The Power of Knowledge - Thtree

Role libera tra Günter Wolff e Shiisa Tsubasa

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    Le sue dita giocherellavano con delle mozioni circolari accarezzando l’interno del manico della tazza da cui stava bevendo il suo cappuccino, il calore che proveniva dalla stessa lo cullava mentre stendeva i nervi accasciandosi sul fur del giubbotto che aveva appoggiato sullo schienale della sedia, nella mano che non era impegnata a tracciare incessantemente una linea dopo l’altra teneva un volume di poesie di Samuel Taylor, uno degli artisti che aveva studiato di più quando da bambino suo padre lo istruiva per fargli prendere la sua strada. Sin da piccolo era sempre stato abituato a leggere e capire la lingua inglese concentrandosi sugli autori che scrivevano proprio in quest’ultima piuttosto di quelli tedeschi, l’intento era quello di migliorarlo nella comprensione di questa lingua visto che con l’avanzare dei tempi i suoi genitori sentivano sempre di più le conseguenze di una mancata istruzione nella stessa, non volevano certo che anche il loro figlio facesse l’errore di non approfondire l'idioma più conosciuto al mondo, il biondo infatti, per quanto non ne sfruttasse pienamente i vantaggi, grazie ai suoi studi si era guadagnato una certificazione per il livello C1 in inglese.
    Si trovava in un particolare locale che aveva praticamente appena aperto, un misto tra un caffè e una libreria, le sue dimensioni erano modeste ma nonostante ciò offriva una scelta di libri rispettabile oltre che a un numero molto modesto di tavoli predisposti come trappole per attirare i lettori a sedersi e comprarsi qualcosa da bere sfogliando il libro d’interesse per poi eventualmente comprare anche quello, una mossa di marketing astuta e che sicuramente non dispiaceva al tedesco, persona che amava sempre fare tutto con i suoi calmissimi tempi. Il clima che si respirava in quel locale era caldo e intimo, forse era dato dal fatto che, se non per una dolce musica di sottofondo che coccolava le varie letture e lo sporadico frusciare di fogli di carta, non c’erano molte altre fonti di rumore, o forse era il personale visto che avendo tra le mani un locale ancora relativamente sconosciuto poteva permettersi di essere oltremodo cordiale e disponibile con ogni cliente, era un luogo tranquillo e accogliente, quello di cui aveva bisogno il tedesco in quel periodo davvero strano.
    Leggeva e leggeva, sorridendo, era per caso entusiasta del testo tra le sue mani? Ciò che leggeva gli ricordava dei tempi passati con quelle poesie? Al contrario, quello che leggeva non poteva essere più lontano da quello che risiedeva nei suoi ricordi: il motivo per cui si dilettava nella lettura proprio di quei versi era molto semplice, senza Mokuami che gli insegnava sporadicamente qualche vocabolo o modo di dire giapponese puntava a raffinare il suo lessico analizzando la traduzione di qualche poesia a lui familiare, era sicuro che avrebbe potuto imparare qualcosa di nuovo, o almeno lo era prima di cominciare a leggere la prima traduzione che quelle pagine gli propinavano.
    I termini usati erano davvero mondani, non certo volgari o scurrili ma nemmeno del calibro che ci si aspetterebbe leggendo la traduzione di una poesia, sembrava una traduzione davvero scadente, Günter iniziava addirittura a dubitare che fossero delle versioni quanto delle specie di piccoli riassunti, eppure la metrica delle varie poesie era mantenuta quindi quello non poteva essere il caso. E così si, il suo sorrisetto era dato dalla strana ilarità che gli conferiva leggere versi originariamente così complessi scritti con delle parole da fruttivendolo, ovviamente ai commessi e a chiunque altro nel locale non poteva che trasmettere tutt’altro, dava l’idea di qualcuno profondamente immerso nella sua lettura, chissà se qualcuno si sarebbe mai caricato della croce di disturbarlo potendo ben notare lo strano compiacimento sul suo volto...


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    Shiisa Tsubasa
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    Oggi non avevo picchiato nessuno.
    Che a conti fatti, rappresentava un mese esatto da cui non picchiavo nessuno.
    Praticamente un record. Era spaventoso, mi sentivo quasi nuda.

    Ero uscita da poco da lavoro, turni strani al casinò. Oppure ero appena tornata da un incontro con gli spacciatori, una dei due. Ad ogni modo avevo addosso la divisa del casinò, visto che piagnucolando con il capo dello staff me l'aveva fatta portare a casa.

    « Oh, no. »

    Stava leggendo una raccolta di poesie orribili.
    Ero entrata all'interno di una libreria per fare una passeggiata, guardarmi intorno e criticare come avevano allestito gli scaffali. Ma in quel preciso istante, dall'ingresso, avevo praticamente visto da lontano un tipo che stava sfogliando un'edizione dozzinale di un libro di poesie tedesco. Quindi, passando avrei preso una traduzione ben migliore di quella da lui scelta, muovendomi a grandi passi in sua direzione.

    Insieme a un altro paio di libri.
    Quindi li avrei poggiati davanti a lui, un'espressione infastidita in volto. I miei capelli argentati si muovevano praticamente a ogni passo, svolazzando di qua e di là insieme alla cravatta chiara che stavo indossando. Alzai una mano per fare un cenno alla barista.

    « Eine Tassekaffee, bitte. »

    Non era un mio problema se avesse capito o meno. La mia pronuncia non era un granché, ma in mia difesa avevo le mani in pasta in tante lingue in questo periodo, affinarle tutte non sarebbe stato propriamente semplice. E poi, se quel tipo biondino voleva leggere poesie di autori tedeschi tradotte in giapponese, avrebbe fatto meglio a imparare qualcosa di tedesco. Chissà, magari era polacco. O svedese. O semplicemente matto.

    Ke-kek.

    « *Questi sono i libri giusti. Il traduttore che ha scritto quel libro è un cane. »

    Li odiavo.
    Traducevano a caso ai miei occhi. Tutto il valore poetico e semantico delle parole buttato dalla finestra. Pur mantenendo vivo il fatto che la traduzione sia un atto di reinterpretazione, alcune poesie erano mostruose. Orribili. Accavallai le gambe, incrociando le braccia sotto il petto. Il mio sguardo acceso di violetto era puntato sull'uomo di fronte a me, nell'attesa che dicesse la cosa giusta per la situazione.

