Don't act like you know me

uando Gabriel le strinse la mano, non successe nulla: nessuna esplosione, nessun dolore lancinante, nessuna sensazione di essere nuovamente sbalzata via. Si ritrovò a trarre, istintivamente, un sospiro di sollievo… ma quel gesto, per quanto fosse apparentemente significativo, non voleva dire che si fidasse al cento per cento di lui. Doveva ancora studiarlo, capire chi fosse davvero, se aveva mentito fino a poco fa oppure se aveva detto la verità. Era ancora tutto troppo vago e confuso per Kalya, o almeno, lo era in quel momento.
Proprio per questo motivo, quando lui si presentò di nuovo in maniera scherzosa, lei rimase qualche brevissimo istante a riflettere, prima di rispondere. “Kala.” Non era, ovviamente, il suo vero nome… abbastanza simile al suo, ma comunque non era quello segnato sui suoi documenti. Se c’era qualcosa che aveva appreso dalla sua brevissima esperienza come vigilante, era non dare troppe informazioni in giro: e se Gabriel un giorno fosse impazzito e avrebbe iniziato a urlare a gran voce che Kalyani Raji, direttrice della Raji Inc. di Tokyo, fosse una vigilante? Non gli avrebbe creduto nessuno, ma avrebbe messo il tarlo del dubbio a qualcuno.
Meglio essere cauti.
Sapeva, perlomeno, il suo nome su Qmail… dubitava che gli avrebbe mai davvero scritto, ma lo appuntò mentalmente, per l’evenienza. Ma non fu l’unica informazione utile che ricevette da lui: esisteva una clinica che curava i pazienti senza farsi troppe domande… il che poteva risultarle molto utile in quel momento. Si guardò il braccio destro, abbandonato sul suo fianco, domandandosi se avesse qualcosa di rotto e se fosse il caso di farsi fare una lastra. Probabilmente era l’ideale, se non voleva rischiare di peggiorare la situazione - e lei ci lavorava tantissimo con quel braccio, non se lo poteva permettere.
“G-grazie dell’informazione,” bofonchiò, deviando appena lo sguardo e trovando strano doverlo ringraziare. Sperava che quella fosse davvero l’ultima volta che fosse costretta a farlo.
Osservò Gabriel recuperare le carte, per poi farle un teatrale inchino per salutarla, a cui lei rispose con un’espressione vagamente perplessa e corrucciata, prima di rispondere sollevando la mano sinistra in un piccolo saluto. Si accertò poi che lui si fosse davvero allontanato, prima di lasciarsi sfuggire un profondo sospiro, rilassando i muscoli che erano stati in tensione fino a quel momento.
Si accasciò su un masso più grande, lamentandosi per il dolore lancinante al fianco e al braccio e provando ad aggiustarsi velocemente i capelli disordinati, per risultare quantomeno presentabile. Si passò la mano anche sulla fronte leggermente sudata, prima di spolverarsi i vestiti sporchi di terriccio… doveva assolutamente nascondere le prove del suo scontro, per non essere guardata con confusione dai passanti, una volta abbandonato quel boschetto.
In quel momento era estremamente confusa, non riusciva a capire in quale stato d’animo versasse in quel momento: l’incontro con Gabriel l’aveva sia provata fisicamente che psicologicamente e sapeva che vi avrebbe rimuginato non per giorni, ma per settimane. Come se non avesse già trecento pensieri per la testa…
Prese velocemente il suo cellulare, per fortuna ancora intatto, digitando velocemente un numero. “Pronto? Ciao. Senti, oggi non passo all’azienda… non mi sento molto bene. Ce la fai a occupartene tu, vero? … Grazie.” E attaccò. Aveva chiamato il suo vice, che di solito faceva le sue veci quando lei era assente. Di certo, in quel momento non era proprio in grado di poter affrontare una giornata lavorativa, considerando anche le condizioni in cui riversava. Sarebbe andata subito all’ospedale a farsi dare una controllata, così da scongiurare possibili traumi e riprendersi più in fretta.
Si alzò in piedi, allontanandosi da lì, con passo incerto a causa del dolore. Chissà se avrebbe mai più rivisto Gabriel… in quel momento, però, sperava di non incrociarlo più per un pochino. Non si sentiva ancora pronta ad affrontare di nuovo tutto quello stress.