Almost a Cold Death

Christmas Role || Castiel & Günter

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    CASTIEL LEROY
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    3 Dicembre.

    C'era qualcosa che non andava. Dormire avvolti fra le proprie coperte, nelle notti di pioggia, era quanto di più confortante ci potesse essere al mondo. Il rumore dell'acqua che veniva giù dal cielo cullava dolcemente il sonno, secondo solo al suono ritmico dell'infrangersi delle onde sulla spiaggia. I confini del mondo diventavano labili, sparivano nel buio, confondendo l'orizzonte fra cielo e terra. Chiaramente era una sensazione piuttosto soggettiva; Castiel - ad esempio - non amava particolarmente la pioggia, a meno che non si presentasse il caso sopra descritto. Con la camera immersa nell'ombra e all'esterno solo lo scrosciare di un improvviso temporale perdersi nel mondo onirico era stato fin troppo facile.
    Eppure, in quel momento c'era qualcosa che non andava. Bzz-Bzz. C'era un altro rumore.
    Pigramente, Castiel schiuse gli occhi, affondando il viso nel cuscino con un mormorio infastidito e raggomitolandosi in mezzo al piumone.
    Un rumore persistente e fastidioso.
    Bzz-Bzz-Bzz.
    Ah. Il suo cellulare stava vibrando sul comodino. Confuso, si stropicciò le palpebre. La sveglia? No, impossibile. Aveva Black Betty dei Ram Jam a svegliarlo, se lo ricordava bene, e fuori - anche se pioveva - era ancora buio pesto.
    Qualcuno lo stava chiamando?
    Istintivamente, tirò fuori un braccio da sotto le coperte, rabbrividì, e lo allungò velocemente a prendere a tentoni il telefono sul comodino. Lo portò davanti al viso, ma la luminosità lo accecò talmente tanto che non riuscì a vedere chi fosse. Forse avrebbe solo dovuto mettere giù e tornare a dormire, tuttavia, da quando Sakiko era stata aggredita, aveva il sentore che se non avesse risposto ad una chiamata qualsiasi se ne sarebbe potuto pentire il giorno successivo, quindi ignorò il freddo e accostò il cellulare all'orecchio.
    «Hello...?» fece con la voce ancora impastata dal sonno.
    "Ehi, Cass!" Dall'altra parte gli rispose una voce allegra e squillante. Nel suo dormiveglia, Castiel ci mise un attimo a realizzare come fosse un po' troppo familiare, ma quando lo fece si svegliò di botto. «...Vince?!» Esclamò, scattando a sedere come se si fosse reso conto che il suo materasso fosse composto di aghi. La luce bianca e smorta del proprio schermo illuminava un po' la stanza, un po' il suo viso pallido, come se fosse diventato improvvisamente il protagonista di un raduno di ragazzi riuniti per raccontarsi le storie dell'orrore in campagna.
    "Cos'è questo tono sorpreso?"
    Che domanda priva di senso.
    «...Perché mi chiami a quest'ora...?» biascicò.
    "Uh, non posso semplicemente avere voglia di sentire il mio fratellino? ...Aspetta perché, che ora è?"
    Castiel sospirò, afflitto. «Le cinque di mattina.»
    Dall'altro capo del telefono calò il silenzio. Poi a Castiel parve di sentire una voce fuori campo che suonò un qualcosa come un "te l'avevo detto che era troppo presto" e riconobbe la voce dell'altro gemello. "Oh." altro silenzio. "Ho calcolato male il fuso orario?"
    Ma davvero. Castiel non rispose, ancora troppo impegnato a mettere in ordine i tasselli del puzzle che i due avevano appena fatto formare nella sua testa. Vincent e Gilbert, i due gemelli, suoi fratelli maggiori e la componente più caotica della sua famiglia. Che, conoscendo Castiel, potete solo immaginare. Con ogni probabilità lo stavano chiamando da Vancouver o in chissà quale altra città del Canada.
    "Quindi ti ho svegliato?"
    «Beh, le persone normali dormono a quest'ora sì.»
    "Ah, e allora tu eri sveglio."
    «...Mi hai chiamato per dirmi che hai visto il premio di Mister Simpatia o ti serve qualcosa?»
    "Rude."
    «Vince. Stavo dormendo. Taglia corto.»
    Una risatina, che se non fosse appartenuta a suo fratello gli avrebbe fatto andare il sangue al cervello, fu la prima risposta che ricevette.
    "Well. You know... It's almost Christmas."
    Nonostante fosse ancora più nel mondo dei sogni che in quello degli svegli, Castiel capì subito dove voleva andare a parare.
    «Oh no. Non se ne parla. Assolutamente no
    "Ehi, fammi finire almeno. Non sai nemmeno cosa voglio chiederti."
    «Se torno a casa per le feste.»
    "Okay, listen..."
    «Dovresti saperlo che qua non è vacanza.»
    "Beh, nemmeno qua. Ma possiamo prendere ferie, e potremmo venire noi da te."
    Castiel ammutolì. Era troppo stanco per mettersi a protestare con decisione, ed il pensiero che era comunque tanto che non vedeva tutti quanti riuniti insieme...
    "Non farla sembrare tragica. Dai, Cass. Fallo per la mamma. Sai quanto è che non ti vede? Dopo l'anno scorso poi. E sono quei giorni, no?"
    La voce di Vincent lo fece pentire all'istante di avere anche solo pensato di rifiutare. Già, lo scorso anno sua madre aveva insistito parecchio perché se ne tornasse a New York. E quando era scoppiata la catastrofe con il farmaco...
    Certo, erano quei giorni, però magari passare il Natale con la sua famiglia... poteva fargli bene.
    «Suppongo vada bene finché non ci sono gli zii. Dovrei dirlo a Jason... sta ancora da me e...»
    "Sì, così cerca un biglietto espresso per la luna."
    Duh. Beh, non aveva tutti i torti. Però...
    «...Non credi che sia un pochino peggio se non glielo dico?»
    "Nah, it will be fine. Sarà una sorpresa."
    «Beh, non ho ancora detto che va bene.»
    "Ci parli tu con Richard? Ha già fatto le valige."
    Castiel sbuffò. «Che minaccia da quattro soldi.»
    Gli parve quasi di sentire suo fratello scrollare le spalle. Lo sapevano entrambi quanto l'altro fratello maggiore, quello più grande di entrambi, fosse fissato con le riunioni di famiglia. "Che importa quanto è economica se funziona? Beh, ti lascio continuare a dormire. Ci sentiamo in settimana, sayonara!"
    Castiel fece finta di non sentire la pronuncia sbagliatissima e lasciò vagare lo sguardo per la stanza fino ad incontrare la tapparella abbassata della finestra. Pioveva ancora.
    «Salutami la parte intelligente del duo.» ribatté. Sentì suo fratello ridacchiare, poi staccò lo smartphone dall'orecchio e si ributtò sul letto. Non era per niente sicuro che sarebbe riuscito a riaddormentarsi, pioggia o no.

    ✧✧✧

    Erano passati all'incirca una ventina di giorni da quella telefonata in mezzo alla notte. Castiel si sentiva i muscoli a pezzi. Ricominciare danza era stata al contempo la scelta migliore e peggiore che potesse aver fatto. Gli serviva per tenersi in allenamento, a volte però la vecchiaia si faceva sentire. E non solo quella, a dir la verità.
    Era sera, ma nonostante l'ora tarda le strade di Ueno brulicavano di gente. Decorazioni natalizie addobbavano le vetrine dei negozi, colorandole di luci variopinte e drappi scintillanti. I respiri delle persone, a contatto con la gelida aria della città di Tokyo, si condensavano in tante piccole nuvolette simili al fumo e dal cielo veniva giù un leggero nevischio. Avvolto nel suo cappotto color crema, una sciarpa rossiccia e bianca attorno al collo, Castiel si stava trascinando a fatica lungo gli affollati marciapiedi del suddetto quartiere.
    Odiava il suo quirk. Era di ritorno da uno dei suoi soliti allenamenti serali, dopo una giornata piena di lavoro era l'unico modo che aveva per rilassare la mente, ma evidentemente lo stress accumulato nell'ultimo periodo aveva fatto sì che raggiungesse il capolinea prima del previsto.
    Amava il Natale, era una delle sue festività preferite: l'occasione perfetta per uno come lui che amava fare regali. Peccato che capitasse in concomitanza con l'arrivo dell'inverno e quello lo riducesse ad uno straccio tutte le volte. Aveva preso i suoi soliti antidolorifici quella mattina, eppure sembrava proprio che più ne prendesse più essi perdessero la loro efficacia. Era normale, erano farmaci, ma era odioso. Prendeva delle pasticche che sarebbero dovute essere in grado di attenuare gli effetti collaterali dei quirk per giorni ed erano durate meno di dodici ore.
    Aveva la vista annebbiata, troppe luci che non riusciva a mettere a fuoco, i capelli verdi raccolti in una coda laterale gli pesavano sul viso, la borsa con i vestiti di ricambio sulle spalle, gli mancava il respiro e percepiva i primi sintomi della febbre: ogni passo, ogni boccata d'aria, gli sembrava che la schiena gli si stesse per spezzare.
    Forse dirlo era inutile: alla fine i suoi fratelli l'avevano spuntata. A casa sua adesso - oltre Jason - c'era Lavinia, sua sorella maggiore, che aveva deciso di prendersi una vacanza in anticipo ed era arrivata a Tokyo un po' prima, mentre tutto il resto della famiglia sarebbe arrivato la mattina di Natale. Castiel voleva solo mettere piede in casa e fiondarsi fra le sue braccia, ma aveva ancora parecchia strada da fare.
    No, non era in condizioni di guidare. Doveva prendere un taxi, ma sembrava che non ce ne fosse nemmeno uno disponibile, quella sera.
    Senza contare che aveva fame e...

    «CASTIEL!!»

    "...Eh?" L'americano si ritrovò a sbattere le palpebre un paio di volte, disorientato, fino a riuscire a rimettere a focalizzare l'attenzione su una persona che si era bruscamente arrestata a qualche passa da lui, sul marciapiede.
    Di scatto, sollevò lo sguardo, dirigendo le sue iridi ametista poco più in basso. Vestita da una giacchetta scura una ragazzina che doveva avere su per giù diciotto anni lo stava fissando con un'aria un po' sognante. Aveva i capelli corti, a caschetto, neri e viola, e gli occhi a mandorla, altrettanto scuri.
    «Tu sei Castiel Leroy! Possiamo farci una foto? Per favore, per favore!» esclamò la giovane, lasciandosi sfuggire un gridolino eccitato. Castiel la guardò come se avesse parlato arabo, poi sembrò ricordarsi di essere in mezzo alla strada.
    Attirata dalla confusione improvvisa, una piccola folla si era radunata lì intorno e Castiel si sentì morire. Ugh, non era il tipo da rifiutare le interazioni con i fan - che poi, fan, ancora? - ma in quel momento non si sentiva bene. Per niente, era in procinto di collassare da un momento all'altro. Avrebbe voluto chiamare Lavinia o Jason, ma nessuno dei due sapeva guidare, sarebbe stato inutile.
    Le iridi della ragazzina lo scrutarono speranzose e Castiel si sentì cedere le gambe.
    «Sì, certo.» mormorò, accennando un sorriso. Attese che la ragazza aprisse la fotocamera, si sistemò appena la frangetta e si fece inquadrare specchiandosi nel display. Aveva uno sguardo eccessivamente stanco e i crampi stavano peggiorando. Sperava che non se ne accorgesse.
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    Due pesanti porte di vetro si serravano dietro di lui in pochi istanti contraddicendo nettamente la sua percezione, secondo quest’ultima quell’avvenimento sembrava protrarsi per ore, un ultimo suono grave e secco ne annunciava la chiusura e scandiva anapologeticamente l’ultimo fallimento del tedesco: anche quella casa discografica aveva deciso che Günter suonava uno stile troppo poco commerciale e che non potevano accettarlo se non si fosse dimostrato volenteroso di rivelare il suo volto, in più avevano definito le sue domande rispetto all’amministratore delegato, ad esempio se fosse stato un musicista anche lui, irriverenti. Per quanto si sforzasse di essere solare come sempre era piuttosto visibile quanto fosse furibondo, lo schiocco della suola dei suoi anfibi contro l’asfalto era abbastanza da avvertire chi gli si parasse davanti di spostarsi leggermente su un lato per evitare di venire travolti dalla sua andatura aggressiva, il suo sguardo era fisso sulla luna già visibile, la fissava senza dare attenzione a nient’altro nei suoi dintorni come se stesse provando a comunicarle telepaticamente e esprimere a pieno la sua disapprovazione.
    Non voleva immediatamente rincasare e attaccare il suo mal’umore a i coinquilini, avrebbe prima provato a sbollentare un po’ in un qualche luogo buio e sperduto, non gli ci era voluto molto per giungere al parco di Ueno dove avrebbe cercato una panchina libera per riflettere. Si era seduto ponendo la chitarra gelosamente celata nella sua custodia tra le sue gambe divaricate circondandola con le proprie braccia per stringerla verso di lui e usarla come appoggio, un po’ la abbracciava in quanto compagna di innumerevoli avventure da ormai più di un decennio, un po’ sperava che lei abbracciasse lui per confortarlo in quel paese senza familiari e senza dei veri e propri amici stretti da cui poteva sfogarsi in quei momenti di frustrazione… apparte forse una persona che di tanto in tanto continuava a scrivergli dalla Germania.
    Il display del suo smartphone si illuminava rivelandogli una notifica di Babel, un messaggio di sua sorella Adalie, mettendo la sua chitarra in parte sulla panchina leggeva il suo contenuto:

    “Ciao Affe! Senti, ho sentito che mamma ti ha chiamato e… sei davvero sicuro che vuoi farci dei regali per questo Natale? Lascia perdere cosa diranno mamma e papà, sono sicura che quando troverai un lavoro avrai tutto il tempo del mondo per rifarti, ma per ora è meglio se pensi più a te stesso, non credi?”

