How to Hire your Dragon

Role || Gin & Castiel

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    CASTIEL "SERAPHINE" LEROY
    ● VIGILANTES ● GOOD OMENS ● LIVELLO #8 ● SCHEDAPortfolioART
    La città era grigia. Era un grigio fumoso, sporco, il movimento più leggero sembra volerla ridurre in polvere con uno scricchiolio. Fuori dalle finestre ancora aperte si scorgono delle luci stanche, luci di una città piena di segreti e cattiverie, con le sue case addossate le une alle altre in periferia; con quei lampioni che si ritorcono verso l'alto per finire gloriosi in una lanterna.
    La vigilantes indietreggiò, scrutando i suoi nemici da dietro la visiera specchiata del casco.
    Era in trappola.
    Più o meno.
    Se non avesse avuto le ali a impedirne il contatto si sarebbe proprio definita con le spalle al muro. Per quanto potesse essere possibile considerare una "trappola" un cieco vicoletto a cielo aperto per qualcuno capace di volare. Spiccare il volo e librarsi in aria sarebbe stato facile, per lei, ma in quel momento sembravano mancargli le forze. Non una fine molto gloriosa per un angelo.
    Aveva corso e saltato sopra e sotto i tetti, e senza prestare attenzione si era fatta inseguire fino nel posto sbagliato. Eh, ops, ma fin troppo tipico.
    Ogni giorno si vedevano centinaia di quei film senza titolo. Ma riavvolgendo la pellicola sino all'inizio di quella vicenda si sarebbe trovato solo un individuo con dei lunghi capelli verdi: il suo nome era forse - ancora - uno dei più conosciuti in tutta la città di Tokyo.

    Castiel Leroy si sentiva un fallimento.
    Da quando Jason aveva scoperto di Desmond gli parlava... no, a volte non gli parlava proprio. E lui sentiva di essere riuscito a fallire nell'unica cosa che riteneva davvero importante. Il problema? Suo cugino non sembrava nemmeno arrabbiato. Sembrava più deluso. Dispiaciuto. Triste. Lo aveva persino visto impacchettare le sue cose, forse per andarsene. E ovviamente non lo biasimava.
    Si sentiva mogio al pensiero che Jason credesse che non aveva più bisogno di lui. Ne aveva bisogno, eccome! Ma chi mai sarebbe voluto rimanere con una persona con cui non reputi degno confidarti? Continuava a ripetersi che l'intera situazione non fosse colpa sua, ma non ne era così sicuro. Aveva solo rispettato i desideri di un amico, ma così facendo aveva tradito la fiducia di suo cugino. Si chiedeva, se quel giorno avesse vuotato subito il sacco sarebbe stato meglio? In qualunque modo l'avesse presa il cugino forse si sarebbe risparmiato di scoprirlo in modo più brusco. Ma in quel modo sarebbe stato Desmond a bollarlo come una persona non degna di fiducia. Era un serpente che si mordeva la coda.

    La notte porta consiglio. O almeno, così si dice. Castiel aveva bisogno di un consiglio, ma la notte era tirchia e ultimamente non gli portava nulla di buono. Non gli portava nulla in generale, a dire il vero. Il fatto di non essere riuscito a trovare modo migliore per impiegare la serata rispetto al presentarsi davanti ad una contorta palazzina di Shinjuku e rimanere a fissarla dall'altro lato della strada in attesa di una rivelazione, con le stesse aspettative che un cane come Hachiko avrebbe nutrito aspettando il ritorno del suo padrone, non gli faceva certo onore.
    Forse aveva bisogno di un terapista.
    Da... una vita e mezzo, circa.
    Ma i terapisti costavano un sacco, passare davanti al covo di 12th Division nella speranza di vederci passare anche Ren Okada era gratis.
    Ma, evidentemente, Ren Okada non passava di lì, né da nessun altra parte.
    Perché la sua costante ricerca di un consiglio lo spingesse sempre fin lì avvalorava la tesi che avesse bisogno di uno psicologo, ma Castiel preferiva non pensarci. Cypher, dopotutto, non era proprio la persona adatta a cui andare a chiedere consigli; lo aveva sperimentato sulla sua pelle, ma la risposta era - in realtà - molto semplice: Castiel era convinto di essersi preso una cotta per lui e stava cercando di capirlo. Il problema era... beh, che capirlo era un po' difficile se non vedi mai la persona di tuo interesse. E che forse era poco etico prendersi una cotta per un ex-poliziotto con quasi vent'anni più di te. Amen. Come suo solito, era rimasto davanti alla palazzina per fin troppo tempo poi, curata la sua ossessione, aveva girato i tacchi e se ne era andato.

    Era notte fonda e, nelle vicinanze dell'aeroporto Haneda, una vigilantes dal costume nero come la volta celeste e due candide ali piumate a fare contrasto sulla schiena si sentiva messa un po' alle strette: due paia di occhi dorati la fissavano con aria ostile. Appartenevano a due farabutti armati con due spranghe di metallo; aveva sottratto alle loro grinfie un ragazzino forse poco più giovane di loro, che non appena aver capito di essere in salvo si era defilato con la rapidità di un'anguilla in mare. Chi fossero o cosa facessero non erano problemi suoi, Haneda era ancora una zona per la maggior parte off-limits, ma i suoi dintorni brulicavano lo stesso di gentaglia poco raccomandabile, e per chi ha una visuale dall'alto scorgere la scena di quei due che picchiavano il terzo era stato facile. Peccato che questi non avessero apprezzato l'intrusione, e al primo accenno di fuggire anche di quella figura mistica scesa dal cielo, il più alto aveva sparato una sorta di melma gelatinosa che le si era appiccicata addosso e le aveva impedito di prendere il volo. Poi era successo. Al posto di affrontarli, la vigilantes era... fuggita - e piuttosto in fretta per essere appesantita dalle ali - dando origine ad una strana partita a metà fra acchiapparella ed una gara di parkour, fino a ridursi nella sfortunata impossibilità di fuggire a ridosso di uno stretto vicolo. I suoi inseguitori erano due uomini, uno alto e tarchiato, l'altro un po' più tozzo. Avevano i capelli neri e la parte inferiore del viso coperta da una maschera. Yakuza? Al momento non c'era modo di saperlo.
    I suoi occhi scandagliarono i dintorni, forse alla ricerca di qualcosa da usare come appiglio, ma non ne trovarono. Aveva il fiato corto.
    «Okay, okay. Davvero. Sentite. Uno contro due è una sfida impari. Io me ne andrei... – la sua voce suonò leggermente distorta, ma indubbiamente femminile, e confermò quello che i malviventi avevano sospettato fin dal principio. Sotto la maschera c'era una donna. Sollevò le mani sopra la testa, e poi li scrutò con attenzione, come se ne stesse valutando la forza. – ...se fossi in voi.»
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    GIN NAKANO
    ● VIGILANTES ● 12TH DIVISION ● LIVELLO #7 ● SCHEDAPortfolioART
    Gin stava osservando l'aereoporto di Haneda in cima ad un tetto del quartiere, tenendosi ovviamente a debita distanza. La sua vita, ultimamente, era diventata decisamente complicata. Dopo l'incontro con Shoya Ishida - vista la conclusione pacifica preferiva ricordarlo in quel modo piuttosto che come uno scontro - si era ormai reso evidente il fatto che dovesse trovare almeno uno straccio di informazione su Aogiri in fretta per evitare di finire in prigione. Il loro patto, che almeno a livello legale si sarebbe configurato come un ricatto, era quello. Il problema principale era che per quanto avesse provato a spacciarsi come tale Gin non era un vigilantes, era solo un ragazzo che andava in giro a picchiare chi non rispettava la legge. Il suo ruolo nella società era fondamentalmente quello del ragazzino che al liceo picchia i bulli per difendere i secchioni che prendono di mira. Non era mai stato neppure nelle sue mire il proposito di mettersi contro a della criminalità organizzata, figuriamoci andare contro ad un gruppo terroristico. A quel punto però, volente o nolente doveva farlo, non gli rimaneva più una scelta.
    Quella questione aveva cambiato anche le sue abitudini: aveva cercato di ingegnarsi un po' con la sua unicità, perché a suon di tatuaggi sarebbe probabilmente morto in un paio di secondi contro qualsiasi criminale serio, ed aveva mutato la sua ronda. Aveva scoperto, ad esempio, che tatuando tante piccole "chewing gum" sulla punta delle sue dita riusciva ad avere abbastanza viscosità da riuscire a scalare le pareti con un po' di fatica, ed era così che era giunto in cima a quel tetto. Per quanto concettualmente orribile, funzionava: dovevano sentirsi così tutti quei tatuatori che passavano dall'old school a fare tatuaggi trash che venivano postati su tumblr e affini. A quel punto non era più una questione di stile, quanto di sopravvivenza. Si era spostato poi in territori più pericolosi, rendendosi chiaramente conto che a cacciare nei quartieri dei ricchi difficilmente avrebbe trovato indizi per la sua ricerca. Forse era un pensiero stupido ma i territori in prossimità delle zone ancora contaminate gli sembravano il posto giusto per trovare i criminali più pericolosi, non spaventati da quel gas velenoso. La verità era che non sapeva che pesci prendere, quindi un posto valeva l'altro. Era certo che, per la legge dei grandi numeri, prima o poi sarebbe riuscito a trovare uno spacciatore o qualcosa di simile con legami con l'Albero. In quel momento un po' rimpiangeva il suo essere, nonostante tutti quei tatuaggi, fondamentalmente un bravo ragazzo: gli sarebbe probabilmente bastato essere dall'"altra parte" della massa di studenti universitari per sapere alla perfezione dove dirigersi per ricevere quale sostanza e invece il massimo della sua trasgressione si esauriva nell'avere un enorme drago tatuato addosso.
    Purtroppo per quanto volesse impegnarsi, Gin non era una persona molto costante e nel giro di una mezz'oretta era finito sdraiato su quel tetto, casco tolto, gambe incrociate una sopra l'altra a scrollare il feed di BABEL con in sottofondo il cielo stellato. Nonostante l'assurdità del tutto quelli erano i pochi momenti in cui riusciva a sentirsi ancora una persona normale, era assurdo come un semplice incontro potesse cambiare la vita di chiunque. Il rumore di guai, però, attirò velocemente la sua attenzione.
