Coming home, coming home, I'm here waiting for your words

Role || Joshua e Sakiko

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    Non era passato molto tempo da quando la città si era giusto un po' aperta. Dopo aver speso un compleanno, natale e capodanno con i suoi via videochiamata, ed un po' anche con amici vari, il nostro californiano si trovava in camera sua a cercare un po' lavoro. Controvoglia e stanco, ma almeno era meglio di vendersi online per via delle sue conoscenze in ambito videoludico, dunque a modo suo era un passo avanti. Ovviamente era ancora scosso ma attualmente si sentiva meglio, non vedeva l'ora di uscire e quel giorno era più bello del solito per via di una visita che stava per ricevere.
    Erano state settimane dure nelle quali ha pensato... troppo, avrebbe preferito impegnarsi e lavorare in qualche modo, e non vedeva l'ora di farlo anche perché il portafoglio stava diventando strettino. Era stato un periodo utile, non poteva negarlo, per uno come lui che non si sfogava e teneva tutto chiuso dentro di sé aveva un lasso di tempo così lungo dove poteva stare da solo o al contatto con i suoi era stato piacevole. In passato l'avrebbe trovato terribile, però ora non più e se quello non era un segno che era cresciuto, che cos'altro lo era?
    Non tutto però era una mucchio di cose sentimentali, in quel periodo si era organizzato con dei pezzi grossi del giro giapponese, e non, dei picchiaduro per organizzato un evento che il giorno prima avevano ufficialmente annunciato. Era una bella sensazione, era sicuramente meglio di qualsiasi cosa avrebbero fatto le forze dell'ordine o gli eroi, ed anche in quel caso sarebbe stata falsa. Tutti erano capaci di rimediare e sistemare le cose, ma dov'erano quando le cose contavano sul serio? Lui non aveva fatto molto, però almeno si è battuto per Tokyo. Ad ogni modo, ritornando in carreggiata, quell'evento era qualcosa che lo stava motivando parecchio ma anche che aveva tenuto nascosto a tutti, salvo una persona. La stessa persona che quel giorno l'avrebbe visitato per la prima volta dopo mesi di isolamento.
    Sakiko.
    Primo di quel casino sapeva che lei era qualcuno di speciale per lui, ma erano questi mesi che gli avevano messo il tutto in prospettiva. Non era solo un'amica ma era praticamente parte della sua famiglia, una delle poche persone con le quali si poteva rilassare ed abbassare la guardia e pensare che il loro primo incontro era stato così turbolento. Ha già provato cosa si provava ad essere innamorati e quello non era una di quelle situazioni, era qualcosa più particolare, speciale ed intimo. Era una sorella, ma neanche quella parola era quella giusta. Si sentiva bene e rilassato quando poteva poteva spendere del tempo con lei, però era quel tipo di rapporto dove uno non poteva essere troppo smielato e lui non era il tipo di persona che era brava a dirle quelle cose.
    Ad ogni modo, attualmente la stava aspettando in un modo assai elegante, ovvero in mutande mentre giocava al PC. Smanettando sulla sua fightstick e stracciando la maggior parte della gente online, mentre quelli che non batteva da bravo sportivo incolpava il personaggio, la connessione e solo dopo se stesso. « Ma và a ca***e, incapace del ca**o che spammi robe senza pensare! Sfigato di... » e così via, una lunga e complessa poesia di insulti in inglese e creando delle composizioni che avrebbero fatto invidia al miglior letterato e poeta. Insomma, una giornata come tante per lui siccome non avendo impegni non aveva molto da fare. Avrebbe pure continuato a farlo, però non appena udì il campanello della porta si rizzò in piedi e ancora prima di rispondere cercò i jeans e li indossò in fretta e furia. Avrebbe indossato i pantaloni sportivi, però avrebbe avuto una celebrità nel suo appartamento. Un posto abbastanza disordinato, piccolo e che divideva pochissimo la sua là dove dormire, l'altra stanza che serviva da cucina e soggiorno e il bagno che aveva giusto doccia, bagno, un lavandino ed uno specchio. Niente di che, ma serviva allo scopo e il condominio aveva al primo piano la lavatrice - ah, le serate spese a parlottare controvoglia con i vecchietti. « Eccomi! » disse, una volta vestito e dichiarandosi vagamente apposto, andando direttamente alla porta per poi aprirla.
    Di fronte a sé, sorpresa sorpresa, era proprio la bionda che non aveva visto di persona per mesi. Per questo motivo, in un gesto molto poco da Joshua quest'ultimo, ancor prima che lei avesse la chance di aprire bocca, cercò di fare un passo avanti e darle un grosso abbraccio. Il tipo di gesto che diceva mille cose senza una parola, di chi ne aveva davvero, davvero bisogno.
    schedaquirkcronologia ● outfit: [X] ◈


    SPOILER (click to view)
    Edit: small typo fix
    Edit 2: aggiunto l'outfit, ovvero com'è l'aspetto di Joshua in questo momento (?)


    Edited by Decadent Albatross - 1/26/2021, 12:30 PM
     
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    Sakiko Yumeno

    Narrato - «Parlato»






    Seduta sui sedili posteriori dell’auto Sakiko stava scrutando con espressione assorta le strade di Tokyo. Erano passati praticamente più di due mesi dall’ultima volta che si era trovata nella sua città natale e la città le appariva drasticamente mutata.
    Quando si era allontanata per un piccola pausa dal lavoro un paio di mesi fa non aveva idea che quella pausa si sarebbe trasformata in un esilio forzato dalla città messa sotto assedio.
    A causa dello scellerato attacco terroristico e gli eventi che ne erano scaturiti la città era stata messa praticamente sotto quarantena. Sakiko avrebbe anche potuto fare ritorno prima ma suo padre si era energicamente opposto. ‘Tokyo non è sicura’ aveva detto – era davvero assurdo. Come poteva una città come Tokyo, la sua città, non essere sicura? Come poteva una metropoli moderna e civilizzata come Tokyo essere trattata alla stregua di una zona di battaglia?

    A poco erano valse le proteste e le obiezioni di Sakiko. Suo padre non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva trascinata con se a Kyoto dove sarebbero rimasti finché “non si sarebbero calmate le acque”.
    Per Sakiko fu piuttosto svilente – pensava a tutti i suoi amici. A quello sconsiderato di Joshua che chissà cosa si era messo a combinare. A Momo con la quale aveva recentemente legato e si era sviluppato un rapporto che si stava rivelando più complicato del previsto. A Jason e Castiel i due cugini americani che l’avevano preso sotto la loro ala coinvolgendola nei loro progetti teatrali e stringendo un rapporto con lei che andava oltre la mera sfera professionale.


    I primi giorni dell’emergenza erano stati i più terribili – aveva potuto mettersi in contatto con i suoi amici in maniera sporadica e limitata a causa di vari problemi tecnici alle linee di comunicazione. Era rimasta incollata a guardare inorridita le scene da apocalisse trasmesse dai servizi ai notiziari sperando – pregando – di non vedere anche di sfuggita un qualche volto familiare apparire sullo schermo.
    Aveva tirato un immenso sospiro di sollievo quando lo stato di emergenza della città era terminato. Purtroppo però la cosa non si era tradotta nella fine delle preoccupazioni ne per la città di Tokyo ne per la idol in esilio.

    Tokyo era sopravvissuta figurativamente a quella catastrofe… ma non senza pagare un duro prezzo.

    Sakiko era rientrata nella sua città quella mattina stessa – nonostante la disapprovazione di suo padre che avrebbe voluto che rimanesse a Kyoto per almeno un altro mese. Osservando la città dall’alto sembrava la stessa che Tokyo che aveva lasciato – la vivace, instancabile, forsennata metropoli del Giappone in cui era cresciuta. Ma adesso che si trovava a terra poteva ben vedere le cicatrici e i lividi che la città aveva subito durante quei giorni infernali.
    Aveva perso ormai il conto delle vetrine infrante e delle saracinesche scardinate che aveva visto lungo il tragitto. E i plotoni di volontari per le strade che ancora lavoravano incessantemente per rimettere in piedi la città.

    Ma più di ogni cosa lo si poteva leggere nei volti della gente – la paura, lo sgomento, il dolore, la rabbia, la frustrazione. Quante vinte spezzate… quante vite rovinate. Tutto per la follia di un uomo – un uomo che ancora non aveva pagato per i suoi crimini per giunta! Pensò irosamente la ragazza.

    Come avevano potuto gli eroi lasciarsi sfuggire quel pazzo criminale?

    Come avevano potuto permettergli di mettere in atto questa orrenda catastrofe?

    Come avevano potuto lasciare che quest’incubo potesse accadere?


    Fu mentre contemplava questa frustrata invettiva interiore che l’auto raggiunse la sua destinazione. Momentaneamente spaesata Sakiko guardò fuori dal finestrino. Si trovava nel quartiere di Ginza – un quartiere noto per essere un po’ il cuore del glamour e del lusso della città, con locali da VIP, ristoranti stellati e negozi mirati ad una specifica clientela – quella con tasche profonde e piene di soldi nello specifico.

    Ma non era in quella zona di Ginza che si trovava in quel momento. La idol si trovava infatti in una zona ben più modesta per non dire piuttosto più misera rispetto alla reputazione scintillante del quartiere. Era una zona residenziale di appartamenti economici – il che era un termine sempre piuttosto relativo perché un piccolo appartamento economico di Ginza era comunque sempre più dispendioso di un appartamento ben più lussuoso in molti altri punti della città.
    La ragazza posò lo sguardo su una palazzina dall’aspetto un po’ trascurato e rilesse l’indirizzo segnato sullo schermo del proprio cellulare per accertarsi di essere nel posto giusto, in quanto era la prima volta che visitava questo posto.
    Una volta accertatasi che non ci fosse errore la ragazza sospirò con fare un po’ nervoso e si rivolse all’autista «Va bene, Tatatsumi-san. Io scendo qui, lei può andare per il momento. Non so quanto tempo perderò…» – al che l’autista rispose con fare un po’ preoccupato «Ne è sicura signorina Yumeno? Questa zona mi sembra piuttosto poco raccomandabile… e suo padre ha insistito che io la l’accompagnassi diret-» – ma a quel punto Sakiko interruppe l’uomo con fare brusco «Andrà tutto benissimo, Tatsumi-san. Al contrario di quanto pensi mio padre so badare a me stessa e poi sto solo andando a visitare un amico.» – puntualizzò la ragazza con tono fermo.
    L’uomo però non sembrò molto convinto, probabilmente perché le rassicurazioni della ragazza non gli garantivano alcuna sicurezza dalle possibili e probabili ripercussioni da parte del padre. Ma prima che potesse dare voce ai suoi dubbi la ragazza lo anticipò «Per favore, Tatsumi-san. È davvero, davvero, davvero super-importante per me. Prometto che starò super-attenta.» – concluse rivolgendo uno sguardo supplicante all’autista.
    Era difficile resistere a quegli incantevoli occhioni verdi e l’autista finì per cedere sospirando «Va bene, signorina Yumeno… suppongo che possiamo tenere questa piccola deviazione un segreto. Ma non intendo lasciarvi a girare qui in giro quando sarà buio tornerò a prendervi al massimo per ora di cena per accompagnarvi a casa.»
    Sakiko fece una breve smorfia che però si trasformò in un piccolo sorriso soddisfatto «Affare fatto.»

