Strangers on a (Shibuya) Train

Role libera, personaggi coinvolti: Aya Nakamura e Osamu Kurokawa

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    Aya osservò lo scenario cambiare pian piano, mentre era seduta su quel treno preso a Ikebukuro, con Shibuya come destinazione, e ascoltava un podcast sul genere docu-crime. In fin dei conti non fu una pessima idea quello che la cugina le aveva proposto, cioè incontrarsi al Bunkamura, dove v'era una nuova collezione d'arte allestita per soli quindici giorni. Ma era stato un po' strano, a dire il vero, poiché l'ultima volta che l'investigatrice aveva visto qualcosa di attinente all'arte era... l'ultima opera di Hebenon. Il caso investigativo, il cadavere sfigurato e martoriato di Mitsuki, l'incontro con la serial killer, Laguna e Mizuki, compreso tutto quello che era successo dopo. Dei ricordi che era meglio restassero sepolti. Ci aveva pensato su per qualche lungo momento e c'era voluto Hiromi perché tornasse alla realtà, al momento della chiamata di qualche giorno precedente. Tornando alla proposta, non poteva essere un male prendersi un giorno libero e ricordare diversamente l'arte. C'erano dei cambiamenti in atto nella vita di Aya negli ultimi mesi, ci stava provando a non restare troppo fossilizzata nel suo lavoro e la separazione tra chi era alla luce e chi era nell'ombra era stata necessaria, gli affari da vigilante - il detective Kimura, ad esempio, che se l'era cavata con quella bugia ma avrebbe dovuto pagare prima o poi, oppure l'organizzazione terroristica Aogiri, bisognava mettere qualche bastone tra le ruote ai loro affari di spaccio – non dovevano influire su quelli da cittadina/investigatrice. Qualche esempio di questo nuovo percorso poteva essere il fatto che si era presa un cellulare normalissimo, che portava con sé l'essenziale e quello bastava, sicché comprendeva il fastidio di Hiromi (e i parenti rimastole) nello scoprire che il numero vecchio non andava più e spuntava sempre uno nuovo, questo perché prendeva i cellulari usa-e-getta o usava i telefoni pubblici. Il dispositivo acquistato doveva durare più del previsto secondo l'obiettivo mentale che si era prefissata da sola. Era un piccolo passo, niente di straordinario. Poi, qualcuno più attento di lei non sarebbe stato facile trovarlo. Un altro esempio era che stava cercando di uscire un po' più spesso anziché starsene perennemente rintanata tra le mura di Mobius, con i fascicoli dei casi tra le mani e determinata come non mai arrivando ad applicare la precedenza sul lavoro rispetto ad altre cose, di tornare per certi versi alle proprie radici. Aveva aiutato qualche persona anziana in difficoltà a portare la spesa e ricondurla sulla via della casa e dato una mano alle persone meno fortunate tramite i centri di servizio cittadini. Era inaspettato - l'unico termine che più si avvicinava - e al contempo curioso ma il tempo le aveva dato quella batosta - metaforica - per farle valutare ciò che stava costruendo effettivamente nella propria vita. Aveva compreso quanto fosse sciocco quel desiderio di prendere parte ad una missione di una certa importanza per dimostrare di valere qualcosa, non poteva sentirsi più stupida di così poiché era un segno di immaturità e lei non poteva essere questo. Ciononostante era anche consapevole fosse dovuto alla frustrazione scaturitasi quella sera dopo l'incarico a Ginza Wako. Non doveva dimostrare niente a nessuno.
    (...) doveva essere arrivata a metà del podcast quando partì quell'annuncio da parte del conducente. Ci sarebbe stato qualche lieve ritardo a causa di una circostanza non precisata ma a cui gli addetti al servizio ferroviario stavano provvedendo a risolvere. Si levò un mormorio generale di assenso misto a perplessità, probabilmente non ci sarebbe voluto molto sapendo bene la celerità con cui sistemavano quelle determinate situazioni ma al contempo si poteva essere curiosi circa quello che era successo. L'investigatrice decise di riporre gli auricolari nella propria borsa dopo aver interrotto il podcast sul cellulare, avrebbe ripreso ad ascoltarlo poco più avanti o quando sarebbe tornata a "casa"; virgolettato poiché restava un termine impreciso, essendo Ikebukuro una situazione provvisoria finché non sistemavano il problema del farmaco nero a Yotsuya. Pensò bene ad informare la cugina sul ritardo, da cui ricevette subito una risposta. Ne avrebbe approfittato per prendere qualcosa di fresco in un bar poco distante dalla stazione, così diceva Hiromi. Per qualche breve momento pensò a cosa quest'ultima le avrebbe preso, forse seguito da un "chissà da quanto tempo non ne prendi uno, su!". Mentre si schiariva la mente scacciando via quell'immagine mentale, alzò il capo e poté notare come alcuni individui stessero cercando di vedere meglio ciò che succedeva fuori dal treno. C'era qualcosa di interessante o si stavano solo lasciando trascinare dal momento? Dalla sua postazione, tuttavia, non riuscì a scorgere alcun dettaglio rilevante. Proprio quando aveva deciso di starsene sulle sue piuttosto che fare come gli altri, la persona seduta di fianco si era alzata in fretta e furia, facendole mollare via il cellulare che prima teneva nella mano dominante. Non riuscì a dirle di fare attenzione che si era già dileguata unendosi alla curiosità altrui, mentre il suo cellulare non sembrava accennare a vedersi. Due cose, la prima era che fortunatamente v'era una custodia protettiva e con tutta probabilità il dispositivo non avrebbe riportato qualche graffio abbastanza vistoso, mentre per la seconda, doveva essere scivolato nella direzione di qualcuno. Sicché Aya preferiva non fallire nell'obiettivo che si era prefissata, sarebbe partita alla ricerca con un po' di pazienza.
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    Aveva rimandato per mesi il suo trasferimento, ancor prima della quarantena si era messo a cercare qualche appartamento in cui poter vivere da solo, dato che stava iniziando a sentire il bisogno dei propri spazi e la casa dei suoi genitori non era poi così grande e spaziosa. Purtroppo, aveva abbandonato le ricerche di un appartamento da affittare quando le farfalle avevano preso possesso della metropoli e loro erano stati costretti a rimanersene chiusi in casa per praticamente un mese. Osamu non era claustrofobico, ma dopo essere rimasto così tanto tempo chiuso in quattro mura, probabilmente un po' lo era diventato; quel periodo era stato veramente stressante per lui, il non poter uscire di casa liberamente, muoversi in uno spazio così ristretto e passare le giornate chiuso nella sua stanza a giocare a qualche videogioco, si sentiva impazzire e lo rendeva irrequito e difficile da gestire.