    Sentendo dei suoni metallici, Gin puntò i suoi occhi dorati al cielo e si alzò in piedi con una singola e atletica spinta. Cercò di afferrare il casco sommariamente nella fretta, facendolo rotolare qui o là un paio di volte, per poi incassarselo sul volto con un'operazione troppo macchinosa a causa della sua lunghissima chioma. Avvicinandosi al bordo del palazzo i suoi occhi scrutarono il vicolo sottostante, vedendo che... nulla, non vedendo nulla. Era troppo in alto, il vicolo era troppo scuro e la visiera di quello che in fondo era un casco da moto gli impedivano di avere un qualsiasi tipo di visione dell'ambiente circostante. A quel punto, condividendo lui e il dragone che aveva tatuato sul petto un singolo neurone, non ci pensò due volte e si gettò a capofitto. Giù dal palazzo.
    Normalmente, neanche a dirlo, il Nakano non si sarebbe comportato in quel modo. Non intendo che non si sarebbe buttato giù dal palazzo, ma non si sarebbe gettato in una situazione sconosciuta così a cuor leggero. Il fatto era che davvero a quel punto non gli rimanevano molte scelte, perché aveva bisogno di risultati e ne aveva bisogno in fretta. Gin, appunto, non sapeva che pesci prendere... e quello era l'equivalente del pescare con la dinamite: in un modo o nell'altro prima o poi avrebbe trovato qualcosa, era semplicemente inevitabile.
    Un'altra cosa che aveva imparato, direttamente collegata alla scalata, era il funzionamento della gravità per scendere: ovviamente non era valido da qualsiasi altezza e preferiva sempre passare per altezze intermedie, ma aveva realizzato che la spinta di un "jet" sui piedi gli permetteva di bilanciare l'accelerazione di gravità e gli evitava di diventare una macchia di carne sul marciapiede, funzionando effettivamente come una sorta di jetpack. Col fatto che il tetto su cui si trovava non era poi così alto questo gli permise di atterrare senza troppo di più di un leggero formicolio alle gambe a causa dell'atterraggio.
    Giunto a terra Gin poté effettivamente mettere a fuoco la situazione: alla sua sinistra si trovava una persona in una tuta di latex e con delle ali che sembravano coperte di una qualche sostanza appiccicaticcia mentre alla sua destra un paio di brutti ceffi che, armati di spranghe, avevano solo metà del volto coperto. Dovevano essere stati proprio loro, con quelle barre metalliche, a fare il rumore che Gin aveva sentito da qualche metro più in alto e che lo aveva attirato lì. Il suo istinto palesemente superiore non lo aveva tradito, quella situazione sembrava decisamente qualcosa di criminale e criminoso.
    A-ha, vi ho beccati! - sbottò - Pensavate di fare ciò che volete nel MIO quartiere? - aggiunse, ovviamente mentendo. Non passava spesso da quelle parti, figuriamoci ora che l'aereoporto era immerso in una cortina di fumo. Fermo tra le tre figure, stava puntando l'indice sinistro sul fan del BDSM e quello destro verso gli sgherri di livello uno di qualche pubblicità truffaldina di un videogioco russo pubblicizzato su BABEL per riciclare denaro. Sì, non avendo alcuna informazione sulla faccenda e soprattutto non avendo la minima idea di come operasse Aogiri non era certo di chi fosse il cattivo in quella situazione. Che nessuno dei due appartenesse all'Albero era al momento un pensiero proibito dalla sua stessa mente, perché ne aveva davvero bisogno. Certe volte è necessario illudere sé stessi per attirare la fortuna.
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    Un leggerissimo ritardo per inaugurare al meglio l'attività :neko:
     
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    CASTIEL "SERAPHINE" LEROY
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    Mediamente, quando sei un individuo famoso - o lo diventi - le persone cominciano a pensare di conoscerti. Si ritrovano a sapere cosa mangi a colazione, a pranzo, a cena, dove trascorri il fine settimana, che hai un neo proprio sotto il mento e che porti i capelli lunghi perché ti piace fare le trecce. Un gran miscuglio di dettagli che poteva indurti a pensare che avresti potuto sposare il tuo attore preferito e andarci d'accordo anche se quello magari era già sposato per i fatti suoi.
    E infatti, c'erano molte cose che la gente non sapeva di Castiel Leroy. Tanto per cominciare che se ne andava in giro con un costume da vigilantes spacciandosi per una donna, come se fosse un personaggio uscito dai fumetti. Un costume che sarebbe stato ridicolo indosso a tutti. Tutti tranne sé stessə, perché a ləi stava bene qualsiasi cosa. Anche un sacco della spazzatura (provare per credere, aveva fatto uno shooting fotografico sul tema).
    Sì, esatto, la giovane donzella vestita di nero e in fuga dai due criminali era proprio lui. Castiel Leroy. Lui, lei, pronomi a piacere. Indifferente. A dire il vero Castiel si divertiva alquanto a recitare la parte della ragazzina indifesa - che poi tanto indifesa non era, ma tirava fuori gli artigli solo da ultimo. Era come essere un'altra persona, con meno obblighi morali e gli sembrava di staccare la spina dalla sua pesante vita normale che lo poneva in un ruolo pieno di responsabilità. Gli piaceva essere una persona per bene, ma era proprio il contrasto esercitato da quella doppia vita che ogni tanto lo faceva sentire più vivo del normale. Un ex-idol che se ne andava a caccia di criminali! Era emozionante!
    Non aveva alcun trauma pregresso che lo aveva spinto a trasformarsi in una simil figura (certo, escludendo Cutter, ma gli piaceva dimenticarsi della vicenda) e ancora, dopo quasi due anni, stentava a definirsi tale, ma ciò non gli impediva d'impicciarsi a fermare due persone violente con una terza, per di più indifesa. La violenza era la soluzione soltanto quando la usava lui.

    I due criminali ridacchiarono alla sua minaccia: si vedeva che non la stavano prendendo sul serio, e a Castiel - ancora con le mani volte verso l'alto, come se il malvivente fosse lui - non rimase altro che sospirare sconfitto. Peggio per loro.
    Prima che potesse muovere un muscolo però, un singolo rumore proveniente dal cielo attirò la sua attenzione; l'attimo seguente la tensione venne stroncata sul più bello dall'improvvisa comparsa di superman con la skin da motociclista.
    Alto, ben piazzato, uno scuro casco a coprirgli il volto e una tuta aderente a mettere in risalto la corporatura maschile. Wow, non era così che si aspettava di incontrare il suo principe azzurro.
    Lo sconosciuto si frappose fra le due parti in conflitto e puntò le mani una verso di lui, una verso i suoi temporanei nemici. Castiel si irrigidì, e si chiese se non fosse il caso di spiegare che lui non c'entrava nulla e i criminali erano gli altri, ma non voleva finire come negli anime shonen di seconda mano in cui il protagonista e il clone del protagonista si litigano tentando di convincere il personaggio secondario che sono loro quelli veri. Fu un attimo. Il vicolo era stretto, ma non abbastanza stretto d far sì che la presenza del motociclista lo ostruisse del tutto. Non se lo fece ripetere due volte. Non appena si accorse che la sua spavalderia aveva attirato l'attenzione dei due - forse per la sorpresa - prese uno slancio, superò superman, e due istanti dopo una delle sue ali era piombata fra capo e collo del criminale più alto. Quello, tramortito, venne sbalzato addosso all'altro che impattò contro il muro del vicoletto e picchiò la testa. Il loro aggressore rimase a guardarli qualche secondo, ancora all'ertà, poi il secondo emise un gemito, ma non si rialzò. Ottimo, non sembravano morti.
    Castiel si sfregò le mani fra di loro, come se si stesse scrollando della polvere inesistente dai guanti artigliati, e solo a quel punto si volse verso lo sconosciuto: un criminale? Dalle sue parole dubitava fortemente. Un vigilantes? Il suo "costume" non portava alcun segno distintivo, ma non si poteva mai essere troppo cauti. Non sapeva granché del panorama vigilantistico di Tokyo, ma se c'era una cosa certa che tutti sapevano, anche i normie che leggono solo gli articoli clickbait e pieni di fake news, era che Haneda (e Ota-city in generale) era "territorio" di Phantom, quindi ben si guardò dall'attaccarlo. Anzi quasi si ritrasse e afflosciò le ali bianche in segno di rispetto, come se si fosse trovato di fronte un predatore più grosso. Che poi beh, più grosso lo era di certo, ma non ci voleva granché ad essere fisicamente più prestanti di uno mingherlino come Castiel.
    Quindi lo scrutò, in silenzio, e infine inclinò appena la testa. Gesto che, grazie al casco, parve a momenti robotico.
    «Il tuo quartiere? Sei... di Phantom?» domandò, la voce distorta dal microfono del casco, e poi si concesse un'arroganza per nulla tipica di Castiel, ma decisamente più propria di Seraphine. «Non volevo rubarti la preda, ma non avevo bisogno di aiuto, grazie lo stesso.» Bugia enorme, perché con le ali in quello stato il posto più intelligente in cui gli conveniva andare al più presto era un autolavaggio.
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    Il ritardo del post è l'essenza stessa del post.
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    GIN NAKANO
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    I presunti criminali non sembrarono prenderlo troppo sul serio, perché una volta atterrato e dopo aver puntato un indice su entrambi i lati per far sapere ad entrambe le parti che erano sotto il suo controllo il gabbiano appiccicaticcio decise di scalvacare la sua autorità... e il suo corpo, aggredendo gli altri due e mettendoli fuori gioco in una singola ed elegante mossa. Normalmente se la sarebbe dovuta prendere, ma la realtà era che molto probabilmente non faceva paura a nessuno e quindi era normale che non venisse ascoltato. Quella situazione però generava qualche problema: normalmente Gin era portato a pensare che la ragazza fosse la vittima in quella situazione, non tanto per questioni legate alla damigella in pericolo e così via quanto perché si trovava in inferiorità numerica e aveva... qualsiasi cosa avesse sulle ali. E certo, questo ammettendo che vi fosse effettivamente una vittima e un aggressore in quella situazione e non fossero semplicemente entrambi dei criminali. Quella mossa però aveva scombussolato un po' la sua bussola morale come una forte spallata, perché la tizia non sembrava essersi fatta troppi problemi prima di mettere KO i due tizi. D'altro canto, non poteva giudicare senza avere alcuna informazione in mano: farlo sarebbe stato compiere lo stesso errore che Shoya aveva commesso e che lo aveva incatenato a quel destino di pene infernali e terrore notturno, una vita che certamente non avrebbe augurato neppure al suo peggior Tobiko.
