What Do You Think About My World?

Free Role | Yami & Ryo

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    Yami Dødson
    "Tell me you know what I mean You've set on me But you are not the sun"
    L'estate stava sfiorendo e un leggero venticello sibilava per le vie semivuote di Tokyo. Settembre era appena iniziato e mentre tradizionalmente questo significava il ritorno alla vita normale per la capitale giapponese qualcosa si era rotto e non sarebbe probabilmente mai tornato lo stesso. Lo specchio si era distrutto in mille pezzi, l'incantesimo era stato spezzato. Coi fuochi del Tanabata erano esplosi in stridii multicolore anche i sogni e le speranze degli abitanti del Giappone - anzi, di tutto il mondo considerato l'entità del problema.
    Non aver visto quella trasmissione significava fondamentalmente vivere sotto una roccia. Anche la Yami di quattro o cinque anni prima, scollegata dal mondo, lo sarebbe venuto a sapere. Per settimane aveva monopolizzato il dibattito pubblico, quelle immagini si erano ripetute di nuovo e ancora di nuovo sugli schermi della pubblicità delle vie del centro di Tokyo, sulle televisioni, sui video di commentari sulle piattaforme su internet. Un macabro ripetersi di un atto di terrorismo, come ripetere e ripetere e ripetere le immagini di un qualche attentato o di un omicidio fino a quasi normalizzarlo. La Finestra di Overton era stata spalancata brutalmente come da una folata in una tempesta estiva e quelle idee che all'inizio avevano scatenato odio e brutale repressione erano velocemente diventate accettabili. Le persone avevano iniziato a rifletterci: qualcuno aveva iniziato a capire la posizione di quell'Hanzo Takashi e qualcun altro era ancora più scettico riguardo alla sua posizione e aveva iniziato a cercare dati e prove. Ciò che era però davvero cambiato nella percezione delle persone a Tokyo era l'inevitabilità dei fatti, la tacita accettazione che prima o poi sarebbe successo.
    Col tempo la gente aveva smesso di pensare a quanto era successo ad Okinawa ma quella cicatrice non si era mai rimarginata, e la cosa più pateticamente divertente era che sia lei che Ryo che Daisuke erano stati dei microscopi ingranaggi in quella sequela di eventi. Al di là delle implicazioni personali però, la rivendicazione di quell'incidente aveva reso più o meno ovvia la modalità di somministrazione di quel misterioso farmaco tratto dalle farfalle. Non era una sicurezza, ma in tempi simili una possibilità era più del nulla: ricoprire il mondo o anche solo la nazione di gas avrebbe richiesto mezzi indicibili e molte persone avevano deciso di trasferirsi al termine dell'estate. Per questo le vie di Tokyo erano così tranquille e Shinagawa era quasi deserta. I business-men e le persone più facoltose non ci avevano pensato due volte, perché avevano abbastanza denaro per trasferirsi in fretta e tutto da perdere rimanendo in città. Quelle persone di sicuro non temevano di perdere la loro unicità ma la loro vita. Quel Takashi non aveva annunciato una data per la messa in atto del suo misfatto, ma aveva implicitamente minacciato che sarebbe accaduto dopo l'estate. Per questo al morire di agosto le persone avevano iniziato l'esodo per cercare di salvarsi da quell'apocalisse.

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    Yami era poggiata con la schiena al gelido muro di un palazzo. Quel giorno avrebbe dovuto avere una delle sue solite lezioni di cucina assieme a Ryo ma gli aveva scritto quella mattina dicendogli di incontrarla a Shinagawa invece che alla loro casa a Ueno. A differenza di molti altri la svedese non aveva avuto chissà quale crisi esistenziale dopo quella trasmissione, anche perché aveva avuto una vita ben più complicata per potersi permettere di preoccuparsi per una cosa simile. Quando alla Yuuei aveva cercato di disinnescare quella bomba e ogni suo gesto sembrava inutile, quando suo fratello si faceva colpire noncurante ed era lei a subirne gli effetti, quelli erano attimi di vero terrore. Si ricordava ancora di quel tizio alla scuola per eroi, e non poteva fare a meno di chiedersi il collegamento tra quel tizio e gli eventi correnti, così come la collocazione di sé stessa e della Serpe in quello che ora sembrava un piano molto più elaborato di una semplice guerra per il territorio.
    Ovviamente le parole di quel tizio non le erano scivolate addosso, anzi. Le loro visioni erano diametralmente opposte ma Yami doveva ammettere di essere l'ignorante in quel caso. Aveva comprato il libro del Dr. Takashi e lo aveva letto: per una ragazzina che non aveva praticamente finito le medie certi passaggi erano incomprensibili ma il grosso lo aveva compreso. Frammenti di Okazaki e telomeri erano concetti quasi inafferrabili per lei, ma la morte cellulare programmata e il fatto che la madre di quello studioso fosse morta (forse) per l'eccessivo utilizzo della propria unicità, questo era ciò che la terrorizzava. Se riteneva di non trovarsi moralmente nel torto nel suo ideale di un mondo dove l'utilizzo delle unicità è libero, ora temeva di essere scientificamente dal lato sbagliato.
    Gli studi a riguardo però non erano soddisfacenti e la maggior parte degli eroi non avevano mai riportato problemi con le loro unicità anche dopo anni di servizio, o perlomeno non problemi maggiori di quelli normalmente derivanti dall'anzianità. Questo però non bastava a tranquillizzare la giovane dai capelli bianchi ormai che il germe del dubbio aveva trovato una tana confortevole nella sua testa.
    Perché dovrei essere seguita?, questo era ciò che Yami non poteva fare a meno di chiedersi. Al di là della novella Eve non poteva certo dire di attirare chissà quali consensi in ETERNIUM. Yuya era chiaramente nel gruppo solo per lei, e dopo quanto accaduto col Sagrestano sembrava più fuori che dentro. Avevano festeggiato il suo compleanno assieme, erano andati al Tanabata assieme, ma ogni tanto le sembrava che quell'evento avesse lasciato una cicatrice difficilmente sanabile nel suo animo e lei non poteva fare altro che incolparsi per questo. Difficilmente lo avrebbe fermato se avesse voluto lasciare il gruppo, le sarebbe bastato non lasciasse lei. Forse per lui sarebbe stata anche in grado di abbandonare il suo sogno, almeno ora che temeva di essere in torto già solo nel pensare di provare a perseguirlo.
    Daisuke era Daisuke e sebbene sembrasse molto maturato spesso sembrava comunque più una pedina che una persona. Non era neppure colpa sua, probabilmente era stato educato in quel modo e Yami sapeva bene quanto fosse difficile cambiare davvero. Si sentiva quasi in colpa ad averlo plagiato con lo splendido inganno di una famiglia, ma cercava egoisticamente di convincersi che fosse meglio così anche per lui, che stesse meglio con loro che da solo.
    Se gli Amanti, il Diavolo e il Carro avevano almeno un egoistico motivo per seguirla, Ryo era un'incognita. La prima volta che gli aveva esposto il suo sogno - era stato il primo a saperlo - la aveva presa a male parole e l'aveva quasi derisa se non disprezzata. Era cambiato molto in quegli anni, ma era cambiata anche la sua visione del mondo? Desiderava ciò che desiderava lei? Yami non riusciva a capacitarsi della sua presenza al suo fianco. In un primo tempo, era rimasta sola per troppi anni per porsi anche solo il dubbio del perché qualcuno decidesse di sorriderle. Come un cane affamato che divora ciò che ha davanti al muso senza masticarlo, avrebbe preso qualsiasi gesto di affetto senza arrovellarsi troppo la testa a riguardo. Ora che sentiva il suo mondo si fosse ribaltato a testa in giù come l'Appeso, però, si era resa conto che non c'era nessun motivo per cui Ryo dovesse aiutarla.
    ETERNIUM non aveva fatto chissà cosa e comunque Ryo sembrava aver chiuso un grosso capitolo della sua vita, immergendosi leggermente nella melma solo quella volta che era andato a quell'orribile asta. Forse il ragazzo dai capelli bianchi non intendeva neppure aiutarla, solo darle lezioni di cucina ed oziare assieme ma l'avrebbe lasciata andare quando il gruppo sarebbe diventato qualcosa di più serio... ammesso che questo accadesse. Per ciò che ne sapeva sarebbero potuti morire tutti da un momento all'altro, o anche sopravvivendo il suo sogno si sarebbe semplicemente infranto in un mondo senza unicità. Tutti sarebbero stati egualmente banali e noiosi.
    Ciò che più temeva era che il Tatsuki la seguisse per debito. Lei si sentiva ancora in colpa per averlo fatto finire tra le spire della Serpe, ma lui poteva sentirsi in debito nei suoi confronti per averlo salvato dal Soseiji quel maledetto giorno.

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    Yami indossava una camicetta bianca come i suoi capelli, che erano raccolti in una coda legata da un fiocchetto rosso e fluiva quasi liquida sulla sua schiena. A metà del torso la seta bianca del capo era stretta sulla sua pelle dal nero dei jeans a vita alta che fasciavano i suoi fianchi e le sue gambe. Le calze bianche staccavano al colpo d'occhio i pantaloni all'altezza della caviglia dalle scarpe da skate nere che aveva ai piedi. Il suo volto era pressoché al naturale, con giusto un velo di trucco nero sugli occhi e una passata di lucidalabbra trasparente. Le sue sottili dita coperte di smalto rosso picchiettavano l'una contro l'altra mentre attendeva Ryo ascoltando della musica con le cuffiette sulle orecchie. Poggiata alla sua gamba destra, a terra, una borsa di plastica semi-vuota accartocciata su sé stessa come una natura morta. Canticchiava una canzone in inglese sottovoce: praticamente nessuno l'avrebbe sentita perché come accennato il quartiere era quasi deserto e solo ogni tanto qualche uomo d'affari si affrettava ad attraversare la strada a passo svelto. Alle sue spalle un grosso complesso residenziale tra i numerosi che erano rimasti sfollati da quel bizzarro esilio volontario.
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    Tirava un'aria diversa a Tokyo, negli ultimi tempi. Ryo non aveva mai studiato termini e teorie scientifiche particolarmente complesse o complicate, ma sapeva dalla televisione che i grattacieli formassero dei venti molto intensi in qualche modo. Per sua fortuna non aveva mai provato la sensazione dell'aria inquinata sulla propria pelle, ma c'era andato vicino. Con tutta la gente che aveva deciso di andarsene sembrava quasi di vivere in un'altra città molto più tranquilla e lenta della metropoli, che permetteva al vento di passare tra le gente e mettere freddo pure in estate. Anche il solo non doversi spingere per entrare all'interno dei mezzi pubblici era qualcosa di incredibile per il ragazzo che osservava meravigliato lo scorrere degli eventi e della propria vita. Non sapeva però quanto fosse giusto godere della calma generata dal fattaccio che aveva colpito Tokyo come una malattia invisibile, senza sintomi o complicazioni se non il terrore e la sparizione della parte più ricca della popolazione che aveva bellamente ignorato il problema.
    L'albino trovava quasi divertente e ripugnante come a rimanere lì fossero tutti coloro che non avevano alcuna possibilità di andarsene. Famiglie o single senza possibilità economiche o senza parenti al di fuori di Tokyo, NEET che volevano solo osservare lo scorrere del mondo come se questo non li riguardasse, coloro che reputavano quel messaggio su Babel una sciocchezza. Avevano tutti vissuto quel festival estivo con tranquillità, pensando che il peggio fosse passato. Quell'anno tremendo sarebbe stato lasciato alle spalle in vista di quello nuovo, ognuno sarebbe tornato alla propria vita una volta dimenticati i morti e gli scandali che si erano mostrati tra le vie di Tokyo come macabri spettacoli teatrali. Ed invece se il momento prima stava festeggiando con Daisuke quella che voleva chiamare la sua nuova vita, ora si ritrovava a pensare al suo futuro come una cosa incerta. Di nuovo. Forse era questo a separarlo dalle categorie più sopra ed includerlo più che altro in chi era quasi arrabbiato con il mondo ed i suoi meccanismi così crudeli. Lui si sentiva nuovamente rubato di qualcosa che aveva così tanto provato a conquistare. Pensava spesso quanto fosse fortunato ad essere riuscito a ritagliarsi uno spazietto nel mondo, tutto suo, che lo facesse sentire sicuro come un pulcino tra le piume della madre. In quel momento invece era stato strappato dalla propria sicurezza e sembrava che gli toccasse ancora una volta navigare da solo per quelle strade incerte.
    Cosa poteva pensare di una cosa del genere? Quel terrorista, anzi, quel gruppo di terroristi sembravano ben peggiori di chi aveva dovuto fronteggiare in passato. Ricevere quel messaggio improvvisamente sul proprio telefono era come una prova che loro potessero fare quello che gli pareva in quella città. Stava aspettando che succedesse qualcosa, stava permettendo che succedesse qualcosa alla città doveva viveva? Ryo sapeva benissimo di essere una persona incredibilmente egoista e senza alcun concetto di patria, ma a lui piaceva vivere così. Gli importava infinitamente delle persone a lui care, tanto che la sua prima reazione a quella faccenda era stata quella di arrabbiarsi. Di discuterne vivamente con gli altri membri del gruppo, di pensare una soluzione che potesse aiutare tutti ma senza arrivare a discorsi concreti. Non poteva immaginare cosa avrebbe fatto se qualcuno dei suoi amici avesse ricevuto le complicanze di quel fantomatico farmaco perfezionato da Hanzo Takashi. Come avrebbe potuto reagire alla morte di Yami? O di Daisuke? O di Yuya e di Evelynn? La possibilità che si realizzasse un futuro in cui lui viveva solo a Tokyo senza ETERNIUM lo faceva disperare, gli stringeva il petto come se una strega avesse lanciato una maledizione sul suo cuore. Non riusciva a dormire la notte con quella notizia che gli aleggiava per il cervello.
    Ryo non era più un assassino a sangue freddo. Ormai aveva qualcuno che gli sarebbe mancato, a cui sarebbe mancato. Aveva dei sorrisi che voleva tenere tali. Se al tempo stesso voleva trovare una soluzione, voleva trovare un metodo per salvare chiunque fosse caro a lui, non riusciva a pensare di tornare a quando riusciva a sentire il dolore degli altri sulla sua pelle. Cosa poteva fare per salvare Tokyo di nuovo? Sapeva che quello che avevano fatto anni prima era parte di un grandissimo schema che li aveva manipolati come burattini. Ma per lui quella era la verità, quella era la cosa giusta da fare ai tempi quando era un ragazzino confuso. Cosa era vero ormai in quella realtà che voleva eliminare totalmente ciò che era diventato? Aveva provato a pensare ad un futuro del genere, ma la sua mente pensava che l'eliminazione delle Unicità fosse troppo assurda per essere veramente attuata nella realtà. Era come se gli uomini e e le donne del passato avessero vissuto senza un braccio od una gamba. Ogni Quirk rendeva una persona unica e, nonostante volessero combattere questo fenomeno, a volte anche un posto nella società. In qualche modo, questo grande meccanismo aveva funzionato anche con lui. Lo aveva portato a conoscere tutte quelle persone che erano sì particolari, ma riuscivano a renderlo felice.
    Quando Yami gli aveva chiesto di annullare la lezione di cucina e di incontrarlo a Shinagawa, si era preoccupato. Lui si era svegliato ed aveva svolto la sua solita routine, come se nulla fosse cambiato e non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. Non doveva lavorare quel giorno ed era tranquillo, nonostante insegnare all'amica a cucinare fosse impegnativo. Ovviamente la compagnia della svedese gli faceva piacere, ma cambiare i loro programmi in quel modo dopo che avevano svolto sempre tutto con regolarità lo spaventava un po', come se dovesse fare un triste annuncio che gli poteva dire solo di persona. Inizialmente non ci aveva pensato ed anzi aveva risposto allegramente con un "OK!" con tanto di faccina, ma subito dopo aver mandato il messaggio aveva realizzato che forse qualcosa turbava il cuore della ragazza. Forse stava esagerando ed anzi lei voleva fare solo qualcosa di diverso, magari sarebbero andati assieme a comprarsi qualche bellissima macchina impastatrice per la House e si sarebbero fatti due risate di fronte ad un caffè. No, non poteva neanche pensare ad un idillio mentale dove tutto era perfetto ed andava bene. Lo aveva capito all'asta che c'era qualcosa di ben più orribile di un criminale che assomigliava ad un serpente che si metteva a fare esperimenti umani in laboratori segreti. Sembrava quasi l'inizio di una barzelletta.
