Rompere il ghiaccio.

#NSFW || Role || Jun e Masao

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    Masao Suzuki
    Lista dei lavoretti che Masao aveva fatto da quando si era licenziato
    • Rider per NowEat
    • Pettinatore di cagnolini
    • Guida per turisti non ufficiale
    • Tipo che aiuta le vecchiette a fare la spesa
    • Aiutante al negozio di fiori di Shion
    • Scaricacose al mercato ittico
    • Massaggiatore
    • Netturbino
    Quella sera stava lavorando in un locale.
    Non a fare il barista, eh. Lavava bicchieri. Però forse gli sarebbe piaciuto, preparare drink. Parlare con i clienti. Lavorare sempre immerso in un ambiente pieno di persone, movimento, musica. Quando quel biondo che una volta lavorava al Kagejikan, Hayato, gli aveva raccontato delle sue esperienze come barman, una parte di lui aveva subito pensato "è un lavoro per me". Solo che quel tizio si era rivelato essere una spia mandata da Hisoka, quindi chissà quante frottole aveva raccontato.
    L'unico modo per scoprirlo era provarci.

    Per fare il salto da lavastoviglie umano a barista doveva imparare a preparare cocktail, però, e al momento non aveva un insegnante. Lavorava all'Abyssal Cyber Paradise solo da un paio di settimane, e ancora non era era ancora riuscito a scambiare più di qualche parola con il capo barista, un uomo nervoso e scorbutico che non stava mai fermo. Ma il barman con cui aveva condiviso il bancone quella sera era un tizio diverso, e forse più approcciabile.
    Anche se era una montagna di muscoli larga il doppio di lui e dall'aria vagamente inquietante.

    Due del mattino. orario di chiusura, in cui i clienti sono già stati cacciati via, e in cui c'è solo da pulire e fare l'inventario prima di andare a casa. Orario in cui la discoteca-abisso è calma come le profondità marine, e persino la sirena dorme. Orario in cui sei giustificato ad attaccare bottone con un collega anche se è uno sconosciuto, perché hai bisogno di chiacchiere per stare sveglio e l'essere sopravvissuti insieme a quella serata ha contribuito a un senso di silenzioso cameratismo.

    "Ehi, senta." Parole buttate lì mentre asciugava gli ultimi bicchieri, il tono rispettoso ma amichevole.
    Non ricordava il nome del barman, e l'uomo di certo non sapeva il suo, ma aveva rotto solo un bicchiere quella sera. Pensava di aver fatto una buona impressione.

    "Volevo chiedere... Se può insegnarmi a preparare qualche drink semplice?" Che cos'era quella cosa gialla incrostata nel bicchiere? Non lo voleva sapere. Strinse i denti e sfregò il vetro con più olio di gomito. "Io in cambio pulisco anche la sua parte, così va a casa prima."
    Okay facciamo che quel bicchiere era pulito. Lo mise sulla mensola sotto il bancone, insieme agli altri, per poi voltarsi verso il suo futuro insegnante (credici).

    "E li pago anche, i drink, così non ci sgridano perché sprechiamo alcool."

    Non faceva più l'agente di commercio, ma i sorrisoni amichevolissimi da venditore ambulante li sapeva ancora fare, nonostante la stanchezza.

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    Slot extra per Masao, normale per Jun.


    Edited by ddraig - 1/10/2022, 16:13
     
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    Jun piaceva Tokyo.
    Non era troppo dissimile da Busan, la città dove era nato e aveva trascorso, praticamente, tutta la sua vita… ma la capitale nipponica esercitava un particolare fascino su di lui: sarà stato il suo essere estremamente dinamica, i suoi colori, i parchi bellissimi dove aveva portato a passeggio i suoi canetti… o magari sarà stato solo Jun e il suo essere facilmente impressionabile, considerando che non era mai uscito dalla Corea del Sud fino a quel momento. Aveva approfittato dei giorni addietro per girare qualche quartiere di Tokyo, lasciandosi guidare da Anya per le strade più famose e facendo foto a destra e a manca, provando qualsiasi tipo di attività turistica con lo stesso entusiasmo di un bambino di sette anni.
    E a proposito della signorina Park… secondo Jun, il suo trasferimento a casa della ragazza era filato assolutamente liscio, senza alcun tipo di problema! Doveva ancora sistemarsi in maniera permanente nel suo appartamento, ma era assolutamente convinto che lei, in fin dei conti, fosse felice di quel piccolo cambio di programma che aveva escogitato sua madre.
    Se poi questo fosse vero o no, non ci è dato saperlo. Jun tendeva a vedere sempre tutto da dietro una lente rosea e positiva, quindi non era in grado di percepire facilmente il fastidio da parte dell’altra persona. Ma non è questa la role dove si parlerà nello specifico di ciò.
    Ovviamente Jun non poteva trasferirsi a Tokyo senza avere un lavoro legale… e, dopo aver mandato qualche curriculum in giro per i locali della capitale, aveva ricevuto una risposta dall’Abyssal Cyber Paradise, che gli aveva proposto un periodo di prova come barman, il settore dove lui era più o meno specializzato. Sarebbe scontato specificare che Jun accettò praticamente alla velocità della luce: il locale era mooooolto bello, la paga non sembrava essere male ed era un posto parecchio frequentato, dove lui poteva effettivamente conoscere i clienti e chiacchierare con loro al bancone – perché, ovviamente, a Jun piaceva parlare con tutti.
    L’unica pecca era che non si trovasse ad Akihabara, dove viveva ora con Anya, ma con la metro ci metteva un attimo a tornare a casa.
    Era la sua seconda serata di prova e il capo barista, nonostante l’atteggiamento un po’ scorbutico e leggermente prevenuto nel trovarsi davanti un ragazzo non del posto, sembrava essere abbastanza soddisfatto del suo lavoro… era riuscito persino a passare sopra al bicchiere che Jun aveva erroneamente rotto. E alla bottiglia che aveva colpito accidentalmente e aveva quasi fatto cadere. Ma per il resto era stato bravissimo!!
    La serata era stata in linea di massima tranquilla, nonostante avesse dovuto avere a che fare con alcuni uomini molesti che non facevano altro che continuare a chiedere da bere, ma ora il locale era praticamente deserto… fatta eccezione dei dipendenti, che stavano mettendo pulendo e mettendo a posto. Il capo barman l’aveva lasciato da solo al bancone a lavare i bicchieri e sistemarli sugli scaffali, insieme alle bottiglie utilizzate, che doveva necessariamente riporre in ordine per non creare confusione – un procedimento che gli stava impiegando parecchio tempo, a dir la verità.
    Infatti si trovava rivolto verso il muro dove erano appoggiate le bottiglie e le fissava con un’espressione molto pensierosa, cercando di ricordarsi quale fosse il solito posto del gin che teneva in mano. Era in alto a destra, vicino al prosecco, oppure in basso a sinistra, vicino a vermut…? Mmmh…
    A risvegliarlo dai suoi pensieri fu una voce. Si voltò a vedere chi gli aveva rivolto parola con un’espressione un po’ sorpresa, riconoscendo un dipendente del locale con cui non aveva ancora parlato fino a quel momento… A conti fatti, non sapeva neanche il suo nome, ma solo che lavorava come lavapiatti. Rispose al suo saluto un po’ rispettoso con un sorrisone amichevole, di quelli che rivolgeva quasi a tutte le persone che approcciavano a lui. “Ciao!” Fece, in un giapponese dall’accento strano, segno che fosse effettivamente uno straniero.
    La richiesta di quel ragazzo lo lasciò sorpreso, ma non sembrava affatto infastidito. Come sempre, continuò a sorridergli con quell’espressione solare e allegra che lo caratterizzava, inusuale per un barman dopo una serata di lavoro. “Oh, ma certo! E dammi pure del tu, tranquillo. Non sono proprio tipo da… come si dice… formalità, ecco!” E rise, rumoroso, facendo segno di avvicinarsi a lui. Aveva ancora qualche difficoltà a ricordare qualche parola in giapponese, ma lavorare in un posto frequentato da molte persone dove era costretto a parlare costantemente lo aiutava a prenderci familiarità.
    Osservò la bottiglia di gin che teneva in mano, prima di poggiarla sul bancone di fronte a sé. “Iniziare da qualche cocktail semplice, dici? Mmh…” Si toccò il mento. “Beh, potremmo cominciare con un classico Martini. Posso assicurarti che è uno degli alcolici più ordinati, quindi sapere come si prepara è una sorta di base da cui partire.” Gli spiegò, poggiando i gomiti sul bancone con un atteggiamento assolutamente rilassato e socievole. “Può andare bene? Altrimenti posso proporre qualche altra cosa, ovviamente!” Sì, era una persona che parlava tanto. A volte troppo.
    All'improvviso si lasciò sfuggire un piccolo oh! e scattò in piedi, rendendosi conto che non si era ancora presentato. “Io sono Jun! Molto… molto piacere di conoscerti!” E fece un bell’inchino, prima di ritornare su con il busto e sorridergli calorosamente. “E perdona il mio giapponese un po’... incerto, devo ancora prendere confidenza con questa lingua!” Ridacchiò, passandosi la mano sulla nuca.
    Doveva migliorare soprattutto la scrittura, ma almeno con il parlato se la cavava piuttosto bene.
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    Masao Suzuki
    Certe persone si comportano un po' come dei gatti. Persone come Desmond, che d'istinto tendono a soffiare e a scansarsi dalle carezze altrui. Gente che vuole farsi avvicinare solo a modo loro seguendo regole implicite e complesse, e che magari vuole pure amiciziare ma non vuole dimostrare di voler fare amicizia quindi ti attacca giusto per fare scena.
    E poi ci sono persone più simili ai cani, tipo Masao o... Il barista con cui stava parlando.