    U-umh. - portò la mano destra a grattarsi la nuca perplesso, ricordandosi solo all'impatto che aveva il volto cinto dal casco e finendo quindi a tamburellarvi sopra con le dita - Era... un'ammissione di colpa...? - domandò direttamente alla tizia, inclinando leggermente il volto verso destra. Per quanto potesse sembrare un idiota in quel momento in realtà non si sentiva uno sprovveduto ed era pronto a menare le mani se ce ne fosse stato il bisogno. Sì, anche con una donna. Non avrebbe fatto la stessa fine di quei due tizi per quanto la ragazza lo avesse appena preso alla sprovvista, questo era sicuro. Una volta poteva aver abbassato la guardia, ma non sarebbe successo di nuovo.
    Nonostante tutte quelle elucubrazioni, però, non sembrava che quella persona fosse ostile. Dopo aver abbassato le ali gli rivolse la parola rivelando una voce robotica. Che si trattasse di uno di quegli androidi di cui aveva tanto sentito parlare al telegiornale negli ultimi anni? Molto improbabile, probabilmente era semplicemente un collega un pelo più immerso nel tessuto della criminalità, al corrente di posti migliori dove procurarsi l'attrezzatura. Gin non era... quel tipo di persona. La sua tuta gli era stata regalata personalmente da Tobiko e l'aveva dovuta dipingere per togliere il logo della Yuuei ed evitare problemi, il casco era un semplice casco a cui aveva fatto un buco per permettere di sfogare l'enorme massa dei suoi capelli e il guanto metallico che portava spesso - ma non ora - era poco di più di un accrocchio di lamiere che chissà quante mani aveva passato prima delle sue. Era la prima volta che Gin vedeva qualcosa di così bizzarro, perché neppure Shoya o Tobiko avevano un costume simile. Doveva trattarsi di una persona abbastanza facoltosa, chissà, forse qualche ricco annoiato che, come nei fumetti, aveva deciso di sfruttare il suo denaro per combattere il crimine. O forse un criminale arricchito, ma le sue parole sembravano indicare altro, ammesso fossero degne di fiducia.
    PHANTOM... - borbottò - Certo, PHANTOM, umh... - aggrottò le sopracciglia da dietro la visiera scura. Come detto Gin non era molto informato e non essendo neanche una persona troppo tecnologica evitava volontariamente di informarsi su determinate cose col timore di essere spiato. C'era un motivo, in fondo, se pensava fosse giusto creare un codice per dialogare con Tobiko per evitare problemi. Sicuramente ne aveva sentito parlare nella sua vita ma in quel preciso momento, complice probabilmente anche la situazione tesa, non gli veniva proprio nulla in mente a riguardo - Umh, no, non credo. - ammise candidamente, per poi portare la mano destra al polso dell'altro braccio. Si stava preparando ad un eventuale scontro: fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.
    Ok, suppongo, sì, si è visto. - aggiunse senza alcun bisogno di fare lo spavaldo. Prede, non prede, quelle erano logiche che almeno al momento non lo competevano. Il suo scopo era proteggere le persone e consegnare i criminali alla giustizia, non andare a caccia e sfamare il branco - Ti spiacerebbe dirmi cos'è successo? - domandò picchiettando con le dita sul polso. Ricevere una risposta o meno a quel punto dipendeva solo dalla gentilezza di quella tizia considerato che non c'era nulla ad obbligarla. Se non avesse ricevuto una risposta, però, probabilmente non sarebbe riuscito a fugare i sospetti su di lei, e le cose sarebbero potute andare male. Finché mancava un motivo valido, lei era una criminale tanto quanto loro, anzi, persino peggio. Non bastava impugnare delle spranghe per essere giudicati dei criminali, o perlomeno chiunque fosse dotato di un minimo di raziocinio non si sarebbe dovuto basare su quel tipo di pregiudizio. Tutto ciò che aveva visto, ora, era che la ragazza aveva attaccato i due mentre loro non avevano fatto nulla di sbagliato, e l'utilizzo del termine "preda" di certo non andava particolarmente a suo favore.
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    Non era che Gin non facesse paura, probabilmente se uno avesse avuto un briciolo di sale in zucca in più si sarebbe ben guardato dal compiere un azzardo simile di fronte a quello che poteva essere un altro potenziale aggressore, ma Castiel non era esattamente rinomato per essere una cima d'intelligenza e Seraphine purtroppo ereditava da lui i suoi tratti portanti.
    Quella mossa era decisamente un'ammissione di colpa, ma non c'era da farne mistero: l'intero inseguimento si era generato per colpa sua.
    Magari il povero ragazzo che aveva tirato fuori dai guai era la peggior feccia mai esistita nella prefettura di Tokyo, ma non poteva saperlo. E in ogni caso se si fosse rivelata una cosa del genere, Castiel se ne sarebbe occupato il giorno in cui avrebbe trovato lui a picchiare qualcun altro.
    Era conscio che il suo modo di approcciare "il vigilantismo" non fosse dei migliori: non aveva modo di indagare a fondo nella vita degli altri, non faceva parte di chissà quale grande network e stava cominciando a capire solo ora - grazie a THEMIS e quella visita in università di qualche tempo fa - come si svolgevano sul serio quelle attività. Ma forse il suo intento non era nemmeno quello di migliorare la qualità della vita ad una specifica categoria di persone, solo che non riusciva a fare a meno di pensare... se quella sera in cui era stato attaccato da Cutter, qualcuno fosse intervenuto a salvarlo... come si sarebbe sentito?
    E non ce l'aveva con gli eroi, sapeva che non potevano essere sempre ovunque in qualunque momento, né pretendeva di sostituirli nel loro lavoro, eppure se poteva diventare la speranza di qualcuno - anche per un semplice caso - perché non avrebbe dovuto farlo? Ormai quella linea di pensiero era qualcosa che andava oltre l'ideale che gli avevano inculcato i suoi manager da ragazzino.
    Seraphine fissò superman rimanendo in silenzio, inconsciamente all'erta quanto lui. Entrambi con un'inespressivo casco calato sul volto, era difficile capire chi fosse dalla parte dei buoni e dei cattivi, ammesso che queste due parti esistessero sul serio, ciò che era certo era che tenendosi sulle spine a vicenda la situazione sarebbe potuta degenerare in un batter d'occhio. Castiel credeva fosse un collega, per via delle sue parole, quindi se non gliene avesse dato motivo non lo avrebbe attaccato. Si limitò a studiarlo, in attesa della sua risposta, notando dei dettagli che prima gli erano passati inosservati: aveva dei lunghi capelli neri che sfuggivano appena da sotto il casco e una corporatura massiccia, decisamente allenata. A dire la verità non era che quella parte prima non l'avesse notata, ma ci ripassò sopra lo sguardo per essere, insomma sì, sicuro di averla notata bene. In più, quella tuta che aveva addosso... aveva un non so che di familiare. Assomigliava ad un modello che aveva visto indosso a Midori. Che strano.
    Comunque i suoi tentativi di assettare dominanza si risolsero in un pugno di mosche. Il motociclista si dimostrò ben meno spavaldo di prima, ammise di non essere di PHANTOM - e non ne sembrava sicuro neppure lui - e gli domandò cosa fosse successo.
    Tutta l'autorità che Castiel gli aveva attribuito svanì nel giro di pochi secondi. Oh, aveva trovato un novellino? Proprio come lui, che emozione!
    La fortuna era che no, non gli dispiaceva.
    Sebbene non gli piacesse sostare troppo a lungo nello stesso posto, soprattutto se il suddetto luogo era quello dove aveva provato a rompere la trachea a due individui, si concesse qualche secondo per mettere in chiaro le cose. Socchiuse le ali sulla schiena, che... bleah, se le sentiva tutte appiccicaticce e unte, come se qualcuno ci avesse versato dell'olio sopra, che schifo, e poi sollevò l'indice destro verso il cielo.
    «Stavano picchiando un ragazzino. Li ho visti dall'alto. – spiegò, ringraziando mentalmente chiunque gli avesse fatto dono della capacità di sintesi. – Lui è scappato in fretta, e loro non hanno apprezzato la mia intrusione, mi stavano inseguendo.»
    "Poi mi hanno sparato della gelatina addosso e adesso non riesco a volare molto bene".
    Poco figo. Decise di ometterlo.
    Lasciò ricadere il braccio lungo il fianco.
    «C'è altro? Sennò me ne vado.»
    E sarebbe potuta finire lì. Sarebbe. «Non vorrei rimanere troppo a lungo nel tuo quartiere.»
    Non aveva intenzione di consegnare i due alla "giustizia". Castiel non era quel tipo di persona, gli interessava solo che si ricordassero di essere stati picchiati molto forte. Cypher docet
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    Gin ascoltò la spiegazione della ragazza, che peraltro non sembrava essere una tipa di troppe parole. Quei due stavano aggredendo un ragazzino e lei, salvandolo, aveva attirato le loro ire. Sembrava quindi fosse una come lui, insomma, non uno di quei vigilantes che provavano a fare gli eroi e si mettevano in situazioni un po' troppo complicate e pericolose, qualcuno che si dedicava semplicemente a difendere la città là dove la normale giustizia non riusciva ad arrivare per mancanza di personale o di tempo. Era una sorta di ecosistema ben equilibrato dove tutti cercavano di non pestarsi i piedi a vicenda... finché non finivi nei casini come era successo a lui. In ogni caso Gin apprezzava il coraggio, gli venne solo da chiedersi se davvero quella persona aveva messo insieme un costume così tecnologico solo per andare a salvare i ragazzini per strada. Era la sua intenzione sin dall'inizio? Oppure quella sera si era semplicemente imbattuta in quella situazione e aveva fatto ciò che qualsiasi cittadino con la testa sulle spalle avrebbe fatto? Il Nakano sapeva di non avere alcun diritto di porre quella domanda, che probabilmente per quelli come loro era meglio dare meno informazioni possibili in giro, che era difficile fidarsi gli uni degli altri, e quindi decise semplicemente di tenersi il dubbio.
    Al di là di questo, quella storia era assolutamente deludente: vedendo una persona così attrezzata si aspettava ci fosse se non altro qualcosa di interessante, un po' di moto che potesse anche solo in qualche modo dargli una pista per la sua ricerca, ma non pareva proprio fosse quello il caso. Dubitava che un'organizzazione come Aogiri andasse in giro a picchiare ragazzini e, anche fosse, dovevano per forza volere qualcosa da loro, non aveva senso cambiare preda e gettarsi sul primo che capita. Al novantanove per cento, insomma, quei tizi volevano solo fare casino e qualsiasi cosa andava bene. Forse erano ubriachi, forse erano solo dei violenti, gli esseri umani in fondo erano perlopiù persone orride.
