Twisted Wonderland

AM per .Dim, Farnia_Play, Lostien & Dëlin

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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.

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    TWISTED WONDERLAND
    Era il due maggio, sera inoltrata, la lancetta delle ore si stava pigramente avviando verso le ore più tarde della giornata. Nelle suite e nelle stanze dell'hotel annesso all'Eclipse Casinò le persone squittivano in subbuglio, indossando il loro miglior abito o adornandosi con il loro miglior profumo, come in attesa di qualcosa. Ed effettivamente lo erano, molti di loro provenivano da fuori la terra del Sol Levante; altri erano parte di facoltose famiglie giapponesi; tutti accomunati, però, dalla stessa voglia di mostrare il loro potere, sperperando i loro soldi, chi in ricordo di un vecchio e ricco defunto, chi in onore di... altro potere. Due aste incrociate stavano per aver luogo all'interno di quello che era un vero e proprio paese delle meraviglie per il gioco d'azzardo, ai piani più alti del grattacielo: una - invero - era già cominciata e fra non molto sarebbe anche finita, l'altra - di cui non tutti erano a conoscenza - avrebbe avuto luogo subito dopo, ma i suoi ospiti sarebbero stati... un po' più particolari. Forse, nient'altro che gli abitanti, del paese delle meraviglie. Eppure, qualcosa si era appena rotto, come un piccolo ingranaggio, ma che in un orologio che doveva essere impeccabile al minuto, era una grande perdita.

    Lo sapeva bene Aogiri, e lo sapeva bene chi dell'asta era responsabile: per quanto si vociferasse della crudeltà dell'organizzazione, non c'era modo che facessero lavorare un'impiegato con la gamba rotta, e per un'imprevista caduta dalle scale avevano perso uno dei camerieri e pezzi portanti che avrebbero aiutato a gestire l'asta. Il tempo per trovare un sostituto formato e specializzato come era quell'uomo, da poter intrecciare nelle radici che Aogiri non mostrava alla luce del sole non c'era stato e avevano dovuto ripiegare su una recluta qualsiasi, ringraziando la prontezza di Teardrop che, seppur sempre invisibile e silenziosa, aveva trovato loro una soluzione nel tempo di uno schiocco di dita. Forse si sarebbe guadagnata una promozione per quello, vista l'importanza della situazione.

    Erano le ventuno e trentaquattro minuti quando ad Hayato, semplice recluta dell'organizzazione, che era stato per molto sotto il comando della donna stessa, era arrivato un semplice messaggio sul proprio cellulare, con l'ordine di recarsi il prima possibile al casinò, la base dell'organizzazione, qualunque cosa stesse facendo perché era una questione d'estrema importanza. Il messaggio non diceva altro, se non di presentarsi alla reception e dire il proprio nome: lo avrebbero lasciato passare, anzi, se lo avesse chiesto, qualcuno lo avrebbe addirittura scortato per fargli raggiungere la camera 37 all'ottavo piano del grattacielo, luogo che sembrava dover raggiungere. Volendo avrebbe potuto usare l'ascensore, bastava annunciarsi alla porta della camera bussando. Un piccolo post scriptum diceva solo che ai capi non piaceva aspettare.

    ---

    Kabukichō, Devil's Den. Diverse settimane prima.

    «Kaito.» una voce roca ed un po' rovinata dal fumo appellò un uomo sulla quarantina che, seduto al bancone del pub, fumava una sigaretta. L'uomo aveva indosso un completo nero con una camicia bianca. «Uno dei miei uomini ha detto che Yamamoto ha--.» L'uomo interpellato non disse nulla, ma fece scivolare una busta nera sul bancone, con una mano adorna di anelli. Gesto che interruppe a metà la frase che il suo compagno stava pronunciando, solo per fargli cambiare tono di voce: da preoccupato a deciso. Il barista li stava ignorando. «Manderanno qualcuno di sicuro.» disse, a quel punto.
    L'uomo chiamato Kaito scosse la testa. «Non possiamo permetterci le somme di Aogiri.» L'altro uomo si agitò appena, come spaventato. «Oh, andiamo.» disse. «Quella roba delle taglie sta pure rendendo bene. Possiamo. E non voglio ritrovarmi delle strane chimere sotto casa. Sono quirkless quanto te.» «Chimere?» La voce di Kaito tradì l'ombra di un dubbio e l'uomo annuì. «Vendono animali.» «Mutants?» «Anche, ma per quello proprio non abbiamo i soldi. Intendevo animali Kaito non sembrò chiedersi come l'uomo fosse a conoscenza di ciò che aveva appena detto: in fin dei conti, anche il clan Fujiwara aveva i suoi modi per entrare in possesso delle informazioni. Ci fu qualche attimo di silenzio. «Va bene, trovami qualcuno.»

    Così, qualche giorno dopo, in svariati locali nei dintorni di Kabukicho avevano iniziato a girare delle voci. Era quasi di dominio comune che molti di essi fossero in mano alla Yakuza. Raoh, forse, alcuni li frequentava abitualmente e se, per caso, avesse prestato attenzione a quelle voci, oltre che alle donne che erano solite girare nei paraggi, avrebbe potuto udire qualcosa di... interessante. Insoddisfatto della mediocrità della sua vita, aveva recentemente realizzato di aver voglia di infrangere le pareti della sua quotidianità. Quale miglior modo se non quello di regalare un po' del suo tempo a quelle voci, che a forza di chiedere a destra e a sinistra sembravano farsi sempre più fondate? Se Raoh avesse davvero deciso di chiedere in giro - bastava un po' d'occhio nel riconoscere gli uomini in camicia e cravatta che potevano darti le informazioni giuste - sarebbe giunto faccia a faccia con il proprietario della busta nera, che per lui avrebbe avuto un incarico molto semplice: presenziare e partecipare a nome del clan Fujiwara ad un'asta che si sarebbe tenuta da lì a qualche settimana in un casinò di Shibuya, l'Eclipse. Oltre a quello, più che comprare lui stesso qualcosa, avrebbe dovuto cercare d'intercettare gli acquisti di un certo Yamamoto, o chi per lui avrebbe presenziato all'asta: il che significava prima di tutto tenere gli occhi aperti sul luogo di "lavoro" e capire con chi stava avendo a che fare.

    Allo stesso tempo, a svariati isolati di distanza, nei pressi di Roppongi, era successa più o meno la stessa cosa, ma in luoghi quasi diametralmente opposti. Locali un po' meno allo sbando di quelli della zona a luci rosse, piccole discoteche, bar e nightclub nei pressi della Mori Tower, locali che a Morrigan piaceva frequentare. Lei forse sarebbe stata un po' più facile da convincere di Raoh, visto e considerato che la Yakuza non si incontra proprio tutti i giorni: era una cosa nuova. Un tale Yamamoto, così sì faceva chiamare nel giro, sembrava star cercando qualcuno, una ragazza per essere precisione, possibilmente giovane e carina, perché gli serviva qualcuno di difficilmente ricollegabile a lui, ma che - al tempo stesso - non lo facesse sfigurare. Morrigan avrebbe tranquillamente potuto ignorare quelle voci di corridoio, ma la prospettiva di incontrare un vero membro della Yakuza era un'occasione abbastanza unica, soprattutto per chi ritiene la propria vita monotona e noiosa: prendere o lasciare. Un bivio, ma se avesse deciso d'informarsi e di proseguire sulla strada giusta, alla fine del sentiero e nei giorni a venire, si sarebbe davvero trovata di fronte a questo tanto decantato Yamamoto. Un uomo che doveva avere all'incirca trentacinque anni, elegante e composto, capelli brizzolati, neri, ed un filo di barba accuratamente rasata. Quest'ultimo avrebbe probabilmente deciso che Morrigan rispettava i suoi standard senza batter ciglio, perché aveva l'aria di uno che di donne ne aveva viste parecchie, ed avrebbe allungato alla giovane una busta identica a quella di Raoh: nera, impregnata di uno strano profumo di camelia ed un foglio rosso all'interno. Anche i compiti di Morrigan sarebbero stati semplici, presenziare all'asta in suo nome e fare di tutto per accaparrarsi gli articoli numero 11 e 24, senza badare a spese, e tenere un occhio sull'ultimo e chi lo avrebbe comprato. Avrebbe pagato lui, ad acquisto concluso. Per qualsiasi problema si sarebbero potuti tenere in contatto telefonico.

    Per Ryo, le cose erano andate un po' diversamente: ormai l'unico proprio contatto che il ragazzo aveva con il mondo dell'underworld era ETERNIUM. Ed anche lì, la situazione era un po' nebulosa. In fin dei conti quel nome non era mai saltato fuori sui giornali e pubblicamente l'unico ad usarlo oltre Yami era stato Yuya durante gli avvenimenti alla cattedrale. A conti fatti sembravano niente di più che un gruppo di ragazzi senza famiglia e con il passato a brandelli che avevano trovato lì un posto a cui appartenere.
    Nessuno sembrava essersene mai lamentato tuttavia, anche se... dopo la vicenda del sagrestano Homura, Yuya sembrava essersi distanziato un pochino dalla loro linea di pensiero e dal gruppo in generale. Magari era solo un'impressione, perché la maggior parte delle volte era quello di sempre, solo ogni tanto sembrava un po' assente e che facesse le cose, così, tanto per fare. In fin dei conti non era niente di grave, o quasi, perché ogni tanto se ne usciva con qualche cazzata ed allora iniziavano i problemi. Quella volta era successa più o meno la stessa cosa: Ryo stava tentando di far affinare le proprie skill culinarie a Yami, mentre Yuya aveva appena sconfitto Daisuke a Rocket League per l'ennesima volta. E c'era da dire che Yuya nemmeno era particolarmente bravo ai videogiochi, quindi Daisuke doveva fare proprio schifo: forse, il vivere tre anni in Africa non aveva aiutato. In ogni caso, ad un certo punto gli era squillato il cellulare e si era dovuto alzare mollando la partita (e subito Daisuke se la era segnata come una vittoria a tavolino) per rispondere. Sembrava una giornata tranquilla, almeno fino a quando Yuya non era tornato dall'altra stanza ed aveva esordito, con la sua solita tranquillità, di aver fatto una cazzata. Qualche giorno prima, mentre bazzicava nella parte oscura dell'internet (aveva imparato a farlo da poco e si era gasato) si era imbattuto in una strana richiesta da parte di un certo "PL", siccome era una richiesta remunerata e quando c'erano di mezzo i soldi Yuya smetteva di rispondere delle proprie azioni, aveva accettato senza pensarci due volte. E adesso si era ritrovato invischiato in una cosa più grande di lui: a quanto pareva, da lì a poche settimane si sarebbe tenuta un'asta dove la merce sarebbe stata tutto fuorché... legale, ed a muoverne le fila - gli aveva appena detto quel PL al telefono - sarebbe stata niente di meno che l'organizzazione denominata Aogiri. Yuya, che all'inizio era stato un po' esaltato, aveva come sentito l'urgenza di tirarsi indietro seduta stante: non per niente, ma ancora doveva riprendersi dagli eventi del sagrestano. E poi lui e Yami avevano altri piani per la Golden Week. Però era anche vero che non voleva lasciare quel poveraccio a cui aveva accettato il lavoro senza il suo tramite, dato che gli aveva chiesto di recuperare qualcosa di "molto molto importante" fra gli articoli dell'asta (a dire il vero, gli aveva fatto un po' pena, dalla voce), e quindi doveva per forza rigirare l'incarico ad uno dei suoi compagni. Yami era fuori discussione, impegnata; Daisuke pure, per lo stesso motivo del sagrestano; e ciò lasciava fuori solo Ryo, anche se, a quanto ricordava, il ragazzo non aveva esattamente dei bei ricordi collegati al nome di Aogiri. C'era una certa ironia di fondo nel tutto, considerando che Ryo ci sarebbe andato per conto di Yuya che a sua volta ci sarebbe dovuto andare per conto di qualcun altro. Yuya non gli avrebbe permesso di rifiutare in ogni caso, qualche giorno dopo gli avrebbe rigirato la lettera nera con le istruzioni che qualcuno aveva gentilmente fatto recapitare al suo indirizzo e gli aveva detto che poteva persino tenersi i soldi. Sulle istruzioni vi era scritto di cercare di recuperare gli articoli 14 e 32, perché erano di un valore estremamente significativo per lui, e poi c'erano le due stesse lettere che Yuya aveva menzionato come firma.

    Il resto, per tutti e tre i giovani, era scritto in caratteri dorati sulla carta rossa dell'invito che avevano ricevuto: presentarsi all'ingresso del casinò, mostrare l'invito e annunciare per chi presenziavano. Era richiesto un abbigliamento formale ed elegante, l'orario indicativo era intorno alle ventitré.



    CITAZIONE
    Hello e benvenuti nell'AM, piccole stelle!
    Come già detto nel post ognuno di voi ha avuto un contatto ed è venuto a conoscenza dell'asta. Liberi di definire con precisione come ed aggiungere tutti i dettagli che volete. Ovviamente sta a loro scegliere se accettare il lavoro di presenziare o meno, ma è il caso che lo dica, ovviamente se rifiutare l'AM per voi finisce al primo post e ci vediamo alla prossima. Non me la prenderò con voi tranquilli (forse)! Per Hayato il discorso è diverso, sempre di lavoro si tratta, ma è un lavoro ufficiale per Aogiri *voce meccanica* ci aspettiamo una performance impeccabile *fine voce meccanica*
    Bene, da parte mia è tutto. Per ragioni di organizzazione avrei piacere che Dim con Hayato postasse per primo, ma qualora impegni o altro lo impedissero siete liberi di accordarvi come preferite. Ovviamente ricordate che manterremo questo ordine fino alla fine dell'AM.
    Sotto il codice vi ho lasciato delle immagini di riferimento, in ogni caso dovreste fermarvi all'incirca nei pressi della reception, ed Hayato dopo aver bussato alla porta della stanza! Buon divertimento!
    contattiwww
     
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    Quella era una delle poche serate in cui Hayato non aveva granché da fare.
    Quando non lavorava come barman, il biondino si dedicava alle sue attività illegali legate ad Aogiri: era faticoso riuscire a svolgere entrambe le mansioni, soprattutto perché spesso capitava che ne portava a termine una per poi iniziare un'altra che avrebbe continuato fino a notte fonda o addirittura fino alla mattina successiva.
    Ed era proprio quello il motivo che il giovane faticava a credere che, circa una volta al mese, riusciva ad ottenere del tempo per sé, libero per una sera da qualsiasi forma di impiego. Che cosa faceva Hayato, quindi, quando aveva la serata libera? Cucinava a casa sua, ovviamente.
    O meglio, ci provava.
    «Cazzo, Ono! Stai intossicando tutto il vicinato, te ne rendi conto oppure no!?»
    Le urla starnazzanti della signora Fukuda risuonavano per tutto il vicolo su cui affacciava la cucina Hayato, insieme alle lamentele - leggermente più contenute - di altri condomini.
    «Spegni subito tutto prima che chiami i vigili del fuoco!»
    Strillò, ancora, finché poi il ragazzo non si affacciò, ma solo dopo aver cercato invano di sopperire a tutto il fumo che si era sollevato in cucina e che era inevitabilmente fuoriuscito all'esterno attraverso le finestre, scatenando l'ira del vicinato.
    «Buonasera anche a lei, signora Fukuda~»
    La salutò con calma, agitando uno straccio a destra e sinistra, come per farsi notare meglio. In volto, come al solito, il suo sorriso gentile, quella volta leggermente imbarazzato. La signora Fukuda viveva nel palazzo di fronte al suo e, considerando che questi fossero molto vicini, era inevitabile che la donna scatenasse tutto il proprio impeto quando Hayato combinava qualche guaio in cucina.
    «Mi dispiace, non era affatto mia intenzione provocare un disagio simile, credevo di essere in grado di svolgere questa ricetta, ecco.»
    Disse, utilizzando la mano libera dallo straccio per grattarsi delicatamente la nuca, evidentemente a disagio.
    «Vuoi capirlo oppure no che la cucina non fa per te? Perché non ti dedichi ad altre attività? Per esempio, potresti andare a fanculo e trasferirti da un'altra parte!?»
    Schiamazzò lei, ancora più furiosa, mentre alle spalle di Hayato quella coltre scura e densa di fumo fuoriusciva continuamente, portandosi sempre di più verso l'appartamento della vicina.
    «Prenderò sicuramente in considerazione il suo consiglio, signora Fukuda, però adesso devo proprio entrare, spero possa perdonarmi.»
    Rispose Hayato, rilassato e imperturbabile, sollevando gli angoli della bocca in un sorriso dolce.
    «Se riesco a portare a termine questa pietanza, giuro che gliene porterò un piatto non appena sarà possibile!»
    «Ma vaff---»
    La signora Fukuda non finì in tempo la frase che aveva già richiuso la finestra, per evitare che il proprio appartamento venisse investito da altro fumo.
    Allo stesso modo, la giovane recluta di Aogiri rientrò in casa, sventolando lo straccio e spalancando tutte le finestre della casa, dannandosi del non poter manipolare particelle così piccole come quelle che componevano quella nube.
    Qual era stato il fattore scatenante? Lo Yakiniku. Dopo il disastroso tentativo della ricetta italiana delle lasagne, Hayato aveva decido di dedicarsi a qualcosa di più giapponese e alla fine aveva optato per la carne alla griglia. Credeva di poter contenere il fumo che ne sarebbe scaturito e di poter dosare bene le fiamme ma, tanto per cambiare, si era sbagliato: forse la signora Fukuda non aveva tutti i torti, cucinare non faceva propriamente per lui.
    Dopo aver raccolto dalla griglia i pezzi di carne salvabili, Hayato si sarebbe seduto a tavola e avrebbe iniziato a mangiare la carne mezza carbonizzata. L'avrebbe addentata con cautela, chiedendosi per un attimo quali malattie gli sarebbero potute venire ingerendo quella roba.
    Proprio in quel momento, il cellulare di Hayato - che era posato accanto al piatto - vibrò, cosicché sul display apparve la notifica relativa ad un messaggio.

    CITAZIONE
    Recati immediatamente al Casinò, qualsiasi cosa tu stia facendo.
    Presentati alla reception e fai il tuo nome.
    PS. Ai capi non piace aspettare.

    Hayato scrutò il messaggio per diversi istanti, aggrottando le sopracciglia, prima di alzarsi.
    Rimase immobile, pensando a che cosa potessero volere i propri superiori per richiamarlo al Casinò così urgentemente.
    Aveva sbagliato a fare qualcosa? Era nei guai? Eppure gli sembrava di esser stato abbastanza scaltro da tessere una rete di contatti presso cui spacciare senza farsi mai notare... che si fosse sopravvalutato? Hayato apparteneva al braccio dell'Organizzazione che faceva il lavoro sporco, per cui non si trovava spesso al Casinò e di conseguenza non riusciva ad immaginare la ragione del messaggio. Per quanto ne sapesse, il quadro poteva anche essere ribaltato e magari volevano promuoverlo ad un grado più alto.
    In ogni caso, stare lì a rimuginare su quella questione non lo avrebbe portato a nulla: gli era stato ordinato di recarsi al Casinò e così avrebbe fatto.
    Si diresse in bagno per una sciacquata velocissima, si vestì di abiti eleganti, in un aderente completo con giacca, pantalone, scarpe e cravatta in colore prettamente nero, lasciando di bianco soltanto la camicia (stava pur sempre andando al Casinò, insomma). Si sistemò poi i capelli il più velocemente possibile, lisciando la chioma biondina per mostrarsi quanto più in ordine possibile. Sistemò alcuni dei propri effetti personali (tra cui maschera e shuriken) all'interno di una valigetta, giusto per precauzione, per poi abbandonare definitivamente l'appartamento.