    Cosi dopo le ultime raccomandazioni la ragazza indossò preventivamente una mascherina sul viso e scese dalla Mercedes nera, chiudendosi bene il lungo cappotto e stringendosi al collo una sciarpa per proteggersi dal gelo esterno.

    Entrò nella palazzina mentre l’auto si rimetteva in moto e si allontanava alle sue spalle.
    La ragazza s’incamminò attraverso l’atrio della palazzina raggiungendo un vecchio ascensore. Le porte della cabina si aprirono e si chiusero dietro di lei cigolando un po’ – il tipo di suono poco rassicurante che non si vorrebbe davvero sentire entrando in un ascensore. C’era un odore anche piuttosto sgradevole all’interno ma la ragazza preferì non soffermarsi a chiedersi a cosa fosse dovuto temendo che non avrebbe davvero gradito la risposta. Però c’era uno specchio appeso sulla parete interna – non pulitissimo ma abbastanza per permetterle di specchiarsi.
    La ragazza ebbe giusto il tempo di rimirare frettolosamente il proprio riflesso allo specchio, togliendosi la mascherina e sistemandosi istintivamente un po’ i capelli, quando l’ascensore si arrestò bruscamente annunciando la fermata con un vivace scampanellio.

    La ragazza fece un profondo respiro ed uscì dalla cabina.

    Trovò facilmente la porta dell’appartamento di Joshua. Esitò giusto un momento. Si sentiva nervosa.
    Erano ormai passati più di due mesi da quando l’aveva visto l’ultima volta di persona. Si erano tenuti in contatto via chat e video-chiamate ma non erano ovviamente la stessa cosa.
    La ragazza poi sentiva un vago senso di colpa. Joshua come molti suoi altri conoscenti erano rimasti intrappolati in quell’inferno, costretti a trincerarsi nelle proprie case. Lei invece per una fortuita tempistica si era ritrovata al sicuro lontana dal pericolo. Ma anche lontana dalle sue persone care.
    Tutto quel tempo sentiva come se li avesse un po’ abbandonati – come se sentiva che fosse un ingiustizia che lei non fosse lì a condividere le loro difficoltà.

    Era quello che avrebbero che pensavano anche loro? Magari che lei se l’era scampata dal pericolo grazie ai suoi privilegi di celebrità?

    Il dito indice della ragazza premette il campanello.

    Sentì un po’ di confusione provenire dall’altro lato della porta, seguita dalla voce ovattata dell’americano. Poi finalmente la porta si aprì e la ragazza si trovò davanti Joshua in tutto il suo plendore…

    …beh, splendore si fa per dire. L’americano aveva un aspetto trasandato, una zazzera di capelli lunghi lasciata spettinata, un viso sbarbato e le tipiche occhiaie di chi ha passato troppo tempo davanti ad uno schermo a giocare e troppo poco fuori all’aperto.
    Ci fu un breve momento di pausa. I due semplicemente si guardarono in faccia come se fossero sorpresi di vedersi. Sakiko sentì un alluvione di diversi sentimenti allagargli il petto. Era felice e sollevata di rivedere il suo amico tutto sommato sano e salvo. Era come se anche averlo visto attraverso uno schermo e sentirlo via chat non l’avesse mai davvero convinta del tutto che lui stesse bene.

    Poi inaspettatamente Joshua avanzò per abbracciarla…



    …ma prima che potesse abbracciarla, Sakiko rammentò un altro intenso sentimento che aveva covato a lungo durante quel periodo di lontananza.

    La mano della ragazza si alzò saettante verso il volto del ragazzo e andò per colpirlo sulla guancia con uno schiaffo a piene dita. Le labbra serrate in un linea tirata, gli occhi infuriati e lucidi andarono a fulminare quelli dell’americano e la ragazza sbottò con voce pregna di carica emotiva «Questo è per avermi fatto preoccupare! BAKA GAIJIN

    L solo dopo quel rimprovero, tanto inaspettato quanto intenso, la ragazza si fiondò su di lui per abbracciarlo, stringendogli le braccia attorno alla vita e nascondendo il viso contro il suo petto sperando che premendo la faccia contro questo avrebbe impedito alle stupide lacrime di sollievo di scivolare giù dagli occhi.




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    Il candido momento che era apparso nella mente dell'americano si frantumò come un bicchiere gettato giù dal tavolo da un gatto troppo curioso e, perché Joshua preferisce i cani, pieno di sé. Stava per dire qualcosa del tipo 'Che diamine?!' all'amica, ora provando un filo d'imbarazzo ma gli bastò poco tempo per fare uno più uno e capire come mai si era beccato un ceffone. Farla preoccupare in quel modo non era stata una scelta molto saggia, però in sua difesa senza il suo intervento non solo Roppongi sarebbe totalmente sommersa dal gas, ma Yves e compare sarebbero chissà dove ed ancora convinti che non stavano facendo niente di male. Secondo Joshua, ovviamente, ma non importa. Non sapeva che fare o dire, ma per sua innata fortuna non dovette fare niente siccome la piccola bionda ripartì all'attacco con un metaforico gancio destro, ovvero un'espressione che lo faceva sentire veramente uno schifo. Una combinazione davvero micidiale, però non poteva demordere, quella non era una serata dedicata completamente ai sentimentalismi. « Yup, me lo merito, ma aspetta di sentire tutta la s- » non riuscì a finire la frase perché ora era il turno di Saki di abbracciarlo, segno che ora i due erano alla pari. Meglio così, conoscendola si aspettava ancora un paio di calci negli stinchi che, onestamente, al posto suo se li sarebbe dati eccome.
    Sentiva che la sua maglietta stava diventando umida e si, la cosa lo stava facendo sentire strano ed imbarazzato più che in colpa. Sapeva che il loro legame era vicino e speciale, dire che Saki era praticamente parte della sua famiglia non era un eufemismo però non aveva mai avuto una conferma così... diretta. Cosa avrebbe provato se dopo lo scontro con i due se ne usciva senza un braccio? In coma? Morto per mano dei due o del farmaco? Quelli non erano pensieri nuovi, ma sentirsi addosso le lacrime della idol gli faceva considerare ancora di più quelle possibilità passate, presente e future. Era davvero sicuro di voler fare il vigilante e possibilmente lasciare una ragazza così traumatizzata? Il Joshua di un'anno fa avrebbe detto di no, che non ne valeva la pena, ma quello che aveva vissuto quella cruenta notte di novembre la pensava diversamente. Il biondino aveva ragione, essere forti era importante ma lo era per poter difendere se stessi e chi ti sta a cuore, ed anche allora quel potere rimaneva un qualcosa di nobile fintanto che non lo usavi per far del male a degli innocenti. Un terrorista poteva avere una 'Saki' a cui teneva moltissimo, ma il fatto che per proteggerla aveva ucciso così tante persone lo rendeva incomparabile agli occhi di Joshua.
    « Andiamo dentro, su, » la intimò ad entrare con un tocco stranamente gentile, limitandosi a poggiare solamente un braccio sulle spalle dell'amica. Era molto goffo, non voleva rovinare quel momento ma in qualche modo dovevano pur entrare. « Potevi dirmi, comunque, che venivi qui all dolled up. Almeno mi mettevo qualcosa di diverso, » e non presentarsi senza il suo classico gel sui capelli. Non erano molte le persone che lo vedevano conciato in quel modo, senza la solita aria da sbruffone che indossava quando andava in giro per Tokyo. Quei capelli naturali erano quasi un segno di debolezza, i suoi genitori per esempio lo vedevano così ed a parte loro non gli veniva in mente nessuno con cui si sentiva a proprio agio senza gel.
    Se la ragazza avrebbe accettato la sua proposta avrebbe potuto vedere un appartamento che in quei due mesi, se non oltre, era stato mantenuto al minimo del vivibile. I segni di pulizia erano evidenti ma pessimi, era sicuramente assai diverso dal lavoro che la famiglia Yumeno era in grado di pagare per le pulizie. Sul tavolo dell'area della cucina e soggiorno ci stavano un paio di bicchieri ed un piatto con delle patatine fritte che sembravano essere recenti, mentre nell'altra parte dell'appartamento si poteva ancora udire il suono di sottofondo del gioco che Joshua stava giocando. Non si era nemmeno degnato di abbassarlo, a dire il vero era leggermente imbarazzante data ls situazione ma non era il certo di cosa che uno poteva rimediare ora. Cioè, si, ma come detto prima Joshua era enormemente goffo quando si trattava di dover affrontare un certo tipo di momenti.
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    Sakiko Yumeno

    Narrato - «Parlato»





    Era stato un impulso irrefrenabile e spontaneo. Era come se una diga mentale di Sakiko fosse crollata lasciando scorrere un torrente emotivo di paura, apprensione… e lacrime.

    Sul palco e davanti alle telecamere Sakiko aveva un controllo perfetto sull’emozioni che manifestava – poteva passare da una grassa risata a piangere a comando con espressione devastata con uno schiocco di dita. Questa era la magia dello show – la maschera della recitazione che Sakiko indossava con esperta maestria.
    Ma questa magia non sembrava avere poco effetto nella vita personale della ragazza. Più si sentiva coinvolta e vicina ad una persona più difficile le veniva nascondere e trattenere il suo straripante lato emotivo.

    Nel bene e nel male, a causa della sua vita passata dentro una campana di vetro e la conseguente inettitudine sociale, era un aspetto della idol che però non molti avevano il privilegio di conoscere.

    Nonostante nell’ultimo periodo la ragazza avesse fatto grandi passi nell’emanciparsi sotto diversi aspetti, tutt’ora le persone con cui era entrata in concreta confidenza si potevano contare sulle dita di una mano.