    Ricordava come se fosse accaduto la notte prima quanto fosse impacciato a stare a contatto con criminali "veri" o con gente più giovane e con meno esperienza di lui. Poteva lui essere ancora utile ad ETERNIUM? Uno stupidissimo pasticcere con la passione dei videogiochi per cellulare? Con la consapevolezza che tra poco qualcosa sarebbe cambiato, era tornata come un'erbaccia infestante l'idea che lui fosse inutile. Aveva provato a controllare online notizie su questo Hanzo per sentirsi operativo, ma c'erano solo infinite ed infinite pagine di articoli clickbait sulla verità della sua ricerca, su 30MINDUSTRIES e su mille altri personaggi sospetti. Trovare vere informazioni su cosa pensasse dei Quirk era praticamente impossibile e si era dovuto ridurre a comprare una rivista, nel 2022. Chissà se quelle storie sulla sua vita erano vere o era solo un criminale megalomane che voleva attirare la pietà dei più sensibili. Il fatto che qualcuno volesse discutere delle sue teorie era incredibile per lui. C'era veramente gente che voleva vivere senza Unicità? O erano solo finti virtuosi che avrebbero preso controllo del mondo poco dopo?
    La sua mente vorticava mentre camminava con le mani a riposare al sicuro nella giacca a vento. Camminava piano, mentre scrutava la strada semivuota di fronte a sé. Doveva davvero avere una visione così triste quando decideva di uscire? Doveva sul serio vedere il suo palazzo svuotarsi piano piano e non avere nemmeno un minimo di contatto umano dentro quella gabbia di cemento? Quella non era Tokyo, era una città piena di persone che avevano paura. E tutti avevano preso così sul serio la faccenda da doversi trasferire, come se quello sarebbe bastato a metterli al sicuro. Cosa avrebbe impedito ai cattivi della storia di passare ad un'altra città se la capitale giapponese fosse stata messa in ginocchio? Gli sembrava di tornare ad anni fa quando usciva tutto preoccupato dal Miko's come cliente. Si sentiva di nuovo arrabbiato contro un nemico invisibile che non poteva sconfiggere e che poteva attaccarlo da un momento all'altro. Forse quella sarebbe stata la sua ultima uscita, con Yami che si arrabbiava con lui dell'eterno ritardo e morto vestito in quel modo. Giacca rosso vivo con un voluminoso cappuccio, che mostrava una maglia bianca sotto decorata scarsamente da un paio di diamanti neri. Le gambe erano coperte da dei pantaloni grigio scuro, con le scarpe da ginnastica che ormai metteva in quasi tutte le occasioni. Il loro colore antracite era ormai impallidito sembrando quasi bianco in alcuni punti, segno che probabilmente doveva cambiarle al più presto. Beh, forse non era lo stile più elegante del mondo ma c'era la possibilità che avrebbe lasciato quel mondo in pigiama o mentre andava in bagno, finale decisamente peggiore.
    Allontanò quel macabro pensiero accelerando il passo. In tasca aveva il telefono ed il portafogli, che ogni tanto tastava giusto per essere sicuro di non essersene dimenticato. Nel secondo c'era al sicuro la sua carta, Il Folle. Da come gli aveva spiegato l'amica la prima ma allo stesso tempo ultima carta del mazzo ritraeva un vagabondo, un uomo smarrito. Era folle perché aveva perso la strada o perché aveva deciso di percorrere una strada lunga e dolorosa? I sentieri del destino erano invisibili ma forse percettibili se si faceva attenzione ad essi. Conducevano a Yami? Ad un altro luogo misterioso? Alla sua morte?
    Hey. - Sorrise. Tralasciando la differenza tra le loro carnagioni tra un po' avrebbe potuto candidarsi come suo sosia, visto che i capelli dell'albino stavano cominciando ad allungarsi in tutte le direzioni, quasi come una criniera.
    Tutto bene? - Il suo tono era gentile, ma non poteva nascondere un velo di preoccupazione. Gli occhi verdi guardarono la ragazza che era vestita in maniera più carina di lui. Da quando era così brava a vestirsi? Nei pochi istanti che facevano da pausa in una conversazione, non avrebbe potuto fare a meno che notare lo strano silenzio che avvolgeva la strada. Che le loro voci fossero uno dei pochi rumori che osavano squarciare quella quiete bugiarda?


    Edited by Dëlin - 9/9/2020, 10:47
     
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    Probabilmente pensare di potersi liberare di un incubo simile con la morte di una Serpe e la reclusione di un Gufo era stato un pensiero più che ingenuo, ma Yami si era ritrovata a darsi dell'ingenua sin troppe volte nella sua vita. Tra la bomba alla UA e quanto accaduto ad Okinawa avrebbe probabilmente potuto capire facilmente che doveva trattarsi di qualcosa di più grande che di una guerra tra bande, eppure non lo aveva capito o non lo aveva voluto capire. D'altro canto, anche scoprendolo cosa avrebbe potuto fare lei? Ai tempi era ancora una ragazzina incolpata dell'omicidio dei suoi genitori e con un'unicità che era già tanto il suo corpo non cercasse di rigettare. Erano molte le ombre in quella storia e molti gli interrogativi a cui non riusciva a trovare una risposta. Chi era stato a manipolarli? La Serpe? Il Gufo? Quel ragazzo svedese? Chissà, forse anche il laboratorio che voleva mandarla a distruggere c'entrava qualcosa con quella storia. La verità era semplicemente una: era stata ingenua e doveva convivere con ciò a cui la sua ingenuità aveva portato.
    Sorrise da lontano osservando il ragazzo dalla pelle scura e i capelli chiari avvicinarsi, portando la mano destra agli auricolari per fermare la musica. Everyone Blooms, una canzone uscita un paio di anni prima, si interruppe bruscamente lasciando spazio al silenzio
    Ryo era cresciuto, non c'era altro modo di dirlo. Il suo istinto materno era strambo e il fatto che si sentisse in diritto di pensare una cosa simile quando il ragazzo era anche più grande di lei era quasi di cattivo gusto, ma non poteva fare a meno di ricordarsi il loro primo incontro. La Serpe l'aveva incaricata di tenerlo d'occhio e lei lo aveva fatto, ma quando quel Raul Garrett aveva iniziato a sparargli fulmini addosso non aveva potuto fare a meno di intromettersi per difenderlo. Per difendere Ryo, il ragazzo che con la sua coda di sangue stava aggredendo un passante probabilmente senza motivo, da lei ingenuamente considerato ai tempi una distorta manifestazione di un ossessivo affetto. Per difenderlo da uno studente della UA che voleva o se non altro doveva difendere la popolazione e agire nel giusto per, appunto, giustizia.
    Per qualche strano scherzo del destino, Ryo lavorava ora in una pasticceria mentre il ragazzo della UA, ormai conosciuto come Thunderstorm, si trovava in un qualche manicomio. Yami non aveva avuto particolari interazioni con lui ad esclusione di quella volta in cui le aveva riconsegnato il suo kukri perso da Ryo durante la battaglia ma un po' le spiaceva. Nella sua figura manipolata e corrotta da un criminale non poteva che rivedere sé stessa di anni addietro in balia dei desideri di suo fratello.
    Il ragazzo dai capelli bianchi, comunque, era stato il suo primo contatto umano dopo tanti anni. Si ricordava appunto quando lo aveva preso in braccio in quel vicolo, scappando dai fulmini del bizzarro eroe-criminale. Il calore febbricitante della sua pelle, il suo respiro pesante, il suo corpo accovacciato nel suo abbraccio. Ryo era cresciuto appunto, e sembrava a malapena il povero giovane ferito che aveva salvato quella sera. Il cambiamento fisico era solo una parte di ciò che Yami percepiva, perché il grosso era comportamentale. L'indole del giovane Tatsuki si era placata nel tempo, aveva smesso di indossare la benda sull'occhio ed era diventato sempre più pacato e gentile. Quando lo aveva raccolto nel vicolo, giunti a casa, sembrava più una bestia feroce che un cane ferito. Quando lo aveva poi incontrato con la Serpe era già più ammansito, ma probabilmente cercava solo di non dimenarsi tra le sue spire per non essere soffocato più in fretta. Era rimasto una settimana in coma da ciò che sapeva, e chissà cos'era successo. La parte razionale di Yami lo escludeva, ma la sua parte spirituale e più propriamente cristiana l'aveva portata spesso ad interrogarsi su una possibile esperienza extracorporea o qualcosa di simile. La verità era che semplicemente non rivangavano spesso quell'orribile passato.
    Tutto bene Folle, e tu? - gli rispose ridacchiando mentre si toglieva le cuffie e le arrotolava tra le dita della mano sinistra per poi infilarle nella tasca dei pantaloni a vita alta - Scusa se ho rimandato la lezione ma mi sono dimenticata di fare la spesa. - aggiunse per giustificare quell'incontro, ma era chiaramente una bugia. L'atmosfera spettrale non poteva che aumentare la tensione di quegli attimi, ma il sorriso sulle sue labbra era sincero come il suo solito.
    La svedese dai capelli bianchi si chinò afferrando la busta in plastica ai suoi piedi che, sul materiale bianco, riportava il logo di un qualche konbini. Vi rovistò brevemente dentro e tirò fuori una lattina che lanciò prontamente a Ryo facendola roteare in aria. Si trattava di una lattina di alluminio di caffè freddo dalla scocca rossa e un grosso chicco di caffè nero coperto di ghiaccio sovrastato dal logo della marca. Non sapeva se a Ryo piacesse o meno ma un tempo aveva decisamente la faccia di uno che beveva caffè come se non potesse bere altro ma, come detto, negli anni era cambiato molto. Certo un tale regime alimentare avrebbe spiegato la perenne aggressività e i nervi a fior di pelle.
    Pensavo di guardare il tramonto e bere qualcosa. - disse al ragazzo indicando il palazzo alle sue spalle col pollice sinistro mentre nella destra stringeva ancora la borsa in plastica. La costruzione non era molto alta, si trattava di un edificio di semplice edilizia abitativa e consisteva in cinque o sei semplici piani. La sua forma squadrata e il telaio in cemento armato lo rendevano uno tra le centinaia — no, tra le migliaia di edifici simili presenti a Tokyo. E, come detto, era fondamentalmente vuoto grazie o a causa di quel piccolo esodo che aveva colpito la megalopoli facendo scappare gli abitanti in altre città.
    Ti ricordi quel giorno alla UA? - domandò all'amico, passando le fragili dita della mancina sui capelli per aggiustare un ciuffo dietro l'orecchio sinistro. Il ragazzo dalla pelle scura non ci avrebbe probabilmente messo molto a capire che Yami gli stava proponendo di scalare l'edificio utilizzando le loro unicità. Quel giorno la svedese era stata l'unica ad arrampicarsi sull'edificio della scuola per eroi ma lei e il ragazzo avevano valicato assieme il muro esterno del complesso. Lo aveva visto utilizzare le sue code per arrampicarsi e non aveva nulla da invidiarle.
    Non vedeva la sua unicità da molto, forse da quel giorno stesso. Difficile dire se quella proposta era frutto di noia e ricerca di svago o per preoccupazione: sapeva che la Serpe aveva armeggiato con la sua unicità ai tempi (e si sentiva terribilmente in colpa per questo, avendoglielo portato lei) e da allora il suo spirito si era placato. Yami aveva bisogno di vederlo e assicurarsi che fosse tutto ok, che ciò che quell'orribile uomo gli aveva fatto non aveva cambiato nulla.
    Gara a chi arriva primo?. - ridacchiò, per poi schioccare le dita. Una scintilla percorse il suo cuoio capelluto facendo vibrare la sua chioma bianca e ricoprendola di fiamme. Queste, da prima delle miti lingue arancioni, a debita distanza dal ragazzo si trasformarono in quattro lunghe braccia rossastre semi-solide nel loro punto culminale. Sciogliendo e incastrandosi nel cemento del palazzo le lingue di fuoco permisero alla svedese di iniziare la scalata del palazzo. Non c'era praticamente nessuno in giro per poterli segnalare e allo stesso modo anche se fosse successo avrebbero probabilmente visto polizia o eroi arrivare da due isolati di distanza e avrebbero avuto tutto il tempo per scappare. Se gli rimaneva solo poco tempo da vivere perché non viverlo al meglio?
    Arrivata in cima - poco le importava arrivare prima o meno - i suoi capelli si spensero e la ragazza atterrò sul tetto del palazzo come avesse compiuto un piccolo saltello. Una fiammella ribelle aveva incendiato il colletto della sua camicia e la soffocò tra indice e pollice della mano destra lasciando un morso di nero bruciato sul bianco dell'indumento. Portò lo sguardo all'orizzonte di fronte a lei sospirando.
    Poter usare la sua unicità quando e come voleva purché fosse nel rispetto degli altri, accettare tutta sé stessa, fare il suo dovere se sapeva di poter farlo... Questa era la via che aveva scelto dopo essersi liberata di suo fratello. La prima notte che si erano incontrati Ryo le aveva chiesto se secondo lei esisteva qualcosa per cui combattere, e lei aveva detto quello. Lottare per una società dove le unicità fossero accettate come qualità e non represse o nascoste e dove quelli come loro potessero essere accettati. Il ragazzo dalla pelle scura le aveva risposto che le unicità erano solo una maledizione e che la società era troppo corrotta per poter essere cambiata, tutto ciò che si poteva fare era distruggerla. Proprio come Yami aveva suo fratello, Ryo aveva il suo occhio come monito della sua maledizione. Eppure erano ormai anni che quell'iride era allo scoperto e visibile a tutti, così come il suo gemello era morto probabilmente senza neppure una sepoltura.
    Era cambiato molto ed erano cambiati loro, ma non ne avevano mai più parlato. Più che un elefante nella stanza quello era un kaiju in un archivio .rar. Si erano divertiti a fingere di essere delle persone normali per abbastanza tempo ormai. Avevano fatto il loro possibile per fingersi dei "come gli altri" ma nessuna recita li avrebbe tolti dal ruolo di "come loro". Persone rovinate solo dalla loro unicità, persone che avevano perso tutto senza volerlo, persone che dove gli altri avevano avuto delle scelte non avevano avuto che strade sbarrate. La domanda di Yami era la stessa, ora come quella notte di quattro anni prima. Chissà che la risposta di Ryo non fosse invece cambiata dopo tutto quel tempo che era passato.
    Cosa ne pensi del mio mondo, Ryo? - gli sorrise dolcemente mentre il sole ormai prossimo al tramonto illuminava in controluce la sua esile figura circondata da odore di zolfo.
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    La svedese fermò la musica che rimbombava nelle sue orecchie. Ryo si chiese in quel momento che genere di musica ascoltasse Yami, se i suoi cantanti preferiti fossero giapponesi o provenienti dalla sua terra d'origine. Dal canto suo ascoltava un po' di tutto, ma era talmente ignorante sulla musica straniera che non poteva nemmeno immaginare i suoni di una canzone in svedese. Lo salutò con il suo titolo nobiliare di rappresentante del mazzo, mentre posava le cuffie e si giustificava per aver rimandato il loro solito incontro.
    Non c'è male. Ah, potevi dirmelo... Voleva aggiungere altro, ma semplicemente ritenne che non ci fosse molto da aggiungere e la frase gli morì in bocca. Rispose con tranquillità, nonostante non fosse proprio in pace con sé stesso. Corrugò leggermente la fronte, mentre pensava alle parole dell'amica. Di sicuro non poteva capirla tanto quanto il suo fidanzato, ma anche l'insensibile albino poteva capire che quella era la prima scusa che anche lui avrebbe inventato per sfuggire ad un impegno. E lui faceva parecchio schifo ad inventarsi bugie. Se in un'altra situazione sarebbe stato rassicurato o tranquillizzato dal suo sorriso, in quel momento gli sembrò semplicemente che fosse un gesto di circostanza da attuare dopo quella bugia. Era anche lui così? Aveva sorriso prima solo per far sembrare che fosse in pace con sé stesso, anche se in verità aveva quasi paura di quell'atmosfera. Aveva voglia di chiederle un sacco di cose, voleva capire perché loro due fossero lì da soli. Se era successo qualcosa di brutto non poteva chiederglielo così alla leggera, se era un annuncio felice forse avrebbe rovinato la sorpresa. Quante domande che avrebbe dovuto prepararsi prima, per non rimanere in quel silenzio che sembrava volergli entrare nei timpani forzatamente. Il suo rimuginare fu interrotto da un suono di plastica che fece muovere i suoi occhi verdi proprio sulla fonte. In tutto quel turbamento non aveva nemmeno notato che la ragazza avesse quella busta ai piedi, che sembrava provenire da una delle tante attività presenti nella zona. Un gesto veloce avrebbe fatto volare una lattina per aria, facendola arrivare tra le sue mani come un gelido graal. La mise nella mano sinistra sentendo i polpastrelli congelarsi mano a mano, notando che non aveva mai bevuto quella marca di caffè in lattina. Era vero, il caffè freddo non gli era mai dispiaciuto, anche se non era sicuro di averlo mai bevuto di fronte a loro. Forse non voleva sembrare un qualche tipo di esaurito impiegato, forse non c'era mai stata l'occasione di bere una cosa del genere insieme. Chissà se lo aveva intuito in qualche modo oppure aveva semplicemente tirato ad indovinare. Lo avrebbe aperto anche subito, ma ascoltando la ragazza svedese tenne le dita ferme.
