakers nere e bianche. I suoi folti capelli bianchi cadevano sul suo viso in maniera ordinata coprendogli la fronte ed incorniciando i suoi tratti affilati. Gli occhi verdi guardavano la superficie di fronte a sé pensierosi e se si faceva attenzione si poteva notare che fosse un po' stanco, dovuto tutto allo stress accumulato durante quel periodo. Il locale era semivuoto in quel momento, eccezion fatta per un impiegato dall'aria stressata nel tavolo centrale, e sperava che le presentazioni non prendessero troppo tempo.
    VEDIAMO DI CHE PASTA SIETE FATTI.


    Ho evitato di includere troppe informazioni su Mirai e Yoshito e mi sono tenuto sul vago. Spero che l'orario e tutto vadano bene-

    Slot extra per me.
     
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    Mi metto questo… o quello? capelli scombinati e ancora bagnati da una doccia calda, accappatoio tre volte più grande di lei – azzurro - e aria indecisa di chi non sapeva cosa mettersi.
    Erano appena passate le otto di mattina, e Mirai era già in panico per il suo primo colloquio di lavoro che si sarebbe tenuto nel pomeriggio.
    Mirai osservava le combinazioni di abiti che aveva adagiato sul letto come se potessero darle la soluzione al rebus della sua intera esistenza « Uufff… voi che ne pensate? » si voltò verso la scrivania dove i suoi due pescetti, Orihime e Hikoboshi, nuotavano con estremo apatico menefreghismo al problema della giovane ragazza.
    Problema, come se fosse qualcosa di paragonabile a tutti quelli che aveva vissuto da quel giorno in cui Tokyo aveva visto giorni bui.
    Era passato abbastanza tempo per tirare un sospiro di sollievo, poco tempo per dimenticare, troppo poco tempo per abituarsi a quella nuova vita.
    Dopo essere stati portati via da Shibuya ed essere passati per qualche giorno in un centro accoglienza, alla famiglia Ishigami era stata data in vista momentanea una nuova abitazione nel quartiere di Akihabara.
    Per Mirai fu difficile lasciare la propria casa, ambientarsi in quella nuova, lasciare da una parte ciò che aveva scoperto sulla sua vita e rimboccarsi per poter essere indipendente.
    Quel giorno per la ragazza sarebbe stato importante proprio per questo motivo.
    «Primo colloquio di lavoro… e non so neanche cosa mettermi… sono davvero una frana…» si schiaffeggiò le guance con entrambe le mani.
    Obi Ishigami era già tornato al lavoro da un po’ mentre sua madre cercava di aiutare una fruttivendola vicina perché la pasticceria in cui lavorava prima a Shibuya ancora non era stata riaperta.
    Mirai invece dopo quei giorni bui, dopo tutta quella paura, quell’angoscia, quell’impotenza e quelle rivelazioni non aveva alcuna intenzione di restare con le mani in mano.
    Lo avrebbe fatto per sé e per non gravare sulle spalle dei suoi genitori, e forse magari avrebbe potuto provvedere a sé stessa e prendersi magari una stanza per vivere da sola e così avere più spazio per sé e per cercare risposte (ma quest’ultima parte era stata volutamente tralasciata per i suoi che accolsero con somma gioia il fatto che voleva darsi da fare).
    Per questo motivo aveva mandato curriculum – grazie anche all’aiuto di sua madre – ovunque.
    I primi risultati furono un autentico buco nell’acqua, nessuna risposta, niente di niente, neanche un: “no mi spiace non mi interessa”.
    Questo l’aveva portata a chiedersi se magari era meglio cominciare con qualcos’altro piuttosto che la pasticceria.
    Sua madre le aveva insegnato i trucchi del mestiere, l’aveva messa ai fornelli, ad impastare, a saper usare il cuore e la mente con gli ingredienti di dolci che andavano da quello più semplice e tradizionale fino a quello più strano ed occidentale. Il problema rimaneva la sua inesperienza.
    Dire di avere fatto dolci a casa con mamma non era proprio il massimo da scrivere sul CV ma era riuscita ad aggirare in parte il problema.
    Il fatto che poi fosse stata una semplice fattorina – non è proprio scontato conoscere luoghi e avere a che fare con clienti particolari e a volte tenere rapporti di fedeltà e amicizia /sembra mafia ma non lo è/.
    Il problema derivato dall’essere adesso una fattorina era che la gente era sparsa ovunque a volte lontana dalla propria casa – come lei – e i problemi si potrebbero elencare all’infinito e tutti derivavano dal fatto che era stata – ed era tutt’ora – dura rialzarsi dalla caduta.
    In tutto questo pensare, rimuginare, cercare, disperare e sperare, suo padre trovò quasi per caso un annuncio di una pasticceria neanche troppo lontana da dove abitavano loro.
    Pensò di provarci con l’aria di chi già sa che non andrà a buon fine e invece…
    Quando ricevette per la prima volta la mail di conferma e un orario per fare una “prova sul campo” Mirai per poco non svenne.
    Finalmente qualcuno aveva ricevuto, visualizzato e scelto il suo Cv su tanti e l’aveva pure chiamata per una prova.
    « Y---y----yaaaaaay!!! » strinse le mani vicino alle sue guance per poi alzarle di scatto facendo un piccolo saltino cercando di scaricare la tensione mista all’immensa gioia ed eccitazione del momento.
    Quello era il giorno in cui Mirai Ishigami avrebbe fatto vedere di che pasta era fatta per conquistarsi quel titolo posto – nella sua testolina si immaginava uno showdown alla mortal combat a colpi di farina, impasti, matterello e teglie…- e di una cosa era certa.
    Non se ne sarebbe andata a mani vuote ma vincitrice.
    « Khkhkh… » sghignazzò tra sé e sé mentre alzava il phon per asciugarsi i capelli ramati e lunghi fino alle spalle in modo da renderli meno scombinati.

    « Sigh… ho paura… » pensò mentre osservava allo specchio la sua figura per intero con aria abbattuta.
    Scarpe basse nere, lucide - con le stringhe - calze scure e un vestitino color fumo sopra il ginocchio – con spallini fini – adagiato sopra una camicia bianca a maniche corte. Per completare il tutto un nastro nero sul colletto legato a fiocco.
    Era graziosa, semplice, e genuina. Era lei, così come era e così come appariva.
    La sicurezza che aveva avuto fin dalla mattina era scemata via via che il tempo passava e si avvicinava l’ora x.
    « Sto cercando di migliorare, ma non è così semplice… » sospirò e non sapeva quante volte aveva ripensato alle parole di quel ragazzo trovato sulla spiaggia, al fatto che doveva essere più sicura di sé per poter arrivare ovunque lei volesse andare.
    I suoi capelli erano stati acconciati con una semplice crocchia dietro la nuca che lasciava scoperto tutto il suo volto, fatta eccezione per alcune ciocche che le cadevano vicino alle orecchie.
    Il suo sguardo dallo specchio si spostò alla scrivania dove il suo corredo dorato se ne stava poggiato.
    Trasse un profondo sospiro, un immenso e profondo respiro per tranquillizzare gli spiriti inquieti che le massacravano lo stomaco per poi tornare a guardarsi allo specchio e sfiorare con delicatezza i lobi delle orecchie senza provare a toccare la parte interna buia come l’abisso.
    « Questa sono io. » disse guardando il riflesso allo specchio e se c’era una cosa che era riuscita ad imparare era proprio questo. Apprezzarsi e non avere timore di mostrarsi per ciò che era in tutto e per tutto.

    Quando si chiuse la porta alle spalle, pronta e carica per il colloquio, il corredo era sulla scrivania della sua stanza.

    Si era messa in cammino un giubbotto con il cappuccio tirato sulla testolina perché avere il vento girovagare nelle sue cavità era una sensazione piuttosto fastidiosa.
    Portava una borsa a tracolla capiente contenete il grembiule che sua mamma le aveva regalato – non sapeva perché l’aveva con sé ma lo aveva preso come portafortuna – e cellulare sempre a portata di mano.
    Era fredda quella giornata, eppure Mirai non avvertì tanto freddo quanto era in realtà.
    Il suo corpo tremava come una foglia così tanto per l’agitazione che la teneva al caldo più di quanto avesse fatto una stufa.
    Come sarà il mio datore di lavoro? Sarà affascinante? Sarà un tipo simpatico? Sarà alla mano o no? Che cosa mi farà fare? Sarò in grado di fare ciò che mi chiede? E se per caso fallisco… e se per caso incendio la cucina? il suo sguardo era totalmente immerso in questi pensieri mentre le sue gambe si muovevano seguendo una strada conosciuta – ma non certo familiare.
    Era strano abitare in un nuovo quartiere e ancora non c’era proprio del tutto abituata, eppure in quel momento tutto il mondo sembrava essere svanito.
    In quel momento c’era solo lei, i suoi pensieri e la sua agitazione.
    E meno male che le strade erano state pulite, altrimenti sarebbe stato ancora peggio considerando la sua fobia per le farfalle l’avrebbero vista camminare con lo sguardo alzato verso il cielo.
    Mancava solo questo e più che al Pastisseryo – così si chiamava quella pasticceria – l’avrebbero trascinata in un manicomio.
    Devo stare tranquilla, respirare ed essere me. Coraggio Mirai! Devi essere sicura di te. Credere nella parte di te che crede in sé stessa. Sì… in quel momento in cuor suo sperava tanto di voltarsi e poter vedere alle sue spalle il suo Sensei, Akahito e Yoshito… quei tre strani soggetti che con la loro forza erano riusciti a fare tanto per lei.
    Poteva ancora mandare qualche messaggio ma le sue mani tremavano dal freddo e dall’agitazione e dubitava fortemente anche solo di riuscire a digitare qualcosa sulla tastiera del cellulare.

    Quattro e cinquanta. L’appuntamento era alle cinque del pomeriggio.
    Mirai si era trovata di fronte all’entrata del Pastisseryo alle quattro e cinquanta spaccate.
    Sembrava un posticino molto carino, un luogo caldo e accogliente dove poter staccare il cervello dalla vita frenetica e godersi un po’ di relax accompagnato da dolce o da qualcosa di caldo da bere.
    Un posto da condividere con amici e questo gonfiò il cuore nel petto della ragazzina.
    E’ bellissimo… commentò mentalmente mentre i suoi occhioni divennero grandi come presi da una forte emozione.
    Poter essere assunta in quel posto sembrava per lei un sogno troppo grande per poter essere realizzato e invece… era lì, mancavano sei minuti e poi il destino sarebbe stato nelle sue mani e – ora che aveva visto il posto e dopo essersene letteralmente innamorata – non aveva alcuna intenzione di lasciarsi scappare quell’opportunità.

    Un respiro profondo, si abbassò il cappuccio e si sistemò i ciuffetti ribelli e, nonostante l’agitazione del momento, si fece forza e aprì la porta della pasticceria.
    «S-S-alve. » la sua voce balbettante squillò con un volume più alto del solito non sapeva cosa in realtà dire, quale fosse l’etichetta, per questo optò per una semplice entrata in scena come se fosse una normale cliente.
    Mosse un passo dentro il locale, felpato, come se stesse per mettere piede in un luogo disseminato di trappole e richiuse la porta alle sue spalle.
    La prima cosa di cui Mirai aveva memoria di quel posto era l’odore di buono, odore di dolci, odore di casa.
    La pasticceria dentro era anche più bella di quello che si aspettava Mirai: un tavolo con numerose sedie al centro di uno spazio enorme mentre alla sua sinistra troneggiava un lungo tavolo agghindato con sgabelli per permettere alle persone di sedersi, rilassarsi e soprattutto parlare.
    In quel momento, molta gente aveva bisogno di parlare, e pochi posti potevano avere la fortuna di avere simili spazi in cui fare nuove conoscenze e tornare a socializzare e a non avere più paura.
    Era un posto meraviglioso.
    Poi c’erano i dolci, quasi si dimenticò di tutto il resto per un attimo quando il suo sguardo venne rapito da forme, colori, consistenze e delizie di ogni gusto e di ogni nazionalità.
    Sembrava di essere entrati in Paradiso.
    Il bancone con la cassa, i frigoriferi, e ogni altra cosa, perfino le poche persone che vi erano dentro, tutto scomparve alla sua vista: se qualcuno l’avesse chiamata, le avesse parlato, le avesse urlato contro o altro, Mirai non ci avrebbe minimamente fatto caso.
    Bel modo per presentarsi, ma almeno le sue orecchie erano scoperte e data la mutazione che mostrava due fori al posto del condotto uditivo avrebbe forse aiutato chiunque a capire che fosse sorda.
    Non che ci volesse un genio, certo, ma di sicuro quell’indizio avrebbe aiutato parecchio.
    Si portò là dove vi erano tutte quelle prelibatezze e con meraviglia commentò con un
    « Wow. Sono stupendi. » in quel momento si ricordò per quale motivo fosse lì e ritornò con i piedi per terra, un po’ intimorita perché cose così meravigliose forse non riusciva a farle… forse…
    Sondò con lo sguardo alla ricerca di qualcuno e notò un ragazzo, un po’ più grande di lei, dall’aria stanca dietro ad un bancone.
    Si schiarì la voce e si portò di fronte a lui con passi un po’ incerti dall’emozione, senza prestare attenzione ad altro in quel momento.
    Era un tipo carino, aveva capelli bianchi che incorniciavano il suo volto alla perfezione e mettevano in risalto la sua pelle olivastra come un’opera d’arte.
    Vestito in maniera molto classica e semplice sembrava proprio in perfetta sintonia con l’atmosfera di quella pasticceria.
    Furono però i suoi occhi a colpire di più la ragazzina, verdi smeraldo e ipnotici come quelli di una certa conoscenza anche se questi sembravano essere teneri e parecchio stanchi.
    Dopo un qualche secondo di imbarazzo per essere stata a fissarlo con uno sguardo incantato, Mirai si riscosse e prese coraggio e parola.
    Ce la puoi fare. Rilassati e presentati… e non fare figuracce!
    « Salv-e. Mi chiamo Mirai Ishigami e…sono qui per la prova di lavoro. » anche se non poteva sentire, capì che la sua voce era tremolante ma non poteva farci molto.
    Strinse la tracolla della borsa con forza e abbassò leggermente la testa in segno di rispetto per poi tornare a guardare quel ragazzino.
    Non ci sono molte persone qui... che sia lui il “boss delle torte”…?
    mm_0
    MIRAI ISHIGAMI
    VIGILANTES » LIVELLO #3
    BAKE
    the World
    A better place! ...~ 🍰

     
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    YOSHITO AMATERASU
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    Ai! … Ai! Erano appena le sei del mattino nel distretto di Asakusa e nel silenzio di quella giornata d'inverno, si udivano i distinti versi di un ragazzo dal dōjō di quartiere. Ai! … Ai! Come ogni mattino, Yoshito Amaterasu eseguiva diligentemente i propri kata assieme al suo bokken, nel giardino della propria casa. Era a petto nudo, e sfoggiava un grosso cerotto bianco sulla destra della sua fronte, ed urlava sonoramente i kiai ad ogni colpo che fendeva con la spada; era una pratica rumorosa ma necessaria per i suoi esercizi, gli serviva per comprimere la propria energia al centro del petto ed espanderla poi verso l'esterno attraverso i suoi colpi.
    L'aria gelida delle mattine invernali sulla pelle nuda non lo disturbava, il freddo tonificava il corpo e favoriva la circolazione, e poi svolgeva quel genere di routine da così tanto tempo che ci aveva oramai fatto l'abitudine. Per fortuna sia la famiglia che i vicini erano abituati a quella molestia mattutina. Ai! … Ai!
    Tuttavia c'era qualcosa di diverso quel giorno: l'allenamento di oggi non era solo per il suo mero benessere fisico e didattico, ma gli serviva anche per esorcizzare alcuni pensieri che da un paio di giorni gli affollavano la mente. Uno tra questi era un colloquio di lavoro, con relativa prova sul campo, che aveva in programma proprio quel pomeriggio.

    Ma facciamo qualche passo indietro.

    Dopo i fatti del Dr. Takashi e degli atti di terrorismo che avevano sconvolto Tokyo ed in cui anche lui era finito coinvolto, sebbene solo in parte, Yoshito era rimasto ferito ad un fianco e ad un braccio -ma anche nello spirito, sebbene in minima parte- e questa fu la principale causa che portò ad uno screzio non indifferente col padre. L'uomo, da sempre contrario al percorso scelto dal figlio, aveva deciso di farlo ritirare dalla Yuuei, vietandogli il rientro a scuola; inutile dire che la cosa portò a dei dissapori che non poterono essere ignorati, e c'era un unico modo civile che due persone così potessero risolvere la situazione: un duello.
    Non vi tedierò con i dettagli, ma vi dirò solo che la questione è finita con un ferita sulla testa del ragazzo e con la possibilità di continuare gli studi, ma con la sospensione della borsa di studio che gli permetteva di sostenere le spese del suo percorso da aspirante eroe. Se avesse voluto continuare a studiare, avrebbe dovuto cavarsela da solo.

    Ed eccoci tornati ad oggi.

    Era riuscito ad ottenere dal padre un altro mese di sostegno economico, ma nulla più. Ed ora che la data termine di questo ultimatum si avvicinava, aveva assolutamente necessità di trovarsi un lavoro, altrimenti avrebbe potuto salutare per sempre i suoi sogni di gloria. Con l'aiuto di Kiichirō, il fratello minore, riuscì a compilare un CV decente e a mandare la sua applicazione per diverse mansioni.
    Kiichirō, non pensi di aver un po' esagerato nella stesura delle mie esperienze?
    Nii-san, non ti preoccupare. Se non fai così non ti chiamerà nessuno. Fidati di me!
    Il fratellino era piccolo e decisamente timido nel quotidiano, specie se paragonato a Yoshito, ma rispetto al fratello maggiore era decisamente più pratico con la tecnologia e l'uso del computer. Fu infatti grazie a lui che riuscì a trovare i siti giusti su cui cercare opportunità lavorative e a proporsi per alcune di esse; se fosse stato per l'aspirante eroe, starebbe ancora capendo come cercare di far funzionare quel vecchio aggeggio rettangolare che il padre usa giusto per gestire la contabilità dell'attività familiare.

    Inizialmente pensò di puntare verso attività che gli permettessero di sfruttare le sue conoscenze nelle arti marziali, ma andare a lavorare in un altro dōjō e simili, sarebbe stato un disonore che non avrebbe mai potuto sopportare e né si sarebbe mai concesso. Le attività più manuali, in cui avrebbe potuto mettere in opera il suo fisico allenato, non avevano invece orari a lui comodi che gli permettessero di far conciliare il lavoro con lo studio, e quindi dovette scartare anche quelle. Per quanto gli sarebbero piaciute, le attività di volontariato e pro bono non fornivano un sostegno economico adeguato per permettergli di sostenere i suoi studi e quindi, a malincuore, scartò anche queste.
    Fu per casualità -o destino- che il fratellino trovò l'annuncio di una pasticceria neo aperta nel distretto di Akihabara; era a pochi chilometri da casa loro, quindi l'avrebbe potuta raggiungere facilmente in bicicletta o a piedi, con orari a lui comodi e una paga dignitosa. Perfetto si potrebbe dire. In più, l'idea di lavorare in una pasticceria non gli dispiaceva; gli tornò infatti in mente la confessione di una ragazza che aveva incontrato lo scorso Tanabata, la sua padrona, una certa Mirai Ishigami. Gli disse che lavorava come fattorina per la pasticceria della madre e che, nonostante fosse figlia di una pasticcera, era un totale disastro davanti ai fornelli; il pensiero lo fece sorridere.
    Penso che le mie abilità culinarie sian pari se non inferiori a quelle di lei. Valutò tra sé e sé immaginandosi nei panni di cuoco. Tuttavia, potrei proporre la mia persona al servizio dei tavoli e dei clienti. Decise quindi di mandare la sua applicazione come "aspirante cameriere", una bella caduta di stile da quella di "aspirante eroe" si potrebbe dire, ma Yoshito non è un ragazzo schizzinoso e certi pregiudizi e pareri né gli importavano e né gli pesavano. I suoi pensieri adesso erano rivolti verso quella fanciulla dai capelli ramati. Fu così che un senso di colpa iniziò ad attanagliarlo: si rese conto che non la vedeva né la sentiva da un po', forse un po' troppo, nonostante s'erano promessi il contrario; per ovvi motivi, avevano smesso di chattare dopo l'interruzione delle comunicazioni dovute dagli atti terroristici ma, dopo la loro ripresa, non s'era mai preso la briga di risentirla. Forse non voleva disturbarla, forse si aspettava che fosse lei a contattarlo; comunque sia, era sicuramente colpa del fatto che non fosse un tipo molto "social".
    Preferiva il dialogo di persona anziché attraverso quei marchingegni chiamati cellulari ma, sebbene non si sentisse comunque in torto, non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Per questo aveva bisogno di allenarsi, voleva sfogare i propri problemi e pensieri attraverso il lavoro fisico; e poi quel giorno aveva un colloquio di lavoro, non poteva permettersi distrazioni.
    Se questo dì risulterà vittorio, faccio voto a me stesso che proverò a contattarla.
    Una promessa che altre volte s'era fatto ma che tuttavia non aveva avuto il coraggio di mantenere.