    Joshua era diventato inaspettatamente uno di questi pochi privilegiati – anche se ad onor del vero era riuscito già a farla piangere fin dal loro primo incontro.
    Quando lo sfogò iniziale si quietò un po’, l’americano, comprensibilmente preso un pò alla sprovvista da quell’improvvisa scenata emotiva, invitò con fare inusualmente garbato e delicato la ragazza ad entrare. Sakiko separò quindi il viso dalla maglia del ragazzo giusto per trovarsi a constatare l’impronta di lacrime e mascara che gli aveva lasciato sopra.
    Tirò su con naso, con gli occhi un po’ arrossati e gonfi per il pianto, e il trucco sbavato. Non era esattamente l’aspetto che ci si aspetterebbe da una idol da copertina come lei.
    Con un espressione ancora leggermente imbronciata fece comunque un piccolo cenno di assenso con il capo, lasciando cosi che l’americano la scortasse dentro l’appartamento.


    La ragazza anche in quello stato motivo un po’ alterato tenne fede alla propria buona educazione e fece ben attenzione a rimuovere cappotto, sciarpa e guanti, rivelando un outfit che includeva un semplice blouse bianca a maniche lunghe, una gonna nera a vita alta che arrivava fino a sopra le ginocchia mettendo in mostra le lunghe gambe, lisce e affusolate a dispetto del freddo invernale, e degli stivaletti neri che le arrivavano alle caviglie. La ragazza rimosse gli stivaletti e lì posizionò nello spazio apposito all’entrata secondo la buona etichetta e prima di fare un ulteriore passo all’interno dell’appartamento mormorò a mezza voce «Ojama shimasu.»
    Al commentò sull’aspetto però l’espressione della ragazza ritornò offesa – più per principio che per la natura del commento. Voleva essere arrabbiata con lui – voleva punirlo per averla fatta preoccupare. Cosi mantenendo il broncio «Non mi sono fatta carina per te… Ho dovuto tenere un intervista al mio arrivo all’aereoporto…» – spiegò con un tono che faceva trasparire che non era stata particolarmente entusiasta della cosa. Con tutto quello che stava succedendo trovava stupido che i tabloid si preoccupassero di tenersi aggiornati su frivolezze e mondanità. C’era misera e distruzione in tutta la città, famiglie distrutte, forze dell’ordine allo stremo… e quei giornalisti venivano a dietro a lei per chiederle domande stupide come “Hai seguito una dieta speciale durante la quarantena?” o “Quale pensi che sarà il fashion trend post-quarantena?” - era tutto cosi… stupido! Perché non davano attenzione ai volontari, ai medici, ai membri delle forze dell’ordine che lavoravano strenuamente per riportare la città alla normalità? Perché non andavano a loro se seguono una dieta speciale per rimanere in forma fra un emergenza e l’altra? O quali colori per le maschere anti-gas fossero più in voga?

    «…e poi adesso che ho pianto la mia faccia sarà un disastro. Quindi direi che siamo allo stesso livello.» – aggiunse, trattenendo la tentazione di specchiarsi per il timore di vedere un clown slavato nel riflesso.
    La ragazza si fece strada dentro l’appartamento con relativa non-chalance guardandosi attorno con sguardo vagamente critico come se stesse lo mettendo sotto esame.
    Tutto sommato non era cosi terribile… o almeno non era cosi terribile rispetto a quello che si sarebbe aspettato lei. Ovvero un cubicolo di buio, sommerso da disordine e rifiuti, con montagne di videogiochi e riviste porno accumulate.

    Era un aspettativa basata sul cattiva reputazione degli otaku - categoria in cui rientrava anche l’americano.

    C’era del disordine e l’appartamento non era esattamente lustro. Qua e era possibile intravedere segni di una pulizia superficiale e approssimativa. C’era un denso odore di chiuso ristagnante che fece arricciare leggermente il naso della ragazza. Ma c’era ance l’odore untuoso di patatine fritte e gli occhi verdi della ragazza seguirono la scia olfattiva per posarsi sul piatto di patatine tiepide lasciate sul tavolo. Con una vaga espressione di rimprovero si rivolse quindi a Joshua chiedendo «Non avrai mica passato l’intera quarantena mangiando cibo spazzatura spero?»





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    Lasciando che la bionda entri dentro, chiuse lentamente la porta e si guardò intorno con uno sguardo di chi aveva la sensazione di non aver nascosto qualcosa di importante. Nonostante il suo atteggiamento e le battute, ci teneva a quell'incontro dunque gli sembrava più che naturale di voler rendere quel posto il migliore possibile per lei, senza però scendere nel smielato o esagerato. Però si conosceva bene e la possibilità di lasciare dell'evidenza che lo poteva incriminare con un qualche crimine molto severo agli occhi di Saki non era zero. Per fortuna, con un rapido controllo dei suoi dintorni, non trovò niente di grave - un momentaneo sollievo. Anzi, ora che ci pensava sapeva cosa si era dimenticato di togliere, era la maglietta che ora non solo era bagnata ma anche sporca di mascara, un gesto che normalmente lo avrebbe fatto arrabbiare ma date le circostanze decise di sorvolare.
    « Fammi indovinare - roba idiota? » il suo scetticismo e cinismo riguardo ai giornali per cui la bionda faceva interviste e servizi non era un segreto, e dato ciò che le diceva lei aveva dei ottimi motivi per pensarla così. Non era un argomento che saliva spesso, non voleva farle ricordare che era una idol finché spendeva del tempo con lui però in certe occasioni non poteva nemmeno brutalmente cambiare argomento. « Non sarebbe la prima volta, e ti ho già vista senza trucco, dunque tranquilla. Il bagno è l- aspetta, » andò subito a controllare se tutto era apposto e grazie al cielo lo era, niente fuori posto e per mantenere questo post leggibile ometto i posti che Joshua ha controllato. « Confermo, il bagno è qui, » con una nonchalance che potrebbe apparire un po' goffa, avrebbe indicato il bagno alla giovane nel mentre lui avrebbe velocemente cambiato maglietta. Ovviamente, nel caso Saki non se ne fosse andata in bagno, avrebbe cercato di nascondersi giusto un po'.
    Roteò gli occhi a quella domanda, che per quanto fastidiosa non era del tutto sorprendente. « No, anche perché a saperlo mio madre diventerebbe come Endeavor se non più temibile, » non mangiava cibo elaborato e sano tutto il tempo, però ci provava a mantenere una dieta quanto meno eterogenea. « Poi il cibo spazzatura americano qui fa cagare, semmai mi ingozzerei di ramen, udon e takoyaki, » era un po' difficile disabituarsi dallo standard, secondo lui, elevato dei fast food americani. « Comunque, prima che ti dica tutto, vuoi da bere? » non sapeva quanto ci avrebbe messo, dunque tanto male trattare l'ospite con un minimo di cortesia.
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    Sakiko rivolse a Joshua un sorriso tirato e sbuffò con fare frustrato «Già… ma suppongo che sia il solo tipo di domande che ci si aspetta una celebrità come me possa rispondere. Quando intervisti una idol ti aspetti che sappia parlare solo di come mantenga dei bei capelli o quale sia il segreto per mantenere un sedere sodo.» – rispose con espressione un po’ svilita e irritata.

    Non è che si ritenesse in grado di poter rispondere a domande particolarmente profonde o complesse sulla delicata situazione che la città stava vivendo… ma la irritava che la gente desse per scontato che lei fosse solo una bambolina bionda senza cervello.

    Sapeva che Joshua non teneva in alta considerazione il mondo dello spettacolo a cui apparteneva – e normalmente lei era sempre stata pronta a difendere i valori e l’utilità della sua professione contro le critiche ciniche dell’americano. Aveva sempre considerato che il mondo dell’intrattenimento forniva alla gente un modo per evadere dallo stress della vita di tutti i giorni. “Panem et circenses” dicevano gli antichi romani. Lo show business era un mondo di frivolezze e finzione che aiutava la gente a distogliere anche solo per un momento la propria mente dalle sue preoccupazioni.

    Era una piacevole illusione che aiutava ad affrontare la grigia realtà quotidiana.


    Ovviamente, la ragazza non era cosi ingenua da non essere consapevole che non era un settore mosso da altruismo e ideali. Si trattava pur sempre di show business – e questo che significava che quasi ogni aspetto era spesso unicamente volto al guadagno. Ma la ragazza aveva sempre intenzionalmente sorvolato sugli aspetti più cinici e superficiali in virtù della propria passione per il mondo dell’intrattenimento – amava riuscire a divertire ed emozionare la gente.

    …ma adesso in quel gramo e tragico scenario in cui si trovavano adesso la ragazza non era sicura se frivolezza e superficialità fossero ciò di cui la gente di Tokyo avesse bisogno.

    La ragazza però girò gli occhi al cielo quando l’americano commentò sull’averla già vista già senza trucco e gli rivolse un occhiata di rimprovero «BZZZZZZ! Risposta sbagliata! Baka-gaijin! In questi casi dovresti dire qualcosa tipo “sei carina anche senza trucco”! Mataku – ti mancano sempre le basi minime su come trattare una ragazza…» – brontolò la idol mentre Joshua si prendeva la premura di controllare lo stato del proprio bagno prima di lasciarla entrare. Chissà cosa si era preoccupato che trovasse? Forse qualche rivista sconcia?

    Riflettendoci quella era la prima volta che si trovava a casa di un ragazzo. Tutte le sue aspettative al riguardo erano principalmente basate su manga rom-com e serie tv. Sentiva quindi che probabilmente ci si aspettava da lei che ad un certo punto iniziasse a rovistare in giro per trovare il materiale scandaloso che l’americano poteva aver occultato in previsione della visita.

    La ragazza comunque accettò l’invito di Joshua ad usufruire del suo bagno – a prescindere che lui fosse “abituato” a vederla senza trucco la faceva sentire a disagio starsene con una maschera di trucco mezza sciolta. Il bagno era decisamente più piccolo rispetto a quello a cui era abituata a casa sua ma oltre a questo la idol non notò niente di compromettente o interessante. Si legò i lunghi capelli biondi in una coda di cavallo per evitare di bagnarli, poi aprì il palmo della sua mano e attivando il suo Quirk richiamò la sua borsa per il trucco, dalla quale poi recuperò tutto il necessario per struccarsi. Anche il semplice struccarsi era un processo che richiedeva molto più tempo e attenzioni di quanto si potesse pensare. Nonostante tutto Sakiko sapeva che preservare il proprio viso era fondamentale per il proprio lavoro e quindi doveva trattarlo con le dovute attenzioni. Il primo passo fu ovviamente applicare il solvente struccante e lasciargli fare effetto aspettando un intero minuto, lasciando cosi che ammorbidisse le sbavature di mascara e ombretto. Era fondamentale dargli tempo di fare la sua magia per evitare di dover strofinare eccessivamente la pelle attorno agli occhi rischiando irritazioni ed eventualmente le terribili rughe.