    Oh, capisco. - si abbandonò ad un sospiro deluso all'interno del casco - Non sembra proprio un comportamento da Aogiri, huh. Anche stanotte un buco nell'acqua. - riusciva a sentire il ticchettio della sua ora avvicinarsi sempre di più. Non era tagliato per quel tipo di cose e lo sapeva benissimo. Shoya aveva chiaramente frainteso che tipo di persona Gin fosse: aveva proprio pensato lui fosse uno di quei tizi di cui parlava prima, quelli che per qualche motivo volevano sostituirsi agli eroi, ma non c'era nulla di più distante da lui. Gin voleva solo proteggere le persone come poteva, non era il tipo per fare indagini o anche solo sventare una rapina a mano armata, la sua competenza si fermava al tirare un paio di pugni in giro. Non sarebbe mai potuto stare di fronte ad Hanzo Takashi come avevano fatto Tobiko e Sumire, non sarebbe mai stato in grado di andare in giro mentre quella nebbia ricopriva la città. Già solo guardarla da quel tetto di Ota lo faceva rabbrividire. Gin era un codardo, una persona che si spaventava davvero facilmente, non pensava che indossare quella tuta e quel casco lo rendesse una persona diversa o qualcuno di più forte, era solo il modo che aveva per tornare a casa con meno lividi possibile. Ed era evidente, quindi, che cercare informazioni su Aogiri o qualsiasi altra cosa non fosse nelle sue corde né nelle sue capacità.
    Oh, no, certo, vai pure. - rispose semplicemente alla tizia, dopo aver scosso la testa - A loro ci penso io, chiamo un tizio. - Shoya si era "accontentato" delle informazioni sull'Albero e il piano di Gin di consegnargli i vari criminali che avrebbe fermato non pareva interessarlo. Era evidente che fosse quel tipo di persona che preferiva puntare la propria carriera su un pesce grosso piuttosto che su una solida e costante gavetta. D'altro canto, era obiettivo di Gin consegnare quelle persone alla giustizia al contrario di quella tizia. Aveva quindi pensato di consegnarli a Tobiko, ma in effetti non poteva sapere al cento per cento come si erano svolte le cose e nonostante Tobiko non sputasse fiamme e non lanciasse fulmini rischiava di metterlo nei guai considerato che pareva i due non avessero utilizzato alcuna unicità nei loro crimini - No, meglio la polizia. - si corresse quindi poco dopo.
    Dopo essere sbucato fuori dal vicolo per osservare se ci fosse qualcuno nelle vicinanze - la risposta è no - portando le mani al volto, Gin si sfilò il casco, incappando in qualche problemino nell'atto di liberare i capelli. Dopo averlo poggiato a terra nel vicolo si mise a cercare il telefonino nelle tasche nascoste della suit per contattare le forze dell'ordine.
    Umh, alla prossima, signorina...? - per qualche istante i suoi occhi gialli e luminosi si fermarono di nuovo sul corpo della tizia che aveva manifestato l'intenzione di andarsene. Quella serata non aveva migliorato in alcun modo la sua situazione ma chissà, forse si era fatto un'amica tra i "colleghi"... anche se dubitava l'avrebbe mai rivista considerando che da come aveva sottolineato a sua volta che quello fosse il suo quartiere non sembrava girare spesso da quelle parti neppure lei. Chissà se se ne sarebbe andata via aprendo in tutta la sua magnificenza quelle ali e sarebbe volata via. Che poi, ora che ci rifletteva, quelle ali gli ricordavano qualcosa... ma doveva essere una coincidenza, non era un'unicità poi così tanto particolare.
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    CASTIEL "SERAPHINE" LEROY
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    C’erano diversi motivi per cui Castiel aveva messo insieme un costume così tecnologico e no, non era solo per andare a salvare ragazzini per strada: si poteva dire che quella fosse una diretta conseguenza. Il motivo principale era che voleva sembrare credibile (e pareva quasi funzionare), il secondo che era genuinamente convinto che non ci fosse altro modo di andare in giro. Quasi tutti i vigilantes che aveva visto o di cui sentiva parlare alla televisione indossavano caschi e armature pompose che davano una certa aria di importanza e “mistero”. Aria che Castiel voleva assolutamente avere addosso a sua volta.
    Ad ogni modo, non potendo intuire i dubbi del motociclista unicamente guardandolo, si limitò a fissare l'inespressiva visiera del suo casco senza dire alcunché. Almeno fin quanto quello non se ne uscì con un’osservazione che gli fece accapponare la pelle. Un nome, sei lettere. Aogiri. Dei brividi gli corsero lungo tutta la spina dorsale, facendosi particolarmente grevi sulla piccola parte triangolare di schiena che teneva scoperta, l’attaccatura delle ali. Esse s’irrigidirono appena di riflesso – con un frullio di piume accompagnato da un lieve sussulto, simile ad una pernice che si è appena accorta di essere finita in trappola.
    Aogiri? Che voleva da Aogiri? Chi era quel tizio? Cosa intendeva con "un buco nell'acqua"? Voleva dire che... li stava cercando?
    Lui… beh, non credeva fossero di Aogiri, ma non si poteva dire che avesse propriamente chiesto con gentilezza. Da dietro la visiera a specchio del casco il suo sguardo si spostò sui corpi inermi dei due criminali. Non aveva intenzione di mentire o inventarsi storielle che non avrebbero giovato a nessuno dei due, ciononostante si chiese cosa avrebbe dovuto rispondere. Forse niente, in fin dei conti scrollare le spalle, sminuire il fatto e continuare per la propria stava andava bene comunque. Era capitato lì per caso, e non aveva niente di elaborato da raccontare che non corrispondesse alla verità. E se fossero stati di Aogiri preferiva prendersi la sua "vendetta" senza saperlo.
    Dopo la notte di CYPHER, non aveva avuto altri contatti consapevoli con criminali di quel calibro, e non sapeva cosa pensare. Ne aveva paura? No, ma non era nemmeno sicuro di non averne.
    Al suo “chiamo un tizio” le sue idee non fecero altro che peggiorare. Un tizio... un tizio, chi?
    Aveva sbagliato a considerarlo un novellino? Non è che ora spuntava fuori tutta la sua banda per dividersi il bottino e... no. No. Non aveva finito nemmeno di elaborarla e riconosceva che fosse un'idea decisamente fantascientifica.
    Ma mentre era lì che ancora macchinava sulle cose da dire o da fare, il motociclista decise di togliersi il casco per chiamare la polizia. Si portò le mani al volto, si sfilò il copricapo, lasciandosi ricadere i lunghi capelli corvini che ancora non aveva avuto il privilegio di scorgere attorno al viso, e si girò a guardarlo con due luminosi e felini occhi giallastri.
    Castiel sgranò gli occhi.
    Ora, Tokyo aveva quattordici milioni di abitanti.
    Com'era possibile che si fosse appena ritrovato di fronte il make-up artist incontrato UNA volta alla catastrofica festa di Salem, in tutta la sua abbagliante bellezza?
    «Ma tu---!» frase morta ancora prima di essere pensata, come si rese conto di poter prettamente togliersi il casco a sua volta e inscenare una rimpatriata. «C-C-Che diavolo fai?!» si corresse, senza tuttavia riuscire a mascherare il panico e la sorpresa nel proprio tono di voce. Calm and collected badass character behaviour: rotto.
    C'era dell'incredibile nel fatto che se lo ricordasse in realtà, visto che Castiel non era poi un granché con volti e nomi ad associare ad essi. Non era sicuro si chiamasse "Gin" o "Jin", ma lo ricordava per il semplice motivo che... beh, Salem era una festa un po' difficile da dimenticare in primis, secondariamente a Castiel non era mai capitato di dover firmare un autografo con un rossetto prima di lui. Senza contare che tempo dopo lo aveva persino cercato sui social, salvo scoprire che fosse fidanzato e accantonare la malsana idea di scrivergli.
    “Ahhhhhh” pensò, lasciandosi sfuggire un sospiro rosso d'imbarazzo e schiaffandosi la mano destra sulla parte alta del casco, corrispondente alla fronte. Come? Com'era possibile? Si sentì il volto andare in fiamme, e l'improvviso caldo estivo gli sembro farsi più soffocante, bardato com'era.
    «Non puoi mica chiamare la polizia come se nulla fosse! R-Rimettiti il casco! E poi cosa pensi? Che ti crederebbero senza batter ciglio? Senza testimoni? A-Al massimo, uhm, legali e chiama la polizia quando te ne sei già andato!» lo rimbeccò, forse con un po’ troppa enfasi. La tentazione di afferrarlo per un braccio e trascinarlo via come un sacco di patate si fece forte. Meno forte, sfortunatamente, delle braccia di Castiel stesso, che si ritrovò a stringere i pugni e ad accartocciare i propri guanti sotto di essi.
    Ma poi, che bisogno c'era di chiamare la polizia? Potevano anche lasciarli lì e basta. Anche se Gin non sembrava della stessa opinione. Ma non voleva mettere la sua opinione sullo stesso piano di uno che si era appena tolto il casco così, senza farsi uno straccio di problema. Adesso sì che voleva sapere come fosse coinvolto con Aogiri! La sua domanda era stata fin troppo diretta, indice che li stesse cercando per un motivo e non per giocare a fare l'eroe mancato. Castiel si volse, abbassò le ali e si guardò alle spalle, prima di muovere un leggero passo in avanti. Aveva paura che qualcuno li stesse guardando? Non per sé stesso.
    «....Cosa... ti serve sapere di Aogiri?» domandò, infine, titubante. In realtà, manco a dirlo, non gli poteva dare alcuna informazione in merito. Però magari poteva dargliela qualcun altro per lui. Almeno, almeno, avrebbe avuto un'effettiva scusa per presentarsi alla palazzina davanti alla quale aveva speso mezza serata.
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    Tolto il casco, Gin dedicò un secondo ad osservare il cielo blu che titaneggiava sopra di loro. Immobile e muto, totalmente noncurante di tutto ciò che quei miliardi di piccoli animali facevano su quel piccolo pianeta, uno tra tanti nell'universo. Per quanto Gin non fosse un hipster o un hippy - anche se molte sue passioni avrebbero forse suggerito il contrario - quando si sentiva attanagliato dai problemi della vita era in quel tipo di pensiero che trovava un rifugio. L'osservazione della natura disinteressata, di masse estremamente grandi che gli ricordavano la sua piccolezza e l'inutilità dei suoi affanni e delle sue preoccupazioni, come quella di non avere ancora nulla da dire a Shoya. Tornato però con lo sguardo sulla compagna vigilantes, vide che si stava comportando in modo alquanto strano, perlomeno per l'aria impassibile e composta che aveva in precedenza.