    ***


    Hayato si fece lasciare da un taxi davanti all'imponente struttura del Casinò che si ergeva in tutta la sua modernità e in tutto il suo lusso: sarebbe stato impossibile non notare il grattacielo, né tantomeno il curatissimo cortile che dominava dinanzi ad esso.
    Il biondino abbandonò l'automobile e restò a guardare l'edificio per uno o due secondi, prima di tirare un profondo sospiro ed incamminarsi in direzione della Hall.
    Era una sensazione strana, solitamente Hayato era abituato ad essere quanto più calmo e rilassato possibile, eppure inevitabilmente quella situazione gli generava uno stato d'ansia misto ad adrenalina. Non aveva paura, ma era quanto più curioso.
    Quella sera, il Casinò era particolarmente affollato.
    L'enorme e sfarzosa Hall era costellata da persone evidentemente ricche, vestite con abiti di alta moda e che interloquivano fra loro in maniera aggraziata. Non che fossero circostanze rare, al Casinò, dove personalità di quel tipo erano solite recarsi. Per fortuna che Hayato aveva pensato di vestirsi decentemente, altrimenti avrebbe di sicuro sfigurato.
    Dichiarò alla reception il proprio nome, cosicché venne indirizzato a recarsi all'ottavo piano della struttura. Decise di non richiedere una scorta, non rientrava tra le proprie corde e la situazione gli sembrava abbastanza tranquilla.
    Il tempo in ascensore parve molto più lungo di quello che fosse effettivamente, dato che Hayato tornò per un attimo a fiondarsi nei propri pensieri, finché poi il tintinnio relativo al fatto che avesse raggiunto il piano non lo estrapolò forzatamente fuori da quelle congetture.
    Si incamminò nel corridoio adocchiando i numeri posti al di fuori di ogni porta, finché non si ritrovò davanti alla camera 37.
    Si schiarì la gola e si bagnò le labbra con la lingua, prima di bussare.
    «È permesso? Sono Hayato Ono.»
    Proferì in tono deciso, in netta contrapposizione con quello simpatico che era solito adottare.


    Hayato Ono
    LV. 3
    Energia: 175
    Forza: 70
    Quirk: 71
    Agilità: 9

    Danni: //
    Tecniche utilizzate: //
    Equipaggiamento:
    ► Maschera antipolvere [Difensivo]. Filtra l'aria e la purifica da qualsiasi genere di scorie [Annulla danni lievi provenienti da Gas Soporiferi/Velenosi] [Filtri: 2, Durata: [1/3] Role]
    ► Shuriken [Offensivo]; Danno: Medio; Durata: [1 role, se usato].
     
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    Ryo Tatsuki

    NARRATO x PARLATO x PENSATO


    Quando Yuya era tornato nella grande sala della casa di ETERNIUM, Ryo aveva già un cattivo presentimento quando aveva detto di aver fatto una cazzata. Già che fosse stato proprio lui a dirlo lo preoccupava, visto che per il giovane cassiere il ragazzo con la coda da diavolo era il secondo membro più affidabile di quella loro piccola organizzazione. Al primo posto c'era ovviamente Yami, il vero capo del gruppo che comandava loro un po' cosa fare. Era effettivamente difficile definirli come qualcosa di influente per ora, visto che avevano partecipato a ben pochi eventi che riguardassero la giustizia sociale di Tokyo. Certo, quando il gruppo non era ancora ufficiale avevano impedito ad una bomba di esplodere nel bel mezzo della città, però a parte quello solo la faccenda del sagrestano poteva renderli in qualche modo importanti in quel grande specchio d'acqua che era la loro vita di tutti i giorni. Ryo aveva saputo che Daisuke era stato mandato a risolvere una certa faccenda proprio lì e Yuya lo aveva seguito, ma non aveva chiesto troppi dettagli alla svedese. Non voleva risultare sconveniente e non gli sarebbe piaciuto farla parlare quando non voleva, considerato che era una delle poche persone di cui gli importava l'opinione. Allo stesso modo aveva evitato di chiedere troppo ai due ragazzi, sarebbe stato decisamente doloroso e poco carino da parte sua. Come già detto inoltre, si era un po' staccato da quella vita che prima era parte integrante della sua giornata e dei suoi impegni. Aveva cercato di costruire qualcosa con i propri pezzi portati via così di fretta da casa sua, lasciando andare mano a mano via i pesi che si portava dietro. Come si era detto la sera di Natale, non aveva senso ripensare al passato perché in quel momento era felice di quello che aveva costruito a fatica in quegli anni.
    Aveva adottato una maschera che gli si era fusa sulla pelle scura, quella di cassiere in un'innocente pasticceria a cui si era persino affezionato, ma che ultimamente lo faceva sentire sempre più male. Aveva avuto qualche problema coi parenti del suo datore di lavoro ma...nulla di cui avesse colpa, si ripeteva. Stava sinceramente considerando l'idea di licenziarsi e cercare fortuna in altri luoghi più tranquilli e che forse avrebbero apprezzato la sua volontà di rendersi utile. Se qualcuno gli avesse detto che il futuro sé stesso si sarebbe sentito in colpa a lasciare il suo lavoro in una pasticceria di quartiere, avrebbe riso di gusto (e probabilmente lo avrebbe attaccato come un gatto). Non voleva definirsi noioso, ma stava diventando probabilmente la persona più normale all'interno di quella casa così accogliente. Riprendendo la narrazione del presente però, quando appunto Yuya dichiarò solennemente di aver combinato una cazzata lui stava cercando di insegnare a Yami a cucinare qualcosa. Ryo aveva imparato per semplice spirito di sopravvivenza e per il disgusto che ormai provava a mangiare cibi preconfezionati e precotti tutti i giorni. Di soldi per ordinare online non ne aveva ai tempi e quindi fu quasi affascinato dal poter risparmiare soldi e mangiare comunque bene. Non si poteva definire bravo ma aveva preso l'abitudine di cucinare per sé tutti i giorni ed ogni tanto per gli altri membri di ETERNIUM. Aveva smesso di impartire lezioni su come tagliare i funghi ed aveva preso un telo per pulirsi le mani ed ascoltare ciò che aveva da dire Yuya e capire perché questo riguardasse tutti. Ryo si aspettava che fosse successo qualcosa di grave dopo le questioni del sagrestano, proprio perché appunto non sapeva molto e poteva trattarsi di qualsiasi cosa. Non si sarebbe mai sognato di sentire nuovamente quel nome, Aogiri, proprio dentro quella stanza. Aveva alzato il sopracciglio stupito, prima di sentire tutta la spiegazione su quella faccenda. Un'asta, un tizio che si chiamava PL e due articoli da ritirare. L'albino aveva ascoltato con attenzione e già si immaginava i discorsi eroici dei suoi compagni che si sarebbero sacrificati per Yuya pur di lasciarlo libero da ulteriori sofferenze. Sembrava però più che altro una chat di un progetto di gruppo alle superiori dove ognuno si tirava fuori per i propri piani già organizzati. Pensava quindi che avrebbero lasciato perdere, visto che si trattava di qualcosa di pericoloso e per cui non valeva la pena rischiare. C'era da dire che Ryo aveva sottovalutato enormemente quanto il ragazzo fosse attaccato al denaro ed era vero, quella persona sembrava fare oggettivamente pena. Già il nome quasi lo infastidiva. Perché proprio PL? Era una specie di disco musicale al contrario? L'albino osservava tutti in silenzio mentre capiva lentamente che nessuno in quella stanza tranne lui poteva andare a quell'appuntamento. Yami e Yuya erano...beh, erano assieme e sicuramente avevano meglio da fare durante le feste che andare ad aste illegali. Daisuke era appena tornato da quella "missione" e nonostante non lo facesse vedere particolarmente, Ryo era preoccupato che combinasse qualcosa e che si facesse del male o venisse arrestato. Anche quando aveva saputo che era andato in quel luogo maledetto, si era preoccupato molto per il corvino.
    Si sarebbe volentieri risparmiato di andare in un luogo dove ci fosse Aogiri. Era strano a dirlo, ma non aveva mai incontrato o si era mai scontrato con qualcuno di loro e non ce l'aveva particolarmente con l'organizzazione. Il problema principale era che anni prima era stato associato pericolosamente a loro, errore che aveva attirato su di lui le attenzioni di un vecchio criminale convinto che facesse parte del loro gruppetto. Aveva detto qualcosa a proposito di Unicità con lo stesso nome e lo aveva persino legato ad una sedia in una specie di interrogatorio dove stava per finirgli male. Anche quella storia gli era scivolata addosso e non aveva più sentito parlare del proprietario del bar o di qualcuno che lo confondesse con Aogiri, ma sapeva che erano in qualche modo molto attivi ultimamente. Forse si sarebbe dovuto informare un po' di più e tornare a remare nelle acque scure del crimine per capirci qualcosa. Con tutti i membri di ETERNIUM "fuori servizio" toccava finalmente a lui scendere in campo. Aveva accettato controvoglia, ma aveva dichiarato che non avrebbe deluso Yuya e che non avrebbe fatto niente di pericoloso. Aggiunse scherzosamente che tornati dai loro programmi romantici, dovevano offrire loro una cena a lui come minimo. Non aveva paura, ma ci teneva alla vita che aveva costruito. Era solo un'asta dopotutto e lui era totalmente pulito, era in pratica una presenza nuova sul mondo del crimine che era cambiato così velocemente negli anni. Deathstalker sarebbe tornato dopo tempo sulla piazza, anche se l'evento si sarebbe tenuto settimane più tardi. Avrebbe preso la lettera nera dallo strano odore e terminata la serata da ETERNIUM, sarebbe tornato a casa per rileggere con attenzione i contenuti. Non aveva mai fatto da tramite a qualcuno per una cosa del genere ed era curioso di conoscere il mandante, se avesse mai avuto l'occasione di farlo. C'erano solo due articoli da dover prendere con assoluta priorità, cosa che gli facilitava il lavoro ma che allo stesso tempo gli avrebbe messo molta pressione. Chissà che tipo di merce strana voleva quel LP, PL per desiderarla così tanto. Pensare a quel nome gli ricordava quando aveva lavorato brevemente in un negozio di dischi, anche se di musica ne aveva sentita ben poca. Doveva prepararsi psicologicamente a gestire la situazione e cercare di capire come funzionasse un'asta, visto che non aveva mai assistito ad una. Quel tizio doveva essere particolarmente ricco per partecipare ad eventi così esclusivi, ma allo stesso tempo invischiato in strani giri. Non sapeva con precisione il suo budget, ma interpretò quel desiderio come un "non mi interessano i soldi, basta prendere gli articoli".
    Aveva passato quindi quelle settimane in uno strano stato di emozione ed ansia, dovendo però vivere la sua vita normale e svolgendo i suoi normali compiti. Ogni tanto appariva assente durante il lavoro ed anche la pasticcera che l'aveva assunto gli aveva chiesto se stesse bene ultimamente. Era difficile lavorare e compiere tutti quei calcoli senza pensare ai soldi dell'asta e agli articoli in vendita. Si chiese spesso se si stesse immischiando in qualche traffico ben peggiore di quello che aveva immaginato inizialmente, come quello di esseri umani, di organi od ancora peggio. Forse vendevano cose talmente orribili che tutti avevano scelto un tramite come Yuya o l'albino stesso. Doveva però far scorrere la propria vita normalmente e non venire licenziato, considerati gli avvoltoi che gli giravano attorno ultimamente. Era per lui incredibile pensare che una donna gentile come il suo capo avesse potuto dare vita ad una figlia così odiosa e fastidiosa. Ryo era ben più giovane di lei e sicuramente non approvava i suoi modi di fare, ma non poteva che andare avanti. Aveva scoperto che si sarebbe tenuto tutto in un casinò, incuriosendolo in modo positivo nonostante le preoccupazioni. Non era mai nemmeno entrato in un casinò, ora che ci pensava. Almeno sarebbe stato qualcosa di nuovo. Doveva inoltre occuparsi del suo vestiario, che decisamente non includeva qualcosa di così elegante come indicato nella lettera. Il massimo dell'eleganza era per lui una giacca color nero accompagnata da una maglietta bianca, limitata proprio da ciò che aveva nell'armadio. Il suo vecchio vestito elegante era ormai rotto e rovinato e l'aveva buttato, nonostante fosse un ricordo della sua vecchia vita. Non poteva chiedere a Yuya o a Daisuke di prestargli qualcosa da mettere (considerato quanto il secondo in passato fosse ossessionato dal vestirsi elegantissimo per le più disparate occasioni) visto che probabilmente portavano il doppio della sua taglia. E non voleva nemmeno spendere una fortuna per comprarsi un completo che non gli sarebbe mai servito al di fuori di quella sera. Aveva quindi cercato la soluzione più economica e che gli facesse fare una bella figura. Aveva cercato online, trovando un sito adatto, ed aveva ordinato direttamente a casa sua l'abbigliamento scelto inserendo le sue misure. Non pensava si potesse fare, ma aveva affittato un vestito proprio per quella sera. Aveva fatto bene a prepararsi prima, visto che ci voleva una settimana per farlo arrivare. Pregò che non succedesse qualcosa di orribile che distruggesse il suo abito, visto che il costo per una giacca logora era equivalente al costo di comprarsene una. Poteva sicuramente permetterselo considerati i soldi di ETERNIUM e del proprio lavoro, ma non voleva. Il suo ordine arrivò il giorno prima dell'asta e trattò ogni singolo componente come se ciascuno fosse una reliquia sacra inestimabile da posizionare nell'armadio-altare. Si era preso un giorno di ferie per evitare di avere problemi sul lavoro che lo facessero arrivare in ritardo, fortunatamente con il benestante della signora Miko, mettendosi a letto presto ma finendo per addormentarsi decisamente più tardi per quella strana sensazione di emozione che sentiva.

    Era dunque arrivata la sera del grande evento, un luogo dove tutto si poteva vendere e tutto poteva venire comprato. La mattina era stata quasi strana, così vuota e terribilmente normale.
    Mangiò il giusto, cercando di saziarsi con qualche insalata piena di verdure e formaggi vari. Era una ricetta americana e doveva dire che capiva perché fossero tutti così in carne dall'altra parte del mondo, se dovevano mangiare ogni giorno quelle delizie ricche di calorie. Si era preparato con largo anticipo ed aveva cenato presto, tirando fuori dall'armadio il suo tesoro nascosto. Guardò il fondo dell'alto mobile, notando che si stava creando un sottile strato di polvere sulle sue bende. Ormai erano diventati oggetti da collezione che non metteva più da moltissimo tempo, che gli sembravano così ridicoli ora che ci pensava bene. Voleva proprio attirare l'attenzione qualche anno fa, quasi come se fosse un adolescente ribelle in piena crisi esistenziale. Sospirò, prima di farsi una doccia veloce e con gli shampoo più profumati che aveva. Visto che aveva tutto quel tempo, cercò di prepararsi al meglio per non fare brutta figura. Rimase in doccia più tempo del previsto, uscendo meno teso di quanto fosse prima grazie all'acqua calda.
    « Ah...meglio levare questi. » - Dopo essersi asciugato si guardò allo specchio e levò con il rasoio un accenno di peli sulle proprie guance, prima di pettinarsi accuratamente. I suoi capelli bianchi cadevano in modo ordinato e quasi simmetrico sul suo viso, arrivando poco sotto il mento in ciocche lisce che gli incorniciavano il viso e gli cadevano sul ponte del naso. Doveva poi finalmente vestirsi, mettendo sopra i boxer un paio di pantaloni chiari color beige, legati da una cintura in pelle nera che aspettò a stringersi sulla vita. Mise infatti prima una camicia bianca che profumava di negozio, che probabilmente non era mai stata indossata da nessuno visto che sembrava un blocco di tessuto, prima di infilarla tra i pantaloni come mostrato online. Si sistemò il colletto, prima di mettere il pezzo più costoso, ovvero una giacca che era del tutto simile in tessuto ai pantaloni e che terminava il completo. Indossò le scarpe in pelle nera e con abbastanza facilità si mise la cravatta a quadretti, cosa che aveva imparato da suo padre qualche anno prima. Prese un soprabito di un colore leggermente più scuro e se lo mise sopra, anche se non faceva freddo, giusto per non spiegazzarlo. Si spruzzò un minimo dell'unico profumo da uomo che aveva, che odorava di qualcosa di buono e leggero che non poteva definire. Prese con sé l'invito e per sicurezza le istruzioni, nonostante sapesse a memoria i numeri. Era quasi ora di andare e si guardò allo specchio un'ultima volta prima di uscire, pensando che dopotutto non stava così male. Non era più un ragazzino magrolino che andava in giro con dei coltelli e nonostante la mancanza di barba, in quel momento sembrava decisamente più grande. Non si portò niente di pericoloso per quella sera, visto che voleva evitare problemi. Se proprio avesse dovuto difendersi, il suo Quirk era un'arma nascosta abbastanza vantaggiosa.

    « Che posto elegante...spero di non dare nell'occhio. » - Ryo mormorò tutto ciò dopo aver visto da lontano l'immenso grattacielo, che oltre ad essere grande era pure stupendo. Non vedeva una struttura così bella da chissà quanto tempo, era come uno strano Eden proibito a cui aveva avuto accesso solo ora. Non era proprio il tipo da girare in quartieri così ricchi ed affollati, preferiva stare con i membri di ETERNIUM nel tempo libero. Erano più simili a lui, persone che non si vantavano delle proprie ricchezze e che erano suoi pari. Quando si avvicinò, il suo volto scuro venne illuminato dai colori variopinti delle innumerevoli luci che accompagnavano chi doveva entrare. Si sentiva quasi un ragazzino che provava ad intrufolarsi nell'area staff only di un negozio, anche se quella volta aveva decisamente un invito valido. Era meravigliato da tutta quella ricchezza, sia nel giardino che nelle persone che stavano per partecipare. Sentì quasi una pressione sul suo petto, ma si rilassò pensando che a quelle persone non sarebbe importato un fico secco di lui a meno che non avesse cominciato a rubare articoli dalle loro mani. I suoi occhi verdi scrutarono l'entrata e per un attimo il giardino alle sue spalle, prima di entrare in quel luogo che superava di gran lunga le sue aspettative. Si era quasi aspettato una sala oscura e piena di individui loschi, ma invece c'era quasi l'entrata di un enorme palazzo principesco abitato dalla corte. La grande scalinata ed il corrimano in marmo assieme alle colonne lo facevano quasi sentire piccolo ed inerme, mentre si aspettava quasi che una duchessa scendesse da quelle scale. A rompere un po' la magia del luogo erano i vari tavoli da gioco color verde, ma non poteva che essere altrimenti in un casinò. Non sapeva quanta gente avrebbe trovato considerato l'orario, ma probabilmente avevano tutti un vestito che faceva sfigurare il suo affittato. Si guardò intorno, cercando un po' timoroso la figura di quel vecchio rimbambito che per fortuna non trovò. Si doveva però avvicinare alla reception nonostante il disorientamento, dove un po' di gente sembrava accumularsi. Avrebbe camminato timido per la sala, cercando di non pestare le scarpe di nessuno con le proprie. Avrebbe così aspettato il proprio turno ci fosse stato qualcuno, visto che probabilmente quell'asta era illegale come aveva immaginato e non conveniva mostrare a chiunque quell'invito così particolare. Si sarebbe tenuto un minimo distante dalla reception, sperando ci fosse qualcuno che stesse cercando il suo stesso evento per poterlo seguire senza problemi nel procedimento.