    Puntò gli occhi sul palazzo dove Yami era appoggiata, chiedendosi quanto fosse facile entrare ora che non c'era quasi nessuno in quei quartieri. Il suo cervello non pensò nemmeno per un attimo ad usare la propria Unicità fino a quando Yami non gli ricordò quella notte alla Yuuei. Annuì, mentre guardava il palazzo. Come poteva non ricordarsela? Quella era stata la serata peggiore della sua vita probabilmente. Risvegliato da un coma dopo un attacco incredibilmente potente da parte di un Vigilante elettrico. Era rimasto enormemente sollevato dal fatto che fosse finito su tutti i giornali e soprattutto rinchiuso in un manicomio. Forse, nella sua mente distorta, era divertente. Lui che era stato aggredito dopo uno dei suoi tanti attacchi di follia, era ora a piede libero e senza alcun bisogno di riguardare il passato. Si pentiva enormemente di quelle azioni, ma in un certo senso gli erano servite. Ogni tanto si immaginava uno scenario in cui non avesse attaccato Saito, quel ragazzo che non centrava nulla con tutta quella storia. Probabilmente sarebbe finito in una delle tante bande criminali che avevano fatto un enorme scalpore negli anni precedenti, nonostante lui fosse già quasi fuori dal giro. In quei momenti però non ci pensava ed aveva anche attaccato quel vecchio che lo aveva steso in qualche modo e legato. Per fortuna la svedese l'aveva salvato per la seconda volta in quella settimana, altrimenti con le sue capacità teatrali avrebbe fatto una pessima fine. Ed infine salire per infinite scale come se fosse parte del suo destino farlo, perdersi nel labirinto di aule mentre pensava che quelli sarebbero stati i suoi ultimi momenti di vita. C'era da dire che anche in quel momento non stava proprio ripensando a quando avevano scalato letteralmente le pareti, fino a quando Yami non propose quella specie di gara. Un'espressione di sorpresa apparve sul suo volto assieme ad una specie di sorriso, chiedendosi se non fosse impazzita improvvisamente o stesse solo scherzando.
    Ah Yami, aspe- - Non gli diede il tempo di finire la frase, visto che i suoi capelli avevano già preso fuoco senza neanche il tempo di rifiutare o di pensarci meglio un attimo. Venne illuminato e riscaldato dalle loro fiamme guardando la fiamma diventare sempre più viva. Si guardò attorno velocemente e nervosamente per cercare con gli occhi chi avesse potuto notarli. Non c'era in pratica nessuno, il paesaggio era così desolato da essere triste. Mentre lui perdeva tempo lei stava già salendo il palazzo. Sembrava quasi la fiammella che risale la miccia di una bomba. Non voleva farsi le scale di fretta e soprattutto non voleva essere lasciato indietro. Il vero problema era che Ryo non indossava più vestiti specializzati per la sua Unicità da tempo. Aveva smesso di comprarli perché costavano di più e non vedeva più il vantaggio di farseli fare su misura, cosa che avrebbe reso il manifestare della sua coda un po' un casino. Si abbassò leggermente i pantaloni scuri dalla parte della schiena, quanto bastava per non farsi denunciare di indecenza oltre che di utilizzo illegale di Quirk. Per sua fortuna la giacca rossa avrebbe coperto parte del suo fondoschiena. Si sarebbe concentrato un attimo, ricordandosi le sensazioni che non provava più da tanto tempo. Ricordò che la Serpe gli aveva detto che la sua Unicità influenzava il suo carattere in maniera negativa ed aveva rifiutato quella teoria. Era sicuro fosse errata, forse perché usare la propria Unicità gli dava una forte nostalgia più che la voglia di uccidere qualcuno. Una serie di quattro lembi di coda sarebbe uscita improvvisamente dal suo bacino, accompagnato dal suono di qualcosa che si strappava. Ryo cercò di snodarsi per guardare ma poteva già intuire che aveva bucato la giacca perché era stato troppo frettoloso a far uscire la coda. Era lì, con il suo solito colore osseo e l'apparente divisione in segmenti, che si muoveva piano piano come se avesse volontà propria. Non poteva vederlo ma l'occhio destro si era riempito di sangue come al solito.
    Sul serio? - Mormorò amareggiato, prima di cominciare a scalare il palazzo seguendo i "passi" di Yami. Era un po' più facile penetrare nel materiale duro ora che era stato deformato dal calore, altrimenti si sarebbe dovuto impegnare ben di più per salire. Non sapeva quanto si dovesse sforzare lei in quei movimenti, ma per lui era quasi come se stesse usando le braccia per salire. Arrivò una decina di secondi dopo la svedese, la lattina di caffè ancora in mano, usando la mano destra per aiutarsi a salire. Non era più abituato ad usarla così, ormai era una cosa che faceva in casa quando voleva afferrare qualche oggetto lontano dal divano. Quando mise il primo passo a terra notò che non si era rotta solo la giacca, ma anche parte dei pantaloni che non gli cadevano solo perché erano di una taglia fin troppo giusta. Riunì la coda sanguigna in un unico e sottile tentacolo e se la legò attorno alla vita per conservare un po' della decenza che gli rimaneva nei suoi confronti. Pensandoci, non l'aveva vista in pratica nuda anni fa? Erano sicuramente altri tempi, ora non si sentiva più di avere un Yuya alle calcagna che lo inseguiva per ogni parte del globo. I suoi primi passi sul tetto di quel palazzo erano incerti, ma si avvicinò sconsolato a Yami.
    Sei proprio matta. - Commentò, mentre la guardava fissare il cielo che ormai si colorava di colori caldi. Lo zaffiro del crepuscolo avrebbe presto rubato spazio vitale all'arancione della sera, in una lotta che era sicuro di vincere. L'aria lassù era diversa. Aveva pensato che il vento fosse un simbolo di solitudine e desolazione. E forse era davvero così, ma sopra quel tetto il silenzio era quasi lo stato più corretto della natura. Più che una città che si riempiva di fantasmi ora sembrava una di quelle belle cartoline che si regalavano ai parenti lontani. Si mise alla destra della ragazza, forse istintivamente allontanando il lato di sé che meno preferiva. Quel paesaggio... lo rendeva triste e malinconico, non sapeva perché. Era come se i suoi pensieri si liberassero e fossero liberi di circolare come ciottoli lanciati in un lago sotterraneo. Più che vera tristezza gli sembrava mancasse qualcosa che aveva perso lungo la strada per salire lì sopra. Era quasi divertente pensare che avevano appena usato le loro Unicità come se non esistesse alcuna legge per fermarli. Come se fosse riuscito a realizzare il sogno dell'amica che stava in piedi nella fredda aria della sera.
    Cosa ne pensava del suo mondo?
    Ryo la guardò per un attimo con gli occhi di colori ormai diversi, tinti dalla luce. Cosa voleva dire? Di sicuro non era un caso di megalomania e Yami non si sentiva imperatrice del mondo. L'albino intuì che intendeva quello che stavano provando a costruire con ETERNIUM, oppure parlava semplicemente della società attuale. In quel caso, non sapeva bene cosa dire. Non avevano fatto granché. In quegli anni ognuno di loro aveva pensato a sistemarsi, a ricucire le ferite che gli eventi passati avevano aperto o rimesso a nudo. Yami era riuscita a farsi scagionare dall'omicidio dei suoi genitori e si era liberata dal controllo della Serpe e del Gufo. Non sapeva quanto il suo ex gemello centrasse in quella storia, ma sapeva che se lo era lasciato indietro. Daisuke era andato in giro per il mondo dopo quell'orribile situazione, ma non poteva biasimarlo per quella scelta. Non era sensibile quanto lui ed onestamente non capiva bene i sentimenti che doveva provare nei suoi confronti. Lo sentiva come il più fragile del gruppo, nonostante eseguisse tutto ciò che gli veniva detto senza problemi. Yuya... non sapeva cosa avesse passato, ma ultimamente aveva notato anche lui il cambiamento nel suo carattere. E nonostante lo conoscesse da un pochino meno, era quasi spaventoso pensare che uno di loro se ne potesse andare di punto in bianco. Si ritrovò a ragionare più profondamente però, nel calmo silenzio in cui si erano immersi, la mano che si stava congelando.
    Ti va di sederti? - Propose, timido. Era probabilmente la cosa peggiore che poteva dire in quel momento ma... forse avrebbero ragionato di più di fronte ad una lattina di caffè, in qualche modo. Sperò che la ragazza accettasse il suo invito. Ryo sapeva che il suo difetto maggiore era dire le cose sbagliate al momento sbagliato, ma sperava che la svedese sopportasse ancora per un po' questo suo difetto. Il rivestimento del tetto era ancora caldo, ma probabilmente si sarebbe raffreddato a breve. Avrebbe aperto con uno scatto la lattina di caffè rosso, prendendone un piccolo sorso e facendo una smorfia sorpresa. Per quanto sembrasse una marca di lusso, quel caffè era amarissimo.
    Me le ricordo le tue parole, sai. Mi fa un po' ridere pensare che quella sera ti ho insultata e poi sono svenuto. - Posò la lattina di lato con un sorriso imbarazzato, appoggiando le mani sulle ginocchia. Mi piacerebbe vedere il tuo mondo Yami. Un po' è anche il mio sogno. Non... non sei più convinta? - Le chiese. Ryo temeva che quella domanda portasse a quello. Temeva che Yami non fosse più decisa come un tempo e che ETERNIUM si sarebbe spezzata una volta indebolito l'anello principale. La guardò, un po' preoccupato. Era davvero così spaventoso il pensiero che quel gruppo si potesse sciogliere?

     
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    Yami Dødson
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    Pizzicando la fiammella ribelle tra le sue dita, Yami si rese conto di quante cose erano cambiate negli ultimi anni. La ragazzina fifona che viveva nell'ombra di quell'ombra di suo fratello era cresciuta e ora avrebbe potuto attraversare l'inferno nuda e scalza. Quel fuoco non le faceva sentire nulla, a malapena aveva sentito calore sui polpastrelli. Per lei un'azione simile era come voltare la pagina di un libro sfregando la carta tra le dita. A ogni pensiero che snocciolava come i grani di un rosario una nuova domanda faceva capolino nella sua testa. Bloody Snake e il dr. Hanzo Takashi potevano avere dei collegamenti? D'altro canto lei era stata privata della sua unicità, no? Quello era suo fratello, in fondo. Un errore, una mera corruttela genetica che non sarebbe mai dovuta esistere. Che lei fosse la prova vivente di quelle "soluzioni alternative" di cui il Dottore aveva parlato? Lo conosceva a memoria ormai, quel video. Lo aveva riguardato infinite e infinite volte, cercando di capire qualcosa, di trovare una risposta a quelle domande che si ammassavano e arrovellavano tra i suoi capelli bianchi o anche solo di individuare un indizio per rintracciarlo. E poi cosa, però? Lo avrebbe ucciso? Avrebbe cercato di fermarlo? Le parole di quell'uomo erano state un proiettile scagliato ad alta velocità contro il mondo di vetro della svedese e lo avevano irrimediabilmente frantumato, ma poteva forse lei arrogarsi il diritto di credere di essere nel giusto e di affermare che gli altri stessero sbagliando, che erano nel torto più marcio?
    E tu sei lento. - rispose alla provocazione di Ryo, per poi voltarsi verso di lui con un sorriso. C'era andata leggera, perché probabilmente con la sua unicità al massimo dello sforzo ci avrebbe potuto mettere metà se non un terzo del tempo, le sarebbe sembrato solo come fare un grande salto. Ma quella non era davvero una gara e chi era ad arrivare primo non era davvero importante. Forse di lì a qualche giorno nulla sarebbe stato più importante.
    Assecondò il ragazzo con un cenno del capo, sfilando dalla busta di plastica anche la sua bevanda. Era un semplice the freddo al limone perché, onestamente, non le era mai piaciuto il caffè. Forse aveva abbandonato casa prima del momento giusto per iniziare ad assaggiarlo, ma le pareva troppo amaro e soprattutto le ricordava l'età adulta, con i suoi doveri e i sogni infranti, un passaggio che cercava di ritardare il più possibile.
    La svedese dai capelli bianchi si mosse verso il bordo del tetto e, con un saltello, salì sul cornicione. Si sedette lì, con le gambe a penzoloni, e poca differenza le avrebbe fatto essere accompagnata da Ryo o meno qualora il ragazzo avesse deciso che sedersi lì risultava troppo pericoloso.
    Se ora avessero visto del fumo nero minacciare il cielo o magari sciami di farfalle killer oscurare il sole Yami, addormentandosi in un profondo coma, sarebbe probabilmente caduta dal tetto e la sua vita sarebbe finita lì. Forse il suo pensiero era estremo ma avrebbe preferito perdere la vita che svegliarsi senza unicità.
    Le sue dita fragili fecero scattare la linguetta della lattina all'apertura, e ne bevve un sorso ascoltando il ragazzo dalla pelle scura. Sì, quei momenti sembravano così lontani ora. Più che lo svenimento di Ryo a far ridere era il fatto che lei avesse deciso di confessarsi ad uno sconosciuto in stato febbricitante e con due fulmini in corpo. Era davvero una ragazza sola ai tempi e si era palesemente rivolta a letteralmente la prima persona che, forse persino non volente, le aveva prestato orecchio. Dopo l'impotenza che aveva provato davanti a quel tizio alla UA l'unica cosa che la convinceva che quegli anni della sua vita non erano stati sprecati era proprio ciò che aveva costruito con ETERNIUM, se non ideologicamente almeno materialmente. E il suo rapporto con Yuya ovviamente, ma anche lui faceva parte del gruppo in fondo... più o meno.
    Magari non sarebbe riuscita a cambiare la società o a rendere l'utilizzo delle unicità legale, ma perlomeno era riuscita a salvare tre persone e forse dare una speranza ad una quarta. In fondo aveva raggiunto un obbiettivo ben più importante di quello di molte delle altre persone che solcavano le strade del mondo, chiuse nella loro egoistica cupidigia.
    La risposta del ragazzo dai capelli bianchi da un lato la rincuorò ma dall'altro, con la sua domanda, la fece esitare. Yami era felice che Ryo avesse rivalutato la sua visione del mondo tanto da non solo adottarla, ma volerla anche vedere messa in pratica. L'unico da convincere davvero rimaneva Yuya, ma sapeva che non sarebbe mai successo. Non tanto perché il ragazzo volesse una vita normale o meno e neppure perché non poteva promettergli che quel cambiamento avrebbe portato ad una marea di soldi, ma semplicemente perché beh, lui aveva utilizzato comunque la sua unicità per tutta la vita senza farsi troppi problemi. Se Yami e Ryo potevano collegare le loro disgrazie passate alle unicità così non era per il ragazzo con la coda da diavoletto. O meglio, in senso lato il collegamento era anche fattibile, ma in quell'ottica avrebbe certamente dovuto preferire i piani del Dr. Takashi al suo.
    Mi fa molto piacere. - rispose a Ryo dopo aver deglutito - Cambiato idea... No. - aggiunse, voltando poi lo sguardo al sole che si stava immergendo nell'orizzonte - Ciononostante... Mi chiedo se rimarranno delle unicità tra un mese o due. - sospirò. Mentre molti si preoccupavano per la propria vita, quello era effettivamente l'unico dispiacere di Yami. Era convinta che anche nel peggiore dei casi non avrebbero abbandonato gli sfortunati e avrebbero cercato un modo per risvegliarli dal coma, anche se effettivamente metà della popolazione mondiale significava anche metà forza lavoro in meno, metà geni estirpati. D'altro canto era però impossibile che quel tizio potesse applicare quella "cura" a tutto il mondo: magari Tokyo sarebbe servita anche come terreno di studio per un'eventuale cura per il risveglio dal coma. Erano tutte illazioni però, anche perché le percentuali significavano ben poco: nel peggiore dei casi sarebbero morti tutti.
    Okinawa... - mormorò tra sé e sé, per poi riprendere più ad alta voce - Sono stanca, Ryo. - sospirò - So che per raggiungere quell'obbiettivo bisognerà lottare e lottare e sono disposta a farlo ma... - si fermò per un paio di secondi, assottigliando le palpebre e stringendo fortemente la lattina tra le sue mani - Non voglio combattere di nuovo quella cosa. - riprese con voce tremolante, riferendosi ovviamente a ciò che avevano affrontato alla UA ormai quattro anni prima.
    La sensazione di impotenza era la peggior punizione per la ragazza che aveva scelto come proprio simbolo il Mago. L'infinita realizzazione in potenza, la dimostrazione della capacità di poter rendere reali i propri sogni e il proprio pensiero solo volendolo, col giusto impegno. Do what thou wilt" shall be the whole of the Law, aveva detto qualcuno.