    U-uh? - inarcò un sopracciglio all'obiezione della donna, che non sembrava per nulla intenzionata a rivelargli un nome... e non poteva certo biasimarla - In che senso? Mica arrivano col teletrasporto, no? - portò il telefono al mento, non ancora composto il numero, picchiettandovi un paio di volte. Era vero, non era certo la manovra più sicura al mondo, ma c'erano davvero poche possibilità che una pattuglia si trovasse lì dietro l'angolo e soprattutto che prendesse così sul serio una segnalazione di un crimine così vago gettandosi immediatamente sul posto. Legarli poi non avrebbe fatto altro che metterlo nei guai, sottolineando che qualcuno li aveva effettivamente fermati e non che si trattava di una segnalazione anonima di qualcuno che li aveva trovati ubriachi e armati nel vicolo o qualcosa di simile. Ovviamente per quanto Gin non fosse una cima non era sua intenzione telefonare col suo numero personale.
    Non aveva una risposta per l'essere creduto o meno: dubitava anche lui lo avrebbero preso troppo seriamente, ma a quel punto in tutta onestà erano problemi della polizia. Il suo lavoro arrivava fino ad un certo punto, non era sua intenzione sostituirsi alle autorità. Sebbene Gin si fosse scontrato spesso con la polizia in precedenza, prendendo parte a vari cortei di protesta e sfiorando quasi idee anarchiche, prendeva molto seriamente ciò che riguardava il suo lavoro da vigilante. Non era una questione di legge o di autorità, quanto più di morale: accettare l'idea di sostituirsi ad esse, legge ed autorità, significava prendersi le proprie responsabilità ed ammettere la propria infallibilità. Decidere la colpevolezza o meno di qualcuno e la pena che avrebbe dovuto affrontare non era il suo ruolo. A conti fatti, se fosse esistito qualcosa di simile Gin si sentiva più come un poliziotto freelance o un cacciatore di taglie che cattura i fuorilegge e li consegna allo sceriffo. Il suo ruolo era puramente meccanico e di tramite, non voleva mettere i propri sentimenti personali in mezzo e rischiare di diventare un mostro o farsi ingolosire dal potere.
    Beh, se hai paura aspetto che ti allontani, dai. - ridacchiò facendo spallucce. Per quanto fosse sincero non volendo coinvolgere la ragazza in una situazione che non la riguardava quella era anche una provocazione: non si aspettava certo che una persona bardata in quel modo, che aveva appena sconfitto quei due criminali e soprattutto con un paio di ali gigantesche sulla schiena potesse avere paura di essere beccata da una volante di polizia. Purtroppo il lupo perde il pelo e non il vizio e Gin sarebbe probabilmente diventato pelato prima di imparare a chiudere la bocca ogni tanto, specie in momenti simili.
    Oh... Ahahahah. - si mise a ridacchiare imbarazzato, massaggiandosi la nuca. Onestamente aveva rimuginato su quella questione così tanto che a quel punto non gli bruciava neppure più parlarne, si faceva solamente pena da solo - Ok, questa farà ridere... - fece un lungo sospiro - Praticamente stavo fermando un rapinatore e questo eroe pensava che fossimo complici e lo avessi picchiato per prendere tutto il malloppo. Per farla breve me la sono scampata, ma ora questo tizio sa chi sono e vuole che lo aiuti a trovare informazioni su Aogiri. - si abbandonò ad un'altra risata - Il problema è che... Beh, sì, ho finto di avere degli agganci per riuscire ad andarmene, ma in realtà umh... faccio questo solo da qualche mese, non conosco nessuno e anche volendo avvicinarmi ad una cosa simile sarebbe l'ultimo dei miei desideri, non ho certo intenzione di morire, volevo solo aiutare delle persone... - si insaccò nelle spalle, demoralizzato. L'ipotesi di fuggire e cambiare paese a quel punto si faceva sempre più reale. Forse non era semplicemente tagliato per quelle cose, si era fatto influenzare da ciò che Sumire e Tobiko avevano fatto durante l'emergenza del Culto ma era evidente che persone diverse hanno talenti e destini diversi. Lui non era in grado di fare quello e loro non erano in grado di tatuare, era ovvio. Ok, forse Tobiko con una macchinetta in mano ne sarebbe stato in grado, ma gli sarebbe comunque mancata la fantasia per fare una grande opera. O forse no? Come funzionava la sua unicità? Non era quello il momento di pensarci.
    Beh... capita, no? Prima o poi tutti vengono ricattati almeno una volta nella vita... forse. - cercò di sdrammatizzare, a quel punto non gli rimaneva altro da fare. Decise di non chiedere nulla a riguardo dell'Albero alla ragazza, si rendeva conto dal suo atteggiamento di averla messa a disagio già solo con l'idea di chiamare la polizia. Avrebbe trovato le informazioni necessarie un giorno o avrebbe semplicemente subito le dovute conseguenze. A quel punto importava poco: sarebbe stato una delusione per i suoi genitori e per Sumire, sperando solo di non mettere la ragazza nei guai con la Yuuei, magari si sarebbe fatto qualche anno di prigione o qualcosa di simile, in fondo non aveva neppure fatto poi chissà cosa di così grave. Riflettendoci logicamente e a freddo era più rischioso cercare Aogiri che accettare il proprio destino. Sarebbe quasi stato peggio se gli avessero fatto pagare una multa, in quel caso sarebbe probabilmente dovuto pesare sui suoi genitori. Era certo che col corpo tatuato in quel modo chiunque in prigione gli avrebbe dato il dovuto rispetto... o lo avrebbero accoltellato scambiandolo per qualcuno di una banda rivale.
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    "Questo non puoi saperlo." Castiel, o meglio, Seraphine, incrociò le braccia – un diavolo per capello. D'accordo, la sua domanda non aveva senso, ci aveva già pensato da solo. I poliziotti manco usavano le unicità. Anche se lui dall'alto non ne aveva viste, nulla escludeva la possibilità che ci fosse una pattuglia dietro l'angolo, Haneda era pur sempre una zona ad alto tasso criminale ora come ora e... va bene, non erano questioni su cui si interrogava di solito. Colto con le mani nel sacco. Non aveva esperienza, e il fatto che qualcuno (forse l'ultimo arrivato sulla piazza) gli stesse facendo notare che era in difetto non gli andava molto a genio. Perché non li lasciavano lì e basta? Che problema c'era? Come sempre, era un campione da guinnes nel creare i problemi, ma... risolverli? Nah.
    «N-Non ho mica paura!» sbottò, impettito come un gallo di prima mattina. O l'esca lanciata era buona oppure Gin un bravo pescatore. Minare l'orgoglio della vigilantes pareva una buona tattica per impedirle di spiccare il volo se non altro.
    Da una parte era vero, non aveva paura della polizia. Certo, non voleva farsi arrestare per uso improprio dell'unicità perché sarebbe stato un bel casino, ma non nutriva timore nei loro confronti. Dall'altra era più corretto dire che non gliene fregasse granché e non gli interessasse nemmeno immischiarsi nei loro affari. Nel suo concetto di "giustizia" consegnare i criminali alle autorità non era compreso. Tanto anche se lo avesse fatto ci pensavano da soli a continuare ad arrestare la gente sbagliata, come avevano fatto con Jason, quindi non gli andava granché di aiutarli. Prese un respiro profondo, nel tentativo di recuperare la sua compostezza.
    L'esclamazione sorpresa del corvino, seguita da una risata dai tratti quasi isterici, la convinse ad ascoltare. D'altronde la domanda l'aveva posta lei.
    Già alla prima parte del racconto intuì come mai Gin si fosse tolto il casco senza farsi un briciolo di problema e sì sentì sciocco per non aver pensato che potesse avere i suoi motivi. Aveva il morale talmente a terra che probabilmente non gli importava neanche più di essere riconosciuto. Anzi forse il primo a farsi arrestare voleva essere proprio lui, almeno si sarebbe tolto dall'inghippo. Qual era la pena per aggressione a pubblico ufficiale? Ammesso che un eroe contasse come pubblico ufficiale.
    Castiel si chiese se CYPHER non si fosse sentito così, quando per poco non gli era scoppiato a piangere davanti nel raccontare di Cutter. Forse anche Desmond, ma con lui già le cose erano state molto attenuate, proprio in virtù del fatto che Castiel si era sfogato con il vigilante bianco per primo.
    Ma come aveva fatto un eroe a convincersi che un tizio qualunque potesse avere dei contatti o delle informazioni su Aogiri? Tanto da ricattarlo a quel modo? Quell'eroe non doveva certo brillare di arguzia. Certo, anche Gin non aveva sfoderato la sua miglior carta nel fingere per salvarsi la pelle, ma non si sentì di biasimarlo. Le situazioni di panico spesso spingono a far ragionare il cervello in modo assurdo ed era quasi certo che al suo posto si sarebbe comportato allo stesso modo. «Mh. In effetti fa un po' ridere sì.» rispose, ignorando il fatto che forse avrebbe dovuto avere un po' più tatto. Ma aveva deciso che la faccia di bronzo di Gin non se ne meritava così tanto.
    In un contesto totalmente diverso e che ormai affondava le radici nel passato che lo aveva reso la persona che era adesso, anche lui era stato vittima di un ricatto durato anni e si sentiva impossibilitato anche solo a concepire l'idea di abbandonare una persona ai propri problemi. Se lo avesse fatto non sarebbe riuscito ad addormentarsi. In più, non sapeva se doveva considerare Gin un suo... vecchio fan? Nel caso sarebbe stato ancora peggio.
    Castiel finì per portarsi una mano a sfiorarsi la parte inferiore del casco, sfiorandosi il mento.
    «Come ti chiami? Io sono Seraphine
    Risolse nel per presentarsi, anche se il nome altrui lo sapeva già. Magari Gin aveva un alias da fornirgli o qualcosa del genere. Prima di passare alle cose serie. «Posso aiutarti.»
    Non "forse", non "se vuoi". Si mostrò talmente deciso che per poco non si soprese da solo. Deciso e sicuro di sé. Non come il panico da cui si era lasciato prendere un attimo prima.