    "dammi pure del tu, tranquillo. Non sono proprio tipo da… come si dice… formalità, ecco!"

    "Ah, straniero?" domandò, il suo sorriso di circostanza che già si allargava in un'espressione più genuina e rilassata. Difficile non ricambiare tutta quell'allegria con un'euguale dose di entusiasmo — un po' come quando due cani si incontrano per strada e iniziano ad annusarsi e a scodinzolare fortissimo.
    Cioè facciamo che nessuno annusa nessuno perché erano entrambi esausti e sudati, però l'energia era quella.

    "Beh, potremmo cominciare con un classico Martini."

    Annuì alla proposta dell'omone. Aveva mai bevuto un martini? probabilmente sì ma era stato troppo ubriaco per ricordarselo. Prima di poter fare domande, però, l'altro si ricordò che dovevano ancora presentarsi.

    "Suzuki Masao," si presentò, ricambiando l'inchino. "Molto piacere, Jun. Se preferisci so parlare inglese." E lo disse con un certo orgoglio, perché non era una cosa da tutti. "Hai un'ottima pronuncia però, non preoccuparti!" concluse, con lo stesso tono con cui era solito Desmond durante le loro lezioni.

    Si piazzò accanto al barista e afferrò la bottiglia che aveva messo sul bancone, rigirandola per leggere l'etichetta.

    "Il Martini è un cocktail... Ordinato, hai detto?" Un pizzico di preoccupazione nella voce. "È una cosa comune nel fare i cocktail? Il... Mischiare le cose con ordine e precisione?"

    Già si sentiva inadeguato. Eppure l'aveva visto lavorare tutta la sera, quel tipo, mischiando alcolici con velocità e convinzione. Di certo non si metteva a misurare le dosi con la precisione di un chimico... O forse aveva così tanta esperienza da saper fare simili calcoli supercomplicati a mente?

    "È da tanto che fai il bartender?"

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    un si passò la mano sulla nuca, annuendo alla sua supposizione di trovarsi davanti a uno straniero. Anche se i suoi tratti del viso erano prevalentemente orientali, da quando aveva messo piede in Giappone avevano capito praticamente tutti di non trovarsi di fronte a un ragazzo del posto… di certo i suoi geni europei non lo aiutavano in questo. “Mh-mh, sono originario di Busan. Ci sei mai stato in Corea del Sud?” Domandò con un piglio curioso, inclinando la testa di lato come un doggo. Per quanto si stesse sforzando a parlare il più possibile in giapponese per prendere confidenza con quella lingua, non gli sarebbe dispiaciuto conoscere qualcuno che sapeva parlare il coreano. Sarebbe stato meno mentalmente faticoso per lui (?).
    Il suo collega si presentò con il nome di Masao Suzuki e Jun gli rivolse un caloroso sorriso, mentre mentalmente si domandava se dovesse chiamarlo per nome o per cognome. In Corea non c’era l’usanza di chiamare le persone con cui si aveva poca confidenza per cognome – anche perché se uno diceva Kim si giravano in duecento – quindi Jun doveva ancora capire bene come comportarsi su quel fronte. Magari era il caso di chiederglielo.
    “Posso chiamarti Masao?” Gli domandò, pensieroso. “Anche se non so se devo chiamarti Masao-san o Masao-kun… san si usa per le persone più grandi, mi pare. O forse kun si usava solo con gli amici… Mmmh…” Si prese il mento fra le dita, così concentrato che a breve avrebbe iniziato a fumargli il cervello (???). Doveva ancora fare un po’ pratica con quel genere di cose… ma non sarebbe stato poi così difficile. Anche in Corea usava spesso onoreficenze per i suoi superiori.
    E alla domanda di Masao se preferisse parlare in inglese, Jun si ritrovò letteralmente a sussultare. “Oh, no no! Io faccio pena a inglese!” Esclamò, ritrovandosi ad arrossire per l’imbarazzo. “Dovrei prendere delle lezioni, ma… è già un miracolo che sappia parlare decentemente la vostra lingua!” E rise, stringendosi le spalle. Insomma, il cervello di Jun non riusciva a processare troppe informazioni tutte insieme… meglio fare una cosa per volta.
    “E grazie per il complimento sulla pronuncia. Sentirlo da un giapponese in persona mi rende molto orgoglioso!” Il suo sorriso si allargò ancora di più, se possibile, e sembrava quasi sprigionare luce propria (?). Decisamente, ormai Masao avrebbe dovuto capire che, dietro le sue apparenze un po’ inquietanti, si nascondeva la versione umana di un Golden Retriever.
    "È una cosa comune nel fare i cocktail? Il... Mischiare le cose con ordine e precisione?"
    Jun prese un respiro profondo, assumendo un atteggiamento serio ed estremamente professionale, che quasi stonava con il suo solito modo di porsi di fronte agli altri… però Masao gli aveva chiesto aiuto, e lui era disposto a essere utile e a fargli da maestro.
    “Quando si preparano i cocktail sono importanti diverse cose: ovviamente, gli ingredienti,” e affiancò alla bottiglia di gin una di vermut, presa dallo scaffale alle sue spalle. “Gli strumenti, come il mixing glass, che deve essere freddo…” Nel dire questo, versò dei cubetti di ghiaccio al suo interno, in modo da raffreddare le pareti. “Le quantità e l’ordine degli ingredienti: prima si versa il gin, poi il vermut,” e gli mostrò in quante dosi andavano versati i due alcolici, a occhio, visto che misurare i millilitri precisi poteva essere un po’ scomodo, soprattutto durante le serate particolarmente caotiche.
    “E infine… si mescola.” Prese un bar spoon e girò il contenuto con movimenti veloci, per qualche secondo. “Ovviamente questo cocktail è un po’ più semplice, non serve shakerarlo, per questo ti dico che può essere un ottima base di partenza.” Gli spiegò, mentre versava la bevanda ormai pronta dal mixing glass al famoso bicchiere del Martini, mettendoci poi dentro una piccola oliva.
    In teoria andava servito con l’oliva a parte, ma così era più scenico e molto da film di spionaggio.
    Lo spinse verso Masao. “Questo te lo offro io,” gli disse poi, con un sorrisetto. “Ora puoi provarci tu… e lo assaggerò io. Come una sorta di giudice culinario, ma non sarò cattivo, promesso.” E completò il tutto con un piccolo occhiolino che, in base all’interpretazione che il singolo poteva darvi, poteva essere un semplice gesto un po’ troppo amichevole, o un modo abbastanza palese per ammiccare.
    A Masao la scelta.
    "È da tanto che fai il bartender?"
    A quella domanda, inclinò di nuovo la testa di lato, pensieroso. “Mmh, da qualche anno. Prima facevo il buttafuori nei locali notturni e… posso assicurarti che non è proprio il massimo.” Gli sfuggì una smorfietta nel ripensare a quante risse aveva partecipato… anche se in realtà aveva fatto di peggio, come partecipare a lotte clandestine dove molti uomini scommettevano sulla sua vittoria o sulla sua sconfitta.
    “Mi piace fare il bartender, posso fare amicizia più facilmente! Come ho fatto amicizia con te ora!” E gli rivolse un sorriso a dir poco adorabile, con un atteggiamento assolutamente innocente. Perché insomma, secondo Jun loro erano sulla stessa lunghezza d’onda, quindi erano già inevitabilmente amici.
    Seems legit.
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    Masao Suzuki
    Scosse il capo. No, Masao non ci era mai stato in Corea — ma era ormai abituato agli stranieri e alle loro gaffe linguistiche.

    "Aha." Agitò l'indice come un maestrino che faceva no-no. "Masao ebbasta è riservato soltanto a parenti e amanti," spiegò con un ghigno sornione. Non era da lui prendere in giro in maniera così diretta, è che... Boh, era una rarità incontrare qualcuno più impacciato di lui, gli faceva venire voglia di farlo imbarazzare.