    Ma parlando di lavoro, anche questo gli portava non pochi quesiti.

    Oltre ai classici dubbi sull'essere o meno all'altezza delle aspettative, la domanda che più lo premeva era. Mi domando come mai abbiano accettato la mia applicazione. Dopotutto il Patisseryo, era questo il nome della pasticceria, era un locale di nuova apertura e che probabilmente aveva bisogno di personale con decisamente più esperienza di lui, quindi fu più che sorpreso quando il fratello lesse l'email con risposta positiva alla sua candidatura. Forse Kiichirō ha gonfiato troppo il Curriculum... Storse la bocca imbarazzato a quel pensiero. Penso che lo chiederò al proprietario una volta arrivato.
    In questo momento Yoshito era difatti già in cammino verso Akihabara ed il luogo per l'incontro. Aveva terminato un po' prima le lezioni quel giorno per poter tornare a casa e prepararsi come si deve per l'occasione; era pur sempre il colloquio di lavoro dopotutto. Non sapeva cosa indossare -ovviamente- se fosse stato per lui si sarebbe anche vestito come di suo solito, ma ci pensò la figura più invadente in casa Amaterasu a farlo desistere: la madre. Fu praticamente lei a decidere per lui l'abbigliamento da adottare e, se non avesse replicato, probabilmente lo avrebbe vestito lei stesso se ne avesse avuto le forze. Gli fece indossare una camicia color, un indumento che indossava di raso e a cui non era per niente abituato, Mi sento strano con questi vestiti addosso, a cui correlò un paio di scarpe e pantaloni neri ed eleganti e persino una cravatta che sposava i colori della sua casata. A coprir le spalle però, indosso il suo bianco haori, solo su questo non volle sentir ragioni. Anche i capelli non ebbero scampo al trattamento della donna: vennero raggruppati in una coda di cavallo, con due ciocche lasciate libere a calar ai lati del suo viso, in alternativa alla sua solita accapigliatura selvaggia.
    Ora era finalmente pronto per uscire, forse troppo elegante per il tipo di impiego a cui stava aspirando -o forse no?- ma Miyuki Yozakura era testarda ed aveva i suoi metodi di mamma per risultare persuasiva; di certo non avrebbe mai permesso che il suo ragazzo facesse brutta figura, nemmeno a lui stesso.

    Cercando di non pensare a niente e mantenere il suo spirito positivo, il sedicenne camminava sorridente e a passo spedito per le vie del centro, ripetendo mentalmente quale formula usare e quale tono utilizzare per presentarsi al suo potenziale futuro titolare. Arrivò davanti alla pasticceria in perfetto orario, si fermò davanti all'ingresso per sistemarsi la cravatta e prendere un bel respiro prima di varcare la soglia, come se dovesse immergersi in apnea in un mare a lui nuovo e sconosciuto.
    Forza, andiamo! Mormorò a sé stesso prima di entrare. Il locale era semplice ma al contempo caratteristico: non c'erano i classici tavolini da bar a cui era abituato, ma un unico tavolo troneggiava al centro della pasticceria in cui i clienti mangiano tutti attorno ad esso, scambiando quattro chiacchiere. È come la tavola rotonda delle storie di re Artù! Pensò mentre sfoggiava un volto estasiato. Continuò a viaggiare con gli occhi e ad esplorare quel posto con lo sguardo, mentre rimaneva fermò davanti all'ingresso; seguì con la vista tutto il bancone alla sua sinistra, osservandolo nella disposizione ed ammirando i dettagli.
    Subarashii! Esclamò spontaneo, mentre nella mente lodava il locale ed i suoi particolari, dagli sgabelli fino alla merce in esposizione. Salve, sono Yoshito Amaterasu… Salve! Sono Yoshito Amaterasu!
    Con lo sguardo un po' perso nei suoi pensieri, ripeteva come un mantra la propria presentazione; era così concentrato su come dovesse proferire quelle parole che non fece quasi caso, e ovviamente non riconobbe, alla figura dai capelli ramati che le dava le spalle mentre si avvicinava al bancone più in fondo.
    Perdonate l'intrusione e permettetemi augurarvi un buon pomeriggio! Proruppe stentoreo come era suo solito fare, attirando probabilmente le attenzioni di tutti nel locale.Costui è Yoshito Amaterasu e son qui per sostener colloquio come da accordi privati!
    Decise all'ultimo di cambiare formula e optare per una presentazione più formale -con la quale paradossalmente si trovava più a suo agio- temendo che un linguaggio più comune fosse visto come poco professionale.
    Orbene, permettetemi di aggiungere che è mio più grande piacere fare la vostra conoscenza
    Così avrebbe replicato a chiunque lo avesse accolto da dietro al bancone, eseguendo un saikeirei verso il suo interlocutore. Nonostante all'esterno si mostrava molto sicuro e solare, all'interno era nervoso e insicuro di come comportarsi; era la sua prima esperienza di lavoro e non voleva deludere le aspettative. Era così pensieroso che non riconobbe la ragazza del Tanabata anche adesso che l'era così vicino alle spalle… Forse anche perché, quella che aveva davanti, non sembrava veramente la stessa ragazza di allora. Un'aura diversa avvolgeva Mirai, ma forse questa è solo una supposizione del narratore.
    SET YOUR OVEN ABLAZE!
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    RYO TATSUKI
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    Il giovane pasticcere diede un'ennesima occhiata all'ora sul suo cellulare. Sapeva che il tempo non sarebbe avanzato di più di tanto, anche se continuava ad accendere e spegnere lo schermo come un faro sul mare. Non c'era molto da fare, anche perché aveva già preparato tutto in anticipo per quella giornata. Gli piaceva fare bella figura, anche se si trattava di due possibili dipendenti e non era certo che alla fine lavorassero lì. Il cliente era rimasto a fissare il proprio smartphone per tutto quel tempo, sembrando quasi una statua messa lì per abbellire l'ingresso. Ogni tanto Ryo buttava uno sguardo in quella direzione, forse cercando disperatamente un contatto con un essere umano. Un po' di conversazione per calmare i propri nervi. Non aveva mai pensato che sarebbe stato il superiore di qualcuno e tutta l'ansia che provava veniva trasmessa sul bancone tramite un movimento ritmico delle dita. Se avesse saputo come comunicare in codice Morse, avrebbe mandato ad un possibile spirito che viveva nella farina una richiesta di aiuto. Guardò di nuovo l'apparecchio poggiato dietro di sé. Erano le cinque spaccate e sospirò sollevato. Per fortuna si trattava di due ragazzi giovani e quindi se doveva fare un po' il generalista avrebbero di sicuro varcato la soglia in una decina di minuti, dandogli il tempo di prepararsi.
    Buongiorno! - Invece, il tintinnare dell'ingresso lo fece trasalire e scattare dritto, guardando immediatamente in direzione dell'ingresso. Non fu solo però il suono proveniente del campanello a fargli rizzare i capelli, ma anche il tono delicato della persona dall'altra parte del bancone. Era appena entrata una ragazza che sembrava quasi una bambola, o una idol. Almeno per come era abituato, gli sembrava vestita per esaltare la graziosità del suo aspetto, tra cui i capelli sul rosso e gli occhi similmente colorati. Gli sembrava la tipica ragazza delle pubblicità dei vestiti per le giovani donne, insomma. Il proprietario della pasticceria la vide un po' spaesata, come se stesse ammirando uno splendido paesaggio in miniatura dietro il vetro. Era lei? Non era pronto, non era pronto. Apprezzò il complimento ai suoi dolci e lo sguardo della ragazza si fermò però su di lui. Se fosse stato uno studente delle superiori probabilmente in quel momento sarebbe arrossito ed avrebbe provato a distogliere lo sguardo, ma semplicemente mantenne il contatto visivo con lei. Ora che era più vicina notò meglio ciò che la ragazza portava alle orecchie. Inizialmente le aveva scambiate per delle cuffie, ma sembravano eccessivamente voluminose e complicate per avere la semplice funzione di ascoltare musica. Il corno di Mirai aveva interessato per un attimo lo sguardo del pasticcere ma, tra tutte le code e caratteristiche strane dei suoi amici, era passato velocemente in secondo piano.
    Ehm... buonasera? - Un altro elemento era arrivato all'interno della pasticceria, un po' più rumoroso rispetto alla ragazzina che invece sembrava sul punto di svanire nel nulla. Era un biondo (anche se i suoi capelli sembravano andare anche per altri colori) che aveva esclamato una tipica espressione di sorpresa. Era nuovamente felice che il locale facesse una tale impressione, anche perché non aveva speso poco per arredarlo così. Questa volta era un po' più preparato e salutò nel modo giusto il nuovo arrivato, che si presentò velocemente seppur in maniera curiosa. Ryo non era mai stato particolarmente bravo in grammatica giapponese o coi kanji e sentire quel modo così ricercato di parlare lo confuse per un attimo. Non che non avesse capito cosa Yoshito intendesse, ma la sua mente doveva fare più di un giro per arrivare al punto. Si concentrò per un attimo sul suo vestiario e doveva dire che entrambi sembravano aver scelto i loro abiti migliori per presentarsi e, se da un lato apprezzava il rispetto che i due gli stavano donando, temeva che avessero sbagliato ad usare quegli outfit così belli in un luogo dove ci si poteva sporcare facilmente. Si girò però verso la ragazza che si era presentata poco prima, che sembrava far parte della squadra di budini in frigo da quanto la sua voce era "piccola". Non aveva colto tutto quello che aveva detto, ma per un attimo entrambe le loro posizioni combaciarono in un inchino rivolto verso di lui. Sentì una strana pressione verso di lui. Significava quello essere rispettati? Se dal punto di vista di Yoshito la ragazza col corno aveva un'aura diversa, a Ryo che non aveva mai incontrato il biondo sembrava di avere appena accolto un elegantissimo sole all'interno del proprio locale, tanto che anche il dipendente attaccato al telefono si era girato per controllare.
    Ahem, benvenuti. Piacere, Ryo Tatsuki. - Si presentò anche lui e fece un inchino veloce, cercando di non strafare. Siete in super orario, benissimo. Mi pare che Ishigami avesse chiesto per una posizione di aiuto-pasticcere e Amateratsu come cassiere. Intanto facciamo un giro veloce della pasticceria, così vi faccio vedere dove lavoro. - Ryo era nervoso ma la sua voce era senza crepe o incertezze - si era preparato un discorso per tenere assieme i crepacci della sua inesperienza con lo scotch. Invitò i due a seguirlo sul retro, anche perché l'uomo seduto poco lontano aveva deciso di farsi silenziosamente gli affari loro, e varcando la porta color bianco avrebbero potuto notare il laboratorio di Patisseryo. Numerosi macchinari voluminosi o meno formavano uno stretto ma navigabile luogo di lavoro, occupando i lati a sinistra e destra, mentre sembrava esserci un piano rialzato in fondo alla stanza. Quella che si poteva notare con più facilità era una grossa impastatrice che aiutava a fornire a grande velocità la materia prima necessaria per molti dolci. Ce n'erano anche un paio più piccoline sul fondo della stanza, dove grandi tavoli metallici fornivano uno spazio di lavoro piuttosto agevole rispetto all'ingresso. Un sottile strato di farina era un po' ovunque, così come il forte odore di impasto. Questo è il laboratorio e faccio tutto qui in pratica. Scusate per il disordine ma se ne crea un po' durante la giornata. Dopo proveremo a fare qualcosa per vedere come te la cavi, ok? - Si sarebbe voltato verso Mirai, osservando la sua reazione. Inizialmente gli era sembrata un po' troppo timida e sperava che almeno in quel campo avesse una certa convinzione. Considerato che aveva ancora quelle cose sulle orecchie, a Ryo venne il dubbio che fossero una qualche specie di apparecchio e provò a parlare più chiaro del solito. Lì sopra metto la farina e le altre cose per preparare, vi chiedo solo di fare attenzione e di chiamarmi se dovete prendere qualcosa. Lì dietro c'è il bagno, inoltre. - Indicò un'ulteriore porticina di legno scuro, un po' più isolata rispetto al resto. Prendere quei sacchi non era impresa facile ed era convinto di stare sviluppando dei muscoli nelle braccia soltanto grazie a quelli, ma passò velocemente oltre per tornare nella stanza principale. Lì avrebbe mostrato quello che già avevano potuto osservare, tra cui i frigoriferi che contenevano i vari dolci freddi ed il bancone.
    Ah ecco, Amateratsu-kun. Mi servirà una tua mano alla cassa ma anche per pulire ed in caso aiutare a tenere il laboratorio ordinato. Naturalmente faremo tutto a turno ma dovremo organizzarci con gli orari. Generalmente però io starò fuori con te per aiutarti a servire il tavolo centrale o nella cucina. - Disse serio al ragazzo, sperando che non avesse rimostranze, più che altro perché tornare ogni sera tardi a casa a causa delle pulizie lo stava sfiancando. Avendo letto il suo curriculum però Ryo era convinto che non avrebbe avuto problemi. Le sue skill migliori erano gestire lo stress e lavorare in gruppo, almeno secondo quello splendido grafico a torta che aveva visto impaginato lì. Dopo quella richiesta avrebbe guardato entrambi con braccia conserte, come se fossero in un qualche programma di cucina. Bene, uhm. Se avete qualche domanda fatela ora. Tra un'oretta arriverà molta gente che viene qui per una pausa ed il prodotto più richiesto dagli impiegati è l'anpan. Lo hai mai fatto? - Il pan con i fagioli rossi, un dolce che gli veniva piuttosto bene. Sperava che anche l'interpellata Mirai fosse sicura di sé, perché anche se avrebbe fatto una bellissima figura all'interno del locale, doveva fare da pasticcera e doveva essere brava.
    VEDIAMO DI CHE PASTA SIETE FATTI.
     
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    Lo sguardo di Mirai si era posato sul ragazzo a cui aveva chiesto informazioni mentre con una mano si spostava un ciuffetto di capelli dietro l’orecchio per nascondere un po’ il leggero imbarazzo e agitazione che provava in quel momento.
    Il fatto poi che non avesse più quella sensazione di sicurezza degli strani oggetti che le coprivano le orecchie la rendeva ancora più fragile di quanto in realtà non desse a vedere.
    Era come se si trovasse su un ciglio di un precipizio, troppa paura di cadere e troppa forza d’animo per evitare di sporgersi.
    Trasse un grosso respiro e non si rese conto minimamente della persona che le si stava avvicinando alle spalle tanto era presa dalla risposta del giovane che aveva di fronte.
    Si presentò come Ryo Tatsuki.
    Oh… un nome semplice… si chiama come il Sensei. Bene…. sorrise di rimando pensando che in questo contesto doveva evitare i nomignoli e che era una fortuna che si potesse ricordare almeno il nome. Per il cognome… ci avrebbe lavorato su.
    Strano però… ha detto benvenuti? Mirai non aveva ben compreso la situazione. Non aveva la minima idea di chi avesse dietro e sembrava che il giovane avesse sbagliato a darle del plurale quando…
    « A—Aspetti…. C-cosa ha detto? » oramai pensava di essere un’esperta nel leggere le labbra altrui, soprattutto se si trovava direttamente di fronte all’interlocutore, eppure aveva forse letto male?
    AMATERASU – cassiere.
    O per meglio dire. AMATERASU e basta?
    La stava prendendo forse in giro? Eppure aveva continuato il discorso come se di fronte a lui non vi fosse una sola persona ma…
    « … non è possibile… » il filo di voce della ragazza rasentava quello udibile forse dall’orecchio umano, come se fosse più un pensiero che parole pronunciate dalle sue labbra.
    Si girò, lentamente come se le avessero appena detto che avrebbe visto in volto una persona che non si sarebbe mai aspettata di trovare lì, in quel posto, in quel momento.
    E invece era così.
    I suoi occhi si posarono sulla figura di Yoshito e il suo cuore saltò un battito, forse due…
    No, non era un fantasma, era davvero Yoshito Amaterasu, quel Yoshito Amaterasu.
    Si portò le mani alle labbra per soffocare quel grido misto tra sorpresa e felicità e….le ci volle una forza d’animo superiore a tutte quelle che aveva dimostrato fino a quel momento per non gettarsi al suo collo e abbracciarlo con tutte le sue forze per vedere se effettivamente era reale.
    Rimase invece sul posto, tremando come una foglia, mentre gli occhioni si riempirono di lacrime.
    « Y-Yoshikishi-kun…. Tu-c-che ci fai qui? E’… così bello vedere che stai bene…! » la sua voce incredula, mista ad una gioia pura e semplice.
    Quanto avrebbe desiderato domandargli tutto, e passa, ma in quel momento non poteva.
    Era lì, per lavoro, era lì per sostenere una prova che ne andava in parte del suo futuro e dovette mordersi le labbra per non apparire più una bimbetta come era un tempo, ma una ragazza professionale e pronta ad abbracciare il mondo degli adulti.
    « Ma come… come hai fatto a sapere dove stavo cercando lavoro? Possibile che… sia stato tutto un… caso? » ancora, forse di nuovo, era tutto voluto dal destino… anche quell’incontro?
    Si asciugò i lacrimoni prima che potessero scenderle sulle guance e poi fece un breve inchino per scusarsi con il suo forse-datore di lavoro.
    « M-Mi perdoni… ma … è da… quando è successo tutto quanto che non ci…vediamo. E’ stata una sorpresa questa. Chiedo scusa. » le faceva male dire quelle cose, perché sapeva perfettamente che era colpa sua se non l’aveva ricontattato, se non l’aveva neanche rivisto.
    Si sentiva maledettamente in colpa e quella sensazione le faceva male, davvero tanto male.
    « Sono però davvero felice di rivederti …» quanto avrebbe voluto chiedergli tante cose, sui fatti accaduti nei momenti bui di Tokyo, se era stato buttato in prima linea, se stesse effettivamente bene e … molto altro ma si limitò ad offrirgli il più caloroso dei sorrisi e si promise di ritagliarsi un po’ di tempo dopo quella giornata per poter parlare nuovamente con lui.
    « Andiamo? » gli chiese per poi anticiparlo a seguire Ryo Tatsuki nella “gita” all’interno del locale.
    Le sue emozioni che si agitavano in lei sembravano contrastanti, tra la gioia, l’agitazione, la tristezza e il calore di avere accanto non solo in quel momento ma forse chissà anche nei giorni futuri nel posto di lavoro una persona come Yoshito Amaterasu.
    Era tutto così strano, e tutto così surreale eppure cercava con tutta sé stessa di rimanere con i piedi per terra e cercare di non farsi prendere troppo da quella situazione.
    Finirò per perdere la testa prima di sera….aaaaaaahhh…. seguì il futuro capo sul retro del locale quando l’odore di impasti, dolci e molti altri odori squisiti le arrivarono alle narici facendola tornare lentamente al presente.
    A quel momento.
    Ricordandole che avrebbe dovuto mettersi alla prova di lì a breve.
    Agli occhi di Mirai apparvero a destra e sinistra macchinari di ogni tipo, natura e genere, che aveva già visto nei laboratori della capa di sua madre in cui lavorava come fattorina.
    Sapeva come si usavano dato che le poche volte che avevano avuto bisogno di una mano in più lei si era sempre offerta volontaria.
    A pensarci adesso è stato davvero un bene…
    « Woooh » non riuscì a trattenere quel grido di stupore quando osservò la mega impastatrice che aveva di fronte – certo ce ne erano anche di più piccole, ma quella regina aveva catturato il suo sguardo come se fosse la star del retro della pasticceria.
    « Tatsuki-san, è tutto così… meraviglioso… e non si preoccupi per il disordine. » disse rivolgendosi al suo capo, non sapeva in realtà come rivolgersi in maniera adeguata ma sperò di non essere stata scortese. Al disordine avrebbe rimediato in caso lei, non era un problema.
    « C-Certo. » vacillò balbettando alla domanda del ragazzo che l’aveva colta un po’ alla sprovvista, nel senso che si aspettava sì di essere messa alla prova ma sentirselo dire dal futuro datore di lavoro era decisamente tutta un’altra cosa rispetto alla sua voce interiore.
    Più passava tempo nel retro di quella pasticceria, e più si abituava agli odori e alla vista di quei macchinari, e più sembrava acquisire sicurezza e familiarità in un posto totalmente nuovo: sembrava come se fosse stata catapultata indietro nel tempo in quei giorni in cui ancora tutto era perfetto.
    Mirai annuì ad ogni spiegazione di Ryo, su dove vi erano gli ingredienti, sul fatto che dovevano chiamarlo se avevano bisogno di prendere qualcosa, sul bagno – una cosa molto importante per una ragazza da non sottovalutare assolutamente.
    Nel mentre tornavano alla stanza principale, Mirai si prese un secondo per dire a Yoshito una semplice frase prima che potessero continuare « Mi sono comportata malissimo. Mi dispiace se non ti ho ricontattato. E’ stata dura… Scusami. Ma… sono felice che tu sia qui. Spero davvero di poter lavorare assieme a te. » la presenza di quel ragazzo le infondeva come sempre gran coraggio, e forse poteva sembrare poco ma per lei era davvero tanto.
    Perché adesso aveva un motivo in più per combattere per quel posto di lavoro.
    Nella sala principale dove vennero portati osservò di nuovo tutto quello che c’era quando era entrata.
    Lesse sulle labbra del ragazzo tutto quello che aveva detto, del fatto dei turni e che insomma avrebbero dovuto lavorare come una vera e propria squadra.
    Una cosa che a Mirai piaceva molto, perché era soprattutto in squadra che dava sempre il massimo e questo ancora nessuno lo aveva capito, nessuno lo aveva visto… nemmeno lei ma quel pensiero le dette una nuova carica e quell’agitazione che aveva si trasformò in smania di mettersi all’opera.
    Ce la metterò tutta. Non vedo l’ora….
    Mirai osservò Ryo Tatsuki a braccia conserte mentre spiegava loro che a breve, massimo un’ora, sarebbe arrivata molta gente. Impiegati per lo più che avrebbero speso nel locale la loro pausa per gustare l’anpan.
    La ragazza dai capelli rossi si sentì chiamata in causa e drizzò la schiena come se fosse sotto un generale di un esercito che le aveva appena chiesto il resoconto della missione.
    Era un dolce molto buono, una sottospecie di panino arrotolato ripieno di marmellata di azuki rossi che sua mamma spesso le portava dalla pasticceria come merenda: non le piaceva particolarmente ma sapeva come prepararlo e questo in fondo era tutto ciò di cui in quel momento aveva bisogno.
    « Yasubei Kimura. » disse con voce ferma e un grosso sorriso sulle labbra « Il nome del samurai che primo ideò e preparò questo dolce. Conti su di me, Tatsuki-san. Non la deluderò! » disse portando una mano sul cuore come se stesse facendo un giuramento.
    « Avrei solo poche domande, da farle. La prima. Dove possiamo appoggiare cappotti e borse? La seconda…. » si fermò un attimo e si portò anche l’altra mano sul petto a reggere la prima « … » nessuna parola parve uscire dalle sue labbra al momento come se ci fosse un blocco nascosto che le impedisse di continuare quel discorso.
    « Più che una domanda, è una piccola …richiesta… non vorrei che si creassero malintesi…ecco. Sì, vede io … io sono sorda. » pronunciò quelle parole con un po’ di imbarazzo che cercò di non dare a vedere « Per cui vorrei chiederle se gentilmente potrebbe o toccarmi o farmi uno squillo al mio numero di cellulare se per caso avesse bisogno di me – ed io non me ne accorgessi. Questo… per lei potrebbe risultare un problema? » si augurò in quel momento con tutto il cuore che non fosse così. Lo sperò, e il suo sguardo implorante sembrava chiedere grazia per una condizione che non poteva tenere nascosta a lungo e che non voleva più tenere nascosta ancora.
    « L’altra domanda, sì ecco: ha un ricettario? » chiese evitando di restare troppo sul discorso disabilità che non la metteva a proprio agio.
    « Infine… quando posso iniziare? » chiese con fermezza senza lasciare che un solo sguardo finisse verso Yoshito, e il linguaggio del suo corpo in tutte quelle domande sembrava solo voler dire: guarda quanto sono diventata forte.
    Anche se ne aveva di strada da fare…
    mm_0
    MIRAI ISHIGAMI
    VIGILANTES » LIVELLO #3
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    YOSHITO AMATERASU
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    Da dietro il bancone, una voce si fece sentire per accogliere il giovane Amaterasu; ancora non lo sapeva ma era proprio il proprietario colui che gli aveva parlato.
    Mentre si avvicinava verso chi lo aveva accolto, Yoshito non si risparmiò nel studiare quella figura a lui sconosciuta nel più piccolo dettaglio. Era un ragazzo un po' più basso di lui, ma sicuramente più grande, lo poteva affermare osservandone i lineamenti; ma ciò che catturò maggiormente la sua attenzione, furono i tratti poco nipponici dello sconosciuto interlocutore: pelle olivastra, capelli bianchi e due occhi color smeraldo.
    Che sia straniero?
    Si domandò l'aspirante cassiere ma, da quanto ne sapeva, poteva anch'essere una mutazione ereditaria o un qualcosa del genere; dopotutto, ai loro giorni, i "tratti giapponesi" non erano più distintivi come un tempo. Sia per le mescolanze etniche che per l'arrivo delle unicità, molti giapponesi nativi da generazioni, aveva un'apparenza tutt'altro che nipponica; i capelli stessi di Yoshito non erano un qualcosa che si potrebbe definire un tratto "comune" nella loro cultura.