    Non aveva paura del farmaco, in realtà non gliene fregava niente, lo vedeva soltanto come un'enorme scocciatura di cui non vedeva l'ora di liberarsi, o che qualcuno lo facesse per lui. Gli era venuto in mente di poter uscire per aiutare —sia per il semplice gesto che per poter finalmente vedere il mondo esterno oltre la coltre di esserini alati che coprivano la sua finestra—, però non aveva alcun modo di proteggersi dal farmaco, ed era abbastanza attaccato alla propria vita per non commettere una sciocchezza. Infatti, in tutta quella situazione, ciò che più lo irritava erano gli egoisti bastardi che uscivano volontariamente di casa, senza protezione o con mezzi poco adeguati, e finivano svenuti a terra coperti da farfalle, intralciando ulteriormente il lavoro della polizia o degli eroi.
    Oltre a ciò, aveva passato un mese senza ricere alcun genere di ingresso, nessuno aveva bisogno di ripare un auto se non la potevano usare in primo luogo, e se non potevano nemmeno fisicamente raggiungere l'officina. Aveva quindi aspettato un po' più di tempo prima di levare le tende da casa sua, per poter iniziare a vivere da solo. (. . .)
    Ormai da una settimana, stava sistemando il suo nuovo appartamento a Minato ed aveva scoperto che vivere da soli era molto più difficile di quanto aveva pensato, sopratutto quando non si sapeva cucinare e non si aveva la minima idea di come si usasse una lavatrice: aveva già tinto alcune delle sue magliette bianche di blu, ed imparato di non dover mischiare troppo i colori.
    Ora si trovava in cammino verso Shibuya, per prendere alcune cose che gli serviva per l'appartamento. Nonostante lui fosse solito prendere la moto per andarsene in giro, in modo da non doversi affidare ai mezzi pubblici, andare nel centro dove si concentrava il turismo e commercio di Shibuya, col traffico che vi scorreva, sarebbe stato solo un incubo particolamente stressante. Aveva presto imparato che in posti affolati era sempre meglio affidarsi a treni, bus o ai propri piedi, piuttosto che dover perdere un'ora a cercare parcheggio mentre schivavi auto sperando che non fossero troppo concentrati a guardare il cellulare per notarti, ed investirti e graffiare la tua preziosa moto —sì, lo aveva provato sulla propria pelle—.
    Ma qualche divinità doveva odiarlo un po', perchè proprio il treno in cui lui viaggiava, aveva deciso di guastarsi e fargli perdere il suo prezioso tempo. Una voce quasi metallica comunicò a tutti loro che era sorto un imprevisto, di cui però non parlavamo, e che quindi avrebbero avuto un ritardo. Un lungo sospiro uscì dalle sue labbra e il piede aveva iniziato a picchiare ritmicamente il pavimento del treno, impaziente. Come gli altri, anche Osamu si voltò con fare interessato ai finestrini per poter capire quello che stava succedendo, trovandosi lui seduto, accanto ad un finestrino, gli bastò semplicemente girare la testa.
    Qualcosa però lo distrasse, qualcosa che colpì la sua caviglia. Il suo primo istinto fu di alzare lo sguardo per capire chi gli avesse dato un calcio, pronto a fulminarlo con lo sguardo, ma al vedere che vicino a lui non c'era praticamente nessuno, i suoi occhi azzurri si spostarono per terra, notando che l'oggetto che l'aveva colpito era un cellulare. Si chinò leggermente ed afferrò lo smartphone, esso non aveva subito praticamente nessun danno, se non giusto qualche graffio; se lo rigirò tra le mani per qualche secondo, poi premette il pulsante per poter accedere alla home senza pensarci troppo, cercando magari la foto dello schermo che mostrasse a chi apparteneva.
    Finì per alzarsi dal sedile, sollevando leggermente la mano dove teneva il cellulare. ‹ A qualcuno è caduto questo cellulare...? › domandò, alzando leggermente la voce.
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    Alla faccia della difficoltà di trovare qualcuno più attento di Aya, sebbene lo scopo della frase in sé vertesse su tutt'altro. Si era messa a cercare il cellulare e ciò pareva rivelarsi un'impresa da non prendere sottogamba. Non che si trovasse all'interno di una piramide molto antica e dovesse affrontare una serie di trappole pericolose, tuttavia il treno sapeva il fatto suo, vuoi che sia perché la curiosità di certi individui era troppa e la confusione generale scaturitasi non aiutava di certo.
    Non seppe precisamente quanti minuti ci avesse impiegato per tentare di trovare il cellulare ma sentire quella voce fu come una manna dal cielo. Si guardò intorno una sola volta, prima di capire dove si trovasse l'origine. Già, non ci era voluto molto perché un individuo giovane aveva facilitato un po' il tutto sollevando il dispositivo. Si sistemò la borsa che teneva su una spalla e poi mosse i passi verso il salvatore, che avrebbe identificato come tale fino a che non sapeva effettivamente il suo nome. « Cielo, grazie mille. » proferì semplicemente in segno di cortesia mentre faceva un piccolo inchino di ringraziamento col capo, non aveva dimenticato di certo le buone maniere ed era pur sempre una giapponese. Poi prese a controllare il proprio cellulare in cerca di danni, intravedendone solo un graffietto in basso a sinistra. E funzionava ancora, siccome si accendeva normalmente e non c'era qualcosa di insolito. Non poté che esalare un piccolo sbuffo, non era spazientita né arrabbiata.... solo un po' perplessa. Cercò la persona che le aveva fatto cadere il cellulare ma non ci riuscì, era possibile che fosse andato nel vagone successivo oppure in bagno. Non che ci tenesse a sentire una scusa o un pagamento per togliere quel graffietto, anche perché tecnicamente aveva ancora la garanzia solo grazie a Hiromi. Aveva insistito abbastanza, le diceva che non poteva essere un male andarci cauti. Poteva succedere di tutto, un momento sbagliato e se lo ritrovava a terra. Esattamente quello che era successo. Hiromi non poteva guardare un po' meno nel futuro? Accidenti. « Tutto questo movimento per? » e guardò un po' a destra e sinistra, spulciando oltre i finestrini come a voler capire il motivo di tale curiosità. Forse poteva essere successo qualcosa alle rotaie, forse no. In ogni caso ci stavano lavorando su gli addetti al servizio ferroviario, alla peggio avrebbero chiamato un Pro-Hero apposito. Non v'erano di svariati tipi, dopotutto? Chi per gestire le situazioni di emergenza, chi per salvaguardare il territorio dagli incendi. Ad esempio, Providence e Lifeline. « Non dovrebbero sapere che troppa curiosità fa male? D'altronde, non uccise alla fine il gatto? » si trovò a dire mentre riportava l'attenzione sul salvatore, il riferimento le sembrava più o meno azzeccato. Certo che l'interlocutore non era tenuto a conversare per forza con l'investigatrice, dopotutto erano tutti e due sconosciuti, ma quest'ultima stava cercando di cambiare un po', no? Con il treno fermo, non sarebbe stata una pessima idea mettere in secondo piano l'illusione dell'attesa con una conversazione.