    "Gli onorifici di solito si abbinano ai cognomi, quindi la versione corretta sarebbe Suzuki-san. Suzuki-kun sarebbe più appropriato se fossimo amici con un certo livello di confidenza, o se tu fossi un superiore che si rivolge a qualcuno più giovane o meno importante di te. " Si portò una mano al mento. "Si possono attaccare anche ai nomi propri, ma solitamente si fa con gli amici o quando si parla con stranieri. Per me ad esempio verrebbe naturale chiamarti Jun-san, perché so che in corea di solito ci si chiama per nome." Un lieve sospiro. "Ma ho molti amici stranieri e so che per voi gli onorifici suonano complicati, quindi tu chiamami Masao e io ti chiamerò Jun, tranquillo. Ricorda solo di non appellarti così all'altro barista o gli verrà un infarto."
    Non era più l'uomo impacciato che si era sciolto in un mare di imbarazzo quando Desmond gli aveva chiesto di chiamarlo per nome al primo incontro. Però ora basta lezioni di grammatica, lui era lì per imparare a fare i cocktail.

    "Quando si preparano i cocktail sono importanti diverse cose..."

    Osservò i movimenti dell'altro con occhi stanchi ma attenti. Un uomo così grosso, ma con movenze così delicate. Sarebbe stato così facile per lui frantumare tra le dita il calice che gli aveva appena passato, così minuscolo tra le sue mani.

    "Ah... Grazie."

    Avvicinò il bicchiere alle labbra, sorridendo appena nel sentirlo dire "non sarò cattivo".
    Non ne dubitava: Jun era un gigante gentile, per nulla minaccioso nonostante l'aspetto massiccio e quell'occhio strano tutto nero. Ovvio non gli fosse piaciuto fare il buttafuori. Gli chiese da quanto faceva il barista, e a momenti si strozzò col drink nel sentirlo rispondere con tanto entusiasmo.

    "Ah, ma se fai così con i miei compatrioti poi rischi solo di spaventarli," commentò ridacchiando. "Te l'ho detto, io sono abituato a parlare con gli stranieri. Il giapponese standard è una creatura più schiva e formale, se sei troppo diretto rischi solo di sembrare scortese." Anche se da ubriachi si è tutti più socievoli, quello è vero.
    Poggiò un gomito sul bancone e sorseggiò il martini.

    "È buono."

    Poteva tornare a casa in moto dopo aver bevuto un cocktail? Mhhh, dipendeva da quanto ci avrebbero messo a pulire tutto.

    "Okay ci provo."

    Mixing glass con il ghiaccio dentro, poi il gin, poi il vermut... Dovette farsi rispiegare mano a mano le dosi da versare, ma una mescolata dopo, ottenne il suo primo tentativo di Martini. Chissà se era buono? Alzò il bicchiere, portandoselo alle labbra....

    "Ah... Ecco la parte difficile rispetto al fare il cuoco, non posso assaggiare per controllare se è bevibile." Riportò il cdrink sul bancone con una smorfia. "Beh mi dirai tu che sapore ha."

    Sorrise, spingendo il martini in direzione del barista.

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    h, quindi stava già facendo casino con la lingua. Ottimo.
    E dire che aveva anche studiato queste cose al corso di giapponese… aveva proprio la memoria corta.
    Con un leggero rossore sulle guance, Jun rimase in religioso silenzio ad ascoltare la spiegazione del suo collega, nel vano tentativo di memorizzare tutte quelle informazioni. Di certo parlare con le persone del posto lo aiutava a capire meglio come funzionassero le regole della lingua in Giappone – che, in fin dei conti, non dovevano essergli poi così difficili… anche in Corea si usavano gli onorifici.
    “Ohhh… penso di aver capito,” disse, anche se l’espressione che stava sfoggiando in quel momento non sembrava essere la più sveglia del mondo. Di certo Masao l’aveva messo in difficoltà, ma Jun non era una ragazzo che si lasciava mettere in imbarazzo dagli altri così facilmente. Infatti, a quelle parole, seguì un sorriso un po’ più malizioso.
    “Visto che devo fare pratica, per non rischiare di sbagliarmi con le altre persone, proverò a chiamarti comunque Suzuki-san,” gli fece, mentre il suo sorrisetto si ampliava sempre di più. “Mi guadagnerò onestamente il permesso di chiamarti solo Masao.” Lo aveva detto sul serio. Jun, per quanto poteva sembrare un ragazzo molto innocente e per certi versi davvero sprovveduto, aveva una faccia tosta assolutamente invidiabile… e, a volte, addirittura inopportuna – che lì in Giappone, probabilmente, non sarebbe stata per niente apprezzata.
    Ma Masao lo aveva messo leggermente in imbarazzo. Era ora di ricambiare, in maniera scherzosa, con la stessa moneta.
    Dopo aver spiegato al suo collega come preparare un semplice Martini, rimase ad osservarlo mentre lo assaggiava, prima di alzare un sopracciglio al suo commento riguardo i giapponesi. Jun si lasciò sfuggire uno sbuffetto divertito, prima di stringersi le spalle. “Vorrà dire che dovrò abituarmi ad essere meno diretto! Però che noia,” borbottò, con un finto broncetto, mentre incrociava le braccia al petto e quindi sfoggiava i suoi bicipiti (???). Già a Busan il suo atteggiamento non era proprio visto sotto la migliore luce, se lì in Giappone erano ancora più rigidini… sarebbe stato un grosso guaio per Jun.
    Si voltò a guardare Masao. “In realtà mi dicono che sono piuttosto bravo a… socializzare anche con le persone… introverse,” gli fece notare, incespicando un attimo con la lingua. “Ma nel tuo caso non ho questo problema. Non mi sembri poi così schivo.” E gli sorrise, amichevole e sincero. Avrebbe voluto conoscere meglio quel suo collega, si vedeva che Jun fosse interessato a lui e voleva assolutamente approfittare di quel turno notturno insieme per parlare ancora un po’.
    … queste erano le intenzioni basilari di Jun. Se poi aveva in mente di rimorchiarselo, quello era da valutare fra un po’ – anche se già lo stava fissando con particolare interesse, c’era da riconoscerlo.
    Il suo sorriso si ampliò, quando Masao gli confermò che il Martini era buono. “Sono contento che ti piaccia. Sai, non sono così bravo, a volte mi dimentico l’ordine degli ingredienti e faccio un po’ di casini…” Gli confessò, sporgendosi verso di lui per sussurrarglielo a bassa voce. “Ma non dirlo troppo in giro,” e gli fece un sorrisetto di intesa. In realtà, anche se faceva ogni tanto qualche pasticcio, i suoi superiori tendevano a non licenziarlo – a meno che non si fosse trattato di qualcosa di grave.
    Diciamo che… la sua bella presenza era piuttosto apprezzata. Per quanto molti potessero sentirsi offesi da ciò, Jun neanche ci dava poi così tanto peso: in fin dei conti, per lui l’importante era solo e unicamente lavorare.
    Osservò Masao mentre seguiva il Tutorial made in Jun per la preparazione del Martini, allungando la mano per prenderlo… e andando inevitabilmente a urtare, senza rendersene conto, la bottiglia di vermouth che il suo collega aveva poggiato lì a fianco. Ovviamente i tentativi di recuperarla al volo furono completamente vani, considerando che la coordinazione occhio-mano di Jun, in questi momenti di assoluto panico, era praticamente inesistente.
    Con un sonoro crash, la bottiglia si ruppe a terra, riversando il liquido sul pavimento e, in parte, sui pantaloni e le scarpe di entrambi.
    Momento di silenzio.
    “... OH NO.” Jun si mise le mani fra i capelli, con un’espressione talmente disperata che sembrava come trovarsi davanti a un cadavere (???). “Se il capo barista vede che ho rotto la bottiglia… mi fa a fettine! Cioè, già ieri mi ha guardato malissimo quando ho rischiato di farla cadere…” In fin dei conti non era una bottiglia così tanto costosa, ma… non gli piaceva fare brutta figura durante i suoi primi giorni di lavoro.
    Si avvicinò a Masao, prendendolo per le spalle e guardandolo intensamente negli occhi, con un’espressione così seria che sembrava quasi cozzare con i modi di fare che aveva assunto fino a poco fa. “Mi devi promettere una cosa, Mas– Suzuki-san,” iniziò, solenne. “Questa cosa… resti un segreto fra noi. Posso contare su di te, vero?” E la sua espressione seria si tramutò in uno sguardo da cucciolo bastonato, nel vano tentativo di fargli pena in qualche modo (?).
    “Prometto che se mantieni il segreto e mi aiuti a nascondere le prove, farò tutto quello che vuoi.” Una promessa un po’ impegnativa, ma Jun era serissimo nel pronunciare quelle parole. Preferiva di gran lunga essere in debito con Masao, piuttosto che rischiare il licenziamento – gli serviva il lavoro per restare lì in Giappone e continuare a svolgere il compito che gli aveva assegnato la signora Park. Quindi… doveva avere la complicità dell’unico testimone presente.
    Abbassò lo sguardo. “... e scusa per le scarpe.” Aggiunse, con una vocina colpevole e mortificata.
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    Ho avvertito del ritardo in pvt ;;;
     
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    Masao Suzuki
    Disperata conversazione mentaleMasao: Hey, Coscienza, ho bisogno di una seconda opinione.
    Coscienza: Sto avendo un senso di deja-vu.
    Masao: Non riesco a decifrare l'attitudine di questo tizio.
    Masao: Sta flirtando con me o cosa?
    Coscienza: O ci sta provando o vuole diventare tuo parente.
    Masao: Ah! Forse lo intende in senso metaforico, sente il bisogno di una brother figure qui in Giappone. CHIARISSIMO.
    Coscienza: DOUBT.