    Il ragazzo dietro il bancone fu molto educato, si presentò col nome di Ryo Tatsuki, il proprietario; Ryo eseguì un rapido inchino verso il nuovo arrivato che -ovviamente- venne prontamente contraccambiato.
    Costui rinnova il suo piacer nel far la vostra conoscenza, Tatsuki-san. Vi ringrazio nuovamente per la possibilità concessa.
    Cercò di mostrare sempre il suo lato più solare e sorridete, lasciando che i problemi che lo avevano condotto proprio lì, alla ricerca di un lavoro, rimanessero fuori dal locale.
    Ho bisogno di questo lavoro. È mio dovere cercar di mantenere una buona impressione.
    Ryo continuò a parlare e dichiarò, per conferma, i ruoli per cui sia Yoshito che l'altra ragazza, si stavano proponendo.
    Confermo.
    Rispose diretto Yoshito mentre sfoggiava il suo solito sorriso.
    Un attimo… Ha detto Ishigami?

    Già, l'altra ragazza.

    Quella figura femminile ch'era stata davanti a lui sin dal suo arrivo, e che aveva ignorato per tutto quel tempo, sembrò materializzarsi solo un volta nominata difronte agli occhi del ragazzo.
    Non può essere QUELLA Ishiga…
    Il suo pensiero si congelò nell'attimo esatto in cui il suo sguardo si abbassò e iniziò a mettere a fuoco. Capelli rosa ramati, un po' più bassa di lui e, improvvisamente, notò anche quell'appuntito corno dorato che spuntava dalla sua fronte.
    COME HO FATTO A NON NOTARLA PRIMA!?
    Gridò a sé stesso nella sua mente mentre lei sembrò girarsi quasi a voler dargli conferma della sua stupidità.
    Yoshikishi-kun
    In tutta la sua vita, solo quella ragazza conosciuta al Tanabata lo aveva chiamato in quel modo. Non poteva che essere LEI.
    Mirai! Esclamò calmo e sorridente. Son felice di rivederti!
    Esternamente Yoshito appariva normale, ma all'interno stava morendo dall'imbarazzo per la gaffe appena commessa. Non puntualizzò volutamente che non l'avesse riconosciuta, speranzoso di distrarla da ciò, per non recarle alcuna offesa
    Che se ne sia accorta?
    ÈImpossibileCheNonSeNeSiaAccorta!

    Vorrei confessar che quest'incontro è premeditato. Ma son qui per proporre me medesimo per un lavoro in questo, nulla più e nulla meno. Le risposte tentando di mostrarsi il più naturale possibile. Stai calmo. Cerca di mostrarti lo Yoshito di sempre! Si disse come se stesse recitando una parte.
    Probabilmente, come quel giorno, v'è l'operato divino dietro a suddetto incontro. Una prova inconfutabile della volontà del destino!
    Il piano era semplice: comportarsi come se niente fosse e sperare che lei non desse peso a quell'onta.

    Chissà cosa pensava Ryo difronte a questa scenetta.

    Il pensiero al momento non l'aveva ancora sfiorato, fu Mirai la prima a rendersi conto della potenziale pessima impressione che stavano dando al loro -forse- futuro datore di lavoro, rimediando immediatamente con delle parole di scusa.
    Accortosi della figuraccia, il giovane Amaterasu seguì a ruota la fanciulla e si prostrò in una serie di inchini -parecchio marcati- accompagnati da una sequela di scuse che, in realtà, si limitavano ad una sola parola.
    Sumimasen! Sumimasen! Honto ni sumimasen!
    Lo ripeté con vigore ad ogni inchino, attirando probabilmente l'attenzione di quei pochi clienti nel locale, incapace di trovare parole più forbite ed adatte da accompagnare alle sue giustificazioni. Il suo tono era così imbarazzato, che probabilmente sfatò completamente quell'aria solenne di si era ricoperto nei minuti passati.
    Si calmò, per fortuna, grazie alle parole di lei, a cui rispose un sorriso ed un semplice Anch'io; seguì un banale cenno affermativo del capo, quando lei lo invitò a seguire Ryo.

    Tatsuki, difatti, era l'unico che in quel momento esibiva un minimo di professionalità, proseguendo ad illustrare ai suoi -forse- futuri dipendenti l'ambiente di lavoro in cui si sarebbero mossi.
    Per gli Dei, che imbarazzo! Rimanendo silente e con lo sguardo basso, il ragazzo seguì i due come chiudi fila del gruppo. Non sembrava esser offesa o arrabbiata per non averla notata. Nelle retrovie, Yoshito rimuginava su ciò ch'era appena accaduto tentando di mantenere come meglio poteva il suo sangue freddo. Ma se fosse solo una farsa? Se in realtà stia mantenendo le apparenze per via della situazione? Ma dentro di sé stava già fallendo miseramente. Che sia tutto un suo piano per farmela pagare in un secondo momento? Forse sta escogitando un gioco di punizioni come QUELLA VOLTA!?

    Entrarono nel retro del Patisseryo, dov'era stato allestito il laboratorio. La vista di quell'ambiente così spazioso, bianco e pulito, riuscì a distrarre e a calmare la mente di Yoshito, da tutte le stravaganze a cui stava pensando. Woah...! Osservò quel luogo con occhi di meraviglia, c'erano differenti macchinari sia nella forma che nella dimensione, tutte con la loro funzione; il ragazzo osservò con un po' di preoccupazione quelle diavolerie tecnologiche -così le chiamava Yoshito- ben conscio della sua incapacità nell'usare gli strumenti moderni.
    Spero non debba ma usarle.
    Dopotutto era di Mirai il compito d'armeggiare con quegli aggeggi . Un attimo... Mirai dovrà cucinare? Se lo domandò come se ci fosse arrivato solo in quel momento; mentre Ryo continuava ad illustrare ai due la dispensa e l'ubicazione del bagno, al giovane Amaterasu tornarono in mente le parole che la ragazza gli disse durante il Tanabata.
    Non sono proprio un granché in cucina… A dirla tutta sono un po’ un disastro.
    Andrà veramente bene tutto ciò?
    Gli venne spontanea osservarla con preoccupazione, cercando però di nasconderla ai presenti; non era per mancanza di fiducia nella fanciulla, semplicemente non desiderava vederla soffrire. Ma, osservandola meglio, Mirai sembrava una persona molto diversa rispetto a quella ragazza conosciuta al Tanabata: era più decisa e sicura di sé; Yoshito non riuscì a trattenersi nello sfoggiare un sorriso mentre la guardava. Forza Mirai, metticela tutta!

    Fu in quel breve momento di pausa, in cui Ryo era impegnato a spiegare alla donzella il lavoro, che l'aspirante cassiere fece caso ad un dettaglio cruciale, ch'era però riuscito a far passare inosservato.
    Non ha i copriorecchie.
    Quando la incontrò l'estate prima, Mirai indossava dei vistosi padiglioni dorati che le celavano le orecchie e di cui era parecchio gelosa; mostrò persino non poca preoccupazione quando ne perse uno durante la festa e fu lui stesso a procurarle una copia in sostituzione. Mmh... Mugugnò a voce bassa mentre si toccava il mento e continuava ad osservarla. Ci son delle cavità scure, là dove dovrebbero esserci le sue orecchie. Osservò il ragazzo con occhio curioso. Che fosse per questo motivo che indossava quei padiglioni? Che se ne vergognasse? Era genuinamente incuriosito da quella peculiarità della fisiologica della fanciulla. Probabilmente è una mutazione dovuta alla sua unicità. Non ne era disgustato né spaventato, ai suoi occhi i quirk erano tutti affascinanti e degni del suo apprezzamento.
    L'unica cosa che però ancora non questionò -nonostante le evidenti prove mostrategli- fu la sordità della ragazza.

    Quel filo di pensieri fu ben presto interrotto da Mirai stessa; poche parole che sorpresero il ragazzo e a cui si sentì imbarazzato nel dover dare una risposta… Ma che ovviamente diede comunque e cercando di rimanere nel suo personaggio.
    Non v'è motivo che tu mi porga le tue scuse. Reputo me stesso complice, se non il principal colpevole di suddetta situazione. Facciamo che questa è la mia punizione per lo scherzetto dell'altra volta. Le disse sorridendo e facendole un occhiolino, riferendosi a quando lo aveva piantato in asso senza nemmeno salutarlo. E comunque è il sottoscritto, colui che è davver felicitato della tua presenza qui. In questo luogo e in questo giorno. Spero in una lunga e profiqua collaborazione!

    Tornarono al bancone, nella sala principale, e qui fu il turno di Ryo di attirar le attenzioni del samurai. Gli illustrò i compiti che avrebbe svolto con la sua mansione: avrebbe aiutato a mantenere in ordine e con le pulizie, avrebbe affiancato Ryo al servizio dell'unico grande tavolo del locale e, soprattutto, avrebbe gestito la cassa.
    Certamente Tatsuki-san. Spero costui si mostri degno delle vostre aspettative.
    Accettò senza alcuna rimostranza. Come un soldato difronte ad un suo superiore, non si sarebbe mai permesso di controbattere ad un ordine. Quello che lo preoccupava, e forse ci pensò lo sguardo a tradirlo, era la cassa automatica, che osservava come si osserva un compito a scuola di cui non si conosce nemmeno una risposta.
    Spero di farcela ad usare quell'arnese... Dopotutto, quando complesso potrà mai essere?
    Storse il muso, non convinto lui stesso dai suoi pensieri. Hmph! Ma tuttavia riuscì comunque a sfoggiare un sorriso e un po' sicurezza, perché aveva con sé un oggetto su cui sapeva avrebbe potuto fare affidamento nel momento del bisogno.
    Per fortuna son venuto preparato. Userò il mio "asso nella manica" se sarà necessario.
    Si disse per rassicurarsi mentre una mano andò a toccare un qualcosa nella sua tasca destra.

    I preparativi eran finalmente terminati e Yoshito si sentiva più che pronto ad alzarsi le maniche e a sporcarsi le mani. Ma come in ogni storia, è proprio quando tutto sembra andar per il meglio che la situazione precipita. Ryo chiese scolvongentea Mirai se sapesse preparare un dolce specifico, una domanda semplice e alla quale la giovane rispose con tranquillità e con delle informazioni che Yoshito trovò parecchio interessanti.
    Fu ciò che disse dopo ciò che lo sconvolte.
    Aspetta un attimo, ha detto che è... Sorda!? Ci mise un po' per metabolizzare la cosa, ma quando il cervello assimilò finalmente quella verità inaspettata, davanti ai suoi passò avanti tutto quanto il Tanabata. Rivide tutto quel ch'era successo quel giorno come se stesse assistendo ad una presentscolvongenteazione Power Point in cui le slide scorrono rapide e senza mai fermarsi; tutte quelle situazioni, tutti quei momenti, iniziarono ad avevano adesso un significato completamente diverso se quel che disse la fanciulla era vero.
    Il volto del ragazzo si fece improvvisamente serio, mentre sentì una sensazione d'imbarazzo che cresceva e lo assaliva dall'interno, così forte che si sentiva come se delle ferite gli si stessero aprendo dentro.
    AAH~! FA MALE! FA MALE~!!!
    Esternamente Yoshito si mostrava tranquillo ed impassibile, sforzandosi di mostrarsi sorridente come al solito...
    Ma all'interno stava urlando in presa al panico.
    IL SOLO PENSIERO DI QUANTO POSSA ESSERLE SEMBRATO RIDICOLO IN QUEI MOMENTI, MI FA COSÌ MALE AL PETTO CHE SENTO CHE POTREI MORIRE QUI E ADESSO!
    Era una rivoluzione troppo sconvolgente per poterla assimilare tutta assieme.

    Chiuse un attimo gli occhi, inspirò profondamente e tentò di riacquistare il suo contegno anche all'interno.
    Mantieni la calma Yoshito e cerca di apparire normale.
    Sembrò esserci riuscito ma quando il suo sguardo cadde su Mirai e sulle cavità che aveva per orecchie, girò il capo per guardare altrove e perse nuovamente lucidità.
    NO~! NON CE LA FACCIO! COME POSSO PARLARLE ADESSO CHE SO QUANTO SONO STATO STUPIDO QUEL GIORNO!?
    Cercò di prendere coraggio e, rivolgendosi verso Mirai cercando di attirare la sua attenzione con un dito -come si fa scuola per prendere la parola-, iniziò a parlare con fare insicuro, più lento e balbettante, come se volesse assicurarsi -per la prima volta- che potesse leggere il suo labiale.
    Oh, M-Mirai. Non s-sapevo fossi s-sorda! Le disse abbozzando un sorriso a palpebre stretta. Mi c-chiedevo se fosse una situazione s-sorta di recente, o a cui tu sia stata s-sempre soggetta?
    Si giocò la carta del finto tonto, forse speranzoso che la risposta fosse la prima, forse l'era successo qualcosa per colpa del siero anti-quirk, no?
    Ma dentro di sé sapeva benissimo quale fosse la risposta.
    È OVVIO CHE LO SIA SEMPRE STATA! È PER QUESTO MOTIVO CHE INDOSSAVA SEMPRE QUEI PADIGLIONI!