    Solo allora avrebbe rimosso il trucco utilizzando delle salviette struccanti con un apposito detergente e seguì a sciacquarsi la faccia nel lavandino per rimuovere accuratamente ogni traccia di make-up. Una volta completata la pulizia si prese giusto qualche minuto per applicare nuovamente qualche linea di trucco leggera. Non tanto per sfigurare con Joshua che per l’appunto, come aveva poco delicatamente puntualizzato lui stesso, era ormai abituato a vederla senza. Ma eventualmente sarebbe ovviamente uscita da quell’appartamento e decisamente non intendeva farlo con il suo viso al naturale.

    La ragazza riemerse dopo una buona decina di minuti dal bagno con il viso fresco e pulito, e i capelli lasciati legati con la coda.


    Joshua si era cambiato la maglietta nel mentre e Sakiko si appuntò mentalmente di scusarsi per quel piccolo incidente e di offrirsi di fargliela pulire lei stessa… pur sapendo che il testardo orgoglioso americano avrebbe sicuramente rifiutato.
    L’americano le offrì da bere e Sakiko rispose «Uhn… certo, che cosa hai da bere?»– poi guardandosi distrattamente attorno con espressione perplessa «…dove posso sedermi?” – con un tono leggermente apprensivo che implicava in realtà la domanda “C’è un posto igienicamente accettabile dove io possa sedermi?”






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    Non era qualcosa su cui pensava spesso o molto, ma sotto la prospettiva di uno dei tanti fan di Saki lui aveva una fortuna assurda. Poter spendere del tempo in quel modo con una idol non era qualcosa che in molti facevano, eppure era così naturale per entrambi. In molti sicuramente avrebbero invidiato la sua posizione se quella cosa fosse uscita allo scoperto, e Saki non sarebbe l'unica ad essere tartassata da delle interviste, però la cosa non intimoriva il cuore dell'americano. Per lui Saki era prima di tutto un'amica se non parte della sua famiglia, poi una ragazza che combatteva per i propri ideali e solo dopo, molto dopo, una celebrità. Nonostante ciò, comunque, rimase un po' perplesso quando la bionda tirò fuori l'argomento il proprio sedere - era pur sempre un uomo, abbiate pietà di lui. « Uh... mi conosco ed evito di commentare, » meglio così, non si fidava abbastanza per discutere di cose del genere, « ma fottitene di loro, sono certo che ne sai più tu che quei incapaci diplomati. ». Non una risposta molto motivante ma era meglio di gettarsi la zappa sui piedi in un momento non solo delicato, ma anche prezioso.
    Sospirò e roteò gli occhi alla risposta dell'altra, per niente sorpreso che reagì in quella maniera. Certo, poteva dire che era carina comunque e rischiare di sembrare un totale idiota e rendere l'atmosfera ancora più imbarazzante; tutti sapevano che era una trappola. Una frame-trap, se la si vuol usare un termine dei picchia-duro, ma andiamo avanti. « Sono sicuro che se vuoi qualcuno che ti faccia il simp ti basterebbe guardare la tua fan-mail, » rispose alzando la voce e con un tono beffardo, ancora dentro il bagno. Non era cieco, sapeva che Saki era molto attraente però non riusciva a percepirla come tale siccome, come detto in precedenza, lei era troppo simile ad una sorella. Insomma, un mucchio di robe smielate che attualmente non aveva voglia di pensare e tanto meno dire.
    Passati i dieci e passa minuti, la bionda si sarebbe trovato un Joshua leggermente spazientito ed attualmente occupato a controllare il suo telefono. Il pc non dava più alcun suono di sottofondo, aveva preso l'occasione per spegnerlo. « Tutto ok? » non disse niente, però, per non apparire ancora più burbero ed insensibile di quanto necessario. Alla fine dei conti lo faceva per strapparle una risata e per mantenere le loro interazioni interessanti, tutto qui.
    « Sulla... sedia? Dove altro? » il tavolo infatti aveva un paio di sedia e, assieme a dei bicchieri, una ciotola con dei chips. « Pepsi, acqua e... kool-aid? Niente martini, mi dispiace, » il minimo necessario, insomma, forse non il migliore da offrire ad un'ospite ma non si aspettava di doverle fare il grande pranzo manco fosse il primo ministro. Aspettò che Saki si sedesse e poco dopo fece lo stesso, portando da bere una delle scelte della bionda, mentre per se stesso aveva preso della Pepsi. Con il bicchiere pieno di fronte a sé, dunque, sospirò e guardò la ragazza direttamente negli occhi - come glie lo diceva? Come avrebbe reagito che era stato vicino a morire per le strade di Roppongi perché, scioccamente, voleva fare il paladino della giustizia? Semplice: andando subito al nocciolo della questione. « Quando mi ero assentato, quella serata di Novembre, ho affrontato due terroristi, » disse in tono solenne e serio, ma abbassando lo sguardo per invece fissare il bicchiere. « Non da solo, eravamo in due. Volevo... fare qualcosa, non so, mi sentivo una merda ed uno schifo. Aveva, dunque, deciso di unirmi a 'sta ronda nel centro di Roppongi e... niente, era stata una bufala, » non avrebbe biasimato se l'altra ora gli avrebbe urlato contro, sgridato o se sarebbe uscita di casa. Aveva il diritto di farlo, però sperava che quanto meno avrebbe ascoltato la sua storia per intero.
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    Sakiko rivolse all’americano un mezzo sorriso ed espirò leggermente dal naso«Suvvia – adesso non esagerare… sappiamo entrambi che io non sono esattamente un genio – puntualizzò con un misto di consapevolezza e leggero imbarazzo. Sakiko non si riteneva una persona stupida… ma era consapevole di non brillare esattamente di acume o perspicacia. Era come se tutte le sue risorse mentali fossero concentrate principalmente verso le sue facoltà creative e fantasiose – trascurando quelle più utili e fondamentali.

    La cosa non l’aveva mai particolarmente avvilita – aveva sempre lavorato sodo per compensare la sua natura svampita con impegno, passione e diligenza. Ma alla fine non poteva cambiare la propria natura e il suo essere svampita eventualmente era diventato un elemento persistente della sua immagine pubblica. Per Sakiko era senza dubbio spesso frustrante essere bollata come la idol bionda svampita e ingenua ma sempre positiva e solare – specialmente perché la faceva sentire di essere trattata più come una macchietta, una caricatura, piuttosto che una persona vera… ma con il tempo aveva imparato a farci l’abitudine.

    (…) La ragazza sospirò e scosse la testa rivolgendogli un occhiata di disappunto «Io non ho bisogno di alcun “simp” e non riguarda me, baka! Sarebbe il caso che tu imparassi a trattare in maniera adeguata il gentil sesso se non vuoi che io sia l’unica donna che venga a trovarti a casa… oltre a tua mamma – puntualizzò la ragazza sparendo dentro il bagno per sistemarsi. Sakiko aveva avuto modo di constatare che l’americano non vantasse molte amicizie femminili e i modi bruschi e poco delicati che le riservava in genere erano probabilmente una delle principali ragioni. Lei ormai aveva imparato a chiudere un occhio sulla sua scorza più ruvida e riconoscere i suoi tratti positivi… ma la ragazza non era sicura ci fossero molte donne altrettanto pazienti.

    Il fatto che lui fosse cosi cocciuto e testardo sui suoi modi di fare non aiutava di certo la sua causa.

    Quando la ragazza eventualmente riemerse dal bagno il ragazzo con fare leggermente spazientito le chiese se era “tutto ok”. La ragazza gli rivolse un occhiata incurante sollevando un sopracciglio… che poi mutò in un sorrisone sornione «…cos’è? Non sai che non si deve mettere fretta ad una ragazza quando usa il bagno? Questa – » – disse puntando con entrambi i diti indici la propria faccia – «…richiede tempo e pazienza.» – concluse facendogli infine una linguaccia.

    La ragazza decise finalmente di accomodarsi su una delle sedie accostate al tavolo accavallando con disinvoltura le gambe e poggiando il gomito sul tavolo per sorreggersi la testa con la mano sotto il mento. La idol fece un piccola smorfia e sbuffò «Non hai del tè? Uff – suppongo che dovremo gustarci questo accompagnandolo… con la Pepsi.» – commentò e prima che l’americano potesse chiederle a cosa si riferisse la ragazzo fece con non-chalance un gesto con la mano libera dirigendo il palmo verso il tavolo e FWOP – come per magia dal palmo della ragazza fuoriuscì una scatola di cartone lucido bianca. Sul dorso dello scatolo era decorato con un ideogramma stilizzato.

    All’interno si trovava una torta circolare a ciambella, divisa a strisce circolari verdi separate da una bianca nel mezzo. « Ta-da! …è una torta baumkuchen – un dolce allo spiedo al gusto di tè matcha – spiegò la ragazza con entusiasmo – «L’ho vista in un negozio super-popolare a Kyoto e ho deciso di portartela come souvenir. Non ha un design super-cool!? Sarà sicuramente deliziosa!»- concluse infine facendo un piccolo applauso eccitato con la punta delle mani.

    Eventualmente però la conversazione lascio da parte tutti piacevoli e frivoli convenevoli e arrivò al nocciolo quando Joshua finalmente confessò alla ragazza cosa aveva combinato quella fatidica nottata di Novembre. L’americano le raccontò che era finito ad affrontare due terroristi. A quanto pare era stato tratto in inganno da una proposta di ronda cittadina per il quartiere di Roppongi.

    Sakiko ascoltò le parole del ragazzo mantenendo un espressione da sfinge battendo però nervosamente il piede a terra – la sua bocca una linea tirata sottile, mentre gli occhi trafiggevano l’americano con uno sguardo furente «Ti meriteresti un'altra sberla Joshua!» – sbottò alla fine – «Che diamine ti è saltato in mente di andare a fare l’eroe in una situazione come quella!?»
    La ragazza cercò di ricomporsi e mantenere la calma, incrociò le braccia sul petto, serrando momentaneamente gli occhi e sbuffando irosamente dal naso. «…e quindi cosa è successo? Come hai fatto a scamparla?» – segui a chiedere riaprendo gli occhi per andare a saettargli uno sguardo che sembrava dire “sto decidendo quanto essere arrabbiata con te”.






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    Beh, beh, beh. Non poteva certo dire che non ci aveva provato, ci ha messo della buona volontà a mettere la situazione sul positivo ma Saki alla fine ha detto le fantomatiche parole. Lo sapeva, anche fin troppo bene, però era il genere di cosa che lui non poteva dire senza farla arrabbiare; tutto cambiava, però, se era lei quella che lo diceva. Gli aveva tolto un peso di dosso, insomma. «You said it, not me, » disse alzando le mani in segno di resa, volendo togliersi ogni colpa da quella frase. Lo faceva ovviamente per punzecchiarla un po', se non era già ben evidente.