    Era molto seccante ammettere a se stesso che aveva ragione, era giunto a un punto in cui non poteva esattamente permettersi di sperperare soldi per regali o simili, anzi, generalmente era preferibile evitare di pagare qualsiasi cosa che non fosse il suo padrone di casa, se effettivamente avesse dovuto pensare a se stesso sarebbe stato molto meglio non inviare nessun presente alla sua famiglia. Quindi perché il tedesco era così intenzionato a farlo comunque? Per il semplice fatto che a ogni stramaledetta chiamata che riceveva dai suoi genitori non facevano altro che ricordargli quanto secondo loro la scelta da lui presa rispetto a lasciare la sua vecchia casa discografica all’improvviso fosse stata oltremodo sconveniente, addirittura si rivolgevano a lui con un tono che non sopportava, quasi colmo di pietà, il tono che si userebbe con qualcuno di profondamente malato, un tono ben diverso da quello che avevano sempre usato con lui. Non si aspettava certo che si complimentassero con lui per il suo fegato o che comprendessero il motivo artistico della sua scelta, desiderava solo che lo trattassero come il figlio che era sempre stato o che quantomeno dimostrassero più fiducia in lui piuttosto di trattarlo come se fosse in una situazione disperata e la soluzione migliore sarebbe stata una fuga dal Giappone… proprio per questo si sarebbe sforzato di far loro dei regali, ma non delle stupidaggini da quattro soldi giusto per il vanto di aver regalato qualcosa, no, regali sfarzosi, qualcosa che facesse intendere loro che andava tutto bene e che quel figlio che credevano tanto morto di fame stava vivendo la migliore delle vite accidenti, già, a volte l’orgoglio può essere costoso.

    “Certo che sono sicuro sorellina mia, dei bei regaloni per te e i due boomers, anzi, anche ai cugini se mi gira! Fidati di me Adalie, faccio più un favore a me stesso in questo modo piuttosto che non facendoli. Tu non ti preoccuare per me, ti prometto che andrà tutto bene”

    Adalie era l’unica, insieme alla sua compagnia di amici più cari, a trattarlo ancora come sempre se non per qualche sporadico impeto di preoccupazione perfettamente giustificato, generalmente i suoi messaggi facevano sempre calmare Günter ma in questo caso particolare, visto il contesto del messaggio, non c’era nessuna grande variazione nel suo stato d’animo. Poteva benissimo fare quei regali certo, il punto è che sia farli e sia pagarsi da vivere non era qualcosa di apparentemente fattibile, certo, questo a meno che non fosse riuscito a trovare una casa discografica: le canzoni che postava sul web non gli fruttavano un gran guadagno visto il funzionamento delle piattaforme in cui venivano pubblicati, ma gli donavano un grande seguito, i suoi fan ascoltavano ancora molto volentieri la sua musica, se solo fosse riuscito a sottoscriversi da qualche parte e avere i fondi per lanciare un album i suoi problemi si sarebbero in gran parte terminati, avrebbe finalmente ricominciato a guadagnare normalmente.
    Accomodava le braccia ampiamente lungo lo schienale della panchina, il suo collo aveva pian piano cessato di reggere la sua testa che ora si trovava quasi a penzoloni, lasciava che il nevischio si accomodasse sul suo volto destreggiandosi tra il vapore del suo respiro, guardando il cielo rigato dai rami soprastanti aveva cominciato a far scorrere domande e pensieri nella sua testa, sfruttando la tranquillità del momento per

    “CASTIEL”



    L’impulso di gridare “DOVE!?” a pieni polmoni era davvero forte, ma in qualche modo era riuscito a sopprimerlo, il suo cuore batteva forte, quell’avvenimento lo aveva fatto trasalire e scomporre violentemente facendogli stringere la presa sullo schienale della panchina e alzare di scatto la testa per triangolare la posizione di quell’urlo. Castiel? Quel Castiel? Quell’uomo di cui cercava il numero da mesi? Quell’uomo che forse poteva aiutarlo? Sottoscriverlo come artista nella sua illustre casa discografica?
    Per quanto di bell’aspetto si trattava comunque di un individuo normalissimo, ma la sensazione che pervadeva Günter scorrendo il suo sguardo su di lui era paragonabile a quella che si proverebbe imbattendosi in degli sfiziosi pettini di pollo impanati dopo giorni di inedia nel deserto: i suoi occhi erano di un viola ammaliante degno della più pregiata kunzite, i suoi capelli di un incantevole tonalità viridiscente incorniciavano il suo volto, probabilmente il viso più aitante di cui il tedesco poteva essere memore fino a quel momento. Non appena il biondo aveva sentito parlare di quell’essere angelico aveva subito chiesto alla sua sorellina, una grande fan, di presentargli qualche brano e parlargli un po’ della sua discografica in modo da tenersi pronto per un eventuale incontro, grazie a queste ricerche per lui non c’era dubbio, era proprio il soggetto che appariva in quei video dove con quel corpo etereo danzava nei tipici scenari che ci si aspetterebbero da un video Jpop.
    La ragazza fastidiosa che lo aveva implorato di avere una foto con lui aveva attirato altre persone tra fan e chi invece voleva una foto semplicemente perché l’individuo aveva l’aria di essere famoso, sprecavano il tempo prezioso del tedesco che aspettava il suo turno per alzarsi dalla panchina e entrare in scena provando a non essere tanto invadente quanto gli altri, però grazie a quelle interazioni non poteva che notare qualcosa di strano: Castiel non aveva per nulla una bella cera, anzi, a guardarlo in faccia sembrava dovesse svenire da un momento all’altro, non sapeva se fosse conciato così da prima che la ragazza gli parlasse ma era molto probabile lo fosse considerato il look sfinito che sfoggiava.
    Non sapeva bene come avrebbe reagito a un’ulteriore passante intenzionato a parlargli, ma non poteva lasciarselo sfuggire, appena accontentato l’ultimo dei suoi fan lo avrebbe fiancheggiato calmamente cominciando a parlare
    “Heyla, pare lei abbia molti fan hm?” - Non c’è nulla di meglio che mostrare compatimento e consolazione per accattivarsi qualcuno, soprattutto un VIP che probabilmente non incontra molte persone che gli consentono di sfogarsi
    “Che gente, non sembra considerino nemmeno l’ipotesi di essere invadenti a volte!” - Poi un modo non troppo implicito di far intendere quale fosse la sua professione, come se la chitarra in spalla non fosse abbastanza
    “Ahh, a volte ringrazio di non essere conosciuto ai livelli di qualcuno come lei” - Sperava che queste parole sarebbero state capaci di dare inizio a una discussione, da li si sarebbe appigliato a tutti i discorsi necessari per incorrere in ciò che voleva.

    Amor Fati
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    Se c'era una cosa su cui Günter poteva dire di aver inconsapevolmente ragione era proprio che Castiel non avesse affatto una bella cera.
    Ma non era colpa sua, conviveva con quell'infido problema del suo quirk da più di vent'anni, e non c'era giorno o notte che non pensasse che morire martire sarebbe stato meno doloroso. In qualche raptus di follia talvolta gli era capitato di pensare che sarebbe stato meglio quirkless, eppure - lo sapeva - non avrebbe rinunciato alle sue ali per niente al mondo. Nemmeno circondato dai fan, stanco e consunto, con la realtà che gli sfarfallava davanti e l'unico desiderio di staccare la spina che collegava il suo cervello ai nervi del dolore.
    Uno dei pochi modi che aveva per far diminuire i crampi era lasciare che il quirk e le ali facessero il loro corso: una volta manifestate in un paio di giorni avrebbero perso le piume, si sarebbero sgretolate come una statua in gesso e sarebbero ricresciute, facendolo tornare come nuovo fino alla stagione successiva. Certo, poi c'erano gli antidolorifici che lo aiutavano nel sopravvivere a tutto ciò, agli spasmi, alla febbre, ai fremiti, solo che in quel momento non stavano funzionando un granché. E il suo istinto da rapace lo stava facendo sentire in pericolo, esposto e vulnerabile come un animale ferito che altro non vuole che tornare a nascondersi nella propria tana.
    Tuttavia, non poteva fare nemmeno quello. Oltre ad essere bloccato dalla gente, non poteva certo lasciare che il suo quirk prendesse il sopravvento mentre era in mezzo alla strada. Uno, perché gli avrebbe di certo strappato i vestiti ed il cappotto facendolo morire di freddo. Due, perché sarebbe stato pericoloso, per sé e per gli altri.
    Perse in fretta il conto dei secondi, dei minuti e delle fotocamere che gli passarono sotto il naso; la ragazza che lo aveva riconosciuto era sparita dalla sua vista, trascinata via da due amiche poco contente di essersi fermate in mezzo a quel fitto miasma di gente. Castiel non la vedeva più, ma... a dire il vero vedeva ben poco.
    Era tutto così sfocato. Labile, confuso. Come una videocamera che non mette a fuoco.
    Un audio registrato in un'aula piena. Un brusio di sottofondo che impediva di riconoscere le voci. I clacson delle auto, il mal di testa persistente, il sudore che gli imperlava la fronte, l'aria fredda, il vuoto, la sciarpa stretta attorno al collo...
    "Pare lei abbia molti fan, hm?" fece di colpo la sua coscienza, richiamandolo all'attenzione.
    Il ragazzo annuì impercettibilmente.
    Già, a volte non capiva nemmeno perché. Aveva smesso di fare musica da un pezzo e la gente ancora lo fermava per strada.
    "Che gente, non sembra considerino nemmeno l’ipotesi di essere invadenti a volte!"
    Pienamente d'accordo.
    Incredibile fosse ancora in grado di formulare qualche pensiero coerente.
    "Ahh, a volte ringrazio di non essere conosciuto ai livelli di qualcuno come lei."
    Uh...? Aspetta... cosa? Perché la sua coscienza gli stava dando del lei? Cosa voleva dire conosciuto come-- un momento. Quella frase era stata un pelo troppo reale per essere la sua coscienza.
    Castiel risollevò pigramente il capo, sbattendo le lunghe ciglia e le palpebre - che manco si era reso conto di aver socchiuso - con esse. Solo in quel frangente si rese conto che la folla era leggermente scemata e che al suo fianco c'era... Aki? No, era... troppo giovane e lo sguardo era diverso. Un ragazzo? Biondo, occhi cerulei, molto alto e una custodia sulle spalle. Un altro fan?
    Era stato lui a parlare?
    Cosa... aveva detto?
    Il mondo tornò a ondeggiare e sfavillare.
    «...Eh?» stordito, l'ex-idol esalò lo stesso sospiro di un condannato a morte ad un passo dalla ghigliottina, che si è appena sentito assolvere dalle proprie accuse. Poi si sentì mancare le forze: il borsone con la sua roba di danza gli scivolò dalle spalle e cadde a terra con un tonfo secco. Castiel barcollò appena e uno strano senso di vertigine s'impossessò di lui. D'istinto tentò di aggrapparsi alla giacca dello sconosciuto, come ultimo baluardo per cercare di restare in piedi, ma si rese conto che le sue gambe non avrebbero retto. Se non avesse ricevuto sostegno sarebbe senz'altro caduto di fianco alla borsa.
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    Non era una persona introversa, timida o particolarmente restia a cominciare qualche conversazione, anzi, generalmente era proprio lui che assumeva questo compito trovandosi di fronte a nuove conoscenze, questa volta però i suoi freni inibitori avevano tinto le sue parole di una vibrazione quasi nervosa e venendo quest’ultima percepita dallo stesso tedesco non faceva altro che aumentare piano piano, sperava che quel Castiel fosse un individuo abbastanza gioviale da fargli sparire quell’imbarazzante timbro.
    Ma la risposta di quell’individuo era un silenzio letale, probabilmente solo una breve riflessione su che risposta dare al biondo che però nella sua testa assumeva le più svariate interpretazioni, poteva essere una profonda seccatura o semplicemente la descisione di ignorare completamente Günter, l’ansia di sapere come sarebbe volto il dialogo raggiungeva il suo apice nell’istante in cui la testa dell’artista aveva cominciato ad alzarsi piano piano, aspettandosi il più fulminante degli sguardi il biondo deglutiva e preparava il suo solito volto calmo e sorridente.
    “...Eh?” -
    Un po’ di sollievo giungeva nella psiche del tedesco, semplicemente non aveva capito! Come aveva fatto a non pensarci, la cosa era sicuramente data dal suo accento tedesco, gli sarebbe bastato ripetere la cosa provando a scandire il più possibile le sue parole senza dare l’impressione di trattarlo come un sordo o come un disabile.
    “E-ecco io… uhmmm...” - Se da lontano poteva vagamente notare la sua pessima cera, incrociando il suo sguardo era davvero molto evidente, i suoi occhi presentavano delle occhiaie molto marcate e aveva tutta l’aria di essere in qualche modo frastornato, non era la tipica confusione che ti da un gruppo di fan soprattutto se così relativamente modesto, oh cielo… che fosse drogato? Non era così improbabile come ipotesi, alla fine molti artisti fanno uso di cannabis o altre sostanze leggere per incrementare la loro creatività e scrivere brani migliori, anche se dalla prospettiva del tedesco sembrava comunque abbastanza strano considerando che, stando a quello che gli aveva detto sua sorella, Castiel non faceva musica ormai da un pezzo.
    “… Si sente bene?” - Aveva fatto appena in tempo a comporre questa domanda quando, dopo aver rallentato piano piano fino a quel momento, un tonfo secco aveva definitivamente arrestato la loro camminata, più precisamente quello della borsa dell’individuo dai capelli verdi che incontrava le fredde pietre del marciapiede, una cosa sinceramente molto inaspettata che aveva fatto paralizzare il tedesco, nemmeno il tempo di domandarsi cosa stesse succedendo e in breve era caduto anche chi prima stava reggendo la borsa. Ringraziando il cielo era riuscito ad aggrapparsi al cappotto di Günter prima di cadere come una tessera da domino, strappandolo e rallendando la sua caduta, cosa che aveva dato al tedesco tempo di afferrare il polso della mano che lo stava stringendo, strattonarla verso di lui e raggiungere la sua schiena con l’altro braccio accompagnandolo gentilmente a terra.
    “Scheiße…!!” - Era tutto accaduto in un attimo, quella era l’unica cosa che con un certo tono sorpreso il biondo era riuscito a dire durante la caduta conclusa in una posa che faceva sembrare la situazione la tipica scena drammatica di un film d’azione, il solito momento in cui il protagonista tiene il suo partner di mille avventure tra le braccia mentre esala i suoi ultimi respiri e dove trapelano i classici consigli da sacrificio eroico misti a frasi come quella che aveva appena detto il biondo:
    “No… no no no, h-hey amico, non puoi morirmi proprio ora!”- una frase piuttosto fatalista, certo, sicuramente quello che una persona prossima allo svenimento non vuole sentirsi dire, ma ovviamente vedendo la sua unica opportunità di salvezza accasciarsi tra le tue braccia con quella che decisamente non è l’aria di qualcuno che sta bene non è un evenienza che può instaurare pensieri positivi, soprattutto capitando in un modo così inaspettato.
    Mesi, mesi, MESI, ci aveva messo a trovarlo, era certamente possibile contattare managers e sottoposti ma il tedesco voleva parlare con LUI, l’artista, il Big Deal, chi poteva davvero capirlo e ora ce l’aveva li, davanti agli occhi… Peccato che si trovava in una posizione nettamente diversa dalle aspettative, come dire, più... orizzontale? Si lo preferiva decisamente in piedi e possibilmente in grado di conversare, ma a occhio era chiedere troppo. Con quante? Con quante probabilità poteva capitare proprio una cosa del genere? La mente del tedesco era un tantino disorganizzata, lo guardava in faccia scostandogli ciocche di capelli dalla faccia e passandogli la mano sulla fronte per riscontrare qualche segno di coscienza, i fan che prima volevano tanto fotografarsi con lui nel momento del bisogno non erano più presenti, come potevano non aver notato lo stato chiaramente trasandato di Castiel? E se lo avevano notato perché non avevano offerto il loro aiuto? Ora la priorità del biondo non era più ottenere un contratto di lavoro ma salvare quell’individuo, gli era già capitato di salvare qualcuno da un criminale o dal traffico, ma mai nessuno gli era ceduto davanti in quel modo.
    Dopo un bel respiro, si era preparato ad agire con pura e semplice razionalità: Avrebbe provato a mettere la borsa dell’individuo sopra alla sua pancia per poi portarlo in braccio fino alla panchina dov’era precedentemente seduto, facendolo stendere e ovviamente posando altrove la sacca qualora l’avesse raggiunta, avrebbe in oltre provato a sbottonare il cappotto dell’individuo per facilitare la sua respirazione, probabilmente un po’ di ossigeno in più non avrebbe fatto male.
    Indipendentemente da quale sarebbe stato l’esito di queste azioni avrebbe sicuramente posto le seguenti domande:
    “Ti sei fatto male? Hai bisogno di un ambulanza o un taxi? Se hai una macchina posso accompagnarti a casa o all’ospedale, va bene?” - infatti, anche non avendo una macchina con lui in Giappone, Günter aveva la patente, era quindi in grado e disposto a portarlo a casa qualora gli avesse riferito il suo indirizzo. Incredibile quanto in fretta era passato da dare del lei a dare del tu a Castiel, purtroppo non si poteva permettere troppe formalità in quel momento, anzi, formulare frasi semplici e in seconda persona incrementava significativamente le possibilità che l’artista potesse capire le sue parole anche in quello stato prossimo al moribondo…
    ...e se non avesse risposto? O, peggio ancora, se avesse perso del tutto i sensi?