    Edited by Dëlin - 5/5/2020, 00:26
     
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    Era quasi mezzanotte quando Raoh varcò la soglia del locale, quello che spesso usava per andare a bere con qualche conoscente o collega di lavoro. Era stata una giornata fiacca e come al solito il nostro ragazzo si stava un po’ lamentando con un collega per quel che ha dovuto fare oggi:
    «Capisci cosa ha voluto appiopparmi il capo!? Un set fotografico per una rivista di vestiti per donne Mature…A detta di lui… Ho dovuto iniziare a fare foto a delle carampane che si sentivano dee sulla terra! Mi trattavano come un ragazzino, capisci? Facevano le saccenti, ma sono io il fotografo o loro!? Quelle frittate di scaracchi e fondotinta…Mi fanno solamente prudere le mani.»
    Arricciò il naso e mostrò un’espressione di disappunto. Purtroppo non era sempre rose e fiori ed ogni tanto doveva fare lavori che proprio non gli piacevano. Fare le fotografie ad una giovane Idol, oppure ad una modella sulla trentina, dava molta più soddisfazione e stimoli rispetto a fotografare delle signore in là con l’età.. Ma il lavoro è il lavoro e Raoh dovette ingoiare il boccone amaro ed incominciare quella sventurata “missione”. Sospirò profondamente appena entrò nel locale, seguendo il collega che lo aveva accompagnato a bere qualcosa, venne da subito investito da odore di alcolici ed un leggero sentore di fumo. Era un locale come tanti, anche quello sotto il dominio della Yakuza, ma a Raoh di questo non gli dava peso.. Certo c’era da stare attenti a non fare qualche passo falso, ma era comunque dell’idea che se restava nel suo, a fare il cliente, magari non gli venivano a dire o fare qualcosa contro di lui. Fece un cenno con la testa per indicare il bancone del bar che aveva un po’ di gente a prendere alcune ordinazioni, infatti in pochi minuti sia il collega, sia il ragazzo riuscirono a trovare un posto a sedere su due sgabelli metallici con l’imbottitura rivestita di ecopelle rossa. Il ragazzo si sistemò il colletto della camicia che aveva lasciato sbottonato, non voleva sembrare troppo elegante, infatti aveva optato per indossare un paio di jeans neri aderenti, scarpe in pelle del medesimo colore, una camicia bianca e nient’altro. Non aveva nemmeno portato la giacca con se, infatti era una serata mite e non ne aveva sentito la necessità di portarsela dietro. I capelli, i suoi lunghi dreadlocks, li aveva semplicemente tirati indietro e solo quelli dell’attaccatura alla fronte li aveva fermati con un bastoncino di legno levigato, creando una specie di mini chignon sulla testa e bloccando quelle ciocche con quel fermaglio improvvisato. Il resto dei capelli ricadevano lungo la schiena, tranne per un paio di essi che si erano adagiati sulla spalla sinistra. Gli occhi color miele si posarono sulla sfilza delle bottiglie esposte lungo la parete dietro i barman, poste con cura in un certo ordine: Rhum da una parte, gin da un’altra e così via. Fermò lo sguardo su un alcolico in particolare, per poi rivolgersi al barista e chiamandolo sollevando l’indice della mano destra:
    «Per me un Manhattan, per te?» rivolgendosi al collega che subito rispose con un’altra bevanda alcolica più semplice, un Rhum invecchiato, una cosa da intenditori «A te la giornata come è andata, Ichizo?»
    E così, mentre il barman serviva da bere ai due, Raoh cercò di lasciare parlare l’altro, anche se in realtà non gli dava poi così peso, perché non aveva poi così tanto interesse a continuare un discorso sul loro lavoro. Adesso dovevano solo staccare la spina, ma quando alcune volte tentava di andare a parlare di altro, non c’era intesa e cadevano in un silenzio imbarazzante.
    Mentre sorseggiava un po’ del suo Manhattan, qualche voce alle sue spalle sembrava dire qualcosa che stuzzicò l’attenzione del fotografo dalla pelle color caffè e latte. Fingeva di ascoltare Ichizo, ma in realtà si stava concentrando su un’altra situazione che sembrava molto più interessante. Un lavoretto da fare per qualcuno, una missioncina poco pulita agli occhi del governo. Un leggero formicolio risalì dalle gambe del sanguemisto, andando a farlo rabbrividire lungo la schiena, tant’è che drizzò il capo quando sentì le voci farsi più distanti -forse si stavano allontanando i due che ne stavano parlando alle sue spalle. Sbarrò per un secondo gli occhi e di colpo interruppe il povero collega di lavoro e disse:
    «Aspetta Ichizo, devo andare un momento in bagno.»
    E l’altro acconsentì e sorrise alla volta di Raoh. Quest’ultimo, invece, si alzò ed incominciò a camminare in direzione dei bagni, anche se in realtà stava camminando non proprio speditamente e soprattutto guizzava con lo sguardo a destra e a manca, con fare non proprio palese, mentre l’udito restava attento a cercare quelle tonalità di voce che aveva fino a poco fa sentito. La sua espressione era rilassata, anche se dentro sentiva il cuore che gli martellava il petto. Ad un certo punto gli occhi si puntarono verso la propria destra, sentì una voce che era proprio come quella che stava cercando. Il proprietario di questa era un tizio sulla quarantina, snello, con una capigliatura nera e tirata indietro in stile leccata di mucca(?). Era un giapponese a tutti gli effetti, i lineamenti parlavano chiaro ed anche il suo accento era perfetto. Indossava una camicia bianca, cravatta fine nera ed una giacca del medesimo colore abbottonata sul davanti.
    Raoh cercò di avvicinarsi con passi cauti, non voleva sembrare invadente, ma provò ad intromettersi nei loro discorsi, fermandosi a circa un metro e mezzo alle spalle dell’uomo. Si schiarì la voce, poi quando l’uomo -con il suo amico che assomigliava all’altro per lo stile e pettinatura- si voltarono verso di lui, fece un educato inchino con il busto e testa, per poi sollevarsi e dire:
    «Buonasera, ho sentito che state cercando qualcuno.. Qualche persona che possa fare un lavoretto..» mise le mani avanti «Non ho origliato quel che stavate discutendo, signori, semplicemente eravate alle mie spalle ed ho per sbaglio sentito qualche cosa del vostro discorso. Se posso intromettermi, starei cercando un lavoretto da fare…»
    E sollevò l’angolino destro della bocca, mostrando un’espressione convinta e con uno sguardo che sembrava incendiarsi al solo pensiero di poter eseguire qualcosa per quei due. Anche se era una bazzecola, per lui era una fonte di nuovi stimoli che gli avrebbero ribaltato la sua giornata ed anche la sua vita.
    Il collega fotografo era troppo distante e c’era abbastanza folla per nascondere i reali movimenti ed intenzioni di Raoh, che ben presto venne scortato da una persona che con poche parole e qualche raccomandazione gli affibbiò una lettera particolare. Era un invito ad un grande evento e lui doveva presentarsi a questa asta particolare, sotto il nome della di chi lo stava mandando: il clan Fujiwara.
    Per come glie l’aveva presentata l’uomo, sembrava una cosa semplice, ma non lo era. Volle dare fiducia al fotografo, un piccolo gesto magnanimo da parte dell’altro, anche se c’era la possibilità di finire senza un mignolo o peggio se veniva fatto un passo falso. Quella, per come era stata presentata, era una piccola prova di fedeltà e fiducia verso qualcosa di nuovo, una possibile strada nuova da percorrere, distaccandosi da quella monotona che aveva sempre percorso.
    Raoh accettò l’incarico e nascose nella tasca del pantalone, dietro, la busta nera contenente l’invito, per poi ringraziare con un cenno d’inchino e si dileguò per tornare dal collega e finire con lui la serata.

    ----

    Il giorno dell’evento al casinò giunse molto velocemente. A Raoh sembrava fossero passate poche ore da quando gli venne affibbiato l’incarico di tenere d’occhio l’asta, vedere e segnarsi mentalmente cosa Yamamoto, o chi per lui avrebbe presenziato all'asta, avrebbe acquistato. Non aveva ricevuto l’ordine di comprare qualcosa, ma solo di seguire e capire quali oggetti avrebbe comprato questa persona. Sembrava una semplice cosa, ma il ragazzo non prese a cuor leggero quella missione. Doveva stare attento e non sbagliare nessuna mossa. Non aveva margini di errore, non stava facendo delle fotografie, ma una missione per conto di qualcosa di molto più grande di lui.
    Ormai l’ora di cena era passata da un pezzo e Raoh si era recato con un taxi al casinò dove si sarebbe tenuta l’asta illegale. Scese dalla vettura davanti al marciapiede che dava alla parte principale dell’edificio, sull’entrata. C’erano aiuole e fontane, luci che cambiavano colore e rendevano l’atmosfera davvero particolare. C’era un po’ di via, vai, più che altro di persone facoltose che scendevano da macchinoni di lusso ed indossavano capi che costavano quanto la sua attrezzatura fotografica che era in cassaforte a casa. Un fremito lo scosse completamente e cercò di fare un sospiro per scaricare la tensione. SI avviò all’ingresso ed entrò nel locale. Non era mai stato in un posto del genere, infatti sbarrò gli occhi per una manciata di secondi, sorpreso, ma cercò di mantenersi serio e tranquillo, come se quella fosse una cosa normale e già vissuta più volte. Dentro di se sentiva l’eccitazione e la frenesia del momento, stava per fare qualcosa di tremendamente sbagliato agli occhi dei normali cittadini di Tokyo, infatti si aprì un leggero sorriso sulle labbra del mulatto.
    Questa sera doveva essere tutto tirato a lucido ed infatti il ragazzo aveva indossato il suo miglior completo nero che calzava a pennello sulla sua figura, una camicia rosso sangue trattenuta al colletto da una cravatta nera, mentre i capelli li aveva raccolti sulla testa formando un composto e perfetto gomitolo trattenuto da forcine nascoste e un elastico, anch’essò nascosto dai dreadlock. Nella tasca destra del pantalone aveva il telefono e le sigarette, in quella opposta niente. Nella giacca, nella tasca interna posta alla propria sinistra, aveva la busta il piccolo portafoglio.
    Gli occhi color miele di Raoh percorsero i vari tavoli da gioco, ma accarezzò con lo sguardo anche i vari volti delle persone che erano a scommettere i loro yen per arricchirsi ancora di più -anche se alcuni rimanevano in mutante a fine serata. Non era poi così presto come orario, infatti sembrava che a quelle persone non importasse effettivamente se era notte, giorno o che altro, l’importante era giocare e godersi i soldi. Ma non era per Raoh, almeno non stasera, anche se un piccolo pensiero di andare a fare una partitina alla roulette gli era balenata nella testa.. No, stasera no! Gli occhi passarono in rassegna le varie persone che si stavano avviando verso la reception, nel luogo in cui avevano detto quelli al locale di presentarsi con la busta. Guardò anche Ryo distrattamente, ma anche lui appariva come uno normale che era lì a passare la serata, magari tra ragazze, qualche coppa di champagne e due partite a carte. Aspettò che non ci fosse la gente al banco della reception, attendendo il suo turno, ma rimanendo per il momento a qualche metro di distanza da Ryo, alla fine anche lui stava aspettando il suo turno per parlare con la persona al banco, quindi rispettò la “fila” anche se questa in realtà non c’era. . Ma doveva fare il bravo ed educato ragazzo, non doveva farsi subito una cattiva nomea.
    Avrebbe atteso il suo turno, così poi da eseguire quello che gli era stato detto di fare: Presentarsi sotto il nome dei Fujiwara e dare il proprio invito.. Ovviamente fatto con discrezione e senza sventolarlo per la sala.



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    Morrigan non credeva nel destino, a cui spesso le persone attribuivano il peso dei loro errori, la vita era fatta di scelte e quello che seguiva erano le conseguenze di tali, eppure faticava a pensare che l'aver sentito quelle voci su Yamamoto, e il suo incontro con lui qualche giorno dopo, non fosse proprio destino; e in un momento d'immodestia non seppe chi dei due fosse stato il più fortunato, se l'uomo ad aver incontrato lei, o il contrario.

    Tutto era partito da una serata in un bar nei pressi di Roppongi, una serata come molte altre nella vita della ragazza, ma con un sapore leggermente diverso dal solito: stava festeggiando. Morrigan aveva dato le dimissioni al bar caffè dove lavorava, ed era ciò che ora festeggiava, probabilmente solo una semplice scusa per riunirsi con i suoi amici, che altrimenti avrebbero trascorso quel venerdì sera attaccati sui libri universitari. Nessuno era riuscito a estrapolarle il motivo per cui si era licenziata, o almeno era ciò che i suoi amici pensavano, per una volta lei era stata del tutto sincera con loro: si era annoiata, i turni le erano scomodi e un po' troppo lunghi per lei, spesso costretta a rimanere fino a tarda nottata, il che diventava un problema siccome la metro chiudeva sempre prima delle ventitré, e la paga non era poi nemmeno così buona. Ma loro avevano pensato giustamente ci fosse qualcos'altro sotto, c'era sempre qualcosa sotto quando si aveva a che fare con Morrigan.
    La ragazza dai capelli color pastello e i suoi altri cinque amici erano seduti su uno dei tavolini vicino al bancone dove servivano i drink, brindavano, ridevano ed avevano appena finito la seconda bottiglia di un vino molto più costoso di quello che avrebbero ordinato di solito. Il locale non era particolarmente pieno, né poi così grande, ed era proprio il loro tavolo il più chiassoso.
    ‹ Vado a prendere un'altra bottiglia. › Morrigan interruppe il chiacchiericcio, la più sobria del gruppo, che aveva appena finito il suo primo bicchiere, gli altri annuirono e tornarono a parlare tra di loro.
    Fu su quel bancone, ad uno sgabello di distanza da lei, che sentì le prime voci su quel certo Yamamoto. Non udì la conversazione di proposito, stava aspettando il suo turno, quando uno dei due uomini al suo fianco aveva parlato della Yakuza, facendole drizzare le orecchie. Il suo sguardo era posto sulla vetrata contenenti bottiglie d'alcolici davanti a lei, ma tutta la sua attenzione era stata catturata da quei due curiosi tipi: per quel che dicevano, quell'uomo della Yakuza stava cercando una donna, giovane e carina, per cosa? Non lo avevano specificato e, una volta che lei si mostrò interessata, parlando con i due, scoprì che non sapevano molto altro, che era solo qualcosa che "si diceva in giro"... ma che forse potevano metterla in contatto con qualcuno che conosceva quel Yamamoto. Le suggerirono un bar, non troppo lontano da lì, un po' più esclusivo, dove avrebbe potuto trovare i giusti agganci e scoprire se tali voci di corridoio fossero fondate.
    La serata proseguì tranquilla e lei se ne tornò con la bottiglia di vino dai suoi amici, ma estraniandosi totalmente. La prospettiva di incontrare un vero membro della Yakuza doveva essere un'occasione più unica che rara e lei l'aveva trovata per semplice caso, ascoltando la conversazioni di due estranei. Se tutto ciò non si sarebbe rivelato un buco nell'acqua forse la sua monotona vita da cittadina straniera sarebbe completamente cambiata, in meglio, si sperava.
    Il giorno successivo si era quindi presentata in quel bar, aveva parlato con un paio di persone prima di trovare quelle giuste, che successivamente l'avrebbero condotta da Yamamoto. L'uomo era più giovane di quel che Morrigan si aspettava, ma il suo volto raccontava di esperienze concesse solo a pochi mortali, non aveva avuto bisogno che di uno sguardo per capire quanto lui potesse essere pericoloso. Dopo un breve scambio di parole Yamamoto decise di cedere a lei l'incarico: le allungò una busta nera dal piacevole profumo d'un fiore che la ragazza non seppe riconoscere; si trattava dell'invito ad un'asta —molto poco legale, dedusse lei— che si sarebbe tenuta la prossima settimana. Il compito non era niente di troppo complicato, doveva aggiudicarsi due articoli ad ogni costo, e tenere d'occhio la persona che avrebbe acquistato l'ultimo, magari anche scoprire di chi si trattava. Morrigan non ci pensò su molto e accettò l'incarico senza fare troppe domande, ringraziando con un breve inchino e tornando alla sua vita di tutti i giorni per il resto della settimana.

    Il giorno dell'evento arrivò più lentamente di ciò che Morrigan avrebbe voluto, crudele il tempo che aveva rallentato le lancette facendo sembrare un'eternità ciò che erano stati solo pochi giorni, giorni in cui la ragazza non era riuscita a concentrarsi in null'altro che non fosse quell'asta, l'eccitazione non faceva che aumentare man mano che l'evento s'avvicinava.
    Lo specchio rifletteva l'immagine d'una Morrigan che non vedeva da molto tempo: due trecce cucite partivano dalle sue tempie, andando ad incontrarsi sulla nuca in un unico intreccio, il resto delle sue crini rosa ricadevano ondulate sulle sue spalle, al viso portava appena un po' di trucco, gli occhi rossi delineati da una fine linea nera e le labbra tinte d'un rosso acceso quanto le sue iridi. Il collo era adornato da una collana d'argento che aveva trovato rovistando tra le sue vecchie cose portate dall'America, stessa sorte del bracciale e dell'unico anello che portava all'indice. Difficile da cercare fu invece il vestito, aveva abbandonato gli abiti da sera assieme alla sua vecchia vita ed ora si era ritrovata a doverne acquistare uno. Passò così un'intera giornata nelle boutique giapponesi, cercando di seguire i consigli della madre che, almeno in fatto di moda, era molto più portata di lei: il nero era sempre la scelta migliore se si cercava un bel vestito a basso prezzo, la semplicità a volte era ben più elegante degli abiti troppo ricchi di dettagli.
    Il vestito che scelse sembrava quasi fatto su misura per la sua figura, ne risaltava l'altezza e fasciava le sue delicate forme senza che esse diventassero volgari, le sottili spalline andavano ad incrociarsi dietro la sua schiena scoperta. Ai piedi portava tacchi a spillo di un color beige opaco.
    Una volta finito di sistemarsi, prese il cellulare, il portafoglio e l'invito, infilandoli dentro una pochette nera e partì verso il casinò.
    Il taxi la lasciò sul marciapiede che dava sull'entrata dell'imponente grattacielo e Morrigan si fermò ad ammirare il giardino che lo circondava, una leggera brezza primaverile frusciava tra gli alberi e ne scuoteva le verdi foglie, le aiuole ordinate tenevano fiori dalle tinte sgargianti. Poi, davanti a lei, si ergeva l'edificio illuminato da luci artificiali in grado di cambiare colore. Era da anni che non visitava un luogo così stupendo e ricco. Avanzò verso l'entrata e la sua attenzione si posò sulle persone che la circondavano, dirette come lei verso il casinò, uomini e donne vestite in raffinati ed eccentrici abiti firmati, era quasi naturale sentirsi in soggezione e che spuntassero le insicurezze più superficiali: chissà se qualcuno di loro, posando lo sguardo su di lei, avrebbe capito che l'abito che indossava non valeva più di pochi spiccioli. Morrigan superò la soglia, lasciando da parte il disagio di essere in un ambiente nuovo e differente da quella che era ormai diventata la sua confort zone.
    A differenza della parte esterna dell'edificio che mostrava una certa modernità, la hall del casinò aveva uno stile più antico e occidentale, simile all'entrata d'un vecchio palazzo europeo. Un grande candelabro pendeva dal soffitto del piano terra e illuminava tutto il salone, le colonne in marmo superavano il secondo piano anch'esse fino al soffitto, tutto l'ambiente era ampio, grande e dava la sensazione d'esser quasi insignificante a confronto.
    Morrigan fissò i tavoli da gioco, assorta, era stata poche volte in un casinò e la fortuna non l'aveva mai accompagnata, quelle poche volte che aveva vinto un po' di soldi, finiva per perderli al scommetterli di nuovo, non era proprio fatta per quei posti.
    La ragazza si arrestò vicino alla reception, scrutando le persone che la circondavano, il suo sguardo si posò anche su Ryo, e successivamente su Raoh, ma ai suoi occhi apparirono come due normali ragazzi, probabilmente figli di papà, in cerca di un po' di divertimento. Si tenne ad una certa distanza e come gli altri due, aspettò il suo turno per parlare con l'uomo al banco.
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    TWISTED WONDERLAND▪▪▪ HAYATO ▪▪▪Takumi Michimiya era abbastanza irritato, ma era anche maledettamente bravo a non farlo trasparire. Da quando era entrato a far parte di Aogiri assieme a sua sorella e suo cugino non ricordava di esser mai incappato in un imprevisto simile e di aver visto il suo capo... beh, così. O meglio, ripensandoci forse era successo, ma non era facile distinguere gli stati d'animo di Xander, visto che essi erano essenzialmente composti solo da rabbia.
    Takumi rispettava enormemente Xander, sia come suo capo sia come persona: alcune volte però, certi aspetti del suo carattere lasciavano così tanto a desiderare che gli veniva la voglia di picchiarlo fino a farsi sanguinare le nocche. Il fatto che probabilmente non sarebbe riuscito a fargli un graffio nemmeno nell'universo in cui Xander era nato quirkless era un dettaglio che non valeva la pena menzionare. Quando sentì finalmente bussare alla porta, ringraziò la divina provvidenza che aveva deciso di salvarlo dai discorsi irritati del suo boss e si diresse verso di essa.