    Questa sembra la mia battaglia e allo stesso tempo non lo è. - aggiunse voltandosi di nuovo verso il compagno - Mi chiedo... E se avessero ragione? E allo stesso tempo... Anche fossero nel torto, cosa dovrei fare io? - si morse il labbro pensierosa - Noi non siamo degli Hero e non lo saremo mai. - sospirò quasi delusa da sé stessa - L'ultima volta che ci abbiamo provato... E' già tanto se siamo qui per raccontarlo.
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    Sugar-fueled machine

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    RYO TATSUKI
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    Non poteva rispondere in maniera particolare a quell'insulto, aveva ragione. Era tantissimo che non faceva una cosa così spericolata con la propria Unicità. Era abbastanza ridicolo come un tempo avesse un controllo totale su di essa ed ora fosse invece così arrugginito.
    Piegò la testa di lato istintivamente mentre la svedese acconsentiva a sedersi con lui, i capelli bianchi che si muovevano sia per i suoi gesti che per il vento che cominciava ad investirli. Lei aveva deciso di mettersi sul cornicione, forse per vedere meglio ciò che avevano di fronte a loro. Per un secondo la guardò, per assicurarsi che fosse salita bene lì sopra. Non gli faceva paura andare là sopra ma aveva quel sentimento di protezione verso di lei, nonostante fosse sicuro che se anche fosse scivolata i suoi capelli avrebbero recuperato senza problemi il suo corpo. A volte si dimenticava di quanto fosse forte e lo aveva fatto anche prima, tanto da risultare lento rispetto a lei. No, probabilmente non era neanche una questione di poca memoria. Quel suo volerli proteggere da quel male ignoto era un'emozione recente, come se lui potesse fare qualcosa rispetto ad un farmaco che poteva mandare in coma con un respiro o privarti di ciò che ti rendeva speciale. La guardò tirare fuori il tè al limone prima di seguirla e sedersi poco distante da lei, mentre provava l'amaro caffè nella sua bocca. Forse sarebbe stato più adatto un tè anche per lui, decisamente più dolce e facile da bere. O forse era ben più adatta una bevanda amara come quella conversazione che stavano per avere?
    Lui raccontava quelle cose come se fossero divertenti storie per bambini, per quanto cruente e serie fossero. Non sapeva se le diceva per sdrammatizzarle o perché non ne parlava da secoli con qualcuno. Non era così bravo a consolare la gente, né a consolarsi da solo. Yami non sembrava essersi ancora buttata di sotto, quindi non era andata così male per la sua carriera da psicologo. Il suo pensare quelle cose macabre era probabilmente un problema che ormai riteneva causato da qualche caduta da piccolo. Per fortuna aveva la decenza di non esporle ogni volta che gli venivano in mente. Il suo dubbio venne risolto dalla svedese stessa, che lo rassicurò su quell'aspetto. Aveva trattenuto il respiro mentre aspettava una risposta e si trovava in quel momento leggermente più rilassato di prima. Però, allo stesso tempo, non poteva più evitare di pensare a ciò che temeva diventasse il tema della conversazione. Le Unicità, uno degli aspetti formanti della loro società. Erano ciò che rendevano ognuno utile ed unico, appunto. Ci aveva pensato che potessero sparire certo, sia in passato che in quei momenti così agitati. Un tempo non desiderava che quello. Riteneva i poteri che la natura gli aveva donato solo un abominio che lo avevano fatto soffrire per tutta la vita. Aveva dato alla propria coda e al proprio Quirk la colpa del suo isolamento, del suo scappare di casa. Ci aveva creduto quando la serpe glie lo aveva detto con i suoi paroloni scientifici, rinforzando le pareti illusorie che si era costruito in testa, convincendolo che il male fosse la scelta giusta come in qualche mito. Ma era maturato almeno un po' in quegli anni e pian piano era riuscito a ricucirsi le ferite che si era aperto da solo, con la propria mente. Aveva capito che la responsabilità di quei problemi dipendeva da altro, che il peso sul suo cuore poteva essere alleviato se cominciava ad avere un po' di amore verso sé stesso. Ed ora il suo Quirk era solo una parte della propria persona, un qualcosa che lo rendeva unico ma che non lo definiva. Sarebbe stato bene anche senza Unicità probabilmente. Ma non voleva che gli venisse portata via senza che lui avesse scelto. Era di certo un concetto non particolarmente furbo, ma si sarebbe sentito estremamente rubato di qualcosa se si fosse svegliato vivo dopo la distribuzione del farmaco.
    Me lo chiedo anche io. - Rispose, guardando il caffè. Non aveva ancora il coraggio di prendere un altro sorso che gli avrebbe tirato un pugno al palato. Tornare a quando non c'erano le Unicità sacrificando gli altri... - Si zittì. Nella sua voce c'era una certa rabbia, riferendosi al Takashi che per lui era un folle. Salvare l'umanità? Per lui quelle erano tutte sciocchezze, erano fantasie di una persona ottimista e senza alcuno scrupolo. Hanzo riteneva di avere ragione e che avrebbe fatto un favore alle persone levandogli i poteri. E fino a quel punto poteva anche capirlo, comprenderlo. Ma era davvero necessario sacrificare tutte quelle persone? Era davvero una persona con un fine così buono e che lo stava facendo solo per puro filantropismo? L'albino era una persona che cercava sempre secondi fini nelle parole di chi provava a cambiare la società. Era una cosa che non poteva cambiare di sé stesso. Lo aveva fatto anche con la svedese quando si erano conosciuti, ma aveva capito che lei voleva solo realizzare un sogno collettivo. Non sapeva come definire quella sensazione ma... era Yami, quindi avrebbe fatto sicuramente la scelta giusta per garantire a tutti un futuro più giusto. Forse anche lui sarebbe risultato un fanatico rispetto agli occhi di Hanzo Takashi? No, se avesse visto l'amica fare la scelta sbagliata glie lo avrebbe sicuramente detto. Ci teneva a lei.
    Per questo, gli piangeva il cuore vederla così. Voleva fare qualcosa, voleva andare personalmente da quello scienziato e farlo in così tanti pezzettini che non avrebbe avuto possibilità di essere resuscitato neanche dal più fedele dei santi. Non era abituato a vedere l'albina così in dubbio rispetto a quello che era il suo desiderio più profondo. Lo aveva detto, non aveva cambiato idea. Ma poteva e doveva comprendere che anche Yami era un essere umano e non poteva aspettarsi da lei coraggio infinito. Una fiamma per quanto intensa non poteva brillare in eterno, senza adeguato combustibile. Sapeva che lei era in grado di infiammare i cuori della gente, poteva riuscirci, poteva far bruciare quel fuoco infernale per sempre usando le persone come mezzo per propagarlo. Ma non potevano nemmeno buttarsi a capofitto in quell'abisso nero che era stato generato da quel culto criminale. Anche il mulatto sapeva che la verità dei fatti era più simile a quella che lei raccontava, che confessava di fronte a lui. Era scappato come un cane bastonato, con la coda tra le gambe nascondendosi pietosamente dietro una maschera da commesso perché aveva paura. Di tutti quelli che gli stavano dando la caccia, dei suoi ricordi che lo inseguivano e lo facevano rivoltare nel letto, della vita in generale che ora chiedeva a lui di diventare normale d'improvviso. Avrebbe voluto prendere un sorso di caffè, sentire le papille gustative strette dal sapore amaro, ma la svedese lo pietrificava nel risponderle con quello sguardo azzurro. Era timoroso del futuro, però... però era sicuro di una cosa.
    Non dire che quelli lì hanno ragione. - Abbassò lo sguardo corrucciato, guardando il vuoto sotto i suoi piedi. Noi... eravamo persone diverse. Lo so che non saremo mai come Endeavor o Whisper. - Si girò verso di lei, portando il gomito sopra il ginocchio piegato. Però abbiamo fatto qualcosa, anche se non era la nostra battaglia. Un po' Hero lo siamo. - Era questo che voleva dirle. Non voleva che lei si sentisse così, che provasse quei sentimenti di paura. Non voleva che qualcuno di così vicino provasse i suoi stessi sentimenti. Poteva solo riportarle i fatti, era bravo solo in quello. Voleva dimostrare che non era stato tutto inutile.
    Questa invece è una situazione assurda, anche io vorrei sapere cosa fare. Vorrei andare da questo Hanzo e... non so, farlo ragionare. - La coda si mosse un po' lungo la sua vita, richiamata dalla violenza come un tempo. Ma non sapeva a chi dare la colpa, se ce n'era una. Dovremmo pensare a noi. Non voglio che vi succeda qualcosa. Non dobbiamo buttarci in mezzo alla battaglia per forza. - Aggiunse con un sorriso che nascondeva la preoccupazione che aveva accumulato in quei giorni. La sua era una soluzione egoista, incredibilmente egoista. Voleva solo che non succedesse nulla a loro. Potevano andarsene da qualche parte all'estero grazie a Yuya, potevano anche risparmiare sul biglietto aereo. Forse era quello il suo desiderio più grande, rinchiuderli dentro una cupola di vetro lontani dai guai e vivere felice sapendo che loro erano vivi. Lasciare Tokyo in balia dell'uragano che quel battito d'ali di farfalla aveva generato. Scappare via, il più lontano possibile. Non parlò più, sapendo che quella era un'opzione codarda, ma al tempo stesso la più sicura.
     
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    Yami Dødson
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    Yami si ritrovò a ridacchiare tra sé e sé quando il ragazzo dai capelli bianchi, forse con troppa leggerezza, asserì che anche loro erano un po' hero. Alla svedese quella via non era mai interessata, tanto che quando era piccola non aveva mai utilizzato la sua unicità. Era proprio per quello che si dannava tanto: tutti coloro che non volevano diventare degli eroi, in quella società, non avevano il minimo sprono nell'utilizzare la propria particolarità e proprio per questo molti problemi potevano venire scoperti solo tardivamente, quando ormai erano manifesti e forse persino irreparabili. La piccola Yami di una decina anni prima avrebbe probabilmente riso in faccia alle parole di Ryo da quanto erano surreali.
    D'altro canto, la giovane Yami di cinque o sei anni prima le avrebbe prese più seriamente e solo nel senso negativo. Trascinata dagli ideali di suo fratello, in quegli anni nella giovane dai capelli bianchi si era sviluppata una vera e propria idiosincrasia per la società degli eroi. Non era d'accordo con molte delle idee del suo gemello ma il suo carisma trascinante e la situazione di degrado in cui vivevano le aveva iniziato a far credere che, in fondo, l'idea di voler eliminare gli eroi di professione non fosse poi così sbagliata. Quei palloni gonfiati che si facevano tronfi solo perché, a differenza degli altri, potevano utilizzare le loro unicità senza andare in prigione. L'indifferenza di Yami si era trasformata in un odio, un odio tanto forte che, quando era stata costretta ad investire Fireflower pur di salvare Ash e Saijin non solo non ci aveva pensato su neanche per dieci secondi, ma non ci aveva neanche mai più ripensato. Aveva passato settimane se non messi a rimuginare di quanto quel giovane presuntuoso fosse stato scorretto nei confronti di Saijin, alle ferite che il ragazzo aveva subito per colpa sua che era quasi riuscita a convincersi che l'eroe che stava tentando di fare il suo lavoro fosse nel torto mentre il giovane che rapinando una banca aveva deciso di gettarsi di sua spontanea volontà tra le fiamme del Pro-Hero perché pensava fosse cool fosse invece un martire.
    Ci aveva messo del tempo a liberarsi dalle prospettive distorte di suo fratello e non tutto le era stato chiaro sin dall'inizio ma pensandoci e ripensandoci era giunta alla sua soluzione, ovvero permettere a tutti l'utilizzo della propria unicità purché non arrecasse fastidi a sé stessi e agli altri. Avrebbe richiesto la collaborazione di tutti e sarebbero serviti anni e anni per educare le persone, ma la repressione non poteva semplicemente essere la risposta adatta.
    Eppure, ai tempi dell'Attentato alla UA Yami non era ancora il capo di ETERNIUM, quella piccola fazione che "combatteva" - se così si può dire - per il diritto di utilizzo dell'unicità. Era confusa e l'odio per la società degli eroi era ancora vivo in lei. Se aveva preso parte alle operazioni quel giorno era semplicemente perché era mossa da un semplice ma fortissimo egoismo. Non voleva diventare un'eroina, ma se poteva fare qualcosa per difendere le persone a cui teneva sarebbe stato stupido non farlo e non sarebbe stata in grado di vivere col rimorso di non aver fatto nulla. Se fosse morta difendendo Yuya, Ryo e gli altri almeno non avrebbe dovuto sopportare lei la loro perdita ma viceversa.
    Erano stati degli eroi quel giorno? Chissà, alla fine non erano riusciti a cavare un ragno dal buco e come se non fosse abbastanza numerosi eroi veri avevano perso la vita quello stesso giorno. Questo faceva forse di loro, superstiti, delle persone migliori di quei professionisti che erano morti? Difficile a dirsi, anche perché se anche loro avevano dovuto affrontare ciò che avevano affrontato i ragazzi dell'allora ETERNIUM in gestazione difficilmente avrebbe potuto biasimarli. Quell'essere era semplicemente innaturale.
    Dei ficcanaso al massimo. - gli rispose sorridendo - E siamo fortunati ad avercelo ancora attaccato alla faccia. - aggiunse picchiettandosi il naso con le dita della mano destra. A conti fatti neanche quella di quattro anni prima era stata una loro battaglia, Ryo aveva ragione su questo. Erano solo stati dei pedoni ribelli che avevano ferito la mano del giocatore quando aveva provato a muoverli sulla scacchiera.
    E se avesse ragione, però? - domandò guardando l'orizzonte. Quella era fondamentalmente la domanda principale che annebbiava la mente della giovane svedese. Se i suoi metodi erano bruschi ma l'intento virtuoso in che modo si differenziava da ETERNIUM? Se non altro lui si era messo in moto e aveva fatto qualcosa di effettivo mentre loro giocavano alla famiglia felice leccandosi le ferite a vicenda.
    Non è la stessa cosa, Ryo? - sospirò, voltandosi quindi verso di lui e bevendo un sorso di the - Un mondo dove tutti possono usare l'unicità e uno dove nessuno ne possiede una... Non sono due facce della stessa medaglia? - domandò poggiando la lattina sul cornicione, a fianco a lei.
    Per quanto diametralmente opposte, si trattava di due soluzioni diverse proposte per lo stesso problema, ovvero l'iniquità della società dei quirk. Era un raggiungimento collaterale se il Dr. Takashi era realmente in buona fede e teneva semplicemente ad eliminare i negaquirk, ma un ritorno ad una società pre-unicità avrebbe fondamentalmente raggiunto la stessa equità a cui Yami puntava con ETERNIUM. Se nessuno possiede un'unicità allora il problema dei pochi che possono usarla contro i molti repressi svaniva semplicemente. Quella soluzione non avrebbe neppure richiesto anni e anni di adattamento ed educazione.
    Nessun me o nessun te potrebbe mai nascere in un mondo senza unicità. Problema risolto. - borbottò picchiettando con le unghie smaltate di nero sul cemento del tetto dell'edificio. Si ricordava il dialogo con la Serpe, l'idea che l'unicità di Ryo potesse in qualche modo influenzare i suoi sentimenti e il suo stato d'animo, il collegamento con... - Aogiri. - sussurrò tra sé e sé - Non abbiamo mai parlato dell'Asta. - aggiunse più ad alta voce, voltandosi verso di lui. Si riferiva ovviamente all'asta criminale a cui aveva partecipato qualche mese prima. Accertatasi del suo ritorno sano e salvo non aveva poi approfondito più di tanto il discorso - Cos'hai visto? Questo... - vagò con gli occhi al cielo mentre parlava - Questo mondo di unicità merita davvero di essere salvato?