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    Un fulmine a ciel sereno

    In mezzo alla tranquillità di quel pacifico luogo una voce tonante rompeva con una singola frase la cullante quiete che si era generata, una frase davvero molto strana a dire la verità: il suo contenuto era quello che si definirebbe completamente normale visto il luogo in cui era stata pronunciata, il timbro sconosciuto infatti chiedeva una tazza di caffè, la cosa che stupiva Günter era che questa voce lo aveva chiesto in lingua tedesca coronata da una pronuncia davvero molto giapponese.
    Alzava il suo sguardo attirato non solo dallo strano individuo ma dagli occhi perplessi del barista e di un’altra cameriera che incontravano quelli del biondo, probabilmente, essendo lo stesso palesemente straniero, lo avevano inquadrato pensando che quella misteriosa donna fosse una sua conoscente benché il tedesco stesso fosse meravigliato tanto quanto loro.
    Continuando il discorso in tedesco confermava quelle che per il biondo erano solo supposizioni, ponendo sul suo tavolo libri di poeti della medesima lingua e un altra raccolta di Samuel Taylor supponibilmente di una traduzione che reputava migliore
    “*Beh, buongiorno anche a lei” - diceva Günter con un tono scherzoso e a tratti quasi esitante senza tentare una qualsivoglia minima scomposizione nella sua posa prima di inquadrare per bene l’individuo che aveva di fronte: I suoi occhi serpentini erano di un viola pastello, per quanto innaturale, molto piacevole alla vista, per com’erano fissi contro il tedesco sembravano in grado di minare nella sua corteccia celebrale, aveva dei capelli argento visibilmente curati ma pieni di doppie punte e ciocche spezzate, la sua carnagione era particolarmente pallida anche se non abbastanza da pareggiare la tonalità ancor più sbiadita del tedesco. Sedeva solenne e immobile sulla sedia davanti a quella del tedesco, le sue braccia incrociate e le sue gambe accavallate, una posa minacciosa e esigente, sicuramente aspettava che il tedesco la ringraziasse, un individuo a dir poco interessante.
    “*Non era una mia sensazione quindi, non aveva l’aria di essere tradotto da un grande linguista” - Voleva vedere fino a che punto quella donna capiva il tedesco, giusto per avere un idea della persona con cui aveva a che fare, rispondendo di conseguenza nella sua lingua madre, trattandosi di una sconosciuta però ovviamente non poteva parlarle come se fosse uno a caso tra i suoi amici, aveva quindi sfoggiato un parlato foramle e abbastanza complesso preparandosi a semplificarlo notando un eventuale difficoltà di comprensione da parte della sua interlocutrice.
    “*Grazie mille! Solo non capisco...” - chiudendo il libro nella sua mano e cominciando a far trapelare la sua attenzione su gli altri ora presenti sotto i suoi occhi non poteva fare a meno di leggere qualche nome assai familiare, tra questi sicuramente quello che spiccava di più era quello di Goethe, se i genitori di Günter lo avevano da subito abituato a conoscere solo poeti inglesi quest’ultimo era la guilty pleasure di lui come di suo padre, il suo linguaggio semplice e diretto rendeva le sue poesie semplici da apprezzare, ricordare e scomporre, tra queste probabilmente “ImVorübergehn” era una di quelle che preferiva e che portava da anni nel suo bagaglio culturale.
    Era proprio quest’ultimo titolo che cercava accarezzando con il suo indice quello del libro scorrendo una riga dopo l’altra e finalmente trovandolo a circa metà dei titoli che quella lista proponeva.
    “*… Qual’è la correlazione tra questi artisti? Insomma, loro sono tedeschi, Samuel Taylor è inglese: ha a che fare con la loro metrica? O forse con il loro movimento letterario?” - indicava con un espressione interrogativa il piccolo malloppo di libri che gli era appena stato porto sinceramente incuriosito da che risposta poteva dare la donna di fronte a lui, sembrava intendersene, a tal punto da surclassare le conoscenze del tedesco che non riusciva a tracciare alcun tipo di parallelismo tra l’autore che lo stava accompagnando in quel momento e quelli proposti.
    Era pronto a farsi illuminare da quella sconosciuta, insomma, il collegamento che aveva trovato era così forte non solo da proporgli così confidentemente gli altri volumi che aveva piazzato sul tavolino, ma da presentarsi parlando in tedesco, era difficile credere che con cotanta spavalderia non avesse qualcosa di preciso in mente, di conseguenza lui era affascinato e pronto ad ascoltarlo.
    Come ultimo passo nella sua sclaetta c’era rivelare il suo nome, insomma, per non intimidire chi gli stava davanti, nel caso le sue conoscenze linguistiche non avessero pareggiato quelle del tedesco voleva farle sapere che la sua nazionalità era proprio quella, avrebbe concluso quindi con
    “*Giusto, che scortesia, il mio nome è Günter Wolff, con chi ho il piacere di parlare?” -


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    Shiisa Tsubasa
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    Buongiorno, buongiorno.
    Convenevoli che non avevo richiesto.
    Non sono una persona con il tempo per i convenevoli.
    Anzi, tutto il contrario - sono una persona che deve andare di fretta, scivolare rapidamente tra quello che ha da fare nel giorno. Come ad esempio, chiedere ad Helena che ha fatto con la sua giornata - chiedere ai miei gentili sottoposti se hanno rispettato la loro quota.

    Questo genere di impegni.
    Mi sento come una piccola Mattia Pascal.

    « *Una capra. Mi sfugge il termine più corretto, quindi capra potrà andare. »

    Osservai l'uomo che mi aveva appena posto una domanda. E quasi infastidita, tossii appena, per far capire che quella situazione richiedeva una lingua con la quale mi trovavo più a mio agio - non volevo che qualche sfumatura venisse fraintesa a causa della mia scarsa esperienza con il tedesco. Quindi, tanto valeva parlare inglese.

    « # Al di là dell'ovvia correlazione tra le due lingue dovuta al ceppo germanico della cerchia nordica, del quale mi rifiuto di iniziare a parlare perché non sono una filologa. Ma come anche i sassi dovrebbero sapere, Taylor ha studiato a lungo in Germania. La sua vita stessa ha preso forma grazie alla filosofia tedesca, grazie alle influenze di Kant. Ma del resto in quel periodo, se non andavi dietro a Kant non eri nessuno. Un po' come oggi con le farfalle. Ke-kek. »

    Forse un pochino troppo pungente.
    Ma non ero pagata abbastanza dalla regia per non essere anche pungente. Mi sporsi leggermente sul tavolo, i miei occhi accesi come lampadine per osservare a fondo quello straniero seduto in una libreria, con un libro di poesie. Chissà se i suoi capelli avevano un sapore diverso. Finora non avevo avuto molta fortuna, sapevano tutti di pollo, quando li bruciavo.