    Beh, questa è un ottima domanda.

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    Certa gente avrebbe fatto follie per passare uno dei giorni prima della Vigilia di Natale stretta fra le braccia di un affascinante principe azzurro dai capelli biondi e il fisico invidiabile; un sogno che persino la Disney ormai non realizzava più perché era tempo di abbattere gli stereotipi. Neanche a lui sarebbe dispiaciuto se doveva essere sincero, peccato che avrebbe preferito farlo da sveglio, almeno magari se lo sarebbe ricordato.
    Invece no, era sdraiato su una panchina a fissare il cielo terso solcato dagli aeroplani - che nel bel mezzo di Tokyo erano le uniche stelle che potevi sperare di scorgere -, in stato semi-comatoso, a chiedersi come esattamente ci fosse arrivato e troppo poco lucido per collegare i puntini che gli avrebbero permesso di constatare l'ovvio.
    Trascorrere il Natale in quelle condizioni pietose in realtà era abbastanza comune per lui, solo che di solito era a casa propria, per metà sedato dai farmaci, avvolto in delle pesantissime morbide coperte e con almeno una tazza di cioccolata calda o thè bollente fra le mani. Calcolava quelle cose abbastanza al millimetro, quindi gli capitava raramente di sentirsi male quando era in giro.
    «Devo... Devo andare a casa.» Ciò che gli fece realizzare che era ancora vivo, vegeto e non in un piano astrale diverso dalla terra fu di nuovo una voce simile a quella che prima aveva attribuito alla sua coscienza. No, un momento, forse era la stessa? Ad ogni modo, a Castiel sfuggì niente più che un mormorio flebile e improvviso, mentre ancora realizzava di non avere idea di cosa fosse successo. Forse era svenuto. Le decorazioni natalizie erano sempre al loro posto in giro per gli alberi e i palazzi di sfondo, ma non era più nel viale principale di prima. Credeva di aver battuto la testa, perché gli faceva male tutta la nuca e gli sembrava che qualcuno la stesse usando come un tamburo il cui suono avrebbe fatto invidia a Jumanji. Però qualcuno gli stava parlando. Aveva sentito "casa" e "ospedale", e aveva risposto la cosa più ovvia. L'ospedale non gli serviva. Non gli sarebbe servito, perché non avrebbero fatto altro che dargli degli inibitori per quirk e sarebbe stato solo peggio.
    Ciò che, invece, gli ombreggiò appena il volto - già infinitamente provato - con un velo di panico fu il realizzare di non avere più la propria borsa con sé. Istintivamente si stropicciò lo sguardo appannato passandosi una mano sul viso, e tentò di mettersi a sedere, compito che fallì abbastanza egregiamente non appena una lama d'aria fredda gli trapassò in due il petto costringendolo a rivedere le sue priorità.
    Almeno fu sufficiente a svegliarlo quanto bastava da fare mente locale. Ancora sdraiato, come su un lettino in una clinica (non gli piaceva quella sensazione, vedere il mondo in orizzontale gli ricordava troppo la notte di Cutter), Castiel girò la testa di lato, la frangetta verde scompigliata ad arte, inquadrando dapprima la sua borsa al limitare della panchina, ed incrociando poi lo sguardo allarmato del... «Ah... tu sei il ragazzo di prima..?»
    Era stato lui a portarlo lì?
    Quindi era davvero svenuto.
    Ugh, che figuraccia.
    Chissà cosa pensava di lui adesso.
    Che poi, chi era? Prima era così frastornato che non l'aveva mica capito.
    Tutti quei pensieri vennero automaticamente aboliti non appena il suo cervello processò che sarebbe potuto essere la sua ancora di salvezza.
    «Puoi... davvero accompagnarmi? — mormorò, speranzoso. Al diavolo qualsiasi forma di decoro, voleva solo andare a casa e mettersi a dormire. - Un taxi, va bene un taxi. Ho la macchina, ma... è abbastanza lontana da qui.»
    Gli bastava davvero che chiamasse un taxi.
    Quanto alla macchina, sarebbe tornato a prenderla quando sarebbe stato meglio.
    Casa sua si trovava nel centro di Shibuya, quindi anche in auto ci sarebbe stata un po' di strada da fare, tuttavia non aveva la pretesa di chiedergli se lo avesse potuto accompagnare fin là. Era ancora confuso, e con ogni probabilità gli stava salendo la febbre, aveva freddo e si sentiva scottare, ma gli bastava raggiungere il veicolo che lo avrebbe scortato fino alla porta di casa, dopo avrebbe chiamato sua sorella o suo cugino e ci avrebbero pensato loro ad aiutarlo.
    Il suo secondo tentativo di alzarsi riuscì vagamente meglio del primo e Castiel si fregiò nell'impresa di esser almeno riuscito a sollevarsi su un braccio.
    «Posso sapere il tuo nome...?» domandò, a quel punto. In realtà voleva ringraziare lo sconosciuto per essersi fermato ad aiutarlo e non averlo lasciato in mezzo alla strada. Non era una cosa che avrebbero fatto tutti, ma solo un semplice "grazie" non gli sembrava sufficiente, e gli era parso d'intendere che volesse qualcosa da lui, come tutti gli altri fan. Sapere il suo nome era già un buon punto di partenza. Poi gli tese la mano libera, quella che non lo stava sostenendo. «Se posso fare qualcosa per ricambiare, ne parliamo per strada? — chiese, e smorzò un sorriso. A meno che non fossero autografi o foto, per quelli non era un granché in forze. — Mi daresti una mano ad alzarmi...?»
    Al momento non voleva spendere altre parole sullo star bene o meno (perché non stava affatto bene), ma a seconda delle risposte che avrebbe ricevuto gli sarebbe potuto essere riconoscente per i prossimi due o dieci anni a venire. L'idea che potesse essere un malintenzionato pronto a derubarlo non gli era neanche passata per l'anticamera del cervello, Castiel era quel tipo di persona che spesso faceva le cose e se ne pentiva solo dopo che erano andate male. E poi era così stanco che una volta raggiunto il taxi - se lo avesse raggiunto - non avrebbe esitato a dare l'indirizzo del viale di casa propria al conducente. Nonostante tutto, prima si sarebbe certamente assicurato di avere un modo per poter contattare il biondo in futuro, non voleva approfittarsi della sua eccessiva gentilezza e gli sembrava di aver già fatto abbastanza per essere relegato nella categoria del parassita vivente.
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    Castiel rispondeva alla domanda del tedesco evocando delle vocali tra i suoi rantoli e annunciando come destinazione casa sua, sicuramente aveva un buon motivo per voler tornare nel suo nido piuttosto che andare all’ospedale quindi il tedesco avrebbe agito seguendo la sua indicazione, aveva quindi risposto a queste parole annuendo istintivamente e ignorando il fatto che il suo interlocutore, se così si poteva definire visto il suo attuale stato semicoscienza, sicuramente non l’avrebbe visto compiere quel gesto.
    Lentamente sembrava che il malcapitato stesse rinsavendo, si passava i palmi delle mani sul volto e provava a tirarsi su sotto lo sguardo del biondo che, avendo assistito alla sua precedente caduta, non se la sentiva di lasciare che si alzasse così presto
    “Hey hey, piano, piano...” - gesticolava calmamente con le braccia per accompagnare le sue parole intimando quell’uomo di non sforzarsi troppo, se si era appena risparmiato una craniata sui sampietrini darne una al ferro battuto della panchina non era un enorme miglioramento. L’ultima cosa che desiderava era allarmare l’individuo di fronte a lui, quindi provava a mantenere il tono più calmo che poteva, è difficile però tenere una voce rassicurante con l’espressività del tedesco, era ben possibile che senza farci caso potesse risultare tremolante o ansiosa. Alla prima domanda dell’uomo dai capelli verdi avrebbe risposto con un volto almeno un po’ più sorridente di quello che gli veniva spontaneo tenere
    “Si, tranquillo, sono io!” - Quindi non aveva perso la memoria o in generale non dava segni di danni celebrali, da una parte il biondo era rassicurato dalla cosa, dall’altra rifletteva sul fatto che non ne sapeva davvero nulla di medicina e che quindi niente di quello che vedeva poteva escludere l’ipotesi che quello che aveva colpito l’idol fosse qualcosa di grave, era perfettamente giustificabile tenere una vena di pessimismo con un carattere da “mamma chioccia” come quello di Günter. Per sdrammatizzare la situazione avrebbe quindi proseguito con un tono più scherzoso
    “Insomma, mi sei crollato davanti come una torre del Jenga, non mi sembrava carino andarmene e lasciarti spalmato a terra” - Ora i ruoli si erano scambiati, prima il tedesco era quello che vedeva quell’individuo come sua unica ancora di salvezza, adesso era Castiel a parlargli con un barlume di speranza negli occhi chiedendogli se effettivamente fosse disposto a portarlo a casa sua, volenti o nolenti in quel momento della loro vita erano entrambi indispensabili l’uno all’altro per ragioni di sopravvivenza, anche se per il biondo era più qualcosa di economico al contrario di ciò che sembrava affliggere l’idol in quegli istanti.
    “Certo che posso, ora chiamo il taxi… e i coinquilini, non vorrei che si preoccupassero se dovessi fare tardi” - Controllava lo stato dell’uomo che ora, anche se non si dimostrava particolarmente prestante a livello fisico, sembrava aver riacquisito un po’ di consapevolezza dei suoi dintorni, ogni volta che accennava a darsi una piccola spinta sulla panchina una buona dose d’ansia pervadeva il cuore del tedesco che però non voleva restringere i suoi movimenti. Ora riusciva a reggersi di lato sulla panchina, altra indicazione che a piccoli passi si stava riprendendo
    “Il mio nome è Günter, ma puoi pure chiamarmi Affe se è troppo difficile” - di tanto in tanto si guardava in torno, scrutando soprattutto i cespugli che costeggiavano quella strada del parco, il motivo era molto semplice:
    “Tu devi essere Castiel invece, giusto? Ho controllato e pare che mentre eri svenuto o quando ti ho preso in braccio non ci fosse nessuno a fare foto o video” - “Devi essere Castiel” dice lui, come se non ne fosse assolutamente certo, come se qualche secondo prima non lo stesse fissando come cane affamato fissa una bistecca. Ora l’uomo gli chiedeva come potesse ricambiare in qualche modo il soccorso prestatogli, quale occasione migliore per chiedergli quello che doveva chiedergli da mesi no? Eppure il biondo aveva accantonato pensieri sul lavoro e la casa discografica come secondari in quel momento, mettendo con un segno di rassicurazione una mano sul braccio che lo reggeva sulla panchina aveva detto
    “Che ne dici se prima pensi a come sopravvivere e poi a come ricambiare? A meno che tu non mi dica che questa cosa ti capita spesso, allora potrei stare più tranquillo anch’io” - Castiel gli chiedeva ora una mano ad alzarsi, glie l’avrebbe senz’altro data ma non lo avrebbe fatto subito alzare in piedi, piuttosto lo avrebbe lasciato seduto sulla panchina per chiamare chi di dovere: avrebbe fatto arrivare un taxi appena fuori dall’ingresso del parco a cui erano più vicini, bastava proseguire sempre dritti nella strada che stava già percorrendo l’uomo dai capelli verdi prima di collassare, quella magnifica strada che, dato quello che stava vivendo quella sera, di lustro in lustro avrebbe continuato a ricordare a Günter quanto il disegno del destino possa davvero essere bizzarro.
    “Non dovrebbe metterci più di cinque o dieci minuti” - diceva sforzandosi di chiudere la chiamata con le sue mani congelate, ormai il touchscreen rispondeva a quest’ultime come se fossero dei bastoncini di pesce surgelati, riponendo poi il cellulare in tasca proseguiva chiedendo
    “Riesci a camminare da solo? Se non ce la fai posso reggerti” - tendeva la sua mano a Castiel sorridendo, quasi sperando però che la risposta fosse affermativa, avrebbe fatto volentieri da stampella a quell’uomo ma già il piccolo tragitto che aveva fatto dal centro del marciapiede alla panchina era risultato leggermente tosto portando una persona munita di borsone con chissà cosa dentro e una chitarra elettrica insieme, un tragitto corto come quello era più che fattibile, ma arrivare fino a fine via? Beh quello si sarebbe dimostrato decisamente più impegnativo, se quello fosse il caso magari poteva chiedere al suo interlocutore di portare almeno la borsa: Era in momenti come questi che l’aria si tingeva di una fragranza particolare, il tedesco sentiva la puzza di un’altra caduta rovinosa, ma con un po’ di cognizione di causa sarebbe stato un avvenimento tranquillamente evitabile… forse.