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    Anche se lei sorrideva, forse alle parole appena uscite dalla sua bocca o proprio delle sue idee, Ryo era più che convinto che loro avevano fatto qualcosa di giusto. Probabilmente lei e Yami, seppur seguendo la strada che portava alla stessa meta, la vedevano in modo diverso su alcuni argomenti. Era meglio così molto probabilmente, come diceva un tempo sua madre era meglio avere varie opinioni su un argomento controverso. L'albino forse era ancora legato a quando da bambino e si ricordava quanto li ammirasse. Forse perché erano riusciti in qualche modo ad agire per il bene nei suoi occhi da ragazzino senza troppi pensieri. Aveva capito poi che a muovere quelle persone non era un sincero amore verso il prossimo, ma molto spesso si trattava di un lavoro come un altro che richiedeva un foglio prima di poterlo esercitare. Forse essere un professionista in qualche sport non era poi così diverso da fare il Pro-Hero. Però per lui era semplicemente così, un lavoro che però influenzava in maniera enorme la società. Ci si poteva sentire al sicuro dalle Unicità solo perché c'erano altre persone con Unicità che lottavano coi primi. Era per lui un paradosso e come aveva detto tante volte la svedese, era a volte irritante sapere che molti crimini si potessero evitare se soltanto le persone avessero potuto usare la propria arma personale per difendersi. Ma lì ci voleva ben più di una Yami in grado di convincere la gente che fosse giusto poter usare la propria Unicità liberamente. Aveva funzionato sui pochi membri del gruppo, perché era riuscita a trovare persone che volevano ascoltare ciò che voleva dire. Era grato di poter pensare che ci fosse una piccolissima possibilità non tanto per il genere umano, ma almeno per Tokyo od il Giappone di cambiare. Quei momenti prima, in cui aveva potuto usare la propria coda in pubblico senza problemi, lo avevano fatto sentire libero come se avesse liberato improvvisamente le proprie ali per volare. Lui non voleva fare del male a nessuno, voleva solo che i ragazzi come lui in futuro non si dovessero sentire in colpa di essere nati con certi poteri. Ryo ogni tanto pensava che in qualche universo alternativo la sua coda stava salvando qualcuno e stava aiutando la gente a vivere meglio.
    Mh. Fare il ficcanaso era la mia passione quando non ero così vecchio e lagnoso. - Rispose, quasi come se stesse ricordando i bei tempi andati, prendendo poi un sorso di caffè. Era imbarazzante lasciare il drink lì mentre lei era sola a bere, ma un'altra scarica di amaro sembrava intenzionata a togliergli il senso del gusto in maniera definitiva. Chissà se Yami lo apprezzava ancora come persona. Era cambiato così tanto e non era più il Ryo pronto a buttarsi in una rissa, stava pensando a fuggire via da una situazione scomoda. Non era utile come un tempo in caso di combattimenti, né ad entrare in azione. Si sentiva diverso, sia in maniera positiva che negativa. Non era un incontro per licenziarlo dalla sua carica di addetto alla cucina, ma i dubbi che Yami probabilmente si stava facendo verso sé stessa venivano trasmessi anche all'albino. Non riguardava solo lui quella faccenda, riguardava l'intera ideologia di ETERNIUM. Ancora una volta lei decise di mettere in dubbio i pensieri che lui aveva su quel gruppo terroristico. Prima era rimasto in balia delle proprie emozioni, rispondendo con un secco no a quella faccenda. Per lui non c'era nulla da discutere su quanto si era detto su Hanzo. Ma decise di ascoltare guardando la ragazza serio. Sapeva che l'albina non era stupida e che spesso riusciva a dire le cose in maniera decisamente migliore di qualunque altra persona che conoscesse. Come prova bastava lui, che era lì con lei sul cornicione di un palazzo a vagheggiare sul loro posto nella società ed in quella battaglia.
    E Ryo rimase lì a pensare e ripensare a ciò che lei aveva appena detto. Non sapeva come rispondere a quella domanda. Una parte di lui voleva solo dire che non aveva senso fare quei paragoni. Ma seguendo la logica era vero che forse quello che cercavano era la vera libertà di non essere esclusi per motivi che non potevano essere influenzati dalle stesse persone. Eppure Ryo non trovava giusto che nessuno potesse scegliere questa strada. Perché dovevano imporgli di camminare per quella via, se lui non voleva? Perché doveva essere costretto a sacrificare una parte delle persone che conosceva per forse poter vivere una falsa libertà? Non sapeva se dare ragione o meno a Yami, non sapeva come controbattere se avesse voluto dire qualcosa contro quella tesi. Era vero. Probabilmente un mondo senza Unicità sarebbe stato molto più pacifico e con metà delle persone ci sarebbero stati molti meno problemi per quanto riguardava l'inquinamento. Eliminare metà della popolazione per dare una speranza nel futuro più lontano. Non corrispondeva forse a quello che si era augurato che accadesse, poco fa? Nessun problema per il tipo di potere che hai ereditato, nessuna possibile influenza fisica o psicologica da parte del proprio Quirk. Per quanto inebriante fosse potersi definire speciali, forse era qualcosa che dovevano lasciarsi indietro. Un'umanità senza poteri a poterli distinguere l'uno dall'altro. Era qualcosa di alieno per lui, qualcosa che un po' lo spaventava. Non sapeva nemmeno se sarebbe vissuto abbastanza per poterlo vedere con i propri occhi.
    Ma... no, forse hai ragione. - Si girò leggermente di lato, passando una nocca sull'angolo dell'occhio destro istintivamente. No, non stava piangendo per fortuna. Non aveva ancora raggiunto quella soglia di sensibilità, oppure il suo corpo non voleva semplicemente che succedesse di fronte a Yami. Forse non aveva mai pianto di fronte a loro, ora che ci pensava. Beh, era meglio così. Si sentiva quasi in dovere di restare sempre calmo di fronte ad ETERNIUM, come se volesse far sembrare che tutto andasse bene. Lui non si sentiva un errore, né pensava che Yami fosse solo uno sbaglio di qualche genere. E non si era pentito di soffrire così tanto per poter stare con loro dopo anni di isolamento. Lei provava lo stesso verso di loro? Avrebbe scambiato la loro amicizia per una vita normale? Per quanto un pensiero tale lo facesse soffrire, era la cosa migliore da fare per ognuno di loro. Se non ci fossero state le Unicità, lei non sarebbe dovuto scappare di casa perdendo i genitori per colpa del suo gemello. Lui forse avrebbe combinato meno guai in giro e a quest'ora sarebbe stato a lavorare con suo padre da qualche parte. Forse Daisuke e Yuya non sarebbero diventati criminali, forse nemmeno Evelynn. Era lui quello troppo dipendente dalla loro compagnia, pensandoci.
    Mh. - Prese un lungo sorso di caffè, preparandosi a parlare di quell'argomento che era caduto come un fulmine a ciel sereno. Non ne avevano mai parlato bene, come se la cosa non importasse. Dopotutto era solo un lavoro che si era rivelato decisamente peggiore di quanto si aspettasse. Forse sarebbe stato meglio parlarne, dire la cruda verità su quell'evento. Alcune persone fanno veramente schifo. - Dichiarò secco, prima di andare avanti e guardare il poco cemento su cui si appoggiava. Sembravano degli ossessionati dalle Unicità. Prima hanno venduto cose come risultati di Quirk Emitter o persino lo slime di Quiet Perfume. Lì era ancora abbastanza normale, sembrava un insieme di svitati e stalker. Poi... - Produceva un ritmo sulla lattina con il medio e l'indice, prima di portare la mano semichiusa di fronte alla bocca. Hanno cominciato a proporre animali modificati in qualche modo. Gli articoli che ho dovuto comprare per quel PL erano delle statue di quella tizia morta l'anno scorso, Hebenon. Penso tu abbia capito di cosa fossero fatte. Ma... ad un certo punto hanno messo sul palco una persona e lì volevo solo fuggire. Non sono più duro come un tempo. - Sospirò, sorridendo sconsolato. Anche se... la cosa più interessante erano dei Quirk tascabili. DISQ, se non sbaglio. Se questo Hanzo vuole togliere le Unicità, questi tizi hanno già pronti dei Quirk in pillola. - Era pensieroso. Continuava a chiedersi cosa volessero farci e si era riproposto quel quesito dopo l'annuncio da parte dello scienziato. Quelle persone stavano decisamente male. Ma... per quanto togliere le Unicità possa risolvere dei problemi, è giusto obbligare le persone a farlo? Se tu potessi dare fuoco a Tokyo per farti ascoltare, lo faresti? - Pose lui una domanda questa volta, guardando di fronte a sé. Non riusciva a guardarla negli occhi ora. Non voleva mettere in dubbio ancora di più le sue convinzioni. Ma voleva capire e farsi capire. Voleva togliere quel senso di dubbio che gli attanagliava il petto, capire cosa volesse fare Yami da quel momento in poi.
     
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    La svedese dai capelli bianchi ridacchiò alle parole di Ryo. Avrebbe voluto rincuorarlo e dirgli che ancora non erano dei vecchi, ma il ragazzo dalla pelle scura aveva comunque un paio di anni in più di lei. Chissà come si sarebbe sentita lei tra due anni, ammesso che sarebbe stata ancora viva per pensarci. D'altro canto aveva appena ammesso di sentirsi stanca di combattere, aver esaurito quell'antica fiamma all'interno del suo petto proprio ora che invece i suoi capelli bruciavano più accesi e feroci che mai. Forse la vita di strada, quella che loro avevano provato, bruciava la vita di chi la viveva più velocemente, come prendere un tiro profondo da una sigaretta. O qualche similitudine simile considerato che la giovane svedese non fumava. L'idea però non era così sbagliata. Andare a scuola, andare all'università, trovare un lavoro, sposarsi. La vita normale era così standardizzata da sembrare solo uno stillicidio per impedire a chi vi era invischiato come mosche in una ragnatela di annoiarsi prima del previsto e chiedere il rimborso del tempo sprecato.
    L'omicidio dei suoi genitori, la vita per strada, la proposta di lavoro della Serpe, gli scontri alla UA... Chissà, forse se anche avesse avuto i capelli neri con lo stress che aveva accumulato in tutti quegli anni a quest'ora si sarebbe comunque ritrovata con una chioma bianca come una vera vecchietta, e per Ryo poteva ironicamente essere lo stesso.
    Mi chiedo solo come possa essere un mondo senza unicità. - rispose quindi alla presunta ragione affibiatale dal ragazzo dalla coda pulsante di sangue - Non esistono da neppure cent'anni eppure hanno cambiato così tante cose. - aggiunse, per poi bere un sorso di the. Era quella la cosa più bizzarra: quelle anomalie genetiche erano di recentissima apparizione eppure avevano cambiato così drasticamente la vita delle persone. Quasi tutti i cambi della vita umana avevano goduto di picchi di sviluppo improvvisi grazie al loro impiego, almeno fino alla completa regolamentazione. Quei neanche ottant'anni di apparizione delle unicità erano una briciola rispetto alla permanenza della specie umana sul pianeta terra e un granello di sabbia rispetto ai tempi dell'universo, ma avevano cambiato davvero tutto. Persino l'invenzione dell'aratro, della macchina a vapore o l'impiego dell'acciaio facevano fatica a paragonarsi a quella comparsa nella storia dello sviluppo umano. Eppure, in fin dei conti, il mondo era stato senza unicità fino all'altroieri. E nonostante le illusorie speranze di Yami anche prima degli anni quaranta esistevano omicidi, scappati di casa e persone costrette a fare cose che non volevano dalle circostanze della vita o dagli altri.
    Ascoltò con interesse e anche un po' di timore le parole di Ryo riguardo all'Asta di Aogiri a cui aveva partecipato. Si ricordava con chiarezza le sottili minacce della Serpe e del vecchio del Soseiji riguardo al suo "essere come loro" o qualche altra stronzata prima e non poté che essere sollevata non sentendo nulla di simile nel resoconto del Tatsuki. Nessun riconoscimento tramite annusate moleste o cose simili insomma. Solo una vera asta illegale e decisamente orribile.
    Ai miei sarebbero piaciute. - rispose con un sorriso nostalgico sulle labbra quando Ryo le parlò delle opere di Hebenon. Non voleva sembrare insensibile o pazza, ma i suoi erano collezionisti di opere etnografiche e aveva vissuto sin da piccola in una sorta di museo delle stranezze. Quei lugubri totem non erano tanto diversi da maschere in osso o bambole voodoo con capelli veri, l'unica cosa differente era forse l'assunto di base, le une costruite sulla base di qualche credenza e le altre... chissà, il segreto era finito nella tomba con Izanami Adachi. A Yami spiaceva davvero per le vittime degli omicidi della donna, ma suo padre le aveva sempre insegnato che l'apprezzamento dell'arte deve superare i giudizi morali. Quindi sì, probabilmente suo padre le avrebbe apprezzate nonostante la macabra storia che si portavano appresso, nonostante le vite strappate per realizzarle.
    Persone... - mormorò quindi tra sé e sé - E... C'è stata gente disposta a comprarla...? - domandò con un misto di curiosità e di timore. Di gente strana era pieno il mondo e aveva anche letto di una sorta di mercato dei mutant da qualche parte dell'Est Europa ma l'idea le sembrava ancora assurda.
    Chissà se anche io... - guardò la sua mano destra alla spiegazione di quei DISQ. Era la prima volta che ne sentiva parlare ma già così poteva immaginare si trattasse di poteri temporanei o decisamente dannosi per il corpo che li ospitava. Non era una scienziata ma difficilmente una pillolina avrebbe potuto cambiare l'interno apparato genetico di un umano. Se così fosse stato, beh, chissà cosa avrebbe potuto fare quella tecnologia nelle mani giuste. 30MINUTESINDUSTRIES avrebbe potuto curare i negaquirk in uno schiocco di dita, quel Hanzo Takashi non avrebbe dovuto mettere in moto quel suo assurdo piano. Ma ancora una volta tutto veniva ricondotto ai soldi e all'avidità di luridi esseri umani. Sì, ovviamente Yami si stava interrogando sulla sua unicità. Possibile che anche quei suoi capelli di fuoco, quattro anni prima, fossero una sorta di unicità sintetica o "usa e getta" che era invece stata ben collegata al suo corpo? Onestamente con la Serpe morta com'era morta aveva ormai rinunciato a trovare una risposta.
    ... Se lo ritenessi d'aiuto, sì. - rispose con leggera esitazione alla domanda di Ryo sul mettere a ferro e fuoco la città - Se... - deglutì, ragionando bene sulle sue parole - Se esistono persone che vendono altre persone, forse non possiamo fidarci troppo del buon giudizio delle altre persone. - aggiunse quindi riprendendo le parole del ragazzo dalla pelle scura sull'asta. Forse, in certi casi, era corretto fare una mossa autoritaria e obbligare le persone a qualcosa anche senza il loro vere. Come un padrone che forza le fauci del suo cane per togliergli cibo di bocca quando sa che si tratta di una polpetta avvelenata insomma. Sospirò, scuotendo la testa.
    Fortunatamente non penso potrebbe servire a qualcosa. - sorrise voltandosi verso il ragazzo - Potrei fingermi la cattivona di turno per mostrare che se le persone potessero utilizzare le loro unicità potrebbero difendersi meglio che aspettando gli eroi, ma mi sembra davvero idiota. - ridacchiò socchiudendo gli occhi - Quello che voglio diffondere è un messaggio di pace e tolleranza. Nel mio cuoricino ho fatto pace con gli eroi. - concluse riferendosi al suo passato ribelle.
    Volevo ringraziarti. - riprese dopo aver fissato il tramonto per un paio di secondi - Per... Per l'asta, intendo. - aggiunse - Dalla sera del Sagrestano... Beh... - sospirò corrucciando il labbro - Non voglio che Yuya abbia più a che fare con queste cose. Lui non ne parla, ma so che... - quel mormorio morì nel vuoto, cadendo giù dal palazzo e spiattellandosi per terra. Sapeva della chiacchierata con Daisuke alla ET-House dopo quella sera anche se non ci aveva ficcato troppo il naso in mezzo e lei e lui avevano avuto i loro screzi dopo l'accaduto. Erano ancora insieme ma sapeva che qualcosa in lui era cambiato.
    Sai... Questo non è un tetto a caso. - sorrise voltandosi verso di lui, alzandosi e andando a sedersi vicino a lui - Quella sera Yuya è venuto da me e io non sono riuscita a tenermi dentro che Daisuke era alla Chiesa. Yuya è andato lì e quando l'ho visto partire mi ci sono fiondata anche io. Beh, non veloce quanto lui. - ridacchiò tra sé e sé ma il fatto che fosse una risata più nervosa che sincera non era certo nascosto nel migliore dei modi - Quando ho visto la polizia fare irruzione e uscire senza di loro ho tirato un sospiro di sollievo... Ma quando li ho visti uscire col cadavere di Homura... - si morse il labbro - Non... Non ho avuto il coraggio di chiamarlo e parlarci. O di andare alla casa, o a casa sua. - aggiunse abbassando lo sguardo alle sue mani tremolanti - Non ho avuto il coraggio... Perché sapevo che non mi avrebbe risposto, o che mi avrebbe insultata. - sospirò - La bugia di non vederlo accadere davvero era più rincuorante della verità. - alzò lo sguardo corrucciato e gli occhi lucidi verso Ryo - Ho vagato per due ore e sono arrivata qui stanca morta. Non avevo la forza o la voglia di tornare a casa, quindi sono salita qui sopra e ho dormito in un angolino. - ridacchiò, ora un po' più sinceramente - Con la morte di un pluriomicida a cui far fronte nessuno ha dato troppa attenzione a quella fiammella apparsa per dieci secondi a Shinagawa. - sorrise - Era praticamente inverno e faceva freddo da morire. Erano anni che non dormivo per strada... A volte è necessario ricordarsi da dove si arriva, no? Per fortuna... Beh, i capelli scaldano un po'. - sorrise nuovamente, spostando lo sguardo verso il tramonto - Da allora quando devo schiarirmi un po' le idee vengo qui. Mi ricorda i miei errori e le cose da non rifare. A Yuya... Beh, lui non sa niente. Non... Non vorrei farlo sentire più in colpa di quanto già non ci si senta. - concluse bevendo poi un lungo sorso di the dalla lattina.