    Tranne quelli di Helena, ma quello che succede in camera da letto non è per voi birichini da ascoltare.
    Ke-kekekek.
    Ripresi a parlare tedesco, comunque.
    Perché anche se il regolamento non me lo permette


    Perché devo fare pratica, anche se non sono ancora bravissima.

    « *Mi chiamo Shiisa. Come le statue di Okinawa. »

    Conclusi così, iniziando a giocherellare con l'angolo di un libro. Prima lo sollevai leggermente, per poi girare il libro a testa in giù e iniziare a leggerlo. Dopo brevi istanti, mantenendo un certo aplomb, l'avrei spostato per metterlo dritto e iniziare a leggere qualche parola a caso da Middlemarch, che era sventuratamente finito in mezzo a quei libri.

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    “*Direi che capra è perfetto si” - tenendo il suo tono abbastanza scherzoso rispondeva a quella strana ragazza platino, provava a comprendere l’individuo che gli stava di fronte mentre rimaneva inevitabilmente affascinato dalle sue parole, nozioni di quel tipo per il biondo suonavano come le note prodotte da un esperto incantatore di serpenti, anche se ormai la letteratura e la poesia erano mondi con cui non aveva più nulla a che fare da molto tempo, se non per rare occasioni come questa, sentire curiosità di quel tipo lo ammaliava attirato dal prospetto di ampliare il suo bagaglio culturale, soprattutto se spiegato con un linguaggio peperino come quello della donna di fronte a lui. Queste in oltre, al contrario delle sue frasi precedenti non erano in tedesco ma in inglese, pareva che le sue conoscenze della lingua tedesca si limitassero a un livello abbastanza “da sopravvivenza” e che per fare discorsi più articolati avesse bisogno di altre lingue, non ne faceva certo una critica, era solo una piccola curiosità che era riuscito a soddisfare, a breve avrebbe sicuramente cominciato a parlarle in giapponese considerato che la sua nazionalità sembrava essere quella.
    Il fascino veniva presto interrotto da una leggera sensazione di sorpresa data dalla battutina con cui aveva concluso quella ponderata spiegazione, sentendo quel brusco finale nella sua testa si formavano due ipotesi: la prima, e anche la più probabile, era che si trattasse di un riferimento letterario che il tedesco non era abbastanza colto da capire; la seconda era che si stesse effettivamente riferendo a quegli spiacevoli avvenimenti che avevano colpito Shinjuku in un passato non troppo lontano, quell’enorme sciame di farfalle che aveva provocato quel disastro su cui il tedesco si era tanto documentato. Non gli dispiaceva il black humor, con il giusto contesto e i giusti tempi comici una battuta di quel tipo poteva effettivamente fare molto ridere, ma in qualsiasi caso avrebbe fatto abbastanza strano sentire proprio un giapponese ironizzare su un avvenimento simile, non si aspettava che fosse qualcosa di socialmente accettabile da dire a qualcuno di appena conosciuto considerata la mole del disastro e soprattutto considerando il gran valore morale che contraddistingue il popolo nipponico, era come se Günter stesso si fosse messo a scherzare sulla collisione aerea di Ramstein. Nonostante fosse molto sensibilizzato sull’avvenimento, al punto da collaborare anche alla composizione di una canzone di beneficenza atta a raccogliere fondi per le città colpite, non era offeso o colpito dalla battuta in se, anzi, era solo sinceramente stranito dal contesto e dall’individuo che aveva detto qualcosa di simile senza conoscere il tedesco da più di una manciata di minuti.
    Dopo aver sbarrato gli occhi un istante aveva risposto rompendo la sua espressione affascinata con una risatina e facendo un gesto con l’indice come a dire “buona questa”, aveva volutamente evitato di aggiungere qualunque cosa così che la sua reazione potesse non risultare fuori luogo in embi due i casi. Era giunto il momento di parlare in giapponese, con la sua voce acuta infatti la donna annunciava poi il suo nome, Shiisa, lo attribuiva a delle statuette tradizionali dell’isola di Okinawa, il tedesco ne aveva sentito parlare anche non avendole mai viste dal vivo, di conseguenza aveva già sentito quel nome e aveva già avuto abbastanza tempo da sviluppare un certo terrore psicologico rispetto allo stesso. Ebbene si, in mezzo a incantevoli nomi come Akemi, Rena, Naru, Mokuami, Aki…
    “Capisco, Jeetza… Jee… Cheetz…”-
    … ne doveva capitare almeno uno difficile da pronunciare. Ma come? Un tedesco che non sa dire un suono sibilante come Š? Š di Schwartz? Š di Scholz? Purtroppo questi sono suoni per i tedeschi del sud, per quelli del nord, soprattutto a Dresden, è molto più comune pronunciare queste parole con un suono più forte all’inizio che a seconda della parola può ricordare una C dolce o una J, scontato specificare che sicuramente vivere in una località relativamente sperduta della stessa Dresden non leniva certo questo piccolo difettuccio di pronuncia. Sentendosi mortificato dopo qualche prova finalmente compiva il suo tentativo migliore
    “Shiitza, ush, che fatica” - facendo spallucce provava a sdrammatizzare la scena pietosa dicendo
    “Immagino di non esserti sembrato proprio un asso nel giapponese dopo… questo, ma sicuramente ti sarà più comodo parlare nella tua lingua no?” - il suo circostanziale sorriso apologetico decorava la sua faccia, per poi venire sostituito da un espressione dapprima calma e mano a mano più stranita, la osservava nei suoi strani gesti, prendeva e spostava libri, li leggeva all’incontrario… Günter sollevava la sua tazza di cappuccino avvicinandola alle labbra senza bere, quasi come un gesto d’intercalare, provando a capire se poteva o no prendere la parola nella conversazione, rompendo quindi l’espressione quasi confusa che aveva inconsciamente assunto e proseguendo con
    “Bene Shiitza, hai la mia attenzione e il mio interesse, insomma, conoscenze come le tue sono invidiabili”- poggiando la tazza e i suoi gomiti sul tavolo ora intrecciava le sue dita tenendo il suo volto in prossimità del nodo che formavano
    “Verrebbe da dire che sei un insegnante, magari una scrittrice o un editrice, di cosa ti occupi?” - scuotendo leggermente il capo e allentando per un attimo la presa delle sue mani aveva concluso con
    “Certo, sempre se vuoi dirmelo, il mistero è sempre affascinante” -


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    Shiisa Tsubasa
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    Inclinai il capo, non capendo bene perché di quella espressione scioccata.
    Avevo detto qualcosa di indelicato? Tch - la storia delle farfalle era stato un lungo martedì.
    La gente muore di continuo - ma no, non si trattava di quello. Mah, forse avevo qualcosa tra i denti. Decisi di concentrarmi su come aveva qualche difficoltà a pronunciare il mio nome, scoprendo i denti (e i canini un pochino affilati).