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    Era una strana simitudine da fare, quella delle torri di Jenga, però Castiel non poteva dargli torto. Si era proprio sentito come se qualcuno avesse tolto il mattoncino sbagliato dal posto sbagliato ed a lui non fosse rimasta altra scelta che crollare a terra come un sacco di patate. A sentirlo smorzò un sorriso vagamente divertito. «Ti ringrazio.» mormorò, e poi lasciò che il suo soccorritore chiamasse il taxi. Si sentì un po' un idiota per non averlo fatto prima di sua sponte, ma la testardaggine nel voler provare a raggiungere la propria macchina doveva averlo distratto da qualsiasi altro pensiero razionale.
    Lo sconosciuto disse di chiamarsi Günter. Una una pronuncia molto occidentale, e sebbene alle sue orecchie non suonasse poi così difficile, il nomignolo che pronunciò dopo ebbe l'effetto di catturarsi tutta la sua - scarsa - attenzione.
    «Affe?» Un borbottio confuso accompagnò un febbricitante battito di ciglia dell'ex-idol.
    Suonava... molto buffo.
    Che lingua era? Voleva dire qualcosa? Si trattava mica di uno slang giapponese di cui non era a conoscenza? La vedeva improbabile, perché quando lavori circondato da ragazzini che altro non fanno altro che parlare per mezzo di slang, finisci per arrivare a conoscerne un discreto numero. In più era quasi certo che in Giapponese non significasse nulla, in inglese meno che mai.
    Tuttavia, per qualche motivo, il fatto che quel ragazzo si fosse preso la briga di dargli pure un soprannome con cui chiamarlo, nel caso avesse trovato quello vero troppo complesso, lo intenerì abbastanza e - nel rispondergli - il suo tono si addolcì di un'ottava. «Va bene, vada per Affe.»
    Avrebbe lasciato le domande per dopo.
    La frecciatina sul pensare a sopravvivere lo punse appena nell'orgoglio e lo colse leggermente impreparato. Tuttavia non protestò, conscio che sarebbe stato un tantino presuntuoso, soprattutto dopo essergli praticamente svenuto davanti.
    «Mmh, "abbastanza spesso" può andare come risposta? – asserì, portandosi una mano alla fronte. Non credeva proprio di aver abbastanza forze per spiegarsi, ma se serviva a rassicurarlo sul fatto che in realtà ci fosse più abituato del previsto non aveva senso nasconderlo. – Ma grazie per aver controllato.» biascicò, così accettando il suo aiuto per risollevarsi e cercando, una volta seduto, di tirarsi sul capo il cappuccio del giubbotto. Ovviamente si riferiva al fatto che nessuno avesse fatto loro delle foto. Quella dettaglio della sua vita era stato per lo più sempre tenuto privato (non aveva mai voluto far preoccupare i fan, e l'agenzia... non ne parliamo), far circolare su internet una fotografia in cui era abbarbicato in braccio ad un uomo era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.
    Poi arrivò la fatidica domanda.
    "Riesci a camminare da solo?"
    No.
    Ovvio che no.

    Nemmeno nella prossima vita.
    Al momento sarebbe stato più utile un involtino, dato che almeno avrebbe riempito lo stomaco a qualcuno. Castiel era solo un fagotto con gli occhi lucidi ed un disperato bisogno di mettere le mani sui suoi farmaci.
    «Sì.» Pausa ad effetto, perché suonava credibile quanto un gatto di fianco al tuo acquario da cui sono spariti tutti i pesci.
    «Forse. Credo. – sorriso innocente sinonimo di "perfavoreaiutami perché non voglio chiedertelo esplicitamente". – Diciamo che una mano non mi dispiacerebbe.»
    C'era un limite a quanto voleva rendersi ridicolo e non si sarebbe fatto portare in braccio come una principessa. Nossignore. Sebbene in tutto questo fosse completamente ignaro che Günter avesse usato quel metodo per trascinarlo sulla panchina: era ancora troppo frastornato per fare due più due, oltre al non essere mai stato una cima in matematica.
    Però una stampella non gli sarebbe dispiaciuta.
    Probabilmente il problema principale rimaneva la borsa, ma se il tedesco avesse accettato di dargli una mano ad alzarsi ed a indirizzarlo verso il taxi in arrivo, Castiel avrebbe volentieri accolto l'offerta, aggrappandosi al suo nuovo sostegno come lui gli avrebbe concesso e... cercando di non trascinarlo a fondo in un potenziale abisso di figure di dubbio gusto. Si sentiva un po' come un vecchietto con il suo badante, il che avrebbe avuto anche senso se solo non avesse in realtà avuto appena ventisei anni.
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    Da quando aveva sentito il ringraziamento di Castiel in poi la situazione aveva cominciato finalmente a calmarsi nella sua testa, come volevasi dimostrare si era ripreso, cominciava a biascicare sempre meno anche se alcune delle sillabe che componevano le sue parole erano più simili a dei rumori che altro. Rispondeva non verbalmente all’espressione di gratitudine dell’uomo dai capelli verdi giungendo le punte di pollice e indice in un universale segno di “Ok”, guardando sempre di tanto in tanto il suo stato fisico per essere sicuro di non essersi perso nulla, anche questo gesto rientrava tra le cose che il tedesco faceva sempre meno con il decrescere della sua preoccupazione.
    La prima reazione un po’ più attiva che aveva ottenuto da quell’individuo era scaturita dal sentire il soprannome del biondo, in effetti sapeva che come nomignolo poteva suonare davvero strano, per assurdo probabilmente a un suo compaesano poteva suonare ancora più strano sapendone il significato, ma ormai lo chiamavano in quel modo da così tanto tempo che per lui e la sua compagnia era diventato normale, quasi orecchiabile.
    “Si, un vecchio soprannome tedesco...” - diceva ridacchiando, la pronuncia che dava a quel nome, per quanto masticata, era comunque migliore di altre pronunce dello stesso che aveva sentito, da quando si trovava in Giappone era forse una delle poche volte in cui sentiva qualcuno concludere una parola con una vocale che non fosse la U. Poi, con una voce più soave e dolce, Castiel aveva annunciato la sua preferenza proprio per quel nomignolo, quel cambio di tono improvviso lo aveva preso alla sprovvista, semplicemente adorabile, probabilmente si trattava di un altro modo per esprimere la sua gratitudine, in confronto alla voce che aveva usato fino adesso questa era decisamente più riconducibile all’idol che si era immaginato. Rispondeva con un sorriso molto compiaciuto, l’espressione che avrebbe un bambino dopo avergli annunciato di una gita al suo parco divertimenti preferito, questo seguito da un leggero cenno del capo in segno di approvazione, era difficile non dimostrarsi incantato dalla cosa, ma i discorsi continuavano spostando l’attenzione su argomenti più importanti, nonché la salute dell’individuo che poco fa gli era crollato davanti.
    Una risposta inaspettata, certo, insomma, “abbastanza spesso”? Può voler dire tutto come nulla, nella mente del tedesco era circa una volta al mese, però aveva difficoltà a immaginarsi un idol di quel calibro avere questo tipo di problemi così tanto frequentemente considerato il rischio molto presente che succeda durante un tour o un concerto, senza contare il pensare a una persona che sviene così frequentemente in generale nella sua testa non era concepito anche se aveva già sentito parlare del nega-quirk di un certo dottore famoso che sveniva una volta ogni mezz’ora. In più com’era possibile che se gli capitava “abbastanza spesso” non avesse un qualche tipo di accompagnatore o scorta per prevenire avvenimenti come questi? Probabilmente svenire in braccio alle persone era solo un modo efficiente per fare conoscenze nuove.
    “Beh, ecco, non mi capita tutti i giorni di trovarmi in situazioni simili, volevo essere sicuro” - diceva con un tono scherzoso rispondendo ai ringraziamenti di Castiel, probabilmente non era stato un comportamento particolarmente elegante farsi gli affari suoi in quel modo ma era una domanda a dir poco legittima in quel contesto, non sembrava aver risposto in modo seccato quindi supponibilmente non gli aveva dato troppo fastidio, non avendo quindi di che scusarsi avrebbe semplicemente chiuso questo capitolo della discussione per parlare di ciò che in quella serata era un altro enorme tasto dolente: il trasporto.
    Non il taxi per portare a casa Castiel, ormai quello era un problema risolto, il problema era il trasporto dalla panchina al tassista, l’uomo dai capelli verdi infatti inizialmente aveva detto di essere pronto a camminare di nuovo, ma lo aveva detto in un modo abbastanza poco credibile da far assumere al biondo un espressione abbastanza dubitante con la fronte aggrottata e le sopracciglia alzate. Che fosse o meno per la faccia che aveva fatto l’individuo aveva presto ritrattato ammettendo il bisogno di una mano, non poteva certo biasimarlo, probabilmente si sentiva un po’ di peso in quella situazione, altra ragione per cui il tedesco avrebbe fatto di tutto per non cadere ancora, non voleva certo che si sentisse ulteriormente in colpa, pareva non essersi ancora accorto dello strappo che aveva causato al giubbotto e la speranza era quella che non se ne accorgesse proprio.
    Mentre questo dialogo prendeva luogo il tedesco cominciava già a a fare i suoi calcoli per capire come portare cosa, guardava i vari “bagagli” e l’idol con il mento nella mano con una posa abbastanza riflessiva, ogni tanto muoveva un suo arto verso qualcuno di questi ma arrestava il movimento ritornando alle sue valutazioni, in breve era giunto a una conclusione: la chitarra aveva una lunga tracolla, ma diminuendo al massimo la sua estensione sarebbe stata abbastanza stretta da poter essere usata più come una bretella per portare lo strumento in verticale sulla sua schiena, avrebbe poi preso la borsa di Castiel con la sinistra e avrebbe fatto accollare Castiel stesso alla destra. Messi in atto i primi due passi di questa conformazione si sarebbe poi avvicinato all’uomo dai capelli verdi dicendo
    “Ecco, ora aggrappati al mio collo, io ti metto la mano attorno al torace e ti tengo su mentre camminiamo…” - Guardandolo poi negli occhi gli avrebbe raccomandato
    “… se per qualche ragione dobbiamo fermarci dimmelo eh” - Certo, lo diceva perché non voleva che l’idol si facesse male, ma sotto sotto stava anche pregando per un pitz stop a metà strada, ce l’avrebbe fatta anche senza ma fermarsi per qualche secondo di respiro non avrebbe fatto schifo, si sarebbe quindi trascinato fino al punto d’incontro col tassista ascoltando le sue eventuali richieste, plausibilmente dando un occhiata al biondo sarebbe stato facile notare come tratteneva il fiato o come vene su collo e fronte gli stavano scoppiando dallo sforzo, non sapeva se durante il tragitto sarebbe riuscito a parlare. Tanti possono sottovalutare il peso che una chitarra assume insieme alla sua custodia tipicamente piena di altri componenti elettronici ma, nel caso di Günter, il tutto ammontava a circa undici chili, la sacca nella mano sinistra invece? Non aveva idea di quanto potesse pesare, era quasi tentato di chiedere o di sbirciare al suo interno per una stima, cose che il buon senso, di grazia, gli impediva di fare.


    Il taxi era arrivato fermandosi davanti ai due, al tedesco la scena non faceva ne caldo ne freddo ma riusciva solo a immaginare come quell’uomo vedesse quel veicolo, una manna dal cielo probabilmente, una carrozza che l’avrebbe portato a casa, chi quella sera gli stava facendo vivere tale avventura aveva un aria esausta e la cosa non sembrava poi così strana. Aperta la porta dell’auto il tedesco avrebbe dato la precedenza a far entrare i bagagli e l'uomo dai capelli verdi provando a farli stare nella macchina senza farli cadere nel processo: dal posto del guidatore delle parole agghiaccianti
    “Non ci credo… Ma lei è Castiel Leroy?” -
    Erano recitate con un tono abbastanza altro e sostenuto, quel tassista aveva riconosciuto l’idol anche se portava il cappuccio esponendoli plausibilmente al pericolo di incorrere in una folla come quella di prima, quella frase aveva fatto saltare un nervo a Günter la cui espressione, da calma e gioviale, diventava glaciale, quasi truce, uno sguardo rivolto direttamente al guidatore che si trovava girato verso la coppia
    “Non è il momento, davvero.” - la sua voce era relativamente calma, ma si poteva percepire una non indifferente seccatura, magari l’uomo dai capelli verdi avrebbe provato comunque a soddisfare il fan, ma il tedesco reputava giusto far notare che la situazione non era esattamente delle migliori, sperava solo che anche l’idol la prendesse bene.