    Dopo qualche secondo di imbarazzato e arrossato silenzio, glissò sulla battuta di Jun voltandosi fortissimo di lato.
    Aveva sicuramente capito male. Cocktails! Doveva imparare a fare cocktails. Il suo martini venne miscelato, assaggiato e approvato dalla parte altrui, con evidente sollievo da parte di Masao. Quindi anche quel Jun, barista professionista, a volte si dimenticava gli ingredienti o li mischiava sbagliati?

    "Ah, immagino che tanto più i clienti sono ubriachi e meno si rendono conto di quel che c'è nel bicchiere." Sorrise di rimando, rassicurato da quella confessione.

    Disperata conversazione mentale, pt.2Coscienza: È chiaramente interessato.
    Masao: Ma perché dovrebbe esserlo? Pensa che io sia frocio?
    Coscienza: Masao.
    Masao: Lo so che lo sono ma di solito non lo sembro, okay? Ho sbagliato qualcosa? Ho dato qualche segn-


    CRASH.



    Okay avevano rotto una bottiglia.
    Non bene.
    Dimostrando le sue superiori abilità da shakeratore di cocktail, il barista gli piantò le mani sulle spalle, facendolo ondeggiare.
    Un uomo così grande e grosso, così disperato per qualcosa di così stupido. No Masao non sorridere, sarebbe scortese. Trattieniti.

    "Ah... Puoi dire che sono stato io," rispose con semplicità, sbattendo le palpebre. "Ho un contratto provvisorio, non so se mi terranno a lungo, e perdere questo lavoro per me non è una gran problema." Gli sarebbe dispiaciuto non poco, ma la sua situazione economica non era tragica quanto quella di Jun, che in quanto straniero doveva probabilmente avere un impiego per potersi tenere il suo visto lavorativo.

    "Cerca di stare tranquillo, okay?" Sorriso rassicurante da genitore che cerca di rassicurare un bambino. "Poi ci inventiamo qualcosa. Può sempre essere stato un cliente, dici che ti ha ripagato e aggiungiamo qualche soldo in cassa così non succede nulla." Si divincolò dalla presa dell'omone per andare a raggiungere il magazzino delle scope. "Intanto puliamo tutto. Stai attento ai vetri."
    La maniglia del magazzino non si aprì.
    La rigirò ancora con una smorfia. Si era rotta? No, la maniglia girava, era come se qualcosa stesse bloccando la porta dall'interno.

    "Uh, puoi andare a prendere una scopa da sotto? La porta sembra incastrata."

    ...Era una sua impressione o aveva appena sentito qualcuno mugolare da dietro quella porta? Ci poggiò l'orecchio contro.
    C'era decisamente qualcuno, dentro quel magazzino.

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    un, anche se non era decisamente la persona più sveglia al mondo, si rese comunque conto che i suoi non così tanto sottili flirt non avevano sortito l’effetto sperato… o meglio, aveva notato il rossore sulle guance di Masao, ma a parte quello non aveva ricevuto alcun tipo di reazione. Forse non era interessato? Che Jun avesse sbagliato e si fosse imbattuto in un ragazzo inequivocabilmente etero?
    … che peccato.
    Non era detta l’ultima, però. Poteva essere semplicemente una persona timida e riservata, che si sentiva in imbarazzo di fronte a flirt così tanto sfacciati e che non sapeva come reagire quando si ritrovava in situazioni del genere. Se fosse stato questo il caso, beh, Jun avrebbe trovato la cosa terribilmente adorabile e si sarebbe divertito a stuzzicarlo un altro po’ – cercando di non risultare troppo fastidioso, ovviamente. Non voleva metterlo troppo a disagio… e per questo prima doveva sondare un po’ il terreno.
    A interrompere il suo piano “scoprire se a Masao piace il pipo o no” fu la bottiglia di vermouth che cadde a terra e il panico che ne seguì. Jun non voleva assolutamente perdere quel lavoro, gli serviva per l’altro suo lavoro, e se perdeva il visto lì in Giappone… doveva tornare in Corea. Dalla Signora Park. Che lo avrebbe fatto a fettine.
    No, non poteva neanche contemplare uno scenario del genere.
    Ma c’era il suo angelo davanti a sé, colui che aveva il potere di salvargli la pelle e impedirgli di cadere in un abisso profondo e buio (?). Quando Masao si propose di prendere le colpe al posto di Jun, quest’ultimo rimase a guardarlo per qualche secondo con un’espressione sorpresa, quasi imbambolata, mentre lo continuava a tenere ancora bloccato con le mani sulle sue spalle. Poi, una piccola lacrimuccia di formò al lato del suo occhio, accompagnata dal cosiddetto labbruccio tremulo. “F-faresti davvero questo per me?” Mormorò, visibilmente commosso e toccato dalla generosità di quell’uomo, che conosceva neanche da mezz’ora. “Oh… nessuno aveva mai fatto tanto per me. Non so… non so come reagire! Ma per quanto il tuo sacrificio mi lusinghi, non posso permettere che sia tu a prendere le colpe.” Dopo essersi ripreso, il tono di Jun si fece serio e visibilmente preoccupato.
    “Dobbiamo innanzitutto nascondere le prove del delitto. Ho visto fare così nei film.” Si staccò da Masao, sfoggiando un sorriso più tranquillo, soddisfatto dell’aver avuto un’idea così tanto geniale come quella (???). Anche il suo partner in crime era d’accordo sul pulire tutto prima che il capo potesse cogliergli in flagrante e lo lasciò andare verso il magazzino, prima di rendersi conto che era chiuso… il che era strano, visto che quella porta in teoria non doveva essere chiusa a chiave. Jun fece una piccola smorfia confusa, affiancando Masao.
    “Aspetta, forse facendo un po’ di forza si apre. Magari qualcuno l’ha chiusa male e si è incastrata, oppure… una scopa è caduta e l’ha bloccata. Possibile?” Gli domandò in cerca di una conferma, visto che non era da lui fare supposizioni del genere – era il classico tipo che, se si fosse trovato in un thriller, avrebbe lasciato le indagini nelle mani degli altri e se ne sarebbe stato a farsi i cavoli suoi per tutto il tempo. Ma Jun non fece in tempo a provare a spingere che, proprio come Masao, sentì un suono da dietro la porta… o meglio, una voce, come se qualcuno stesse mugolando da lì dentro.
    Si gelò. Portò lentamente la testa a girarsi verso Masao, occhi sbarrati come se avesse appena visto un fantasma. “Suzuki-san…” Iniziò, con voce tremolante. “Ho visto una scena del genere in un film. E se qui dentro ci fosse un fantasma? Un mostro? Uno zombie???” Non aveva minimamente senso, ma Jun era una persona che si faceva facilmente impressionare e che era estremamente credulone – senza contare che l'essere da soli in quel momento non aiutava a rendere l’atmosfera meno horror.
    Di certo vedere questo uomo grande e grosso tremare come una fogliolina davanti alla porta di un semplice magazzino aveva un che di divertente, c’era da riconoscerlo.
    Prese un respiro profondo, cercando di recuperare il suo contegno (?). “Ma sarò il primo ad entrare… ti proteggerò io. Anche io sono disposto a sacrificarmi per te.” Era incredibilmente solenne mentre pronunciava queste parole, quasi come se si trovasse effettivamente in un film apocalittico sugli zombie, e non era chiaro se stesse solo recitando per scherzare o stesse dicendo sul serio.
    Probabilmente era la seconda.
    Con l’ennesimo sospiro, Jun caricò una potente spallata, così forte che probabilmente avrebbe rischiato di fare un buco nel bel mezzo di quella porta di legno spesso. Fortunatamente non accadde, o il danno sarebbe stato ben peggiore di una bottiglia rotta, e riuscì effettivamente ad aprirla… dopo aver sentito un gemito di dolore e un sonoro tonfo a terra. Senza accendere neanche le luci, afferrò a tentoni la prima scopa che gli capitò in mano e la puntò dritta verso il pavimento, dove vedeva una strana ombra umanoide.
    “Stai indietro, zombie! Sono armato!” Esclamò, pronto a sfoggiare tutte le sue abilità nella sacra arte del menare con un manico di scopa. Rimase qualche secondo così immobile, continuando a sentire i versi doloranti dell’individuo a terra, prima di decidersi ad accendere la luce.
    Ah. Era stato un tizio a bloccare la porta, non uno zombie.
    “Ops.” L’espressione che assunse sembrava quella di un bambino dopo aver rotto il vetro di una finestra tirando il pallone troppo forte. Jun posò delicatamente la scopa di lato, lanciando un’occhiata all’uomo ancora a terra: a giudicare dalle condizioni in cui riversava – e dalla puzza – sembrava davvero molto ubriaco.
    Si voltò verso Masao, arricciando le labbra in un broncetto dubbioso. “Che facciamo? Non sembra stare molto bene.” E forse era stato Jun, con la sua potente spallata contro la porta, a metterlo definitivamente K.O. (?)
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    Masao Suzuki
    Jun lo faceva ridere.
    Di solito era lui il buffone della situazione, ma quel ragazzotto coreano era persino più tontolone di lui, e il suo aspetto massiccio rendeva le sue carinissime reazioni ancora più comiche. Era… Una bella sensazione, essere una volta tanto il più maturo dei due. Strana, ma che scaldava il cuore.