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    Lo sguardo di Ryo si perse nel vuoto, vagando nel pensiero di un mondo in cui le Unicità non erano mai apparse. Non era una cosa che ci si chiedeva spesso, alla fine era la realtà in cui vivevano. Era come se un uomo dei secoli addietro si fosse chiesto cosa avrebbero fatto gli esseri umani se avessero perso all'improvviso il braccio sinistro o il senso del gusto. Erano domande possibili nell'infinita sfera dell'incognito del soprannaturale, ma si tratta appunto di sole fantasie e meri esercizi di immaginazione. Aveva da tempo iniziato a rifiutare la responsabilità della sua Unicità per i suoi problemi, ma ragionando con la sua mente semplice si chiedeva se lui sarebbe mai esistito in una realtà del genere. I suoi genitori avrebbero vissuti la loro stessa identica vita, rendendo possibile la coincidenza di farlo nascere in quello stesso contesto? Avrebbe fatto scelte diverse senza Unicità o avrebbe semplicemente fatto parte di una banda di motociclisti dal nome tremendamente aggressivo? Già il solo pensare al nascere senza poteri e non esserne discriminato era uno sforzo per lui.
    Sai, ogni tanto mio nonno mi raccontava le storie di gente ancora più vecchia di lui. Le Unicità ci hanno fatte inventare così tante cose che a quanto pare la gente era quasi spaesata dalle novità. - Confessò Ryo con un sorriso, mentre guardava il cielo e riprendeva il discorso della svedese. Non parlava spesso dei suoi parenti con gli altri, preferiva tenere gli aneddoti della sua famiglia per sé. Si chiedeva se l'anziano fosse ancora vivo e che cosa gli avessero raccontato per giustificare la sua scomparsa. L'albino non c'era particolarmente affezionato, così come rispetto la maggior parte delle persone su quel pianeta. Ma ricordava vivamente quando uscivano fuori Tokyo per provare ad allontanarsi dai loro problemi e dalla confusione e si sentiva stranamente a suo agio in campagna. Forse aveva sbagliato tutto nella vita e doveva fare il contadino, chissà.
    Si chiedeva che tipo di persone fossero invece i genitori di Yami. Non era mai stato particolarmente invadente su quel punto di vista perché... beh, dopo aver saputo che erano stati uccisi da suo fratello, non gli sembrava molto educato. Però era sempre stato un po' curioso della vita precedente dell'amica, come quando si vuole trovare una qualche foto imbarazzante per vedere una prospettiva diversa di una persona. Erano dei collezionisti ed avevano lasciato alla ragazza quel prezioso coltello che aveva quasi perso, per fortuna ritrovato per mano di quel pazzo omicida di Thunderstorm. Chissà cosa pensava quella sera nella sua mente contorta per attaccarli e poi restituire l'arma alla svedese come se nulla fosse. Era un pensiero inutile, ma i genitori di Yami se li immaginava come due eleganti personaggi biondi e tutti particolari. Forse aveva visto un po' troppe foto sui vari hipster europei, ma se proprio gli piacevano quelle sculture dovevano avere una vera passione per tutto ciò che era raro.
    Purtroppo sì. Mi chiedo come stia quel ragazzo. Tra l'altro c'era pure una tizia dell'Eden, pensa un po'. Pensavo li avessero arrestati tutti. - Aggiunse cupo, prendendo dopo un sorso di caffè. Ogni tanto pensava agli occhi spaventati del Mutant, ma non aveva avuto la minima idea di cosa fare per lui. Non aveva proprio dei bei ricordi verso quella terribile donna di nome Tsubaki che si era seduta accanto a lui. In effetti c'era qualche collegamento tra lei e Yami, ma sperava per l'amica che se proprio doveva avere una sorella perduta non fosse proprio lei. Probabilmente avrebbe tormentato la ragazza in qualche modo, forse facendola camminare sui carboni ardenti per il proprio divertimento sadico o bloccando tutti gli ascensori di Tokyo solo per farle fare le scale. Scacciò via quel pensiero sciocco, anche perché stavano parlando di cose serie. La sua spiegazione pose dei dubbi nella mente di Yami, almeno all'apparenza. Ryo rimase in silenzio, chiedendosi se fosse possibile una cosa del genere. Il battitore aveva parlato di effetti temporanei e che non lasciavano traccia nell'organismo. Erano proprio delle pillole magiche per diventare più forti senza sforzi e senza impegno. Se avesse avuto un minimo di senso della perseveranza e della correttezza si sarebbe arrabbiato ad un pensiero del genere, ma era più che altro spaventato da quali utilizzi macabri avrebbero potuto farne i criminali.
    Si fermò ad ascoltare l'amica, cercando una conferma od una vera e propria risposta nelle sue parole. Le aveva posto una domanda difficile a cui era complicato dare una soluzione che fosse corretta per chiunque. Ryo avrebbe capito un atto di violenza, se doveva essere sincero. Lui non si fidava delle persone, né delle loro intenzioni. Aveva passato l'intera asta con l'ansia che qualcuno non avesse assunto subito una di quelle pillole per farsi saltare in aria. Non credeva ci fosse particolare salvezza per le persone all'asta, ma forse stava solo rifiutando l'evidenza che lui c'era riuscito. Aveva trovato una strana somiglianza tra lui e chi voleva comprare i piaceri e le rarità del mondo dei Quirk, rifiutandola ma dovendola riconoscere allo stesso tempo. Come lui si sentiva vuoto senza poter ferire gli altri, l'enorme fila di maschere sedute nelle poltrone di velluto rosso probabilmente avvertiva la stessa disperazione se non possedeva. Avere qualcosa di unico, ma anche strapparlo agli altri, era una sensazione di potere che poteva dare alla testa di chiunque. Non voleva che la svedese diventasse il capro espiatorio della società. Non era colpa sua se gli esseri umani erano feccia, né che il sistema fosse sbagliato. Per fortuna stava scherzando e si unì con un lieve sorriso, ma si chiese se la gente non avesse proprio bisogno di una scossa del genere per farsi educare. O meglio di un enorme e terribile incendio. Forzare la loro visione su di loro... forse stavano cominciando davvero a pensare come Hanzo, che semplicemente voleva fare tabula rasa di tutto per garantire quella che sembrava essere pace.
    Ma di che. - Rispose velocemente, come se fosse qualcosa di dovuto. Era stato un po' sconvolgente assistere a tutti quegli orrori, ma niente che non avesse superato. Ma capì che in effetti il discorso stava andando verso meandri ancora più bui, che si nascondevano dietro la bella apparenza del tramonto di fronte a loro. Il sole si vedeva così bene in quel momento e la città che si svuotava aveva fatto quasi indebolire la coltre di smog sopra la città. Si girò verso la direzione della ragazza e semplicemente ascoltò tutto quello che la svedese aveva da dire. Avrebbe voluto intervenire durante quelle sue parole, perché non approvava quello che aveva fatto, che si fosse comportata così e fosse rimasta lì, ma neanche che Yuya l'avesse trattata in quel modo. O che pensasse che avrebbe potuto fare una cosa del genere, se doveva essere preciso. Ma rimase zitto, trattenendo le sue emozioni per non far sembrare che fosse arrabbiato con lei, guardandola solo con espressione stupita. Lo era, perché voleva aiutarla se aveva dei problemi. Lui era incapace nelle relazioni umane, ma voleva esserci in ogni caso se lei aveva qualche problema del genere. Non poteva risolverlo ma poteva almeno provare a fare qualcosa. Le labbra del ragazzo rimasero sigillate per qualche secondo, mentre una sfilza di domande e preoccupazioni battevano contro i denti per uscire inopportune.
    Yami... - Riuscì a dire solo quello, mentre la guardava. Sospirò, mentre si grattava la testa come per far uscire un po' più di materia grigia. Yuya è sicuramente cambiato e... non so come siano le cose tra di voi, non lo posso sapere. Ma non farti del male così. - Aggiunse. Perché il mondo doveva essere così crudele, tanto da far portare ad una persona che aveva già sofferto tanto un simile peso? Ma l'albino sapeva che per quanto lui potesse augurare il meglio ai suoi amici, era necessario che le persone avessero qualcosa che le incatenava al suolo, altrimenti sarebbero volate via senza aggrapparsi a nulla. Anni fa se lui avesse potuto sparire nel tempo tra due battiti del cuore, non ci avrebbe pensato due volte. E non voleva che Yami o gli altri se ne andassero via per la malignità del mondo stesso.
    Perché... non so cosa vuole fare, ma sono sicuro che continuerà a volerti bene. - Avrebbe esitato un secondo, per poi continuare a parlare. Cosa stava dicendo? Ed anche io ti... voglio bene e quindi la prossima volta che pensi di venire qui chiamami che almeno ti porto qualcosa da mangiare, una coperta, una tenda... - Parlò molto velocemente, come per passare velocemente alla prossima parte del discorso ed ignorare l'inizio disastroso. Sperava di averla consolata almeno un po', sperava che fosse riuscito a fare qualcosa per lei. Un mosaico di falangi si formò tra le sue mani mentre le incrociava e guardava i polpastrelli come se potessero dirgli qualcosa.
    Non credo che nessuno in ETERNIUM sarebbe dove è ora se non fosse per te. Trattati bene. E scusami se faccio schifo a consolare, mi puoi buttare giù in caso. - Concluse, sperando di non aver detto una marea di cazzate di fronte alla svedese. Si vergognava di mostrare quei sentimenti di gratitudine di fronte a lei e temeva di stare solo dicendo cose senza né capo né coda. Voleva solo rassicurarla che non aveva fatto tutto sbagliato in quegli ultimi mesi e che se proprio pensava fosse in errore, ci sarebbe stato anche lui per provare a prendere parte di quegli errori per sé.
     
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    Yami sorrise ascoltando il ragazzo dai capelli bianchi parlare di suo nonno. Pensandoci bene non avevano mai approfondito quei discorsi: lei aveva un motivo per vivere da sola ed essere interamente indipendente a poco più che ventanni (e anche e soprattutto i fondi per farlo), ma Ryo? La prima volta che lo aveva visto era un ragazzino senza scrupoli né paura che stava aggredendo un motociclista in un vicolo. Ai tempi la svedese non ci aveva riflettuto più di tanto, anche perché era invischiata in cose ben peggiori ed erano anni che viveva per strada col suo gemello e beh, di risse ne aveva viste un bel po' e anche ben più feroci di quelle. Ciononostante, cosa ci faceva Ryo lì, quella sera? Pian piano che la loro amicizia si era approfondita aveva iniziato ad escludere l'ipotesi del rapporto omosessuale finito male: non le aveva mai parlato di una qualche ragazza speciale ma, allo stesso modo, non le aveva mai parlato neppure di ragazzi. Era probabile che semplicemente non gli importassero i rapporti in generale, e forse era anche per questo che aveva abbandonato la sua famiglia. Da quando lo conosceva e da quando aveva messo la testa a posto il giovane dalla coda di sangue sembrava essere dedito solamente al suo lavoro e a poco altro. Forse era una vittima di quel sistema che imponeva alle persone di lavorare e sistemarsi prima di mettere su famiglia, solo che col suo passato non si sarebbe mai sistemato veramente.
    Sapeva che aveva dei fratelli dal nome strano, ma non aveva mai approfondito il discorso, forse anche perché lo stesso Ryo poteva sentirsi in soggezione ad affrontare quell'argomento con lei visto il suo passato. Ad onor del vero, quella era la prima volta in cui ricordava avessero davvero toccato quell'argomento. Il giovane Tatsuki aveva un nonno, e uno di quelli a cui piaceva raccontare storie. Yami, dal canto suo, non aveva mai potuto provare quel piacere, come non era mai stata in un parco divertimenti prima di starci con Yuya e tante altre cose. L'infanzia le era stata strappata via pezzettino per pezzettino e non poteva neppure continuare ad affibiare al suo defunto gemello parassita la colpa di qualsiasi disgrazia. Il fatto che i suoi genitori avessero deciso di costruire il loro nido in un paese straniero lontano dalla famiglia e perlopiù in campagna non aveva certo aiutato la giovane a fare esperienze.
    Sembra divertente. - rispose con un sorriso - Io non ho mai conosciuto i miei nonni. Beh, ammesso siano mai esistiti. - ridacchiò - I miei si sono trasferiti qui alla mia nascita e non ho mai conosciuto nessun altro della famiglia. - aggiunse. Non aveva mai pensato ai possibili sentimenti degli uomini coevi alla nascita dei quirk, ma immaginava dovesse essere qualcosa di simile a quando il primo uomo aveva visto fuoco scaturire dall'incontro tra un fulmine ed un albero.
    Proprio come milioni di anni fa, il motivo per cui la società si era abituata così velocemente alla loro esistenza era probabilmente aver capito in fretta come sfruttarli, con la differenza che questa volta era riuscita a monopolizzarne e regolarizzarne l'uso a favore di pochi screditando molti.
    Assurdo. - l'idea che qualcuno fosse disposto ad acquistare una persona non era, secondo lei, definibile in alcun altro modo. Sarebbe stato allo stesso modo assurdo illudersi che la schiavitù o pratiche simili si fossero estinte e non solo trasformate, ma questo non lo rendeva comunque normale. Sapeva però di cerchi mercati di mutant nell'Est Europa e le era anche giunta voce della presenza di un certo Collezionista a Tokyo, anche se non aveva molte informazioni a riguardo. Sebbene stesse vivendo una vita perlopiù normale Yami non aveva tolto il suo orecchio dalle strade, e teneva d'occhio la vita normale con quella criminale valutandole entrambe egualmente importanti. Se aveva acconsentito alla proposta di mandare Ryo a quell'Asta, in fondo, era anche per quello.
    Beh, speriamo la persona che l'ha... acquistato abbia buone intenzioni, anche se visto il posto ne dubito. - rabbrividì pronunciando quelle parole. Era una speranza vana ma comunque valida, in fondo molte persone - come chi aveva inviato Yuya - erano lì per acquisti strambi ma tutto sommato innocui. Voleva sperare ancora nell'umanità.
    Qualcuno è sfuggito alla polizia comunque, sì. - spiegò quindi all'amico che oramai sembrava aver appeso i coltelli al chiodo - Pensa che hanno anche messo una taglia alla tizia che ha aiutato la polizia... O qualcosa del genere. - aggiunse. Le sue informazioni avevano fonti miste e mentre una era ovviamente la lista di ricercati sul Mercato Nero un'altra era ovviamente il suo ragazzo. Yuya aveva preso parte in prima persona alle operazioni dell'ultima notte di esistenza dell'Eden's Rose e sapeva dell'esistenza di dei superstiti a piede libero semplicemente perché in un certo senso lui apparteneva ad essi, assieme a quelli che aveva salvato.
    Le parole successive le scaldarono il cuore e inumidirono gli occhi. Era contenta di aver trovato finalmente degli amici su cui poter contare, e Ryo era certamente la persona con cui era più in confidenza e a cui era più legata, ad esclusione di Yuya con cui il legame era però di diverso tipo. Aveva davvero fatto qualcosa di importante? Aveva cambiato la vita a qualcuno, anche se solo ad un pugno di persone? Era ancora molto presto per parlare di Evelynn ma era parzialmente sicura di aver cambiato qualcosa in meglio nella vita di Daisuke. Quanto a Yuya, era abbastanza sicura di avergliela semplicemente cambiata in peggio e si dispiaceva molto di questo. D'altra parte però sapeva che il ragazzo avrebbe continuato a fare ciò che faceva con o senza di lei ma ora aveva almeno una persona al suo fianco a cui aggrapparsi, l'unico problema era che lui non sembrava avere la minima intenzione di farlo. Non aveva il potere di leggere negli universi alternativi, ma sperava comunque di avergli impedito di fare qualche cazzata nel tempo passato assieme, di essere servita a qualcosa.
    Ma ora ciò che era importante era Ryo. Quelle parole erano molto importanti per lei dato che gli aveva chiesto di uscire, quel giorno, proprio per capire se gli avesse rovinato la vita o meno. La risposta a quella domanda non posta sembrava essere un no. E ora la situazione si era ribaltata e sembrava essere lui quello preoccupato per lei. Che fosse stata troppo patetica, cercando di spiegarsi? Non era sua intenzione farsi compatire, anzi, e non voleva aver dato quell'impressione.