    Ci vollero pochi secondi affinché la porta sulla quale campeggiava la targa d'ottone con impresso il numero trentasette si aprisse. Hayato si ritrovò davanti ad un bizzarro individuo, alto qualche centimetro meno di lui, carnagione pallidissima, iridi chiare e capelli lisci, lunghi, di un color lavanda brillante. Aveva il volto cosparso di trucco: la labbra dipinte di un ciano molto acceso (come se qualcuno ne avesse aumentato la saturazione nel modo sbagliato) che riprendeva in parte la tonalità degli occhi, un fondotinta bianco faceva da base comprendo qualsiasi imperfezione ed accentuando i suoi lineamenti già spigolosi, mentre le palpebre e gli occhi erano contornati dal nero di un kajal ed un ombretto fucsia.
    I dettagli che spiccavano maggiormente erano, tuttavia, due lacrime – della stessa sfumatura dell'ombretto – disegnate sulla parte alta delle sue guance, poco sotto gli occhi. Come se quello non bastasse a renderlo appariscente l'uomo indossava una camicia dai colori scuri, rosso, blu ed oro, con un vistoso scollo triangolare che arrivava quasi fino a metà petto. Le gambe erano fasciate da un paio di pantaloni di raso nero, ed al collo portava un fiocco che gli allacciava sulle spalle una sorta di scialle che sembrava fatto di pelliccia sintetica.
    Non appena vide Hayato, i suoi zigomi si curvarono in un sorriso. C'era da dire che non sembrava affatto il tipo che avresti potuto incontrare in palestra, ma sembrava allenato abbastanza da poterti far passare un brutto quarto d'ora se lo beccavi nel momento sbagliato.
    «Oh, Hayato-kun~ bene ottimo, accomodati prego!» esordì, prima di farsi leggermente da parte per lasciar entrare il ragazzo. Hayato non lo conosceva, eppure la cosa non sembrava reciproca.
    La suite che accolse la giovane recluta era ampia e spaziosa: al centro, di fronte ad una televisione dallo schermo piatto, campeggiava un enorme ed imponente letto matrimoniale, a lato c'erano poi due divanetti, uno specchio, una cassettiera, un tavolino basso ed una poltroncina affiancata da un porta-liquori. Tre lampade dal design moderno proiettavano la loro luce giallastra aiutando ad illuminare la stanza ed aggiungendosi alla scarsa luce che proveniva da fuori: una finestra infatti, occupava un'intera parete ed era per metà aperta. Davanti, c'era un uomo vestito di smoking, che dava loro le spalle. Stava sbuffando il fumo di una sigaretta fuori dalla finestra spalancata, dalla quale entrava un po' d'aria fredda.
    «Xander~ è lui, che ne dici?» trillò l'uomo dai capelli viola, una volta chiusa la porta lasciando il corridoio illuminato a giorno alle loro spalle. Lanciò un veloce sguardo verso Hayato ed una volta assicuratosi che lo guardasse gli fece un occhiolino e si portò un indice alle labbra come a volergli indicare di rimanere in silenzio.
    L'altro, una volta spenta la sigaretta in un posacenere che aveva sul davanzale, si voltò avanzando di qualche passo: era alto, lineamenti squadrati, occhi di ghiaccio ed una azzurra tonalità di capelli. Si avvicinò ai due e squadrò Hayato con gli stessi occhi di qualcuno che sta guardando un soprammobile da tenere in camera.
    «Meglio. Chi è?» bofonchiò, sbrigativo, spostando gli occhi celesti dalla figura di Hayato a quella dell'uomo dai capelli viola. Takumi sorrise, e sollevo le mani, con le unghie elegantemente laccate di viola, incrociando le vita davanti al volto.
    «Il ragazzo che diceva mia sorella. Fa il barman a Shinjuku, vero?» mormorò, con un tono un po' frivolo, prima di tornare a guardare Hayato e tirargli una pacca sulla schiena, seppur molto leggera. «Su su, ora puoi presentarti shonen~ » concluse, schioccando le labbra dipinte di blu. Che Hayato decidesse di ascoltare le parole dell'amichevole sconosciuto in viola o meno, le cose non sarebbero cambiate poi molto: Xander avrebbe sbuffato in ogni caso, non era stupido e quella sera avevano ripetuto il suo nome circa tredici volte, quindi ormai lo sapeva. Non sembrava avercela tanto con Hayato di per sé, quanto con quel clown che lo affiancava e tutte le sue perdite di tempo.
    «Fagli mettere la nostra divisa. — ordinò. — Questi vestiti non vanno. Poi occupati del resto e muoviti asserì, rude, sputando le parole. Sapeva di fumo, e Takumi sapeva che quella era la massima gentilezza che avrebbe potuto ottenere in quel momento. Annuì un paio di volte, prima di lasciarsi sfuggire un sospiro. «Una camomilla prima di andare in sala, magari?» canzonò. L'altro gli ringhiò contro uno "spostati" e si fece largo passando fra lui ed Hayato. Inforcò la porta e se la chiuse alle spalle con un tonfo sordo, lasciando gli altri due nella suite. Takumi sospirò.
    «Phew, sopravvissuti anche oggi.» si lasciò sfuggire, poi raddrizzò la schiena e si puntò le mani sui fianchi, prima di schiarirsi la voce e voltarsi verso Hayato.
    «Una persona adorabile, non credi? No? Nemmeno io.— osservò, con un pizzico d'ironia. — Sarà il capo del tuo capo sempre e comunque visto che questo posto è suo, ci farai l'abitudine don't worry. Allora, passiamo alle cose importanti, non abbiamo molto tempo: uno dei nostri dipendenti ha avuto un lieve incidente e non può lavorare, tu sei stato chiamato per sostituirlo e hai appena ricevuto l'approvazione del boss di questo posto.» cominciò a spiegare, per poi portarsi una mano al petto, in corrispondenza dello scollo della camicia.
    «In ogni caso, io sono Takumi Michimiya, uno degli artificieri di Aogiri. Molto piacere. — sorrise. — Puoi chiamarmi Crowley, se ti piace di più. Oh, Teardrop è mia sorella minore. Diciamo che è merito suo se sei qui. Ci serviva un ragazzo carino e che avesse una qualche esperienza da cameriere. Ed era più un problema per la prima condizione che la seconda.» mormorò. Aveva un tono di voce un po' strano, furbo e sagace, ma tutto sommato gentile.
    Svelato il suo nome, Takumi si avviò verso l'armadio e ne aprì le ante. Tirò fuori una divisa, molto simile a quella che avrebbe indossato un cameriere in un hotel di lusso (beh, dopotutto erano in un hotel di lusso): una camicia bianco fumo, sotto ad un gilet nero con rifiniture dorate sul colletto ripiegato sul petto ed una cravatta del medesimo colore. Lo buttò sul letto.
    «Coooomunque, di solito non chiediamo ai topolini come te. Ma è una questione un po' improvvisa e soprattutto importante.~ — continuò con il suo tono gioviale. C'erano molte cose da dire su Takumi, prima fra tutte era che avesse una parlantina molto spiccata, quasi l'opposto rispetto alla sorella che aveva appena svelato di avere. Forse osservandolo attentamente Hayato avrebbe potuto notare qualche lieve somiglianza nel viso, soprattutto in quelle lacrime colorate che scendevano dagli occhi e che all'inizio erano parse trucco, ma... chi ne aveva la certezza? Takumi sospirò di nuovo, e poi si fece leggermente più serio. — Stai per essere coinvolto in qualcosa di molto grosso, Hayato-kun. Se pensavi ad Aogiri come un covo di disorganizzati terroristi scoprirai che ti sbagli e potrebbe non piacerti quello che troverai. Se vuoi tirarti indietro sei ancora in tempo, altrimenti... lì c'è il bagno, indossa quello e ti farò vedere il resto. Domande?» chiese, indicando nel frattempo una porta in legno alle sue spalle, probabilmente il bagno. La divisa era ancora lì, lucida, sul letto. Hayato avrebbe potuto entrarci anche solo per la curiosità di scoprire com'era fatto un bagno di una camera d'albergo a cinque stelle.
    ▪▪▪ RYO ▪ MORRIGAN ▪ RAOH ▪▪▪Il cortile che precedeva l'entrata del casinò era una strada lastricata d'oro. Non letteralmente, era d'oro visto e considerato quello che probabilmente avevano speso per costruirla. L'area era circondata da un giardino di lecci, tigli ed altri alberi ornamentali che si estendeva fin sul retro del grattacielo. Altri alberi dalle foglie rossastre - aceri, forse? - facevano da contorno ad una fontana illuminata da dei faretti e dalla forma un po' squadrata.
    C'era un via vai di persone abbastanza numeroso, ma la maggior parte si affollava nei pressi dell'ingresso vero e proprio: lì dove il le mattonelle del cortile lasciavano il posto ad un pavimento color crema e lucido, coperto a sprazzi dal rosso di alcuni tappeti, mentre delle colonne di marmo sorreggevano il soffitto. Appena superata la soglia ad accogliere gli ospiti vi era un atrio di modeste dimensioni: soffitto basso, un varco sorvegliato da due energumeni vestiti di nero (la security, probabilmente) dal quale si poteva vedere lo sfarzo della hall principale, un paio di divanetti sparsi, per lo più occupati, circondati da piante esotiche e tavolini, ed il banco della reception, sulla destra, dietro al quale campeggiava un'acquario a muro colmo di pesci tropicali e piccoli coralli.
    Non c'era molta fila, ogni tanto qualcuno si avvicinava e la donna dai capelli neri che presiedeva alla postazione sembrava più dare spiegazioni che altro. Chi alloggiava all'hotel del complesso entrava gratuitamente al casinò e non doveva affollarsi al banco per pagare il biglietto d'ingresso, anche senza saperlo a priori era intuibile guardandosi un po' intorno: ad alcuni bastava mostrare una specie di badge e la security li lasciava passare senza batter ciglio. Gli altri pagavano ed entravano lo stesso, disperdendosi fra il chiacchiericcio e la musica di sottofondo.
    Ad ogni modo, nessuno aveva detto ai tre in possesso dell'invito che avrebbero dovuto pagare l'ingresso.
    Forse sarebbe stato sufficiente mostrare l'invito alla reception per scoprire il da farsi, però era anche vero che la cautela non era mai troppa. Se aspettavano che qualcuno desse loro l'esempio comunque non dovettero attendere poi molto. Poco dopo il loro ingresso si fece avanti una donna dai lunghi capelli color paglia e gli occhi dorati. Aveva indosso un lungo abito nero con un generoso scollo sul davanti ed uno scialle di pelliccia violaceo. Era scortata da due giovani giapponesi in giacca e cravatta, uno dei quali le stava tenendo una pochette argentata. Fra i capelli portava un fermaglio ornato da una rosa rossa e altri nastri dai colori scuri e vermigli, mentre ai piedi indossava degli appuntiti tacchi a spillo, manco fossero fatti per uccidere. Su di lei si posarono gli occhi di parecchi curiosi: era bella, eppure, si percepiva, pericolosa. La donna comunque parve ignorare qualsiasi cosa, si diresse spedita verso la reception e si fece passare la pochette dal tizio che la portava: ne estrasse una busta, nera, e la poggiò con veemenza sul bancone. Mormorò qualcosa che suonò come "Eden", ma le altre parole si persero nell'aria.
    La donna alla reception controllò qualcosa sul computer che aveva di fronte, le sorrise, le disse qualcosa e le consegnò un braccialetto metallico, prendendosi - in cambio - la busta nera. L'altra lo indossò, e si diresse a passo spedito verso il varco che l'avrebbe condotta alla hall. Sfilò in mezzo alle guardie che non si mossero di un millimetro, e si mescolò alle altre persone.
    Era successo tutto abbastanza rapidamente, ma era chiaro. Se gli altri avessero deciso di seguire l'esempio, gli sarebbe stato riservato lo stesso trattamento: la donna alla reception avrebbe chiesto loro il loro nome e si sarebbe presa l'invito consegnando loro un bracciale di metallo da chiudere attorno al polso. La cosa curiosa era che quel bracciale pareva aver modo di agganciarsi, ma non di slacciarsi. Ad ogni modo la donna avrebbe detto loro di indossarlo e di recarsi nella hall, superare la statua centrale e poi le scale - superarle, non salirle, ci tenne a specificare - e di prendere l'ascensore che vi avrebbero trovato dietro per recarsi al piano ventidue, uno dei ristoranti dove avrebbero trovato un buffet allestito per gli ospiti.
    La hall era enorme: il pavimento manteneva la stessa tonalità crema e si intrecciava con disegni più scuri disegnando sul suolo figure astratte, le colonne erano in marmo ed erano probabilmente il doppio di quelle che sorreggevano il soffitto dell'atrio. Atrio che a confronto pareva un pollaio. I tavoli da gioco si dividevano fra i più disparati giochi, circondando il centro della sala, dove una statua in marmo raffigurante tre donne reggeva un globo dorato che sembrava rappresentare la terra: esso era circondato da una scritta a neon illuminata di rosso che recitava "THE WORLD IS YOURS", nonostante la lettera Y fosse tristemente fulminata.
    C'erano persino delle palme in vaso, e delle scale con un tappeto rosso che portavano ad un piano superiore dove sembravano esserci per la maggior parte roulette.
    Quasi ogni angolo era ghermito di gente e di tanto in tanto passavano dei camerieri che distribuivano drink gratuiti, prevalentemente Champagne.
    L'ascensore si trovava davvero dietro le scale, ma anche giungendo fin lì, i pochi in possesso dell'invito avrebbero scoperto con loro sommo rammarico che pareva essere occupato. Ad aspettare davanti alle porte c'era la stessa donna bionda che avevano incrociato alla reception. Anche se stavolta non era in compagnia dei due uomini e si stava portando la pochette da sola.