    "Tranquillo, ho guardato tutti gli episodi del telefilm di Sherlock." Pausa. "Quello della BBC, non Elementary, una porcata americana che cercando di svecchiare la formula finisce per snaturarla totalmente," spiegò con aria saccente, il tono di chi sta ripetendo un discorso imparato a memoria. Desmond aveva strong opinions sui telefilm polizieschi e le ripeteva ogni volta che beveva un bicchiere di troppo, okay.
    "Se non vuoi che mi prenda la colpa okay, però allora dobbiamo accordarci su una versione dei fatti, così se ci interrogano separati non ci saranno contraddizioni."
    Prima però era essenziale cancellare le prove per il misfatto, e per quello era necessario aprire il magazzino delle scope. Annuì al barista: sì, era possibile che una scopa fosse caduta bloccando la porta… Anche se non gli risultava che le scope potessero mugolare.

    "Se è un mostro ti proteggerò io, ero fortissimo a picchiare gli altri bambini alle medie," dichiarò, sollevando il mento con un'aria convinta da ex bulletto che ancora ci crede. Fece pure pat pat sul braccio di Jun per rassicurarlo, sorvolando fortissimo sul fatto che il bicipite dell'ex buttafuori fosse spesso quanto la sua coscia.
    "...Che poi i fantasmi si possono picchiare? Ma se non fossero materiali non potrebbero bloccare le port-" Ah! Jun stava prendendo il portone a spallate! Cerchiamo di non pensare a quanti stipendi sarebbe costato se avesse rotto pure quello. Si accostò all'uscio, saltellando per cercare di vedere oltre le montagnesche spalle del barista. Quel tipo spiattellato al suolo non gli sembrava uno zombie. Gli sembrava solo un salaryman ubriaco marcio che, a giudicare dall'odore, aveva scambiato il magazzino delle scope per un bagno. E aveva pisciato nel secchio del mocio. Situazioni che sapeva come affrontare - nel senso che anche lui era stato spesso un salaryman ubriaco anche se però non aveva mai pisciato nei secchi del mocio.
    Almeno da che si ricordava.
    "Preparagli un caffè," rispose sicuro a Jun, passandogli sotto un braccio per infilarsi nella stanzetta. Voce seria, aria di chi sa quello che sta facendo. Modalità vigilantes attivata.

    Premette un gomito contro l'interruttore della luce e si chinò a controllare l'uomo. Respiro regolare, niente ferite...
    "E anche acqua e qualcosa di secco da mangiare, tipo crackers, per tamponare l'alcool. Hey, mi senti?" Gli sollevò piano la testa, ricevendo vaghi gorgoglii in risposta. Cosa si faceva quando una persona stava male? Provò a prendergli il battito. Poggiargli la testa sul petto. Aprirgli gli occhi e vedere se la pupilla era a posto. Doveva chiedere a Desmond di vedere più telefilm a sfondo medico. "Non è ferito. Facciamolo riprendere un attimo mentre finiamo di pulire e poi mettiamolo su un taxi." Sollevò l'ubriaco con una facilità che a Jun sarebbe potuta sembrare eccessiva, attivando il proprio Quirk senza pensarci. Lo stese su un divanetto e chiese al barista di spazzare via la bottiglia rotta, mentre lui andò a svuotare il secchio pieno di urina nel bagno…


    … Salvo poi tornare al bancone qualche minuto dopo, l'espressione di una persona che non sa se ridere, morire o mettersi a urlare.
    "Jun." Gli tirò la manica. "Non ci crederai mai ma qualche pazzo ha intasato il cesso..." Ghigno allucinato. "Con delle pannocchie."
    La sua risata isterica si sommò al russare dell'ubriaco che ancora ronfava sul divanetto.

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    apere che Masao lo stesse appoggiando in quella che era una vera e propria messinscena per evitare che nessuno dei due finisse nei guai, con tanto di citazioni importanti a serie televisive, risollevò istantaneamente il morale di Jun, che gli rivolse un ampio sorriso di intesa. Di solito, quando si trovava in queste situazioni, gli altri tendevano a prenderlo poco sul serio o a cercare di far ricadere la colpa su di lui, visto che era un ragazzo facilmente manipolabile: il suo collega, invece, non voleva che finisse nei guai… e la consapevolezza di ciò faceva provare a Jun non solo un’immensa gratitudine nei suoi confronti, ma anche un profondo senso di simpatia.
    Insomma, Masao l’aveva praticamente conquistato.
    Avrebbe provato a pensare a qualche versione dei fatti credibile per giustificare quella bottiglia rotta, se non fosse stato interrotto da tutto il caos che era seguito a quell’incidente. Di fronte a quel salaryman ubriaco a terra, intontito non solo dall’alcol ma anche dalla portata (?) che aveva ricevuto in pieno, Jun si sentiva piuttosto spaesato: non era mai stato molto bravo a soccorrere le persone, al massimo era lui a stordirle con un un bel pugno.
    Per fortuna Masao aveva preso completamente in mano la situazione, facendosi improvvisamente serio e dandogli direttive su come muoversi per soccorrere quell’uomo, quasi come se si fosse già ritrovato in situazioni del genere. Jun lo guardò con un’espressione sbigottita, occhi luminosi e sguardo di pura ammirazione: se c’era una cosa che lo colpiva particolarmente di qualcuno, era il suo saper essere leader e sicuro di sé, caratteristiche che a lui mancavano totalmente.
    Rimase dunque ad ascoltare le sue direttive in silenzio, prima di annuire velocemente. “R-roger!” Esclamò, con una pronuncia inglese abbastanza discutibile, prima di catapultarsi fuori dallo sgabuzzino… per poi tornare qualche secondo dopo, facendo sbucare la testa da dietro la porta. “Uhm. Volevo avvertirti… dicono che non sono molto bravo a fare il caffè, mi viene sempre troppo annacquato e insapore. Non so se va bene lo stesso, magari quel signore è un po’ esigente.” Rivolse un’occhiata all’uomo riverso a terra, rendendosi conto che non era nella posizione per fare lamentele sulla qualità del caffè (?), prima di storcere la bocca.
    “... Ok, meglio che non perda tempo.” E guizzò via di lì, adempiendo a tutti i compiti che gli erano stati assegnati dal suo nuovo leader (?). Preparò il caffè, l’acqua, gli stuzzichini e iniziò a dare una pulita sommaria al pavimento, ancora costellato di cocci di vetro, prima di alzare lo sguardo giusto in tempo per vedere Masao portare in braccio quel tipo, sicuramente più pesante di lui, fino a un divanetto lì vicino.
    Jun rimase letteralmente a fissarlo con un’espressione non tanto sorpresa quanto affascinata: nonostante non sembrasse così tanto forte, quel ragazzo sapeva sollevare qualcuno che era decisamente più pesante di lui? Come faceva?? Ed era in grado di prendere in braccio anche Jun???
    “Sei molto forte, Suzuki-san!” Esclamò, ad alta voce, con un sorrisetto sulle labbra. Non gli sovvenne alla mente che potesse trattarsi dell’unicità di Masao ma, anche se si fosse trattato di quello, l’attrazione che provava nei suoi confronti in quel momento non sarebbe cambiata di una virgola (?).
    Mentre il suo collega si occupava di svuotare il secchio-gabinetto, Jun continuò a raccogliere i pezzi di vetro a terra e a buttarli nel cestino, lanciando di tanto in tanto un’occhiata al salaryman poco distante di lì… per poi vedersi arrivare di fronte Masao con un’espressione indecifrabile, che lo portò ad aggrottare le sopracciglia.
    "Non ci crederai mai ma qualche pazzo ha intasato il cesso..."
    "Con delle pannocchie."