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    Un vecchio soprannome tedesco. Oh, quindi il ragazzo doveva essere tedesco. Il che, in effetti, non faceva una piega. Biondo, alto, occhi azzurri, erano in un mondo pieno di unicità, ma talvolta i tratti tipici di alcune zone del mondo li riuscivi comunque ancora a riconoscere. Castiel si chiese cosa volesse dire e da dove arrivasse: non pareva affatto un'abbreviazione di Günter. Pensando che fosse una domanda troppo scomoda da fare ad uno sconosciuto in un momento delicato come quello, tuttavia, se ne stette zitto e assimilò solo l'informazione. Lo sguardo che gli rivolse dopo quella rivelazione fu forse un po’ invasivo, ma la curiosità di individuare tratti germanici nella sua figura era troppa per resistere, e non riuscì a fare a meno di scrutarlo - con quel suo tipico fare impiccione e ficcanaso - aggrottando appena le sopracciglia. Ora erano solo intorpiditi, e così facendo l'ex-idol non sembrava niente più che un bambino imbronciato, ma i suoi occhietti violacei di norma sarebbero stati ben più vispi; tutti lo imparavano a loro spese dopo qualche tempo.
    E beh, c'era da dire che non gli capitava tutti i giorni di svenire per strada e di essere raccolto da un aitante tedesco dai capelli biondi (magari), ma si tenne per sé anche quel commento perché sembrava l'inizio di una fanfiction e nessuno dei due era proprio in vena di scherzare. Tediarlo con inutili spiegazioni sul suo quirk non sarebbe servito a nulla, se non a farlo allarmare ulteriormente, quindi magari glielo avrebbe spiegato quando si sarebbe ripreso e gli avrebbe offerto una cena al Kura Sushi per sdebitarsi.
    «Ehe, diciamo che di solito non succede così aggiunse, soffocando un flebile risolino. Dal cielo, mentre si risollevava a tentoni dalla panchina, un fiocco di neve gli si depositò sul naso e Castiel, sorpreso, vi passò sopra il dorso di una mano per toglierlo: forse quell'anno avrebbero visto un Natale imbiancato?
    Si sentì un po' in colpa nell'osservare quel ragazzo gentile farsi carico di tutti quei bagagli, in cui lui assumeva il ruolo solo di un altro peso di cui non aveva minimamente bisogno. La chitarra, la sua borsa e un essere umano di quasi settanta chili. Non lo invidiava per nulla. Però per gli stereotipi tedeschi che aveva in mente, il chitarrista - così era stato soprannominato nella sua testa - era un ragazzo piuttosto espressivo e per nulla freddo. Probabilmente sarebbe stato capace di rimanere a guardarlo per ore mentre l'altro non faceva alcunché degno di nota, ma non era sicuro che non fossero i suoi giramenti di testa a fargli immaginare tutto, un po' come quando si beve troppo alcool e si vede la realtà filtrata da allegria e mille bollicine.
    Ad ogni modo, aveva la stessa energia di un bradipo, per cui non ebbe nessun problema ad adattarsi al ritmo dettato da Günter. Forse si lasciò viziare un pochino, ma il suo provvisorio compagno era... alto, e lui non arrivava molto bene a cingergli il collo, quindi dovette per lo più accontentarsi del sostegno offerto dalla presa altrui, appigliandosi per lo più al suo braccio. Dopotutto era in grado di camminare, gli serviva solo un sostegno per evitare di capitombolare in terra come poco prima, indi per cui si sistemò il cappuccio - che meno gente lo vedeva meglio era - e si mise in marcia al suo fianco.
    Un passo dopo l'altro, quell'odissea gli parve durare un tempo infinito, con l'inverno che gli gelava le mani nemmeno stesse camminando sul Cocito e il chiacchiericcio confusionario delle persone fra le quali gli toccò fare slalom a rimbombare nella testa come un flipper.
    Fu solo quando infine gli parve di scorgere la sua Arca di Noè, la sagoma dell'auto che lo avrebbe portato a casa sano e salvo, che si sentì riavere.
    Il taxi!
    Il ragazzo gli aprì persino la portiera, e lui si sentì un pelo un infame. Alle fine si era praticamente solo approfittato di lui, e gli dispiaceva un po'. Non poteva mica andarsene così.
    «Grazie per l'aiuto, penso di farcela ora, senti...» mormorò, con le intenzioni di chiedere un numero di telefono, un cellulare, insomma, un contatto. Le ultime parole famose.
    Non appena il tassista intravide la strana coppia, successe una cosa che gli fece gelare il sangue nelle vene. L'autista lo riconobbe, e Castiel - che credeva di aver finito con quell'incubo per quella sera - involontariamente si strinse appena nelle spalle, ancora appiccicato al biondo.
    Günter scattò immediatamente in sua difesa; non era una grande idea, di solito in situazioni del genere la cosa migliore era fingere di non sapere di cosa si parlasse, ma Castiel non poteva biasimarlo: probabilmente non lo sapeva e dal tono di voce sembrava irrimediabilmente seccato.
    Fu quello il momento in cui l'americano si ricordò dello strabiliante potere che deteneva in quanto Castiel Leroy.
    In un certo senso, si poteva dire, era stato in condizioni ben peggiori. Proprio quello stesso anno, il ventuno marzo, per l'equinozio di primavera, aveva partecipato al concerto di beneficenza sponsorizzato da Live Inc., ed era salito su un palco così imbottito di antidolorifici da aver praticamente perso la sensibilità alle mani. Performance impeccabile, era stato solo con la febbre a trentanove per i tre giorni seguenti. Günter aveva già fatto abbastanza portandolo fino a lì, insomma, era solo una persona, niente che non potesse gestire. Era il momento di rientrare in modalità idol j-pop.
    Picchiettò appena sulla spalla del chitarrista, per fargli segno di lasciarlo andare, e salutò il tassista, imitando il segno dalla vittoria con la mano destra.
    «Proprio io~ – trillò, mellifluo, un tono di voce talmente vivace che al novantanove per cento avrebbe sorpreso Günter lasciandolo di sasso. Cosa, aveva per caso finto di stare male tutto il tempo? No, nient'affatto, ma... c'era già una persona a preoccuparsi ed era anche troppo. – Che ne dice, può portarci a Shibuya? ★»
    A quelle parole, il tassista, un uomo sulla quarantina dai brizzolati capelli neri, li guardò imbambolato per qualche attimo e poi annuì energicamente, borbottando qualcosa che suonò non troppo diverso dal "oddio devo dirlo a mia figlia" e Castiel capì che sarebbe stato contento così. Vittoria. Si fece sfuggire un sospiro, e lanciò un'occhiata complice e stanca a Günter, prima di prendersi la libertà di adagiarsi finalmente sui sedili posteriori dell'auto.
    Poggiare la schiena contro il sedile gli provocò una fitta di dolore non da poco, ma la calura dell'abitacolo fu una manna dal cielo.
    Nonostante tutto, improvvisamente si sentì ben poco coraggioso. Per qualche motivo non voleva rimanere da solo con il tassista. Odiava stare solo, in quelle condizioni. Quindi fece una cosa ben poco altruista: si sporse a guardare Gunter ancora fermo sul marciapiede, ed allungò un braccio, come per farsi passare la borsa che il biondo gli aveva cortesemente portato fin lì. Solo che al posto di prendere la sacca, la sua mano si ancorò ad un lembo della sua manica e la tirò leggermente.
    «Andiamo, che aspetti?» disse, come se fossero amici e dovessero andare da qualche parte insieme. Cosa che non dovevano assolutamente fare, ma Castiel voleva che venisse con lui. Una volta arrivato a casa sua avrebbe detto al tassista di portare il suo accompagnatore ovunque avesse bisogno e avrebbe pagato la corsa per entrambi senza alcun problema. Però al momento aveva bisogno di una distrazione per rimanere sveglio.
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    Dava di tanto in tanto qualche occhiata a Castiel notando uno strano sguardo di risposta alla nazionalità che aveva appena rivelato, in effetti trovava molti inglesi in Giappone, gli era capitato di incontrare forse UN russo, ma ancora nessun tedesco, probabilmente erano davvero rari almeno a Tokyo, alla fine come cosa non lo stupiva molto, quanti dei suoi compaesani potevano effettivamente aver incontrato un’opportunità come la sua? Il fatto che in quei tempi stesse affrontando un periodo abbastanza tosto non voleva dire che non si sentisse generalmente molto fortunato a trovarsi in Nipponia con i vari agganci che gli erano capitati
    “Dopo se ti va ti spiego” - diceva sorridendo, riferendosi a quello strano soprannome che gli aveva apenna rivelato, se lo scrutava con aria così tanto indagatoria probabilmente era curioso. E se più semplicemente non gli piacessero i tedeschi? Magari, come svariati altri giapponesi, era un po’ xenofobo, anche se, per quanto non lo sapesse con certezza, Günter ricordava che l’idol non appartenesse a questa nazionalità, almeno non del tutto, insomma, Castiel Leroy non era proprio il nome più giapponofono che avesse mai sentito.
    L’uomo dai capelli verdi diceva che di solito, quando veniva afflitto da ciò che lo aveva colpito anche quella sera, non accadeva “in quel modo”, quindi probabilmente alcune tra le supposizioni del tedesco erano corrette, poteva effettivamente avere qualcuno che lo soccorresse normalmente, semplicemente quella sera poteva essere un giorno sofrtunato in cui per qualche imprevisto si era trovato senza scorta, a tal punto il tedesco annuiva per sengalare che aveva compreso tornando quindi a provare ad assicurare un lieto fine a quella strana nottata. Il tragitto, come previsto, non era stato facile, l’idol non sembrava procedere con particolare fretta e si era molto ben allineato con il ritmo dello stesso tedesco, far si che si aggrappasse al collo non era stata una scelta poi così ponderata visto lo stacco in altezza compoletamente ignorato tra i vari calcoli, ma l’idol aveva fatto da se reggendosi meglio che poteva sul braccio del biondo, che strano ruolo quello della stampella vivente, non che fosse qualcosa di sconosciuto per Affe, nella sua compagnia era quello che insieme a Holger reggeva più alchool, quindi i due erano più o meno sempre quelli incaricati di trascinarsi dietro gli altri nel caso in cui stessero male, avvenimento via via più raro ma che, quando per le loro ragazzate ancora si procuravano bevande alcoliche di nascosto poco più di un paio d’anni prima della maggiore età, era decisamente più frequente.
    Insomma, la parte più difficile di quello spostamento, contro ogni sua aspettativa, era provare a non scarnificare quel tassista che definire impertinente era forse un eufemismo almeno dalla prospettiva del tedesco, Castiel era sul punto di dire qualcosa, si stavano per congedare quindi probabilmente, per ricambiare l’aiuto di quella sera, gli stava per dare il suo contatto Babel, o il suo numero, o un appuntamento, o il suo indirizzo, o un contratto di lavoro, un matrimonio… QUALUNQUE COSA, ma quel maledetto bastardo doveva proprio interromperlo per confermare la sua identità, in quel momento il biondo si sentiva quasi privato di qualcosa, un interazione vitale per lui, ecco ciò che c’era dietro alla risposta seccata, completamente fuori dagli schemi per qualcuno come Günter. Eppure, quell’idol era pieno di sorprese, in questo momento in particolare non poteva sembrare più meritevole di un tale titolo: la sua voce ora era più simile a un vivace cinguettio, il suo volto tanto brillava di boyfreind-material che le sue occhiaie sembravano non esserci mai state, gesticolava in un modo che inizialmente dal tedesco veniva recepito come spiacevolmente simile a quello della ragazzina in rosa, Rena, ma che in poco tempo sembrava decisamente più intonato su un individuo come lui, se la sua sorellina gli aveva descritto un certo Castiel, idol dai capelli verdi, non c’erano più dubbi sul fatto che fosse lui, forse per la prima volta il tedesco afferrava a pieno il concetto di “Fangirl”.
    Lo aveva dapprima mollato per lasciargli interpretare la parte al meglio, vedendolo agire in quel modo era quasi lui stesso più sgargiante per osmosi, ora si era seduto sui sedili di quel seducente taxi, il tedesco si era quasi rassegnato, l’uomo dai capelli verdi gli porgeva la mano, come per farsi dare la borsa, ormai se ne stava andando, significava forse che grazie a quel dannato tassista se ne sarebbe andato senza lasciare nessun contatto? Così? Lasciando quell’enorme vuoto? No certo che no, non aveva ancora smesso di stupire il tedesco, ormai egli era più che pronto a ingoiare il rospo e lasciar andare il poveretto esausto con la consapevolezza e la soddisfazione di essersi semplicemente comportato nel modo più giusto e umano possibile, però, come insegna Søren Kirkegaard nella sua analisi del biblico Sacrificio di Isacco, “Se accetti tutte le tue sfortune, Dio sarà pronto a premiarti”, si, nella sua testa riusciva ad attribuire un tale colpo di fortuna solo a un qualche tipo di intervento divino. L’individuo infatti non stava allungando verso la sua mano verso la borsa, ma verso la manica del tedesco disposto a ignorare il precedente strappo al giubbotto che la stessa presa aveva procurato pur di far accogliere quel lembo di vestiario dall’individuo nel taxi.
    Quasi non aveva realizzato cos’era appena successo quando il caso si era presentato, almeno prima che le sue frasi non comunicassero in modo così cristallino le sue intenzioni
    “Andiamo, che aspetti?” -
    Voleva che lo seguisse, aveva quindi ancora un frangente di strada non proprio corto da Ueno a Shibuya per condividere le vitali informazioni che voleva.
    “Che il sogno finisca, suppongo” - diceva scherzosamente, mimando per un secondo il gesto di un poeta che recita una sua poesia, prima di buttarsi anch’esso sui sedili dell’auto e proseguendo con
    “Scherzo” - condito da una risatina, guardava poi il tassista con un espressione decisamente più calma porgendo delle scuse, dicendo quindi
    “Mi scuso per la scontrosità, sono un po’ fuso dalla giornata” - seduto in quel posto, ancora una volta con la chitarra tra le gambe, apriva la custodia per una veloce occhiata, giusto per assicurarsi che fosse ancora tutta intatta, custodendola avidamente e fendendo un apertura così piccola che sembrava solo lui avesse il permesso di vederla. Un sospiro di sollievo accompagnava il suo spostamento mentre stendeva la schiena sui sedili, si girava poi verso Castiel e diceva
    “Heh, non c’è che dire, si vede che sei decisamente più abituato di me a relazionarti con i fan” - avrebbe poi ascoltato la sua risposta con calma, si aspettava magari una battutina, non molto di più, l’aveva solo detto per alleggerire un po’ il clima.
    “Quindi, che stavi dicendo prima?” - avrebbe chiesto prima di cominciare con LA domanda che doveva porre da tipo tutto l’incontro, per quanto gli piacesse sperare che l’idol volesse chiedere la stessa cosa a lui non poteva esserne certo, ma l’avrebbe comunque fatto parlare per primo, se effettivamente fosse stato quello il caso avrebbe potuto dare un impressione meno da “appiccicoso”, la sua attenzione sarebbe stata presto catturata però da un piccolo dettaglio che fino a quel momento non aveva notato:
    “… Amico…?” - diceva con un tono quasi incerto, stava iniziando ad avere le allucinazioni o quello che vedeva era vero? C’era un solo modo per saperlo, avrebbe allungato una mano verso la sciarpa dell’individuo e il collo del suo cappotto prendendo un po’ di… piume. Piccole, non più tre o quattro centimetri l’una, avevano un colorito quasi avorio, nella sua mano ne aveva raccolte tre ma castiel ne aveva almeno una ventina addosso, forse di più
    “… stai facendo la muta?” - diceva scherzosamente mettendogli davanti il palmo con le penne, non poteva venire dal taxi, non solo non c’erano piume quando erano entrati ma si trovavano quasi tutte sul fronte dell’individuo, non sulla sua schiena, il caso sarebbe dovuto essere proprio il secondo se si fosse trattato di qualche residuo del sedile. Probabilmente faceva sempre parte del suo quirk, il tedesco imputava alla sua ridotta visione di documentari la mancata conoscenza di un tipo di pennuto che ogni tanto sviene, ma alla fine poteva trattarsi di un quirk doppio, sta di fatto che fissando le piume nella sua mano provava a dare una spiegazione logica alla cosa.
    Se solo avesse notato che si trattava ancora della manica destra strappata del giubbotto si sarebbe risparmiato un bel po’ di ragionamenti inutili, l’imbottitura infatti era svolazzata un po’ ovunque mentre l’idol c’era rimasto aggrappato per tutto il tragitto, per di più, considerato come stava venendo trasportato, aveva effettivamente senso come potessero essere finite nelle prossimità del suo collo, lo strappo era praticamente premuto contro il suo petto. Quanto a Castiel? Avrebbe notato che si trattava d’imbottitura che veniva da li? Probabile, fino adesso sembrava non aver notato in primo luogo lo strappo stesso, ma ora che erano seduti, con un po’ di calma, avrebbe potuto vederlo, anche se il braccio destro di Günter si trovava ora dal lato della portiera, non quello dell’idol. Insomma, anche se non l’avesse visto cosa sarebbe potuto andare storto?