    N-Non ho a-alcuna d-domanda, Tatsuki-san. P-per me p-possiamo pure iniziare!
    Si rivolse poi a Ryo sia per rispondergli e sia per cercare una distrazione, mostrandosi ancor più balbettante per via della situazione.
    Per tutto il tempo cercò di mostrarsi calmo e ponderato sia nel portamento che nel linguaggio, ma per quanto cercasse di controllare come apparisse internamente, la sua fronte s'era fatta visibilmente più lucida per via del sudore generato da tutta quell'agitazione.
    Non lo avrebbe mai ammesso, mai in quel momento l'unica cosa che avrebbe voluto fare era scappare via urlando.
    VOGLIO MORIRE!
    SET YOUR OVEN ABLAZE!
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    Se doveva essere sincero, Ryo sentiva quei due ragazzi abbastanza lontani a livello di mentalità. Non c'era poi così tanta differenza d'età, sarebbe potuto essere loro fratello maggiore. Era la consapevolezza di poter essere il loro "capo"? O forse era il vederli parlottare in quel momento così prezioso per loro, mentre lui osservava i due con una faccia tranquilla ma interiormente confusa. Il fatto che già si conoscessero era strano, anche se pensando alla sua di storia si ricordò di quanto piccola potesse essere Tokyo. Se non fosse stato un ambiente lavorativo non gli sarebbe importato nulla della storia che li collegava, anche perché il suo obiettivo era cercare dipendenti che facessero bene il loro lavoro. Vederli così emozionati gli fece quasi dispiacere però di trovarsi lì in mezzo per qualche istante, come se fosse un qualche momento che stava rovinando. Poi si ricordò che erano nella sua pasticceria e che dovevano essere assunti e si sentì meno in colpa. Considerato che le parole di Yoshito sembravano sempre più confuse e pompose, si chiese effettivamente se non fosse un qualche attore che stava cercando un nuovo ruolo nella sua attività. Alzò un sopracciglio poco prima che finissero di parlare, prima di vederli fare aria con tutti quegli inchini. Quel
    Non vi preoccupate. Immagino sia bello rivedere i propri amici dopo tutto quel caos. Se lavorerete entrambi qui sarà sicuramente destino. - Ryo sorrise ai due, cercando di sembrare più o meno comprensivo per non allungare troppo il discorso. Di sicuro non poteva sgridare due persone che quasi stavano piangendo dopo essersi rivisti. Gli veniva da ridere in realtà: in tutta la sua vita probabilmente non aveva mai ricevuto così tanti inchini messi assieme e si sentiva quasi qualcuno di importante. Non sapeva bene se farli rilassare di più o tenere quell'atteggiamento serio e di compostezza che non gli apparteneva del tutto. Era sicuro molto preciso quando si trattava del Patisseryo, ma lavorando da solo poteva decidere il proprio comportamento come meglio preferiva. Ma di fronte a quei due ragazzi così giovani? Lo avrebbero rispettato se si fosse dimostrato un po' più morbido con loro? Per lui era importante che tutti e tre fossero chiari l'uno con l'altro, ma non era sicuro di come esprimere questo concetto con le parole o con il suo comportamento.
    Sono contento che vi piaccia. Anche per i macchinari in caso chiedi a me, ti posso insegnare come usarli. - Ryo si grattò la nuca dopo li complimento, soprattutto dopo quel tipo di onorifico rivolto verso di lui. Per lui andava abbastanza bene che si chiamassero con quel tono almeno per ora. Anche se erano più giovani ed erano ancora studenti (da quel che sapeva), li avrebbe trattati con lo stesso rispetto al contrario dei vecchi che ai suoi tempi rompevano solo le scatole a quelli della sua età. Soprattutto in Mirai era evidente che non avessero mai messo piede in un laboratorio più o meno serio, ma c'era da dire che anche per lui era stato un ambiente del tutto nuovo. I due si erano messi a parlare di nuovo nel mentre, cosa che l'albino richiamò solo leggermente invitandoli a proseguire. Mh, proseguiamo? - Avrebbe chiesto con un sorriso, girandosi un attimo verso i due. Sperava di non essere sembrato sgarbato in quel momento, ma se doveva dire la verità non era molto contento di lasciare la sala vuota con solo un cliente. Tornati quindi lì dove quel tizio seduto stava per terminare di mangiare, fu contento di vedere che Yoshito non avesse nulla di particolare da ridire.
    Ottimo! Allora quando quel cliente ha finito ci pensi tu? Mi pare di aver letto che tu abbia già lavorato in questo campo. - Gli chiese senza strafare troppo con il volume della propria voce. Ci mancava solo che quello si sentisse osservato e non tornasse più perché qualcuno gli aveva rivolto attenzioni indesiderate. Non sembrava aver notato nulla e quindi l'albino semplicemente guardò speranzoso il suo candidato dipendente indicandogli la cassa. Proseguendo quindi il discorso che riguardava la parte della pasticceria, fu piacevolmente stupito di vedere non solo che la Ishigami sapesse con precisione la storia di quella pietanza, ma anche di vedere quella decisione nelle sue parole. Considerato che poco prima sembrava molto più silenziosa e sensibile, il pasticcere concluse che fosse quel tipo di persona che era estremamente dedicata a certe attività ma non particolarmente alle interazioni sociali. Non che fosse un male, anche lui era così di solito.
    Sì, certo. Per ora potete metterli sotto la cassa, poi mi procurerò qualcosa di più comodo. E mi stavo quasi dimenticando una cosa. - Era una cosa a cui non aveva pensato, visto che si era sempre immaginato a gestire quel locale da solo. Si sarebbe precipitato verso la zona che aveva appena indicato, tirando fuori dalla stessa una coppia di grembiuli grigi su cui era ricamato sopra "Patisseryo". Erano per loro due e glie li avrebbe dati in ogni caso, avrebbe odiato far sporcare qualcuno perché gli mancava il grembiule. Mentre tornava indietro però, con ancora i due pezzi di tessuto tra le mani, avrebbe ascoltato ciò che Mirai aveva da dire.
    Oh? Non... avevo capito, scusami. - Ryo sbatté le palpebre un paio di volte in maniera istintiva, un'espressione piacevolmente sorpresa apparve sul suo volto. Ryo non aveva mai conosciuto una persona completamente sorda ed ora si chiedeva come avesse fatto a capire tutto quello che aveva detto. Probabilmente gli aveva letto le labbra, ma si chiedeva quanto fosse difficile, soprattutto quando a parlare era anche Yoshito con i suoi termini strani. Per l'albino non era un problema la sua condizione, perché per fortuna non serviva ascoltare nulla tra la farina e lo zucchero per preparare qualcosa di buono. Si chiese però se fosse in grado lui di poter gestire una situazione del genere con la giusta delicatezza. Evelynn gli aveva detto che era molto gentile, ma lui si era sempre reputato una persona molto insensibile nel profondo. Anche quelle scuse, valevano qualcosa? Forse qualcosa l'aveva imparata dagli Amanti di ETERNIUM: bisognava analizzare bene le persone per capire cosa fare con loro, in maniera positiva o negativa. Non ci sono problemi per me. L'importante è avere la passione in questo campo e tanta volontà. - Ryo unì le mani tra di loro, questa volta parlando a voce più bassa. Erano le parole di Miko Matsubara, la sua mentore, le stesse che gli aveva detto quando lui aveva dichiarato di non sapere fare nulla di particolare. La cosa che lo stupiva più di quella situazione era che neanche il suo "amico" sapesse della sua sordità: si conoscevano veramente? O si erano visti una volta sola e semplicemente c'erano nuovi modi da fare tra gli studenti delle superiori? Trovava tutto ciò abbastanza incredibile, ma non esternò le sue emozioni rivolte al biondo. Considerato quanto sembrava nervoso ora, quasi nel panico, capì che era meglio non fargli altre pressioni.
    Mh, a dir la verità no. Però provvederò a breve. Ho già preparato tutto per oggi però. - Era un po' imbarazzato dall'essersi fatto trovare così impreparato, ma cercò di rimanere fermo e non sembrare un idiota. Una cosa che aveva dimenticato era proprio segnarsi le proprie ricette in versione scritta. Lui aveva imparato con l'osservazione diretta e facendo, senza leggere troppo online. Sapeva le porzioni di ciò che aveva imparato al Miko's e ne conosceva bene le quantità, tanto che non aveva mai sentito il bisogno di scriverle. Avrebbe di sicuro fatto comodo all'aspirante pasticcera, ma quel lavoro era qualcosa che doveva preparare bene. Dopo aver constatato che Yoshito non aveva dubbi su cosa fare, avrebbe proseguito finalmente con la consegna del simbolo del locale. Avrebbe proposto a Yoshito e a Mirai i grembiuli, oltre che una retina per la seconda visto che doveva cucinare. Sperò che il corno non le desse troppi problemi, in caso avrebbero cercato una soluzione assieme. Metteteveli e per ora seguimi, Ishigami-kun. Tu aspetta qui e fai la fattura al cliente, va bene? Fatti dire cosa ha preso e poi lo pigi sullo schermo touch, è molto facile. La cassa si apre, dai il resto e poi la chiudi. Se vuoi poi raggiungici. - Avrebbe spiegato velocemente a Yoshito, semplicemente dandogli un ripasso veloce di come funzionava il suo registratore di cassa. Era convinto che chiunque sarebbe stato in grado di usarlo. Non sarebbe passato molto tempo prima che l'uomo di mezza età si presentasse alla cassa chiedendo di pagare: aveva preso un caffè americano, due paste ripiene di crema e ne voleva un'altra da portare via.
    Tornando quindi indietro nel laboratorio, Ryo avrebbe condotto Mirai al bancone indicato prima che aveva già diversi mestoli ordinatamente posizionati sulla parte più a destra, tra cui un mattarello ed un pennellino per cucinare. Avrebbe cominciato a parlare, mentre tirava fuori dal frigo un paio di ciotole di vetro coperte da pellicola trasparente.
    Mi sembra di aver capito che li sai già fare. Ho già preparato l'impasto per due in ogni caso. Ah certo, prima laviamoci le mani. - Avrebbe poggiato sul lungo tavolo da lavoro i due contenitori che avevano al loro interno due panetti di impasto piuttosto voluminosi. Facendo qualche passo lungo la loro destra avrebbero trovato un lavandino dove era possibile lavarsi le mani. Ryo si era quasi dimenticato ma si mise la sua di retina, schiacciandogli un po' i capelli e lasciando la fronte libera. Dopo quell'operazione preliminare, avrebbe invitato Mirai a tirare fuori l'impasto come stava facendo lui. Era gonfio e bastava per creare almeno 8 anpan di dimensioni generose. Per gli anpan è molto importante che l'impasto sia fatto bene, o verranno male quando dovremmo dividerli in parti più piccole. Questo è venuto buono, per fortuna. - Mentre parlava Ryo faceva attenzione a girarsi verso Mirai per farle capire cosa stesse dicendo. Era un accorgimento che sperava fosse utile alla comunicazione. Avrebbe quindi lavorato un po' il composto facendo notare alla ragazza che anche tirando un po' non si rompeva.
    Intanto tagliamo il panetto in otto. - Ryo avrebbe indicato a Mirai uno strumento rettangolare in plastica dai bordi arrotondati, adatto a dividere il materiale morbido. Tagliando prima in quattro la sfera e poi creando degli spicchi, le avrebbe poi mostrato che era necessario lavorare ancora l'impasto per poi trasformarle in palle grandi all'incirca grandi quanto un pomodoro. Si aspettava che Mirai seguisse il suo procedimento alla svelta. Dobbiamo poi appiattire l'impasto e prendere l'anko. - L'albino fece la strada di prima prendendo sempre dal frigo un'altra ciotola con la pastella già pronta, mentre Mirai continuava il primo procedimento. Forse aveva fin troppe cose pronte, ma gli interessava più che altro vedere se tecnicamente era in grado di preparare tutto in fretta. Per ricette ed ingredienti c'era tempo. Le avrebbe passato il tipico strumento per raccogliere il gelato in palline oltre che il contenitore rettangole dell'anko, con il suo tipico colore marrone. Bene. Che dici se li riempi e li chiudi tu? Sono tanti, ma potremmo quasi dire che è un test. - Le avrebbe sorriso questa volta celando una risata sotto i baffi. L'impasto era diviso in sedici parti e, con un po' di curiosità, le avrebbe lasciato lo spazio di lavorare. In verità non aveva intenzione di farla lavorare da sola, ma chissà come avrebbe retto la pressione di una mole di lavoro non indifferente.
    VEDIAMO DI CHE PASTA SIETE FATTI.


    Chiedo perdono a Kinshara perché nel post precedente non mi sono in effetti accorto che non avesse i paraorecchie :zizi:. Spero di aver messo abbastanza in difficoltà Yoshito, naturalmente scrivi come vuoi tu cosa succede :**: .
     
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    Di tutte le cose che poteva immaginare, mai si sarebbe aspettata di trovare al Patisseryo Yoshito Amaterasu.
    “Sarà sicuramente destino” così la rossa aveva letto sulle labbra di Ryo Tatsuki e sorrise anche lei di rimando a quella buffa affermazione poiché in effetti… non era in fondo stato il destino a fare incontrare i due?
    Pareva che anche stavolta ci avesse messo le mani in pasta facendo proporre anche il cavaliere allo stesso lavoro per la quale si era proposta lei.
    « Ehe… pare proprio di sì. » commentò con il cuore gonfio di gioia alle parole auliche di Yoshito. Come facesse ancora a capire le parole che uscivano dalle sue labbra era un autentico mistero… certo era che a volte saltava un po’ in qua e in là, ma almeno il senso del discorso riusciva sempre a prenderlo.
    La magia e la maledizione di chi non fa affidamento sulla voce.
    Mirai fu la prima a scusarsi con il suo futuro datore di lavoro ma le emozioni forti erano sempre state troppo difficili da reprimere per lei e quella sorpresa era stata una di quelle.
    Le era mancato, le era mancato tanto vedere quel volto e quella buffa chioma, quel portamento da antico samurai e quell’imbarazzo che poco riusciva a mascherare.
    Sono stata davvero pessima a non contattarlo … pensò, ma se solo Yoshito sapesse quanti pensieri e paure l’avevano colta in quel brutto periodo… forse l’avrebbe perdonata.
    Ma non era quello il momento giusto per poter dire altro.
    Lasciò solo che il suo sguardo parlasse più della sua stessa voce; uno sguardo dolce e realmente felice di vederlo lì.

    « Oh… certo! Ho usato alcuni di questi, qualche volta al laboratorio dove lavorava mia madre ma… questi sono molto più tecnologici e nuovi…» rispose alle parole del suo futuro datore di lavoro « Tatsuki-san, credo proprio che dovrà illustrarmi alcune di queste funzionalità. Sì! Che cosa grandiosa! » esclamò osservando le serie di pulsanti sui macchinari che aveva lì attorno come se osservasse dei computer totalmente nuovi di zecca e super accessoriati.
    Forse quello non era il paradiso, ma per Mirai quel laboratorio la faceva sentire super eccitata e non vedeva l’ora di mettersi all’opera.
    E proprio in quell’attimo, presa da tale entusiasmo trovò la forza per spendere quelle poche parole con Yoshito prima che potesse mettersi davvero al lavoro.
    « Quale scherzetto? » portò la mano destra alle labbra e alzò gli occhi al cielo per evitare di incrociare i suoi e farsi leggere in faccia “colpevole” « Forse… non è colpa di nessuno dei due… ma di quello che è successo in generale e che ha un po’ scombussolato le cose ecco… sì. Beh, se vogliamo questa collaborazione, dovremmo rimboccarci le maniche quindi… dacci dentro, io credo in te. » gli disse per poi seguire Ryo Tatsuki di nuovo nella sala principale dove il cliente ancora se ne stava beato a finire ciò che aveva ordinato.

    « Uh? » la risposta alla prima domanda che aveva rivolto a Ryo Tatsuki prima di poter iniziare la prova vera e propria la lasciò un po’ spiazzata perché non si sarebbe mai aspettata non solo un semplice “potete metterli sotto la cassa” i giubbotti e le altre cose ma anche un dono.
    Il ragazzo si era precipitato proprio nel punto che aveva appena citato tirando fuori due grembiuli grigi su cui era ricamato il nome del locale.
    Mirai accolse il regalo tra le mani leggermente tremanti e con sguardo pieno di emozione osservò il tessuto e già si vedeva calzare a pennello quel grembiule in mezzo ai macchinari, alla farina, ai lieviti e a tutta la dolcezza del mondo.
    Si sentiva come parte di qualcosa anche se non lo era ancora.
    Ma già avere tra le mani quell’oggetto le dava una gioia mai provata prima, un senso di appartenenza a qualcosa che non era suo ma che avrebbe reso parte di lei.
    «G-G-grazie… è – è stupendo! » balbettò, lasciando andare un po’ quella voce leggermente nasale che le prendeva quando le emozioni non riuscivano a farla concentrare del tutto sulle parole.
    Mirai colse quella palla al balzo e decise di avanzare quella piccola richiesta sebbene la cosa la mettesse un po’ a disagio ma si ricordò quello che le aveva detto un certo tipo strano: doveva essere sempre sicura di sé e non vergognarsi di ciò che era.
    Per questo motivo si era presentata senza paraorecchie, dimenticandosi che forse – F O R S E – Yoshito non era al corrente della sua situazione.
    A sua discolpa, pensava che lo avesse intuito al Tanabata e al fatto che gli aveva gentilmente chiesto di non mandargli messaggi vocali… e invece si sbagliava.
    « N-Non fa niente. » disse mentre reggeva il grembiule su un braccio e mentre agitava la mano dell’altro per marcare le sue parole in risposta a Ryo « S-Spero che la cosa non sia un problema, ecco. » disse sperando in cuor suo che non lo fosse.
    Preferiva però averlo detto subito per evitare problemi o incomprensioni, soprattutto dato che quello era pur sempre un luogo di lavoro.
    Il ragazzo sembrava sorpreso ma non sembrava aver accolto la notizia nel peggiore dei modi, anzi.
    Scandì le parole che seguirono in modo che potesse vederle tutte senza perdersene neanche una: parole dolci, parole semplici ma genuine e piene di saggezza.
    Parole che arrivarono al suo animo prima di passare per la sua mente.
    « Io ne ho da vendere… » sussurrò, non sapeva se avessero potuto ascoltare le sue parole, ma non uscì altro che questo dalle sue labbra.
    Di volontà e di passione ne aveva davvero tanta, forse non tutto il male veniva per nuocere… forse quel tempo passato con sua madre era stato ciò che le serviva per poter prendere alcune delle sue più importanti decisioni tra cui quella di cercare un lavoro in pasticceria.
    « Non la deluderò. Taichou. » questa poi… aveva appena soprannominato il ragazzo come “capitano” e non sapeva neanche come le era uscito fuori questo nome. Forse per il fatto che si chiamasse Tatsuki e che fosse il suo datore di lavoro quindi un leader e un comandante?
    Chissà… I grandi misteri della mente di Mirai.
    Era così presa dalla discussione con l’albino che neanche si rese conto di quanto Yoshito Amaterasu stesse morendo dentro per la rivelazione appena avuta.
    « Ha già fatto tutto? Oh… fantastico! » non volle entrare nei particolari per quanti riguardava le ricette scritte perché sapeva anche lei che a volte non serviva carta e penna ma cuore e passione per fare una ricetta.
    Certo, qualcosa di scritto era più semplice per lei ma si sarebbe adattata senza problemi e poi era troppo impaziente di cominciare che neanche volle soffermarsi sopra ciò.
    Stava per aggiungere altro quando Yoshito le fece cenno con un dito, come per prendere la parola che con la coda dell’occhio la ragazzina lo vide e si voltò portando la testa su un lato.
    « Stai bene… Yoshikishi-kun?» chiese osservando il suo volto tra l’imbarazzato e il tremendamente pallido… pure le sue parole sembravano essere insicure, incerte e quasi prese da una sorta di panico.
    Faceva fatica a leggerle in effetti ma comprese la situazione, a grandi linee.
    Si avvicinò di un passo e gli mise una mano sulla spalla.
    « Caaaaalmati. Fai un bel respiro e tranquillizzati. » gli disse con voce melodiosa e premurosa « E’ tutto apposto. Ne? Pensavo che te ne fossi accorto al Tanabata, ma… non importa. Non ti preoccupare. » sorrise dolcemente per poi accarezzargli la spalla come quando si cerca di tranquillizzare un bambino sull’orlo di una crisi di pianto « Purtroppo sì. Sono nata così… sai? Era a questo che mi riferivo quando ti parlai del silenzio… comunque forse è un po’ colpa mia che non te l’ho mai detto chiaramente ecco… sì. » disse per poi portare la mano dalla sua spalla al grembiule che reggeva con l’altro braccio.
    « Avevo paura che mi potessi vedere con occhi diversi ecco. Già... per questo non ho detto nulla ma alla fine pensavo che tu lo avessi capito… scusami. » disse per poi rivolgersi a Ryo Tatsuki « E adesso riprenditi! Oggi è il gran giorno, non voglio che questa cosa possa rovinare la tua prova, quindi… vedi di non pensarci o…. » disse puntandogli il dito contro lasciando in sospeso la cosa, riservandogli soltanto un sorrisetto che aveva dell’inquietante.
    « Scusi, Tatsuki-san. Aveva bisogno di un po’ di incoraggiamento. Hehe. Bene! Sono pronta! » disse per poi correre verso la cassa e togliersi l’imbracatura di borsa e giubbotto e nasconderli là dove aveva visto il ragazzo tirare fuori i grembiuli.
    Anche se Mirai se l’era portato da casa, era felice di averne uno tutto suo come quello.
    Si aggiustò la gonna e la camicia per poi presentarsi di nuovo al duo giusto in tempo per vedere Ryo rivolgersi a lei dicendole di seguirlo.
    « Sì. Subito. » si mise senza un attimo di esitazione il grembiule e lo legò ai fianchi osservando come le stesse decisamente bene quel colore e come fosse meraviglioso tutto quello.
    Mirai seguì quindi Ryo di nuovo nel laboratorio e giunsero di nuovo al banco in cui erano disposti sopra utensili di pasticceria, un mattarello e un pennello.
    La ragazza lo osservò come una specie di avvoltoio, non lo faceva certo per cattiveria, ma non poteva fare altro per non perdersi neanche una parola di Ryo.
    Per cui, anche quando tirò fuori dal frigorifero ben due contenitori grossi di vetro ricoperti da pellicola, la ragazza staccò gli occhi dalle sue labbra.
    Mirai annuì « Sì, gli ho già fatti. E… sì, direi che per iniziare è la cosa migliore. » asserì per poi seguire i movimenti del suo capitano che le avrebbero mostrato il lavandino.
    Si lavò le mani molto bene finchè la pelle delle mani non sembrava più scivolare bene come prima segno che aveva tolto anche la minima impurità.
    Una volta finita l’operazione di pulizia, Mirai si avviò verso il bancone mentre Ryo si sistemava la retina per tenere i capelli ben premuti e lontani dalla fronte.
    La invitò a tirare fuori l’impasto dalla ciotola e Mirai non se lo fece ripetere due volte.
    Estrasse il contenuto gonfio e morbido e sentì le piccole dita venire inglobate da quella pasta perfetta.
    Il tatto era uno dei sensi che aveva sviluppato di più oltre all’olfatto e Mirai riusciva a comprendere facilmente quando un impasto aveva raggiunto la consistenza perfetta.
    Quella era la consistenza che si richiedeva per fare degli anpan spettacolari: tutto stava qui.
    Non nel ripieno, che comunque doveva essere altrettanto buono, ma nella pasta soffice e voluminosa.
    Sapeva come fare, e sapeva come muoversi, ma nonostante questo ebbe l’umiltà di osservare i movimenti del ragazzo e ripeterli anche lei perché sì sa… ogni pasticcere è come l’autore di un libro: possiedono tutti uno stile unico e diverso dagli altri.
    « Ha proprio ragione, sì. Io non credo che sia stata fortuna, Taichou. » chiese mentre tirava l’impasto che stava iniziando a lavorare affianco di Ryo Tatsuki « L’impasto è perfetto. Ha una consistenza ottima per gli anpan. Non è troppo morbido e neanche troppo secco, è una pasta perfetta. Poche volte mi è venuto così, sa? E questa non credo proprio che sia fortuna. Come ha detto lei è passione, e bravura. Questa pasta è davvero ottima. » sorrise osservandolo e ringraziandolo in cuor suo per essersi voltato verso di lei ogni qual volta apriva le labbra per spiegarle.
    « In otto… bene! » le indicò un oggetto in plastica, uno di quei coltelli – come lo chiamava lei – che aveva i bordi arrotondati in modo da tagliare bene l’impasto impedendo a questo di attaccarsi allo strumento.
    « Mmh.… prima una sfera... » disse compattando il composto fino a dargli una forma di un panetto di pane, non proprio rotondo ma più o meno sembrava arrivare a simile forma e poi seguì le mani del ragazzo tagliare la propria sfera in quattro e poi creare altri spicchi per poi lavorare ogni spicchio fino ad ottenere delle sfere grandi come un pomodoro o come le sue bolle.
    « E’ davvero bravo, sa. Da quanto tempo fa il pasticcere? » chiese mentre seguiva come un’ombra le sue mani, e cercò di muoversi all’unisono assieme a lui sebbene andasse leggermente più a rilento.
    « L’anko… sì. » in realtà, ora che ci pensava, Mirai ne aveva fatti diversi di anpan ma dai gusti più strani. A sua madre piaceva sperimentare e mettere un po’ del suo nelle ricette.
    Un po’ come nei mochi.
    La pastella era già pronta e messa in frigo e quando Ryo Tatsuki la prese, la ragazza si sorprese nel vedere quanto fosse già un pezzo avanti a quello che pensava.
    Credeva di dover fare tutto da zero e invece… le stava letteralmente insegnando il mestiere. Che fosse parte della prova non lo sapeva ma ne fu molto felice.
    C’era sempre qualcosa da imparare da chiunque.
    Continuò ad impastare gli spicchi di composto fino a che non ebbe finito tutto e in quel momento il ragazzo le porse una sottospecie di cucchiaio per raccogliere le palline di gelato e il contenitore con l’anko.
    «Oh… davvero? C-certamente! » ecco.
    Questa era quindi la prova.
    Sentì il cuore entrare in modalità “a tutta birra” e venne pervasa da un lieve tremito mentre osservava il cucchiaio in una mano e il composto e l’anko dall’altra.
    Ce la farò. Assolutamente. sedici erano gli anpan da preparare, una dose di lavoro massiccia per una alle prime armi ma Mirai non si tirò indietro sebbene avesse la paura matta di fallire o fare pessime figure.
    Trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi un secondo per calmare gli spiriti che si agitavano dentro di lei.
    Lo hai sempre fatto… ora hai la possibilità di metterti in gioco, fagli vedere chi sei. un altro respiro e aprì gli occhi e in quel momento non vi era altro al di fuori di lei e quei sedici pezzi dolci sul tavolo di fronte.
    Poggiò il cucchiaione da una parte e iniziò con la prima pallina di composto.
    La prese e iniziò a schiacciarla e a modellarla sulla propria mano con le sue dita fini e delicate in modo che la pasta non si rompesse e neanche diventasse troppo sottile.
    Nel completare quest’operazione non fu molto veloce, forse perché era ancora un po’ presa dallo stress e dall’agitazione del momento ma più passava il tempo e più le sue mani si muovevano in quell’ambiente familiare e più prendeva confidenza e sicurezza in sé.
    Una volta che la pasta fosse stata appiattita della consistenza e dello spessore giusto, Mirai la tenne sul palmo aperto della mano sinistra mentre con la destra andava a prendere una pallina di anko e la pose in quello che sembrava essere il centro della pasta.
    Una volta appurato che quella porzione di anko fosse la dose giusta per il composto, la ragazza portò la mano destra – stavolta – a chiudersi come se stesse reggendo un bicchiere in modo da adagiare tra pollice e indice il composto e sfruttare naturalmente l’incavo creato per modellare l’impasto, e rigirandolo su se stesso chiudere la cima a forza di pizzicotti.
    In questo modo l’anko sarebbe stato letteralmente inglobato e chiuso dentro il panetto appena creatosi e a quel punto a Mirai sarebbe bastato semplicemente massaggiare la parte pizzicottata per farla tornare ad una forma sferica e …
    « Sembra essere venuto bene… ne? Ora ne mancano … quindici. Yooosssh! » esclamò sorridendo per poi appoggiare il suo pargolo appena creato in un punto del tavolo e prendendo in mano la seconda palla di pasta.
    Stavolta sembrava essere più sicura di sé considerando che si sentiva fiera e soddisfatta del risultato appena ottenuto e questo si tradusse con un aumento crescente della velocità di esecuzione della fase del ripieno.
    « Lei ha imparato da solo a fare tutto questo? E’ davvero una persona in gamba, Tatsuki-san. Penso che il fatto che non abbia ricette scritte sia dovuto al fatto che questo lavoro è stato parte di lei da sempre. Non è così? » non scollò gli occhi dal lavoro « Volevo ringraziarla per avermi dato questa opportunità. Non la deluderò. » disse infine, accompagnando il tutto da un sorriso raggiante che da tanto non riusciva a sfoggiare.
    Aveva perso il conto perfino di quello che stava facendo da quando sembrava tutto diventare così naturale.
    Si sentiva bene, si sentiva davvero bene.
    Quel posto era davvero magico, e ora più che mai desiderava di farne parte.
    mm_0
    MIRAI ISHIGAMI
    VIGILANTES » LIVELLO #3
    BAKE
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    A better place! ...~ 🍰