    L’espressione che gli rivolse Jun in quel momento era impossibile da descrivere: un misto di perplessità, confusione, totale smarrimento, come se improvvisamente il suo cervello fosse andato completamente in errore e si stesse lentamente riavviando. Aveva capito bene? Pannocchie?? Forse quella parola assomigliava a un’altra che non conosceva e aveva capito male lui… ma dalla risata di Masao, beh, poteva dedurre che si trattasse proprio di quello.
    “Aspetta, ho capito bene? Quelle cose lunghe fatte di mais, giusto?” Chiese per conferma, imitando anche con le mani la loro forma e arrivando a picchi di ambiguità mai visti, prima di rendersi conto che aveva capito proprio bene.
    Alla risata di Masao, si aggiunse la sua, così rumorosa che sembrava quasi superare quella dell'altro.
    “Devo vedere! Devo vedere assolutamente!! Se è uno scherzo ci rimarrò malissimo, sappilo!” Esclamò, praticamente senza fiato e con le lacrime agli occhi, prima di catapultarsi nel bagno e… rendersi conto che Masao non stesse affatto scherzando. Il gabinetto era diventato letteralmente un trono di pannocchie, un’immagine così nonsense che Jun rimase a fissarla a bocca aperta, non sapendo se ridere o urlare o scappare via di lì. Quello che sapeva era che doveva assolutamente immortalare quel capolavoro.
    Prese il telefono in mano, iniziando a fare foto su foto a quell’opera d’arte contemporanea, da qualsiasi angolazione. “Ho un sacco di domande in questo momento,” iniziò, continuando a ridacchiare come un completo idiota. “Uno, chi porta delle pannocchie dentro una discoteca?” Si voltò verso Masao, prima di rimettere il telefono in tasca.
    “Due, perché fare una cosa del genere?” Si avvicinò a lui, poggiandogli una mano sulla spalla.
    “E tre… come lo sturiamo?” Si sporse verso di lui, alzando un sopracciglio. Ecco, ilarità della situazione a parte, quello era un grosso problema. Adesso, oltre al problema della bottiglia rotta e del salaryman ubriaco, dovevano pure trovare il modo per togliere tutte quelle pannocchie da lì dentro prima che il loro capo se ne rendesse conto. La scena del crimine stava diventando… beh, sempre più caotica.
    “Ora che ci penso, dovrebbe esserci uno sturalavandini a ventosa nello sgabuzzino, mi pare. Se ci mettiamo tutti e due a tirare, visto che tu sei molto forte, possiamo farcela.” Annuì, cercando di mostrarsi a sua volta sicuro e di far vedere che in tutta quella situazione la sua presenza non era completamente inutile. “Vado a prenderlo. E… vado a prendere anche dei guanti per entrambi, altrimenti che schifo.” Aggiunse, con un’espressione schifata, prima di uscire di lì – insomma, quel bagno non era propriamente igienico.
    Sarebbe tornato poco dopo con le mani ricoperte da due enormi guanti gialli, che sorreggevano il sacro sturalavandini, in una posa solenne ed eroica, illuminato da un'intensa luce divina alle sue spalle (?). Era pronto ad affrontare anche quella sfida per conquistare il tanto ambito trono di pannocchie.
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    Masao Suzuki
    Masao Suzuki era stranamente bravo a mantenere la calma nei momenti difficili, ma quando si trattava di mantenere la serietà-

    "Pfft."

    No niente non ce la poteva fare.
    Era... Era tutta la situazione. Sapeva che lui e Jun rischiavano lo stipendio e pure il posto di lavoro, se combinavano troppi disastri, però dai boh.
    Pannocchie.
    Nel cesso.

    "So che suonerà ASSURDO, ma ho un amico ristoratore a cio è successa la stessa cosa." Tirò fuori il cellulare anche lui, avvicinandosi per fare qualche scatto ma con aria più pacata, da investigatore sulla scena del crimine. "Forse è una qualche challenge stupida da influencer?" Non gli erano apparsi simili video nel suo feed di TickTack, però lui era un boomer agli occhi dell'algoritmo. Avrebbe dovuto chiederlo ad Hana.

    "Sturarlo, mh..."

    Si aquattò per studiare la montagna di pannocch- e niente stava ridacchiando ancora.
    Profondi respiri Masao.

    "Immagino tu non abbia un Quirk a base di acido in grado di sciogliere ogni cosa - pannocchie incluse." Col suo, di Quirk, avrebbe potuto provare a caricare di energia cinetica le pannocchie, per spingerle fuori, ma... Non era molto bravo nei lavori di fino. Una mossa di troppo, e si sarebbero trovati con un cesso crivellato di colpi e proiettili-pannocchie che rimbalzavano per tutto il bagno.

    "Hihihihi."

    MASAO BASTA RIDERE.

    "Facciamo che chiedo al mio amico, tu intanto... Prendi sturalavandino e guanti, sì." Cenno del capo al ragazzone prima di portarsi il cellulare all'orecchio per un messaggio vocale.


    "Il mio amico esperto sturatore di pannocchie ci ha mandato istruzioni," annunciò quando Jun rientrò in bagno. "Numero uno! mettere qualcosa sul pavimento così non si bagna!" Declamò, cellulare in mano e indice sventolante. "Numero due! Infilare lo sturalavandini inclinato e premere un paio di volte!" Occhiata alla montagnola di pannochie che coronava il water. "Prima però togliamone il più possibili a mano." Riportò lo sguardo sullo schermo. Bastariderebasta. "Numero tre... Se la due non funziona dobbiamo usare... Uhm, che c'è scritto..." Aggrottò la fronte. in una situazione normale avrebbe chiesto a Desmond di leggere al posto suo, dicendo scherzosamente "ora ti interrogo", ma il coreano aveva accennato di essere imbranato come e peggio di lui riguardo la lingua.
    "Facciamo che ci pensiamo quando ci arriviamo," dichiarò, rimettendosi il telefono in tasca e infilandosi i guantoni gialli.

    Spoiler: gli servì anche il punto tre, più il quattro, e un punto cinque che si inventarono al momento consistente nell'insultare le pannocchie fortissimo per farle uscire più in fretta. Ma alla fine ci riuscirono, eh! Erano stanchi, senza fiato, umidicci e il pavimento era coperto di pannocchie, ma il cesso era stato liberato.
    Fu quello il momento in cui sentirono urlare.

    "Ma cosa?"

    Girò il capo verso il salone principale, ma il suo culo rimase fermamente a terra.
    Era un po' stanco, doveva dire. Stufo di quella catena di casini. Non lo pagavano abbastanza per quello - anzi, rischiava pure di essere sgridato, come se tutto quel caos fosse stato colpa sua.
    Ma al secondo urlo era già fuori da quel bagno.

    "Oh, merda."

    Cosa era successo? Era successo che il loro ubriaco si era svegliato, aveva cercato di uscire dal locale... E anziché centrare la porta d'uscita, aveva aperto quella che ti portava su per le scale e poi fino all'acquario, su una passerella che usavano per dare da mangiare i pesci e per permettere alla sirenetta di entrare in acqua.
    Anche l'ubriaco, a quanto pare, voleva fare la sirenetta - e non gli stava andando tanto bene. La passerella da cui era caduto era poco sotto il soffitto, ma l'uomo non era più lassù in cima, sulla superficie: aveva smesso di dimenarsi e stava affondando giù, sempre più giù, scendendo piano piano fino al loro livello... Ma separato da vetro spesso quanto una persona ed ettolitri d'acqua.

    "Merda."

    Strinse i pugni con amarezza, fece per scattare e... Un passo dopo si bloccò di nuovo, incerto e titubante, lo sguardo fisso sull'uomo nell'acquario.
    Perché Masao Suzuki non aveva mai imparato molto bene a nuotare.

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    Avvisato del ritardo in privatoH.
     