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    Lui non sapeva cosa farsene del cellulare, ovviamente non aveva intenzione di tenerselo, e se nessuno lo avesse reclamato probabilmente si sarebbe preso l'impegno di lasciarlo da qualche parte tra gli oggetti smarriti una volta sceso nella stazione a Shibuya, sempre se esisteva qualcosa del genere. Da quando, ormai da qualche anno, aveva iniziato a comprarsi le cose con i propri soldi, aveva imparato a stare attento a non lasciarle in giro o buttarle, non era tipo da scordarsi le chiavi o perdere il proprio cellulare da qualche parte, ma sapeva la grande scocciatura ch'era quando succedeva, quindi ora faceva semplicemente il possibile perché chiunque avesse lanciato lo smartphone lo ritrovasse in fretta.
    Alcuni sguardi, prima occupati a sbirciare fuori dai finestrini in cerca del motivo che aveva spinto il treno a fermarsi, si spostarono si Osamu, e in qualche secondo ritrovò il proprietario, o per meglio dire la proprietaria. Una ragazza di bell'aspetto camminò nella sua direzione, superando un paio di persone ferme nel mezzo del corridoio del treno, era giovane, non le avrebbe dato più della sua età, con dei capelli castani, più corti dei propri, e dei esotici occhi rossi.
    Il ragazzo allungò il braccio e le porse il cellulare, con un cenno del capo in risposta al suo inchino, per poi mettersi le mani nelle tasche dei blue jeans; quel giorno a Tokyo il clima era mite e sopportabile, non troppo caldo, e lui indossava una semplice maglia a maniche corte, nera ma leggermente sbiadita, come se l'avesse lavata parecchie volte e la tinta man mano stesse sparendo, i jeans erano tenuti da una cintura nera, mentre ai pedi portava delle semplici vans nere.
    Quando la ragazza, di cui non sapeva il nome, iniziò a controllare lo smartphone, probabilmente per constatare i danni, Osamu spostò semplicemente lo sguardo altrove. Era strano che si mettesse a parlare con una perfetta sconosciuta, soprattutto in un luogo come il treno, in cui era abitudine mantenersi in silenzio o parlare a bassa voce per non disturbare il prossimo, quella probabilmente era una situazione speciale, siccome tutti avevano iniziato a fare trambusto per ciò che stava succedendo, tra chi si lamentava e chi semplicemente era curioso. Fu la ragazza dai capelli corti a rivolgergli la parola, cosicché gli occhi di lui tornarono ad osservarla. ‹ Immagino che vogliano sapere che succede. › le rispose, alzando le spalle con nonchalance.
    Il castano era una persona curiosa di natura, ed effettivamente il non farsi gli affari propri gli aveva portato qualche guaio, soprattutto nei suoi anni di scuole superiori, quindi non poteva proprio darle torto, ma era un'aspetto di sè che semplicemente non riusciva a controllare —come qualunque altra parte della sua personalità—. ‹ Può darsi, ma probabilmente qui c'è gente che lavora e questo qualunque-cosa-sia li farà arrivare in ritardo. E anche io ho i miei impegni e vorrei sapere cosa succede, almeno per capire quanto tempo staremo qui fermi. ›, non che avesse alcuna fretta, oltre ad andare a comprare un po' di arredamento per il suo nuovo appartamento non aveva molto altro da fare, era il solo perdere tempo fermo in treno che lo infastidiva. L'attesa, insomma.
    ‹ Kurokawa Osamu, comunque... › si presentò, dato che, a quel punto, voleva sapere almeno il nome della persona con cui stava parlando.
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    Aya fissò per una breve manciata di secondi l'interlocutore, il salvatore, soffermandosi su quelle iridi azzurre. Il giovane le dava l'aria di essere un tipico giapponese, per l'aspetto, e a renderlo diverso dai giapponesi comuni era quello sguardo. Era raro vederne uno così, che non fosse dovuto a un genitore straniero o frutto dell'Unicità. Sicché in giro dicono che gli occhi siano lo specchio dell'anima, forse sarebbe stato meglio distogliere l'attenzione per non sembrare maleducata. Erano due sconosciuti, in fin dei conti. « Sono certa che lo comunicheranno appena sapranno di cosa si tratta. » continuò lei, riportando poi il cellulare nella borsa. Si assicurò anche che la zip fosse chiusa, controllando una o due volte. Probabilmente ci teneva a non fare altre brutte figure per quella giornata. Che tra l'altro non era male, il troppo caldo che si percepiva qualche mese fa stava diventando un lontano ricordo, così Aya aveva deciso di optare per un outfit adatto a un museo: una camicia a maniche corte, con un simbolo sul colletto, una gonna tartan abbinata a dei leggings leggeri sotto e un paio di converse basse total black.
    Non si considerava propriamente una persona curiosa, fuori dal lavoro tornava ad essere... normale? Tranquilla? Di certo non amava molto dare nell'occhio, per l'incidente col cellulare non era colpa sua. Invece, quando era nei panni dell'investigatrice, era naturale cercare gli indizi, le informazioni. Cercare di capire un caso, le persone coinvolte entrando nella loro mente e così via. « Lavoro. Come dimenticare il nostro senso di dovere. » e le troppe aspettative che la società nipponica riponeva nei suoi cittadini. Lei poteva essere considerata uno dei migliori esempi di come i giapponesi si dedicassero al lavoro, ligi al dovere, dimenticando delle volte certi aspetti della vita quotidiana. A lungo andare si poteva solo peggiorare. C'erano dei casi di karoshi in Giappone, specificati persino tra le cause di morte. L'investigatrice stava cercando di cambiare, e avrebbe continuato a provarci solo per non essere una delle persone segnate da quel tragico epilogo. « Nakamura Aya, comunque. » si presentò dopo il salvatore, ora sapeva come si chiamasse: Osamu Kurokawa. A onor del vero era un pelino sorpresa che l'altro si fosse presentato, di solito le persone in cui si imbatteva per puro caso si limitavano a rivolgerle brevi parole per poi ringraziarla e andarsene via. O direttamente andarsene via. « Di che categoria fai parte tu? Se posso chiedere, naturalmente. » ci tenne a precisare, con modi tranquilli che le si addicevano e le iridi color cremisi che scrutavano in silenzio la presenza altrui. Osamu cos'era? Un lavoratore ansioso di sorbirsi il proprio datore di lavoro e dovergli spiegare il motivo di quel ritardo? Ma, a giudicare dall'outfit, non sembrava proprio. Forse semplicemente uno che aveva fissato un impegno con qualcuno e doveva raggiungerlo? Okay, forse l'investigatrice che era in lei stava tornando ad emergere, ma si sarebbe solo trattata di una conversazione tranquilla e il fatto che facesse un cenno con la mano destra per chiedere se potesse accomodarsi, bastava a far capire l'andazzo. C'erano dei sedili lasciati vacanti accanto a quello presumibilmente occupato dal salvatore Osamu.