    « Shiisa. La s un pochino più sibilante. Come --- beh, Schwester. »

    Era la prima parola che mi era venuta in mente.
    Che poi il tedesco è una lingua da psicopatici, uniscono le parole a caso.
    Krankenschwester. Che razza di parola è?!

    ...
    bello il tedesco.
    Adatto alle persone come me.
    Le persone creative, intendo.

    « Uuuh, no. Quella volta è uscito testa, quindi sono diventata una guardia di sicurezza. »

    Probabilmente non capirà a cosa mi sto riferendo.
    Ma in genere la gente non chiede mai quando dico cose strane.
    E va bene così - perché non saprei spiegare davvero bene bene cosa intendo, ecco. La solita sensazione che ci sia qualcosa di fuori posto, come se ci fossero dei muri intorno a me. Dei muri azzurri. Rotondi. Con una barra di scorrimento.

    Accavallai le gambe, stendendomi più comoda sulla sedia. In faccia un sorrisetto divertito, che dopo brevissimi istanti divenne un'espressione leggermente annoiata. In fondo la parte di cui potevo parlare della mia occupazione non era così interessante.

    « Al Casinò, comunque. Quindi se ti vedo, posso buttarti fuori. E mi pagano per farlo, cioè, renditi conto. »

    Rettifico, il mio lavoro è fantastico.

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    Shiisa in realtà è al 7, scusate
    vedete voi se volete darmi il bonus, vi voglio bene
     
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    “‘Come Schwester’ dice lei, eh certo, come Schwester, la fa facile” - il tedesco non aveva accennato a gesticolare o commentare la cosa, si era limitato a mostrare un espressione che sottolineasse l’ovvietà di quello che aveva appena detto la ragazza, aveva chiaramente scelto un termine tedesco apposta con il tono beffardo che aveva utilizzato, non glie ne faceva una colpa, molto probabilmente non essendo tedesca non sapeva la storia delle sch iniziali che stava causando il problema.
    Un bel respiro, ci siamo, quello sarebbe stato il tentativo buono: concentrandosi e scandendo le sillabe una dopo l’altra avrebbe detto
    “Shiisa, ecco, ora dovrebbe andare” - ridacchiava per la figuraccia e facendo finta di asciugarsi la fronte dal sudore, voleva sviare la sua poca praticità nella pronuncia di quei suoni su qualcosa di più simpatico. Non poteva fare a meno di notare una cosa mentre la ragazza gli spiegava come pronunciare bene il suono, i suoi denti sembravano molto… aggressivi? L’unica vera e propria differenza che in quei brevi istanti era riuscito a notare erano i suoi canini molto pronunciati, eppure anche un cambio così semplice li faceva sembrare molto più adatti a sbranare qualcuno che altro, che fosse parte del suo quirk? Probabilmente trovava un qualche effetto positivo dal nutrirsi di sangue o carne altrui, da brividi! Ma nulla di mai visto dal tedesco, il suo caro amico Beda aveva proprio un quirk del genere, non era nulla di così anomalo per la sua concezione, anzi, poteva essere un buono spunto per un discorso per quanto poco volenterosa potesse essere di rivelare il proprio quirk. Andava avanti con il suo discorso pronunciando frasi che non riusciva a comprendere, probabilmente erano delle battute autoreferenziali che non poteva capire, ma perché le stava facendo? Non c’erano altri suoi amici li, seduto al tavolo con lei c'era solo Günter, voleva farsi ridere da sola? Un sorrisetto ce l’aveva, sinceramente invidiabile l’autostima di qualcuno che fa una battuta e riesce a ridere per i fatti suoi.
    “Scusi?” - Per evitare equivoci e essere sicuro di aver capito bene faceva questa domanda quasi timidamente con una faccia abbastanza confusa, che individuo particolare, gli incontri più memorabili che aveva avuto recentemente erano donne, il mistero che circondava questa però era qualcosa che nessun’altro dei suoi incontri aveva trasmesso fino ad ora, parlandoci una sensazione di strana inquietudine si faceva strada tra le sue scapole. Comunque era una guardia del corpo, staff di sicurezza di un casinò, non era mai stato in uno di quei luoghi, non sapeva il livello di sicurezza che servisse al loro interno, ma quella donna aveva esplicitamente descritto quello che farebbe un buttafuori
    “Buttafuori hm? Beh non si direbbe” - disse facendo un leggero cenno con la mano verso la sua direzione generale, insomma, si trattava di un individuo piuttosto esile, non dava l’idea di essere qualcuno che saprebbe cacciare da un locale un cliente come Günter nel caso in cui il dovere avesse chiamato, magari si sbagliava, poteva avere un transformation che le dava la super-forza per quanto ne sapeva, ma ormai la sua scelta povera di parole l’aveva fatta, aveva messo insieme la frase senza considerare che poteva suonare come un insulto a chi gli stava davanti, eccolo uno dei motivi per cui stava provando ad affinare il suo giapponese. A proposito di questo, magari lei, con le conoscenze che aveva appena dimostrato poteva dare una qualche tipo di mano al tedesco, o quantomeno una direzione per imparare meglio quella strana lingua, avrebbe quindi aggiunto
    “Tra questi libri ce n’è qualcuno che potrei usare per esercitarmi col giapponese? O almeno, te ne vengono in mente altri?” - facendo un piccolo sospiro quasi esasperato aveva proseguito con
    “Ci sto mettendo tutto me stesso ma giorno per giorno mi accorgo che impararlo tramite il mio maestro non mi ha dato proprio tutte le nozioni che mi servono per capirlo a pieno” - per poi concludere prima di un sorso dalla sua tazza dicendo
    “O perché no, qualcosa per imparare dello slang, suppongo non mi farebbe male” - per poi posare nuovamente la tazza d’improvviso e dire
    “Uh, non ti sto trattenendo vero? Insomma, da qualche impegno o altro… non vorrei rubare il tuo prezioso tempo!” - C’era qualcosa di sinistro in quella situazione, ma il tedesco non li percepiva ancora, la sua mentalità pacifica gli prefissava come obbiettivo quello di mandare avanti la conversazione, non pensava a nient’altro di particolare.


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    Portai entrambe le mani davanti al petto per esibirmi in un breve applauso. Breve ma sincero, sapevo sempre apprezzare gli sforzi linguistici fatti dalle persone. Avventurarsi in un universo fonetico diverso dal proprio non é mai semplice tra dieresi e altre follie come il russo.