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    utta la situazione aveva un che di ironico e di incredibilmente assurdo al punto che Jun, ormai, non si stava più facendo domande a riguardo non che si fosse mai fatto domande in generale. Proprio come Masao, aveva un incontrollabile moto di ilarità che non riusciva proprio a frenare, alimentato anche dalle risatine del suo nuovo amico. Probabilmente avrebbe dovuto disperarsi per il caos che stava imperversando in quel locale, e che probabilmente gli avrebbe fatto perdere il lavoro, ma… tutta quella serata era così meme.
    Purtroppo Jun non possedeva un quirk in grado di risolvere quel problema senza un po’ di olio di gomito, dunque dovette ricorrere all’intramontabile sturalavandini, che poteva essere davvero l’unica soluzione a quella disastrosa serata credici.
    Tornando in bagno con quella posa eroica e assolutamente poco seria, si ritrovò a sollevare le sopracciglia dalla sorpresa quando Masao gli disse che il suo amico esperto sturatore di pannocchie aveva la soluzione. “Wow, Suzuki-san, senza di te sarei stato spacciato!” Esclamò, continuando a guardarlo con occhi luminosi e ricolmi di ammirazione. “Insomma, non è da tutti avere come amici persone con tanta esperienza in queste… cose. Una volta voglio assolutamente conoscere il tuo amico esperto sturatore di pannocchie!” Ed era serissimo riguardo questo suo desiderio. Insomma, si occupava per lavoro di queste cose? Non aveva mai conosciuto qualcuno che aveva intrapreso una carriera del genere.
    Sorvoliamo.
    Seguendo attentamente le istruzioni che gli aveva dettato Masao, Jun si impegnò al massimo per seguirle alla lettera, riuscendo infine a liberare il gabinetto e a risolvere anche quel problema – anche se in tutto ciò doveva ancora far sparire i segni della bottiglia rotta dietro al bancone. Si tolse i guanti, passandosi una mano sulla fronte leggermente sudata, prima di sorridere al suo amico. “Perfetto, ora possiamo occuparci del–” L’urlo, seguito da un suono splash, lo interruppe.
    Si voltò a guardare Masao, perplesso, prima di alzarsi in piedi al secondo urlo e seguire l’altro verso il salone principale. Nel vedersi davanti il tizio ubriaco di poco prima affondare sempre di più nella vasca che era solitamente adibita all’adorabile sirenetta del locale, Jun rimase immobile a fissarlo, andando completamente in errore. Ora, non era solo il fatto che quella serie di sfortunati eventi stava diventando così assurda da sembrare prodotto di un'allucinazione, ma… Jun non era abituato a gettarsi a salvare qualcuno per primo.
    Non possedeva un innato senso di giustizia e una propensione al sacrificio per gli altri, per questo motivo la prima cosa che fece fu voltarsi a guardare se Masao stesse correndo a soccorrerlo. A quanto sembrava, però, c’era qualcosa a fermarlo: non sapeva nuotare, per caso?
    Non c’era nessun altro lì dentro che avrebbe potuto salvarlo, a parte Jun. E fu questo pensiero, insieme al fatto che non era proprio l'ideale finire dietro le sbarre per un uomo annegato nel locale in cui lavorava, a spingerlo a muoversi. “Vado io, tranquillo!” Esclamò, mentre correva verso la passerella. In fondo, non sarebbe morto salvando quel pover’uomo: diciamo che egli aveva una certa affinità con l’acqua e sapeva nuotare piuttosto bene.
    Lanciò via giusto le scarpe, prima di gettarsi nella vasca. Da dietro il vetro, Masao avrebbe potuto vederlo nuotare sempre più a fondo, con grandi bracciate, prima di afferrare saldamente l’uomo e riemergere in superficie, usando le sue gambe per darsi una spinta verso l’alto.

    Quando Jun tornò al salone principale, teneva il salaryman sollevato sulle sue braccia a mo’ di principessa(?), completamente zuppo dalla testa ai piedi. Stese nuovamente l’uomo su un divanetto, prima di fare un profondissimo sospiro. “Sta bene, per fortuna è vivo! Appena l’ho fatto uscire dalla vasca ha tossito così tanta acqua… però ora respira.” Rassicurò Masao, mentre il tipo continuava a lamentarsi, in un evidente stato confusionale. “Forse dovremmo chiamare un dottore? L’ambulanza? Almeno non si mette più nei pasticci.” Consigliò, aggrottando leggermente le sopracciglia e riflettendo sul fatto di non ricordare il numero del pronto soccorso giapponese. Certo, sperava che chiamare qualcuno non li facesse finire nei guai, visto che stavano cercando di risolvere tutto in modo assolutamente stealth, ma… non potevano neanche stare lì a controllare quel tipo per impedirgli di fare altri casini!
    Sospirò di nuovo, prima di scuotere la testa e schizzare qualche gocciolina d’acqua intorno a sé come un cane, con l’effetto di rendere i suoi capelli di nuovo elettrici. “Per fortuna stasera fa caldo! Altrimenti rischierei un raffreddore… e poi chi si prende cura di me?” Dubitava fortemente che Anya gli facesse da infermiera.
    Anche se sarebbe stata un’immagine estremamente adorabile.
    Prese poi l’orlo della sua maglietta, strizzandolo. “Speri che dopo questa potremmo avere un po’ di pace…?” Domandò, avvicinandosi a Masao. Non si rese conto di quanto fosse effettivamente in condizioni poco consone, considerando che, con quella maglietta sollevata, aveva scoperto mezzo ventre scolpito… e che la sua maglietta – bianca, per la cronaca – aveva aderito alla perfezione al suo corpo, lasciando poco spazio all’immaginazione.
    … In realtà, forse ne era assolutamente consapevole. D’altro canto non aveva ancora interrotto il suo piano per scoprire se a Masao piace il pipo (?) o no.
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    Masao Suzuki
    Prima di invischiarsi in affaracci di vigilantes, Masao Suzuki era sempre stato un giapponese modello, personificazione di doti nazionali quali l'essere un sottone nell'animo, il non dire mai di no a parenti e autorità, e il tenersi dentro ogni cosa, non dando il minimo indizio riguardo le sue vere emozioni, opinioni e preferenze sessuali.
    Nel vedere Jun uscire da quell'acquario con il tipo in braccio, però, non potè fare a meno di fissare il coreano come un tredicenne che guarda per la prima volta la sigla di Baywatch.

    Uno, due, tre secondi di puro rincoglionimento prima di posare lo sguardo su Castiel che sanguinava stretto tra le braccia di Jun.
    No, Masao, sbatti le palpebre, è un uomo ubriaco che gocciola acqua. Ma la situazione è simile a quando hai trovato Castiel in quel vicolo, vero? Stessa agitazione e stesso senso di impotenza. Posto giusto, persona sbagliata.

    "Mettiamolo a pancia in giù così sputa tutta l'acqua," boccheggiò, accostandosi al barista e aiutandolo a poggiare l'uomo sul divanetto più vicino. Stava bene, era vivo, cosciente, ci scambiò due parole cercando di rassicurarlo.
    "Ora chiamo un'ambulanza."

    Si allontanò dai due col telefono in mano, cercando di digitare il 119, ma gli tremavano troppo le mani.
    Gli bruciava il petto per la rabbia. Si era già trovato in una simile situazione, aveva pensato "forse potrei iscrivermi a un corso di pronto soccorso," e poi cosa aveva fatto? NIENTE. Aveva tergiversato, come al suo solito, anche se in quel periodo a stento lavorava e aveva tutto il tempo libero del mondo. Bel cazzo di vigilantes che sei, Masao Suzuki. Così utile nell'aiutare gli altri. Domani vai all'ospedale e ti iscrivi a quel corso, okay?
    Ma prima chiama l'ambulanza.

    "Buonasera. Mi perdoni il disturbo, ma è un'emergenza. No, non sono io che sto male, è-"

    Fa paura, chiamare il numero per le emergenze. Sapere che la chiamata verrà registrata, dover spiegare tutto, sentirsi stupidi perché magari la situazione non è così grave e stai solo rubando tempo quando c'è gente che ha più bisogno di aiuto. Ma l'operatore gli confermò che aveva fatto bene a chiamare, e che avrebbero mandato qualcuno.
    Una volta conclusa la telefonata, tornò da Jun e si accasciò vicino a lui, schiena contro il bancone, lasciandosi andare a un lunghissimo sospiro di sollievo.

    "L'ambulanza arriva tra una decina di minuti," annunciò, sguardo fisso sul tipo sul divanetto. Era lì seduto e gocciolante, una tenda sulla schiena a mò di coperta, l'aria piuttosto rincoglionita. Non sembrava in pericolo di vita, ma... Aveva decisamente bisogno di un check-up e lui non vedeva l'ora di togliersi quella responsabilità dalle mani.
    Dieci minuti.
    Aveva così bisogno di una sigaretta.

    Si voltò verso Jun, ricordandosi di avere un'emergenza minore da risolvere.
    "...Tu hai bisogno di un cambio." decretò, squadrandolo da capo a piedi, troppo stanco dentro per poter apprezzare veramente il fanservice.
    "Immagino tu non abbia nulla qui, ed è troppo tardi per comprarti qualcosa di pulito..." Si portò una mano al mento. Anche se gli altri dipendenti avessero lasciato ricambi in magazzino, Jun era grosso e dubitava che gli sarebbero stat-
    "Ah! La sirena! Nel suo camerino dev'esserci un phon! Puoi toglierti i vestiti e asciugarli con quello!" Sorriso trionfante. "Vai ad asciugarti, che è un po' tardi per una competizione di mister barista dalla maglietta bagnata." Gli diede una pacca sulla schiena per incoraggiarlo, ma la mano poi rimase lì, premuta tra le sue scapole, il cervellino di Masao distratto da una realizzazione improvvisa:

    "...Però dovremmo proporla al capo come iniziativa in estate, porteresti molta clientela." Una pausa. "Magari così non ci licenzia."