     
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    YOSHITO AMATERASU
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    Inspirare… Espirare…
    Forzandosi alla calma con degli esercizi di respirazione, il giovane Amaterasu riuscì a tornare in controllo della situazione. "Calmati" gli aveva detto la fanciulla dagli occhi ambrati e, con un gesto disinvolto ma col fare imbarazzato, si portò una mano tra i capelli strofinandoseli nervosamente.
    Ma è certo che è la calma l'emozione in me sovrana! Ahah~ Esclamò strizzando gli occhi e ridendo concitato, sfoggiando poi una sorridente faccia di bronzo mentre con un pugno poggiato in petto. Ci vuole ben altro per turbar l'animo di Yoshito Amaterasu! Cercò di vestire i panni del ragazzo sicuro di sé ma, sebbene di solito ciò corrispondesse al vero, questa volta le sue parole non corrispondevano con ciò che aveva dentro.
    Ora calmati Yoshito! Non è questo il degno portamento che un uomo dovrebbe mostrare!

    Ma quando la mano di lei gli toccò la spalla, l'emozioni che stava trattenendo quasi non esplosero tutte assieme verso l'esterno…
    Quasi.
    Diventò paonazzo e si ammutolì di colpo, per quanto sperasse che i presenti non si accorgessero del suo viso rosso, non poté far molto per rimediar a quel suo sfogo fisiologico; in quel momento l'unica alternativa era cedere alla tentazione di urlare per l'emozione.
    Si trattenne.
    L'imbarazzo che si era creato parve quasi celargli lo sguardo, era difficile comprendere se la stesse guardando direttamente, ed il giovane rimase ad ascoltar religiosamente le parole di lei, accennando di tanto in tanto un cenno del capo per mantener attiva la sua partecipazione nella discussione; intanto la sua mente era un casino.
    Da quando sei diventato un individuo così insicuro e condizionabile? Che sia quel che ti è accaduto all'aeroporto la causa di tutto ciò? Intanto che Mirai parlava, nei suoi pensieri Yoshito rivalutava sé stesso e la sua vita No. La causa del tuo cambiamento, la causa di tutto questa confusione nel tuo cervello, è la stessa persona che è palesata qui, davanti ai tuoi occhi.
    Alzò il suo sguardo e i suoi occhi di fiamma, fissavan ora chiari la figura di Mirai.
    È davvero lei la stessa ragazza che ho incontrato al Tanabata? Attraverso quel rosso che gli colorava il viso, si fece avanti un timido sorriso. Yoshito la osservò parlagli e, con occhi di meraviglia, si rese conto per la prima volta di quanto adesso fosse diversa e sicura quella fanciulla con stava parlando. Sei davvero cresciuta dall'ultima volta che t'ho incontrata.

    Come un padre orgoglioso della figlia ormai adulta, il ragazzo le sorrise dolcemente, mostrando nuovamente la sua espressione solare e sicura di sempre. Ammetto di esser rimasto un po' sorpreso. Le disse con un viso più sereno. Quel giorno estivo ho frainteso la tua situazione. Tuttavia, non v'è colpevole alcuno se non l'ingenuità della mente del sottoscritto. Indicò se stesso col palmo aperto della sua mano. Ma... non aver timore, Mirai Ishigami. La voce, così come i suoi gesti, era tornata calma e ponderata. Poiché non s'è ancora manifestato e né mai si manifesterà, il giorno in cui il tuo cavaliere potrà guardarti con occhio deluso od urtato. Costui rimarrà sempre fedele alla volontà della sua signora.
    Fece un inchino verso la ragazza, col braccio destro sotto il costato ed il sinistro allungato ed allontanato. Poi, mantenendo la riverenza cavalleresca, alzò il capo, abbastanza per mostrarle il movimento delle sue labbra.
    E non temete per la mia "prova"... Non v'è stato ancora ostacolo ch'io non sia stato in grado di superarlo.
    Le fece un occhiolino, per ringraziarla per averlo rassicurato. Dopodiché tornò in piedi e, girandosi verso Ryo, sbatté le mani fra loro ed iniziò a sfregarle.
    Scusateci l'attesa e lo spettacolo non richiesto. Direi che adesso siam pronti a lavorare!

    Si tolse l'haori e lo legò come una gonna attorno alla vita; avrebbe potuto riporlo sotto la cassa come aveva fatto Mirai con i suoi oggetti, ma per il ragazzo quel pezzo di stoffa bianco era un oggetto troppo importante per potersene separare così facilmente. Con un gesto rapido ed inutilmente troppo scenico, girò su sé stesso ed indossò il grembiule grigio che gli aveva dato Ryo.
    Yosh! Sembra calzarmi a pennello.
    Mentre apprezzava la divisa del Patisseryo, il proprietario proseguì ad istruirlo sulle sue mansioni.
    Kiichirō, per gli Dei, cosa hai scritto nel mio curriculum?
    Pentendosi -amaramente- in quel momento di aver affidato al fratello minore, la stesura di una così personale come il CV, Yoshito girò il capo verso il cliente indicato da Tatsuki-san e, un po' spiazzato, ci mise qualche istante per rispondere al suo titolare.
    C-certamente!
    Gli disse sfoggiando il più imbarazzato dei sorrisi. Era un ragazzo che di solito si mostrava sempre sicuro e deciso nel suo parlato così come nelle sue azione, ma questo perché gl'era stato insegnato di dire sempre la verità; ma in quella situazione, in cui cercò di "mentire" per non abbassare le opinioni che il suo potenziale capo potesse aver su di lui, si avventurò in terre per lui inesplorate e si sentiva un po' a disagio nel sapere che dovesse agire senza saper bene cosa fare.

    Gulp...!
    Sussultò internamente quando il suo sguardo calò sulla cassa automatica. Ryo fu molto chiaro e conciso nello spiegargli come funzionasse quell'aggeggio infernale -così li chiamava Yoshito- ma, sebbene la spiegazione sarebbe stata chiara per chiunque fosse pratico con la tecnologia, per un tipo come l'aspirante eroe, quelle parole erano aramaico.
    Va bene, tutto chiaro!
    Gli rispose lui, ma mentiva.
    Non posso mostrarmi incapace il mio primo giorno di lavoro. Sono sicuro che in un modo o nell'altro riuscirò a far funzionare quest'aggeggio! ... Spero...

    Intanto che Ryo e Mirai si ritiravano nel laboratorio sul retro, lasciando Yoshito ad occuparsi da solo del fronte del locale, il ragazzo iniziò a stiracchiarsi il corpo com'era solito fare prima d'iniziare un allenamento, una routine che gli serviva per prepararsi più mentalmente che fisicamente a quello che lo aspettava.
    Ok Yoshito, ce la puoi fare! Non penso sia troppo diverso dal trasportare gli attrezzi e riordinare la palestra!
    In effetti il fratellino del giovane su una cosa aveva ragione: il ragazzo aveva anni di esperienza per quanto riguardava pulizie e mettere in ordine, così come in trasportare oggetti senza farli cadere; stava adesso a lui riversare queste sue competenza anche all'interno di un locale commerciale.
    Ok, iniziamo col cliente! Disse a sé stesso con tono basso.
    Come dovrei porgermi? Iniziò a domandarsi mentre girava attorno al bancone per avviarsi verso l'unico tavolo nel locale. Non saprei dire se esiste un qualche etichetta o forma particolare a cui dovrei far riferimento... Ma ormai era quasi arrivato e non aveva più tempo di pensare. Mi limiterò a cercar d'essere il più gentile possibile e formale.

    Buongiorno buonuomo, v'è qualcos'altro di vostro gradimento che desiderereste ordinare?
    Inclinandosi verso il cliente e sfoggiando un viso sorridente, a differenza di quello che vi potreste aspettare, il ragazzo si mostrò estremamente calmo e gentile, come se l'agitazione di cinque minuti prima non fosse mai esistita; la verità è che la sua kryptonite è semplicemente Mirai Ishigami.
    Va bene, mi permetta di sparecchiare. Disse al cliente in seguito alla sua risposta negativa, datagli semplicemente agitando una mano per poi tornare a fissare il suo smartphone. Un tipo silenzioso. Pensò mentre poggiava i piatti e i bicchieri vuoti nel vassoio che si era portato dietro. Se desidera altro, me lo faccia sapere. Cercò di ricordare ed imitare -a modo suo- ciò che i camerieri erano soliti dire e fare quando era lui dall'altra parte.

    Col vassoio tenuto con entrambe le mani, poco confidente che potesse portarlo in equilibrio -nonostante fosse abituato a trasportare carichi più pesanti con solo una mano-, si diresse al bancone dove vi appoggiò il suo bagaglio. Pfiù. Si asciugò la fronte col dorso della mano, come se avesse compiuto chissà quale sforzo. E adesso passiamo alle pulizie.
    Si tenne impegnato.
    Senza aspettare ordini esterni, il ragazzo poggiò nel lavabo lì vicino bicchieri e piatti sporchi per poi iniziarli a lavare. Si rimboccò le maniche -letteralmente- e impiegò quel momento di pausa per insaponare e sciacquare il tutto con attenta dedizione. "Continua a strofinare finché non iniziano a stridere" dice sempre mia madre.
    Strofinò e ristrofinò ogni singolo piatto mentre, a bocca chiusa, canticchiava Sun Quan the Emperor per intrattenersi; per sua fortuna il locale era vuoto e a detta di Ryo ci sarebbe voluto almeno un po' prima che i clienti sarebbero arrivati a fiotti.
    Poteva godersi un po' il momento.
    Chissà cosa stanno combinando quei due lì dietro.

    Non ebbe molto tempo però per pensare a Tatsuki ed Ishigami, poiché ci pensò il cliente ad interrompere quel nascente flusso di pensieri.
    Vorrei pagare. Esordì l'altro, a cui Yoshito rispose con un sonoro ed allegro. Sarò da lei in un attimo!
    Si scrollò le mani nel lavabo e se le asciugò con uno straccio che trovò lì vicino. Adesso, però, arrivava la parte davvero difficile, faccia a faccia col suo primo ostacolo, il suo più grande nemico: la tecnologia.
    Mmmh...
    Non guardò con molta convinzione quell'arnese che il suo capo chiamava "cassa automatica", lui era decisamente più un attivista del "partito analogico", ma avrebbe dovuto adattarsi.
    Mi compatisca il quesito. Potrebbe cortesemente indicarmi quali sono gli alimenti da lei ordinati?
    Afferrò un menù e lo mostrò al cliente, gli sarebbe stato decisamente più semplice sapere in anticipo in cosa consistesse l'ordine, anziché affrontare un dettato mentre litigava con la cassa. Sbuffante e contrariato, il cliente cedette alla richiesta del cassiere, indicando con il dito tutte le sue ordinazioni.
    Ho preso questa. Due di questi e di quest'altri. E una di queste bevande.
    La ringrazio per la collaborazione.
    Mostrandosi sempre sorridente ed affabile, il ragazzo si ritirò dietro il bancone e si posizionò difronte alla cassa.

    Ed ora a noi due.
    Con in volto la serietà che si può avere quando si affronta il proprio nemico giurato, Yoshito cercò di raccapezzarsi con il display touch screen di quel diabolico strumento. Forza... Andiamo...!
    Con la praticità di un anziano con demenza senile al suo primo approccio con un computer, gli ci volle davvero poco per mandare il giovane il confusione; pigiando puntualmente il pulsante sbagliato, apriva menù ed aggiungeva e sottraeva elementi senza ben capire cosa stesse combinando. Ti ordino di collaborare strumento del demonio! Iniziò a persino a rimproverare -sottovoce- la cassa automatica in speranza di una sua collaborazione ma, mentre la cassa continuava ad aprirsi e lui puntualmente la richiudeva, l'unica cosa su cui alla fine riuscì a raccapezzarsi, fu come inserire direttamente il totale da pagare senza elencare cosa sia stato ordinato nello specifico.
    Ci vuole ancora molto? Non a disposizione tutto il giorno.
    Mi dispiace Cliente-san, sto riscontrando dei problemi tecnici.
    Il cliente intanto s'era chiaramente spazientito e il massimo che poteva fare era accampare qualche scusa in speranza che nel mentre tornasse Ryo.
    Lo sapevo, sto già combinando un disastro...

    Era quasi pronto a mollare e a buttarsi giù di morale, quando dentro di sé il suo spirito combattivo iniziò ad ardire impedendogli di dichiararsi vinto.
    Forza Yoshito, dov'è finito il tuo orgoglio di guerriero? Non è questo il momento di abbandonarsi alla disperazione!
    Ormai quasi privo di alternative, lasciò cadere le sue braccia verso il basso come segno di resa, toccando la mano la sua tasca destra; fu allora che ebbe un'idea. Hmph! Sogghignò malizioso, mentre tastava con la mano il contenuto della sua tasca. Sapevo che mi sarebbe stato utile venir qui preparato!
    Allora?
    Non tema signor cliente, la sua ricevuta è pronta per esserle servita!
    E con movimenti rapidi ed estremamente scenici -come se volesse impressionare qualcuno- tirò fuori dalla sua tasca un oggetto di legno e, con un repentino movimento di dita su di esso, una serie di tic iniziarono a venir riprodotti.
    Tra le sue mani reggeva il suo fidato abaco, grazie al quale riuscì velocemente a calcolare il totale da far pagare al cliente.
    Inserì l'importo all'interno di quello strumento infernale -almeno questo lo poteva fare- e, una volta premuto il pulsante verde, la cassa si aprì per poter fornire il resto.

    Yatta!
    Gridò sommesso tra sé e sé per festeggiare la sua vittoria.
    Sono 2.851 Yen, Cliente-san!
    Lo esclamò con un tono decisamente troppo gioioso vista la situazione, ma era troppo contento della sua impresa per potersene rendere conto.
    Posò i soldi nella cassa e fornì il resto al cliente, ovviamente non indicò a display quanto l'uomo avesse pagato e quanto resto gli fosse stato dato, non aveva bisogno di una macchina per far simili calcoli! Nella cassa sarebbe stato registrato un pagamento dell'importo completo a resto zero, sicuramente così non toglieva dalle casse del locale, ma non era il massimo per un discorso di tracciabilità.
    La ringraziamo per la visita. Speriamo di rivederla presto!
    Era quella la frase di uscita con cui lo salutavano ogni volta al bar vicino casa sua.