    Girò vistosamente gli occhi quando l'altra mise in dubbio la sua capacità di trovare una partner, cosa assai lecita che era come gettare sale su una ferita ma c'era anche da dire che oramai ci aveva quasi fatto callo. Certo, faceva male e si sentiva uno schifo, però a furia di sentirsi uno schifo per anni oramai impari a conviverci col bruciore di quella ferita. « Non dite che il modo migliore di presentarsi è essere se stesso? Also, dubito che tu abbia un miglior record per portare maschi o femmine a casa, » se Saki voleva sparare allora poteva chiamare l'altro un cowboy perché lui era pronto a rendere quello uno scontro di mezzogiorno stile Western. « E comunque, mia madre qui ancora non ci è venuta... spero, » quella donna funzionava con leggi fisiche diverse dalla norma, forse era possibile che lo riuscisse a sentire nonostante la distanza. Ad ogni modo, Saki ebbe l'ennesima prova della testardaggine del ragazzo in quel campo, malcelata in un vago tentativo di essere divertente.
    Il che era divertente, perché dopo quando cercò di fare il gentile si beccò contro un sorriso sornione. Forse era lui che era troppo scemo per capire quel tipo di cose, oppure Saki era l'eccezione alla regola date le loro circostanze. « Pure la mia, ho un regime duro ed intenso per mantenere questo splendore, » rispose, imitando le movenze della ragazza, « bodying scrubs online e sentirsi una merda almeno una volta al giorno. ». Non aggiungo altro perché non c'è altro da dire, andiamo avanti.

    Prese in mano la bottiglia da due litri di Pepsi ma, appunto, non fece in tempo a chiederle prima che la bionda fece sbucare fuori qualcosa dalla sua mano. Un regalo? No, si trattava di una torta che a quanto pare l'altra aveva preso da un locale e che molto probabilmente costava un'occhio della testa. « Che culo che c'hai con quel quirk, te lo posso dire? Io invece sono qui con 'ste pistole di merda che son buone solo a... boh, menare, » si tolse questa lamentale di dosso prima di scuotere la testa, cacciando i pensieri negativi di dosso che, ironicamente, sarebbero tornato più forti che mai tempo un paio di minuti. Ma tornando alla torta, che sembrava deliziosa, Joshua non poté fare a meno che trovarsi d'accordo. « Conoscendoti costerà più di questo appartamento, però si, non sembra male - tagli te? » le chiese, nel mentre cercò di versarle la Pepsi, col bicchiere obbligatoriamente messo di lato per avere il bilancio giusto fra bibita e schiuma.
    Come detto prima, però, la situazione divenne molto più tesa e seria con la reazione, giustamente, incazzata della bionda. Se la meritava eccome una seconda sberla, glie l'avrebbe pure concesso, ma in quel caso sarebbe un po' inutile siccome dirle scusa non sarebbe servito a niente. « Hai visto com'era fuori? Era tutto andato a pu***ne, Saki! E poi... boh, ho pensato a te prima di farlo ed ho pensato di essere... più sincero con ciò che voglio per una volta nella mia vita, insomma, » una fitta sensazione di amarezza lo avvolse, strinse un pugno e si schiaffeggiò mentalmente per aver risposto a quel modo alla sua amica che, a modo suo, era si incazzata ma soprattutto preoccupata. « Comunque, non ero solo - eravamo in due più lo stronzo. Uno ci stava guidando, fingeva di essere il tizio che organizzava il tutto per salvare la città o qualche puttanata simile, mentre l'altro faceva l'esca. Penso che io e l'altra ne siamo usciti vivi solamente perché... boh, era stato obbligato o qualcosa del genere, » Yves aveva avuto molte occasioni per farli fuori, eppure per qualche motivo aveva aspettato ed anche allora le cose sono andate avanti molto goffamente. « Ad una certa a uno è partita la maschera a gas e l'altro - quello che ci portava in giro - se l'è tolta per salvarlo! Quello mi ha fatto riflettere che ok sono delle merde e meritano la prigione, ma io starò mica a guardare uno che rischia di soffocare, mi capisci? Forse lo farebbero quei eroi del cazzo, ma non io. Dunque, boh, gli ho rimesso la maschera addosso, lui ha messo di fronte a noi il coso che emetteva il gas a Roppongi e... niente, se ne sono andati, » nell'arco di quei mesi non aveva raccontato quella storia molto spesso, giusto due volte - una a suo padre e l'altra a sua madre. Dirla a qualcuno gli faceva ancora male ma più di tutto gli faceva provare un turbinio di sensazioni che difficilmente poteva descrivere. Voleva continuare su quella strada, non era ancora pronto a gettare via il nome Silver Face.

    Cadde il silenzio, una decina di secondi parvero essere ore, ma dopo un po' Joshua riprese a parlare. « Lo sai che sin da piccolo volevo diventare un eroe? Anzi, manco quello, un supereroe. Con un quirk come il mio sarebbe stato anche fattibile, ma non ho mai passato l'esame di ammissione - c'era da aspettarselo, ero un bambino idiota. Dalla tristezza è nata rabbia, e successivamente da questa è nata 'sta avversione nei confronti dei vigilanti. Sono stato così... maschino, solamente perché io non lo potevo essere ora tutti quelli che lo facevano erano dei idioti. Poi è venuto sto casino e... ho avuto paura. Ho guardato nel futuro e non vedevo niente, solamente un mare grigio e piatto. Sono un fallito, non ho un dannato lavoro e ci sono giorni in cui c'ho l'ansia addosso per il terrore di finire sotto un ponte. P-Pensa che... a volte spendo ore intere per contare maniacalmente i soldi che c'ho, per assicurarmi che possa almeno concedermi un piatto decente al mese. Restare qui è come guardarmi allo specchio e vedere con i miei stessi occhi quanto faccio pena, mentre tornare a casa sarebbe come dire che non potrò mai migliorare. I miei pure ne hanno abbastanza di me, mi aiuterebbero ma fino a quando? E poi? Questa... non è vita, Saki, io non posso continuare così, capisci? Ho vissuto mentendo a me stesso per tutta la mia vita ed ora che ho l'opportunità di cambiare, essere sincero con me stesso mi sento in colpa... ed indeciso. E' così sbagliato voler inseguire i propri sogni? »
    Lacrime. Silenzio.
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    Nel sentire la risposta poco delicata di Joshua, Sakiko strinse le labbra in una smorfia contrariata arrossando con fare imbarazzato sulle guancie. Era vero che per la giovane idol la propria vita romantica era un tasto piuttosto dolente nonostante la sua piuttosto ampia popolarità. Il fatto stesso che lei fosse un idol era stato sicuramente un fattore portante nel contribuire a quella sfortunata situazione, ma non era il solo.
    Nonostante tutto però la ragazza non era priva d’esperienza – sicuramente non voleva considerarsi allo stesso livello di Joshua. Lei aveva avuto delle esperienze concrete.

    Non aveva in fondo passato una… nottata piuttosto passionale con Eve qualche tempo fa…?
    Ok, era stato molto tempo fa ormai. E ok, da allora non aveva più avuto notizie di Eve e ogni tanto aveva pure rimuginato l’idea di provare a cercarla, ma si era trattenuta rammentandosi che la “succube” aveva messo in chiaro che quello che c’era stato fra loro sarebbe dovuto rimanere un avventura di una notte.


    …e poi ci sarebbe Momo.



    Provò infidamente a bisbigliare una voce nella sua testa ma subito quell’input venne sovrastato da un grido mentale “WAAAAAAAAAAAAAAH!” – di imbarazzo e disagio rifuggendo da quel pensiero come se il suo cervello avesse appena toccato una piastra bollente.
    Cercando di distogliersi da quei pensieri scomodi il primo impulso della bionda fu di scaricare quella frustrazione nella persona che l’aveva portata a contemplare quell’argomento in primo luogo rispondendo con fare brusco e imbarazzato «Non parlare di cose che non sai, baka-gaijin Intenta a chiudere la questione rivolgendo all’americano un occhiataccia offesa.


    Quando i due si accomodarono al tavolo Joshua espresse un entusiastico apprezzamento per il Quirk di Sakiko complimentandolo e mostrando anche una piccola sfumatura di invidia. Sakiko abbassò lo sguardo ad esaminare con un espressione di sufficienza la voglia a forma di cuore che simboleggiava un po’ il suo Quirk. L’espressione della ragazza mutò in un lieve sorriso e sospirò «Si… devo ammettere che il mio Quirk mi semplifica molto la vita. Ma… in realtà a volte mi piacerebbe un Quirk più scenico come il tuo, sai? Insomma le tue trasformazione sono piuttosto cool mentre il mio Quirk non è particolarmente impressionante visivamente parlando…» – elaborò la ragazza che come sempre teneva in alta considerazione il fattore estetico.

    Lo sguardo della ragazza si rabbuiò per un momento «…in ogni caso non riesco ad immaginare quanto sarebbe terribile perdere la capacità di usare il mio Quirk, sarebbe peggio di perdere un braccio…» – sentenziò mentre la sua mente contemplava l’infausto destino delle vittime del gas anti-Quirk. Perfino quelle più “fortunate” che non erano finite in coma erano costrette ad affrontare il trauma della perdita del Quirk – per certe persone, quelle che avevano plasmato la propria vita attorno alla propria, poteva essere una disgrazia terrificante. Perdere il proprio Quirk era come perdere una parte di se e della propria identità.
    La idol però non si volle soffermare più a lungo del dovuto su quel argomento piuttosto gramo e preferì spostare la sua attenzione sull’invitante snack che aveva portato per Joshua.

    Su invito dell’americano la ragazza si prese l’onore di tagliare un paio di fette dalla torta porgendone prima una a Joshua e poi servendosi la propria, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo in risposta al commento sul “costo” di quel dolce e lo rimbeccò «Suvvia, Joshua, per una volta smettila di pensare ai soldi e goditi la torta.»
    Scostandosi delicatamente una ciocca di capelli dal volto per non farsela finire in bocca addentò con gusto la fetta di torta masticando con un mugolio compiaciuto. La torta era davvero deliziosa. Aveva una consistenza morbida e leggera che si scioglieva in bocca e il sapore del tè matcha lasciava un piacevole retrogusto vellutato sul palato. La ragazza seguì a bagnarsi le labbra con la bibita offertagli dall’americano ma si limitò a prendere giusto un minuscolo sorso. Come temeva la bibita era troppo dolce e sovrastava eccessivamente il gusto più delicato della torta. Ovviamente però non si lamentò perché non voleva mancare di rispetto all’ospitalità di Joshua… e soprattutto non voleva che lui potesse approfittarne per darle ancora una volta della “snob”.