    Perché ancora dovevano capire come spiegare tutto quell'orrendo casino.

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    era una differenza abissale fra Jun e Masao in quel preciso istante: mentre il giapponese sembrava essere del più completo panico, dando istruzioni per poter soccorrere l’uomo e chiamando l’ambulanza, il coreano era perfettamente calmo. Anzi, più che calmo sembrava essere piuttosto disorientato, come se non sapesse in che modo comportarsi di fronte a quella situazione così problematica.
    Non sentiva il senso di angoscia che attanagliava l’altro, né nutriva particolare apprensione per l’uomo che aveva appena salvato e che, a essere schietti, neanche conosceva. Lo aveva salvato per non finire nei guai e perché, beh, non era piacevole assistere a un annegamento. Sembrava quasi provare totale indifferenza.
    Ma questo non sarebbe palesato così tanto, dando invece l’impressione di essere più che altro troppo sbigottito per reagire. Lasciò a Masao il compito di parlare con chi si sarebbe occupato del salaryman, ascoltando la telefonata appoggiato al bancone, mentre continuava a strizzare la maglietta.
    Poco dopo vide tornare Masao, che gli annunciò l’arrivo dell’ambulanza. “Oh! Pensavo peggio, tipo che ci avrebbero messo una mezz’ora…” Lui guardava il bicchiere mezzo pieno, in sostanza. “Dovremmo tenerlo d’occhio prima che arrivino, almeno non combina altri guai. Capito, signore? Stia buono lì, ok?” Alzò il tono della voce, per farsi sentire dall’uomo, anche se era talmente tanto rimbambito che probabilmente non lo aveva neanche ascoltato davvero. Pazienza.
    All’affermazione di Masao sul prendere freddo, Jun sollevò un sopracciglio, prima di passarsi una mano fra i capelli e tirarli indietro dalla fronte. “Ah già, in effetti… anche se devo dire che non sto gelando di freddo. Ma fuori potrei ammalarmi ed è meglio evitare.” Come già detto nel post precedente, nel caso in cui si fosse preso la febbre, non ci sarebbe stato nessuno a prendersi cura di lui. In quelle occasioni gli mancava sua madre, così dolce, così premurosa…
    Al pensiero sospirò in maniera quasi melodrammatica, prima di rivolgersi di nuovo a Masao. “E sì, credo che ruberò il phon della nostra sirenetta. Spero che a Marlya non dia fastidio che entro nel suo spazio privato, ma se dovesse scoprirlo troverò il modo di farmi perdonare.” E accompagnò il tutto con un sorrisetto, che lasciava perfettamente intendere come si sarebbe fatto perdonare. In fin dei conti, Jun era sempre stato un ragazzo estremamente sfacciato, come aveva avuto modo di appurare anche il suo collega.
    “Aspetto che arrivi l’ambulanza e vado. E per quanto riguarda la serata maglietta bagnata…” Voltò la testa verso Masao, con i gomiti appoggiati al bancone e quel suo solito ghignetto malizioso a inarcargli le labbra. “Credo che sia un'ottima idea.” E coronò tutto con un occhiolino.
    Perché Jun non si vergognava a farsi vedere in quel modo, ovvio.

    Quando giunse l’ambulanza, i due dovettero dare una spiegazione agli infermieri presenti, raccontando i fatti – senza scendere eccessivamente nei dettagli – e lasciando l’uomo nelle loro mani. Riuscirono ad identificarlo grazie ai documenti di riconoscimento, ormai zuppi, in modo da poter contattare la sua famiglia. Lo caricarono sull’ambulanza e, almeno per quella sera, i due si erano tolti di dosso la responsabilità di occuparsi di quell’uomo.
    Jun, dopo aver finalmente raccolto la bottiglia rotta, origine di tutto quel caos, si diresse finalmente all’interno del camerino della sirenetta. Non c’erano troppi oggetti, a parte trucchi, vestiti di scena e altre cose che sicuramente non sarebbero entrate a Jun, quindi si limitò semplicemente a togliersi i vestiti bagnati e a poggiarli su qualsiasi superficie disponibile. Poi, dopo averlo fatto, iniziò la ricerca del fantomatico phon che l’avrebbe salvato dal raffreddore… e che non sembrava individuare in mezzo agli accessori di Marlya.
    Aprì cassetti, l’armadio, ma… non gli sembrava di vederlo da nessuna parte. Che strano.
    “Suzuki-san! Non trovo il phon, mi daresti una mano a cercarlo?” Urlò, affacciandosi dal camerino, nella speranza che Masao lo sentisse e arrivasse in suo soccorso. Se fosse entrato nella stanza dove si trovava Jun, lo avrebbe trovato intento a frugare in un cassetto, con un’espressione un po’ imbronciata.
    Nudo.
    … No, non è vero. Aveva almeno messo un asciugamano legato alla vita – di colore rosa, per giunta – quindi era solo in parte nudo. Sarebbe stato più intelligente cercare prima il phon e poi togliersi i vestiti ma, come ben sappiamo, Jun peccava di questa importante qualità (?).
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    Secondo il suo telefono erano appena le quattro del mattino, ma a lui sembrava di aver passato un milione di anni in quella stanza, vibrando letteralmente sul posto, vagando avanti e indietro come un animale in gabbia. Gli faceva così ansia, l'idea di star aspettando un'ambulanza, perché... Boh, sembrava tutto così ufficiale e importante, una scena da film girata senza preparazione e senza un copione. Quando arrivarono i soccorsi, però, furono tutti molto gentili. Dei medici chiesero a lui e Jun di raccontare cosa era successo, mentre un altro signore accompagnava il tipo ubriaco nell'ambulanza, e... E a metà discorso realizzò che il tipo che stava portando il paziente dentro non era un dottore. Aveva una divisa diversa, e dopo aver aiutato e salutato si era rimesso alla guida del veicolo.

    Uh. Non aveva mai realizzato che... Che non serve sempre una laurea in medicina per fare questo tipo di lavori. Serve un autista che manovri l'ambulanza, e persone come la voce gentile che gli aveva risposto al telefono dicendogli di stare calmo.
    Mestieri che poteva fare anche lui, forse. Era ormai un po' al limite con l'età per candidarsi come pompiere, aveva controllato, ma forse per guidare un'ambulanza non serve fare prove fisiche e-

    "Suzuki-san! Non trovo il phon, mi daresti una mano a cercarlo?"

    "Arrivo, un attimo!" urlò, riprendendosi dai propri pensieri. Dopo la partenza dei medici Jun era andato ad asciugarsi, mentre lui era tornato a pulire il ripostiglio che ancora puzzava di urina. Finì in fretta di passare il mocio, lo buttò nel secchio e andò nel camerino, trovandosi davanti un Jun mezzo nudo.

    "Ah."

    Strabuzzò gli occhi, sorpreso&confuso da quella visione. Gran bel fisico, quello non lo poteva negare. Cioè il suo tipo erano uomini più anziani di lui e con l'aria da professore, ma i muscoli non gli dispiacevano affatto, anzi. (Gli uomini troppo femminili invece gli provocavano solo brutti flashback, motivo per cui con Shion non aveva mai combinato un granché).

    "Così sì che prendi freddo però, copriti con qualcosa."

    ...Solo che Jun era un collega, stavano ancora lavorando e lui era un uomo esausto, nervoso e abituato a nascondere ciò che provava, motivo per cui si girò con nonchalance e si mise a cercare l'asciugacapelli senza dedicare al bel fusto troppe attenzioni.
    Se fosse stato meno stanco, forse, avrebbe realizzato che una persona che ti chiama in una stanza per poi farsi trovare casualmente seminuda non lo fa per caso, ma perché ha un film nella testa (uno di quelli un po' zozzi) e lo vorrebbe recitare con te. Ma in quel momento lui voleva solo andare a casa.

    "Dove può essere..."

    La sirenetta usava spesso il phon, quindi doveva essere in un posto facilmente raggiungibile, no? Tipo nel mobile con lo specchio. Girò il pomello, solo che l'anta non voleva saperne di aprirsi. Era incastrata, forse? Girò e rigirò la maniglia, agitandola un po', e...

    ...Il pomello gli rimase in mano.

    "Ah."

    Con tutta la calma del mondo, si rialzò in piedi.
    Poggiò il pomello sul tavolo.
    Si rimise a terra.
    Si stese di lato.
    Si strinse le gambe in posizione fetale, e chiuse gli occhi.

    Un uomo distrutto.

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