    || SUITE || skyscraper || HALL || ||© CODE ||



    Edited by Ryuko - 9/5/2020, 17:13
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    Hayato non dovette attendere a lungo, cosicché nel giro di pochi secondi si ritrovò davanti una persona dall'aspetto alquanto... particolare, sì, forse era il termine più appropriato. I capelli luminosi, il viso pallido, l'abbigliamento eccentrico, tutti quegli elementi gli ricordavano vagamente Hisoka.
    In ogni caso, lo sconosciuto si presentò alla giovane Recluta con un sorriso gentile, e Hayato non poté fare a meno che ricambiare. Bastò quel semplice gesto a sciogliere quel po' di tensione che l'aveva attanagliato poco tempo prima: per un attimo, senza neanche che l'altro iniziasse a parlare, il biondino ebbe l'impressione di essere di fronte ad una persona cortese e socievole. Se si fosse trattato di una semplice impressione, l'avrebbe scoperto da lì a poco.
    «Ohw, grazie mille~»
    Rispose, lasciandosi condurre da Takumi all'interno di un meraviglioso appartamento di lusso infarcito di tutta una serie di mobili ed arredi visibilmente costosissimi; a rendere tutto ancora più elegante, una finestra con un panorama mozzafiato che dava direttamente sulla città.
    Naturalmente non notò Xander, dal momento che questo si trovava fuori dalla finestra, ma bastò ascoltare Takumi proferire il suo nome affinché - per un attimo- Hayato quasi non finì per paralizzarsi, chiedendosi che cosa stesse succedendo. Non ci fu bisogno che l'altro gli facesse segno di stare in silenzio, in quel momento nessuna parola avrebbe abbandonato le labbra della recluta.
    Quest'ultima non credeva di aver mai visto Xander, ma ne aveva sentito ampiamente parlare tramite le voci che giravano tra le Reclute di Aogiri, che lo definivano come un vero e proprio mostro terrificante. La presenza del Vice, in quelle circostanze, rendeva tutto ancora più curioso.
    Il barman scrutò l'imponente figura dell'uomo fare la sua comparsa e non poté fare a meno di sentirsi abbastanza sbigottito all'idea di avere di fronte a sé un individuo tanto temuto come lui. Il Vice gli dedicò un'occhiata veloce, e quello probabilmente sarebbe stato l'unico istante in cui i loro occhi si sarebbero incontrati, prima che quelli dell'uomo dai capelli azzurri tornassero a concentrarsi su Takumi. Questo, d'altra parte, rispose alla domanda del Superiore facendo riferimento a sua sorella.
    Fu proprio in quel momento che Hayato aggrottò leggermente le sopracciglia, ma non ebbe il tempo di riflettere a sufficienza che venne invitato ad aprir bocca.
    «Sì, è esatto, mi chiamo Hayato Ono~»
    Esordì, sollevando gli angoli della bocca in un sorriso dolce.
    «Lavoro come barman in un locale notturno di Shinjuku! Per me è un piacere fare la vostra conoscenza.»
    Trillò, con tono di voce tranquillo e gentile, il sorriso così ampio che finì per richiudere leggermente le palpebre. Non ottenne la stessa gentilezza da parte di Xander che, dopo un rapido scambio di battute con Takumi, si limitò a sbuffare e abbandonare l'appartamento. Fu soltanto in quel preciso istante che il biondino poté riprendere a respirare normalmente, manco avesse passato gli ultimi cinque minuti in apnea.
    «Sì, credo di averne sentito parlare. E non so dirle esattamente se è adorabile o meno, nel corso del tempo ho imparato che gli individui così scontrosi a volte sono quelli che nascondono dentro una dolcezza infinita, sa? Bisognerebbe conoscerlo meglio, forse~»
    Sussurrò, lasciando che il suo solito sorriso dolce accompagnasse ogni singola parola, facendo molta attenzione che il Vice avesse richiuso la porta e si fosse allontanato a sufficienza. Stava praticamente dicendo che Xander fosse un potenziale tsundere, assicurarsi che non potesse essere sentito gli avrebbe salvato la vita più che la carriera. E Takumi, d'altra parte, sembrava aver bisogno di lui, quindi in un certo senso Hayato pensò di potersi permettere certi commenti.
    «Ohw, comunque mi dispiace che qualcuno si sia fatto male.»
    Sì, certo, come no.
    «Ma sono contento che abbiate pensato di contattare me~»
    Riattaccò subito dopo, passando da un tono chiaramente finto-dispiaciuto ad uno entusiasta nel giro di pochi istanti.
    Le successive parole di Takumi schiarirono i pensieri di Hayato, cosicché il giovane acquisì gli strumenti necessari per renderla quella situazione un pelo più chiara.
    «Molto piacere di conoscerti, Crowley. In effetti avrei dovuto accorgermene fin da subito, non avevo notato alcune caratteristiche che vi accomunano, come ad esempio le gocce sotto gli occhi... mi erano proprio sfuggite~»
    Disse, sfumando la fine della frase con una breve e lieve risatina. Dato che si era presentato, Hayato da quel momento pensò di riferirsi a Takumi dandogli del tu: l'artificiere gli sembrava una persona abbastanza alla mano da non offendersi.
    «I-Io carino? Ma che gentile, sono contento di averti dato questa impressione. Sei una persona davvero piacevole, sai? Non è cosa da tutti i giorni incontrare qualcuno di così gradevole nell'ambito dell'organizzazione~»
    Non era abituato a ricevere complimenti del genere, eppure Hayato non aveva ancora chiaro se l'uomo dai capelli viola stesse semplicemente fingendo di essere gentile con lui o se lo fosse davvero. Nel dubbio, la recluta ritenne fosse meglio dargli corda e mostrarsi altrettanto garbato.
    Avrebbe poi visto Crowley dirigersi verso un armadio e recuperare da quest'ultimo un elegante abito ascrivibile a quello che avrebbe indossato un cameriere in un luogo di lusso. Non avrebbe mai pensato di poter essere contatto per sfruttare le proprie abilità da barman, ma se poteva essere utile all'Organizzazione in quel modo, tanto meglio. Era comunque un'occasione per fare bella impressione, no?
    «Sì, mi rendo perfettamente conto della situazione.»
    Commentò, in riferimento al commento di Takumi circa il fatto che non solitamente non contattassero semplici reclute. Per tutto quel tempo, il biondino pensò che, poco a poco, Crowley stesse rispecchiando l'idea che si era fatto inizialmente, cioè quella di una persona simpatica; al tempo stesso, il giovane criminale fu quasi costretto a fare un paragone con la sorella di Takumi, l'adorabile Teardrop, riflettendo sul fatto che fossero davvero diversi. Per un attimo, Hayato fu quasi tentato dallo scrutare il collo dell'artificiere, per constatare se anche in quello ci fosse la presenza di una struttura nera e ovalare, ma si ricordò che Takumi l'aveva coperto con un fiocco e che sarebbe stato inutile.
    Le successive parole del proprio interlocutore lo stranirono.
    Ciò che stava dicendo, che stava per incastrare Hayato in qualcosa di molto grosso, andava un po' in contrapposizione l'idea che si stava facendo la Recluta circa il lavoro che avrebbe svolto, quella sera. Non si trattava semplicemente di fare il cameriere? O il barman? Che ci fosse dietro qualcos'altro?
    Quando Taukmi gli chiese se ci fossero domande, l'istinto di Hayato gli suggerì di dare una risposta affermativa, ma la propria ragione gli consigliò di tacere e di indossare la divisa senza fare domande. Il motivo? Semplice: se si fosse dimostrato insicuro rispetto a quel lavoro, e se avesse dimostrato di aver prima bisogno di chiarimenti per prendere una decisione, probabilmente avrebbe deluso Crowley; al contrario, se si fosse mostrato pronto a tutto, probabilmente avrebbe fatto piacere all'altro. Tanto, prima o poi, Takumi avrebbe comunque dovuto spiegargli in che cosa sarebbe consistito il lavoro e, se non gliel'aveva voluto rivelare in quel preciso istante, doveva esserci una ragione precisa. L'idea di rifiutare, invece, era totalmente esclusa: figuriamoci se Hayato, assetato di potere com'era, avrebbe rifiutato un incarico da parte dei piani alti dell'Organizzazione.
    «Non ho nessuna intenzione di tirarmi indietro, Crowley, le sfide mi intrigano molto. Anzi, a dirla tutta, adesso che mi hai detto questo sono ancora più curioso!»
    Asserì, piegando le labbra in un sorriso. Non era spaventato, anzi: la situazione per Hayato non faceva che farsi più eccitante.
    «Nessuna domanda, mi cambio in un batter d'occhio: se non sbaglio Xander aveva detto di sbrigarci, quindi farò il prima possibile~»
    A quel punto recuperò la divisa dal letto e si diresse nel lussuosissimo bagno dell'appartamento. Quando richiuse la porta alle proprie spalle, stette a fissarlo per pochi istanti, prima di scuotere la testa e sbrigarsi ad indossare la divisa nel minor tempo necessario. Si sistemò i capelli, tirandoseli verso verso la nuca per darsi un aspetto quanto più elegante possibile, per poi guardarsi allo specchio altre due-tre volte, prima di tornare nel salone dell'appartamento.
    «Eccomi, sono pronto!»
    Esclamò.
    «Quando iniziamo? Non vedo l'ora~»
    Batté le mani due o tre volte come per applaudire, sorridente, sperando che Takumi fosse ancora lì. Se invece si fosse allontanato, le sue parole avrebbero divagato a vuoto.


    Hayato Ono
    LV. 3
    Energia: 175
    Forza: 70
    Quirk: 71
    Agilità: 9

    Danni: //
    Tecniche utilizzate: //
    Equipaggiamento:
    ► Maschera antipolvere [Difensivo]. Filtra l'aria e la purifica da qualsiasi genere di scorie [Annulla danni lievi provenienti da Gas Soporiferi/Velenosi] [Filtri: 2, Durata: [1/3] Role]
    ► Shuriken [Offensivo]; Danno: Medio; Durata: [1 role, se usato].
     
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    Ryo Tatsuki

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    Il giovane ragazzo dalla pelle scura camminava tra la gente, uno dei tanti modelli di manichino che marciavano come statuine ben decorate e distribuite uniformemente come se fosse un campo di gioco. Il suo naso captò innumerevoli profumi, da quelli più leggiadri e raffinati a quelli che sembravano volerlo soffocare in un mare di bellezza e sensazioni diverse. Gli dava un po' fastidio essere immerso lì dentro, ma non poteva che rispettare il flusso di gente che sembrava divertirsi ed entrare tranquillamente. Vide gli alberi che circondavano quel luogo, piantati lì come le persone, e quanto tutto ciò fosse così...ricco da superare il concetto di eleganza e toccasse quello di vanità della gente che stava partecipando quell'evento. Ryo non era mai stato un grande combattente sociale e non gli fregava particolarmente di cambiare le cose se non quelle che si allineavano con il pensiero di ETERNIUM. Però si sentiva talmente estraneo a quell'ambiente e a quel tipo di persone che gli veniva quasi l'orticaria ad osservare con i propri occhi la ricchezza altrui. Forse era un po' geloso e non lo voleva ammettere, forse era semplicemente un tipo di clima totalmente diverso. Avrebbe superato in fretta il giardino però, visto che si voleva accomodare all'ingresso per poter provare ad entrare. Ciò che aveva comunque intravisto da lontano che però quasi lo attirava curioso di quel mondo fatto di rischi ed adrenalina, sembrava essere anticipato da una sala più contenuta ma che rispecchiava comunque lo stile della serata. Le scarpe piatte avrebbero toccato i morbidi tappeti che venivano calpestati senza cura da tutti gli ospiti, mentre osservava tutti gli elementi decorativi che rendevano l'ambiente molto gradevole e piacevole per gli occhi. Chissà quanti soldi valeva quel posto. Venti milioni di yen? Cento milioni? Un miliardo? Mosse le mani, che volevano finire nelle tasche come per chiudersi e proteggersi da quelle persone ricche che probabilmente avrebbero potuto comprare la sua vita se l'avessero voluto. Si fermò a metà gesto e le appoggiò sulle cosce, chiedendosi se fosse consono fare una cosa del genere. Aveva fatto bene ad non comprare vestiti "eleganti" che aveva visto in giro, perché avrebbe fatto sicuramente una figura misera. Gli dava un po' fastidio che in pratica gli uomini fossero vestiti tutti un po' uguali, variando il colore della giacca o la mancanza di essa. Le donne avevano molta più libertà nel scegliere cosa mettersi, mentre lui in quel momento si sentiva irritato di sembrare uno dei tanti tizi che fanno festa tutte le sere senza pensare ai soldi.
    Decise di ignorare quelle sensazioni, concentrandosi sul come entrare e superare la sicurezza. Non era proprio un ingresso libero, quello lo aveva capito. Sembrava però che la gente pagasse un qualche biglietto, facendolo un po' andare nel panico e dandogli modo di pensare. Dovevano pagare? Non si era portato dietro tutti quei soldi in contanti, quanto costava una serata del genere? Poteva affidare tutto ciò al suo eventuale patrono, ovvero PL? Gli sembrò di sudare freddo, ma decise di calmarsi. In caso poteva tornare dopo se proprio non accettavano il secondo metodo, ma era sicuro che per un'organizzazione del genere sarebbe stata una bazzecola mettere sul conto di un acquirente pochi spiccioli. Sicuramente quel tizio non si sarebbe lamentato, anche perché altrimenti glie le avrebbe suonate lui. Si guardò un po' attorno, cercando di osservare gli ospiti. C'erano molti uomini e donne che si scioglievano in quel mare di ricchezza senza problemi, anche se guardando meglio c'era qualcuno vestito in modo decisamente più stravagante, roba che l'albino non avrebbe mai indossato nemmeno sotto tortura. Con la coda dell'occhio avrebbe guardato chi aveva vicino, notando di sfuggita un'altra persona dalla pelle scura come la sua. O era una sfumatura diversa? Voleva capirlo, ma non voleva fare quello che fissava gli altri, anche perché probabilmente tra quelle persone c'era qualcuno che non era proprio in possesso delle sue piene facoltà. Gli sembrò di vedere dei capelli di una curiosa sfumatura rosa in un angolo, ma mise il viso dritto come se fosse una nave che viaggiava verso la propria destinazione. Alla fine forse era lui quello più strano lì dentro, con quell'aspetto che lo faceva sembrare probabilmente un qualche straniero venuto da lontano per acquistare merce illegale.
    Doveva concentrarsi, osservare la reception per notare qualcuno che avesse il suo stesso invito e che gli permettesse di entrare con il giusto procedimento. Mandato come un angelo dal paradiso (o più correttamente, come un demone dall'inferno) fu una donna che sembrava attirare tutta l'attenzione su di sé. Era diversa dalle altre, più fine ed elegante, più carina e decisamente più minacciosa. Probabilmente tra poco sarebbe arrivato uno spazzino a raschiare via le mascelle di chi la osservava come un cascamorto, ma era evidente da ogni suo movimento e gesto che non era particolarmente disponibile a fare due chiacchiere a lume di candela. Ryo si chiedeva come quei tacchi non provocassero voragini nel pavimento e come non catturassero il tessuto dei tappeti per filarne di nuovi ad ogni passo. La trovava pure lui molto carina, ma non si sarebbe mai sognato di avvicinarsi per evitare di finire bruciato dalla sua furia e malmenato dalle guardie probabilmente. Se la seguivano questo significava che era un'ospite importante e che doveva essere in qualche modo protetta, anche se sembrava in procinto di girarsi e spezzare il collo ad entrambi gli uomini come nei migliori film di arti marziali. La parte più importante della sua persona però non era di sicuro l'aspetto fisico, ma quello che teneva tra le mani e che aveva lasciato andare con tanta teatralità e furia. La stessa inconfondibile busta nera, che gli fece alzare un sopracciglio dalla sorpresa ma che gli diede un po' di sollievo e preoccupazione. Era preoccupato perché si sarebbe trovato quella persona dopo probabilmente, che sembrava già un avversario temibile per qualche motivo. Nelle sue parole decise gli sembrò di sentire la parola "Eden", che gli portava alla mente qualche ricordo. Aveva lavorato contro di loro, se non ricordava male, ma non aveva mai visto quella bionda durante quel periodo. Si chiese in quanti casini si era messo negli anni precedenti, nonostante fosse l'ultimo pesce in fondo alla catena alimentare. Avrebbe fatto attenzione, ma per ora lei era il portale per quella serata. Avrebbe visto il braccialetto metallico agganciarsi al suo polso, mentre la busta scivolava tra le dita esperte della receptionist e la donna spariva dalla sua visione.
    Che figura curiosa. Chissà se le persone che partecipavano a quell'asta strana erano tutte così pericolose e particolari. Si sarebbe fatto avanti per seguire l'eventuale fila creata o avanzando direttamente verso la reception in caso. Doveva mostrarsi abbastanza sicuro e tranquillo, pensieri forse più adatti ad un lavoro in incognito. Ma in effetti lui era lì normalmente, no? Non era un infiltrato, non era un individuo sospetto per una volta. Era solo sé stesso in quel caso, nonostante non volesse esserlo. Prima quasi si pavoneggiava dei contatti che aveva nell'Underworld, ma ora era più che altro preoccupato di farsi riconoscere in qualche modo. Doveva sembrare uno dei tanti ragazzi che fanno lavori per guadagnare qualcosa e che si mettono nei guai, interpretazione che gli era riuscita estremamente bene negli anni precedenti. Si sarebbe avvicinato al bancone, prima di tirare fuori dalla tasca la busta nera con cura. Sembrava volesse quasi nasconderla, coprendola con il palmo fino a quando non l'avrebbe appoggiata di fronte alla donna come merce di scambio. Avrebbe chiesto all'albino il nome e per un secondo esitò, ma rispose velocemente con il proprio nome. Alla fine non avrebbero chiesto un documento, ma gli sembrava che dopotutto fosse un ambiente semi-normale. E lui non aveva ancora fatto nulla di male e non ne aveva intenzione, no?
    « Buonasera. Ryo Tatsuki...presenzio per PL. » - Avrebbe risposto serio, guardando la donna negli occhi. Probabilmente sembrava eccessivamente teso, ma in quel momento era andato un attimo nel panico. Non era un bravo attore e tanto valeva fare il ruolo della statua di ghiaccio perché era quello che gli veniva meglio. Avrebbe presto ricevuto un braccialetto d'argento che si sarebbe attaccato al polso sinistro senza farselo ripetere due volte, guardandolo per un po' mentre si spostava da di fronte al bancone per lasciare libero lo spazio e far scorrere la fila. Doveva trovare l'ascensore e superare quella hall così così sfarzosa e piena di gente, annunciando che ci sarebbe stato da mangiare. Ryo non aveva molta fame visto che aveva già mangiato e non era proprio dell'umore, ma forse avrebbe preso qualcosa da bere per non dare nell'occhio. Camminando verso l'uscita notò solo dopo che effettivamente non poteva togliersi il bracciale, non che ne avesse intenzione. Forse era un qualche metodo per riconoscere i partecipanti ed evitare che qualche viziata se lo levasse perché non rispecchiava le proprie scelte di stile, oppure erano braccialetti bomba per non farli scappare e per richiedere un enorme riscatto all'intera Tokyo. Beh, non era un'idea così lontana dalla realtà se si parlava di Aogiri probabilmente. Avrebbe varcato il passaggio guardato dai due statuari energumeni, sperando che il braccialetto bastasse a farlo passare senza dare nell'occhio. Ciò che aveva visto da lontano sembrava ancora più splendido lì vicino, incuriosendo il ragazzo che si chiedeva a quanti giochi stessero giocando. Era impossibile, ma non gli sarebbe dispiaciuto tornare magari in compagnia di Daisuke. L'amico sembrava molto più navigato in questi ambienti ed al massimo sarebbe stata una piacevole compagnia, fosse mai tornato lì. Gettò un'occhiata al soffitto che sembrava rendere la stanza immensa a causa della sua altezza, con le scale bianche e le enormi colonne di marmo che quasi facevano assomigliare quel luogo ad un palazzo governativo, tralasciando la folla di gente che si divertiva. Osservò la statua e le palme, elementi decorativi che gli sembravano così superflui in un'abitazione ma che in quella sala davano un messaggio importante: ti trovi in un luogo di perdizione ed il mondo esterno non esiste, ci sei solo tu e i tuoi piaceri lì dentro. Quegli elementi gli piacevano, ma non gli destavano una particolare emozione. Mentre attraversava la hall e superava le scale, diede un'occhiata al piano superiore, chiedendosi quante meraviglie si nascondessero lì sopra.
    « Piano ventidue...? Sì. » - Si ripeté sottovoce, forse un gesto un po' particolare per una persona comune ma decisamente adatto a Ryo. Nonostante fosse molto preoccupato di come apparisse in quel momento, si lasciava scappare certi tic che voleva evitare di mostrare a quei ricchi sconosciuti. Ignorò i camerieri che offrivano alcolici, non voleva portarsi dietro un bicchiere per tutta la serata. Sarebbe quindi arrivato di fronte all'ascensore, che era proprio nella posizione indicata dalla donna. Lì davanti c'era però una figura che aveva abbandonato poco prima e che avrebbe evitato di rivedere così presto, ovvero la bionda vestita del timore che incuteva negli altri. Se avesse potuto evitare di essere sgarbato, avrebbe cercato di vedere se quei tacchi avessero creato sul serio delle crepe nel pavimento. Non cambiò espressione, vedendo la donna sola con la propria borsetta. Era solo una cliente, si ripeteva. Dopotutto dovevano salire allo stesso piano, anche se si chiedeva se stesse aspettando qualcuno o qualcosa. Si sarebbe avvicinato con tranquillità, le scarpe basse che probabilmente risuonavano di più in quell'angolo. Non voleva proprio salire con lei, ma era probabilmente peggio evitarla del tutto. Inoltre non poteva fissare gli altri clienti entrare come un maniaco. Avrebbe provato a dare un'occhiata al pannello esterno dell'ascensore, per controllare se ci fosse un qualche segnale luminoso che assicurasse che il tasto fosse già stato premuto. Se fosse stato evidente che la bionda aspettava qualcuno e che l'ascensore non era stato ancora chiamato, avrebbe provato a premerlo lui con il polpastrello scuro.
    « Buonasera. » - Gli sarebbe uscito dalla bocca in modo quasi naturale, come se fosse un qualche incontro di cortesi gentiluomini, rivolgendosi a qualunque cliente dotato di braccialetto che fosse arrivato di lì a poco. Che quella donna misteriosa rispondesse o meno era irrilevante, ma gli dava uno strano senso di pressione non dire nulla. Avrebbe aspettato anche lui in caso a braccia conserte, prima di ripassare mentalmente cosa doveva acquistare tra le stelle dei piani più alti del grattacielo.
     