    Apprezzavo gli sforzi del ragazzo. Era bravo, da parte sua era lodevole. Certo un pochino meno nel pensare che non potessi fare il buttafuori. Arricciai le labbra un pochino infastidita, mentre mi grattavo la tempia.

    « Hai presente i film gore di quarta categoria in cui le persone forti prendono le teste degli altri e schiacciano forte forte finché gli occhi escono dalle orbite e i teschi si rompono? Ecco, io so farlo. »

    Ridacchiai divertita, oggi ero proprio lanciata con le battute. Feci finta di asciugarmi una lacrima, sghignazzando ancora, kekeke.

    « Kekeke. »

    La sua domanda su un libro facile da dove iniziare mi fece portare la mano al mento. Non ero propriamente ferrata a riguardo, avrei probabilmente detto di lanciarsi su podcast e cose simili. Ma...

    « Beh ci sono le light novel melense. Quelle lui ama lei ma anche lei e lui che non ama lui ma lei. »

    Annuii due volte come per confermare le mie stesse parole, fiera della soluzione che avevo trovato. Quindi mi stiracchiai come un gatto, portando le braccia indietro e mettendomi involontariamente un po' troppo in mostra. Oh beh, se avesse guardato troppo avrei potuto farlo volare attraverso il vetro.

    « Uh? No no, apprezzo la compagnia di persone acculturate. Kekekek. »

    Commentai divertita, tornando a prestare attenzione al ragazzo. Avrei potuto fargli una domanda per mandare avanti la conversazione ma se la stava cavando alla grande.

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    L’applauso di Shiisa faceva accrescere in lui un lieve imbarazzo, probabilmente lo aveva fatto con le migliori intenzioni, non mostrava uno sguardo beffardo mentre i suoi palmi collidevano, ma la sensazione che provava Günter era molto simile a ciò che si avverte quando durante un compleanno qualcuno comincia a cantarti tanti auguri. Però ce l’aveva fatta, insomma, era pur sempre un traguardo dal punto di vista della sua pronuncia giapponese, scontato dire che l’obiettivo da quel momento in poi sarebbe stato evitare a tutti i costi di trovarsi in una situazione dove sarebbe stato costretto a pronunciare nuovamente quel nome, poteva astenersi dal provare a pronunciarlo sin dal principio? Certo, purtroppo però quando l’aveva fatto non si aspettava un grado così alto di difficoltà.
    Spiegava ora di cosa fosse capace con un esempio abbastanza crudo, ma non mal recepito dal tedesco, lo carpiva semplicemente come un modo creativo e semplice per spiegare il funzionamento del suo quirk: una super-forza quindi, ovviamente un quirk del genere rende più sensato immaginarsi un individuo simile in un ambiente del genere, innegabile che comunque potrebbe far strano venire scaraventati fuori da un locale da un individuo minuto come quello, almeno, sembrava piuttosto bassa da seduta.
    “Ooooh, figo! Beh, presumo che il casinò sia al sicuro con qualcuno come te” - Sia chiaro, il tedesco non trovava “fighi” i film gore descritti dalla sua interlocutrice nonostante la frase che aveva formulato potesse lasciarlo intendere, al contrario un quirk del genere era quello che bramava ogni volta che si sentiva un po’ in difficoltà nelle sue ronde da vigilante, a chi importa di un’armatura che a mala pena funziona contro degli accidentaccio di coltelli quando puoi fare quello che aveva appena descritto quella donna? Di tanto in tanto, quando si allenava, finiva sempre per pensarci, cosa sarebbe successo con un quirk diverso? A volte rilfetteva molto su cos’avrebbe potuto portare il suo quirk a raggiungere risultati del genere, ma non ne veniva a capo, con un quirk semplice come quello non riusciva a farsi venire in mente molti utilizzi in più rispetto a quelli che sapeva già.
    “Hm, purtroppo io non amo loro” - diceva scherzosamente, per poi aggiungere
    “In effetti è un ottima idea per cominciare, potrei pensarci, ma molte letture come quelle mi fanno cadere le braccia” - insomma, non aveva nemmeno idea di dove iniziare con le letture romantiche, e si rifiutava categoricamente di chiedere consigli a sua sorella su quel tipo di opere, aveva comunque una dignità dopo tutto, non osava immaginare a che tipo di prese in giro avrebbe potuto sottoporlo dopo una tale richiesta, oppure, peggio ancora, quanti di quei libri lo avrebbe costretto a leggere interpretando la voglia di una qualche precisazione sui tali come interesse verso le vicende amorose che ritraggono.
    “Come puoi aver notato sono più un tipo da poesie, magari c’è una bella raccolta di haiku che può tornarmi utile, purtroppo non me ne intendo abbastanza di artisti giapponesi per sapere cosa guardare” - Gli haiku sono opere molto particolari, vanno apprezzate, il tedesco non ne aveva letti molti e francamente anche quelli che conosceva non lo facevano esattamente impazzire, però sono corti, semplici da leggere e, al contrario di quel che potrebbe inizialmente sembrare, per comporli serve una buona maestria della lingua, un bravo poeta deve riassumere i concetti in essi contenuti con meno parole possibili, usando quindi termini molto complessi o che assumono addirittura più significati, insomma, oro per chi sta provando proprio ad ampliare il suo lessico
    “Magari tu per prima ne hai composto qualcuno, so che molti, in questo paese, lo fanno anche semplicemente per passare il tempo!” - non c’era nulla da escludere con un individuo del genere davanti, chissà, probabilmente aveva qualche opera sotto mano, era curioso, visto la precedente spiegazione del suo quirk, di cosa potesse partorire quella mente.
    “Oh? Così mi fa arrossire, direi che posso ricambiare dicendo la stessa cosa” - diceva sorridendo, gli aveva fatto un complimento? Pareva proprio così, sinceramente non era a fatto abituato ai complimenti, soprattutto elargiti così improvvisamente in un botta e risposta, prendeva un libro, alzandolo e fingendo di leggere la sua sinossi per coprire il suo volto leggermente arrossato, supponeva che una reazione come la sua fosse perfettamente normale, ma aveva comunque intenzione di nasconderla a tutti i costi.
    “Visto che mi farà compagnia, allora, posso offrirle un pasticcino o qualcos’altro?” - diceva abbassando il libro davanti al suo volto una volta assicuratosi che la sua tonalità sarebbe tornata almeno pallida come la schiuma del cappuccino, una delle sue solite offerte educate, si stava dimostrando così paziente con lui, in qualche modo voleva ringraziarla.