    Il dolce piacevole intermezzo però dovette presto lasciar posto a questioni tutt’altro che allegre.

    Su pressione di Sakiko l’americano finalmente le rivelò in maniera dettagliata gli avvenimenti in cui si era fatto coinvolgere la sventurata notte in cui aveva deciso di voler seguire la sua dormiente vocazione eroica.
    Fu piuttosto difficile per la idol dover ascoltare i dettagli di quella faccenda e la ragazza si sentì solo più arrabbiata con lui scoprendo quanto facilmente le cose avrebbero potuto finire male. Agire in maniera cosi incauta e sconsiderata era una cosa da… era una cosa da… beh era una cosa da lei. Lui era in genere una persona dalle mentalità pratica che non dava troppo peso a idealismi infiorettati come lei… o almeno questo era quello che Sakiko aveva sempre pensato.

    Ma realizzò presto che si sbagliava.
    Inaspettatamente Joshua mostrò alla ragazza un lato di se che lei non aveva mai visto confessando le proprie ansie e le proprie insicurezze. Sembrò come una diga di pietra improvvisamente sbriciolarsi sotto il peso della pressione di un torrente di complessi e angosce che il ragazzo normalmente reprimeva dietro la sua scorza dura e ruvida di uomo “tutto d’un pezzo” che ostentava persistentemente in quasi ogni aspetto della sua vita con una sicurezza quasi invidiabile.

    …e adesso era lì in lacrime di fronte a lei.

    Affranto.

    Smarrito.


    Sakiko fu piuttosto spiazzata dal vedere cosi l’amico in uno stato cosi vulnerabile – gli aveva sempre dato l’impressione di una persona che trasudava sicurezza in se e nel suo stile di vita in barba al mondo e le sue convenzioni. Ma evidentemente dietro quella facciata tutto quel tempo si era nascosto un lato di lui più sensibile e incerto. Quella parte di lui che aveva sofferto l’onta del rifiuto e del fallimento.

    “È cosi sbagliato voler inseguire i propri sogni?”



    Queste parole colpirono duramente la idol. Quante volte aveva pensato una cosa simile?


    …e nel vedere l’espressione di Joshua un lontano ricordo d’infanzia riaffiorò nella sua mente. Ricordi accompagnati dal lontano canto estivo delle cicale…


    Erano passati due anni da quando si era trasferita all’età di quattro anni in Giappone e i suoi genitori nonostante sempre occupati con le rispettive carriere avevano fatto del loro meglio per farla inserire nel nuovo ambiente. Vicino al loro appartamento a Tokyo c’era un parco pubblico dove la madre portava spesso Sakiko a giocare.
    Lì Sakiko però venne a contatto con il primo di tanti bulli che avrebbe incontrato nella sua vita. Il bulletto in questione era un ragazzino poco più grande di lei in età che la faceva da padrone nel parco giochi bistrattando tutti i bambini quando i genitori non guardavano. Sakiko non fece eccezione a questo trattamento – più volte il bullo le impedì di giocare con il resto dei bambini perché lei era una “stupida femmina” e perché “parlava strano” – questo perché la piccola originariamente inglese ancora aveva gravi difficoltà con lingua giapponese che sabotavano drasticamente i suoi tentativi di dialogo.

    La piccola Sakiko seppur frustrata e irritata da quell’ingiustizia non reagì mai alle provocazioni del bullo – almeno fino a quando non vide il bullo prendersela con un altro bambino spingendolo a terra e prendendolo in giro perché stava piangendo.

    A quel punto la piccola Sakiko infervorata caricò il bullo con impeto furioso in difesa del bambino. La lotta fu breve e caotica, con la piccola biondina che riuscì con il vantaggio della sorpresa e l’intensità del suo assalto a sovrastare il bambino di stazza superiore alla sua. Ci furono graffi, strattoni, ruzzoloni per terra ma infine la piccola Sakiko riuscì a trionfare sottomettendo il ragazzino con una raffica di piccoli ma furiosi pugni.

    Sakiko ricordò la sensazione dei raggi caldi del sole sulla sua pelle. Aveva appena sei anni. Indossava un adorabile vestitino a fiori che le aveva comprato la madre, adesso sporco e strappato, e i capelli legati in due codine. Le sue mani erano coperte di lividi e graffi, le sue ginocchia sbucciate e aveva un livido sulla guancia. I suoi occhi erano lucidi ma fieri. La piccola Sakiko coperta di lividi e ferite sentiva di aver trionfato. Il bene aveva trionfato sul male.

    Questo era quello che Sakiko ricordava di aver pensato guardando il bulletto a terra tramortito.

    Si sentì elettrizzata per quella vittoria – era come se fosse una degli Eroi che seguiva in televisione. Una paladina della giustizia che puniva i malvagi e proteggeva gli innocenti. Gli eroi che ammirava tanto, sognando di seguirne le loro orme per diventare una di loro.


    Ma quando tornò dalla madre per raccontarle le sue valorose gesta la reazione delle madre fu completamente differente da quella che si era aspettata. Pensava che la madre sarebbe stata orgogliosa e fiera per il suo gesto altruistico e coraggioso.

    …ma la madre invece si mostrò sconvolta e preoccupata nel vederla. E la preoccupazione della donna mutò rapidamente in rabbia e in rimprovero quando scoprì che aveva fatto a botte con un altro bambino.

    “Cosa ti è saltato in mente di fare a botte con qualcuno?”


    Eroe? Chi ti ha messo in testa simili stupidaggini?”



    “Avresti potuto farti male! Come puoi essere stata cosi stupida? Non lo fare mai più.



    Perché? Perché la stava sgridando? Perché la stava punendo? Non aveva fatto una cosa giusta? Non si era mostrata audace e valorosa? Che male c’era nel voler essere un eroina?

    La madre non volle saperne delle sue ragioni. La storia venne riferita al padre che reagì in maniera perfino più dura della madre. Sakiko venne punita per quello che aveva fatto. Venne costretta a chiedere scusa al bulletto e alla madre. Sakiko ricordò la mortificazione con cui biascicò quelle scuse stringendo i pugni fino a sbiancarsi le nocche mentre il bulletto ghignava con aria compiaciuta.

    Non era giusto. Non era giusto. Non era giusto.
    La piccola Sakiko non capiva.
    Non capiva.
    Non capiva.
    Non capiva.

    Dove aveva sbagliato? Non era lei la buona? Perché allora veniva punita? Era sbagliato aiutare chi aveva bisogno? Era sbagliato opporsi ai prepotenti?

    Era cosi sbagliato voler inseguire i propri sogni?



    Perché i suoi genitori non l’hanno voluto capirla?
    Perché non hanno voluto ascoltarla? Perché le hanno impedito di seguire i suoi desideri!?

    PERCHÈ?





    E mentre quell’ultimo interrogativo riecheggia nella sua mente la ragazza si scuote ritornando al presente da Joshua. In quel presente dove quella domanda ancora le brucia nel cuore… ma anche quel presente dove adesso conosce la risposta a quella domanda.

    Aveva in fondo scoperto il “perché” la madre si era opposta cosi strenuamente alla sua vocazione eroica. Perché lei e suo padre si erano impegnati tanto per tenerla lontana dai pericoli del mondo.


    Semplicemente perché tenevano a lei avevano paura di perderla.


    Paura di perderla come avevano perso i suoi fratelli prima di lei. Sapeva adesso per certo che sua madre non avrebbe potuto sopportare di perdere l’ennesima figlia.


    …e adesso poteva capire ancora di più quel sentimento. La preoccupazione e l’angoscia che aveva provato non sapendo sei suoi cari, come Joshua, fossero sani e salvi durante l’emergenza l’aveva divorata dentro come un veleno. E questi due sentimenti la facevano sentire in conflitto con se stessa e in colpa nei confronti della madre.

    E gli occhi smeraldini della ragazza si incrociarono con quelli dell’americano. Nell’espressione affranta dell’amico la ragazza potè riconoscere la frustrazione e lo svilimento che aveva sentito dentro di se per cosi tanto tempo.

    Nonostante i due avessero circostanze molto differenti i due erano accumunati da quell’insoddisfazione comune.

    Due ragazzi che avevano dovuto accantonare i loro sogni per adattarsi alla dura realtà – una realtà che non faceva favori a idealisti e sognatori. Una realtà che li aveva costretti a scegliere in un modo o nell’altro strade differenti da quelle che volevano, entrando a compromessi con il proprio cuore e reprimendo giorno per giorno la propria frustrazione.
    Ma adesso nel suo cuore albergava anche il punto di vista sua madre. Una madre che non avrebbe voluto di certo che sua figlia rischiasse la sua vita a combattere criminali senza scrupoli. E quella prospettiva risuonava adesso con la preoccupazione che lei provava per Joshua.

    We want to save people… but then who’s going to save us?




    Chi avrebbe salvato Joshua quando lui ne avrebbe avuto bisogno? Chi avrebbe salvato lei quando ne avrebbe avuto bisogno?




    Senza dire una parola la ragazza si alzò in piedi – con fare calmo e delicato raggiunse l’americano dall’altro lato del tavolo. La disapprovazione e la frustrazione causate dall’apprensione che aveva provato all’inizio si era ormai dissolte nel desiderio di essere di conforto all’amico che ne aveva bisogno.

    Con fare materno e gentile la ragazza prese il viso di Joshua fra mani e lo strinse a se in un affettuoso abbraccio di conforto stringendo contro di se il volto dell’americano. Le dita affusolate della ragazza carezzarono amorevolmente la testa del ragazzo affondando nella sua chioma scura.
    Eventualmente sarebbe giunto il momento del rimprovero per Joshua, ma quello non era il momento. Sarebbe giunto il momento in cui Sakiko avrebbe esortato l’amico alla prudenza e alla cautela, e non rischiare più la sua vita con imprudenza.Ma non era quello il momento.

    Quel momento era il momento in cui Sakiko volle rivolgere al ragazzo le parole di cui aveva bisogno di sentire. Le parole che la piccola se stessa avrebbe voluto sentire da sua madre “It’s okay, Joshua. You did a good job. You’ve been very strong and brave… and i’m proud of you.» – mormorò dolcemente per poi lasciare un piccolo bacio sulla fronte dell’americano.


    Perché la verità era che anche gli eroi a volte avevano bisogno di essere salvati.