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    Era la tonalità così particolare di rosso dei suoi occhi a rendere così intento lo sguardo della donna, che fissava i suoi come se in essi desiderasse coglierne qualcosa; non era da tutti i giorni un giapponese dagli occhi azzurri, questo era vero, ma in un mondo di unicità dove la gente poteva avere capelli color arcobaleno o assomigliare ad un gatto, i suoi occhi non risultavano più così esotici, e lui ormai non ci faceva più alcun caso. Il castano ricambiò l'occhiata, nonostante non considerava educato fissare una persona in quel modo così a lungo, e dopo alcuni secondi gli fu impossibile non domandare: ‹ Che c'è? › con un tono, non aggressivo, ma nemmeno troppo amichevole, più come se si fosse messo sulla difensiva. Tutto quel silenzio, e il modo in cui lo guardava, gli faceva quasi pensare di essere messo sotto osservazione ed era strano considerando che nemmeno conosceva la persona che aveva davanti.
    Il castano schioccò la lingua in mezzo ai denti, con fare indispettito, anche se non verso di lei, quanto più per il treno e qualunque cosa lo avesse fatto fermare proprio mentre lui era a bordo. Non poteva rompersi dopo? ‹ Spero che si sbrighino. › liquidò la faccenda con un'alzata di spalle. Osamu non era esperto di treni, ma aveva studiato sia elettronica che meccanica, e si occupava di riparare macchine, era quasi sicuro, che se ci fosse stato un guasto sarebbe stato in grado di aiutare e magari velocizzare tutta la questioni, ora probabilmente erano fermi solo ad aspettare che arrivasse qualcuno di competente e solo dopo aver capito cos'era successo, avrebbero dovuto prendere i provvedimenti, questo avrebbe preso davvero parecchio tempo... nella sua testa si stava già formando l'idea di scendere e farsi la strada camminando fino a Shibuya.
    Osamu non rientrava in quella categoria di giapponesi che si dimenticavano di vivere e si fissavano col lavoro tanto da metterlo al primo posto su qualsiasi altra cosa, era responsabile il giusto, non era tipo da arrivare tardi e cazzeggiare sul lavoro, ma non avrebbe certo fatto un'ora più del dovuto quand'era stanco. Aiutato anche dal fatto che lavorava a dipendenze del padre e quindi faceva un po' quel che voleva lui, cercava di mantenere un certo equilibrio tra vita e lavoro, e da quando aveva finito l'università era diventato leggermente più facile.
    La ragazza, di cui scoprì il nome poco dopo, tale Aya Nakamura, sembrava intenzionata a fermarsi a parlare con lui, e sederglisi accanto nel posto libero. Il giovane ricambiò il cenno, lasciando che si accomodasse, per poi tornare a sedersi. Non gli dispiaceva, anzi, era un ottimo modo per distrarsi e passare il tempo che stava perdendo dentro quella ferraglia. ‹ Della categoria che non vuole passare il resto della giornata in treno. › rispose in modo vago, ma sincero. Non aveva nulla di così importante o per cui aveva un orario prestabilito in cui arrivare, ma Osamu si annoiava facilmente se non aveva mente o corpo occupati in qualcosa.
    ‹ Lei, Nakamura-san? › ricambiò la domanda, ovviamente non potendo fare a meno che impicciarsi. Se avesse dovuto tirare ad indovinare, nemmeno la ragazza sembrava star andando a lavoro, dal modo in cui vestiva doveva star andando all'università, quella che aveva addosso sembrava proprio un'uniforme, anche se non gli pareva di notare loghi particolari, da quelle brevi occhiate che le aveva lanciato.
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    L'aveva notato allora, Aya non poté far altro che scusarsi formalmente con un cenno del capo, portandolo un poco verso il basso, prima di ricomporsi. Proprio tipico dei giapponesi, qualcuno potrebbe dire. Era comunque vero che il mondo fosse mutato completamente con l'arrivo delle Unicità, cambiando l'aspetto delle persone, influenzando la loro genetica con caratteristiche nuove o già viste in natura. Ma era altrettanto vero che l'investigatrice avesse passato gli ultimi tempi con il naso sui fascicoli, determinata – se non ostinata – com'era a combattere il crimine. Persino inseguire quelli che avevano troppe prove schiaccianti su di sé nei casi che portava avanti, presentandosi con un "aspetto minaccioso" enfatizzato dalla suit. Molte volte bastava a far venire un po' di fifa e rimetterli in riga spingendoli a costituirsi. Altre volte no, ma non sembrava il momento adatto per una simile digressione. Stava il fatto che Osamu non poteva sapere ciò che Aya aveva fatto, perdendosi il bello come poteva esserlo camminare in giro, inquadrare molte persone, con aspetti differenti, chi con un paio di corna, chi con le fattezze di un rettile, chi con gli occhi riflettenti. Quando si stava nei panni dell'Angelo della Giustizia, era inevitabile soffermarsi sulle cose molto sbagliate ormai compiute, anziché sull'aspetto. Scusarsi era l'unica cosa che potesse fare, e ora stava cercando di cambiare tornando a godersi il "bello". Quindi il fissarlo poteva essere considerato un gesto di curiosità genuina, specialmente se si pensava al fatto che lei avesse gli occhi color cremisi. Un colore del genere, sugli occhi di un essere umano, non si poteva dire che esistesse prima dell'avvento delle Unicità. Quello era chiaramente una caratteristica tramandata dai suoi genitori biologici, influenzata senza alcun dubbio dalle Unicità, ed era decisamente meglio fermarsi qui.