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    Poteva dirlo forte che era al sicuro!
    Certo, non potevo fare tante cose che avrei potuto fare. Come prendere la gente e picchiarla fortissimo fino a vedere se avevano ancora voglia di fare gli stupidi con le signorine indifese al bar. Però era una buona copertura per il mio lavoro secondario - o primario? - di tenere sott'occhio lo spaccio di droga di vari quartieri di Tokyo. Con la storia delle farfalle il lavoro era un pochino cambiato ma neanche troppo. Poi da quando avevo messo in mezzo quella storia con il nuovo senpai, ecco.

    Ad ogni modo gonfiai tronfia il petto, potevo sentire il mio naso crescere.
    Andavo fiera del mio lavoro! Di entrambi.
    Ma la monetina aveva parlato quindi non c'erano molte altre alternative al momento.

    « Non sono proprio una poeta, diciamo. E non dovresti sottovalutare le light novel romantiche! Sono ottime per imparare, e a volte possono sciogliere anche il più duro dei cuori. Non leggerei una traduzione di Cement Garden per iniziare, per capirci. »

    La sua frase a riguardo delle mie composizioni mi dava da pensare.
    Avevo un mio quaderno dove scribacchiavo frasi. Poesie, forse. Abbozzi di letteratura magari.
    Ma non lo facevo vedere a nessuno, nemmeno a Helena. Ero certa che lei avrebbe potuto apprezzare, visto come piano piano stava scendendo anche lei in uno schema mentale in cui accettava come ero fatta. Forse l'aveva già fatto tempo addietro.

    Ma al più comune osservatore, sarebbe sembrato un libro partorito da un racconto di Lovecraft.
    E non era il genere di oggetto da mostrare ai profani.

    « Beh, in cambio di un pasticcino posso offrirti una citazione, gratuita. Ke-keke. »

    Un pochino scontata, ma mi sembrava abbastanza acculturato da poter apprezzare.
    Mi schiarii la voce, impegnandomi per renderla meno sgradevole del solito. Avrei persino trattenuto la mia classica risatina, apposta per l'occasione.

    « That is not dead which can eternal lie, yet with strange aeons even death may die. »

    Rimasi in attesa, aspettando che quel ragazzo sorridente comprendesse chi avevo citato e come mai l'avevo tirato in ballo proprio adesso, quale delle svariate interpretazioni volevo mostrargli, come se stessi cercando di metterlo in guardia da qualcosa. Oppure volevo solo citare Lovecraft.

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    Percepiva una certa modestia nei suoi dialoghi, che fosse veritiera o meno non poteva saperlo, questo fungeva da incentivo in più per prestare completa attenzione ai suoi discorsi, non ci si poteva perdere un istante di quello che stava dicendo per il modo in cui parlava, sembrava quasi escludere il tedesco dai suoi discorsi facendo una citazione dopo l’altra e facendo, come aveva fatto prima, riferimenti a cose di cui lo stesso non poteva effettivamente sapere nulla. Proseguiva perorando il suo suggerimento sulle light novel romantiche accennando anche un titolo, Cement Garden, titolo che Günter non aveva mai sentito, poteva essere anche un grande classico della letteratura rosa per quanto poco ne sapeva, come già accennato, non aveva mai approfondito il genere e non era intenzionato a farlo qualsivoglia fosse il motivo, ma qualora l’evenienza si fosse presentata almeno aveva una mezza idea di dove cominciare. Purtroppo erano molte le opere di questo tipo scritte piuttosto male, e quelle scritte male avevano la qualità di essere davvero molto noiose, quelle scritte bene invece? Beh quelle potevano procurare uno tra due effetti: invidia per i protagonisti e per le loro vicende amorose o, nel caso di opere più drammatiche, pianti, tristezza e voglia di farla finita, insomma, due emozioni che non avevano proprio la massima priorità tra quelle che desiderava provare il tedesco leggendo qualcosa.
    “In cambio di un pasticcino posso offrirti una citazione gratuita” -
    … beh, non era poi così tanto gratuita allora no? In ogni caso si trattava di un semplice pasticcino, costavano ancora molto poco in quel locale visto che era ancora praticamente nuovo, era quindi ciò che si poteva considerare un modico prezzo, alzava la mano facendo cenno a un cameriere di avvicinarsi al tavolo, lo stesso si era quindi allertato affrettandosi a prendere uno dei piccoli display con cui in quella caffetteria si prendevano le ordinazioni, mentre questo accadeva la donna dai capelli bianchi enunciava solennemente strana frase dal dubbio significato.
    Sentendola il tedesco non aveva davvero idea di cosa pensare, aveva detto qualcosa in inglese con una sintassi VERAMENTE dubbia, non aveva capito il significato della frase o se, come in altri casi in quella conversazione, si trattasse di una frase famosa di qualche scrittore, non aveva un vero e proprio modo di capirlo visto che se effettivamente si trattava di una citazione non la conosceva, tanto di cappello, altro indice di quanto acculturata fosse quella persona. Era quasi sicuro che quello che avesse detto contenesse qualche errore grammaticale, ma probabilmente, se la frase era effettivamente sua, si trattava di un qualche tipo di scelta artistica che non aveva ben compreso, forse riusciva a dare un senso alla seconda parte di frase, ma come poteva dire di averla capita se effettivamente non aveva idea di che cosa dicesse la prima? La sua curiosità era alle stelle, la sua espressione era al contempo confusa e indagatoria, sembrava aver sentito qualcosa che non stava ne in cielo ne in terra, l’unica cosa che lo aveva fatto smuovere era il barista giunto al loro tavolo, chiedeva se potesse portar loro qualcosa
    “Uh? Oh si, a me una brioche alla marmellata” - il barista appuntava il suo ordine girandosi poi verso Shiisa e aspettando una sua risposta, indipendentemente da quello che avrebbe detto Günter avrebbe poi proseguito chiedendo
    “Hmm sembra una locuzione davvero interessante, cosa sta a significare?” - ridacchiando un po’, imbarazzato, diceva poi
    “Odio ammettere quest’ignoranza, ma è per caso una sua frase? O l’ha presa da qualcuno?” - probabilmente veniva dal più ovvio degli autori, avrebbe lasciato che fosse proprio lei a illuminarlo, l’unica cosa che in parte lo deludeva era che quest’ultima l’aveva detta in lingua inglese e non giapponese, escludendo quindi l’ipotesi di utilizzarla per imparare qualcosa in più della lingua, ma poco importava, sembrava qualcosa di addirittura più interessante!