    «Se lasci perdere questa storia della polizia.» mormorò, infine, puntellandosi le mani sui fianchi e schiudendo appena le ali di riflesso. L'aria all'interno del vicolo stava cominciando a piacergli sempre meno. Voleva tornare in alto, sui tetti, dove si sentiva sicuro. Ci ripensò. «On a second thought, non importa. – disse, forse con un inglese anche fin troppo perfetto per una nativa giapponese. – Chiamali pure. Basta che dopo ci allontaniamo in fretta. Ti servono solo delle informazioni su Aogiri, giusto?» E mentre lo diceva gli voltò le spalle, tornando a guardare il cielo e poi le pareti del vicolo. Non vi vedeva molti appigli, ma forse poteva usare quella vecchia finestra murata per darsi uno slancio e spiccare il volo, sperando di non precipitare rovinosamente a terra. Era così che si sentiva un gabbiano con le ali impastate di petrolio? Doveva trovare un modo per pulirle, o a casa ci sarebbe tornato a piedi, altroché.
    Si voltò di nuovo verso Gin. «...ehi, non è che per caso hai dell'acqua?»
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    Gin usa provocazione! È superefficace!
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    Nonostante tutto, vedere la reazione della donna gli strappò un piccolo, sadico sorriso. Sebbene quello non fosse certamente il modo corretto di valutare la caratura di una persona, Gin aveva la sensazione di essersi rammollito negli ultimi tempi. Da quando aveva conosciuto Sumire e aveva stretto amicizia con Tobiko gli era sembrato di essere diventato sempre meno irriverente, sempre meno fastidioso, e il servilismo che aveva dimostrato nei confronti di Shoya ne era solo la rappresentazione più evidente. Ovviamente non intendeva incolpare la ragazza e l'amico per questo, quelli erano solo degli indicatori temporali del suo cambiamento. Quanto era accaduto a SALEM, l'incendio a Ueno e l'attacco terroristico, erano ovviamente quelli gli eventi che lo avevano cambiato, così come però avevano cambiato la vita di tutti. Forse si era semplicemente reso conto che la vita era troppo breve per passarla a punzecchiare gli altri o qualcosa di simile. O forse era semplicemente spaventato e non aveva più quel coraggio e quella fiducia in sé stesso che gli permettevano di essere spavaldo come un tempo. Il fatto che ora fosse lì a piangersi addosso e a mettersi in ridicolo era una delle tante conseguenze.
    Fece spallucce quando la tizia sottolineò il fatto che effettivamente la storia faceva ridere: era stato lui il primo a dirlo, non poteva certo prendersela se l'aveva sottolineato, e poi doveva permetterle di restituire la frecciatina che lui le aveva appena lanciato. Se uno sconosciuto in un vicolo gli avesse raccontato una storia simile ne avrebbe sicuramente riso anche lui.
    Oh. - strabuzzò gli occhi sentendo la presentazione dell'altra. Onestamente non se l'aspettava a quel punto, ma era se non altro contento di aver fatto una nuova conoscenza - Io sono Gin. - sorrise facendole un cenno di saluto con la mano. Sapeva che molti colleghi utilizzavano nomi fasulli come gli eroi, e ovviamente dubitava fortemente la tizia si chiamasse davvero Seraphine, ma lui non aveva ancora deciso che cosa fare. A Shoya si era presentato come Silver Dragon ma considerato che era anche il suo nome su BABEL era quasi più rivelatorio quello che presentarsi come Gin, che non era un nome chissà quanto raro. E c'era da dire che per quanto adatto ad un nome su un social Silver Dragon suonava un po' imbarazzante da utilizzare come nome da vigilante.
    Inarcò un sopracciglio alle parole successive. Poteva aiutarlo? Davvero? Non se la sentiva di poter escludere del tutto l'ipotesi che lo stesse semplicemente prendendo in giro per vendicarsi, ma sarebbe dovuto essere davvero un essere spregevole per farlo dopo la confessione che le aveva fatto, qualcuno di ben peggiore di lui persino ai tempi d'oro. E le parole ancora successive lo fecero sussultare: doveva lasciare quei criminali lì per ricevere l'aiuto? Una parte di lui era pronta a rifiutare l'offerta. Forse sarebbe stato in grado di trovare informazioni su Aogiri da qualcun altro o anche da solo in futuro, era tutto nel reame delle ipotesi, ma lasciare quei criminali a piede libero era una questione del presente e dall'esito certo. Lasciare dei criminali a piede libero non era da lui. Quale era stato il senso dell'accaduto, allora? Picchiare dei criminali per il gusto di farlo? Sfruttarli per sfogare le proprie frustrazioni? Non si sarebbe dovuto sentire sporco perché in fondo lui non li aveva neppure toccati ma non riusciva comunque a sopportare quell'idea.
    Fortunatamente mentre rifletteva se accettare o meno la proposta la donna ritirò quella condizione, a costo di allontanarsi in fretta. Il suo volto contrito dai pensieri si rilassò in un sorriso leggermente scosso. Quella serata stava prendendo una piega inaspettata, ma doveva davvero cercare di non farsi troppe aspettative finché non aveva nulla di concreto in mano. Farsi delle aspettative ed essere deluso lo avrebbe semplicemente fatto finire in un posto ancora peggiore e non è che al momento fosse chissà quanto a posto con la testa e con l'umore. Non poteva permettersi né permettere a qualcun altro di abbatterlo ulteriormente in quel momento... ciononostante una parte di lui non riusciva a fare a meno di affidarsi senza riserve a ciò che la ragazza aveva appena detto.
    O-ok. - rispose con voce tremolante - U-umh, no, ma credo che siamo abbastanza vicini al fiume... - si rendeva conto che non fosse la risposta che probabilmente Seraphine volesse sentirsi dire in quel momento ma era evidente che vestiti così non sarebbero potuti entrare in un negozio o in un bagno pubblico per prendere dell'acqua o fare la doccia - Faccio la chiamata e arrivo.
    Dopo aver fatto la sua soffiata anonima si riavvicinò alla collega mentre tentava di rimettersi il casco. Se si fossero mossi da lì sarebbe stato decisamente più sicuro coprirsi il volto, non era certo così stupido da non rendersene conto. Ora che erano più vicini quelle ali sembravano davvero maestose, doveva essere bizzarro possedere un'unicità simile. La sua era sempre stata così discreta... per quanto dei tatuaggi potessero essere discreti in Giappone, ma insomma, non erano delle ali gigantesche.
    Ah! - batté il pugno destro sul palmo sinistro, finalmente era riuscito a capire che cosa gli ricordassero - Sembrano le ali di Castiel! E' un idol, lo conosci? - rispose ridacchiando. Non faceva ormai quel tipo di spettacoli da un po' ma un fan accanito come lui si ricordava senza troppi problemi di quando si era esibito qualche volta utilizzando la propria unicità. A dire il vero, anche se non si sarebbe detto a guardarlo, Gin sapeva veramente tante cose su tantissimi idol, erano una delle sue poche ossessioni. Ma era evidente che comunque l'unicità del suo beniamino e quella di Seraphine fossero diverse considerando che quelle della ragazza erano palesemente una parte perenne del suo corpo, molto probabilmente doveva essere una mutant. Probabilmente non era ciò che la donna aveva in mente ma aveva preso abbastanza per assunto il fatto che l'avrebbe perlomeno accompagnata ad immergersi nel Tama, ammesso che lei non conoscesse posti migliori e più discreti per pulirsi quella sporcizia dalle ali. Immaginava perlomeno che gli avesse chiesto dell'acqua per quello e non perché fosse assetata da un momento all'altro.
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    Non perché faceva ridere la considerava una storia sciocca. In fondo c'erano un sacco di cose che facevano ridere, ma anche riflettere, e non era detto che le due cose non potessero andare di pari passo. Certo, obiettivamente parlando, ridere sulle disgrazie altrui non era proprio un comportamento esemplare, soprattutto se dalla parte della vittima c'eri già stato, ma Castiel era esattamente il tipo di persona che rideva della tua caduta dalle scale. Poi dopo ti aiutava anche eh, ed era capace di vegliare sul capezzale del tuo letto per una settimana a diritto, ma prima rideva e pure di gusto. Non era insensibile e di solito riusciva a leggere il mood della stanza, non sarebbe mai scoppiato a ridere di fronte a dei bambini morti per esempio, ma se eri il primo a prenderti in giro non vedeva perché no. Nessuna sorpresa, quindi, che avesse deciso di esternare il suo "divertimento", prima di provare ad aiutare Gin come poteva.
    Dovette trattenersi dallo sbottare qualcosa sulla scia di: "Sì, lo so che ti chiami Gin", invece, perché quantomeno - nonostante l'inesistente senso di autoconservazione del ragazzo - ebbe modo di scoprire finalmente che si pronunciasse "Gin" e non "Jin" come le creature citate nel Corano, anche se quelle forse avevano due n e erano scritte con altri ideogrammi.
    Rassegnato, si fece sfuggire un sospiro. E niente acqua per lui, pazienza. Si sentiva leggermente turbato all'idea di arrivare fino al fiume, ma ancora non aveva deciso se rifiutare o accettare l'offerta. Doveva essere per i cattivi ricordi che aveva legati all'idea, sempre a causa di Cutter che ce lo aveva fatto precipitare. Senza contare che le sue ali non erano impermeabili, e quindi il pensiero di fare il bagno con esse gli causava un certo senso di malessere: si inzuppavano, diventavano pesanti, e a quel punto non era sicuro sarebbe stato tanto meglio della gelatina. Tuttavia c'era poca altra scelta, se non aspettare che la quella schifezza si sciogliesse da sola. Quanto poteva metterci? Un'ora, due? Non aveva alcun problema all'idea di tornare a casa tardi, tranne il dover dilapidare quelle ore dalla sua beauty sleep schedule.
    Nel dubbio comunque non era da solo e Gin era alto un metro e mezzo in più di lui... tanto valeva avviarsi. Che poteva succedere? Magari camminando per strada potevano sembrare quel tipo di vigilanti che se ne andavano in giro in coppia. A ben pensarci Castiel non aveva nessun partner con cui... "lavorare", oltre Jason e Sakiko. Ampliare le proprie conoscenze poteva fargli che bene, visto che non voleva nemmeno mostrarsi deboluccia e fiacca, dato che Gin stava riuscendo a urtare tutti i suoi trigger uno dietro l'altro.
    "Ah! Sembrano le ali di Castiel!"
    Per l'appunto, ecco.
    Chissà quale sarebbe stata la sua reazione nello scoprire che non solo sembravano, ma che effettivamente erano le ali di Castiel.