    « Comprendo... soprattutto quando non si ha qualcosa con cui distrarsi. » fece per dire lei, con fare comprensivo, mentre prendeva posto, sistemando la borsa accanto al proprio fianco libero. « Prima stavo ascoltando un podcast abbastanza curioso, il resto è storia. » e si fermò lì, c'era stato quell'annuncio e in mezzo alla foga qualcuno le aveva fatto cadere il cellulare. Se Osamu avesse mostrato dell'interesse anche in merito a ciò che stava ascoltando prima, molto probabilmente ne avrebbe parlato senza problemi, giusto per ingannare il tempo e soprattutto perché a suo dire tutti ascoltavano i podcast. Forse era così, forse no. « Mi verrebbe da dire la stessa, Kurokawa-san. » rispose a quella domanda, ricambiando una di quelle brevi occhiate che l'altro pareva aver lanciato. « Soltanto perché ho mia cugina ad aspettarmi alla stazione di Shibuya. – e per un breve momento si ritrovò a pensare a Hiromi, augurandosi che stesse facendo qualcosa anziché aspettare solamente, come fermandosi a guardare un televisore in quel bar o chattando con una di quelle sue colleghe che le voleva tanto far conoscere. – « Nel caso non avessi avuto un impegno, è probabile che mi sarei soffermata a leggere un libro. Sa come dicono in giro, "cogli l'attimo". » in effetti di libri ne aveva parecchi da leggere per recuperare, anche se "parecchi" non rendeva decisamente l'idea con ciò che aveva tra le "mani". Perlopiù si trattavano di quelli consigliati dalla cugina o quelli che aveva trovato su internet, con l'intento di voler spaziare su altri generi. In realtà non era proprio una persona da "lettrice accanita". Leggeva ogni tanto, prima di essere diventata una vigilante, ed era perché sua madre le dava uno dei suoi libri "raccomandati da quell'interessante club di lettura", come soleva dire. Ora... beh, inutile ripeterlo, aveva un po' di tempo da dedicare e i libri erano decisamente un ottimo investimento.
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    Chiedo ugualmente scusa :sadbunny:
     
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    Quella donna era strana, o almeno così l'avrebbe definita Osamu, come avrebbe definito qualunque persona che iniziasse a parlare con lui in trenno totalmente a caso. Era raro, ma non era nemmeno la prima volta che gli capitava, e lui più che parlare si limitava ad ascoltare ed annuire, fondamentalmente perrchè non gli importava. Se con Aya teneva un minimo di discorso era per due semplici motivi, il primo di tutti era che aveva chissà quanto tempo da trascorrere in quel treno fermo senza niente da fare, il secondo invece era qualcosa di più intrinseco, la ragazza aveva un bell'aspetto, ma non era qualcosa a cui stava attivamente pensando, semplicemente le persone erano sempre più ben disposte a parlare se trovavano gradevole il loro interlocutore. Nel caso del castano si traduceva più nell'ascoltarla sul serio e non far finta, certo non sarebbe improvvisamente diventato un grande chiacchierone.
    Aya si scusò al rendersi conto di starlo osservando un po' troppo, ma non ne diede spiegazioni, la curiosità del castano lo spingeva a voler indagare oltre, ma si disse che sicuramente non vi era alcuna spiegazione. Probabilmente era il suo aspetto ad averla incuriosita —così come a lui i suoi occhi rossi—, che nonostante non spiccasse in un mondo di persone dai tratti animaleschi e mutazioni di vario genere, non era nemmeno un giapponese nelle media.
    Osamu si era seduto con la schiena leggermente curva in avanti, i gomiti appoggiati sulle proprie gambe ed un tallone che picchiettava il pavimento ritmicamente, quasi non riuscisse a tenersi fermo, segno della sua impazienza. Probabilmente lei aveva ragione, portarsi qualcosa da fare, leggere un libro o ascoltare un podcast, sicuramente avrebbe aiutato a mantenerlo impegnato, ma in realtà non prendeva spesso il treno, di solito si muoveva sempre in moto, quello era un caso a parte ed aveva capito che non era affatto conveniente. ‹ Già... è che non prendo mai il treno. Volevo provare per vedere se era più comodo. ›, e ovviamente si stava pentendo di quella decisione, preferiva arrabbiarsi perchè non trovava parcheggio piuttosto che arrabbiarsi senza però poter fare nulla al rispetto.
    In realtà Osamu aveva sempre preferito ascoltare musica nei momenti vuoti, piuttosto che i podcast, sentir parlare gente di cose senza poter intervenire lui direttamente non lo attirava molto. ‹ Si? Un podcast su cosa? › domandò subito, spostando lo sguardo sulla ragazza dagli occhi cremisi... ricordandosi del cellulare. ‹ A proposito, com'è arrivato il tuo cellulare fino ai miei piedi? ›
    La ragazza disse che qualcuno la aspettava a Shibuya, Osamu però aveva iniziato a guardarsi attorno per qualche secondo, l'idea di uscire dal treno non aveva ancora abbandonato la sua mente... perchè non provarci? A quel punto non dovevano essere troppo lontani, volendo avrebbe potuto camminare. ‹ Pensi che se volessimo ci lascerebbero uscire da qui? ›, si, volle coinvolgere la ragazza nel suo piano improvvisato, semplicemente perchè continuasse a fargli compagnia fino ad arrivare a destinazione. E poi in due sembrava più giusta come cosa.
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    Mi scuso a mia volta per l'enorme ritardo :sadbunny:
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    Era così che la gente si sentiva quando si prediligeva l'arte della conversazione, anziché dell'osservazione e dello starsene in disparte e in silenzio? Era insolitamente strano. Anzi, no. Non strano, era un qualcosa che poteva portarla a riflettere su quante occasioni potesse aver perso nel suo concentrarsi totalmente sul crimine. Però dall'altra parte, si sentiva spronata a proseguire su quel sentiero del vigilantismo, sebbene non lo dovesse a nessuno e di questo ne era pienamente consapevole. Senza alcun dubbio dovevano essersi sentiti così i vigilanti del passato – e, perché no, del presente – che volevano far parte di entrambi i mondi, senza dover sacrificare qualcosa di importante, in quello che poteva suonare come un eterno conflitto. Anche Aya voleva farlo, o perlomeno ci provava con un po' di pazienza e senza imporsi false speranze. Poi non era mai stata una tipa da voler bruciare immediatamente le tappe.