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    Ah, e io che speravo in una risposta immediata, in cui il ragazzo si sarebbe acceso come una lampadina nel sentirmi citare le parole del maestro. Che le mie rimembranze non fossero accurate?! Macché. Le avevo praticamente tatuate nel cervello. A tal riguardo potrei fare una digressione su come avevo provato a incidere delle parole nel cervello di qualcuno, salvo scoprire che non era così facile come pensavo, scrivere nella materia grigia. Il coltello andava di qua e di là e il cervello non rimaneva insieme. Tch.

    « ... maalloranonhaimailettonientedelmaestro. »

    Andai a prendere delle traduzioni passabili della maggior parte delle short stories di Lovecraft, andando a poggiare le due raccolte che avevo scelto sul tavolino, guardando il ragazzo con i miei occhi violetti che s'erano accesi di una strana luce. Un osservatore attento avrebbe notato persino che i miei denti erano diventati più appuntiti, kekeke. Che poi non lo erano diventati davvero, li avevo solo istintivamente messi più in mostra.

    « Ecco. Leggi questi. Se non li capisci, avvisami, ti trovo delle versioni in altre lingue. »

    Ero serissima.
    Avrei fatto di tutto perché la parola del maestro fosse diffusa. Tirai fuori un pezzo di carta e gli scrissi sopra il mio numero di telefono, un'espressione serissima in volto, come se il mondo potesse crollare da un momento all'altro.

    « Ti lascio il mio numero, se dovessi avere dubbi. Su Babel sono @ShiisaT. »

    Attesi che mi dicesse qualcosa per dirmi di aver capito.
    Qualsiasi cosa.
    Anche un cenno del capo.



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    Shiisa non sembrava aver risposto al barista dopo che lo stesso si era accinto a prendere la sua ordinazione, assumendo che questo significasse che la ragazza non voleva prendere nulla si era quindi allontanato dal tavolo per portare ciò che era stato chiesto dal tedesco. La cosa aveva leggermente stranito Günter, credeva che la donna si sarebbe presa il pasticcino che voleva in cambio della citazione ma probabilmente non lo voleva più o, magari, come lasciavano presagire le sue frasi successive, era solo distratta dall’incompetenza del tedesco.
    Aveva detto, a gran velocità e con un tono quasi stupito, una frase che aveva messo il biondo sull’attenti, “il maestro”? Quindi era davvero la frase di qualche grande della letteratura inglese, o almeno lo presumeva considerato che la citazione era proprio in questa lingua, a questo punto era davvero curioso su chi fosse e pareva che la sua compagna di tavolo fosse in procinto di colmare questa lacuna nelle sue conoscenze. Si era alzata frettolosamente correndo serpentina tra gli scaffali e prendendo qualche libro, per poi recarsi nuovamente dal biondo e spargere il raccolto sul tavolino, ormai era tanto pieno di libri che sembrava ce ne fossero di più li che sugli scaffali. Il nome che compariva sulla copertina dei libri portati dalla ragazza riecheggiava come molto familiare nella testa del tedesco, H. P. Lovecraft, non gli era affatto sconosciuto come artista, d’altronde è effettivamente uno degli autori inglesi più rinomati, Günter però non aveva mai letto nulla di suo, semplicemente perché tutti i grandi apprezzatori di quest’ultimo che aveva incontrato fino ad ora si erano sempre comportati in modo ENORMEMENTE elitista e fastidioso. Lo stesso biondo era matematicamente certo che si trattasse solo di un enorme coincidenza, non di meno aveva sviluppato una sorta di antipatia verso quel nome dopo che, proprio da questi individui, veniva idolatrato come in assoluto il più grande e indiscusso scrittore di tutti i tempi, come se solo lui sapesse effettivamente scrivere bene, si trattava forse di tre o quattro persone secondo le quali sembrava non essere nemmeno una questione di gusti e opinioni, “lui è bravo e basta e se non ti piace è perché non capisci la letteratura”.
    Avrebbe escluso dalle ipotesi la lettura di quei libri per questo motivo? Assolutamente no, anzi, per quanto, come artista, fosse giunto alle orecchie del tedesco in modo sbagliato trattava dei temi che per lo stesso erano comunque molto interessanti, l’orrore cosmico, la paura primordiale, tutti concetti che Günter era sicuramente curioso di approfondire. Tra i vari libri sul tavolo ecco che sbuca il soggetto incriminato: ”Sore Wa Shinde Inai”, oppure, tradotto in inglese, “That Is Not Dead”
    “Ooooh, quindi la frase viene da qui… beh potrei partire da questo allora!” - sorridendo e prendendo il libro in mano avrebbe aggiunto
    “E si, a mal in cuore ti confermo che non ho mai letto nulla di suo” -
    Era stata addirittura così gentile da offrirsi per aiutarlo nel caso in cui non fosse riuscito a comprendere quei testi, sembrava una ragazza così… beh forse chiamarla “a modo” sarebbe stato sbagliato, aveva avuto qualche atteggiamento un po’ indelicato, ma sicuramente nulla che avesse turbato in particolare il tedesco, anche se quei denti… non capiva cos’avessero di strano, ma mettevano i brividi. Senza che lui dicesse nulla gli aveva poi elargito il contatto Babel, @ShiisaT, davvero davvero molto semplice da ricordare, non c’era nemmeno bisogno di appuntarlo, il tedesco l’avrebbe comunque salvato nell’immediato sul suo smartphone. Per fare cenno alla sua interlocutrice che aveva capito i suoi ordini avrebbe poi posto brevemente la sua mano orizzontalmente davanti alla sua fronte eseguendo il tipico cenno militare che si fa salutando o congedando un proprio superiore, per poi dire
    “Mi hai dato il tuo contatto perché ci stiamo salutando o…?” - chiedeva quasi incertamente, alla fine, avendo rinunciato a quel pasticcino, aveva senso che fosse in procinto di andarsene.


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    Shiisa Tsubasa
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    Si.
    Non ho tempo di pensare al dolcetto se devo star dietro alla gente che non conosce Lovecraft.
    E' una vita difficile, molto difficile. Certo, non è proprio bravo a scrivere nel senso pratico del termine, ma parliamo del padre dell'orrore cosmico. Che diamine, un minimo di amor proprio e piacere per la cultura.

    « Come dicevo sono tutti romanzi brevi. Quindi puoi leggertene anche un paio ogni sera. A parte i più lunghi tipo The Mountain of Madness, ma dipende quanto leggi. »

    Mentre dicevo quella frase, il mio cellulare aveva squillato. Si, avevo intenzione di prendere quel pasticcino, del resto era promesso. Il cellulare che avevo appena tirato fuori era incredibilmente costoso e di un simpatico rosa pastello. E per costoso era evidente che fosse un Iphone (o l'equivalente) ultimo modello, visto che l'avevo cambiato con l'ultimo aumento. Helena mi aveva spiegato come fare a rivendere quello vecchio su internet - super top. Certo, la divisione tecnologica di Aogiri non era divertente di questo mio continuo cambiare cellulare... ke-kekekek.