    Mentre il cliente se ne andava, Yoshito terminava le sue mansioni.
    Richiuse la cassa, finì di lavare gli ultimi piatti sporchi e li ripose nella credenza; il locale al momento era ancora vuoto e decise quindi di approfittare della situazione per affacciarsi un attimo nel laboratorio.
    Tatsuki-san! Ho terminato con le mansioni che mi avevate affidato!
    Entrò nel retto tutto tronfio per via del suo lavoro svolto. Non si aspettava lodi o roba simile, era solo soddisfatto con sé stesso per il traguardo raggiunto.
    Aspetto nuove direttive.
    Disse verso Ryo mentre gli camminava contro.
    Qui invece come state procedendo?
    Chiese con sincera curiosità una volta che raggiunse i due. Più che a Ryo, quella domanda era rivolta verso Mirai, fece infatti molta attenzione nel farsi notare mentre pronunciava quelle parole affinché arrivassero alla diretta interessata.
    D'ora in avanti devo far attenzione quando le parole. Devo rimembrarmi ch'è audiolesa.
    Ma ovviamente sapere anche cosa ne pensasse il loro capo, sicuramente era parte del suo curiosare.
    Si preoccupava per la ragazza più di quanto avrebbe mai voluto ammettere, era quindi naturale tutto quel suo interesse.
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    Tralasciando le chiacchiere dei due ragazzi che sembravano rivedersi dopo una vita separati, il giro della pasticceria finì in maniera positiva almeno per il pasticcere. In tutta onestà Ryo pensava che in qualche modo Yoshito fosse poco abituato a stare con le ragazze o perlomeno avesse la tipica esperienza di un adolescente medio in quel campo. Non che potesse vantarsi lui di chissà quale conoscenza del mondo femminile, ma era meglio lasciare perdere quei pensieri.
    Non era abituato a tale entusiasmo nei confronti di cose che alla fine poteva apprezzare solo lui di solito. Quanto fosse efficiente una macchina o quanto comodamente un'altra preparasse ricette che potevano richiedere il triplo del tempo senza le loro funzioni. Anche se ogni tanto accennava qualcosa ai membri della House, aveva capito che quell'ambito non fosse particolarmente interessante per chi non se ne intendeva. Era molto più bello mangiare un dolce piuttosto che ammirarne la preparazione e seppur avesse imparato quel mestiere meramente per avere un'entrata economica, non poteva negare di esserne rimasto un po' affascinato. Terminata quella riunione che sopportò in silenzio fece un sorriso e pensò a come si stavano comportando i due ragazzi, dopo averli istruiti su cosa fare. Da una parte Mirai sembrava entusiasta di tutto ciò che proponeva l'albino, cosa che lo rendeva contento. Yoshito sembrava decisamente il più nervoso dei due e si chiese se fosse per la presenza della sua "amica" o per altri motivi. Sperava fosse una cosa dovuta alla giovane età, perché una cosa che apprezzava del suo stesso locale era l'atmosfera tranquilla che riusciva in qualche modo a trasmettere. Gli sarebbe dispiaciuto separare i due.
    Vi piacciono? - Non lo chiese come se ne andasse fiero, visto che erano la cosa più semplice del mondo e se li era fatti fare giusto per non restare senza qualcosa che simboleggiasse il locale. Era proprio una domanda piena di curiosità e stupore: veramente vi piacciono delle cose del genere? In realtà dovrebbero arrivare delle divise molto più carine. Sono una soluzione temporanea. - Avrebbe commentato mentre gli tornava alla mente il rimprovero di Evelynn sulle divise mancanti. E se apprezzava la loro vitalità, si chiedeva se non lo dicessero solo per renderlo più predisposto ad assumerli. Era un pensiero brutto? No, sentiva solo che era così che girava solitamente il mondo. Ignorò per ora l'intenzione di esporla ad alta voce, soprattutto dopo quel gesto di timidezza della ragazza. E perché dovrebbe esserlo? - Cercò di fare del suo meglio per sorridere in quella situazione delicata, avendo trovato le parole giusto dopo un attimo di ragionamento. Poteva essere un problema a livello pratico, ma forse l'animo più contro le discriminazioni di Ryo gli impediva di pensare che solo perché la ragazza era sorda non poteva lavorare. Magari non sapeva veramente cucinare bene, ma aveva anche confermato che aveva lavorato già con cose del genere. Alzò leggermente un sopracciglio sentendosi chiamare "capitano" dalla ragazza, prima di assistere all'ulteriore discorso di incoraggiamento dedicato a Yoshito. Se non riusciva a tirare dritta la schiena dopo quelle parole si chiedeva dove avrebbe potuto prendere altro coraggio. Ne aveva bisogno un po', mi sa. - Commentò scherzosamente, prima di vedere anche il ragazzo reagire più o meno bene.
    Buon lavoro allora. Se non capisci qualcosa poi dimmelo. - Cercò di esprimere fiducia anche nei confronti del biondo, anche se un po' nutriva il dubbio che il ragazzo stesse scendendo a velocità stratosferica in una qualche spirale di panico. Poteva capire che forse quella mole di informazioni poteva essere leggermente confusionaria, ma neanche lui era mai stato così bravo con la tecnologia fino a poco tempo prima. Mettendosi nei suoi panni poteva immaginare il timore di sbagliare qualcosa e pensare di distruggere l'economia del locale, ma come aveva già detto era così facile che non pensava sarebbe successo niente. Era particolarmente ingenuo e non conosceva Yoshito, di lui aveva solo capito che per qualche motivo amava parlare in maniera strana. Osservò per un attimo la coppia grembiule-haori e se da un lato sembrava un po' ridicolo vestito così aveva anche un certo fascino. Gli sembrava di essere quasi in un ristorante di lusso con tutta quella galanteria. Era però tempo di passare alla parte più cruciale della giornata e quindi sia lui che la ragazza dagli occhi ambrati avrebbero preso posto nel laboratorio del Patisseryo. Se Mirai osservava Ryo parlare lui la guardava mettersi da fare fissandola con un mano appoggiata sul mento. Era abbastanza facile capire che il pasticcere non fosse di tante parole tranne quando doveva spiegare qualcosa, osservando come un gufo i gesti della sua possibile apprendista. Sentì la sua voce in maniera più chiara ora che sembravano entrambi concentrati sugli anpan, riconoscendo una certa anomalia nel suo parlare ma niente di così pesante da far passare subito la mancanza dell'udito. Chissà dove aveva imparato e se era una cosa che veniva naturale.
    Heh, ti ringrazio. E' una cosa molto semplice ma richiestissima e dopo un po' le dosi sono quasi istintive. Quando ho imparato è stata una delle prime cose che ho fatto. - Si sminuì un po' e diede più che altro merito al fatto che era talmente abituato a farli che ormai era come preparare un piatto di riso. Quel giorno che ormai apparteneva agli anni passati aveva deciso di provare ad imitare a casa la signora Miko nel suo mestiere, producendo delle strane forme geometriche che sembravano più assomigliare a delle piramidi. Si chiese nuovamente se sarebbe stato meglio far fare anche l'impasto all'aspirante dipendente, ma forse era meglio partire dalle cose facili. Per ora sembrava imitare abbastanza bene i gesti che faceva lui, naturalmente con il proprio twist personale. Un po' aveva preparato quel momento come una lezione per chi non ne sapeva proprio niente di pasticceria, ma lei era già abituata ed afferrava piuttosto in fretta. Si girò un attimo dopo che gli era stata posta quella domanda, guardandosi le mani immerse nella pasta per poi tornare su di lei.
    Uhm, quattro anni? Forse cinque? - Non ricordava con precisione in che periodo avesse cominciato a dilettarsi con quella speciale parte della disciplina culinaria, considerato che poco dopo gli eventi che avevano coinvolto la Serpe aveva cominciato a lavorare solo come cassiere. Era felice che qualcuno gli dicesse che era bravo in quello che faceva e la differenza maggiore era che gli stavano facendo i complimenti prima di assaggiare. Era una sensazione diversa, anche se non poteva reggere a confronto con i complimenti della sua mentore. Ti osservo allora. - Si staccò un attimo dal tavolo per controllare che il procedimento fosse quello che conosceva lui, curioso. Magari non era il modo migliore per metterla a suo agio, ma l'albino era piuttosto scostante quando si trattava di parlare con la gente. Mentre i due lavoravano agli anpan e alle piccole sfere di gelato, Yoshito era alle prese con il cliente. Grazie al silenzio Ryo captò da dietro la porta del laboratorio qualche parola del giovane che stava ora alla cassa, oltre che il suono di piatti e bicchieri venire lavati. Anche se in quel momento era concentrato nello spiegare a Mirai come creare dei dolci perfetti, non poté fare a meno di fare un sorriso sotto i baffi ringraziando mentalmente lo studente. Non gli aveva chiesto di pulire e mostrare quella voglia di lavorare gli aveva fatto conquistare decisamente dei punti dal punto di vista dell'albino. Era probabilmente il sollievo di qualcuno che aveva passato i precedenti mesi a pulire tutto da solo o quasi.
    Eh sì! Mi sembra resistente e abbastanza pieno. - Ryo prese delicatamente l'anpan crudo maneggiato poco prima da Mirai come se fosse una specie di gioiello da osservare con attenzione e cura. Un'espressione di approvazione sarebbe apparsa sul suo viso e se avesse potuto ci avrebbe messo un timbro sopra. Anche se il tempo di preparazione non era stato dei più veloci si vedeva che ce l'aveva messa tutta per presentarglielo... anche se era una cosa molto carina, non doveva ancora far sciogliere il proprio cuore di fronte al primo gesto di gentilezza o se ne sarebbe pentito in futuro. Il tempo in una pasticceria doveva essere occupato bene, soprattutto la mattina. Un numero cospicuo di anpan potevano essere divorati in poche ore dai clienti più abituali, soprattutto quando si trattava del periodo scolastico dei più piccoli. Si girò verso di lei quando lei pose quella domanda mentre già si rimetteva al lavoro per farne altri. Corrugò la fronte leggermente ma continuò a sorridere, prima di fare cenno di no col capo mentre rimetteva la pasta al suo posto. Le poggiò giusto un indice sulla spalla per dirle di spostare un attimo lo sguardo come gli aveva chiesto prima.
    Nah. In realtà prima facevo un lavoro molto diverso ma ho scoperto la passione per la pasticceria mollando tutto. Per le ricette... è più una questione di lavorare completamente da solo e di aver imparato da qualcuno che non le scriveva. E Tatsuki-san va bene, "capitano" mi sembra un po' esagerato... - Rise, chiedendosi in un angolo remoto del cervello se Mirai avesse idea di cosa fosse una risata. Era un pensiero crudele? Quella domanda non ebbe risposta perché dalla loro sinistra sarebbe spuntato Yoshito che allegro si presentava in attesa di nuovi ordini. Si sarebbe girato con ancora le mani sporche di farina, prima di porgere una domanda a Yoshito.
    Ah, benissimo. E' andato tutto bene? - Sperava che non si fosse inceppato nulla mentre loro erano lì. Per ora stiamo preparando e non c'è molto da fare, ma ti darò qualcosa da sistemare presto. Ah, per caso hai pulito le stoviglie sporche? Ti ringrazio in quel caso, le hai messe in lavastoviglie ad asciugare? - Era una domanda innocente da parte sua, che non avrebbe mai pensato di poter mettersi a lavare a mano le cose quando aveva appunto il macchinario apposito. Qualunque sarebbe stata la sua risposta avrebbe ripreso la sua attenzione su Mirai, fino a quando non sarebbe arrivata a metà degli anpan. Avrebbe preso le otto paste ripiene e le avrebbe riposte in una teglia, mettendole nel forno che era già acceso.
    Intanto metto questi a gonfiare in un posto caldo, così possiamo dividere il lavoro. - Le avrebbe detto, prima di fare come aveva detto. Si sarebbe poi girato verso entrambi, ora che c'era un po' meno fretta di fare le cose.
    Beh, parlatemi un po' di voi così possiamo organizzarci per il futuro. Studiate? Avete qualche impegno particolare durante la settimana? - Ryo era genuinamente curioso questa volta, anche se era nascosto tutto dietro una facciata pratica. Era diventato un po' pettegolo dopo aver acquisito il locale? Forse, offriva infinite occasioni per capire come girava la città ed il quartiere. Non sarebbe però rimasto fermo, cominciando a sistemare un paio di uova ed un barattolino con dei piccoli semi neri al loro interno.
    VEDIAMO DI CHE PASTA SIETE FATTI.
     
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    Un cavaliere.
    Essere un cavaliere portava dentro molti significati. Onore, protezione, luce, forza e coraggio. Questo era a tutti gli effetti Yoshito Amaterasu.
    Mentre la ragazza modellava la pasta tra le sue mani con delicatezza in modo da non romperla e non creare fratture che avrebbero compromesso la buona riuscita del anpan – poiché il ripieno doveva essere tutto concentrato al suo interno e non avere vie di fuga in fase cottura – ripensava alle parole di Yoshito e un sorriso dolce le si colorò in volto perché dopo tutto questo tempo, dopo tutto quel trambusto e quel macello lui era sempre rimasto lo stesso cavaliere che aveva conosciuto al Tanabata.
    Una luce costante, come la stella polare per i viandanti. Un punto di riferimento fisso.
    Fai del tuo meglio… Yoshikishi-kun. So che ti farai valere …
    Rispetto a Yoshito, Ryo Tatsuki era molto più silenzioso e quasi riservato e ciò la metteva un po’ in soggezione per certi versi: essere osservata in silenzio da quello che sarebbe stato – lo sperava almeno con tutto il cuore – il suo boss non era certo una situazione che la metteva proprio a suo agio anche perché sapeva che senza tanta gente, in un ambiente come quello le sue parole potevano in qualche modo essere sentite più biascicate ma cercò di non prestare troppa attenzione a tutto.
    Per questo motivo e anche un po’ per curiosità, la ragazza fu la prima a tentare di rompere il ghiaccio.
    Mirai Ishigami, impacciata e molto spesso timida che si trova ad essere lei in prima persona a tentare di fare conversazione con qualcuno…era decisamente molto cambiata.
    La cosa sembrava essere riuscita in qualche modo, sebbene l’espressione sul volto del ragazzo non sembrava essere mutata neanche un po’ rispetto a quella che aveva prima.
    « Capisco perché sono richieste. La pasta è davvero morbida e non si sfalda, non crea bolle e non è neanche troppo asciutta. Forse è una cosa semplice, e forse le dosi – come dice lei – sono istintive ma se non ci mette tutta la passione e l’amore in quello che fa, anche il dolce più semplice non potrà mai avere il risultato sperato. » una massima di sua madre, una delle sue prime lezioni a casa, in cucina « Il melonpan. E’ stata la prima ricetta che ho imparato, ne vado matta.» andava matta di un sacco di dolci, come i mochi alla pesca, ma quello era un dettaglio irrilevante in quel momento. Il suo tentativo di scogliere quella calotta artica stava forse riuscendo, aveva forse aperto una breccia?
    Ancora troppo presto per capirlo ma iniziava almeno un minimo ad avere più confidenza.
    « Ooh davvero? Pensavo molto di più… allora è davvero molto bravo. » non c’era nella sua voce leggermente nasale una presa in giro o una lusinga, era più una affermazione genuina « Io invece ho sempre aiutato un po’ mamma al negozio… ma ho b-badato più alle consegne che alla preparazione vera e propria. Poi da un po’ di tempo a questa parte ho iniziato a riprendere in mano le mie conoscenze e a farmi insegnare per b-bene il mestiere. » chiuse il secondo anpan che aveva tra le sue dita sottili con cura notando quanto fosse leggermente più grosso del normale come se l’avesse gonfiato un po’ troppo con il ripieno « Ops… forse è un po’ troppo? » osservò la sua creazione sul palmo della sua mano come se potesse prendere vita e rotolare via da un momento all’altro.
    Beh, ancora doveva prenderci la mano e certo era che avere qualcuno come un avvoltoio sulla spalliera che osserva ogni mossa con sguardo critico non era proprio il massimo.
    Si sentiva sotto pressione, sì, e i suoi tentativi di provare ad alleggerire simile cosa sembravano non avere sortito l’effetto desiderato.
    Mise da una parte la bestiola che aveva in mano e riprese a modellare un’altra po' di pasta senza fermarsi a rimuginare troppo anche perché sembrava che il suo umore per un piccolo e breve istante fosse sceso sotto le suole delle scarpe.
    Non ti agitare… Mirai, non ti agitare. In fondo sta andando tutto bene. Ok… il bombolone non era nei tuoi piani… ma non devi mollare o demordere o buttarti giù. Ricordati… ce la puoi fare. sbuffò mentre si riprese, a petto in fuori, e continuò la sua mansione anche perché a quanto pareva, da quello che era riuscita a leggere dalle labbra del ragazzo la sua prima creazione era andata bene.
    Osservava il suo primo lavoro come se fosse una specie di diamante appena tagliato criticato per la qualità, la resistenza, e la bellezza: Mirai aveva tenuto il fiato sospeso per tutto il tempo dell’ispezione e solo dopo che notò il sorriso di approvazione sul suo volto, la ragazza si sciolse e le si riaccese il barlume di speranza nell’animo e continuò a lavorare come meglio le riusciva.
    Era un tipo strano, lo ammetteva, ma quanti ne aveva conosciuti di tipi strani fino a quel momento? Un sacco, però era piacevole.
    Sembrava voler essere professionale, duro e freddo come un datore di lavoro eppure aveva visto in quello sguardo un cuore buono e dolce come le sue creazioni.
    Non è poi così male… pensò prima di sentire il delicato tocco del ragazzo richiamare la sua attenzione.
    Mirai spostò lo sguardo un attimo dagli anpan al volto di lui, continuando senza guardare il lavoro facendo affidamento al suo senso del tatto e alla sua memoria.
    « Oooh. E’ stata quindi una scelta davvero coraggiosa. Penso però che la ripagherà mille volte di più. Questo posto è un sogno. » disse le prime cose che le passavano per la testa senza pensarci due volte, cristalline senza balbettare o biascicare consonanti « Anche lei ha avuto un bravo insegnante… lavorare da solo ha i propri vantaggi… è un modo per crescere e vedere con mano i propri errori e saper arrangiarsi a trovare soluzioni. Certo però resta il fatto che con qualcuno con più esperienza, a volte ti fa vedere alcune cose sotto altri punti di vista e … chiedo scusa ehehe… » disse mentre le sue spalle si chiusero per un momento come un riccio « Io ho difficoltà a ricordarmi i nomi – a volte per paura di sbagliare visto che leggere le labbra non è così semplice per cui… purtroppo ho il vizio di beh… ecco… di prendere una persona e un nome che possa ricordarmi quello vero e… sono una frana… chiedo scusa. » disse sospirando e abbassando la testolina come se fosse stata appena sgridata – da sé stessa per la sua incapacità di ricordarsi correttamente tutti i nomi -.
    Sarebbe stata un’impresa, ma per il suo datore di lavoro avrebbe cercato di eliminare la parola “capitano” per abbracciare il suo vero cognome.
    la mano sinistra si liberò per un momento dell’anpan che aveva appena finito di chiudere e mosse le dita in modo da ricreare i kana “Ta – Tsu - Ki” nel linguaggio dei segni.
    fu il secondo ad essere creato e poi infine l’ultimo
    Ripercorse la sequenza più veloce e tutta unita, come se fosse un codice per poi voltare lo sguardo verso il ragazzo « Tatsuki -San, cercherò di fare del mio meglio per non chiamarla Taichou. Promesso. » disse per poi notare che il ragazzo si era girato verso la porta da dove era spuntato Yoshito che sembrava essere piuttosto soddisfatto e contento della riuscita della sua mansione.
    Mirai non potè leggere le parole del suo capitano di Ryo Tatsuki e in quel momento pensò soltanto a Yoshito e il vederlo così contento le aveva dato un’iniezione di gioia immensa.
    « Direi… abbastanza bene? » disse in risposta alla domanda del ragazzo cercando di non sbilanciarsi troppo per non apparire arrogante o piena di sé. Come se qualcuno potesse avere un dubbio simile su di lei.
    Ero sicura. Ne ero sicura che ci saresti riuscito senza problemi. quando poi il ragazzo dagli occhi smeraldini si voltò verso di lei di nuovo prese gli anpan che erano stati creati dalle sue manine e li pose tutti quanti in una teglia per poi riporla nel forno già acceso e caldo pronto a dare vita a quelle delizie.
    « Perfetto! » disse in risposta alla sua affermazione. Poi il suo sangue si congelò, o forse era il suo cuore ad essersi fermato per un momento, o forse era la sua animella ad essere uscita fuori e ad essere rientrata repentinamente?
    F U T U R O. Ha detto. ORGANIZZARCI PER IL FUTURO. per quanto non potesse sapere come fosse la sua voce, in quel momento avrebbe giurato di aver sentito urlare quelle parole nella sua testa. Come se sapesse cosa poteva voler dire la parola “urlare”. Si sentì per un attimo mancare l’aria e diventò leggermente pallida come gli anpan che adesso riposavano nel forno caldo.
    «I- Io… I » non riusciva neanche a mettere due sillabe, due, una accanto all’altra e tutto questo per quelle parole che aveva pronunciato.
    Davvero? Voleva davvero sapere sui loro conti per organizzare le giornate lavorative future. Quindi… erano stati presi davvero?
    Mirai sentì un moto di lacrime salirle in volto ma venne bloccato per paura di aver corso troppo in fretta con i propri pensieri.
    « Io a-a-ttualmente non ho alcun impegno. Vorrei iscrivermi ad un corso di primo soccorso, che penso durerà poco… forse una giornata anche se non ne sono sicura perché ancora non è stata aperta l’iscrizione. I-Io poi non studio, no. S-Sono completamente libera sì. L’unica cosa che potrebbe tenermi impegnata, anche se riuscirò di sicuro a sbrigare il tutto in breve tempo è la ricerca di una stanza qua nei dintorni e del relativo trasloco ecco…Ai miei hanno dato il via libera per tornare a casa nostra, a Shibuya. Sa… con… quello che è successo siamo stati costretti a cambiare abitazione perché la nostra era in una zona ad alto rischio. E… » forse non si era accorta del tono di voce che era cambiato dall’orgoglio e dalla felicità del fatto che non avesse impegni e che volesse fare un corso che sarebbe stato probabilmente utile anche sul luogo di lavoro ad un tono più amaro e quasi triste riguardo all’ultima parte « Ci hanno trasferito a pochi isolati da qui, momentaneamente. Per questo se… beh… se …» voleva dire se lui avesse acconsentito a prenderla come dipendente ma si fermò giusto in tempo « se trovassi un posto qui nei dintorni, non sarebbe male. » e tenere lontano dai guai i suoi genitori e fare quello che desiderava senza dover rendere di conto a loro perché sapeva che la strada che aveva deciso di compiere non era semplice e non era affatto in discesa o fuori da ogni pericolo.
    «Q-Questo è tutto… » sorrise per poi posare lo sguardo su ciò che si era messo a fare Ryo con un barattolo, due uova e dei semi neri, forse per dare un ultimo tocco alla preparazione degli anpan /anche se Mirai, al posto dei semi di sesamo solitamente li guarniva con le granelle più disparate.
    La tradizione era la tradizione, ma avere dei paninetti con uno sbuffetto di codine di zucchero di ogni colore sopra come se fosse la fonte dell’arcobaleno aveva un certo effetto.
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    MIRAI ISHIGAMI
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    YOSHITO AMATERASU
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    Dopo esser entrato nel laboratorio, per curiosare sulle attività degli altri due, Yoshito rimase all'ingresso in attesa di nuove istruzioni. Cosa stanno preparando? Si domandò cercando di spiare il contenuto sul banco di lavoro. Tentò d'esser furtivo e di non farsi notare nel mentre si affacciava. Sono degli anpan? Si chiese interrogativo, mentre con gli occhi scrutava quei piccoli panini dolci.
    Ma non ebbe molto tempo per esaminare la qualità dell'operato in esposizione poiché ci pensò Tastuki-san a rapirne nuovamente l'attenzione. Ciò che intende è se ho avuto difficoltà durante il lavoro. Contemplò ascoltando la domanda. Cercò di nascondere -malamente- la sua bocca che si contorceva per la volontà di non rispondere, il solo ricordo delle sue fatiche col marchingegno chiamato "cassa automatica", bastò per metterlo a disagio anche se solo per un istante; riuscì però comunque a soffocare quell'emozioni a lui avverse e a sfoggiare un sorriso solare ed un viso brioso. No, nessun problema! Esclamò mentre si strofinava il retro del capo, un gesto involontario che compiva ogni qualvolta che fosse agitato. Ammetto che v'è stata un po' di sicurezza iniziale, ma sono riuscito comunque a cavarmela, non vi dovete preoccupare!
    Sebbene ciò che disse fosse la verità, omettere le difficoltà avute con la cassa lo fece sentire come se lo stesse ingannando ma, stando Kiichirō -il fratello minore-, in queste situazioni la menzogna era un fine necessario se un lavoro era ciò che voleva trovare. Mi sento un ladro. Si giudicò malamente mentre cercava di celare il suo senso di colpa; la sua era un'indole dalla natura sincera ed innocente, basata su insegnamenti in cui la menzogna era qualcosa da abiurare e non da perseguire. Ma adesso, in quel preciso istante, gli sembrò di tradir sé stesso omettendo le proprie colpe.