    Sto bene, Ryo. - gli sorrise con gli occhi lucidi, portando la mano destra ai suoi capelli e scompigliandoli con un leggero rumore ovattato - Fuocherella sta bene. - aggiunse portando le nocche della mano destra agli occhi, asciugandoli. Erano anni che quel nome non usciva fuori, e chissà se il ragazzo dai capelli bianchi se lo ricordava o meno. D'altro canto non era proprio in sé quando aveva deciso di appellarla in quel modo in assenza di un nome, che lei aveva rovinosamente rivelato dopo poco senza neppure volerlo. Ai tempi era più arrabbiata col mondo ma anche più ingenua, aveva fatto molta strada.
    Hai mai pensato di tornare a casa, Ryo? - disse quindi spostando nuovamente lo sguardo all'orizzonte - Quella vera, dico. Dai tuoi genitori, dai tuoi fratelli... - portò le mani ai capelli, allisciandoli con le mani - Non... hai un posto dove tornare? - aggiunse. Aveva provato a tornare a casa sua, ma il terreno era stato acquistato e ci avevano fatto sopra un supermercato. Chissà quali erano le ragioni dietro l'indipendenza di Ryo ora che non era più focoso e sanguigno come un tempo, che era solo un giovane e pacato lavoratore.
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    Si chiese, dopo quelle parole rivelate con così tanta leggerezza, se fosse giusto parlare liberamente di famiglia con Yami. Alla fine lei era rimasta orfana così presto, mentre lui aveva deciso di sua spontanea volontà di eliminare ogni rapporto con i propri parenti. Non sapeva se era stato inopportuno, Yami non era così comune da avere le reazioni che lui si aspettava. Anche se poteva provare a studiare il comportamento delle persone per non sembrare strano, sicuramente lei era un'eccezione ad ogni regola sociale che conosceva. Forse questo significava che stava giudicando la bionda strana? Era un pensiero quasi comico. Chissà se lei era cresciuta più con uno stile di vita orientale od occidentale, visto che a volte gli sembrava che volesse infrangere le norme comportamentali giapponesi. Chissà se i genitori della ragazza si trovavano in Giappone perché erano stati esiliati dalla Svezia o semplicemente non avevano mai avuto l'occasione di tornare in Europa perché erano morti prima. In ogni caso, anche se probabilmente Yami non apprezzava questi sentimenti, gli sembrava una cosa parecchio triste.
    Mh. Chissà. - Aveva annuito quando la svedese aveva definito quella situazione assurda. Era anche il suo pensiero, anche se durante quella serata sembrava più un'allucinante e perversa vendita di manufatti tremendi, più che un'asta. Nonostante le migliori speranze che i due albini potessero avere, quel ragazzo era probabilmente finito tra le mani di un pervertito che se lo sarebbe portato come minimo nella camera da letto, oppure vivisezionato per vedere com'era fatto. In una qualche fantasia degna di una favola era riuscito a scappare e a tornare nel suo paese, ma una persona del genere non poteva fuggire facilmente. Sospirò, ancora irritato per quella faccenda.
    Davvero? Ci farò un pensierino allora. - Avrebbe detto scherzando, anche se effettivamente qualche soldo in più non gli avrebbe fatto male. Pensando all'Eden, aveva in effetti notato che la persona che aveva acquistato la "mercanzia" aveva un aspetto molto particolare. La somiglianza era così diretta che molto probabilmente non si trattava di una coincidenza, ma aveva deciso di non parlarne con Yami per non farla preoccupare di più. Dirle che che aveva visto Hanzo dal vivo non avrebbe contribuito molto alla conversazione. Voleva davvero lasciarsi quella serata alle spalle, ma era difficile cercare di nascondere che la sensazione che odiava di più in quel mondo era la sua incapacità di poter cambiare le cose. Ai tempi non sopportava quando non poteva vendicarsi o commettere i crimini che più gli piacevano. Ora sentiva che le questioni erano cambiate, erano diventate quasi più mature. Pensare di avere di fronte a sé una strada tortuosa e piena di ostacoli per ciò che aveva compiuto in passato gli faceva venire il mal di stomaco. Il dover assistere ancora a quei crimini gli faceva pensare quanto facesse schifo quel mondo. Ryo era egoista, certo, non gli importava niente di giustizia o altre cose del genere. Non voleva piegarsi ad un sistema che lui riteneva sbagliato. Però era davvero così difficile rendere la società migliore? Non sarebbe stato meglio cercare un modo per mettere tutti d'accordo? Sapeva che era impossibile, sapeva che la gente non avrebbe mai ascoltato qualcuno che non toccasse solo i loro interessi. Ma era ormai ovvio ai suoi occhi che non poteva andare avanti senza ferire qualcuno, lo aveva capito all'asta.
    Come Yami. Guardando i suoi occhi lucidi, Ryo si chiese se avesse appena sbagliato qualcosa. Voleva consolarla, non farla piangere. Ed in quel momento anche lui voleva dire di più, dimostrare che non era più un mostro senza empatia che rispondeva alle lacrime con una faccia neutra. Forse aveva sbagliato ad interpretare tutto ed in verità le persone interagivano in quel modo? Sarebbe stato ridicolo e divertente. Ma... almeno dalle sue parole, possibilmente aveva scelto quelle giuste per parlare. Per una volta almeno. Lui si sentiva strano a pronunciare quei discorsi, perché sapeva che non appartenevano al suo animo che poteva essere paragonato ad un bidone dell'immondizia. Non meritava di poter dire quelle parole dopo tutto quello che aveva fatto. Però era contento che fosse servito a qualcosa, dopotutto. Forse era la prima vera cosa che faceva d'amico per la ragazza.
    Fuocherella. Oh no... - Ryo affondò la faccia nella mano. Si era completamente dimenticato di come aveva chiamato Yami quella notte. Non pensava fosse così tanto imbarazzante, dopo quell'infinita serie di eventi non si era mai fermato a pensare a quel singolo soprannome. Era anche un po' razzista, almeno per gli standard di quei giorni. Un po' come chiamare un Mutant "cane" o altro in base alla sua mutazione. Sperava tantissimo che la svedese non ne avesse mai parlato con Yuya o altre persone, anche perché probabilmente Ryo avrebbe ricevuto istantaneamente un motivo per buttarsi giù dal palazzo. Non farmelo ricordare. Avresti dovuto incenerirmi all'istante. - La sua faccia avrebbe fatto capolino per metà dalla mano, mentre sorrideva genuinamente. Yami avrebbe visto solo l'occhio mutato dalla sua Unicità per ora, sperando che non le facesse troppo schifo. Che imbranato, l'aveva pure quasi fatta piangere, quasi come un mostro che si diverte nel provocare disperazione negli altri. Forse non aveva colto bene il suo messaggio, forse aveva esagerato con le parole smielate. Però se proprio non aveva fatto sentire meglio lei, il mulatto stava un po' meglio. Anche solo il rendersi disponibile per lei gli rendeva più o meno il cuore più leggero, anche di una sola piuma. Chissà, forse aveva un futuro come psicologo. Se ci metteva lo stesso impegno con Yami, era sicuro di poter allungare il più possibile le varie sedute per guadagnarci di più. Appoggiò il gomito sul ginocchio e la testa sulla mano, in quel breve silenzio che veniva disturbato solo dal vento.
    A casa... - Non se lo aspettava quell'argomento. Fintanto che si parlava degli altri era più facile ragionare, ma Ryo non ci teneva molto a parlare di quelle cose con gli altri. Ironicamente Yami lo aveva messo alle strette in quei momenti, visto che non poteva evitare di rispondere a quella domanda. Ma voleva veramente evitarlo? Il non volerne parlare era più che altro generato dal non voler disturbare gli altri. Non voleva che le sue turbe potessero influenzare l'opinione che dava di sé agli altri.
    Ci ho pensato. Tante volte, ultimamente. - Si strinse a sé, tirando fuori il telefono dalla tasca. Non doveva usarlo, non c'erano nemmeno notifiche. Ma gli sembrava quasi un talismano adatto a quella conversazione. E' difficile da spiegare. Quando me ne sono andato pensavo non mi volessero. E beh, più o meno è così credo. Non so se puoi leggere i messaggi che una persona ti manda quando è bloccata, però non parliamo da anni. - Provò a spiegare. Non aveva idea di come funzionassero le chat bloccate, ma anche volendo ormai l'applicazione che un tempo usavano lui e i suoi fratelli era stata soppiantata da Qmail.
    Magari sono fisse mie... forse mi sono semplicemente nascosto troppo bene. Ma se li chiamassi e loro non rispondessero? - Ryo sorrise sconsolato con lo sguardo rivolto verso il telefono, come se d'improvviso lo schermo nero si potesse accendere a causa di una telefonata di suo padre. Preferisco rimanere col dubbio, sai. Gli ho causato così tanti problemi quando ero piccolo che probabilmente è meglio così. - Si accorse dopo quanto quelle parole risultassero depresse. Si faceva pena da solo.
    Però è tutto ok! Sono felice anche così, mi sono messo a parlare fin troppo. - Sorrise. Stavo pure pensando di aprire una mia pasticceria, devo solo trovare i soldi. Anche se beh... ormai mi sa che rimanderò il tutto al prossimo anno. O magari la aprirò a Kyoto. - Fece spallucce, prima di tornare a guardare la triste e vuota metropoli. Era così stupido dire quelle cose a Yami. Come se lei potesse risolvere i suoi problemi personali, come se fosse facile come portarlo fuori da un vicolo con un criminale elettrico. Pensò di bere un altro po' di caffè, ma voleva evitare di avvelenarsi il sangue ancora di più.
     
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    Il fatto che Ryo potesse anche solo ironicamente pensare di mettersi a caccia di ricercati sul Mercato Nero da un tratto la incuriosiva e dall'altro la faceva sorridere. Chissà, magari non lo conosceva così bene come pensava e il ragazzo dai capelli bianchi aveva una specie di doppia vita. Si ricordava una specie di psicopatico della letteratura che di giorno lavorava come psichiatra con una passione per la cucina ma a volte si dilettava in cruenti crimini. Magari anche dietro all'innocuo pasticciere Ryo Tatsuki si trovava una figura tanto corrotta ed enigmatica. O più probabilmente no, anche se ricordava di aver sentito delle voci riguardo ad una specie di ristorante dal menù creato per soddisfare i cannibali e leggende su come il misterioso Vigilante in Verde Druid aveva lavorato per chiuderlo. A conti fatti però quella non era altro che una leggenda ed era meglio lasciare che fosse tale.
    Al di là di questo, forse sarebbe stato meglio per lui tenersi lontano dalla bacheca delle taglie della Yakuza o vi avrebbe trovato anche un non troppo ben nascosto Yuya. Ripensandoci era abbastanza strano che né lei, né il giovane dai capelli bianchi e neppure Daisuke ne avessero una dopo tutti i piedi che avevano calpestato e vista la loro presenza alla UA il giorno dell'attentato. Quella se non altro era una conferma del fatto che non avevano nessun conto da saldare, anche se significava che tutti coloro che avevano infastidito erano ormai morti. Un finale agrodolce per una storia amara.
    Nah. - sospirò a quella battuta sull'incenerimento. Ai tempi aveva trovato quel nome bizzarro ma era davvero tanto tempo che non parlava con nessuno e probabilmente avrebbe lasciato passare anche se lui l'avesse insultata, cosa che in realtà aveva poi comunque fatto. La loro prima interazione non era stata tra le più pacifiche e questo andava necessariamente accettato - Anzi... Mi spiace di averti messo nei casini, ai tempi. - aggiunse stringendo l'indice destro con le dita della mancina, con una nota di rimorso nella sua voce acuta. Difficilmente la svedese si sarebbe mai perdonata di aver portato Ryo dalla Serpe e avergli permesso, pur ingenuamente, di sperimentare su di lui.
    Non potevo scegliere un dottore peggiore, eh? - ridacchiò con forse troppa leggerezza rispetto all'accaduto. Il ragazzo in coma, la Serpe che aveva armeggiato con la sua coda, per un periodo probabilmente il ragazzo aveva persino ospitato parti di un'altra persona all'interno del suo corpo. Quanto accaduto era stato orribile ma per fortuna erano riusciti a metterci una pietra sopra. Una lapide persino, a dirla tutta.
    Se solo la Dottoressa Omori avesse aperto prima... - sussurrò a metà tra il serio e la battuta. Non la conosceva bene ma Yuya lavorava per lei e come ogni persona un po' navigata nel mondo della criminalità sapeva dell'aiuto che dava a chi aveva dei problemi e non poteva risolverli in altro modo. Anche se lavorava per lui ai tempi Yami avrebbe probabilmente preferito portare il febbricitante Ryo da lei piuttosto che dalla Serpe. Ai tempi pensava di essere stata nel giusto, ma ripensandoci a mente fredda aveva decisamente sbagliato a fidarsi di lui. Lo aveva fatto per liberarsi di suo fratello - anzi, per liberarlo - ma si era trovata invischiata in qualcosa di molto più grande di lei.
    Ascoltò con interesse il ragazzo parlare della sua famiglia (o meglio, dei suoi drammi familiari). Ognuno aveva le sue a quanto pareva. Lei aveva accettato ormai da tanti anni la morte dei suoi genitori, era un fatto finito e non poteva farci chissà che ormai. Ma Ryo... la sua famiglia c'era ancora e poteva contattarli volendo. Beh certo, a meno che non fosse successo qualcosa in sua assenza, durante quello che sembrava più che altro un esilio volontario.
    Cosa avrebbe fatto lei se si fosse trovata in quella situazione? Se fosse stata lei ad allontanarsi dai suoi familiari? Avrebbe avuto il coraggio di scrivergli o di chiamarli? Per quanto avesse accettato la loro scomparsa ovviamente Yami avrebbe fatto di tutto per farli tornare indietro, era solo conscia che non sarebbe mai stato possibile. A vederla ora poi probabilmente sarebbero stati decisamente delusi da lei. Non era riuscita a cavare un ragno dal buco nella sua vita e non aveva la minima idea di cosa fare in futuro, non era certamente la figlia modello che i suoi genitori avrebbero voluto.
    Il piccolo Ryo, eh? - domandò con un accenno di risata sulle labbra increspate. Pensare a come potesse essere il giovane ragazzo dai capelli bianchi da bambino era decisamente buffo. Più vicino al pacato pasticciere che era ora o al turbolento attaccabrighe di qualche anno prima? A rigor di logica quest'ultima se pensava di aver causato dei problemi ai genitori e ai fratelli - Mi chiedo come fossi. Per il resto beh, se la polizia non ci ha ancora presi significa che siamo decisamente bravi a nasconderci. - rise in aggiunta. ETERNIUM non aveva fatto chissà cosa ma considerata la loro presenza alla scuola per eroi il giorno dell'attentato di qualche anno prima e che nessuno li aveva mai chiamati neppure per interrogarli significava che erano decisamente bravi a nascondersi, almeno di quello bisognava dargliene atto.
    Come mai, non ti trovi più bene dalla signora Miko? - domandò quindi incuriosita. Era felice che il suo amico volesse puntare più in alto ma si chiedeva il perché e soprattutto, pur rispettandolo, se potesse davvero esserne in grado. Ai fornelli e al forno Ryo sapeva il fatto suo e i suoi dolci erano molto buoni ma mantenere un negozio richiedeva molto più che il talento nel preparare delle buone paste. Bisognava contrattare coi fornitori, farsi pubblicità, rientrare nelle spese, pagare le tasse e tutte quelle altre cose da adulti responsabili.
    Era ironico che quella notizia arrivasse dopo pochi giorni da quando Eve le aveva proposto di aprire un locale o comunque appoggiarsi ad uno già esistente: sembrava quasi che più che rivoluzionare la società e tutti quei sogni stupidi dovessero iniziare ad investire e riciclare denaro come faceva la Yakuza. Il pensiero che le due cose potessero incontrarsi e che la pasticceria di Ryo potesse diventare la base "culturale" di ETERNIUM era decisamente divertente. Immaginava le sue idee stampate con un font carino per la carta che copriva i pasticcini da asporto e così via. Un'idea buffa e ovviamente inattuabile, ma ridicola al punto giusto da girarci un qualche film distopico e assurdo da mandare al cinema.
    Se dovesse servirti un prestito puoi chiedermelo, lo sai. - gli disse quindi con sincerità. Yami era facoltosa e non ne faceva un mistero, ma d'altra parte non voleva neppure fare la carità. Innanzitutto perché sapeva che Ryo non l'avrebbe mai accettata e secondariamente perché doveva comunque tenersi da parte i soldi per il futuro. I suoi erano facoltosi, sì, ma non erano comunque dei miliardari e comunque ogni volta doveva sottoporsi al cambio da corone svedesi a yen. Quella era quindi davvero la proposta di un prestito e non di un regalo, anche se magari avrebbe potuto investire un po' sul suo amico e dividere le quote dell'azienda o come diavolo funzionavano quelle cose. Avrebbe dovuto chiedere al suo commercialista perché non ne capiva nulla.