    « Delle volte è... okay prendere il treno, almeno così la penso io. Di solito cammino tanto, però non sempre è l'opzione migliore. » e sì, per un breve momento si era ritrovata a pensare come esprimersi. Non sapeva proprio come definire la sua esperienza con i treni, per quanto suonasse paradossalmente assurdo. E forse anche stupido. Ma ehi, le persone sono diverse, no? « Provare non dovrebbe essere un male. » quello che le diceva sempre sua cugina, tale che mimò in parte il suo modo di dirlo, a metà tra la guru saggia e la cugina apprensiva. Sicché non possedeva un'Unicità in grado di farle leggere le menti altrui, non ebbe la minima idea di quanto potessero servire le sue parole, dopotutto era una sconosciuta. Si tende a dar credito più alle persone che si conosce bene e con cui v'è un legame solido, no?
    Jackpot: Osamu pareva interessato al podcast. « Su un serial killer, dal punto di vista della sua figlia e quello degli investigatori che collaborano con lei. È decisamente interessante. » ora che si toccava l'argomento che l'investigatrice aveva iniziato a prediligere, vuoi che sia per via del lavoro, vuoi che sia per via del percorso come vigilante, la si poté vedere sicura di sé. L'aria di chi avrebbe potuto tenere un seminario a proposito per ore e ore. « Si cerca di delineare un quadro unendo i tasselli, perché ci sono alcuni casi di omicidio ancora irrisolti che potrebbero essere associati al serial killer per via del modus operandi. La verità stessa viene sviscerata da ogni prospettiva possibile. – e si fermò, serrò le labbra e distolse brevemente l'attenzione dal ragazzo per guardare altrove. Si era dilungata, forse aveva anche detto più del previsto rischiando di rovinare l'esperienza all'altro. Cosa che sotto sotto si augurò non fosse così e l'altro avesse ancora voglia di ascoltarlo. – « E non solo, c'è molto altro. Le consiglio di dare un tentativo al podcast appena può, Kurokawa-san. Si chiama The Clearing. » cercò di essere breve questa volta, omettendo anche un eventuale commento sul titolo molto inglese. Se lo tenne per sé, non lo riteneva necessario. Poi si ricordò: come poteva prenderlo la gente al sentire una che affermava di aver ascoltato un podcast di quel genere? "Ecco, una di quelle strambe che cercano di essere alternative ascoltando podcast diversi", "Non deve avere una grande vita per mettersi ad ascoltare robe che parla di serial killer, crimini, omicidi", "Cioè questa ascolta roba di omicidi anziché roba di Pro-Heroes che consigliano come continuare la propria vita con un sorriso stampato sul volto e il Plus Ultra come uno stile di vita?" e così via. Sospirò appena come a voler scrollarsi di tutte quelle riflessioni a cui era giunta, decidendo una volta per tutte di non averne affatto bisogno. Come la prendesse la gente, di conseguenza gli eventuali giudizi, non doveva essere affar suo.
    « Giusto, la faccio breve. Il fatto è che nella foga del momento uno me l'ha fatto cadere mentre cercavo di riporlo nella borsa. » la successiva domanda di Osamu arrivò come musica per le orecchie di Aya, che rispose senza problemi. Per semplice riflesso, mise la mano sulla borsa come ad accertarsi che il cellulare fosse ancora lì. Ed era così. « Avevo giusto deciso di prendermi una pausa dal podcast, per dare un'occhiata in giro. » ed eccoli lì, a parlarsi. Attenta com'era, comunque, non le sfuggì quel guardarsi attorno da parte dell'altro e il motivo arrivò in men che non si dica. Si portò semplicemente una mano a sistemarsi i capelli a caschetto nel sentirlo parlare, l'iniziativa non era decisamente male e, sicché prediligeva camminare, le avrebbe fatto bene per sgranchirsi un po'. « Perché no, si può provare a chiedere. » concluse lei, dovevano solo camminare fino alla stazione di Shibuya e un po' di compagnia non avrebbe guastato di certo nel tragitto che si prospettava all'orizzonte. C'era decisamente bisogno di parlare con un capotreno per capire il da farsi, a quel punto.
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    Chi pensava di aver ancora tempo e ha realizzato che non è così? Chi ha scritto un post in poche ore, per giunta un record personale? That's me :neko:
     
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    Osamu stava iniziando a notare come la ragazza si prendesse alcuni secondi prima di parlare, quasi volesse controllare più e più volte che quel che voleva dire avesse un senso, o semplicemente ci mettesse un po' di tempo a formulare la frase, per un attimo pensò si trattasse di una straniera, ma il suo nome era giapponese ed aveva una pronuncia perfetta. Probabilmente era solo un po' lenta, ovvero l'esatto contrario di Osamu, che parlava sempre velocemente, come se volesse arrivare il prima possibile alla conclusione del suo discorso, anche questo dovuto alla sua impazienza.
    ‹ Sarà... oggi non è stata la nostra giornata fortunata immagino. Di solito io mi sposto in moto, ma andare a Shibuya è uno stress. › riassunse i suoi pensieri. Camminando sarebbe stato un po' lontano da casa sua, ma almeno sapeva che sarebbe arrivato e che dipendeva da lui il tempo che avrebbe impiegato, diversamente da ora, che doveva aspettare un tempo indefinito. Ad Osamu piacevano le certezze, sapeva che ad andare in moto sarebbe arrivato, ma aveva voluto provare il treno. Di solito "sperimentare" per lui non aveva alcun senso se esisteva già un metodo che funzionava perfettamente ed era efficace, non c'era alcun bisogno di andare alla ricerca di qualcos'altro. La sua era una mente abbastanza matematica, quando trovava a soluzione del problema, se il problema era simile, allora andava sempre risolto in quello stesso modo, potevano esistere altri metodi, ma preferiva usare quello più comodo per lui. Questa volta, appunto, aveva voluto provare a trovare un'alternativa.
    Sembrò quasi che gli occhi della donna si illuminassero al parlare del podcast che stava ascoltando, stavolta non fu impacciata ed anzi gli spiegò in modo dettagliato di cosa parlasse il podcast che stava ascoltando. Era l'argomento, più che altro, a risultare strano. Osamu non era poi troppo bravo a capire l'indole di una persona, né le persone in generale, ma Aya non aveva esattamente il profilo di una di quelle che si interessava agli omicidi, tanto da ascoltarne podcast in treno. Il ragazzo quindi inarcò un sopracciglio, in realtà più interessato a lei, in quanto fosse particolare quel suo hobby, che al podcast stesso.
    ‹ E' strano. › affermò subito, senza farsi troppi problemi, ma senza alcuna malizia nel tono. ‹ Come mai ti interessano podcast del genere? › domandò infine, realmente curioso di capire la sconosciuta. Registrò il nome del podcast nella sua mente, aveva una buona memoria quindi non lo avrebbe dimenticato, ma era improbabile che lo ascoltasse davvero.