    Ma, proseguendo col discorso, Ryo lo informò della penuria di lavoro in quel momento della giornata e che quindi, per il momento, non vi fossero altre attività per il giovane da svolgere. Potrei propormi di fare un po' di pulizie. Fu un'informazione a cui il biondo cercò di aggrapparsi per scappare dal rimorso, pensando a ciò che faceva a casa per la madre per offrir il suo contributo, non tanto per rendersi più appetibile al potenziale titolare, ma per distrarre principalmente sé stesso. Era come se cercasse qualcosa, una scusa, che potesse espiarlo dai suoi peccati.
    Ma al cuore puro e sincero di Yoshito basta poco per essere scosso.
    La domanda sui piatti, per quanto semplice ed innocente, gli scatenò nuovamente un'agitazione interiore. I p-piatti? Domandò come se non avesse compreso la domanda e col tono di chi si sente colpevole. Ho preferito lavarli ed asciugarli a mano. Son in possesso di codesta convinzione che solo un risciacquo ed una fina pulitura manuale, possono veramente assicurarne una corretta igienizzazione. Ma la verità era un'altra. Non riesco a sovvenire cosa sarebbe una lavastoviglie. L'impraticità del ragazzo con qualsiasi strumento moderno, era uno scoglio che si stava facendo sempre più marcato nella sua vivere quotidiano, sin da quando aveva iniziato a migrare dal suo nido familiare; non poteva più limitarsi agli usi e costumi del suo nucleo ristretto, doveva adattarsi al ventunesimo secolo o ben presto si sarebbe ritrovato indietro.

    Scampato tuttavia, nel bene o nel male, all'interrogatorio del titolare -sebbene fosse mera cordialità colloquiale quella mostrata da Tatsuki- Yoshito dovette reprimere il desiderio di sfoggiare un sospiro liberatorio, trattenendo al suo interno quel disagio che gli cresceva nel petto. Per fortuna le buone notizie non tardarono ad arrivare. Ha detto futuro? Organizzarci per il futuro? A meno che non stesse facendo un uso improprio del linguaggio, ciò che Ryo aveva detto poteva avere solo un significato: che la prova era stata superata ed il posto assicurato.
    Una notizia positiva che avrebbe dovuto farlo straripare di gioia e soddisfazione, ma che nella realtà fu solo nutrimento per un senso di colpa che venne fomentato. Ah, beh… I-io… Cercò una risposta e nel contempo di mantenere la sua verve, ma mentre lui combatteva con i suoi contrasti interni, fu la principessa a salvarlo da un suicidio verbale.
    Mirai prese la parola ed iniziò a narrare.
    Raccontò di sé e della sua situazione familiare, era decisamente più loquace rispetto al festival d'estate ed il samurai si ritrovò piacevolmente sorpreso in questa novizia sfumatura nel carattere della ragazza; l'intervento di lei ebbe un effetto barbiturico sul giovane Amaterasu, quella voce aveva un ché di ipnotico per lui e che riuscì -per il momento- a distrarlo dal suo malessere interno.

    Mirai… Pensò un po' malinconico ma nascondendosi dietro un sorriso. Non sapevo stessi passando un così duro periodo. Rattristito dalla storia, ma in quel momento incapace di condividere frasi incoraggianti com'era suo solito fare, le parole sincere della fanciulla lo fecero tremare, facendolo sentire ancor più vile per le menzogne da lui pronunciate.
    Come posso portare avanti una così disdicevole condotta, dinanzi a persone dal cuori e dall'animo così puri e sinceri? Non son degno di farmi fregio di titoli come eroe o guerriero. Se questo è il cammino che ho deciso di perseguire, non sono diverso da un villain o da un comune criminale.
    Sebbene possa esser ritenuto troppo drammatico e teatrale, e tralasciando la severità che avesse su sé stesso -quando il suo stesso titolare avesse seconde attività decisamente più illecite-, Yoshito aveva una propria morale ed un codice di condotta che non poteva assolutamente permettersi di ignorare. Infrangerli sarebbe stato un insulto verso sé stesso e verso tutto ciò che crede, quindi credetemi quando vi dico che , con un tono così rammaricato da quasi farlo piangere, quando fu il suo turno di parlare si rivolse verso Ryo col più profondo dei saikeirei.
    Vi scongiuro di perdonare questo stolto ragazzo, Tatsuki-san. Ma costui non può più tollerare ulteriormente suddetta situazione… Devo farvi una confessione.
    Mantenendo il capo chino e rivolto verso il basso, con gli occhi puntati verso il pavimento e privati del coraggio di guardarlo, Yoshito si rivolse all'albino con voce afflitta ma chiara ed udibile.
    Quando in precedenza vi ho comunicato un'assenza di difficoltà durante lo svolgimento della mia mansione, costui ha volutamente omesso le problematicità da lui riscontrate durante il pagamento del cliente. È per questo vi chiedo venia e me ne dolgo profondamente.
    Saldo in quella posizione china, probabilmente le sue parole non sarebbe state udite viste dalla ragazza dalla chioma ramata.
    Sono riuscito ad evadere la fattura del consumatore, ma non posso più nascondere la mia impreparazione nell'uso del cassa auto... No. la verità è che costui deve ammettere una carenza di preparazione e una difficoltà non trascurabile con qualsiasi strumento moderno specie se automatizzato.
    Provengo da una famiglia dalla cultura modesta ed estremamente tradizionale, in cui la suddetta "tecnologia"...
    Scandì quell'epiteto come se stesse pronunciando una parolaccia. È estremamente ridotta, se non quasi sconosciuta.
    Tuttavia mi reputo un grande lavoratore. Sono stato istruito al lavoro duro e manuale e se mi concederete la possibilità, proverò a dimostrarmi una risorsa essenziale per il vostro locale.

    Sebbene non fosse originalmente il suo piano e né fosse in sua natura farlo, le scuse deviarono verso un tentativo di supplica; aveva bisogno di quell'impiego e avrebbe ben volentieri ingoiato un po' di orgoglio se questo significava non perdere il posto.
    Mi rimetto completamente alla vostra clemenza e alle vostre cure. Costui disposto persino a far penitenza se reputate che la sua condotta v'ha recato offesa.
    Con quell'esibizione, Yoshito aveva -temporaneamente- evitato di rispondere alla domanda postagli dal titolare, ma purtroppo non era in grado di continuare quella conversazione, se prima non avesse fatto ammenda per il peso che aveva dentro.
    SET YOUR OVEN ABLAZE!
    Scusate per il ritardo :sadbunny:
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    Anche se prima aveva dubitato un po' della genuinità delle parole della ragazza, poco a poco si stava un po' convincendo che non esistessero solo ragazzi opportunisti in quella città. Era lui abituato così, a fornire un servizio come un altro a delle persone che probabilmente stavano cercando di fregarlo e di conquistare sempre di più un punto contro di lui. L'albino aveva sempre pensato che la vita da pasticcere sarebbe stata molto più tranquilla, ma non aveva mai fatto i conti contro una donna di mezza età arrabbiata perché il suo ordine era sbagliato o era arrivato in ritardo. Era più difficile sopravvivere contro questo tipo di persone che contro un criminale incallito senza nulla da perdere.
    Ah, dev'essere bello avere un'attività di famiglia. - Ryo decise di non fare troppo caso al complimento come aveva fatto prima, ma era più che altro interessato all'esperienza vissuta dalla ragazzina sorda. C'erano molti dubbi ed una certa invidia nel suo cuore a pensare che c'era una pasticceria ed una casa dove poteva tornare. Escludendo strani drammi causati dall'abbandono dell'attività, si chiedeva perché avesse deciso di staccarsi dall'attività familiare ed andare a lavorare da un'altra parte. Era piuttosto sicuro di non avere portato al fallimento le attività vicine se proprio era quello il caso, quindi forse la motivazione era più personale che economica.
    Immagino tu abbia voluto cercare altro da fare e... Non è totalmente rovinato, ma forse dopo si spaccherà. Non che sia un dramma, basta fare l'abitudine. - Avrebbe continuato, prima di riprendere il discorso di prima brevemente. Come hai detto prima, questa è venuta bene ma ci saranno giorni in cui l'impasto si ribellerà come un gatto randagio, bisogna imparare ad addomesticarlo in qualche modo. E anche a me piacciono i melonpan, sono veloci da mangiare. - Ryo si divertiva a spiegare le cose agli altri, ma se doveva essere sincero era abbastanza incapace di fare conversazioni brevi senza che fossero avvertite come imbarazzanti. Quella del felino era una strana figura retorica e non era proprio convinto che fosse il miglior metodo per illustrare il suo concetto, anche se a volte gli sembrava di dover combattere contro una bestia selvatica piuttosto che contro della farina. Ryo aveva avuto quasi un suggerimento per lei, ovvero controllare che l'impasto fosse morbido come i lobi delle orecchie, ma si ricordò in tempo che Mirai non sembrava provvista di quelle. Che tipo di mutazione strana. Per fortuna non sembrava intralciare il suo lavoro con le mani, quindi Ryo rimase semplicemente ad osservare come finiva il resto degli anpan. Non voleva intervenire direttamente, ma gli bastava osservare e commentare. Per ora si stava trovando bene con la ragazza e quindi sperava che continuasse a non deluderla.
    Diciamo. Sono molto contento di come sono andati i lavori. - Chissà se lei lo immaginava come una specie di impiegato che passava le sue giornate a contemplare uno schermo bianco di un computer dove segnava numeri a caso. Non si era mai sentito all'apparenza il "tipico" giapponese, anche per il suo aspetto differente dagli altri, ma alla sua età non era così strano cominciare a lavorare per scalare le vette di una qualche azienda. Neanche nella sua fantasia ci si ritrovava e non riusciva ad immaginarsi compiere quelle noiose azioni ogni giorno, quindi si chiedeva veramente come la gente lo figurasse da giovane. Notò che la ragazza sembrava parlare un bel po' quando le veniva data l'occasione, incuriosendolo. Forse le persone sorde non avevano tante occasioni per esprimersi e quindi parlavano del più e del meno all'infinito? Per ora Mirai era l'unico soggetto di test disponibile e sapeva che non si sarebbe trattato di dati affidabili.
    Non sapevo fosse così difficile leggere le labbra, mi spiace. - Rispose serio, ma in realtà si sentiva un po' male per averla messa in difficoltà. Però non gli andava nemmeno di farsi chiamare capitano dai suoi dipendenti, anche perché non avrebbe proprio fatto una figura eccelsa coi clienti. Era un gesto molto carino ed un'interazione che non aveva mai provato con qualcuno. Non capì subito cosa stesse facendo fin da subito, ma sperò che non si fosse già affezionata a quel soprannome. Gli sembrava una persona molto sensibile. Meglio così, non vorrei sembrare un pirata con una benda sull'occhio. E comunque, abbiamo quasi finito gli anpan. - Rise di gusto, forse perché dire ad alta voce la verità era una sensazione piuttosto liberatoria. L'arrivo di Yoshito fu ben accolto ed anche lui osservò con attenzione cosa stessero facendo, ma la voce del biondo sembrò incrinarsi quando lui parlò della lavastoviglie. Aveva... Aveva detto qualcosa di terribile e che non andava nominato? Era un elettrodomestico ed andava utilizzato per pulire ed asciugare velocemente ciò che si sarebbe altrimenti accumulato nella zona fuori dal laboratorio. Piegò leggermente la testa di lato con aria interrogativa, prima di sentire quel suo discorso sul lavare i piatti a mano. Si ricordava nel suo appartamento a Shinjuku la noia di lavarsi le tazze ed i bicchieri, mentre qui poteva semplicemente mettere tutto a sciacquarsi.
    Beh... Non è una lavastoviglie da casa, ci mette un minuto a lavare e poco di più ad asciugare. E' decisamente più veloce ed igenico che lavarli a mano, non ti preoccupare. - Rispose con calma, anche perché non aveva (ancora) motivo di dubitare di lui. Magari era semplicemente abituato così da una precedente esperienza lavorativa, ma doveva mettersi in testa che non avrebbe sprecato acqua per metterci più tempo. Ma ciò che distrusse definitivamente i due ragazzi, in maniera del tutto inaspettata per il loro futuro datore di lavoro, fu quella fatidica domanda sugli orari. Non si aspettò che Mirai tornasse alla sua forma poco socievole per poi partire subito per investirlo con un tornado di parole. In quel momento gli ricordò particolarmente Daisuke, con la sua parlantina infinita e che poteva colpire in qualsiasi momento. Finita la lunga serie di parole si mise un attimo a pensare, cercando di estrapolare il minimo indispensabile per rispondere in maniera coincisa alla domanda che aveva posto prima.
    Ho capito. Anche io sono rimasto senza casa e mi sono dovuto arrangiare, non è una cosa così poco comune. Speriamo che migliori presto la situazione, anche se immagino tu voglia già staccarti dai tuoi. - Corrugò la fronte pensieroso, ripensando a sé stesso. Era stato veramente un idiota a fuggire di casa, ma aveva almeno un paio di anni in più rispetto a Mirai. Poi lei non stava scappando (od almeno così sapeva) e forse aveva un po' di supporto dai genitori, ma era pur sempre una cosa triste.
    Per me la mattina sarebbe l'orario ideale, giusto per avere qualcuno con cui aprire. Poi puoi prenderti il pomeriggio libero. Se per Amateratsu-kun non è un problema aiutarmi verso il tardo pomeriggio, naturalmente. - Si sarebbe girato verso l'elegante ragazzo che non aveva ancora parlato, crucciato da un'espressione estremamente desolata, o così immaginava visto che lo sguardo del biondo era rivolto verso il più profondo inferno del centro della terra. Non era mai un buon segno quando qualcuno non riusciva a guardarti negli occhi confessando qualcosa. Era una spia di qualche organizzazione criminale sulle sue tracce? Era un membro della banda di Saito? Un qualche Pro-Hero in incognito? Qual era lo strumento contundente che aveva più vicino? Il mattarello sarebbe bastato a stendere un eventuale boss criminale o eroe? Forse con la coda.
    Ma ciò che Yoshito doveva dirgli era qualcosa di ben più sconfortante da sentire in un certo senso. Aveva inventato tutto? Non aveva idea di come si utilizzasse una cassa automatica? Nel 2023? In che razza di luogo era cresciuto, tra i lupi? Nemmeno lui si considerava un asso della tecnologia e fino a qualche anno fa aveva difficoltà ad usare al meglio gli smartphone, ma era pur sempre un nativo digitale in pratica. Ryo non aveva idea di come reagire a quella che era stata a tutti gli effetti una presa in giro. Doveva arrabbiarsi? Doveva cacciarlo fuori dalla propria pasticceria e non farlo mai più tornare? Sarebbe parso uno di quei datori di lavoro burberi ed odiosi però. Ma allo stesso tempo non riusciva a perdonarlo per aver mentito, gli sembrava una cosa terribile da fare. Avrebbe preferito un completo novellino che però si sentiva volenteroso di imparare. Ora anche lui voleva redimersi in qualche modo e non sapeva bene come prendere questo fatto. Ecco perché odiava lavorare con le persone: portavano sempre problemi, mentivano, fallivano. Gli sarebbe piaciuta di più la prima opzione, ovvero quella di buttarlo fuori e cercare qualcuno che vivesse in quel secolo. Ma allo stesso tempo... Odiava ammetterlo, ma si rivedeva in quell'adolescente. Anche lui era stato adottato in un certo senso dalla signora MIko ed aveva continuato a lavorare solo perché aveva ricevuto un'occasione. Ma lui non aveva mai mentito sulle sue capacità ed aveva semplicemente annaspato fino a quando non aveva imparato a nuotare.
    Sigh. Alza la testa perlomeno. Non sono un signore di qualche dinastia imperiale. - Si portò la mano sulla nuca, cercando di trovare le parole. Non mi piace che ci siano bugie sul lavoro, quindi straccia quel curriculum. Apprezzo che tu non abbia aspettato di essere assunto per dirlo, ma se non sai fare qualcosa meglio dirlo e basta. Probabilmente avresti rotto la cassa o il forno. - Scosse la testa socchiudendo gli occhi, per poi tornare a guardarlo.
    Posso... Capire il non saper usare qualche macchinario particolare, ma ho bisogno di gente che sappia lavorare qui. Per quanto tu ti possa impegnare, perché non dovrei assumere qualcuno che sa già usare una cassa? Io... - Era una cosa veramente difficile da dire ad un ragazzo. Eppure non lo aveva ancora buttato fuori a calci dalla pasticceria: voleva dargli ancora una possibilità, seppur piccola. Perché avrei bisogno di uno come te? - L'impasto degli anpan cominciava a gonfiarsi sempre di più nel forno, mancavano giusto un paio di minuti prima che potessero essere estratti per continuare il procedimento. Ma si erano creati secondi di silenzio e tensione tra i tre, cosa che avrebbe volentieri evitato.
    VEDIAMO DI CHE PASTA SIETE FATTI.