    Togliere la tecnologia messa sopra... un casino.
    Però erano gentili a venirmi incontro su queste cose.
    Ad ogni modo era un messaggio da lavoro - mi chiedevano una consulenza su un affare di stasera. C'era da spaccare i denti a un tizio. Feci un sospiro, un pochino infastidita. Doppio turno di nuovo? Magari stavolta chiedevo a Helena di accompagnarmi... mah, avrei dovuto vedere.
    Qualche volta mi chiedevo se le sarebbe piaciuto.

    Guardai verso il mio nuovo amico.

    « Prima no, adesso si. Il dolcetto lo prenderò un'altra volta, non mi pare carino mangiare a tue spese senza farti compagnia.
    Fammi sapere com'era il libro, però. Se non mi aggiungi vedo di scoprire dove abiti. »


    Tono tranquillo, come se fossi seria.
    In effetti lo ero. Mi voltai a quel punto, facendogli un sorriso allegro.
    Ero genuinamente contenta di averlo conosciuto. Ed era una cosa rara!
    Nel caso in cui non avesse aggiunto altro, mi sarei alzata e avrei fatto un cenno per salutarlo.

    « Mi sono divertita. Sentiamoci di nuovo, tizio europeo.
    O Gunter. Come preferisci essere chiamato, ke-ekek. »


    Quindi sarei andata via, nel caso in cui non avessi ricevuto ulteriori obiezioni.
    Beh, bene.


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    Mugugnava incuriosito ascoltando le parole della ragazza che portava alla luce un altro punto a favore per lo scrittore che gli aveva appena presentato: scriveva romanzi brevi, per quanto difficile potesse essere da leggere o interpretare sicuramente era una nota positiva non da poco, meno dura un brano o un racconto più è semplice comprendere meglio lo svolgimento dopo aver letto la fine vista quanta energia in meno impiega il cervello per tenere a mente l’inizio.
    “Leggo abbastanza, solo che solitamente leggo in tedesco” - Diceva ridacchiando, insomma, alla fine si trovava in quella libreria perché non aveva mai letto nulla di esageratamente più complicato di giornali o documenti ufficiali in giapponese, chi se lo sarebbe aspettato che lo spunto giusto per sapere da dove partire sarebbe arrivato proprio da quella ragazza piombata dal cielo nel momento in cui era più inaspettato.
    Comunque, pareva proprio che Shiisa, come previsto, se ne stesse andando, in effetti il suo fare era cambiato da quando, dopo che il suo cellulare aveva vivacemente squillato, si era accinta a guardarne il display emettendo un leggero sospiro, un contratto a chiamata? Probabilmente, sta di fatto che da come aveva reagito si doveva trattare di un qualche tipo di impegno di lavoro, o almeno così immaginava il tedesco che, scrutando meglio il suo vestiario, ora interpretava gli indumenti che la donna portava come una sorta di divista piuttosto che un semplice outfit a metà tra l’elegante e lo sportivo. Fare il buttafuori con quel tipo di indumenti? Doveva trattarsi di un casinò piuttosto sfarzoso, questo probabilmente giustificava un cellulare costoso come quello che aveva mostrato, insomma, aveva tutta l’aria di essere una donna piuttosto benestante, un immagine che, almeno inizialmente, non si sposava bene con gli atteggiamenti relativamente poco raffinati che questa aveva dimostrato.
    Mostrando un comportamento ammirevolmente onesto rimandava il pasticcino a un prossimo incontro, chiedendo di conoscere il parere del tedesco sui libri da lei consigliati e concludendo con dell’ironia molto simpatica, insomma, a meno che non fosse seria ma non aveva l’aria di esserlo, anche perché durante quell’incontro aveva già mostrato di disporre di un discreto senso dell’umorismo. Mostrando scherzosamente i palmi delle mani diceva
    “Hoho, non ti preoccupare, non me ne dimenticherò, anzi, lo faccio subito” - magari non in quel preciso istante ma l’avrebbe sicuramente fatto al primo momento di solitudine che comunque sarebbe arrivato a breve
    “Vada per tizio europeo. Volentieri comunque, quando vuoi!” - diceva salutando con la mano e sorridendo per il modo in cui l’aveva appena chiamato, sinceramente la ammirava, anche se probabilmente molti in Nipponia lo conoscevano in quel modo nessuno aveva mai avuto l’audacia di rivolgersi direttamente a lui come tizio europeo, quella ragazza mostrava uno spirito molto libero, sembrava quasi l’antitesi di quello che gli aveva detto Rena quando l’aveva incontrata nei paraggi del tempo prima.
    E così la ammirava dileguarsi all’esterno del locale, che piacevole conoscenza.
    Ora, anche se non prima di aver finito la sua brioche alla marmellata, era arrivato il momento di scegliere cosa comprare e cosa riporre negli scaffali. Cominciava a dividere i libri in due pile proprio per compiere questa scelta estremamente difficile e combattuta, alla fine trovandosi con 5 libri uno sopra l’altro: la raccolta di Lawrence Taylor consigliata da Shiisa, una di Goethe e tre raccolte di Lovecraft… finché, prima di andare a pagare, si era fermato un secondo a guardare nuovamente che cos’aveva in mano, fissando con una strana espressione molto poco convinta i libri dei due poeti
    “Tsk… ma allora ti piace veramente fare sempre le stesse cose hm?” - pensava tra se e se, leggendo velocemente i titoli sul retro di entrambi i libri e constatando che aveva già studiato con suo padre una buona percentuale delle poesie contenuti negli stessi.
    “Amici miei, non vi dimenticherò, ma sarà per la prossima volta” - ponderava a malincuore riponendo le prime due raccolte citate nei loro rispettivi scaffali, era arrivato il momento di uscire dalla sua safezone, di gettarsi in orizzonti inesplorati, sarebbe stato più difficile imparare qualcosa con delle opere completamente nuove? Assolutamente, ma questo non l’avrebbe fermato, ora che Shiisa si era offerta di aiutarlo non occorreva acquistare qualcosa che conosceva per lavorare su composizioni familiari, avrebbe quindi sfruttato a pieno questo vantaggio: in quel periodo di profondo cambiamento la sua sete di novità aveva raggiunto livelli che prima non osava nemmeno contemplare.


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