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    Ryo non pensava che Yami fosse in qualche modo in debito con lui, anche perché aveva fatto molto poco nella sua vita per meritarsi una cosa del genere. Forse era lui che vedeva tutto attraverso un filtro che gli impediva di vedere le colpe della svedese, ma erano semplicemente due persone che si erano affidate l'una all'altro per provare a sopravvivere un minimo a quella situazione. Vivere nel casino sembrava essere la sua specialità dopotutto, quindi era semplicemente scivolato un po' più a fondo in quel baratro immenso di criminalità. Ed era vero, quello che aveva visto lo aveva spaventato così tanto da farlo risalire in maniera disperata. Ma non era giusto attribuire la colpa a qualcuno, almeno secondo lui. Se c'era qualcuno da incolpare era sicuramente lui stesso quando aveva deciso di fare quell'idiozia di andarsene di casa, distruggendo per sempre i rapporti con la sua famiglia. Nonostante avesse ripetuto a Yami che stava bene così, era nella sua natura rimuginare sulle scelte del passato. E se avesse deciso di curarsi invece di ignorare i suoi problemi? Non si sarebbe evoluto fino ad arrivare al Ryo attuale, perdendo numerose amicizie ma forse con una salute mentale migliore. Che loro valessero o meno del non soffrire, non era una domanda a cui poteva rispondere con certezza. Era nella natura umana cercare di non soffrire e si sarebbe evitato di sicuro qualche fulmine che gli aveva quasi fritto il cervello, ma non poteva sapere se la sua vita sarebbe stata meglio o peggio. Non voleva che Yami si sentisse in colpa, non poteva di certo immaginare che quel viscido dottore facesse strani esperimenti con le Unicità delle persone. Beh, forse poteva anticiparlo un po' considerato il suo atteggiamento da scienziato folle e i grandi discorsi che faceva sui Quirk ai tempi. Era strano pensare come la Serpe fosse un po' il precursore dei grandi dibattiti sui Negaquirk, perché l'unico ricordo che aveva nella mente era la paura che provava di fronte al suo viso pallido e la rabbia che aveva nei suoi confronti come persona. Che il medico fosse in qualche modo collegato a Matsumoto o ad Hanzo? Ora era morto e non lo avrebbe scoperto mai, probabilmente. Sorrise a quella battuta. Non poteva negare che dopotutto lo aveva salvato, anche se aveva approfittato di avere un corpo in più da usare come lavagna per sperimentare.
    Se mai ti farai male so dove portarti. Sicuro non da quel serpente. - Cercò di scherzare, mentre pensava a quel misterioso nome femminile che ogni tanto aleggiava alla ETERNIUM House. Yuya lavorava lì e sapeva che la clinica ospitava chiunque si trovasse in difficoltà, anche se si chiedeva se non fosse un mestiere troppo pericoloso. Certo, il ragazzo con la coda da diavolo era di certo esperto nel fronteggiare i più assurdi criminali, ma era pur sempre un luogo dove a volte si accumulava la feccia più bassa di Tokyo. Sperava che la dottoressa avesse qualche modo di difendersi o che bastasse la presenza di Yuya per intimorire i malintenzionati. Effettivamente, lui poteva essere lì in un istante. Chissà se Yami era gelosa della dottoressa, come in un qualche romanzo o soap opera, oppure nelle relazioni ci si fidava così tanto da non temere queste cose. Per lui un amore perfetto era privo di litigi del genere, ma come già detto Ryo non aveva idea di cosa fosse una vera relazione amorosa.
    Mi chiedo cosa ci facesse là quel ragazzo, quella notte. E' un po' strano pensare che ora sia in un istituto psichiatrico... sai, io invece sono qui a godermi il tramonto. E' un po' triste come cosa. - Gli uscì quel pensiero di bocca, visto che stavano parlando di quello, che riempì velocemente di amaro caffè. Non meritarsi la propria felicità era un ragionamento che si faceva un po' troppo spesso strada nella sua mente, ma sapeva che non tutto quello che pensava corrispondeva al vero. Chissà se anche quel Thunderstorm aveva dei problemi personali che riusciva a risolvere solo con la violenza. Il fatto che gli dispiacesse per lui forse significava che era maturato almeno un po' e aveva dimenticato il rancore per il dolore che gli aveva causato. Se non avesse sentito che era finito in ospedale, probabilmente avrebbe continuato ad odiarlo. Era pietà quella? Oppure pena?
    L'incubo di ogni insegnante. E credo che sia anche la polizia a fare schifo, non hanno catturato un singolo criminale importante negli ultimi mesi. - Era un po' imbarazzato dalle parole di Yami, visto che lui considerava sé stesso giovane l'essere umano più idiota del sistema solare. Se si fossero conosciuti da adolescenti probabilmente lei avrebbe fatto tutto per evitarlo, fastidioso com'era, mentre lui l'avrebbe giudicata come una qualche studentessa modello che doveva per forza non sopportare. In effetti non aveva idea di come avesse passato l'infanzia Yami, non aveva mai chiesto nulla del genere per evitare di far rimuginare la svedese sui suoi genitori. Li aveva persi per un motivo assurdo, tanto da far chiedere all'albino se Yami avesse mai superato la cosa. Sembrava stare più o meno bene quando per qualche motivo si toccava un argomento simile, ma se a lui un po' mancavano ed erano ancora vivi doveva essere orribile perderli per sempre senza la possibilità di dire addio.
    Mh. Non è solo per quello. - Ammise, prima di continuare il suo discorso. La figlia di Miko-san mi odia da quando ha cominciato anche lei a lavorare lì, per qualche motivo. Come dire, mi tratta un po' come se stessi per distruggere la pasticceria. Forse era pure lei una criminale e mi conosce. - Aggiunse ridendo, visto che la possibilità che fosse la realtà era molto bassa.
    Però beh... forse è solo per avere qualcosa di mio, per tenermi occupato un po'. Ci sarò sempre per ETERNIUM ma dopo tutto questo tempo fare cose normali mi piace. Spero non sia sembrato troppo strano questo mio nuovo hobby. - Finì per sorridere mentre ragionava, prima di guardare di fronte a sé, quasi malinconico. La proposta dell'amica lo fece girare verso di lei, la bocca appena aperta dallo stupore. Lui non avrebbe mai chiesto a Yami quei soldi, ma lei glie li aveva pure offerti. Quella cosa un po' lo faceva arrabbiare. Sapeva che poteva farcela da solo, ma la società gli impediva di muoversi e di fare quello che sognava, quello che voleva fare per saldare i conti con essa. Il fatto che il suo cervello gli dicesse che l'unica strada per aprirla era quella o darsi di nuovo alla criminalità la diceva lunga su quanto i criminali e le persone nuove fossero accettati tra i giapponesi.
    Grazie, Yami, ci penserò. Vorrei farcela da solo, ma non offro tutte queste garanzie ai ricchi uomini d'affari. - Rispose, sperando di non apparire come uno sciacallo approfittatore. Potremmo usarla come base per ETERNIUM, con una stanza segreta che si apre dopo che giri un piatto. Manca solo il nome. Qualche idea? - Finì di parlare, mentre il sole cominciava già ad abbandonarli per colorare di blu il cielo, come se fosse un artista nel suo periodo più deprimente. Si chiedeva se le parole che si stavano scambiando avessero un senso, se non stessero parlando troppo di lui. Eppure, ogni tanto gli piaceva parlare con qualcuno così, senza nessun altro se non il vuoto ad ascoltarlo.
     
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    Yami Dødson
    "Tell me you know what I mean You've set on me But you are not the sun"
    Ridacchiò alla battuta dell'amico. Beh, certo, portarla a curarsi da un cadavere non era proprio l'idea migliore al mondo. Forse Yami pensava a queste cose con un po' troppa leggerezza, ma abituata a vivere per strada e a vivere con suo fratello la sua sensibilità all'argomento doveva probabilmente essere crollata a picco. D'altro canto, se fosse stato altrimenti probabilmente non sarebbe mai riuscita a superare la morte dei suoi genitori. Le persone nascono e muoiono, è un ciclo infinito e necessario. Per questo, probabilmente, a spaventarla delle minacce del dottor Takashi non era tanto la prospettiva di perdere la vita quanto quella di perdere l'unicità. Ovviamente avrebbe pianto, e a fiumi, nel caso in cui Yuya, Ryo o Daisuke gli fossero stati strappati via da quella catastrofe, la Serpe però non rientrava chiaramente tra i suoi affetti. Per un periodo aveva pensato che la sua morte potesse essere nient'altro che un fatto positivo. Un pericoloso criminale eliminato dalla piazza. Pur passando a miglior vita con un metodo atroce, un pericolo in meno per le strade, ed ironicamente era anche lo stesso pensiero che aveva avuto venendo a conoscenza della morte di suo fratello. Era ironico pensare che da un certo punto di vista lei e il ragazzo albino al suo fianco dovessero essere tra i più insensibili in ETERNIUM, almeno riguardo a questo argomento, considerato anche quando tempo Daisuke aveva passato a rimuginare sulla morte di quel ragazzo alla UA e Yuya... meglio non pensarci. Ma si ricordava benissimo quando era giunta alla scuola per eroi e quel ragazzo era ormai già morto, diviso in due pezzi sul pavimento del corridoio che probabilmente attraversava ogni giorno alla ricreazione. Quando lo aveva visto neppure un pensiero era passato per la sua mente, era solo uno dei tanti, a piangerlo ci avrebbe pensato la sua famiglia. Lei probabilmente avrebbe fatto lo stesso, e lo stesso anche col Sagrestano. Era un randagio pronto a ferire ed uccidere gli altri solo per procacciarsi un po' di cibo e non sarebbe mai riuscita a soffocare quella parte di sé stessa con un cuscino sul volto nella notte.
    Mmmmmh. - borbottò ascoltando il rimuginare del ragazzo dalla coda sanguigna riguardo a quell'uomo che lo aveva aggredito nel vicolo, quella notte in cui si erano incontrati. Cosa ci faceva lì? L'eroe, probabilmente, o era quello che credeva di fare. O era quello che credeva di credere di fare stando alle notizie di qualche mese prima sul giornale. Non gliene aveva mai parlato, ma lo aveva incontrato casualmente in un bar qualche giorno dopo ed era rientrata così in possesso del suo kukri. Ripensando a quella chiacchierata era palese che fosse un invasato con idee quasi più radicali delle sue ma da lì a pensare che potesse essere sotto il controllo mentale di un pericoloso criminale o qualcosa di simile... assurdo.
    Sai... - prese parola con un flebile sorriso sulle labbra - L'ho incontrato per strada, qualche giorno dopo. Mi ha ridato il kukri... E persino il suo numero di telefono! - rise portando la mano destra davanti alle labbra per coprirsi. Si ricordava di essere arrossita come un peperone perché beh, già ai tempi le piaceva Yuya. Era stato qualche giorno dopo la loro gitarella a Disneyland, quando lui l'aveva fondamentalmente stregata per la prima volta. Ripensandoci adesso sembravano memorie così lontane da provenire da un sogno molto movimentato in confronto alla piacevole tranquillità di quegli ultimi anni.
    Mi pare ti avesse chiamato... "pazzo furioso". Ironico, no? - ridacchiò. Considerato come le cose si erano ribaltate, seppur di cattivo gusto, quella battuta era più che azzeccata - Si è messo a parlarmi di come il mondo andrebbe cambiato e boh, tipo la malvagità estirpata. E che era giusto utilizzare le maniere forti sui criminali. - aggiunse spostando lo sguardo all'orizzonte che sfumava ora in toni violacei e blu - Disgustoso. - specificò con una nota dispregiativa. Era la prima a considerarsi un frutto marcio della società o un randagio o un errore, ma questo non significava che gli eroi avessero il diritto di schiacciarli come dei vermi. Ripensare a quella discussione quasi accendeva di nuovo in lei la fiamma della ribellione nei confronti degli eroi, quell'odio primordiale e atavico che lei e suo fratello nutrivano per il simbolo di quella società corrotta. Fortunatamente era cambiata, non era più la ragazzina ingenua di un tempo che si lasciava trasportare dai suoi sentimenti. Un individuo simile, specie visto come si erano evolute le cose, non rappresentava un'intera categoria.
    Si era giustificato dicendo che i suoi professori erano disposti anche a mutilare gli studenti pur di formarli correttamente. - disse portando la mano destra al suo pallido occhio color zaffiro. Il ragazzo dei fulmini aveva una benda e con questo Yami intendeva indicare che, al posto di Ryo, non la indossava solo per mero fashion - Non so se fosse vero o se invece sia stato quel tizio... - riprese indicando il criminale che secondo la stampa lo aveva plagiato mentalmente - Ma se così fosse, se c'è una nota positiva in tutta la storia della Serpe è che almeno alla UA sono cambiati i professori.
    L'idea di ascoltare Ryo parlare dei suoi drammi lavorativi la metteva quasi in imbarazzo, e non perché non volesse ascoltarlo o la disturbasse ma perché semplicemente non avrebbe saputo cosa rispondergli. Non era certo esperta dell'argomento, né se si parlava di cucina né se si parlava di lavoro in generale. Chissà, magari anche lei presto o tardi avrebbe trovato un impiego, sarebbe diventata il sottoposto di qualcuno da qualche parte. Vista la sua disponibilità monetaria sarebbe probabilmente stato molto divertente, un grandioso contrasto a meno che non sarebbe finita a lavorare in qualche azienda multinazionale. Non aveva molte idee su cosa le sarebbe potuto piacere fare: anche quando era piccola il suo piano era di studiare per sempre, un po' come facevano i suoi genitori. I soldi per avviare una carriera pseudo-museale o da collezionista li aveva anche ma le mancavano il gusto e le conoscenze. Forse col suo sogno avrebbe potuto intraprendere una carriera politica, ma l'avrebbero accettata con quella macchia sulla sua fedina penale, per quanto ripulita? Dopo essere scomparsa per anni onestamente quasi non si aspettava neppure che le credessero oramai. Chissà come si sarebbe sentito Yuya all'idea di stare col primo ministro giapponese, vederla andare ogni giorno in ufficio in tailleur, tacchi alti e valigetta. Onestamente le pareva tutto buffo ed apprezzava Ryo con i suoi sogni più semplici e a portata di mano, la sua voglia di raggiungerli.
    Che male c'è nel trovare il proprio posto nel mondo. - gli sorrise. Non sembrava strano e se si sentiva felice in quel modo perché qualcuno avrebbe dovuto giudicarlo. Di sicuro era un hobby meno pericoloso del precedente.
    Beh, infatti ho detto prestito. - lo provocò ridacchiando, dandogli un pugnetto innocente sulla spalla più vicina - Alla peggio posso prendere una fetta dell'azienda o come diavolo funzionano quelle cose. - espresse ad alta voce il pensiero di poco prima, confermando la sua ignoranza in materia, per poi ridere alla sua battuta sul covo segreto che sembrava uscita da un qualche film fantascientifico. In tutta onestà, appunto, Eve aveva proposto una cosa simile. Certo, in molte rivoluzioni nel passato era tutti partito dagli intellettuali nei caffé ma forse una pasticceria non era comunque il posto giusto per una manovra di quel tipo, come già detto.
    Mmmmmh... - borbottò portando l'indice destro al mento, alzando gli occhi al cielo. Yami non se ne intendeva molto di nomi e cose simili però era ormai abbastanza navigata nell'ambito dei locali di Tokyo. Che fosse per cercare un posto carino per portarci Yuya o semplicemente perché non aveva nulla da fare e del tempo da sprecare era andata in molti posti e tanti altri li aveva scoperti tramite mappe presenti su internet, siti di recensioni e così via - Mi pare che vadano molto i nomi esotici, attirano. - esordì quindi. Molti locali in città avevano effettivamente nomi in inglese, italiano o altre lingue che venivano percepite come cool. Stando ai manga che ogni tanto leggeva o i videogiochi su cui si dilettava persino parole stupidissime per chi conosceva le lingue straniere venivano utilizzate comunemente in Giappone tanto da suonare persino fighe. Non si sarebbe stupita di aprire un manga e trovarci dentro un protagonista di nome melone o perro insomma. Probabilmente un nome simile poteva anche attirare curiosità nei primi mesi di apertura, attirando nuova clientela. A quel punto ovviamente bisognava però mantenere alte le aspettative ed essere davvero bravi. Utilizzare un nome simile però rischiava di essere estremamente impersonale e non avere alcun particolare impatto sulla clientela. Insomma, non si poteva chiamare un ristorante "Ristorante", la gente ci avrebbe riso su, magari ci avrebbe mangiato una volta e poi via. Un Ryostorante però. No, che nome idiota.
    Ummmmh... Pa... Patisseryo...? - borbottò tra sé e sé - Da Patisserie... Pasticceria... - aggiunse. Forse poteva starci.
    dSbLIiL
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    TMtNtzZ
     
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