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    Era comprensibile che Günter fosse seccato; lo sarebbe stato anche Castiel al suo posto... se solo avesse avuto le energie per immedesimarsi nei panni altrui. Ma non era difficile immaginare la delusione o l'amarezza che poteva susseguirsi ad una frase carica di aspettative come quella che gli era stata rubata di bocca e mai più conclusa.
    L'ex-idol dai capelli verdi non aveva la più pallida idea di chi fosse Kierkegaard perché non aveva mai aperto un libro di filosofia in vita sua, ma era sempre stato bravo a sorprendere le persone, anche se nella maggior parte dei contesti non era un comportamento a cui si poteva associare una connotazione positiva, memoria di quando - una volta -, di ritorno dall'asilo, aveva portato un astuccio pieno di coccinelle vive a sua madre.
    Al momento però non c'era coccinella che tenesse, era in una dimensione diversa da quella terrestre, capiva veramente poco di quello che gli stava succedendo intorno e il suo unico pensiero era stato quello di procurare un intrattenimento di scorta per il tassista affinché non lo ricoprisse di domande. Piuttosto egoista, a dire il vero, però lo aveva fatto con la cognizione di causa che il biondo sembrasse ancora voler parlare con lui.
    Non capì tutto quello che gli disse il ragazzo, tranne qualcosa sullo... star sognando, ma fu immensamente contento di vederlo salire in auto al suo fianco, sistemando la chitarra e la borsa ai piedi dei seggiolini anteriori. Sentiva di avere un immenso bisogno di dormire e recuperare, anche solo per cinque minuti.
    Tuttavia, se la ruota stava finalmente girando per Günter, per lui si era totalmente fermata. Affe si scusò per esser stato scontroso (cosa di cui non si era affatto accorto per la verità), menzionando poi qualcosa a proposito delle interazioni coi fan. Ah sì, giusto. Castiel parve ricordarsi ora di aver parlato con un collega tutto quel tempo. Almeno così supponeva, vista la chitarra e il resto.
    Quella sottospecie di complimento gli strappo un lieve sorriso: non credeva di fare alcunché, forse era solo come gli altri lo percepivano, ma se lo diceva lui doveva essere vero.
    Quanto al cosa stesse dicendo... beh, in realtà nulla. Non era Günter che lo aveva approcciato per dire qualcosa a lui? L'unica cosa che lo aveva spinto a parlare era stato il volersi assicurare di, insomma, ritrovarlo in mezzo agli otto milioni di abitanti di Tokyo. Tuttavia, aveva appena fatto in tempo a prendere il cellulare ed a mandare un messaggio di SOS a sua sorella e, prima che potesse spiegarsi, il biondo assunse un tono preoccupato e apprensivo.
    Stai facendo la muta?
    Castiel si sentì mancare il fiato, e d'improvviso tutto l'autocontrollo che aveva esercitato fino a quel momento venne meno, come se qualcuno avesse tentato di ficcare l'ennesima cosa in un barattolo crepato e troppo pieno, frantumandolo in mille pezzi. Si era sempre chiesto cosa provassero gli emitter o i mutant ad usare i propri quirk, ma per quanto si fosse sforzato, non era mai riuscito a darsi una risposta. Per lui era come possedere un interruttore on-off, uno che ogni tanto non riusciva a spegnere, uno che gli dava accesso ad... un altro stato della materia. Quando usava il suo quirk, sentiva proprio che a cambiare era il suo corpo, se lo sentiva nelle ossa, sotto la pelle: diventava leggero, agile, aveva meno caldo, meno freddo, ci vedeva meglio e... tante altre cose. Per quanto assurda, non avrebbe saputo spiegarla a parole la sensazione di sentirsi crescere delle ali sul dorso. Piume? Stava avendo le allucinazioni? Günter lo sapeva? Come? Se ne era accorto? Una schiera di domande affollò la sua mente - già provata dalla stanchezza - come una parata celeste nell'empireo. Castiel percepì ogni vertebra della spina dorsale scricchiolare dolorosamente, le scapole allungarsi appena e cominciare a bucare contro il tessuto del suo cappotto. No, no, no. Non era un buon momento per andare in crisi. Boccheggiò un istante e chinò il capo, la fronte imperlata di sudore. Il respiro affannato, il groppo in gola e gli occhi annebbiati da un velo di lacrime gli suggerirono che si sarebbe messo a piangere se non si fosse tolto subito dai piedi e non avesse trovato un posto tranquillo in cui riposare. Però era in auto, e doveva calmarsi subito. Ci mise qualche istante e, dopo aver preso qualche profondo respiro, riuscì a riacquistare una visione più o meno nitida, accorgendosi solo in quel momento che aveva finito per appoggiarsi contro la spalla del ragazzo che lo accompagnava. Forse in una situazione normale quello gli avrebbe provocato una notevole nota d'imbarazzo, ma ora... non riusciva nemmeno a spostarsi. A Günter sarebbe bastato sfiorarlo per rendersi conto che scottava per la febbre. Castiel lo scrutò, ancora respirando a stento, come se fosse la sua ancora di salvezza, e... wow, aveva dei bellissimi occhi color rugiada. Che pensiero strano da fare in quel momento. Senza volerlo, lasciò scorrere un vacuo sguardo sui suoi lineamenti, lungo la mandibola, fino ad arrivare al mento appena ruvido forse dai segni della barba rasata, poi socchiuse lentamente le palpebre. «Affe-kun... tu hai... davvero un bel viso.» mormorò, e poi crollò sulla spalla del compagno, addormentato. Così bene che non ci sarebbe stato verso fare alcunché per svegliarlo.

    ✧✧✧

    La macchina si fermò a Shibuya un quarto d'ora più tardi. Erano stati fortunati e non avevano trovato poi molto traffico, nonostante il periodo. Il tassista, che aveva notato come qualcosa non andasse, scese persino ad aprire loro la portiera.
    Ma non ci fu bisogno di altri Deus Ex Machina, perché - proprio sul bordo del marciapiede - ce ne erano due che erano stati risvegliati dal messaggio di Castiel e stavano aspettando il veicolo con una certa impazienza. Erano un ragazzo e una ragazza: il primo piuttosto alto, un energumeno dalle spalle larghe e i capelli corvini, almeno un metro e novanta di muscoli; la seconda invece era una ragazzina molto più minuta (o forse appariva tale affianco a quel gigante) ed era la copia spiccicata di Castiel. Aveva una lunga cascata di capelli verdi con quasi la stessa pettinatura, il viso dai tratti dolci e tondeggianti con un impertinente nasino all'insù, e l'unica differenza era negli occhi, dorati e caldi come ambra fusa.
    Non appena videro la macchina si avvicinarono, la ragazza per prima, scambio qualche parola concitata con il tassista e poi si rivolse a Günter. Il ragazzo invece grugnì qualcosa che suonò come "lo porto su", raggiunse lo sportello opposto, si caricò un Castiel mezzo moribondo sulle spalle e qualche minuto dopo era sparito.
    «Good evening. Günter? I am Castiel's sister! Do you speak english? Mio fratello mi ha detto di invitarti a salire, se non hai impegni. – scandì lentamente, in inglese (perché di giapponese non spiccicava una parola che non fosse "kawaii"), e mostrò al giovane una chat sul cellulare che attestava quanto detto e spiegava il motivo della sua presenza lì. E se ne sarebbe rimasta zitta in attesa di una risposta, se il suo occhio attento non avesse spottato una caratteristica fuori posto addosso a lui. – Oh my. What's happened? Your jacket!»
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    Ciao ddraig, ho preso jason in prestito grazie ; )

    Ritardo segnalato.
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    Il tedesco aveva mostrato quelle piume con un accezione un po’ scherzosa, ma non sembrava che quel misterioso idol dai capelli verdi avesse preso bene il gesto: rispondeva impanicandosi, chinandosi in avanti sulla sua seduta e respirando affannosamente sfoggiando degli occhi lucidi di lacrime, insomma, una scena non esattamente rassicurante.
    Quasi d’istinto, disdegnando una qualsiasi norma di buon costume che normalmente si dovrebbe tenere in un taxi, aveva scrollato velocemente le piume dalla sua mano facendole finire sui tappetini della vettura, sentendosi non poco in colpa per aver provocato a Castiel quella specie di attacco di panico, era in procinto di chiedergli se fosse tutto apposto, ma proprio quando stava per farlo veniva arrestato dal forte rumore prodotto dalle sue ossa che scricchiolavano violentemente, indipendentemente dal quirk che quell’aitante uomo poteva avere non doveva essere un buon segno. Che accidenti stava succedendo? Per quale motivo delle semplici piume avevano scaturito una reazione del genere? Si guardava attorno quasi disperato notando quindi lo strappo sulla sua manica… oh cielo, probabilmente non era un pennuto, al contrario, forse era molto allergico alle piume! E se inavvertitamente il tedesco avesse in qualche modo innestato una forte reazione allergica? Sperava con tutto se stesso che quello non fosse il caso, dopo tutti i vari criminali con cui si era battuto non poteva essere proprio Castiel il primo uomo a gravare sulla sua coscienza. Dopo qualche oscillazione sul posto si era quindi violentemente scontrato contro la sua spalla, dapprima guardandolo e poi serrando piano piano gli occhi, liberando nell’aria una frase che era tutto fuorché quel che il biondo si aspettava di sentire.
    “Davvero… un bel viso? Amico che stai blaterando, sicuro di stare bene!?” - Dopo una frase del genere era impossibile per il tedesco non arrossire almeno un po’, e lui era qualcuno che fino a qualche mesetto prima lo chiamava “Castiel Lebon”, chissà quale potrebbe essere stata la reazione di una vera e propria fan a un complimento del genere, ora poteva veramente vantarsi di qualcosa con sua sorella. Oltre a questa piccola e marginale osservazione una seconda domanda sorgeva spontanea
    Fratello che cazzo centra? Aiutami a capire ti supplico” - sussurrava esasperato, teneva una mano sul suo cuore per assicurarsi che non smettesse di battere, sembrava proprio che non avesse voglia di fermarsi ma in ogni caso l’uomo dai capelli verdi era nuovamente svenuto, visto che questo era il caso il biondo avrebbe tenuto la mano dove l’aveva appena messa per tutto il resto del viaggio per evitare che venisse sballottato a destra e a sinistra.
    Qualche minuto prima al tedesco aveva detto che poteva stare tranquillo e che dopo essere salito nel taxi poteva proseguire da solo il tragitto, per fortuna! Figuriamoci se avesse detto il contrario, chissà com’era convivere con un negaquirk come quello, uno che provoca, tra le altre cose, svenimenti sporadici e incontrollabili come quelli, una vita del genere sembra impensabile…

    … in realtà forse anche il tedesco, sotto sotto, ne sapeva qualcosa.

    “Senta, immagino che abbia svariate domande...” - diceva rivolgendosi al tassista che ora sembrava davvero stranito dalla situazione, insomma, come biasimarlo
    “… anche io, mi creda, non ha idea di quante, ma l’unica persona che potrebbe sapere la risposta non è esattamente cosciente” - tirava velocemente fuori il suo portafoglio e buttava qualche banconota sul sedile del passeggero anteriore, aggiungendo
    “Tenga il resto, spero che basti come scusa per averle riempito il taxi di piume, l’importante è che continui a guidare!” -
    “Si ma-” -
    “MA…??” - Non era l’accidentaccio di momento dei “Ma” quello, il tedesco aveva ormai raggiunto uno stato di semi-isteria, probabilmente dato dagli innumerevoli sbalzi d’umore che gli stava procurando l'individuo in verde fino a quel momento, un secondo era in piedi, vivo e vegeto, l’altro gli si accasciava contro quasi moribondo, pochi esseri umani a questo mondo sarebbero in grado di mantenere calma e compostezza in una situazione del genere
    “Insomma, sempre verso la destinazione che mi avete indicato prima? Non sarebbe più saggio portarlo in un ospedale?” - ecco, quella si che in effetti era un ottima domanda e la risposta la doveva dare proprio il tedesco, insomma, magari portarlo all’ospedale poteva essere più saggio di portarlo in casa no? Logicamente quando una persona mostra sintomi simili è la prima cosa che viene spontanea a molti, ma probabilmente a casa aveva qualche farmaco appositamente studiato per il suo quirk, qualcosa che potesse effettivamente aiutarlo e che in un ospedale, logicamente, non avevano. E se invece volesse andare a casa per evitare gossip sul suo conto? I paparazzi sono ovunque e fanno foto a tutto, roba che anche se l’ospedale gli fosse effettivamente servito non ci sarebbe andato apposta per evitarli, a dire la verità non era nemmeno il primo caso di una cosa simile di cui il tedesco sentiva parlare, addirittura ricordava di un povero idol coreano che per evitare quei soggetti in un contesto simile era addirittura morto, sicuramente essere memori di qualcosa di simile in quel momento non era d’aiuto. In sostanza si trovava davanti a un bivio, nessuna delle due scelte sembrava essere più giusta, c’erano un milione di possibilità e nessun indizio per restringere il campo, come poteva prendere una decisione del genere? Ospedale o casa? Filo rosso o filo blu? Cono o coppetta? Perché scelte ardue come queste capitano sempre nei momenti di più elevata pressione psicologica!?
    Guardava Castiel ripensando alle sue parole, faceva mente locale di quella serata pensando a come volesse a tutti i costi andare a casa e come anche in uno stato di semi coscienza era riuscito, quasi rantolando, a esprimere una preferenza proprio per quest’ultima, Günter aveva quindi deciso di fidarsi dell’idol dei capelli verdi e proseguire in direzione domicilio
    “No, a casa sua ha una cura, si diriga li e usi tutte le scorciatoie che conosce” - Come già precisato, il tedesco non poteva sapere se quello che aveva detto fosse vero, era solo una piccola bugia bianca per far capire al tassista che cambiare rotta era fuori discussione.
    Ora doveva solo aspettare e pregare di aver fatto la scelta giusta.