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    Dire che quel luogo era lussuoso, poteva risultare una bestemmia. Era super-lusso! Ogni minima cosa era studiata nel dettaglio e nulla passava inosservato. Anche il semplice pavimento era costellato di disegni astratti composti di pregiati materiali, per non parlare dello stile utilizzato per rendere quel casinò un luogo adatto solo per chi aveva un conto in banca assai gonfio… Non come Raoh, lui poteva permettersi delle partite clandestine a poker fatte nel retro bottega di un pub o un night, con alcolici di qualità poco pregiata e sigarette a non finire. Certe volte aveva rischiato di lasciarci le mutante in una di quelle serate, ma aveva sempre saputo bloccarsi prima del fallimento più totale e rischiare di non avere neanche più uno yen in tasca. In quel palazzo, dove di denaro ne girava a bizzeffe, doveva apparire come un uomo distinto e che non aveva problemi in fatto di soldi… Solo una cosa lo lasciò spiazzato e quasi lo fece sbiancare, quando vide alcuni individui che pagavano per poter entrare nel cuore del locale stesso. Gli venne naturale inghiottire un nocciolo di saliva, mentre gli occhi color miele spulciavano co attenzione le mosse della gente che lo stavano precedendo. Era calmo? All’apparenza si, ma in realtà dentro di se aveva un fuoco che ardeva prepotentemente. Sentiva quella sensazione eccitante che lo stimolava ad andare sempre più avanti, dove poteva osare e rischiare sempre di più. Stava facendo un lavoretto di poco conto, almeno secondo la sua idea, ma era comunque qualcosa che andava contro le regole imposte dalla legge. A quel pensiero gli venne un leggero sorriso stampato sulle labbra, inclinando appena la testa sul lato destro e facendo scivolare un paio di dreadlocks ribelli sulla sua spalla. La mano destra si alzo, seguita dalla sinistra, andando a sistemare la cravatta che era posta con cura e ben annodata al colletto della camicia cremisi.
    Gli occhi guizzarono sulla gente, ma venne anche catturato da quella che poteva risultare una pacchiana opera d’arte che troneggiava nel luogo: la scultura dorata delle tre donne che sorreggevano un globo che aveva su una scritta luminosa, anche se fulminata in parte. Rimase in silenzio, mentre studiava quell’oggetto che era impossibile da non notare nella sala. Perplesso sollevò il sopracciglio destro, era palese che fosse un po’ dubbioso su quella “cosa”, infatti sibilò tra se e se:
    «Pacchiano è un complimento…?»
    Scrollò le spalle e si voltò per cercare di guardare verso il bancone della reception, proprio dove la gente andava e veniva. Vide Ryo che era in attesa, così anche lui si mise ad attendere il proprio turno, ma tempo poco alle proprie spalle comparve una ragazza -anche lei sconosciuta- che involontariamente andò a guardare forse con troppa insistenza. Ne studiava i lineamenti, la sua figura snella ed il faccino delicato e giovane. Morrigan era una bella ragazza, non c’era altro da dire e Raoh l’aveva ben notata. Ma in quel momento di stallo, proprio quando ormai toccava al ragazzo dal crine chiaro e la pelle scura andare alla reception, arrivò con passo sicuro e scortata da due gorilla (bodyguard) una donna. Questa aveva un portamento pomposo, era ricoperta di abiti sicuramente costosi ed i suoi capelli chiari erano come filamenti lucenti e preziosi. Bellissima, tant’è che il fotografo sbarrò per un momento gli occhi e guardò con stupore quella ragazza appena giunta. Lei era andata al banco dalla ragaza che era davanti al computer e non pagò come gli altri ospiti che arrivarono lì, bensì tirò fuori dalla borsettina quella che pareva essere la famosa busta che aveva anche il ragazzo mulatto con se, infatti istintivamente la mano sinistra si posò delicatamente sulla parte destra dle petto, dove -nella giacca- era nascosto l’invito scritto sul foglio rosso. Assimilò quella scena e la studiò per poter ripetere la stessa cosa. Ovviamente attese il proprio turno, dopo Ryo, che lasciò andare senza repliche, ma quando stava per compiere un passo verso la reception per potersi presentare, la testa si voltò verso la ragazza dai capelli rosa, Morrigan. La mano che era sul petto si abbassò sul primo bottone della giacca, accarezzandolo, mentre sul volto del trentenne comparve un sorriso stampato sulle labbra, mentre accennò un inchino ed indicò con la mano destra, aperta con il palmo rivolto verso l’alto, il bancone:
    «Prego signorina, dopo di lei.»
    Usò un tono caldo e calmo, mentre il suo portamento era elegante ed appariva proprio come un gentiluomo. Il suo accento giapponese era perfetto, anche perché la sua figura poteva tradire la sua nazionalità, ma il fotografo era nato e vissuto nella terra del Sol levante.
    Attese così di vedere la reazione di Morrigan, per poi aspettare che lei abbia fatto il suo ingresso, così da poter proseguire poi anche lui nel presentare l’invito alla ragazza posta al banco. Si avvicinò a questo e la mano sinistra si infilò nella giacca e pescò dalla tasca interna la busta nera contenente l’invito su carta rossa. Fece scivolare questa sulla lastra lucida della reception, per poi mormorare in direzione della ragazza che lavorava lì:
    «Buonasera, Raoh Barakat. Vengo per conto dei Fujiwara.»
    E si chetò, attese che fosse presente il suo nome nell’elenco, per poi essere munito di un bracciale. Gli venne spiegato dove doveva andare e difatti guardò in direzione della strada descritta dalla receptionist, mentre lui si infilava il bracciale nel polso sinistro, agganciandolo senza pensarci su due volte. Quando il meccanismo del gioiello scattò, lui rabbrividì e sentì in se un’esplosione di calore che lo fece sfarfallare alle ciglia. Gli venne da sorridere ed annuì alla ragazza come segno di ringraziamento, mentre si diresse nella zona detta pochi secondi prima. Incominciò ad incamminarsi e vedeva comunque sia a diversi metri da se, tra alcune persone che stavano venendo nel senso contrario, le figure che aveva visto poco prima nella sala dove stava attendendo il suo turno. Gli occhi squadravano con cura i tre elementi, mentre proseguiva con passo sicuro ma non spedito verso l’ascensore, attraversando quei corridoi che era enormi e colmi di decorazioni ed abbellimenti di ogni genere. C’erano addirittura delle palme presenti nel locale, infatti gli ci cadde l’occhio disse sempre sottovoce:
    «Non badano a spese.. Ci mancano i cammelli e le odalische in questa zona, poi avrebbero davvero tutto a tema.»
    E tornò a fissare avanti a se. Mentre procedeva verso l’ascensore, notò quel tappeto rosso che conduceva ad una scalinata, quella famosa che diceva la receptionist, infatti Raoh non le prese e proseguì. Durante la sua camminata passarono vicino a lui diverse persone ed altre erano ferme in gruppetto a chiacchierare, ma c’era anche qualche cameriere che passava armato di vassoio con sopra bicchieri di champagne fresco. Il ragazzo non se la fece scappare un’occasione così ghiotta, appassionato come era di alcolici,cercò di alzare la mano destra facendo cenno al cameriere di fermarsi, infatti lungo il tragitto questo si fermò e Raoh -senza fermarsi quasi- afferrò con delicatezza una coppa colma di pregiata bollicina francese, così da poterselo portare alla bocca e sorseggiare quel fresco nettare divino.
    Arrivò finalmente all’ascensore e continuò a bere con calma, senza alcuna fretta, mentre cercò di dare un’occhiata verso i presenti e dire con educazione verso tutti:
    «Buonasera. Anche voi per il ventiduesimo piano?»
    domandò e rimase a circa un metro e mezzo dalla donna misteriosa che era prima accompagnata da dei bodyguard, ora invece era da sola. Cadde l’occhio sui loro polsi, infatti ad alcuni dei presenti era ben visibile quell’oggetto che gli avevano affibbiato, forse era un segno distintivo per dire che erano partecipanti alla grande asta. Sospirò e guardò verso l’alto dove c’era la schermata che segnava i piani, così da guardare dove era l’ascensore. Nel frattempo continuava a bere lo champagne, mentre la mano libera si mise nella tasca del pantalone sul medesimo lato. Era emozionato e dentro di se il cuore gli martellava in petto, mentre i suoi occhi color miele brillavano sotto i faretti che costellavano i soffitti del casinò stesso. Da quanto attendeva una situazione così stimolante e fuori dagli standard monotoni della normale vita di tutti i giorni?