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    Anche qui - rinnovo le scuse già fatte in privato per il ritardo prolungato. Grazie per la comprensione e la pazienza. Gomen . w .


    Edited by Leonarch - 7/3/2021, 22:50
     
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    Si sentiva un po' uno schifo.
    Anzi, un po' tanto uno schifo.
    Fra le tante cose che aveva in testa, regnava prima di tutto l'emozione sopra citata ma per fortuna non era la sola. Come detto in precedenza, il giovane non era uno che piangeva spesso e soprattutto di fronte ad altre persone, dunque quando succedeva era un momento importante ma non lo rendeva meno imbarazzante. Eccolo un'altro sentimento che stava provando, mostrarsi così fragile di fronte a Saki non era qualcosa di cui andava molto fiero, ma non se ne stava pentendo, dirle quelle cose così apertamente gli aveva fatto bene - forse. Non era uno psicologo dunque poteva solo azzardare delle teorie, però dirlo ad alta voce gli avrebbe chiarito le idee, e guarda caso fu proprio cosa accadde.
    Non subito, però, visto che era ancora nel processo di volersi dare dei ceffoni a se stesso e di far lavorare gli straordinari alle sue ghiandole lacrimali. Per fortuna quella situazione non durò a lungo, perdurò per un po' ma venne interrotta dal contatto con qualcuno. La sua testa venne presa da due mani e subito dopo venne abbracciato come poche volte gli era successo in vita sua, un evento raro e che era una vera e propria panacea per l'animo del ragazzo. Non seppe cosa fare, ma sapeva cosa non fare, ovvero disperarsi come prima dunque raccolse quelle briciole di coraggio che gli erano rimaste e ricambiò il gesto. Ecco un'altro sentimento, prima assente, che stava girovagando per la sua testa - gratitudine.
    Era una situazione piacevole, normalmente lo troverebbe imbarazzante però in quel momento ne aveva bisogno, ogni carezza sembrava placare il turbinio di negatività che stava provando poco fa. Gli ricordava della propria infanzia, di sua madre e di quel contatto fisico puro che non aveva provato da anni, se non decenni. Era grato di avere Saki lì davanti a sé, non andavano sempre d'accordo e spesso avevano pareri contrastanti ma ogni volta che avrebbe dubitato di se stesso o di loro due, da quel giorno in poi avrebbe potuto usare quel ricordo per riaffermare la profondità del loro rapporto. Non disse niente quando la bionda gli parlò in inglese come se fosse una madre, nessuna battuta scherzosa e non si diede arie da gradasso, rimase zitto ed apprezzò il momento finché questo non si concluse con un bacio sulla fronte. Seguì un sospiro ed una passata della sua mano sui suoi occhi: si sentiva molto, molto stanco.
    Non sapeva cosa dire, ma almeno il silenzio non era uno spiacevole o fastidioso ma l'opposto, sentiva come se volesse preservarlo e godersi il rumore di sottofondo di Tokyo. « Mi pento di aver dovuto usare il mio quirk, sai? » tanto valeva proseguire a sfogarsi, ma questa volta non avrebbe pianto, bensì si sarebbe fatto coraggio ora che era ispirato dalla presenza di Saki. Non voleva piangere di fronte a lei, da quel giorno in poi voleva continuare ad essere il solito ma senza dimenticare le lezioni che aveva imparato. Ci teneva ad essere un pilastro di supporto per gli altri, ma in un certo senso senza vedersi superiore o migliore. « Quei due erano feriti, traditi ed abbindolati - dei criminali ma anche delle vittime. Le mie parole non sono state abbastanza forti, i miei fatti non sono bastati per farli ragionare ma penso di potercela fare, » strinse la mano destra in un pugno, provando un flusso di adrenalina e determinazione a lui non del tutto straniera. « Voglio e penso di poterli salvare, Saki. Se ci limitiamo a chiuderli in prigione e nemmeno cercare di capirli non siamo molto differenti da quei cani del governo! » voleva fare la differenza, voleva cambiare e soprattutto voleva provare ad Yves che lui era davvero un supereroe. Era ancora tremolante, i suoi occhi erano ancora umidi e rossi ma l'affetto della sua migliore amica era stato miracoloso. Come detto prima, il suo alias di Silver Face non era stato una one night stand bensì era determinato a farlo diventare un pilastro, un segnale ed un emblema di tutta Tokyo. Durante il disastro aveva letto di vari vigilantes che hanno dato una mano, era felice di vedere che esisteva gente in giro che ci teneva a fare la cosa giusta anche se lo stato continuava a spingere quel tossico status quo. Che sia Joshua o Silver Face, poco importava, in un modo o nell'altro voleva distruggerlo e creare qualcosa di nuovo - voleva davvero salvare il mondo. Una missione difficile ed impossibile, dunque per il momento avrebbe fatto un passo alla volta salvando prima di tutto il suo di mondo.
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    Sakiko Yumeno

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    Lo spontaneo gesto di conforto di Sakiko sembrò essere apprezzato da Joshua in quel suo momento di debolezza. Non era facile ne piacevole per nessuno esternare le proprie angosce interiori.

    Sakiko stessa aveva i propri traumi, complessi ed insicurezze – opprimenti grovigli di negatività e angoscia attorcigliati al suo subconscio. Nascondere e reprimere questa parte di se si potrebbe considerare un istinto basilare umano – il naturale istinto di non mostrarsi deboli agli altri.
    Era necessaria una certa risoluzione… una certa disperazione per riuscire ad sopraffare quell’istinto e riuscire ad aprirsi. Sakiko non sapeva a quale delle due Joshua stesse facendo appello in quel momento. Il suo era un atto di coraggio o semplicemente di necessità? Forse entrambi.

    La ragazza pensò brevemente a quello che lei stava reprimendo dentro di se – ambizioni soppresse, desideri proibiti e rimorsi e sensi di colpa seppelliti ai piedi di un albero piantato in un giardino molto lontano da lì. Si chiese se mai sarebbe riuscita ad aprirsi come stava facendo adesso l’amico con lei. Se mai si sarebbe cosi coraggiosa e disperata allo stesso tempo – se avesse mai avuto la forza di aprirsi con qualcun altro.

    La ragazza però si scosse e ripose da parte quei pensieri. Quello non era di certo il momento di pensare a se stessa.

    Forse incoraggiato dal conforto ricevuto da Sakiko, Joshua seguì a confidarsi un po’ di più con lei. Le parlò del suo rimpianto nell’aver dovuto usare il suo Quirk contro i criminali. Le parlò del suo rimpianto di non essere riuscito farli ravvedere con le sue parole e “salvarli”.
    Joshua sembrava convinto che quelli che aveva affrontato erano a loro volta delle “vittime” della situazione. E sembrava risoluto a voler intraprendere un percorso più mirato a salvarli da loro stessi che a punirli per i loro crimini. Voleva seguire una strada differente dai “cani del governo” – ovviamente riferendosi agli Eroi.

    Le labbra di Sakiko si serrano in una piccola linea di disapprovazione. Questa era un punto su cui lei e l’americano la vedevano molto diversamente.
    Sakiko ammirava gli Eroi.

    Sakiko non si era avvicinata all’illegale attività di Vigilante con un sentimento di disappunto verso l’istituzione degli Eroi ma con un desiderio di emulazione. Non ne aveva una visione utopistica – sapeva che non erano necessariamente tutti dei “paladini senza macchia e senza paura”. Ma al livello base era fermamente convinta che loro fossero i buoni. Quando andava in giro per le strade a caccia di piccoli criminali non lo faceva per senso di diffidenza o competizione, ma lo faceva per sentirsi più simile a loro.

    …e per contro aveva una visione meno clemente verso i “criminali”. Sakiko aveva di partenza una visione piuttosto in bianco e nero di giusto e sbagliato. E sicuramente era piuttosto riluttante a credere che qualcuno che fosse in alcun modo partecipe dei tragici eventi che avevano avuto luogo durante l’attacco terroristico potesse essere considerata una “vittima” che meritasse di essere salvata. Per quel che la riguardava chiunque avesse in alcun modo intenzionalmente partecipato a quella scelleratezza meritava di finire in prigione – se desideravano salvezza e redenzione avrebbero dovuto trovarla dietro le sbarre dopo aver espiato i propri crimini.

    Questa era la sua idea di giustizia.

    …ma era anche vero che già da un po’ di tempo aveva dovuto riconsiderare un po’ la propria prospettiva riguardo a moralità e giustizia. Il suo idealismo era corretto e inattaccabile in teoria – ma al livello pratico aveva dovuto constatare che nella realtà le cose avevano sfumature e contrasti.
    Aveva in fondo dovuto prendere atto di ciò quando aveva purtroppo finito con fare la sgradevole conoscenza di Yanagi – un sedicente agente del governo che aveva manipolato e ingannato persone innocenti per i propri scopi.
    La ragazza sospirò e diede un piccolo colpetto con il palo della mano sulla fronte dell’americano “Hai degli intenti sicuramente nobili e commendabili, Joshua… ma prima di pensare a salvare gli altri dovresti pensare a salvare te stesso. Cominciando a prenderti più cura di te – a prescindere dalle tue buone intenzioni andare a rischiare la tua vita in quella situazione è stato imprudente. Tu dovresti sapere meglio di me che bisogna imparare a scegliere le proprie battaglie…” – concluse la ragazza in un necessario rimprovero.

    Che uno fosse un Eroe o un vigilante c’era sicuramente un concetto comune: non puoi salvare nessuno se muori.








