Fammi del male e poi baciami in bocca

SQ di cura

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    KOHAKU KAMIYA
    Sangue, polvere e piume spezzate.
    Nella sua mente, ciò che aveva seguito all’incontro con Hayato Ono era un insieme eterogeneo e confuso, senza un vero punto di inizio o una fine, anche se con una costante, un basso continuo martellante.
    Il dolore.
    Il dolore delle ali dalle ferite aperte trascinate sul cemento, il dolore della gamba destra dilaniata dagli artigli di polvere, il dolore della consapevolezza.
    Era stato atterrato e divorato come un passerotto tra le grinfie di un grosso gatto.
    La rabbia.
    La vergogna.
    (Lo hai sottovalutato.)
    Gli era sembrato un idiota qualsiasi, ma se Shinya lo aveva tenuto accanto a sé un motivo doveva pur esserci, no? Shinya, a differenza sua, non faceva simili errori di valutazione.
    (Come sempre, ti sei sopravvalutato.)
    Non sapeva bene come, ma era riuscito a trascinarsi davanti all’uscita posteriore dei laboratori, o forse il suo piccolo servitore – quell’unico che era riuscito a evocare, l’unica rimanenza delle sue oramai esaurite energie – era davvero riuscito a chiedere aiuto e chi di dovere e dunque voci, persone, volti che non riusciva a mettere a fuoco e… qualcuno lo aveva sollevato da terra?
    Braccia forti da cui farsi tenere e cullare, braccia forti che gli trasmettevano un senso di sicurezza.
    Era stanco.
    E il dolore non gli dava tregua.

    Sdraiato sulla pancia e con le ali spiegate accanto a sé, si era svegliato e riaddormentato più e più volte in una stanza che non riconosceva, quasi sicuramente all’interno dei Laboratori, il dolore come unica costante ad accompagnarlo.
    Voci e volti indistinti, qualcuno che gli puliva le ferite, qualche iniezione di antidolorifico – Dio benedica gli antidolorifici! – e la presenza rassicurante di Shinya.
    Perché se lo sentiva, percepiva chiaramente che Shinya era sempre stato lì a vegliarlo, Shinya era lì per lui.
    E non gli aveva riso in faccia dicendo “Te lo avevo detto di lasciarlo stare” quando in un momento di veglia aveva mormorato che era stato Hayato a ridurlo in quello stato, era sempre stato lì con lui perché riconosceva la sua fedeltà e dedizione e, in qualità di unica persona in grado di dargli ordini, l’aveva in quel modo ricompensato.
    Nessun altro poteva dargli ordini, non un superiore qualsiasi in Aogiri.
    Non Hayato Ono.

    Odiava Hayato Ono.
    Lo voleva spezzare come lui aveva spezzato le sue bellissime piume bianche.
    Lo voleva piegare nel corpo e nell’animo, vederlo in ginocchio dopo avergli dilaniato una gamba, ma soprattutto a capo chino di fronte alla sua superiorità come individuo e come membro dell’Albero.
    Doveva diventare più forte, doveva uscire dalla pacata tranquillità in cui gestiva reclute e piccoli spacciatori, al massimo un sottoposto del calibro di Kane Nibaru.
    Doveva cominciare a fare carriera.
    Voleva dare ordini ad Hayato Ono.
    Se solo il dolore non fosse stato così forte da annebbiargli la mente… dov’erano i suoi antidolorifici?

    Voleva fare del male ad Hayato Ono.
    Voleva ordinargli di stare fermo immobile e poi piantargli i due coltelli tra le carni, fargli del male, veder sparire quel sorrisetto strafottente dal suo volto e poi— oh Kohaku, i bravi bambini non pensano a queste cose.
    Cattivo Kohaku, cattivo.
    Anche se Shinya comprendeva e supportava le sue inclinazioni, no? Lo avrebbe compreso.
    Cattivo Kohaku, cattivo.
    Aveva bisogno di altri antidolorifici.

    Amava Shinya.
    Lo amava con tutto se stesso e per lui avrebbe dato la propria vita.
    Per lui era pronto ad uccidere.
    Amava spogliarsi per lui, mettere da parte il proprio orgoglio e agire solo per il piacere dell’altro.
    Shinya era l’unico che poteva piegarlo.
    Quando poteva tornare a muoversi? Voleva tornare tra le sue braccia, baciarlo e lasciarsi manipolare come una bambola di pezza tra le sue mani.
    Era sicuro che Shinya gli avesse dato un bacio tra i capelli, quando era mezzo addormentato, un inusuale momento di tenerezza da parte del Vice che era un punto fermo nella sua vita.
    Non parte dei suoi deliri dati dai medicinali, era successo davvero, ne era convinto.
    Amava Shinya.
    Ma soprattutto voleva altri antidolorifici.
     
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