    ‹ E non si è nemmeno fermato ad aiutarti a cercarlo? › Osamu scosse la testa alle sue parole sul cellulare, odiava i cafoni, e se lui fosse stato al suo posto si sarebbe subito subito messo a discutere.
    Aya probabilmente aveva appunto intenzione di andare a parlare col capotreno per vedere come risolvere la situazione, Osamu aveva intenzione di fuggire. Tutti volevano parlare col capotreno in quel momento, data la situazione, e sarebbe stato parecchio impegnato, o addirittura fuori dal treno per capire qual era il guasto, in più lui non era bravo a parlare, chiedere il permesso o convincere la gente, lui agiva e basta.
    Il castano si alzò così dal sedile, aspettando che la ragazza facesse lo stesso, per poi condurla verso l'uscita più vicina che avrebbe trovato, in fondo al vagone, fermandosi lì. Si guardò attorno per un istante, controllando che non ci fosse nessun impiegato del treno lì vicino, prima di allungare la mano fino al bottone di emergenza, aprendo così la porta del treno.
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    Poteva immaginarlo, sebbene non andasse spesso a Shibuya. Sapeva semplicemente per sentito dire, soprattutto attraverso Hiromi, che vi lavorava stabilmente, più precisamente a Omotesando. E per esperienza, una volta era andata a trovare la cugina, ai tempi di quando aveva appena smesso di voler fare la Pro-Hero, e potete immaginare il caos che imperversava per le strade, tra cittadini e Pro-Hero appariscenti acchiappa-consensi. Non era un caso dunque che l'investigatrice prediligesse luoghi apparentemente più tranquilli, come poteva esserlo Yotsuya. Oh, da quanto tempo non ci metteva piede da quelle parti a causa del farmaco nero. Chissà come stava il suo appartamento molto semplice, ci aveva pensato un paio di volte e si era sempre augurata che non fosse stato vandalizzato, in base ad alcune voci sui quartieri ancora prigionieri dell'incubo. Voglio dire, nessun criminale avrebbe avuto motivo per vandalizzare casa sua sicché non ci nascondeva chissà quale tesoro.
    « Come darti torto. » diede semplicemente manforte a quello che erano i pensieri di Osamu. Dal canto suo, però, si considerava abbastanza flessibile. E non era solo perché praticasse ginnastica acrobatica sin da quando era una bambina. Riteneva che, nel mondo e per certe cose, bisognasse essere adattabili, aperti ad eventuali cambiamenti. Un ragionamento a cui era giunta negli ultimi tempi, lo aveva capito sulla propria pelle, aveva capito gli errori. Allo stesso tempo, però, era consapevole che le persone fossero diverse. Uno poteva non aver vissuto le stesse esperienze di Aya, le sue scelte, i suoi errori, il suo punto di vista, e avrebbe potuto continuare a dire la stessa cosa, perché la sua vita funzionava già bene, non c'era bisogno di stravolgere. Comprendeva ciò, ragion per cui cercò di cambiare argomento o semplicemente lasciar perdere.
    Alla fine quelle parole arrivarono, non un fulmine a ciel sereno, perché in fin dei conti se l'aspettava una reazione del genere. Era comprensibile, ma come poteva rispondere alla curiosità doverosa di lui? Non ci rimuginò su troppo, nessun secondo venne sprecato, almeno non più del dovuto. Una cosa di Osamu doveva riconoscerlo però, non si stava comportando in maniera vaga né girava intorno alle parole. Era andato dritto al punto, no? « Strano credo sia il termine più azzeccato, almeno a giudicare dalle reazioni che mi capita di osservare nelle persone. – si ritrovò ad asserire, il tono leggermente sciolto, aveva gustato ogni singola reazione di Hiromi quando le diceva a che punto fosse coi podcast. Dopotutto, era una cosa "recente" questo interesse dei podcast. Aveva iniziato per curiosità, per conoscenza, sin dai tempi di quando Tokyo si stava riprendendo lentamente dall'attacco terroristico del Culto delle Farfalle. Il tempo era tanto, come si poteva ben immaginare. – Però, per me, non ha questa concezione. È come guardare i documentari, no? C'è chi guarda animali della savana che azzannano altri animali, tutte quelle "regole", leggi sul più forte, e non ci si può che meravigliare davanti alle potenzialità della Natura. » stava divagando di nuovo? Aveva quest'impressione, cercò di tornare sui propri passi. « È tutto qua, solo che non guardo gli animali, ma i serial killer. È come cercare di entrare nelle loro menti, per semplice curiosità. Capire le loro "scelte", il loro vissuto, è affascinante. Non perché siano morte persone, ma perché la mente, a detta di alcuni esperti, può ancora sorprendere. » oh, cielo. Sì, stava davvero divagando, poteva persino sembrare sospettosa nel suo parlottare troppo. Ci rise su, per brevi secondi, e poi tornò composta. Si sarebbe gustata anche in quel caso la reazione di Osamu, prima di dire la verità. « Magari tutto questo suona meno strano quando ti dico che faccio l'investigatrice privata. E scusami, non mi capita mai di parlare di queste... beh, cose. » concluse lì, non aveva la benché minima idea se Osamu volesse continuare a discuterne o preferire chiuderla lì. Promemoria per Aya: cerca di ascoltare altro e parla meno dei serial killer, proprio come ti raccomanda sempre Hiromi. Però, sì, non baderai troppo ai giudizi.
    Alla successiva domanda scosse ampiamente il capo, quel tizio non l'aveva aiutata, né tantomeno si era scusato. Era solo sparito nel baccano dovuto all'avvertimento del capotreno. Magari aveva davvero avuto qualcosa di importante per la mente che un ritardo era impensabile, di conseguenza Aya si era arrangiata da sola mettendosi alla ricerca del suo cellulare. « Non so cosa gli passasse per la mente, ma non è un problema. Il cellulare sta bene, in fin dei conti. » era buffo a pensarci, non aveva certamente tutta quella comprensione quando era nei panni della vigilante, almeno in alcuni casi, o quando aveva davanti i fatti impossibili da ignorare. Ora si trattava solo di uno sconosciuto forse maleducato, forse affaccendato.
    C'era stata l'intenzione di parlare con il capotreno, sì, ma aveva potuto constatare come fosse parecchio impegnato anche lui. Meglio strappare via il cerotto, no? Cambiò idea, si alzò in piedi portandosi stretta la borsa onde evitare di perderla e seguì Osamu fino all'ultimo vagone. Lo osservò smanettare con il bottone d'emergenza, stavano violando indubbiamente molte regole e leggi. Mal che vada, avrebbero pagato una multa. « Dovremmo cercare di essere prudenti e veloci. » raccomandò prima di uscire dal treno, prestando molta attenzione a dove metteva piedi. Benché fosse stata una scelta impulsiva e forse irresponsabile, francamente non si stava pentendo. Il cerotto si sarebbe strappato ormai, però era altrettanto meglio che nessuno dei due finisse all'ospedale o venisse trattenuto dalla polizia (i genitori adottivi di Aya avrebbero fatto meglio a guardare da tutt'altra parte).