    Il ragazzo sotto la maschera della vigilantes si irrigidì per una frazione di secondo e poi si voltò verso il moro.
    «So chi è.» disse, con una faccia di bronzo tale che avrebbe fatto invidia a quelli di Riace. Era una vera fortuna che il casco coprisse la sua espressione in quel frangente, perché non osava immaginare di cosa fosse specchio. Menzione speciale anche per il modulatore vocale che coprì egregiamente la stridula e codarda voce da coniglio che Castiel all'interno del casco aveva sentito forte e chiaro.
    «Devi essere un fan molto appassionato per conoscerne addirittura l'unicità, non lo sapevo.» continuò, e tornò a guardare davanti a sé. La luce sporca dei lampioni piantati a tratti alterni nelle viuzze di Ota-city non gli erano mai sembrate così tremolanti. Era la sua testa che girava o loro ad improvvisare una ballata di girotondo?
    Per qualche motivo si sentiva più sfigato del solito quella sera. Non era cominciata nel migliore dei modi, ma stava proseguendo altrettanto peggio. Non solo la gelatina dei criminali, il fiume e la faccia di Gin. No, adesso doveva scoprire che Gin era pure uno di quei fan oscuri e ossessionati dai suoi Idol da conoscerne vita, morte e miracoli anche se questi si erano ritirati dalle scene più di due anni fa?
    Sarebbe riuscito a tenere salda la sua farsa fino in fondo oppure il giovane lo avrebbe sgamato prima perché... si ricordava come camminava avendolo visto in video? No perché al momento lo sospettava sul serio. Nel dubbio, meglio farlo camminare davanti.
    «Ti dispiace fare strada, Mr. Quartiere? – esordì, senza la vera pretesa di prenderlo in giro, ma chiamarlo Gin, gli sembrava un po' troppo... troppo. Che poi, se non avesse saputo che Gin era il suo vero nome, avrebbe benissimo potuto credere fosse un alias qualunque, ma il fatto che lo sapeva gli rendeva quasi impossibile arrivare a quel pensiero. – Non vengo spesso da queste parti.» "E non mi piace l'idea del fiume, quindi credo che potrei finire per perdermi di proposito nei vicoli per non arrivarci".
    Come sempre, meglio tenere i propri pensieri per sé. Se Gin avesse accettato di fare strada, si sarebbe messo in marcia dietro di lui, che per grazia divina aveva accettato di rimettersi il casco dopo aver chiamato la polizia, perché Castiel sarebbe stato capace di infilarglielo con la forza in caso contrario.
    Ora che il primo problema sembrava arginato, rimaneva il secondo: avrebbe dovuto iniziare a parlare di Aogiri, ma non sapeva come attaccare il discorso. Attaccarlo dove poi, non era mica un adesivo. Non sapeva granché di Aogiri, meno che mai informazioni utili che sarebbero potute interessare ad un eroe... a pensarci, qualcosa non tornava. «Quindi, cosa vorrebbe sapere il tuo eroe? Non dovrebbe essere il suo lavoro raccogliere informazioni?» intavolò, con una punta di cinismo nemmeno troppo lieve nel tono di voce. «Non deve essere uno granché famoso o bravo, se chiede a te di farlo. – scrollò le spalle, sotto i solidi rinforzi del suo costume. – Hai mai sentito parlare di... 12th Division? Il vigilante bianco? Ti prego, non dirmi di no
    Insomma, ogni occasione era buona per ficcare in mezzo CYPHER, ma sperava ardentemente che non fossero nomi completamente sconosciuti alla mente di Gin, perché non era sicuro di come avrebbe fatto a spiegarsi altrimenti. D'altronde lei era solo una povera vittima sopravvissuta, l'ultima ruota del carro in termini di informazioni.
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    GIN NAKANO
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    Per prima cosa, una volta uscito dal vicolo Gin si rimise il casco. L'idea di camminare tranquillamente per le strade del quartiere aveva un nonsoché di bizzarro: chissà se qualcuno li avrebbe scambiati per degli eroi o, al contrario, per dei criminali. Il suo "costume" era decisamente anonimo e in tutta onestà non si meritava neppure quell'appellativo, sarebbe benissimo potuto passare per un motociclista qualsiasi, ma per quanto riguardava la sua compagnia... quello era tutto un altro paio di maniche e quelle enormi ali di certo non aiutavano nel non attirare sguardi indiscreti. Con un po' di fortuna però non avrebbero incontrato nessuno, al massimo qualche occhiata dalle finestre: la zona era abbastanza tranquilla nonostante tutto e la vicinanza con una zona contaminata non aiutava certo il turismo serale, motivo tra l'altro per il quale la sua ronda nel quartiere non aveva portato risultati di rilievo.
    Beh... mi piace la musica giapponese e le canzoni degli idol. - disse tranquillamente, scrollando le spalle - Forse potrà sembrarti stupido, ma se non altro mi danno una qualche sicurezza quando tutto sembra andare storto. - solitamente esistevano due tipi di persone al mondo: i fan affiatati come lui e le persone totalmente disinteressate a quell'industria e che consideravano chi la seguiva quasi come fossero dei pazzi. Considerando che Seraphine non si era messa a saltare sul posto dalla felicità di come avesse notato che la sua unicità era simile a quella di Castiel immaginava appartenesse alla seconda tipologia. Se si parlava di j-pop e di j-rock Gin avrebbe probabilmente potuto parlarne per giorni come se stesse parlando di tatuaggi. Seguiva innumerevoli gruppi e aveva ascoltato numerosi concerti. Era persino uno di quegli ultimi romantici che ancora permettevano all'industria della musica su supporto fisico di non collassare su sé stessa. Quello però non gli sembrava il miglior argomento da affrontare nella loro camminata verso il fiume: in quel momento ad attirare la sua attenzione erano ovviamente le presunte informazioni su Aogiri che la ragazza poteva servirgli.
    Non si sentiva pienamente a posto con sé stesso ad approfittare della sua gentilezza considerando che il suo apporto nello scontro coi due criminali era stato praticamente nullo e non aveva neppure l'acqua che gli era stata richiesta, ma in una situazione come quella in cui si trovava purtroppo non poteva fare a meno di dover rispondere a quell'impulso egoista. Magari sarebbe riuscito a sdebitarsi in futuro, in un modo o nell'altro. Chissà, magari avrebbe potuto farle un tatuaggio gratuitamente o qualcosa di simile (il che sta a dire che no, non aveva neppure del denaro con cui ricompensarla).
    Sì, ok. - rispose inclinando il capo alla richiesta della vigilante - Ma puoi chiamarmi Gin, davvero. - da come pareva aver preso su personale la frase sul "suo quartiere" sembrava quasi che la ragazza facesse spesso la ronda lì e volesse fargliela pesare. A quel punto era evidente che Gin non fosse del posto ma se non altro sapeva come arrivare al fiume. Non la strada precisa chiaramente, ma aveva visto la direzione dal tetto, poco prima. E poi siamo onesti: era un fiume, non un lago, era decisamente difficile mancarlo. Sarebbe davvero servito andare nella direzione totalmente opposta per farlo. Si mise quindi alla guida della parata, un paio di passi avanti alla compagna.
    La domanda sulle intenzioni di Shoya lo colpì in una parte già ben consumata del suo cervelletto: ovviamente era da un bel po' che si interrogava sulla questione. Cosa voleva? Non ne aveva la minima idea. Perché aveva chiesto a lui? Ne era egualmente all'oscuro. In tutta onestà se doveva attenersi al quadro dipinto da Sumire e Tobiko sul ragazzo non c'era probabilmente un vero esito positivo a quella storia e il ragazzo ne stava approfittando solo per tenerlo "in ostaggio" finché non fosse tornato utile o solo perché considerava divertente farlo. Non lo conosceva e poteva basarsi solo sull'opinione altrui ma non sembrava proprio il più altruista e filantropico degli studenti usciti dalla Yuuei. Detto questo non aveva alcun diritto di giudicarlo sia perché non lo conosceva sia perché in fondo il ragazzo non era in torto: quello che stava giocando contro le regole e soprattutto contro la legge era lui. Indipendentemente dagli obiettivi del membro delle forze dell'ordine questo fatto non sarebbe cambiato. Quella era la consapevolezza con cui doveva convivere: il semplice voler aiutare le persone non era abbastanza per metterlo dalla parte dei giusti. E per quanto fosse supportato almeno indirettamente da Tobiko sapeva benissimo che anche Sumire l'avrebbe pensata nello stesso modo. Non riusciva però a fare a meno di chiedersi chi avesse più a cuore il benessere del popolo giapponese, il suo amico che gli permetteva di agire e che lo aveva allenato o l'altro, che sembrava disposto a seguire le leggi solo finché spezzarle non gli avrebbe permesso di avvantaggiarsi personalmente. Abbattere Aogiri serviva a proteggere le persone o alla propria soddisfazione e al proprio prestigio?
    Ah boh, va a sapere. - e sebbene stesse cercando di sminuire le cose, la realtà era appunto che non aveva davvero una risposta - Che poi dovrebbe pensarci la polizia, non un eroe, no? - fece spallucce - A indagare, dico. - specificò, non convinto di ciò che aveva detto la compagna - In ogni caso suppongo che ci siano certi limiti e certe leggi che neanche loro possono superare. Sai, come quando nei film la polizia trova la prova definitiva per incastrare il colpevole ma l'ha ottenuta andando contro alle regole e non può utilizzarla. - l'esperienza di vita di Gin, di vita criminale perlomeno, era decisamente bassa a differenza di ciò che avrebbero testimoniato i suoi tatuaggi. Era convinto, ciononostante, che la questione fosse quella: se in così tanti anni la polizia non sembrava aver trovato piste utili per fermare l'organizzazione terroristica forse l'unico modo per trovarle era agire fuori dalle regole. Ciò detto concordava decisamente con la vigilantes riguardo al fatto che lui fosse la persona meno adatta a cui chiederlo. Era però stato lui stesso a ficcarsi in quella situazione, non poteva farci molto. Il gioco delle colpe sarebbe potuto risalire fino all'incontro con Sumire ma era troppo facile scaricare le responsabilità in quel modo.