    Narrato Parlato Pensato | ID Card | LVL 02 | E100 | F20 | A25 | Q30
     
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    Morrigan O'Brien


    Avrebbe voluto soffermarsi più tempo sul cortile del casinò se la brezza leggera che incappava sulla sua schiena scoperta non l'avesse rapidamente condotta all'entrata. Ostentava ricchezza, l'edificio, ed ella cercava di catturare ogni più piccolo particolare, quasi non volesse perdersi niente. Sapeva quasi con certezza che per alcune delle persone lì dentro, lo sfarzoso casinò fosse la loro normalità, non apprezzando abbastanza la bellezza del casinò, per quanto in realtà per la stessa Morrigan risultasse un po' pacchiano.
    Non poteva dirsi estranea a quell'ambiente, lo aveva vissuto per anni, ma se ne era allontanata abbastanza tempo come per perderne l'abitudine, sentendosi disorientata al tornarci tutto all'improvviso. Donne dipinte e dai vestiti spesso un po' eccessivi erano accompagnate da uomini, curiosamente tutti di parecchi anni più grandi di loro. Se per le ragazze si potevano osservare ogni genere di colore e tonalità, per gli uomini prevaleva il nero o tinte altrettanto scure, soltanto alcuni osavano capi più colorati, che toccavano l'eccentricità.
    L'atrio sembrava quasi angusto in confronto alla hall che l'aspettava una volta superata la secutiry; le colonne reggevano un soffitto basso, agli angoli vi erano posti piccoli divani e tavolini già occupati dove riposare, e a sostituire il muro della reception vi era un enorme acquario contenenti varietà di pesci che la ragazza dai capelli rosa non aveva mai visto.
    Morrigan osservava le persone che si fermavano al banco, alcune erano lì a chiedere informazioni, altre pagavano per poter entrare, e per un attimo si domandò se non avrebbe dovuto fare lo stesso. Yamamoto però non aveva parlato di dover pagare un biglietto all'entrata, forse serviva solo mostrare la lettera per passare. In ogni caso non aveva ancora visto nessuno estrarre la peculiare busta nera che ancora riposava nella sua pochette, perciò rimase in attesa e, come lei, due ragazzi sembravano fare lo stesso. Un ragazzo dalla pelle olivastra e la chioma bianca era appostato a qualche metro da lei, fermo e con gli occhi fissi sul bancone, dava l'impressione di non voler attirare l'attenzione, ma risultando con l'effetto contrario: il completo beige distaccava dal nero degli altri uomini e la sua tonalità di pelle in contrasto con i capelli gli davano un'aria esotica. Il suo sguardo proseguì e vide gli occhi dorati di Raoh studiarla, osservarla sfacciatamente senza paura di essere beccato e Morrigan lo collegò all'atteggiamento superbo dei ricchi che pensavano d'essere impuni, e poter comprare ogni cosa, chissà forse in quel momento stava valutando qual'era il prezzo d'ella.
    Anche lui pareva straniero, pelle d’un tono più scuro a quella del ragazzo vestito di beige, e lunghi rasta legati in una coda. Arabo? Certo non si sarebbe stupita di vederne in un posto del genere. Quando lo vide voltare il viso verso l’entrata lei fece lo stesso, come molti altri in quel momento. Una donna varcò la soglia, accompagnata da due guardie del corpo, per qualche ragione Morrigan pensò che non sembrava il genere di donna che aveva bisogno di protezione, più gli altri dovevano essere protetti da lei. Era bellissima, un lungo vestito nero fasciava il suo corpo, accompagnato dallo scialle che sfiorava le sue spalle, i capelli biondi erano ornati da una vistosa clip a forma di rosa, pareva una creatura di un mondo superiore, faceva sfigurare qualunque altra donna lì presente. La vide sfilare velocemente verso il banco, superando la fila senza degnare di uno sguardo i presenti, e nessuno se ne fece un problema, troppo impegnati ad ammirarla, o troppo intimoriti per parlare.
    L’elegante signorina prese dalla sua borsetta la busta nera e la posò davanti alla receptionist, cosi che Morrigan seguì ogni passaggio in modo da poterlo replicare poco dopo. La vide consegnare la busta e prendere in cambio un braccialetto metallico, agganciarlo al polso e poi sparire nella hall. Se era diretta all'asta, sperava proprio di non dover competere con lei ed qualche articolo. Ad ogni modo, ora sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
    Attese il proprio turno e notò come il ragazzo albino, di nome Ryo, poggiava la sua stessa busta nera, riceveva il bracciale e superava le guardie, avrebbe ritrovato anche lui all'asta, ma non aveva l’aria di una persona pericolosa come la donna di prima, né dell’eleganza cupa che si aspettava dalle persone che immaginava avrebbero partecipato.
    Toccava allo sfacciato straniero, ma questi si voltò improvvisamente verso di lei, con un gesto elegante e una voce calda che parlava un Giapponese perfetto la invitò ad avanzare. Morrigan le sorrise cordialmente, aveva l’impressione che presto o tardi il mulatto le avrebbe rivolto la parola.
    ‹ Thank you. ›, e lo superò, fermandosi davanti al banco.
    ‹ Buonasera. › disse una volta davanti alla reception, estraendo dalla pochette la busta, posandola sul bancone. ‹ Morrigan O’Brien. Assisto per conto di Yamamoto. › il suo tono era calmo, non eccessivamente alto, ma nemmeno basso. Sorrise alla ragazza che le consegnò il bracciale metallico e abbandonò il bancone per indossarlo, risultava freddo sulla pelle e una volta sul suo polso sinistro non sembrava aver modo di toglierlo. Era logico pensare servissero a riconoscere chi avrebbe partecipato all'asta, ma erano troppo... elaborati per uno scopo così banale, o forse era lei troppo abituata ai braccialetti di plastica nelle zone vip dei nightclub.
    Sorpassò la security e si ritrovò anche lei nell'enorme hall che aveva intravisto dall'atrio. Al piano terra vi erano tavoli e giochi di tutti i tipi, circondavano una statua bianca, che Morrigan si fermò un istante a guardare, rappresentava tre donne intente a reggere un globo. “The world is yours” recitava la scritta al neon su essa. Le scappò un sorriso divertito per l’eccentricità del marmo scolpito e proseguì; non poté ignorare i camerieri che portavano drink nei vassoi, e quando uno le passò accanto gliene rubò uno, portando la coppa vicino al viso. Aveva un odore forte, quasi floreale e un po’ amaro, senza dubbio era uno champagne di ottima qualità ed era il motivo principale per cui voleva assaggiarlo.
    Avrebbe seguito le indicazioni della receptionist, superate le scale si sarebbe arrestata davanti all'ascensore dove, ad aspettare assieme a lei, c’era la donna dai vertiginosi tacchi a spillo —stavolta sola— e l’albino di nome Ryo.
    ‹ Buonasera... › ricambiò il saluto, poco prima di essere raggiunti dal ragazzo con i rasta, anche lui in possesso del bracciale argento che distingueva i partecipanti dell'asta illegale.
    Sorseggiava lo champagne in silenzio —non rispose alla domanda di Raoh, era abbastanza evidenti fossero tutti e quattro diretti allo stesso piano—, le iridi cremisi poste sull'ascensore, in attesa che tornasse a prenderli. Non si sentiva nervosa, né agitata, soltanto curiosa. Si domandava che tipo di articoli avrebbe visto, che cosa lei avrebbe acquistato per conto di quel Yamamoto.
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    TWISTED WONDERLAND▪▪▪ HAYATO ▪▪▪Uscendo dal bagno, Hayato avrebbe trovato Takumi seduto sul bordo del letto, gambe accavallate e sguardo fisso sullo schermo di un cellulare che gli illumivava il viso già pallido. Quando lo vide, l'uomo dai capelli viola si alzò, sorridendo, e lasciò scivolare il cellulare in una tasca che aveva sul gilet.
    «Haha~ mi fa molto piacere vederti così entusiasta.» replicò, ridacchiando appena, constatando che la divisa ad Hayato calcava a pennello. Il suo intuito non aveva ancora fatto cilecca. «Ma come ho detto, non c'è un minuto da perdere, andiamo andiamo.» disse, prima di muoversi per recuperare la chiave della stanza da un comodino.
    Nei minuti precedenti Crowley aveva sperato che ad Hayato non fosse dispiaciuto sul serio per il povero cameriere di cui aveva dovuto prendere il posto, perché lì la gente moriva un giorno sì e l'altro pure, affezionarsi a qualcuno era un po' problematico. In ogni caso, se alla recluta piacevano le sfide avrebbe avuto modo di sperimentarne una molto presto, visto che si diceva che a guardare lo spettacolo di quella sera ci sarebbe stata la Boss in persona. Nemmeno Takumi l'aveva mai vista di persona e non poteva nascondere di essere un po' elettrizzato all'idea.
    Comunque, prese nuovamente parola solo dopo essere sfociato nel corridoio, aver chiuso la porta della camera alle loro spalle ed aver cominciato a camminare lungo il lussuoso corridoio dell'hotel, sempre assicurandosi di essere seguito da Hayato.
    «Probabilmente non lo saprai, ma stiamo andando a gestire un'asta.» esordì l'uomo dai capelli viola, prima di gettare una rapida occhiata ad un orologio da polso che teneva allacciato al braccio sinistro. «Sono cose piuttosto comuni qui, da tre anni a questa parte. Io sono il banditore e tu... beh, diciamo che sei appena stato promosso a mio assistente.» spiegò, sorridendo e aumentando appena il passo. Erano proprio sul filo del rasoio con i tempi.
    «Ora andiamo a dare una controllata veloce alla merce, per assicurarci che sia tutto a posto ed anche perché non vorrei farti rimanere sotto shock quando tirerai giù i teli sul palco.» ridacchiò, rivolgendo un'occhiata al ragazzo. Era indifferente che Hayato avesse deciso di camminare alle sue spalle o al suo fianco, Takumi non era così fissato con gerarchie e rispetto quanto i suoi capi, ma sapeva adeguarsi più o meno a tutte le situazioni.
    Proseguendo lungo il corridoio, Crowley si fermò una volta raggiunto un ascensore. Una lieve pressione sul pulsante per chiamarlo ed ebbe modo di scoprire con grande piacere che l'ascensore fosse già lì pronto ad attenderli. Invitò Hayato a salire e, se lo avesse fatto, lo avrebbe seguito a ruota.
    Una volta sopra, Takumi si piazzò davanti alla pulsantiera, estrasse dal gilet una tessera molto simile ad un badge e ve la passò sopra, allo stesso modo di quando si paga con la tecnologia contactless in un negozio. Armeggiò un attimo, e sì spostò. Le porte dell'ascensore si chiusero, ed un piccolo monitor - non più grande dello schermo di un cellulare - posto sulla cima della pulsantiera indicò che erano diretti al piano trentasette. Cosa un po' particolare, visto che i pulsanti per i clienti arrivavano fino al numero 35.
    Crowley non disse nulla, aveva detto ah Hayato che volendo avrebbe potuto fare domande. Non aveva mica detto che gli avrebbe risposto di sicuro, dopotutto.
    L'ascensore ci mise meno di due minuti ad arrivare a destinazione, ed una volta che le porte si aprirono di nuovo, Hayato avrebbe potuto constatare di trovarsi in un ambiente completamente diverso dal corridoio illuminato dell'hotel. La porta dell'ascensore dava sempre su un corridoio, ma stavolta dal soffitto proveniva una luce violacea, ed a terra c'era un tappeto rosso, seppur sotto la luce pareva quasi nero. Vi era lo stesso numero di porte che vi erano sul piano che Hayato aveva visitato poco prima, ma adesso erano porte blindate, ed in più faceva dannatamente freddo. Come se qualcuno avesse abbassato scordato di accendere il riscaldamento.
    «Benvenuto nei magazzini.~ Puoi essere stupito se vuoi, ma no. Non li teniamo sottoterra.» esordì Crowley,uscendo dal cabinato dell'ascensore, inoltrandosi nel corridoio. Percorse una decina di metri, fermandosi davanti ad una delle tante porte, trafficò di nuovo con il badge, e la porta designata si aprì con uno scatto secco. Crowley la sospinse, ma appena la porta si socchiuse qualcosa lo fece bloccare d'istinto.
    C'era la luce accesa.
    Un intruso? No, impossibile. Nessuno sapeva. Ed era sicuro di aver spento la luce quando Hiro si era fatto male e l'avevano portato via di lì. Senza pensarci oltre, spalancò la porta, entrando nella stanza, facendo cenno alla recluta di seguirlo. Anche se ci fosse stato qualche problema al massimo avrebbe solo dovuto evitare che Hayato non si facesse male; al resto ci poteva pensare lui. Chissà che quirk aveva poi il ragazzo, si era dimenticato di chiederlo a sua sorella.
    La scena che si trovò davanti, tuttavia, fu peggiore di qualsiasi cosa sarebbe potuta succedere se ci fosse stato un intruso. In realtà, era quasi tutto apposto. Quasi tutto, tranne un minuscolo dettagli.
    Una luce giallognola illuminava una stanza col pavimento in legno, il soffitto lontanissimo, e tantissimi scaffali pieni di scatole e altre cose coperte da teli bianchi. Un vero e proprio magazzino, non troppo diverso da uno di quelli che si vedono nei negozi d'immobili. C'era solo... un telo, che copriva qualcosa di più grosso della media, sollevato per metà: al di sotto, si poteva intravedere una gabbia, le sbarre di metallo, ed al suo interno un... ragazzo, capelli color paglia, due antenne che spuntavano in mezzo ad essi ed una specie di mantello sulla schiena. Aveva indosso una tunica bianca e si stringeva le ginocchia, rannicchiato in un angolo, al buio. Al collo e ai polsi aveva degli anelli di metallo. Eppure gli occhi di Crowley non erano fissi su di lui, ma sull'altro uomo, quello dai capelli neri, lunghissimi e con un vistoso kimono rosso scuro indosso, che stava accucciato davanti alla gabbia con le mani strette sulle sbarre, come se stesse cercando di parlare con il ragazzo all'interno.
    Quello che, appena percepì entrare qualcuno volto il viso in direzione dei due nuovi venuti, per sorridere loro, come se fosse normalissimo che si trovasse lì, quando lo sguardo sgranato di Crowley diceva tutto il contrario.
    «Oh. Crowley. Che ci fai qui?» mormorò quello. Aveva un tono di voce stranamente dolce e pacato.
    Quasi melodico. Crowley stese un braccio davanti ad Hayato, implicito messaggio di rimanere dietro di lui.
    «Questo dovrei chiederlo io.»
    Della tensione, invisibile, si era appena posata, come un velo, in quel sottile tratto d'aria che separava i due che si erano appena scambiati uno sguardo. L'uomo col kimono sospirò, come fosse afflitto, e volse di nuovo lo sguardo verso la gabbia.
    «Stavo provando a convincerlo ad aprire le ali, ma non mi ascolta.» disse, inclinando appena la testa.
    «Certo che non ti ascolta. Forse lo avrai spaventato a sufficienza, non credi?»
    «Io l'ho spaventato? Forse quello l'avete fatto voi a forza di trattarlo come un animale, non credi
    Davvero, la tensione si tagliava con un coltello. Eppure l'uomo con i capelli neri non distoglieva lo sguardo dal ragazzo dietro le sbarre. La voce di Crowley si fece improvvisamente tagliente.
    «Beh, è quello che è. — impercettibile, all'interno della gabbia, il ragazzo ebbe un sussulto, e si strinse ancor di più nelle spalle, come se desiderasse sparire. — Ti conviene andartene prima che Xander scopra che sei qui.»
    L'uomo lo ignorò, e si alzò in piedi, rivelandosi molto più alto del previsto (forse superava il metro e novanta, ma il fatto che il kimono lo coprisse da capo a piedi rendeva davvero difficile quantificare), lasciando il telo sollevato.
    «Xander... non può sfiorarmi nemmeno con un dito, senza di me è spacciato e lo sa benissimo. — disse, prima di muovere qualche passo verso di loro ed indicare Hayato. — Lui chi è?»
    L'uomo era strano, aveva un'aria un po' trasandata, ma era indubbiamente attraente, partendo dai lineamenti del viso, alla sua pelle di porcellana e quegli ipnotici occhi rossi.
    ▪▪▪ RYO ▪ MORRIGAN ▪ RAOH ▪▪▪Non che fosse chissà che novità, ma Junko era furiosa. Nervosa e dannatamente irritata. Possibile che mai una cosa andasse per il verso giusto? Non aveva fatto tutta quella strada, portandosi dietro persino due dei novizi dell'Eden, solo per scoprire che Billie non aveva ancora intenzione di risponderle.
    Apparentemente, l'aveva bloccata. Di nuovo.
    Certo, probabilmente era anche in parte colpa sua che lo stressava di continuo, ma figurarsi se lei era pronta a realizzarlo, orgogliosa com'era. Soprattutto, non dopo aver sottratto l'invito all'asta prima che Billie lo vedesse per potersi presentare lì al posto suo. Lo aveva fatto in buona fede: sapeva che quella sera il mondo criminale sarebbe stato in subbuglio, probabilmente si sarebbero trovate riunite talmente tante personalità eccentriche in una sola stanza che c'era da averne paura. Figurarsi se Blank si sarebbe fatto sfuggire un'occasione così ghiotta. Lui che era un collezionista, poi.
    Junko non l'aveva affatto perdonato per aver ucciso sua madre, e non lo avrebbe fatto mai: dovendo scegliere, però, preferiva essere lei a vedere la sua odiosa faccia d'ebano piuttosto che costringere Billie a farlo.
    Junko credeva che interiormente soffrisse più di quanto esternasse, altrimenti – si diceva – non avrebbe mai cercato di rimettere in piedi il locale per tener vivo il ricordo della Madame. Purtroppo per lei, non poteva permettersi di far scoppiare un casino all'interno del territorio di Aogiri quindi avrebbe messo l'odio da parte per una sera, confortandosi col pensiero che gli avrebbe spaccato la schiena un altro giorno. A Blank e a quella smorfiosa di sua sorella che aveva avuto il coraggio di sposare quell'uomo. Era convinta di esserne capace, anche se... al momento non l'aveva ancora visto e c'era la possibilità che fosse tutta una sua enorme proiezione mentale. E poi beh, In caso non fosse andata come previsto, avrebbe cercato di soffocare la sua rabbia con altra rabbia.
    Magari concentrandosi sul fatto che suo marito non le stesse rispondendo, quando lei aveva provato con i messaggi normali, con Qmail e con tutti i social network di cui disponevano entrambi.
    Che faccia tosta, nonostante Junko glielo dicesse di continuo che in quanto Vice avrebbe dovuto avere un po' di riguardo perché era bene che stessero sempre in contatto. In ogni caso, pochette alla mano e cellulare stretto nell'altra, di fronte all'ascensore, Junko stava aggiornando la barra delle notifiche in modo quasi maniacale, nella speranza di veder comparire - da un social o da un'altro - una risposta di Billie.
    L'atmosfera del casinò era rimasta la stessa di quando c'era stata l'ultima volta: ghermito di persone drogate di gioco d'azzardo e altre porcherie. Se soltanto avessero saputo che sfogando a quel modo le loro frustrazioni contribuivano all'accrescere del potere della peggior organizzazione criminale della città. Beh, non che Junko si sarebbe fatta in quattro per dirglielo, mica aveva il diritto di parlare: riteneva solo che gli spettacoli dell'Eden fossero più entusiasmanti di tutta quella roba pacchiana di cui riempivano i tavoli.
    No, il modus operandi di Aogiri non la faceva impazzire, seppur non fosse tanto diverso da quello della Madame. Ma la Madame era la Madame! Aogiri sembrava un covo di malati di mente e clown. Con quegli stupidi giochi di parole che si divertivano a piazzare in bella vista come se nessuno sapesse l'inglese. Junko ci aveva messo un paio di visite a capirlo, domandandosi perché mai non aggiustassero la lettera Y della scritta a neon che circondava il globo sorretto dalle statue di marmo, solo per realizzare, un po' più tardi, che fosse volutamente spenta, perché a quel modo il significato della frase cambiava, e drasticamente: da "il mondo è vostro" a "il mondo è nostro"; ed a quel modo le sue antipatie si erano consolidate.
    Egocentrismo dell'Albero a parte, l'asta lo riguardava solo in parte. Finché avessero venduto quello che gli interessava bastava non pensarci.
    Junko alzò lo sguardo verso l'ascensore. Era stata un briciolo sfortunata, aveva perso la corsa precedente per un soffio ed ora le toccava aspettare, e stare fermi in piedi con quei tacchi a spillo era terribile pure per lei che c'era abituata. Si convinse a mettere via il cellulare ed incrociò le braccia poco sotto il seno.
    Poi una voce la distolse dal flusso dei suoi pensieri. Junko tentò d'ignorarla, ma tempo pochi secondi che altre due s'aggiunsero al coro ed a quel punto la donna si voltò appena, rimanendo con la schiena dritta e ritrovandosi a squadrare un trio piuttosto bizzarro: due ragazzi dalla pelle color caffè-latte, uno con i capelli bianchi, l'altro con i capelli scuri e rasta, ed una pallida giovane dalla capigliatura rosata.
    La vice dell'Eden Thorns li fisso per qualche istante, prima di decidere che, no, non li conosceva. E che probabilmente non meritavano la sua attenzione, ma la domanda del ragazzo più alto gli fece spuntare in viso un sorrisetto di chi ha più o meno capito chi o cosa ha davanti: carne fresca.
    «Ah? Ma cosa sei, un novellino? — rispose subito, rivolta al ragazzo con i rasta, tono un po' di scherno, ma troppo scocciato per essere definito cattivo. — Per di qua si va solo al ventiduesimo piano.» disse, come fosse ovvio, prima d'ispirare a fondo, neanche stesse annusando l'aria come un animale. Un predatore.
    Il suo sguardo scivolò lentamente sui polsi dei tre ragazzi: avevano il bracciale argenteo e Junko non li aveva mai visti, il che poteva significare solo una cosa.
    «Heh! Ma non mi dire. Non uno, ben tre novellini. — commentò, per poi soffermarsi a guardare Ryo, giusto un attimo più a lungo degli altri. — Tranne tu. Vero?» sogghignò, indicandolo, senza tuttavia approfondire le implicazioni dietro quella frase. Forse era certa che qualunque cosa intendesse il ragazzo l'avrebbe capita da solo.
    In quell'istante l'ascensore che ora si trovava alle spalle della donna dai capelli biondi, che si era voltata per parlare con i tre, si aprì con il tintinnio tipico con cui gli ascensori avvisano di essere pronti per essere usati, e le sue porte si aprirono. Al suo interno non c'era nessuno. Junko lanciò uno sguardo alla cabina dalle pareti color legno ed illuminata da una calda luce gialla, ma prima che anche uno dei tre ragazzi potesse muoversi verso l'immobile, Junko vi ci si parò davanti, sbarrando l'entrata con un braccio.
    «Come vi chiamate?» chiese. Era strano come il ghignò ancora non svanito dal suo viso no stonasse affatto con i lineamenti delicati del suo colto. Junko era particolarmente interessata a conoscere i "suoi" nuovi ospiti. «Ditemelo e vi lascio passare.»

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    Annuì vistosamente col capo, quando Takumi gli disse che dovevano muoversi e che non c'era minuto da perdere. Si sistemò soltanto i capelli per un'ultima volta, mentre si dirigeva insieme all'artificiere verso l'uscita dell'appartamento, e decise di lasciare lì la valigetta che si era portato dietro: oltre ad essere abbastanza ingombrante, sarebbe probabilmente risultato fuori luogo trascinarla con sé per tutto l'albergo.
    Ascoltò attentamente Takumi, mentre questo decise di schiarire le idee ad Hayato circa il ruolo che avrebbe assunto da lì a poco tempo dopo.
    «Un'asta?»
    Domandò, retorico.
    «Che idea simpatica, la trovo un'iniziativa davvero carina.»
    Commentò, sollevando gli angoli della bocca in un sorriso gentile, dolce, mentre avanzava il passo con la stessa velocità con cui lo stava facendo Takumi. Quest'ultimo, poi, gli spiegò che gli avrebbe mostrato la merce, prima di salire sul palco, per evitare che potesse finire sotto shock. Hayato assottigliò lo sguardo in un momento impercettibile, quando Takumi avrebbe distolto gli occhi da sé, come per ragionare sul motivo per cui avesse detto qualcosa del genere, facendo attenzione a camminargli un passo dietro. Durò giusto un attimo, comunque, prima che Hayato riprendesse di nuovo la sua solita parlantina.
    «Non preoccuparti, Crowley, di solito non sono facilmente impressionabile. Al contrario, trovo questa faccenda sempre più intrigante~»
    Gli rispose, come per rassicurarlo, continuando a mantenere sul volto la sua solita espressione felice; così felice che a furia di sorridere le guance chiusero quasi del tutto gli occhi.
    Entrò nell'ascensore senza fare storie, per poi veder accadere qualcosa di ambiguo: su un monitor apparve un numero maggiore rispetto al massimo dei piani indicati. Scrutò Takumi con la coda dell'occhio e, istante dopo istante, Hayato non poté fare a meno di pensare che quella faccenda iniziava a puzzare. Era quasi evidente, ormai, che l'artificiere non fosse stato totalmente onesto, con lui, eppure il biondino decise in ogni caso di non fare domande: non voleva risultare impaziente né ansioso, la verità probabilmente gli sarebbe stata nota da lì a poco.
    I due si ritrovarono in un corridoio scarsamente illuminato, per terra un tappeto rosso rendeva l'atmosfera ancora più tetra e misteriosa, insieme ad un lungo corridoio costellato di porte blindate.
    «Non ero mai stato qui, sai? Immagino che per le Reclute non sia un'area facilmente accessibile.»
    Rispose a Takumi, facendo riferimento al fatto che per arrivare fino a quel piano fosse necessario un badge che quasi sicuramente non sarebbe potuto finire nelle mani di un novellino così facilmente.
    Vide l'artificiere un attimo sorpreso, quando si accorse che la porta presso cui si erano fermati conduceva in una stanza dove c'era una luce già accesa, e che di conseguenza lasciava ben trasparire il fatto che dentro ci fosse già qualcuno.
    Seguì il banditore all'interno, finché i due non si ritrovarono in una sorta di magazzino.
    Un magazzino abbastanza normale, tutto sommato.
    Se non fosse stato che ci fosse un gabbia con dentro una persona.
    Le palpebre di Hayato, solitamente socchiuse, si divaricarono lentamente, come per costringerlo a stupirsi di ciò che i propri occhi stavano vedendo. Era entrato da poco nell'organizzazione e non aveva avuto modo di assistere alle aste di cui gli aveva parlato prima Takumi, per cui non aveva idea che probabilmente la merce fosse rappresentata da esseri umani.
    Sulla testa dello sconosciuto si sembravano dipartire due... antenne? Da quella distanza riusciva ad intravederlo in maniera alquanto indistinta. Era di quello che si trattava? Un'asta in cui venivano vendute persone?
    Se gli occhi di Hayato si erano dapprima fissati sul ragazzo nella gabbia, quelli di Takumi si concentrarono su un altro soggetto. Un uomo alto, dai lunghi capelli e dagli ipnotici occhi rossi: difficilmente poteva dirsi che non fosse un individuo affascinante. E, altrettanto difficilmente, Hayato sarebbe potuto immediatamente arrivare al fatto che, forse, si era ritrovato davanti ad uno degli esponenti maggiori di Aogiri, dal momento che non aveva mai avuto modo di vedere di persona affiliati di così alto rango.
    Si limitò, quindi, ad ascoltare in silenzio lo scambio di battute tra Crowley e l'altro uomo e, anche se avesse voluto muoversi, non avrebbe potuto farlo, dal momento che Takumi gli aveva prontamente allungato un braccio davanti, come per dirgli di star fermo.
    L'aria diventò via via sempre più pesante e la tensione si sarebbe potuta tagliare con la punta di un coltello.
    L'artificiere sembrava essere sempre più infastidito, mentre dall'altro lato l'uomo dai lunghi capelli neri si dimostrò costantemente imperturbabile, come se fosse intoccabile, finché poi alla fine non si alzò in piedi e non si riferì direttamente a loro due.
    «Salve~»
    Lo salutò Hayato, con tono melodioso. Non sapeva esattamente se a Takumi avrebbe fatto piacere il fatto che avesse preso parola, ma il biondino era abbastanza certo che in quel momento fosse importante cercare di distrarre i due e impedir loro di aggredirsi l'un con l'altro.
    «Mi chiamo Hayato Ono. Molto piacere di conoscerla~»
    Continuò, piegando le labbra in un sorriso dolce.
    «Devo aiutare Takumi con l'asta e mi aveva portato qui per dare un'occhiata alla merce, sa, per evitare che potessi mostrarmi sconcertato o insicuro e, di conseguenza, fare una pessima figura a tutti. Credo che nessuno lo vorrebbe, dico bene?»
    Domandò, retorico, ma senza muoversi da dov'era. Non avrebbe oltrepassato la linea demarcata dal braccio di Crowley, non gli avrebbe disobbedito.
    «Le dispiace, quindi, se ci avviciniamo alla gabbia? Vorrei vedere meglio cosa c'è all'interno. Sono sicuro che avendo una conoscenza migliore della materia riusciremo tutti a svolgere il compito egregiamente~»
    Tentò di assumere un tono quanto più spensierato e gentile possibile, in modo tale da smorzare la tensione generatasi nell'aria da qualche minuto.
    «Posso permettermi di chiederle chi è lei, invece?»
    Non si permise di apparire arrogante o sfacciato, dato che si trovava davanti a qualcuno che aveva da lì a poco affermato che Xander in persona sarebbe stato spacciato senza di lui. L'idea che quell'uomo potesse essere un esponente di Aogiri iniziò a prender forma tra i pensieri di Hayato, eppure non aveva ancora ancora la certezza che potesse trattarsi - forse - dell'effettivo rivale di Xander, se così poteva definirsi.