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    Era difficile. Dire di avere una soluzione ad un problema davvero complesso spesso voleva dire non averla, ma semplicemente indicava che uno non sapeva abbastanza del problema di fronte a sé. C'era una teoria che diceva che più uno sa, più si rende conto di quanto non sappia - o qualcosa del genere. Ad ogni modo, in quel periodo la sua testa iniziò a speculare su quelle cose, che se a Novembre - o anche prima - pensava che per essere dei 'supereroi' ci volesse poco, ora non ne era più così sicuro. Ogni crimine merita una punizione e nessun criminale è assolvibile completamente da tutte le sue colpe, salvo casi particolari e di poco conto. Tutti hanno la possibilità di scegliere, non tutte le scelte sono uguali ma spetta all'individuo sapere che a volte la scelta più difficile è quella giusta, che alla fine dei conti uno non si può aspettare di imboccare la strada del crimine ed aspettarsi di essere dalla parte della giustizia.
    I terroristi sono un esempio lampante.
    Eppure quando conobbe un po' meglio Yves e Yuuya, o com'è che si chiamava quel belloccio, i suoi ideali traballarono. Chi è la vittima e chi il colpevole? Il colpevole è a sua volta la vittima del sistema? Quanto va in profondità questa tana del coniglio? Voleva pensare che erano quelli i discorsi che radicalizzavano persone contro il sistema, che facevano nascere persone che erano disposte a perdonare quei crimini perché "erano state cresciute così" o stronzate di quel tipo. Loro due, per quanto abbindolati da una forza maggiore, rimanevano dei criminali e meritavano di subire le loro conseguenze, ma rimanevano comunque vittime e potevano essere utili. Certe volte certi crimini fatti per amore portano dietro una persona che è disposta a fare del buono, ma che per un motivo o un'altro ha scelto una strada sbagliata. Meritava di essere messa insieme alla feccia? Quella feccia a sua volta poteva essere salvata? Ora capite come mai Joshua era così confuso e diviso sul da farsi?
    « Ho vissuto per molto tempo nella bitterness e pensando tantissimi what ifs, » gli scappavano certe parole in inglese, non per una mancanza di vocabolario ma perché in quella condizione mentale non aveva la forza di fare altrimenti. « Non voglio continuare in quel modo. Tu almeno sarai ricordata per il tuo talento da idol e il resto che fai, ma io? Ho bisogno di diventare qualcuno, di lasciare la mia impronta là fuori, » non voleva incolpare Saki, però pensava che la ragazza non poteva capire benissimo da dove provenivano i suoi pensieri vista la sua vita. Che era ammirevole e la rispettava, però proprio per quel motivo sperava che lo potesse capire. Che si, quello che voleva fare era pericoloso ma meritava di farlo, anche lui voleva meritarsi un'angolino negli annali della storia. « Comunque, tranquilla, non ho nessuna intenzione di morire... anche perché senza di me, chi ci sarebbe a proteggere Tokyo? » ora basta fare la figura della damigella in bisogno d'aiuto, alzò la testa e diede all'amica un sorriso beffardo e pieno di sé. « Oh, diventerai la mia primissima fan - vanne fiera, » quell'espressione era difficile da mantenere con la mente ancora in subbuglio, ma non voleva vedere Saki in quello stato per colpa sua.
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    Sakiko Yumeno

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    Sakiko strinse le labbra quando Joshua espresse il suo desiderio di lasciare un segno della sua vita ed essere qualcuno. Si trattava senza dubbio di un desiderio tutto sommato piuttosto comune – un naturale impulso di lasciare qualcosa di significativo al mondo per farsi si di essere ricordati in qualche modo.
    Probabilmente era un istinto dettato dal bisogno di validare la propria esistenza, di dargli significato. Un modo per gridare all’universo “questo sono io, questa è la mia esistenza”. Ma forse era anche il desiderio di provare qualcosa a se stessi.

    Ciò nonostante l’americano aveva commesso un errore nell’usare la carriera di idol di Sakiko come termine di paragone.
    Il motivo era semplice. Sakiko non era diventata un idol per diventare qualcuno. Sakiko si era trovata sotto i riflettori della popolarità semplicemente facendo quello che amava. Per quanto di certo apprezzasse le comodità e i vantaggi che derivavano dal suo successo per lei non erano mai stati una priorità.


    "Vi prego amate quello che faccio, quello che creo, quello che sono… sempre e incondizionatamente.



    Aveva iniziato ad esibirsi danzando, cantando e recitando nel salotto di casa per intrattenere i suoi genitori , usando un tavolino come palco e una spazzola come microfono. Adesso faceva la stessa cosa ma il palco era diventato più grande e le luci dei riflettori più accecanti – per chi si stava esibendo adesso? I suoi genitori? I suoi fans? Per se stessa?

    Non era sicura ci fosse una risposta esatta – sapeva solo che stava facendo ciò che amava e tanto le bastava. Essere “qualcuno” per lei non era mai stata una priorità quanto l’essere se stessa.

    Forse le cose avrebbero potuto andare diversamente – forse avrebbe potuto diventare un Hero invece che una idol. Quello era stata la sua prima ambizione in fondo. Anche quella era una parte di lei. Anche in quel caso sarebbe stato solo essere fedele a se stessa – per questo aveva in fondo intrapreso la strada della Vigilante. Non era per dimostrare qualcosa al mondo ma per fare ciò in cui credeva.


    Non era sicura di quanto questa sua prospettiva coincidesse con quella di Joshua. Questo forse era un altro punto sulla quale avrebbero avuto sempre due punti di vista differenti.
    Da un lato era convinta che l’amico fosse mosso da un principio sano e nobile che meritava di ricevere il suo supporto… ma allo stesso tempo la ragazza non era sicura che per lui fosse una cosa sana concentrare tutte le sue speranze e le sue ambizioni in quella crociata. Sakiko voleva che lui trovasse appagamento e il giusto riconoscimento che cercava anche in altri aspetti della sua vita – che non pensasse che essere un vigilante fosse l’unica cosa nella quale lui potesse eccellere.
    Cosi cercò di comunicare questo pensiero rispondendogli selezionando con cura le parole per evitare che lui potesse interpretarle in maniera negativa «Puoi essere qualcuno anche in altri campi, Joshua. Fare il paladino della giustizia non è la tua unica vocazione – dovresti valutare tutte le tue opzioni. Non fraintendermi hai tutto il mio supporto …ma quella del vigilante non è l'unica strada che puoi intraprendere per lasciare un segno.» – concluse la ragazza con tono convinto e un sorriso fiducioso.

    …ma la comprensione della idol si affievolì quando l’americano cominciò a parlare come se fosse l’unico a proteggere Tokyo e che lei sarebbe diventata la sua “primissima fan” – forse volendosi mettere a paragone con gli Heroes che la ragazza notoriamente idolatrava.

    La bionda scosse la testa alzando agli occhi al cielo, sorridendo però con fare paziente. Sbuffando con scetticismo assestò all’amico un piccolo “karate chop” con il taglio della mano dritto in mezzo alla fronte «Adesso non montarti la testa, baka gaijin. Ne hai ancora di strada da fare prima di convincermi a diventare la tua fan – non mi lascio impressionare cosi facilmente.» – lo rimproverò con tono tutto sommato gioviale distaccandosi finalmente dall’abbraccio di conforto. Se era in grado di dire simili sbruffonaggini era evidente che era stato confortato abbastanza almeno per ora.

    La ragazza fece giusto un passo indietro e poggio le mani ai fianchi aggiungendo «…ma sarò sicuramente qui a fare il tifo per te in ogni caso.» – con un sincero sorriso d’incoraggiamento.


    La ragazza poi girò su stessa con l’intento di tornare a sedersi al suo posto aggiungendo però a bruciapelo «Ovviamente immagino che tu abbia già un piano concreto per tutte queste belle intenzioni… perché tu hai un piano, vero?» – chiese con il tono di una maestra che chiede se hai fatto i compiti ma con una sfumatura di scetticismo che implica che già sospetta che tu risponda di no.









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    Sentendo quel discorso così ragionevole Joshua non poté fare a meno che sbuffare e girare gli occhi, sapendo benissimo che Saki non gli era contro ma stava solamente facendo la madre (o amiche, insomma quel che è) responsabile . Apprezzava che si stava preoccupando per lei, veramente, però forse non era abbastanza chiaro su quant'era convinto di quella scelta, specie visto i mesi e mesi di ricerca di lavoro. Non che ora stesse avendo più successo, ma come aveva detto Aragaki-san, quello che stava facendo prima non era una cosa ragionevole da fare. Doveva crescere come persona e come lavoratore, ed era dell'idea che seguire il proprio cuore ed i suoi ideali lo avrebbe portato a quel traguardo. Senza nemmeno menzionare quanto fosse convinto che lui potesse fare la differenza, o almeno che lui sotto sotto pensava di potercela fare. Almeno non gli mancava l'entusiasmo. « Ho valutato le mie opzioni dopo aver passato mesi come un coglione a richiedere colloqui di lavoro, solo per poi fallirne uno dopo l'altro. Devo cambiare e migliorare, e sono convinto che facendo questo potrò cambiare - fidati di me, » il suo tono non era infastidito né arrabbiato, era quello di un ragazzo che cercava di farsi capire, di far ragionare una delle persone che per lui praticamente faceva parte della propria famiglia. « Ho molti anni da recuperare, non solo per questa cosa di essere... » non voleva usare la parola vigilante, non gli calzava, « Silver Face, ma anche per cose che non ho mai imparato, che ho dato per scontato. Non ho un diploma, so solamente il giapponese perché ai tempi ero un weeb del cazzo, voglio ampliare ciò che posso fare. ». Aveva in mente mille cose, voleva farne centinaia ed era determinato di man mano diventare qualcuno di cui lui stesso poteva andare fiero, una persona veramente capace di lasciare un segno.
    La serietà però non era però l'unico tono che i due stavano usando, da lì a poco l'americano cercò di metterla sul ridere e per fortuna riuscì a strappare a Saki una dele sue solite risposte. Non solo, alla fine aggiunse anche una frase che lo stupì. Non era possibile... « damn, sono stato così efficace che ti ho tirato fuori il tsundere. Ti vedevo di più allegra e spensierata da fuori, però un po' ti dona, » con un sorriso pieno di sé e scherzoso sul volto, si sentiva molto meglio e quasi a casa mentre la punzecchiava. Non voleva fare il serio per troppo a lungo, quello lo doveva riservare per quando faceva il protettore di Tokyo - ora che era in compagnia di Saki si voleva divertire.
    « Pfft, per chi mi hai preso? » si alzò su due piedi e fece un cenno con la testa come a voler dire 'con chi stai pensando di avere a che fare?'. Sapeva già cosa fare ed aveva già messo i suoi primi semi, sia in quella lontana, eppur vicina, serata di Novembre che successivamente. Non lo avrebbe detto a Saki, però almeno meritava di sapere che si, aveva un piano. « Vedrai, non si tratta di andare nelle fogne e di cacciare mister farfalla con gioiello in faccia. Quando dico di voler salvare le persone non intendo emulare gli eroi. Io voglio lasciare un cambiamento perenne. ». Se il suo tono all'inizio era scherzoso, alla fine divenne nuovamente serio, quasi sentenzioso e solenne. Non usava la parola supereroe per far figo, i suoi piani erano ben più vasti ed importanti di cosa fanno, secondo lui, gli eroi moderni. Non voleva fare il pronto soccorso sulle ferite della società, non gli bastava mettere un cerotto su un graffio del mondo, bensì seguire il detto che era meglio prevenire che curare. Dove iniziava però il suo atteggiamento da sbruffone, il darsi delle arie e il suo spirito genuino? Non lo sapeva nessuno, forse nemmeno lui.
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