    Non sapendo quanto lontana fosse la casa di Castiel da dov’erano partiti, Günter non aveva un idea precisa di quanto fosse durato il viaggio, la percezione del tempo nella sua testa era confusa, a una parte di lui sembrava essere durato pochi istanti, all’altra svariate ore, sta di fatto che due strane figure erano li ad accoglierli: il corvino tra i due era un marcantonio enorme, più alto e robusto del tedesco, con degli spaventosi occhi rossi che tutto ispiravano fuorché sicurezza, probabilmente si trattava della guardia del corpo dell’idol, aperta la portiera del taxi infatti se lo era caricato in spalla senza troppe difficoltà borbottando qualcosa con un tono di voce profondo quasi definibile scazzato; l’altro individuo invece era... beh, Castiel, però femmina. Davvero, non c’erano modi più adatti per descriverla, forse andava precisato che rispetto all’idol non era moribonda ma sembrava un osservazione piuttosto scontata. Quest’ultima, anzi, dava l’idea di una ragazza piuttosto energica, rivolgeva la parola al biondo mostrandogli una chat sul suo cellulare in cui Castiel chiedeva aiuto per qualche problemuccio con il suo quirk, invitando il tedesco a salire in casa sua. Quella situazione, il modo in cui si comportavano tutti, decisamente preparati a avvenimenti come questo, e in fine quella chat facevano realizzare a Günter una cosa stupenda: aveva fatto la scelta giusta. Un gran sospiro di sollievo e una breve risatina accompagnavano un sorriso sul suo volto, così quella era sua sorella, effettivamente giustificava un tale aspetto fisico, non ci era voluto molto perché la stessa notasse lo strappo sul giubbotto del tedesco che rispondeva dicendo
    “This? Oh, I ought to tell you in a minute, but first I need to catch some breath if you don’t mind” - trovandosi ora fuori dal taxi, avendo anche scaricato i vari bagagli da quest’utlimo, si chinava qualche secondo appoggiandosi con le mani alle sue gambe, prima di riprendere il discorso
    “Indeed, I am Günter, and about the invitation, well...” - ampliava le braccia indicando per qualche istante i suoi dintorni e lasciandole poi cadere a peso morto sui suoi fianchi, proseguendo con
    “I’m guessing sky is the limit tonight!” - diceva queste parole ridacchiando, provando a evidenziare l’assurdità della situazione dalla sua prospettiva, ilarità forse derivata dallo stato euforico e confuso che quell’idol dai capelli verdi gli aveva fatto raggiungere
    “Yeah, sure, why not, I’m coming. I’ll gratefully let you lead the way” - riprendeva la chitarra e la borsa di Castiel accingendosi quindi a seguire la sorella.




    Ora erano finalmente in casa, un luogo semplice, non quello che ci si aspetterebbe da un personaggio come l’idol dai capelli verdi, ma sicuramente il luogo intimo e tranquillo di cui aveva bisogno il tedesco, un luogo in cui poteva stendere i nervi e possibilmente conversare con qualcuno che non fosse in un costante limbo tra coscienza e perdita dei sensi, proprio in quel momento finiva di raccontare
    “… and that’s how the jacket got ripped. It wasn’t Castiel’s fault, clearly he wasn’t in control of the fall” - diceva sorridente a Lavinia, quello era il suo nome, che personcina deliziosa, irradiava una certa calma, per questo raccontando quell’avvenimento ci teneva a mettere le mani avanti e specificare che non era un problema, alla fine quel giubbotto aveva fatto la sua strada, si parla di un oggetto che aveva superato i cinque o forse sei anni di vita, non era il caso di farci nascere qualche polemica, quella sera c'erano già abbastanza inconvenienti per tutti
    “let’s just not think about this, really!” - approposito dei piccoli intoppi di quella sera, sicuramente su quelli aveva qualche precisazione da chiedere
    “About Castiel? Is he ok? Is he going to make it? He told me this happens often but seeing how he is I am still kind of worried” -

    Amor Fati
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    La lentezza con cui l'americano aprì gli occhi fu inversamente proporzionale alla velocità con cui li richiuse quando una luce proveniente dall'alto lo abbagliò. Ne ricavò una fitta di mal di testa tanto ramificata da toccare ogni centimetro del suo cervello. Ebbe bisogno di qualche istante per fare mente locale e rendersi conto che ah, era nel suo appartamento e che oh, il dolore alla schiena sembrava essersi attenuato.
    Lentamente le modiche informazioni che aveva sulla situazione cominciarono a riaffiorare nel suo cervello, e si rese conto di essere disteso sul suo letto, nella propria camera, le ali semi-chiuse e ripiegate contro la schiena, per metà avvolto da esse, per meta da una trapunta che gli copriva il fianco. La stanza era proprio la sua, accogliente e calda come al solito: quadri, mensole, armadio, libri, era tutto al proprio posto, eppure Castiel ebbe l'impressione che mancasse qualcosa. Non capendo cosa, tuttavia, si raggomitolò sotto le piume bianche come una pallina, tirandosi le ali fino sopra il viso per coprire la luce che veniva dal soffitto. Che strano, si era addormentato con la luce accesa? Eppure gli era sembrato di essere uscito per andare a danza. Il suo quirk lo aveva fiaccato così tanto? Era tornato e si era subito messo a dormire? A giudicare dalla finestra, l'ora di cena doveva essere passata da un pezzo. Il suo quirk? Un momento... esattamente, come ci era arrivato lì? Un'immagine piuttosto sfocata di sua sorella gli tornò alla mente. Lavinia, Jason... Sì, Jason lo aveva portato su e... ah, doveva avergli fatto un'iniezione di emergenza, aveva un cerotto sul braccio. Però... mancava qualcosa.
    Non era forse in macchina con... oh cielo sì, Affe!
    «Mmnngghh.» Castiel scattò in piedi, lasciandosi sfuggire all'istante un lamento dolorante a causa del movimento improvviso. Si strinse nelle spalle ali, ignorò il freddo e si alzò dal letto, barcollando leggermente; afferrò la coperta che forse Jason aveva lasciato lì, trascinandosi dietro lei più il suo mantello di piume, e si lanciò nel corridoio che lo separava dal salotto.

    Comparve sulla soglia con un'aria a metà fra il trafelato e il barbone di strada. Indosso aveva la sua solita felpa bianca da battaglia, quella un po' larga e con il brutto strappo sulla parte alta della schiena, e dei nerissimi pantaloni felpati. Doveva essersi cambiato - anche se non ricordava di averlo fatto - perché non erano gli stessi vestiti che indossava quando era uscito dalla scuola di danza. Probabilmente era ancora pallido come un cencio e disordinato da fare schifo, ma poco importava. La scena che gli si presentò davanti agli occhi aveva del surreale. Sua sorella stava parlando con un tizio random nel bel mezzo del suo salotto e Jason non si vedeva da nessuna parte. Castiel si sentì immediatamente montare in petto un ignobile istinto di protezione, poi parve ricordarsi che lo sconosciuto fosse Günter e si tranquillizzò. In realtà non c'era nessun motivo per cui quel pensiero lo avrebbe dovuto tranquillizzare, era pur sempre uno pseudo-sconosciuto con sua sorella, però almeno era uno pseudo-sconosciuto che lo aveva aiutato, quindi era un gradino più in alto rispetto ad un qualunque potenziale pretendente alla mano di sua sorella.
    Mentre macinava quei pensieri, Lavinia si accorse della sua improvvisa apparizione e si girò verso di lui. «Castiel!» esclamò, esagitata, e il povero ex-idol s'impettì sul posto, come avrebbe fatto un uccello del paradiso di fronte alla compagna che vuole conquistare. E se la sua faccia diceva chiaramente "cosa diavolo sta succedendo in questa stanza", l'educazione che gli era stata impartita ebbe il sopravvento e gl'impedì di avere una crisi nervosa sul momento.
    «S-Salve.» biascicò, conscio che forse non si era proprio presentato nel migliore dei modi, e - in quello stato - non stava contribuendo a farlo. Probabilmente era ancora spettinato, pensò, portandosi d'istinto le mani alla fronte cercando di aggiustare la frangia, impresa ben poco utile, senza uno specchio. Anche se stava decisamente meglio di prima, si sentiva ancora frastornato.
    Poi, finalmente, il suo sguardo si posò sulla figura che stava facendo compagnia a Lavinia, e il suo viso si aprì in un luminoso sorriso, accompagnato da un lieve ed eccitato frullio d'ali.
    «Affe-kun! Sono felice di vedere che non te ne sei andato! – esclamò giulivo, usando il suo solito accento, prima di volgere lo sguardo verso sua sorella e cambiare totalmente, tono e lingua. – Cosa mi sono perso?» Al che, a sua sorella, non rimase altro che sospirare. «See? He's Fine. Definitely.» borbottò, con una cadenza talmente rassegnata da lasciar intendere che dovesse essere piuttosto abituata a quelle uscite.
    Quel salotto era abbastanza ampio: più in stile occidentale che giapponese, alle spalle dei presenti c'era un'ampia vetrata scorrevole che dava sulla terrazza dell'attico, con le tende parzialmente tirate; i colori predominanti erano il beige, il bianco e il rosa, chiaro e scuro; a terra, ad accogliere gli ospiti, c'era un tappeto color pesca, un intero anfratto era occupato da un divano ad angolo posto davanti ad un tavolino basso in vetro ed una televisione a schermo piatto; dall'altra parte, adiacente ad una delle pareti, c'era una libreria bianca in cui erano riposte riviste, libri, fotografie, e soprammobili d'ogni tipo, mentre un alto sgabello decorativo reggeva un singolo vaso in cui fiorivano le foglie di un'orchidea.
    «Il tuo ragazzo mi stava spiegando come gli hai rotto il giubbotto.»
    Castiel si addentrò nella stanza. «Il giubbotto?» fece, affiancando Lavinia. Forse avrebbe dovuto dire anche qualcosa sul fatto che non fosse il suo ragazzo, ma decise che trovava l'appellativo divertente e non disse nulla, conscio che fosse solo uno dei modi di sua sorella per prenderlo in giro. A vederli uno affianco all'altra i due si somigliavano davvero parecchio, Castiel non era nemmeno tanto più alto rispetto alla ragazza.
    «Ti spiego più tardi. Mettiti sul divano, vi faccio del thè. Volevi parlare con lui, no?»
    Castiel annuì, impercettibilmente, lanciando una curiosa occhiataccia al cappotto di Gunter.
    AH.
    Vero. Era rotto.
    «Oh.» esordì, notando il misfatto.
    Avrebbe dovuto sentirsi mortificato, ma... non se ne era nemmeno reso conto e non sapeva bene cosa dire: evidentemente doveva avere un kink per il ripagare le giacche e i cappotti alla gente.
    Si fece sfuggire un sospiro, era il momento che gli desse delle spiegazioni. «Ti piace il thè? Limone, pesca? Preferisci del caffè? – okay, non quello che voleva dire. – Ti chiedo scusa per il modo in cui mi sto presentando, Günter-san. Questo, come vedi, è il mio quirk. Mi causa sempre qualche, uhm... problema al cambio stagione.» mormorò, chinando appena il busto, in modo un po' goffo, quel tanto che le due gigantesche e bianche ali piumate gli consentivano, mentre sua sorella, congedatasi brevemente, spariva verso la cucina. «Accomodati, ti prego. Comportati pure come se tu fossi a casa tua. Sei nella posizione di potermi chiedere qualsiasi cosa – io... sono davvero dispiaciuto per quanto successo e ti devo moltissimo per avermi aiutato.» spiegò, al meglio delle sue attuali e scarse facoltà mentali, indicando il divano con un cenno. Poi, un po' per non farlo sentire a disagio, un po' perché gli antidolorifici stavano facendo il loro effetto inibendo non solo le sue funzioni cognitive, ma anche tutto il resto delle sue forze, si accomodò sul divano, a gambe incrociate, le ali ripiegate lateralmente a racchiuderlo a semisfera. Un paio di piume caddero sul pavimento.
    Non aveva ancora capito a quale delle due categorie appartenesse il biondo, se era un fan, o una normale persona normale che da lui voleva qualcos'altro, ma gli sembrava una ragazzo dall'animo gentile, ed era curioso di sapere di più di lui e della sua chitarra. «Mi avevi avvicinato per qualche motivo, giusto? Dopo pensiamo alla tua giacca.»
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    Lavinia era una presenza piacevole, era in qualche modo incantato da quegli occhi color agata e, anche se per poco, gli aveva fatto piacere scambiare due parole con lei, ma la chiacchierata veniva improvvisamente interrotta da una presenza, anzi, LA presenza: Castiel, che ora sembrava addirittura reggersi in piedi, aveva un piccolo particolare diverso da prima però, mostrava un bel paio di enormi… ali? Quindi quelle nel taxi erano davvero le sue piume? Dopo aver notato la cosa per il tedesco sembrava quasi essersi fermato il tempo qualche istante, l’individuo davanti a lui era basso, aveva un fisico slanciato e, appunto, delle ali, che si trattasse di…? Era proprio lui? Era davvero quello stronzo di un gabbiano!?
    Inizialmente Günter gli aveva lanciato uno sguardo a dir poco perplesso, quasi come se avesse visto un fantasma, ma gli era bastato non ragionare come un babbuino per più di una manciata di secondi per tranquillizzarsi e ridecorare il suo volto con un sorriso. Insomma, non poteva essere lui, andiamo, in effetti era un individuo più basso del tedesco, ma non era tanto basso quanto quel criminale nel vicolo di Akihabara. Le ali poi: quelle di Castiel erano enormi in confronto e, piuttosto del triste e deprimente color fuliggine sporco di quelle dello spacciatore, mostravano un elegantissimo color bianco angelico, la tonalità che mostravano infatti era molto più simile a quella candida delle piume che aveva il suo nuovo coinquilino, Kohaku, che alla sciatta sfumatura del nanerottolo di quella sera.
    Altri due particolari che lo avevano convinto erano i capelli e la voce, i primi non li aveva potuti distinguere bene durante lo scontro, ma era matematicamente sicuro che non potessero essere lunghi e verdi, la seconda invece era semplicemente diversa, quella del criminale sembrava essere più ruvida e quasi impercettibilmente più grave. Certo, c’era sempre la possibilità che stesse fingendo, impegnandosi a fare un vocione più grosso del normale per tutta la durata della zuffa, d’altronde, per compensare una stazza del genere, non ci sono molti altri modi per sembrare più minacciosi, soprattutto quando madre natura, tra tutti gli animali che poteva scegliere, aveva deciso di farlo assomigliare a un tordo, chi, nei panni di quel buffo tucano, non avrebbe usato tutte le carte a propria disposizione per sembrare più figo? Quasi si sentiva stupido ad aver pensato a una cosa simile vedendo l’idol, ma non poteva farci nulla, per quanto nella sua mente prendesse in giro il tipo di Aogiri nei modi più coloriti possibili era innegabile che fosse stato lui quello a perdere quella sera, questa sottospecie di trauma lo faceva quasi trasalire ogni volta che vedeva qualcuno con delle ali prima di ricordarsi di vivere in un mondo dove almeno una persona su un centinaio potrebbe nascere con un quirk del genere.
    “Beh, invece io sono felice di vedere che sei ancora vivo” - Diceva ridacchiando, osservava poi tacitamente i due, annuendo alle frasi rassegnate di Lavinia, poveretta, dal tono sembrava ne passasse di tutti i colori affianco a suo fratello, dopo averla seguita per un attimo quest’ultimo si rivolgeva a Günter mostrandosi abbastanza preoccupato e apologetico, dapprima offrendogli qualcosa da bere e poi spiegandogli che a causargli quei problemi, come precedentemente sospettato, era il suo quirk
    “Preferisco del caffè veramente, ma non serve che lo prepari se non ce n’è di già pronto” - veramente il tedesco non era un amante del caffè, anzi, non lo beveva quasi mai, già come persona dormiva relativamente poco, bevendo quel temibile liquido color pece rischiava davvero di non addormentarsi per nottate intere, le uniche volte che facevano eccezione erano quelle in cui, come in quel momento, aveva bisogno di un po’ di caffeina per tirare avanti, non si sentiva particolarmente stanco o assonnato in quell’istante, ma per essere più sicuro nel caso in cui quell’incontro si sarebbe protratto più del previsto era proprio quello che ci voleva.
    “Comunque davvero, non preoccuparti, insomma, è normale una prima impressione un po’ bizzarra quando il tuo quirk ti da questo genere di problemi” - si metteva poi una mano dietro alla testa seguendo lentamente l’idol fino al divano e aggiungendo
    “Eddai, pensa a che serata noiosa avrei passato senza un evenienza come questa!” - provando a mettere in chiaro con il suo tono che stava scherzando, prima di sedersi aveva raccolto una delle piume da terra, giostrandola nella sua mano e sentendone la consistenza, sembrava morbida, questo gli aveva messo una certa curiosità rispetto alle ali stesse
    “Ti fa male se le tocco?” - diceva allungando una mano verso uno dei due manti di piume, avrebbe comunque aspettato una risposta prima di posarci la mano, voleva solo far intendere che si riferiva alle ali. Sembravano così enormi e comode, davano l’aria di essere ottimi piumini per l’inverno, non era così infattibile per lui pensare di usarle proprio in quel modo nei più rilassati giorni di pioggia, a tal punto doveva soddisfare la sua curiosità e sentire se erano così tenere come sembravano.
    Castiel ora gli chiedeva per quale motivo lo avesse avvicinato in primo luogo, sinceramente il tedesco era piuttosto sorpreso che si ricordasse la scena ripensando a tutte le volte che aveva perso e ripreso coscienza, però finalmente era arrivato il momento di comunicare le sue intenzioni, quelle che lo avevano spinto ad affiancarlo quella fredda sera invernale.
    “Certo, anche uno abbastanza importante se vogliamo” - Erano bastate queste poche parole per accelerare il battito cardiaco del tedesco, era il momento della verità, di vedere se quello che aveva passato fino a quel momento avrebbe avuto un lieto fine
    “Vedi, poco tempo fa ero sottoscritto alla Etruscan Record, quella casa discografica che assume artisti esteri, solo che… beh non mi andavano esattamente a genio, in più negli ultimi mesi mi hanno veracemente intimato di fare un face reveal, quindi mi sono licenziato” - faceva poi spallucce e sospirava proseguendo con
    “E da allora sto ancora cercando una casa discografica, tra tutte ovviamente sono venuto a conoscere anche la tua. Potrà sembrarti pretenzioso ma per un eventuale sottoscrizione ho preferito di gran lunga parlarti di persona piuttosto di avere a che fare con il tuo manager, insomma, non dico sia una brutta persona, non lo conosco d’altronde, ma pur di evitare la pessima esperienza dell’ultima volta volevo rapportarmi con qualcuno che avesse almeno una minima idea di cosa voglia dire essere musicisti” - rivolgendosi verso Castiel proseguiva poi con
    “E chi meglio dell’idol stesso a capo dell’etichetta per questo?” - dopo un breve sorriso avrebbe poi messo le mani avanti sul suo stile artistico specificando perché avesse così tante difficoltà a trovare una casa discografica nuova, insomma, ne aveva girate un po’ prima di capitare davanti quell’idol
    “Ho già fatto altri provini e colloqui, ma nessuno accetta il mio punto di vista e il mio stile, non posso biasimarli, è normale che il metal strumentale sia considerato un po’ underground e poco commerciale, anche se un po’ meno qui in Giappone” - ridacchiando poi aggiungeva l’ultimo dettaglio, quello fatale, quello che solitamente era il make or break dei suoi colloqui
    “In più… beh prima ho accennato un face reveal perché non ho mai fatto vedere la mia faccia o fatto sentire la mia voce nella mia carriera da artista, sono quello che viene definito un Ghost-Artist” - anzi, vedendo la piega che stava prendendo la sua carriera da vigilante, era quello che veniva definito un…
    ...PHANTOM-Artist.
    “Mi faccio chiamare Ian Moone, nell’improbabile evenienza che tu abbia già sentito questo nome” - Non si stava certo autocommiserando, semplicemente era effettivamente improbabile che un idol JPop ascoltasse proprio lui, già era piuttosto raro trovare persone comuni che lo facevano. Per quanto seguito avesse si parla comunque di metal, non è così comune trovare ascoltatori di questo genere, nomi come quelli del tedesco erano effettivamente abbastanza nominati in quel mondo, ma gli unici nominati al di fuori di questa comunity erano i così denominati “Big Four”: Metallica, Slipknot, Slayer e un quarto posto combattuto tra Megadeth e Anthrax, il tedesco si era sempre chiesto per quale motivo perpetrassero quello scontro piuttosto di chiamarli semplicemente “Big Five”.
    “Ti faccio sentire qualcosa se ti va! Preferisci un brano calmo e rilassante o di aggressivo e veloce?” - Dava per scontato che Castiel, dopo un’esperienza simile, volesse qualcosa di calmo e rilassante, anche perché non era sicuro che le capacità cognitive che dimostrava gli permettessero capire tutte le note di una canzone power metal in ogni caso sapeva già che brani scegliere: se avesse scelto l’alternativa tranquilla gli avrebbe fatto sentire una canzone che chiamava Thanatos, in caso contrario era pronto a sfoderare Burn Your Enemies, due scelte che reputava tra le migliori della sua discografia, le aveva composte ben prima di ricevere contatti dalla Etruscan Record, quello era lo stile che adorava, quello era il suo stile, quella era la passione che voleva metterci lavorando con Castiel.
    “Mi piacerebbe farti sentire come suono dal vivo, davvero, ma purtroppo la chitarra nella custodia è elettrica, non suona senza un amplificatore… a meno che non ne abbia uno tu” - poteva sempre essere un ipotesi, era un musicista no? In più Günter, quando si portava dietro la chitarra, viaggiava sempre senza amplificatore, ma mai senza distorsore.

