I took a sip from my devil's cup

Frequentare la palestra, per Kohaku, era un qualcosa di inusuale.
Non era definibile pigro, era anzi uno che difficilmente riusciva a stare fermo sapendo di avere mille cose da fare, ma era più da esercizi a casa dopo il lavoro e ora stare lì in mezzo a quelle persone più o meno prestanti, più o meno allenate, tutte però accomunate dal crederci davvero era... strano.
Si sentiva un po' a disagio.
Anche perché insomma, non era raro vedere persone con mutazioni più o meno vistose delle sue ali – poco più avanti c'era un tale con due grosse corna da toro che sollevava dei manubri che avevano l'aria di pesare almeno quattro volte lui – però essere così piccolo lo faceva sentire fuori luogo.
Se solo qualcuno provava a chiedergli se si era perso e aveva bisogno della mamma, era pronto a cavargli gli occhi a mani nude.
Se quella sera era al Five Finger Death Punch lo si doveva principalmente alla vicinanza al luogo in cui viveva, decisamente non aveva voglia di gironzolare per la città stanco e sudato, una volta concluso l'allenamento, e poi perché in cuor proprio sperava di trovare uno di quei personal trainer che potesse aiutarlo con un programma personalizzato: era ovvio come non sarebbe mai e poi mai riuscito a sollevare dei pesi come l'uomo toro, ma magari poteva lavorare sulla velocità, la resistenza e perché no la potenza della muscolatura della schiena.
Prima o poi avrebbe imparato a volare da solo, no?
Prima o poi avrebbe incontrato ancora Hayato, no? E voleva fargliela pagare, doveva essere pronto non solo con un quirk più forte e pronto a spazzare via quella polvere, ma anche con un corpo in grado di sostenere un tale sforzo.

Con croptop e shorts che lasciavano parecchia pelle scoperta – è veramente difficile muoversi agevolmente quando hai un grosso paio di ali sulla schiena e diversi strati di vestiti, meglio eliminare il superfluo – Kohaku aveva curiosato un po' in giro per poi scoprire con una certa delusione che sì, quella palestra ogni tanto ospitava dei personal trainer, ma che quella sera gli era andata male.
Quindi doveva... mettersi lì e fingere di sapere cosa stava facendo? Un'occhiata ai tapis roulant, quelli forse erano gli unici adatti anche se si sentiva un criceto sulla ruota, non riusciva a prendere sul serio un'attività del genere.
Un sospiro sconsolato prima di riprendere le proprie peregrinazioni e fermarsi poco distante dai sacchi da boxe, dove in una postazione in particolare un ragazzo si stava allenando con una concentrazione ammirevole.
Sguardo deciso, pugni rapidi e precisi di uno che sapeva cosa stava facendo.
Era pure un bel ragazzo.
Lo guardò ancora un attimo, poi fece per voltarsi e qualcosa venne investito dalle sue ali ripiegate dietro la schiena, rotolando via con un rumore che parve disturbare in modo eccessivo la concentrata calma del luogo: per terra, proprio dove non si sarebbe aspettato di trovarla né, ovviamente, l'aveva vista, c'era una borraccia adorabile con il tappo a forma di zampetta di cane.
«Io—»
Voleva sprofondare, che imbarazzo, si sentiva come in adolescenza quando quelle ali sembravano crescere a dismisura senza mai fermarsi e le sbatteva ovunque.
«Scusami, non l'ho vista, spero non si sia rovinata.»
Recuperò la borraccia e la ripose dove immaginava fosse prima di colpirla, piegandosi poi in un inchino pieno di vergogna.
Ora aveva davvero una scusa per non tornare mai più in quel luogo.

A guy like you
should wear a warning