    Hayato Ono
    LV. 3
    Energia: 175
    Forza: 70
    Quirk: 71
    Agilità: 9

    Danni: //
    Tecniche utilizzate: //
    Equipaggiamento:
    ► Maschera antipolvere [Difensivo]. Filtra l'aria e la purifica da qualsiasi genere di scorie [Annulla danni lievi provenienti da Gas Soporiferi/Velenosi] [Filtri: 2, Durata: [1/3] Role]
    ► Shuriken [Offensivo]; Danno: Medio; Durata: [1 role, se usato].


    Edited by .Dim - 27/5/2020, 10:27
     
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    Fino a quel momento, andava tutto bene. Era riuscito a passare quella specie di controllo di sicurezza senza problemi, risultando solo uno dei tanti ospiti che si accalcavano quella sera per acquistare merce dalla dubbia provenienza. Non notò gli sguardi dei due ragazzi che si era poggiati su di lui in precedenza, visto che la sua attenzione era stata totalmente assorbita da quella donna così eccentrica. Si sarebbe probabilmente divertito ad osservare il teatrino che Raoh aveva allestito per fare bella figura con la ragazza, era un qualcosa che gli portava sempre un sorriso sul volto, ma procedeva spedito verso la hall e non voleva perdere tempo. Aveva sentito che quello l'aveva fatta passare, pensando a che tipo di persona fosse e se avesse qualche intenzione particolare dietro quella gentilezza. Confrontandosi quindi con la gente che in quel momento si stava probabilmente divertendo molto più di lui, rifiutò come già detto gli alcolici. Non era un gran bevitore e se doveva dire la verità, non apprezzava particolarmente il gusto che gli lasciavano in bocca. Avrebbe apprezzato molto di più trovare un calice di aranciata o qualcos'altro che non lo facesse sembrare un idiota che faceva smorfie mentre beveva. Avrebbe fatto decisamente meglio a non sembrare troppo nervoso e prendere qualcosa come facevano tutti, ma quella parte del suo piano da infiltrato non riuscì a raggiungere i suoi pensieri. Arrivò quindi di fronte a quell'ascensore a cui guardia c'era la donna proveniente dall'Eden, aspettando un attimo per premere il testo e tornare indietro. Per fortuna non sembrò azzannargli la mano come aveva immaginato facesse considerata la sua aria irritata, ma invece di salutare solo lei si trovò a dare il benvenuto ad altre due facce semi-conosciute. I due che aveva osservato per poco erano alle sue spalle, costringendolo a girarsi per evitare di parlare con un muro. Guardandoli meglio, uno era un ragazzo che sembrava uscito da una qualche favola arabica, un principe od un sultano in cerca della sua principessa attraverso il deserto. Era altissimo, almeno dal punto di vista di una persona alta quanto Ryo, forse anche più alto di Yuya e Yami. I capelli pettinati in quel modo erano un'ulteriore aspetto curioso riguardo il suo aspetto, visto che il ragazzo dai capelli bianchi non aveva mai conosciuto qualcuno con i rasta. Era forse strano dirlo considerata la sua età, ma non era proprio un look che si poteva trovare tutti i giorni. La ragazza pallida e dai capelli rosati era decisamente carina, non poteva negarlo, e quella gradazione di colore di capelli era decisamente piacevole. I suoi occhi poi...avevano una gradazione così curiosa, era veramente uno strano assortimento di geni quello presente in quello spazietto. Anche il suo vestito era decisamente ben fatto, ma gli sembrava diverso e più fine della semplice pomposità che volevano trasmettere le donne dentro al casinò. Era alta più o meno quanto lui, cosa che gli permetteva di non dover alzare la testa come un bambino che ammira un aeroplano per scorgere i suoi particolari, al contrario di Raoh. Non rimase molto su nessuno dei due, non voleva sembrare un guardone, più che altro cercando di capire come mai persone del genere si trovassero lì verso quella strana asta. Si aspettava che a quell'evento partecipasse...più gente come la donna che era di fronte alle porte dell'ascensore. Forse neanche loro erano di quell'ambiente?
    A confermarlo fu forse la domanda dello spilungone, a cui Ryo non sapeva se rispondere o meno. Doveva dare confidenza a quella persona? Era meglio sembrare più anonimo possibile? O forse stava solo sembrando una statua? Passò un secondo che gli sembrò lunghissimo e pensò che era meglio rispondere subito, ma fu anticipato da quella donna bionda che sembrò godere nel sapere più di loro. Gli faceva quasi ridere quella parola, come se fossero appena entrati in un ordine di malefici Villain che si radunavano come in una setta. Un novellino...sì, probabilmente sia lui che quel ragazzo non avevano mai partecipato a cose del genere. Finì solo per incrociare lo sguardo del ragazzo ed annuire alla domanda di Raoh mentre teneva le braccia conserte, con Junko che sembrava in procinto di continuare quel discorso. Osservò la donna e fu quasi divertito dal fatto che li chiamasse ancora in quel modo, facendo notare in quel momento che effettivamente tutti e quattro avessero quel bracciale al polso. Si chiedeva come potesse sapere che non erano mai stati lì, forse c'era una qualche differenza tra i loro bracciali? Oppure semplicemente conosceva tutti e capiva che loro lì non centravano niente? Perlomeno con quell'aggettivo erano stati in un certo senso "accolti" dentro quel circolo, ma il suo commento verso di lui lo bloccò per un istante. Non andava bene. Lo aveva riconosciuto? Generalmente, quella brutta sensazione di venire colto dai propri pensieri e venirne quasi travolto non gli capitava da anni. Non faceva quelle cose da tanto tempo, era facile vivere come un pasticcere e senza che nessuno questionasse la tua identità. In quel momento però, era tornato di nuovo in un criminale che doveva fare attenzione ad ogni angolo per capire come cavarsela o meno in quelle situazioni. Ryo aveva una faccia neutrale in quel momento e non sapeva se rispondere o meno a quell'affermazione. Forse era meglio ignorare totalmente quelle parole, sì. Cosa avrebbe dovuto rispondere, altrimenti? Una battuta sagace? Non era capace di pensare a quelle cose in così poco tempo. Dirle "Sì, sono io. Quello che evita di far scoppiare bombe in centro a Tokyo nel tempo libero." non era il caso. Però restare in silenzio significava fare il finto tonto, cosa che non gli piaceva interpretare.
    « No...anche per me è la prima volta qui. » - Rispose calmo, guardando la donna con gli occhi verdi. Un po' si pentiva di aver parlato, ma si chiedeva se lo confondesse con qualcuno. Se intendeva veramente qualcosa riguardante l'asta, si chiedeva se ci fosse un altro ragazzo albino e dalla pelle scura che comprava fegati umani durante quelle aste. Strinse la mano attorno al proprio braccio, prima di ascoltare il tintinnio dell'ascensore che arrivò come una campana divina. Quella conversazione si era fatta più misteriosa e pesante ed avrebbe volentieri evitato un viaggio di qualche minuto accanto a quella bionda, ma perlomeno se ne sarebbe potuto scappare da qualche parte dopo essere arrivato sopra. Pensò per un attimo alla possibilità che quei tre gli mettessero i bastoni tra le ruote, considerato che non conosceva l'entità degli articoli. Non voleva combattere contro persone per acquistare articoli in vendita, ma probabilmente era inevitabile ad un evento del genere. A bloccare l'accesso al ventiduesimo piano era però proprio quella strega in abiti belli, finalmente assumendo il suo ruolo da gargoyle guardiano sogghignante. Porse una domanda molto semplice tanto quanto era personale. I loro nomi? Perché voleva saperli? Era una di quelle vecchiette che non potevano non farsi gli affari dei nuovi arrivati nel vicinato? Non che gli interessasse particolarmente non rivelare il suo nome, dopotutto lo aveva appena fatto alla reception. Forse era ingenuo e non riusciva ad intravedere i pericoli in quel gesto, ma in quel momento voleva solo passare. Quasi sbuffò, prima di rispondere a quella donna dal sorriso minaccioso.
    « Ah...questa non me la aspettavo. Ryo, comunque. » - Avrebbe pronunciato, prima di piegare di poco la testa di lato come se fosse molto confuso dal gesto di Junko. Avrebbe piegato un sopracciglio, sperando che la donna lo facesse passare e che gli altri due non fossero testardi od in qualche modo si rifiutassero di dirle il nome. Era piuttosto sicuro che non potesse prendere in ostaggio un intero palazzo solo perché voleva sapere le loro identità, però con quelle persone gli sembrava la scelta più corretta accontentarle. Gli sarebbe piaciuto molto chiederle chi diamine fosse lei, da che lato fosse schierata, se era veramente dell'Eden e stava pianificando una qualche vendetta contro di lui. Era abbastanza sicuro di essere tranquillo fintanto che si trovava in mezzo a quella gente così ricca, quindi poteva stare tranquillo per ora. Avrebbe però lasciato la curiosità agli altri due, in caso: farle troppe domande non avrebbe di certo aiutato a non farlo ricordare. Sperava che dopo quell'interrogatorio li avrebbe fatti passare, non si voleva perdere il compito che gli era stato assegnato. E sicuramente aveva più paura di Yuya arrabbiato che di quella donna bionda che non conosceva.
     
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    Aaah, quella serata piena di eccitazione e tensione si stava evolvendo secondo, dopo secondo. Proprio quando tutti gli elementi che erano alla reception si erano ritrovati all’ascensore, sembrava che si fosse mutata in una scenetta tra il comico ed il terrificante. Junko poteva essere bella, affascinante, ma aveva quel carattere così difficile da tenere a freno, anzi, sembrava sapere il fatto suo e lo dimostrava con la sua superbia e freddezza che stava rivolgendo al trio di Novellini. Si, quella donna aveva adocchiato i tre proprio per colpa di Raoh, dove quest’ultimo aveva fatto una domanda per rompere il ghiaccio, ma sembrava aver rotto le catene dei cancelli che conducevano all’inferno..Infatti aveva appena dato la libertà di parola e di agire alla donna che si era voltata proprio verso il ragazzo e il resto degli astanti.
    Raoh inizialmente si irrigidì nel corpo, mentre teneva la coppa di champagne stretta nella mano e solo dopo una manciata di secondi l’avvicinò alla bocca, mentre gli occhi color miele si nascosero un momento dietro le palpebre. Durante il primo sorso gli venne da emettere un lieve sospiro dal naso, mentre nella testa iniziò a frullare qualche pensiero che era rivolto a quella situazione, mentre sentiva chiaramente di sottofondo la vocina squillante e dal tono tagliente della bionda “Oh cazzo, proprio la fica di legno dovevo stuzzicare…Maledetto me…Potevo starmene zitto?” e come se nulla fosse riaprì gli occhi ed andò a fissare la donna che se ne stava a troneggiare davanti all’ascensore che conduceva solo al ventiduesimo piano.
    Il ragazzo dalla pelle mulatta tirò su la testa dopo aver bevuto, mentre la lingua si passò tra le labbra e la sua attenzione calò per un momento su Ryo, proprio su quello che sembrava essere simile a lui, tranne per i capelli che erano decisamente diversi. Era uno sguardo quasi di scuse, come se volesse far intendere all’altro che non voleva scatenare la barboncina infuriata contro di loro. Morrigan non la adocchiò, almeno per il momento, infatti tornò sulla donna che li aveva additati come novellini. Il fotografo si limitò a sollevare appena l’angolo destro della bocca, per poi dire con tono calmo ed apparentemente pacifico, di chi non voleva scatenare rogne:
    «Almeno non dovrà vedere le solite facce, non lo pensa anche lei?»
    La buttò sullo scherzo, mentre cercò di rendersi più amichevole possibile e non destare ancor di più fastidi alla persona che stava bloccando l’accesso all’ascensore che ancora stava scendendo verso il piano terra. Sembrava di essere in una scena di un film di spaghetti Western, dove i presenti si guardavano, si studiavano e non si fidavano l’uno dell’altro, anche se Raoh sembrava in pace con il mondo e non destava tensione o paranoia in quel momento. Avvicinò la coppa di vetro alla bocca e con una sorsata finì il suo contenuto. Qualche bollicina costosa ogni tanto era gradita, infatti il corpo di Raoh ne risentì positivamente e lui soddisfatto si voltò un momento per cercare un cameriere. Proprio sulla campanella dell’ascensore, che avvisava l’arrivo della cabina al piano, uno di questi lavoranti passò con un vassoio nei pressi del ragazzo, infatti questo fece un cenno con la testa e lo fermò, così da lasciare sulla superficie nera del vassoio il proprio bicchiere ormai vuoto:
    «Grazie.»
    Mormorò verso questo, mentre tornò a guardare verso gli altri quando congedò il cameriere. Si mise entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni del completo che stava indossando, mentre gli occhi dorati si erano di nuovo piazzati sulla donna che di colpo decise di prendere possesso dell’ascensore. Spontaneamente guardò un momento verso l’alto, forse stava imprecando nella sua testa ma era meglio non indagare.. SI limitò a non rispondere sulla presentazione che fece Ryo, infatti attese il suo turno e questa volta non lasciò che la ragazza dai capelli rosa lo precedesse:
    «Sono Raoh, mi dispiace che lei abbia reagito così alla nostra presenza.»
    Sviolinò un po’ per cercare di far capire alla bionda che era un tantinello eccessivo reagire così, almeno per lui. Ma prima di accedere nell’ascensore, se fosse stata liberata l’entrata dalla presenza di Junko, avrebbe questa volta voltato la sua attenzione sulla ragazza dal vestito nero classico e la capigliatura rosa, così da fare di nuovo il galante ed educato uomo di un certo livello, anche se in realtà era un normale cittadino che guadagnava il tozzo di pane giornaliero lavorando dalle otto alle dieci ore al giorno:
    «Prego, salga pure signorina.»
    Immaginava che la bionda, essendo lì all'entrata a sbarrare la strada, fosse entrata per prima, lasciando -forse- che gli altri la seguissero a ruota. Quindi si limitò a guardare Morrigan per un istante, poi cercò di fissare il resto del gruppetto e in caso fosse stata concessa la salita nella cabina, lui avrebbe fatto da chiudi fila.

    Narrato Parlato Pensato | ID Card | LVL 02 | E100 | F20 | A25 | Q30
     
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    In un modo o nell'altro, erano particolari le persone che in quel momento, coi loro bracciali argentati, si trovavano di fronte all'ascensore, eppure, se Morrigan avesse dovuto tirare a indovinare, l'unica ad avere l'aria di frequentare quel tipo di ambiente era la donna dall'elegante abito scuro. Forse il fatto che fosse arrivata accompagnata da due bodyguard, forse il suo abito o il suo sguardo, aveva qualcosa che agli altri tre mancava.
    Ed ella si degnò di guardarli, uno ad uno per un breve secondo, nel silenzio che si era creato alla domanda del ragazzo coi rasta, a cui poi rispose prontamente. Si era sbagliata al pensare che la donna li avrebbe semplicemente ignorati, non trovandoli degni della sua attenzione, con una certa arroganza e un velo di sarcasmo, confessò a Raoh che il ventiduesimo piano era l'unico a cui l'ascensore conduceva.
    Gli occhi di Morrigan si spostarono sul ragazzo dalla pelle mulatta, come lei anch'egli aveva mostrato un attimo di sorpresa quando la bionda gli si era rivolta contro, e questa non si limitò a lui, si rivolse anche a lei e al ragazzo albino che fino al momento se ne era rimasto in silenzio, etichettandoli come novellini. Si era accorta come fossero diversi da lei? Anche Morrigan dopotutto lo aveva notato. Oppure quelle aste si tenevano molto più di frequente di quanto avesse pensato? Forse la donna conosceva già, anche solo di vista, tutti i partecipanti e loro tre non rientravano tra quelli. Tranne Ryo, fu ciò che poi aggiunse, con un ghigno malefico disegnato sul delicato viso. La donna che prima le era parsa quasi vivesse su un altro pianeta, era scesa sulla terra per infierire sui tre novellini, prima Raoh, ora toccava a Ryo, e per il momento Morrigan poteva ritenersi in salvo.
    Se c'era qualcuno tra i quattro che aveva parlato meno di lei, questo era il ragazzo dalla pelle olivastra e gli occhi verdi, che ora si ritrovava con lo sguardo della bionda e di Morrigan puntati contro. Le era parso, fin da quando lo aveva visto alla reception, che come lei non volesse dare nell'occhio, ma a differenza sua otteneva scarsi risultati. Il giovane non si scompose alle parole della bionda, esitò solo un secondo, prima di negarle. I due si conoscevano? Anche fosse stato quello il caso, Ryo non voleva farlo sapere agli altri. Pareva sincero, fino a poco fa la ragazza dai capelli rosa avrebbe giurato lui avesse la stessa inesperienza degli altri novellini, ora non ne era più così sicura, le sembrava più volesse solo apparire in quel modo.
    Anche Raoh intervenne, cercando di placare la tremenda bionda, e poi rivolgere un'occhiata all'altro come al volersi scusare, in tutto ciò Morrigan non aveva aperto bocca, né aveva intenzione di farlo, si era limitata a seguire il breve discorso in disparte.
    Un cameriere passò accanto a loro, ricordandole di avere ancora il bicchiere di champagne in mano mezzo pieno, avendo bevuto appena pochi sorsi da quando si era fermata sul fianco delle scale. Se fosse stata una persona ansiosa avrebbe finito velocemente il drink, imitando Raoh, per poi consegnarlo al ragazzo col vassoio per paura di dover se no trascinare il bicchiere con sé per il resto della serata. In una mano portava lo champagne e nell'altra la pochette, avere entrambi le mani occupate poteva essere d'intralcio, ma male che andasse poteva sempre provare a convincere il ragazzo mulatto a tenere il bicchiere per lei, se magari ci lasciava dentro un po' di bollicine.
    L'ascensore tornò al piano terra avvisandoli con un tintinnio, ma ancor prima che loro potessero pensare di entrare, la donna si spostò davanti alla porta, dichiarando nessuno sarebbe passato a meno che non rivelassero i loro nomi. L'atteggiamento della ragazza, sfacciato e quasi infantile, aveva stupito e divertito Morrigan, doveva essere di quelle persone abituate ad ottenere tutto ciò che desiderava.
    I due ragazzi non si opposero e diedero il loro nome, lei invece si domandava cosa sarebbe successo se avesse raccontato alla security del casinò che una donna si rifiutava di farli salire sull'ascensore, l'avrebbero cacciata? O magari era una persona davvero importante e a quel punto avrebbe richiamato le sue guardie del corpo e sarebbe stata lei quella nei guai. Quel giorno non era lì per proprio svago, quindi non poteva permettersi di farsi cacciare, e sopratutto era veramente curiosa di scoprire che genere di articoli fossero all'asta, quindi l'avrebbe semplicemente accontentata. ‹ Morrigan... e lei, come si chiama? › replicò per ultima, con tono cortese, chiedendo a sua volta il suo nome, sperando non pentirsene in seguito.
    Se Junko avesse lasciato l'entrata libera, Morrigan si sarebbe diretta verso l'ascensore, preceduta soltanto dall'albino e forse la bionda, siccome Raoh si sarebbe di nuovo voltato nella sua direzione, lasciandola passare per prima. Lei gli avrebbe rivolto una breve occhiata, un sorriso, e sarebbe finalmente salita in ascensore.
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