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    Poteva dirsi che Osamu fosse un po' il contrario di Aya, almeno in quell'aspetto: non era flessibile, nè si adattava facilmente ai cambiamenti. Osamu odiava gli imprevisti e tutto ciò che in qualche modo destabilizzasse la sua vita altrimenti tranquilla; non era nemmeno paziente, il che rendeva ancor più difficile sopportare ciò che cambiava. E quel giorno più di altri gli stava dimostrando che faceva bene ad afferrarsi alle abitudini.
    Aya le spiegò come lei non avesse la percezione di "strano" del suo hobby, paragonandolo piuttosto a chi magari guardava un documentario sugli animali, soltanto che lei lo guardaa sulle persone, il che le permetteva capire il come e il perchè agivano in un certo modo. E, detta così, riuscì ad incuriosire anche lui, da quel punto di vista doveva darle ragione, il documentario sui Serial Killer pareva anche più interessante rispetto ad uno sugli animali; ‹ Sì, messa così sembra davvero interessante. › sopratutto per lui, così poco empatico, che difficilmente riusciva a capire le persone.
    La sconosciuta poi le rivelò d'essere una detective privata, il che stupì il castano. Dal modo in cui era vestita e dal suo aspetto l'aveva confusa piuttosto con una studentessa universitaria. ‹ Davvero? Sembri molto giovane per lavorare come investigatrice. › commentò. Di solito i detective erano acuti oservatori, chissà quelle pause che si prendeva prima di parlare erano più per analizzare lui o le sue eventuali reazioni che non perchè non sapesse che cosa dire. ‹ Devi essere molto brava a comprendere le persone, allora. ›, la mente di Osamu volò direttamente a Sherlock, un detective privato fittizzio, ma quello più famoso che conosceva. Chissà che cosa aveva capito di lui, che cosa pensava? Magari sarebbe riuscita addirittura a dirgli che professione svolgeva soltanto guardandolo, oppure che università pensava frequentasse.
    Una volta arrivati nell'ultimo vagone del treno, ormai premuto il pulsante d'emergenza per far aprire la porta, non si poteva più tornare indietro. Era consapevole che stava infrangendo qualche regola e non poteva certo rimanere lì a farsi riprendere. Stava semplicemente per scendere dal treno quando la ragazza sottolineò il dover essere prudenti, così lui annuì e buttò fuori la testa per dare un'occhiata in giro.
    Si erano fermati su un ponte sospeso, sotto di loro c'era la città e la strada che l'attraversava, non doveva mancare molto a raggiungere la stazione. Vi era una scala che li poteva aiutare a scendere dal ponte e la via sembrava libera, probabilmente i lavoratori del treno dovevano trovarsi dall'altro lato.
    ‹ Non c'è nessuno, possiamo andare. › disse alla ragazza, ignorando le occhiate eprplesse degli altri passeggeri, che li osservavano confusi.
    Osamu così scese dal treno ed aspettò che Aya facesse lo stesso, notando come anche altra gente aveva trovato buona la sua idea, e scendesse subito dopo di lui.
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    Mostrò un'espressione tranquilla allo stupore di Osamu, in fin dei conti forse c'era da aspettarselo ma il mondo era decisamente cambiato dopo l'arrivo delle Unicità. Certi parametri erano stati abbattuti, stravolti, rivisitati. D'altronde, i tirocinanti Pro-Hero non venivano mandati in delle missioni, che spesso finivano per diventare qualcosa di troppo? Molti di loro, per quanto ne sapeva lei da ex aspirante Pro-Hero, erano pure giovanissimi. Si giustificò in quel modo cercando di non darci troppo peso, ancora una volta dimostrava di non vedere della stranezza in una di quelle situazioni. Aggiunse brevemente che poteva benissimo averne di più di quanto l'aspetto fisico lasciasse trapelare, forse in un tentativo di sdrammatizzare. « Delle volte si rivela un'impresa ardua, però. » e concluse lì, forse un po' troppo diretta, come se si fosse ritrovata a dire una delle verità che avrebbe dovuto tenersi per sé. Sapete com'è, i maghi non dovrebbero rivelare i loro trucchi. Poi, a onor del vero, Osamu aveva toccato inconsapevolmente quello che veniva definito un tasto dolente da Aya. In quel voler comprendere le persone si era ritrovata a fallire con il detective Kimura, quella sera dell'attacco del Culto, che senza alcun dubbio si era rivelato essere più esperto di lei nel comprendere le persone e giostrarsele, tanto da scampare alla giustizia e fingere un incidente mai avvenuto. Solo che... non era proprio il momento adatto per una simile digressione.
    Poco dopo Osamu anche lei si ritrovò a dare un'occhiata nei dintorni, dentro di sé, molto sotto, ringraziò di non aver paura delle altezze come potevano averla molte persone, perché ora si ritrovavano su un ponte sospeso. Seguì l'altro scendendo dal vagone con non troppa attenzione, e come Osamu, adocchiò poco più in là una scala che portava alla città sottostante. Serrò per qualche breve momento le labbra prima di lasciarsi andare con un lungo sospiro, li attendeva una camminata fino alla stazione di Shibuya. « Non porta a niente di buono questa frase nei film. » commentò lei dopo le parole del giovane, con la borsa ancora su una spalla. Mentre scendevano giù per la scala, poteva benissimo spuntare un Pro-Hero che incitava di fermarsi, per ascoltare una lunga sequela di norme e leggi che avevano infranto... o ancora peggio Hiromi. Poteva immaginarla lì, a sgridarla, perché quel che aveva fatto era da sconsiderati, potenzialmente pericoloso. Scosse lievemente il capo nel tentativo di scacciarla via dalla mente, per quella giornata avrebbe preferito avere una sola Hiromi, quella vera, che respirava e l'attendeva. « Permetti una curiosità, Kurokawa-san? » e avrebbe atteso per avere un cenno da parte di Osamu, dandogli del tempo sufficiente per metabolizzare se fosse stato necessario.
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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.

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    Role chiusa per mancata risposta di Lostien al censimento del 30/10/22.

    Aya: + 50 exp;
    Osamu: + 30 exp; (ritirabili in caso di recupero schede)
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