    Amor Fati

    Mi scuso sentitamente con Ddraig per avergli rubato la battuta su PHANTOM
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    Thè alla pesca o al limone? Caffè.
    «Solo caffè americano.» Günter evitò l'avversa e criptica domanda che avrebbe potuto decidere non solo l'esito di quell'amicizia, ma anche della sua futura carriera, con l'agilità di un giaguaro. In casa di Castiel c'era sempre del caffè, ancor di più da quando Jason viveva con lui, ma il giovane rispose comunque sottolineando - forse - l'ovvio: riteneva importante non lasciare che le persone si creassero tante aspettative quando non potevi soddisfarle e se ciò che il tedesco cercava era il leggendario espresso italiano ne sarebbe rimasto inevitabilmente deluso. In caso contrario, invece, glielo avrebbe offerto più che volentieri, giusto il tempo di far sì che Lavinia finisse di scaldare l'acqua per il suo thè. Rigorosamente al limone.
    «Oh, non faccio fatica ad immaginarlo.» riprese, poco dopo essersi appollaiato sul divano come una chioccia, in riferimento alla possibile noiosa serata che avrebbe passato nell'eventualità in cui non si fossero incontrati. A dire il vero dubitava che avrebbe passato una qualsivoglia serata in quel caso, ma meglio lasciare il pessimismo ai pessimisti. Quanto alle ali... Castiel smorzò un calmo sorriso da acqua cheta e ne tese una verso il biondo. «No, prego.» mormorò, invitando così il giovane europeo a procedere nella sua audace iniziativa. Nel mentre, si raccolse i lunghi capelli verdi fra le mani e li spostò sul lato sinistro del viso, passando a pettinarseli - e a districarne i nodi - con le dita affusolate. Non smise di fissare Günter nemmeno per un istante, non riuscendo a fare a meno di chiedersi se fosse così espansivo con chiunque o quella fosse un'occasione in cui non era riuscito a tenere a freno la sua curiosità: d'altronde a lui non creava nessun problema, ma un qualsiasi giapponese per bene sarebbe inorridito davanti a quella richiesta.
    Le piume non tradirono le loro apparenze: erano davvero morbide come sembravano, tuttavia, a causa delle circostanze erano anche più fragili del normale; a Günter sarebbe bastato affondarci le mani per tastare in un attimo la consistenza della panna montata e... per ritrovarsi un pugno di piccole penne bianche impigliate fra le nocche.
    Castiel ridacchiò sommessamente. «Ah.~ Potevi dirlo che avevi tanta fretta di rimpinguare la tua giacca.» canzonò, impertinente, schermandosi le labbra curvate all'insù con il dorso di una mano. I suoi frivoli scherzi tuttavia s'arrestarono di botto quando il tedesco sottolineò di averlo in principio fermato per un motivo abbastanza importante, al che il giovane cantante si zittì e si mise in ascolto della sua storia come un bimbo avrebbe rivolto le sue orecchie alle favole raccontate dai genitori prima di dormire.
    Etruscan Record. Castiel non conosceva quella casa discografica; forse l'aveva sentita nominare, ma non era sicuro di poterlo dire con certezza. Il biondo gli rivelò di esser stato un musicista affiliato alla suddetta e di essersi licenziato da poco a causa di alcune incomprensioni. Non era sorpreso che il ragazzo fosse venuto a cercarlo per quello, non era il primo e non sarebbe stato l'ultimo: c'erano schiere e schiere di persone che volevano diventare idols e che gli inviavano giornalmente il proprio curriculum, ma Castiel non poteva certo permettersi di perder tempo ad ascoltare chiunque. Odiava pensarla come una perdita di tempo, lui amava veramente la musica, ma ormai era così sommerso di lavoro che gli sembrava quasi d'esser diventato un piccolo re egoista che concede udienza solo ai più meritevoli, cosa che - in effetti - faceva. La sua ossessione nel voler supervisionare sempre tutto stava rischiando di farlo diventare sempre più quello che aveva odiato quando l'idol era lui: un oceano d'elite in cui non riusciva a far altro che pescare chi era in grado di sorprenderlo (friendly reminder di quando Midori si era appostata in un cespuglio solo per potergli parlare), sperando di non aver trovato un pesce avariato.
    Il suo vecchio manager lo aveva avvertito, ma Castiel - come al solito - non aveva mai capito quanto fosse pesante quel lavoro finché non ci aveva battuto la testa. Dover sacrificare la voglia di sentir gente cantare in favore del profitto era orribile, ma la paura di veder affondare la propria barca costruita con cura solo per averla riempita con una pesca troppo massiccia era terrificante. E trovare un buon carpentiere in grado di rafforzare il ponte della propria nave era ancora più complicato. Eppure, in tutto quello, le parole di Günter divennero per un momento il faro di un porto costiero in cui Castiel non si sarebbe mai aspettato di dover attraccare.
    «M-Metal strumentale?» esordì, le gote colorite di un rosso improvvisamente acceso.
    Era inutile girarci intorno, Castiel era rimasto con un palmo di naso. Ovviamente era familiare con il concetto di Ghost-Artist, ma più... sulla parte commerciale del termine. Ne aveva a decine che lavoravano nella sua agenzia per scrivere i testi e le basi musicali delle A-Rise o le altre idols, ma quello che diceva il biondo non stava né in cielo né in terra! Lo stava forse prendendo in giro?
    Non aveva mai sentito parlare di Ian Moone, se tutto quello era uno scherzo non era divertente!
    Ciononostante Günter si mostrò così contento di ciò che stava dicendo, arrivando persino ad offrirsi di suonare qualcosa, che Castiel non riuscì a mostrarsi scettico quanto avrebbe voluto.
    «Fammi capire... quindi tu sei... già un artista. – mormorò, con una vena di incertezza nella voce. Un ragazzo che sembrava un angelo e detto da lui venuto giù dall'empireo, suonava metal. Che soggetto. – Ma non ti fai... vedere in faccia.»
    Bene, e con quello aveva finito di essere stupito.
    Ma quando si parlava di lavoro Castiel diventava una persona completamente diversa, perché non gli piaceva prendere le questioni alla leggera e qualcosa, lì, non gli tornava. Affatto.
    «Aspetta, aspetta.» si corresse, metabolizzata la sorpresa, un po' meno reattivo del solito, ma fermandolo prima che mettesse mano alla sua chitarra, i palmi alzati e il busto sporto appena in avanti. «Io ti ascolto volentieri, ma prima devo chiederti una cosa. Tu sai che noi ci occupiamo di idols... vero?»
    Sollevò il muso e lo guardò dritto negli occhi.
    Tac. Stoccata dritta al petto.
    La Mankai Company non era una normale casa discografica, era prima un'agenzia di idol, poi una compagnia teatrale e, infine, (forse?) anche una "nomale" etichetta che produceva musica.
    Naturalmente non avrebbe biasimato Günter se non ne fosse stato a conoscenza, né gli avrebbe rifiutato quella possibilità di suonare - anche se al momento non disponeva dell'amplificatore che il ragazzo gli aveva richiesto -, visto che glielo doveva, ma dubitava di essere la persona adatta a produrre la musica del ragazzo.
    Insomma, metal?
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