    Scusate per il ritardo!
     
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    Attività di famiglia l’aveva chiamata lui. Non era proprio così ma Mirai si era convinta nel tempo che lo fosse davvero.
    « Sì e no. Mia mamma era soltanto una delle pasticcere, ma la Boss era una persona molto cara a noi e si può dire che fossimo tutti una grande famiglia. » disse mostrandosi quasi nostalgica a ripensare a come era la sua vita prima rispetto a quella di adesso.
    Lamentarsi non poteva, ma rivangare il passato oramai andato era comunque bello e allo stesso tempo triste.
    « Avevamo poi un sacco di clienti fidati, sa? Anche loro, li sentivo tutti come parte della mia famiglia. Potrebbe estendere la sua attività anche a consegne a domicilio. Non sarebbe poi una cattiva idea… » azzardò a chiedere con un’ingenuità e una dolcezza d’animo che sembrava stesse parlando di persone del suo nucleo familiare ad una persona che faceva anche lei parte della sua famiglia.
    Mirai era una ragazza particolare e il suo buon cuore, ancora una volta, non l’avrebbe smentita.
    Quando lesse sulle labbra del giovane le sue altre parole, qualcosa parve interrompere per un breve momento quel sorriso pacato che si era aperto sul volto della fanciulla.
    « Volevo solo fare esperienza altrove e questo mi sembrava il posto giusto. » stava mentendo? Forse, in parte. Sentiva una stretta al cuore quando disse quelle parole, soprattutto le prime sul volere fare esperienza da altre parti.
    In realtà aveva necessità di staccarsi dai suoi genitori per non metterli nei guai e per svolgere le sue ricerche senza aver paura di tornare a casa e dare ai suoi altre preoccupazioni rispetto a quelle che aveva già.
    Comunque sia, pensava davvero che quello fosse il posto giusto per iniziare a mettere il primo mattoncino per la sua nuova vita indipendente.
    «- Eh, mi spiace tantissimo… mi sono emozionata. » cercò di non massaggiarsi la testa come suo solito per l’imbarazzo e optò per rintanarsi nelle sue spalle tipo tartaruga e poi ridacchiò a quella metafora sul gatto randagio.
    « Kh-ihi- che buffo. Più che con un gatto randagio, a volte sembra di essere nel pieno di una battaglia, farina ovunque, il nemico che si appiccica e attenta alla sua vita e che non vede ragione di essere nient’altro che un ammasso informe pronto a divorare le sue ma-? » Mirai si fermò avendo capito di stare divagando un po’ troppo e di essersi fatta prendere troppo la mano sulla cosa.
    « Ehm… sì, ha ragione. Basta semplicemente metterci più impegno e più pazienza. No? I melonpan non sono solo veloci, sono buonissimi… io li adoro. Non come i mochi alla pesca, ma tanto quanto … lei sa fare i mochi? » cercò di sviare grandemente il discorso per non scendere ancora di più nell’abisso dell’imbarazzo.
    Mirai continuò a fare gli anpan tanti quanti l’impasto ne poteva supportare, ed era una bella sensazione perché sembrava che in qualche modo il ghiaccio tra lei e Ryo Tatsuki si stesse pian piano sciogliendo.
    Non provava più quella tensione che aveva avvertito prima di adesso.
    «Dovrebbe. E’ davvero stupendo tutto questo. Son sicura che piacerà e non si preoccupi. Leggere le labbra è difficile tanto quanto parlare. » in quel momento Mirai si bloccò per un istante e si mise a riflettere sulle parole che le erano uscite dalla bocca.
    Parlare era una cosa naturale per chiunque meno che per lei.
    Era uno sforzo incredibile non riuscire a sentire ciò che diceva ma il mondo non era abituato a leggere il linguaggio dei segni e quindi si era dovuta adattare in qualche modo.
    La sua voce certo era più nasale ma nonostante questo riusciva a parlare senza problemi, il più delle volte. Forza dell’abitudine, e tanto lavoro dei suoi genitori per farle anche solo imparare le vibrazioni delle sue corde vocali.
    Sghignazzò all’idea di un Ryo vestito da pirata con tanto di benda, cappellaccio e sciabola pronto a solcare i mari alla ricerca di un tesoro… o forse non era proprio un’idea malvagia, secondo Mirai poteva anche stare bene in quelle vesti.

    I panini dolci erano stati messi nel forno, riscaldati con cura in modo da portarli ad una cottura giusta per renderli degli ottimi spuntini.
    Mirai fu quasi rapita dal calore del forno e attese osservando gli anpan come se di lì a poco potesse compiersi una magia e lasciò per un attimo Ryo e Yoshito a parlare tra di loro prima di poter venire richiamata all’attenzione per discutere sugli orari di lavoro.
    Mirai si sentì in imbarazzo quando si accorse che aveva forse parlato anche fin troppo. Trovava difficile parlare, sì, ma quanto attaccava bottone sembrava essere una mitragliatrice e questo voleva evitarlo a tutti costi ma in quel momento non ci riuscì.
    « …ehm… » portò le mani giunte al petto come se fosse stata colta in fragrante « … un po’. » una risposta strana ma si era trattenuta dal ricominciare un’altra sequela di frasi, discorsi e quant’altro.
    « S-S-arebbe per-fetto per me, e se proprio ha bisogno anche del pomeriggio posso organizzarmi al meglio. » disse per poi volgere lo sguardo a Yoshito che era stato interpellato allo stesso modo della giovane ragazza per sapere se poteva andargli bene il tardo pomeriggio con chiusura del locale.
    Fu in quel momento che Mirai lo osservò e non comprese cosa stesse succedendo, in un secondo il ragazzo si piegò in un profondo inchino e la ragazza portò la testa di lato non sapendone il motivo.
    S-Si sta scusando per qualcosa? Avrà fatto qualcosa di male? la rossa spostò prima lo sguardo sulle labbra di Ryo Tatsuki e poi sulla figura china di Yoshito come uno spettatore che attende il buffering di un episodio cruciale della serie tv.
    Ansia - apprensione.
    Che sta succedendo ?? le stava girando quasi la testa e con le mani giunte al petto sembravano tenere la cassa toracica prima che il suo cuore scoppiasse.
    «Y-Yoshikishi-kun? » chiese a voce bassa prima di notare un movimento dalle labbra del suo nuovo futuro boss.
    Bugie? Stracciare il curriculum? Yoshikishi-kun che dice bugie? No… non può essere… non è da lui. pensò osservando la figura di Yoshito con un senso di angoscia di non credeva a quello che aveva letto. Non era possibile che avesse fatto una cosa simile.
    Scrivere bugie sul curriculum.
    Non era da lui, non era da quel cavaliere. Aveva un codice d’onore stampato nel cuore e non poteva essere venuto a meno anche solo per entrare a lavorare in quella pasticceria.
    O forse… si sbagliava?
    In fondo Mirai non conosceva niente di lui, era solo uscita una sera e poi c’era stato il silenzio radio fino a quel giorno. Aveva davvero riposto la sua fiducia in una persona che mentiva?
    No. Non è possibile. Non ci credo. Non voglio crederci… eppure… se è così è perché davvero l’ha fatto. Forse… l’ha fatto perché non ha esperienza e il suo essere un cavaliere e un samurai forse… questo credo si riflette anche nella vita di tutti i giorni? Forse è per questo che non mi ha scritto… forse perché non è abituato a tutta questa tecnologia? si ricordava discorsi sulle tradizioni, sulla vita da samurai, sui diverbi col padre e sulla sua famiglia.
    In quel momento si sentì stringere il cuore in una morsa ancora più forte quando vide Ryo Tatsuki dire quelle ultime sette parole.
    E poi cadde il silenzio.
    Quel silenzio era diverso da quello che Mirai percepiva ogni giorno della sua vita.
    Sentiva tensione nell’aria, come una corda di violino pronta a spezzarsi e non riusciva a sopportarlo.
    Avrebbe fatto qualcosa?
    Dopo i fatti al Mori Museum aveva capito una cosa importante, non poteva più stare solo a guardare e se c’era qualcuno che avesse avuto bisogno del suo aiuto allora lei avrebbe fatto di tutto per schierarsi dalla sua parte e mettere su quel piatto d’argento la sua stessa vita se fosse stato necessario.
    Senza dire niente si mise in una posizione laterale, in mezzo ai due e si voltò verso Ryo Tatsuki con un’espressione determinata sul volto.
    « Non ho potuto capire niente dei vostri discorsi, non so cosa sia successo né … il motivo per cui ha fatto quella domanda. Ta-Tsu-Ki-san. » scandì il suo nome assieme alle sue mani per aiutarsi.
    « Posso solo garantire sulla mia parola che è un grande lavoratore, che non si arrende di fronte a nessuna difficoltà e sa prendere decisioni con fermezza.» come quando al Tanabata le aveva insegnato a catturare i pesci. Sarebbero valsi a qualcosa quei discorsi? Forse sì, forse no. In quel momento però sentiva di fare la cosa giusta anche se era difficile per la ragazzina trovare le parole e non mangiarsele.
    Il suo tono non era severo, e il suo volto non era corrugato da un’espressione strafottente.
    Sembrava calma, pacata, e fortemente ferma sulle sue parole: non trasparivano inganni, e neppure ripensamenti.
    « La sua presenza di spirito e il suo sorriso hanno sempre accolto chiunque e sembra strano da dirsi ma in qualsiasi situazione riesce a fare sentire tutti a casa. E posso garantirlo senza alcuna esitazione. » disse portando una mano sul cuore come se stesse pronunciando un giuramento.
    « Sono sicura, che se lei gli darà una possibilità non ne rimarrà deluso. I clienti amano avere qualcuno che si prende cura di loro… amano un posto dove ritrovarsi e più di tutto amano persone che possano trasmettere il loro calore come il forno a quegli anpan. Hanno bisogno di qualcuno che illumini loro la giornata e Yoshito è la persona capace di tutto questo. » un sorriso pieno di calore e di gioia si formò sul suo volto prima di poter finire le cartucce sulla sua mitragliatrice.
    « So che le mie parole non contano e forse può sembrare arroganza la mia e me ne dispiace. Mi creda però, io sbaglierò in tante cose ma sulla fiamma che arde dentro di lui potrei metterci non una ma entrambe le mani. » portò una mano sulla spalla di Yoshito e gli sorrise.
    « Oh- ho parlato ancora troppo … vero? Ehem… penso che i dolci siano quasi pronti… vado a controllare eh! » si scusò massaggiandosi la testa tentando di sviare l’imbarazzo creatosi per poi voltarsi e andare ad osservare di nuovo il forno e le piccole pallette deliziose che iniziavano a inondare con il loro profumo tutta la stanza.
    In qualche modo sperava che le sue parole potessero in qualche modo fare la differenza, o almeno Mirai ci aveva provato, ora era il turno di Yoshito di farsi valere e la ragazzina sapeva che non l’avrebbe delusa.
    mm_0
    MIRAI ISHIGAMI
    VIGILANTES » LIVELLO #3
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    Come ci si poteva aspettare, il titolare del Patisseryo non fu fausto nell'udire la confessione dell'aspirante cassiere, e l'atmosfera lieta e quasi gioconda che aleggiava nella stanza, deviò rapidamente verso una più tesa e quasi ostile.
    S-scusatemi...
    Osò dire il biondo mentre rialzava il capo, dopo esser stato ripreso dal suo probabilmente non più se continua così titolare, ostentando balbettante quella parola come se avesse avuto l'audacia di dire troppo.

    Era in imbarazzo.

    Era la prima volta che si trovava in una situazione simile e non sapeva come approcciarsi; un po' per via della situazione gerarchica tra "capo e dipendente" che s'era venuta a creare, un po' perché era veramente la prima volta che si trovava una circostanza in cui era lui la parte intorto e, soprattutto, si sentiva tale.
    Le porgo le mie più profonde scuse.
    Replicò Yoshito con un tono estremamente basso, ora dritto nella posa ma ancora incapace d'incrociare lo sguardo dell'altro; gli occhi puntavano verso in basso alla sua destra, osservando un punto casuale con espressione completamente vuota. Si assorbì il rimproverò di Ryo come se fosse un sacco da boxe, incassò ogni parole senza muoversi, senza reagire, senza fornire una risposta; dopotutto era in torto e questo lo sapeva bene, qualunque cosa avesse detto avrebbe solo potuto inasprire il discorso e quindi decise di subire da sconfitto.

    Kiichirō hai davvero esagerato questa volta...
    I pugni gli si strinsero, quasi di riflesso, carichi di rabbia ma non verso il fratello, ma verso sé stesso.
    No. Non posso scaricare le mie colpe verso gli altri. Devo assumermi la responsabilità delle mie azioni.
    Non poteva prendersela col fratello, non poteva scambiare quel gesto innocente e disinteressato con… qualcos'altro. Ryo aveva ragione. Alla fin dei conti, se non fosse stato così chiuso verso la tecnologia, tutto questo non sarebbe successo.
    Ma perché era così? Qual era il motivo dietro questo suo blocco?
    Avrebbe potuto cercare colpevoli per quanto volesse: nella tradizioni di famiglia, nel suo credo e nella sua cultura… in suo "padre", ma alla fine sapeva che se cercava un colpevole, l'avrebbe trovato davanti ad uno specchio.

    Io… Io…
    Era teso come le corde di un violino. Non sapeva cosa rispondere a Tatsuki, nemmeno lui riusciva a trovare un motivo che potesse convincerlo a farlo restare lì.
    Forse dovrei andarmene... Si permise di pensare. Forse ha ragione mio padre. Non sono adatto a questo genere di cose. Se non posso fare nemmeno così semplice, come posso sperare di diventare un guerriero?
    Quello sguardo abbattuto e mortificato non erano da lui, se qualcuno che lo conosceva lo avesse visto in quel momento, non avrebbe visto in quel ragazzo "Yoshito Amaterasu"; ma qualcuno che lo conosceva c'era, ed ora era lì al suo fianco.

    Il tocco gentile di Mirai sulla sua spalla, lo fece sussultare; era come se fosse maledetto e bastò quel semplice gesto per spezzare l'incanto.
    Mirai...
    Esclamò a bassa voce il ragazzo, con un volto incredulo come se non si aspettava di trovarsela al suo fianco. L'ascoltò, mentre il suo corpo sembrava ancora come paralizzato, le parole gentili che gli dedicò gli sembravano quasi ingiuste perché in quel momento sembrava non meritarsele.
    Cosa stai facendo, Yoshito Amaterasu. Hai lasciato che dubbio ed insicurezza corrompessero il tuo ardore. Ed ora eccoti qui, vestendo gli abiti dei codardi, ti mostri così… Dinanzi a "lei", proprio tu che le avevi promesso d'essere il suo raggio di sole…
    Appari come un'estraneo davanti a miei occhi.

    Dopo essersi rimproverato anche lui mentalmente, si lasciò scappare un sorriso quando i suoi occhi color fiamma si voltarono verso la ragazza; era passato un po' da quel loro incontro al Tanabata ma ancora ricordava quel giorno come se fosse stato ieri. Al tempo, quella donzella dai capelli ramati, gli pareva così timida e pura, come se fosse un gioiello bellissimo ma al contempo fragile, che doveva a tutti costi proteggere; ma ora, a vederla così grintosa e battagliera nel prendere le sue difese, il ragazzo si sentì contagiare da quel suo ardore e finalmente, il solito sorriso e volto deciso, tornarono a dar forma all'individuo conosciuto come Yoshito.

    Anche una piccola goccia può increspare il lago e creare la sua onda.
    Gli ripetette le stesse parole che le disse tempo addietro, come se volesse dirle che come lui è stato una luce per lei in quei momenti d'insicurezza, ora anche lei aveva fatto lo stesso per lui.
    Ti ringrazio Mirai. Le disse mentre si allontanava. Farò in modo di dar giustizia alle parole da te donate.
    Si girò dunque verso Ryo, gl'occhi spalancati, lo sguardo sicuro ed un sorriso in viso; il biondo sembra aver subito un repentino cambio d'umore completamente opposto a quello di qualche minuto prima. Era deciso, non aveva più timore d'incrociare lo sguardo dell'albino, e con petto in fuori e posa fiera, prese la parola con voce stentorea e sicurezza ritrovata.
    Tatsuki-san! Esclamò verso l'altro. Non v'è discolpa per l'onta che v'è stata porta e né costui cercherà scasanti per le proprie azioni. Costui ammette le proprie colpe ed è pronto a subirne le conseguenze, qualunque esse siano… Ma una cosa posso dirvi. Si fermò un attimo ed allargò leggermente le gambe mentre inclinava leggermente indietro il capo. Sembrava volesse assumere una posa solenne, come se stesse per proferire un giuramento di qualche tipo.
    Io, Yoshito Amaterasu, sono un uomo ch'è stato cresciuto secondo i valori ed i credi dei guerrieri del passato. Provengo da una casata che ancora oggi mantiene viva la fiamma del bushido, i cui insegnamenti, come un credo, sono ciò che guida il nostro cammino.
    Ciò che posso offrirvi e la mia fedeltà e il mio stesso onore. Così come facevano gli antichi samurai con il proprio padrone, anch'io farò lo stesso per voi.
    Rimedierò al mio errore con il duro lavoro e la volontà del guerriero, e questa volta vi prego di dar fiducia alle mie parole, poiché infrangerle per me significherebbe portar vergogna e disonore su di me, i miei antenati, la mia famiglia e...
    Si fermò e si girò per un attimo per guardare in direzione di Mirai. Sulla qui presente principessa che mi ha difeso con cotanto ardore.
    Con sguardo sicuro di sé, guardava ora fisso verso Ryo come se stesse aspettando una sua risposta. Tuttavia... Prima che il proprietario della pasticceria potesse aprir bocca, Yoshito continuò il suo monologo. Indipendentemente da quale sarà la vostra risposta, costui ritiene che una punizione sia obbligatoria per ripagare l'onta.

    All'improvviso, si abbassò sul posto.

    Si mise in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all'indietro, portò poi la mano dietro la schiena dove aveva riposto il suo abaco, infilato per metà nel retro dei suoi pantaloni; tuttavia, quando lo portò avanti a sé alla vista dei presenti, lo strumento di calcolo era stato trasformato in un tantō, un coltello senza guardia lungo circa 30 cm. Aveva usato la propria unicità ovviamente, ma da quella posizione il gesto sarebbe stato occultato agli occhi degli altri due; per Ryo e Mirai sarebbe parso come se fosse un qualcosa che si stava portando con sé sin dal principio.
    Nominate il prezzo del vostro perdono, Tatsuki-san. Qualunque esso sia. Costui è disposto a commettere seppuku difronte a voi, qui, in questo momento, se è ciò che desiderata.
    Yoshito era riuscito nell'incredibile impresa di proferire una così inquietante affermazione, con un sorriso stampato ancora in volto.
    E se non ne avete intenzione… Ci penserà costui stesso a redimere il proprio onore.
    Poggiò dunque la mano sul manico del coltello come se rimarcare il significato celato dietro le sue parole.

    Se lo avessero guardato negli occhi avrebbero visto lo sguardo di una persona che non stava scherzando, nonostante il sorriso, Yoshito sembrava molto serio e probabilmente pazzo mentre affermava quelle parole.
    Era una farsa o era davvero pronto a commettere seppuku? Beh, questa stava solo a loro deciderlo.
    SET YOUR OVEN ABLAZE!
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22 replies since 21/2/2021, 19:14   694 views
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