    Ora, Gin era davvero ottuso riguardo a quel mondo. Era assolutamente sbagliato, avrebbe dovuto farlo, ma non seguiva molto le notizie. Come detto, lui non si considerava un vigilante o un'eroe e guardare il notiziario sulle imprese degli eroi e della criminalità non serve a molto quando ambisci a fermare piccoli rapinatori e rissosi ubriachi. Fortunatamente però non poteva non aver mai sentito parlare di 12th Division e avrebbe glissato riguardo quel presunto "vigilante bianco", fingendo di avere perfettamente chiara la situazione e col proposito di informarsi su internet una volta giunto a casa. Anzi, no, sul tragitto o avrebbe semplicemente dimenticato di farlo.
    Ah, certo! - borbottò sbattendo il pugno destro chiuso sul palmo della mancina aperta, come fosse finalmente giunto all'illuminazione - Sono quelli che fermano sempre gli attentati di Aogiri, giusto? - chiese conferma giusto per essere sicuro - In effetti se c'è qualcuno che può sapere qualcosa su Aogiri devono per forza essere loro. - era una risposta così ovvia, ma non ci era arrivato proprio perché aveva sempre considerato le cose strettamente collegate alla sua morale e la sua area di influenza personale. Quelli giocavano nelle big leagues ma lui era un semplice tizio qualsiasi che picchiava i rapinatori. Eppure cos'era a distinguerli? La loro età? La loro influenza? Probabilmente il loro coraggio, ma realizzando che non ci aveva mai neppure pensato minimamente... un po' lo fece sentire onestamente stupido. Come al solito, a trattenerlo e a frenarlo era semplicemente la sua mancanza di fiducia in sé stesso. Era tanto spavaldo quando parlava con gli altri quanto insignificante quando si trovava da solo con sé stesso, incapace di affidarsi un valore da solo.
    Siamo punto e a capo, però. - il martello della razionalità lo colpì ancora una volta, inchiodandolo di nuovo a terra - Non conosco questi tizi e immagino che cercare informazioni su di loro sia ancora più difficile che farlo su Aogiri. - leggasi: non posso picchiare altri vigilantes per chiederglielo se voglio chiedere il loro aiuto. Per quanto Gin fosse una persona non violenta ed estremamente diplomatica (non si direbbe, vero?) l'idea di riuscire ad approcciare un "collega" per una chiacchierata sembrava decisamente improbabile anche per lui.
    Aspetta... - mise le meningi in moto. Se aveva posto la domanda in quel modo doveva esserci un motivo, no? - Sei... Sei tu? Il vigilante bianco? - chiese un po' perplesso, per poi dedicarsi ad un lungo piano sequenza sul suo costume che era decisamente tutt'altro che bianco - Per... le ali...?
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    Quella risposta lo riempì d'orgoglio. Fu difficile mantenere una parvenza di decenza di fronte al ragazzo dagli occhi d'ambra, quando gli fece quella confessione; sciocco da parte sua aver creduto di essersi col tempo abituato a quel genere di discorsi. Non ci si abituava mai, soprattutto quando arrivavano all'improvviso. Sapere di far del bene all'anima delle persone con la propria musica era una sensazione malamente traducibile a parole.
    Il viso in fiamme sotto la maschera, quasi si sentì tornare bambino, quando aveva scoperto la musica, il canto e quanto ambedue le cose gli piacessero. Sì, era quello che aveva sempre cercato di trasmettere. Sicurezza, ma anche gioia, e a volte semplicemente presenza. Sapere di non poterci essere fisicamente per ogni persona che ne aveva bisogno era la dura realtà con cui dovevi fare i conti una volta arrivato sul grande palcoscenico del mondo, per questo veicolare le proprie emozioni attraverso le canzoni diventava la forma d'arte più vicina ad una comunicazione tra lo spettatore e l'artista. Castiel si ricordava ancora la prima volta che si era sentito dire "grazie, le tue canzoni mi hanno salvato" da una ragazza malata, emozionante e terribile al tempo stesso.
    Ecco, forse l'unica cosa più bizzarra di andarsene in giro per strada bardati come condottieri, era l'essere finiti a parlare di idol e musica giapponese come nulla fosse.
    «Non ti stavo prendendo in giro. – rispose, facendo spallucce. – Conosco abbastanza idol da poterne andare fiera.»
    E quella era tutt'altro che una bugia, anche se li conosceva ad un livello totalmente diverso da quello inteso da Gin.
    Un sospiro, cercando di mettere di nuovo in moto il cervello. Chissà che faccia avrebbe fatto il tatuatore se avesse scoperto che sotto quella maschera nera c'erano i capelli verdi di uno dei suoi idol preferiti? Si sarebbe imbarazzato per le parole che aveva appena detto? O magari lo avrebbe preso in giro per tutta quella farsa nella quale si faceva credere una ragazza? Castiel si rese conto che desiderava scoprirlo.
    Fortunatamente la voce dell'altro gli rimbalzò in testa fermandolo dal fare una pazzia appena in tempo.
    «Ti chiamo come mi pare.» ribatté stizzito, con tutta l'antipatia di cui era capace, e sminuì il fatto con un gesto della mano, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa. In realtà voleva solo dirgli di muoversi.
    Poi lasciò che il motociclista prendesse il controllo di quella bizzarra parata, e si mise a seguirlo in coda, chiudendosi le ali sulla schiena per renderle meno ingombranti.
    La sua domanda sul lavoro da eroe ebbe una risposta talmente piena di dubbi che Castiel si rese conto avrebbe fatto meglio a non farlo. Lui non sapeva niente su come funzionava quel sistema: prima di conoscere Midori non aveva neanche idea di dove si trovasse con precisione la Yuuei, tanto per dire. Suo fratello maggiore, Richard, aveva un diploma da Pro-Hero. Ma non aveva mai veramente esercitato la professione, dopo averlo preso. E tempo dopo era andato a fare l'insegnante, quindi non credeva nemmeno lui fosse una fonte attendibile. Oltretutto in America probabilmente le cose erano diverse.
    Scosse la testa.
    «Non ne ho idea, mi dispiace. A meno che i telefilm polizieschi non siano una fonte attendibile da cui reperire informazioni.» ed era pronto a scommettere qualche piuma che non lo fossero.
    Castiel era completamente all'oscuro di qualsiasi argomento riguardasse il funzionamento delle forze dell'ordine. Non era che le ritenesse incompetenti, ma nemmeno del tutto competenti – visto quello che era capitato a suo cugino. Essendo l'esperienza più vicina alla sua pelle con cui si era ritrovato ad avere a che fare.
    In tutta quella cacofonia di pensieri, l'essere paragonato a CYPHER fu per lui come un bel pugno nello stomaco. Castiel si sentì immediatamente come il peggiore degli impostori, e si fece sfuggire un lamento inorridito, roteando il capo come se qualcuno il cazzotto glielo avesse tirato davvero. No, era tutto terribilmente sbagliato. Fosse stato a sua volta un vigilantes degno di essere ricordato per qualche epica impresa forse non gli avrebbe nemmeno dato noia, ma sentirsi paragonare ad una delle persone per cui provava un'ammirazione più profonda della fossa delle Marianne era come sentir paragonare uno scarabocchio di un bimbo delle elementari ad un quadro di Picasso.
    «Ma ti pare.» replicò secco, e anche in maniera piuttosto scocciata, intuendo che Gin doveva avergli detto tre o quattro frottole sull'avere idea di chi fosse. Certo, poteva venirgli il dubbio che fosse lui l'esagerato per essersi andato a cercare qualunque ritaglio di giornale in cui era comparso Ren Okada negli ultimi vent'anni, ma preferì concentrarsi sul palese modo in cui Gin era riuscito a farsi sgamare. In ogni caso decise di non fargliela pesare. Non troppo, almeno. «Avrei cose più importanti da fare, se lo fossi. – aggiunta superflua quanto il discorso degli idol, ma CYPHER non gli era sembrato esattamente il tipo che amava perdere tempo. Anche se con lui l'aveva perso eccome, probabilmente malvolentieri. – E comunque, si chiama così perché il suo costume è bianco, non per le ali.»
    Questa volta era il suo turno di giocare la parte della fan ossessionata, Gin se ne sarebbe potuto accorgere senza problemi.
    Scese il silenzio per qualche istante, che Castiel riempì con l'ennesimo sospiro, continuando a camminare per strada, mentre i tacchi delle sue scarpe producevano un ritmico ticchettio. Gin era una persona molto diversa da come l'aveva immaginata dopo la prima volta che l'aveva incontrata. Poteva essere situazionale, ma sembrava piuttosto ingenuo, quasi... fuori luogo. Come un adesivo che qualcuno aveva preso ed incollato nel posto sbagliato. Un personaggio di cartoon network messo in un anime seinen dai toni troppo maturi.
    Come potergli spiegare perché sapesse quel poco che sapeva su come contattare 12th Division? Doveva considerarsi fortunato che nessun giornale aveva mai messo le mani sulla notizia "famoso ex-idol accoltellato nel cuore della notte", altrimenti Gin lo avrebbe saputo per certo e la sua copertura sarebbe saltata.
    «Diciamo che ho avuto le mie vicissitudini con Aogiri? Per... errore. Mi sono trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Cose che capitano. Uno dei loro serial killer mi ha attaccato, e questo è il risultato.» disse, indicando sé stessa e il proprio costume come se stesse presentando un prodotto al supermercato. Una risposta piuttosto diretta e con pochi fronzoli, ma non gli andava di approfondire ed era meglio non decorare un racconto dell'orrore con dei fiocchettini rosa. Praticamente l'intera identità da vigilantes di Seraphine girava attorno a quello. Ma non c'era da stupirsi, l'aver preso il thè con la morte aveva profondamente cambiato il suo modo di vedere le cose.
    Castiel fissò la lunga coda di capelli neri di Gin che sfuggiva dal suo casco oscillare contro la sua schiena, e dovette frenare l'impulso di toccarla e chiedergli se potesse farci una treccia per distrarsi.
    «Non volevo mica dire che devi sapere qualcosa, che staremmo parlando a fare sennò? – si affrettò ad aggiungere, con la stessa rapidità di cerca disperatamente di evitare di pensare. – Però credo di poterti portare da loro. Quel che vuoi fare dopo non mi interessa, ma hanno salvato anche me. Penso che possano aiutarti.»
    In realtà non era sicuro.
    Già se lo immaginava Druid a dire che gli eroi non dovevano immischiarsi in quella storia: con ogni probabilità avrebbe selezionato con cura le informazioni giustamente sbagliate affinché Gin le consegnasse al suo eroe che lo teneva sotto scacco. Non per depistarli di proposito; Castiel aveva incontrato il vigilante verde solo una volta - dopo che CYPHER aveva fissato per lui un appuntamento il giorno seguente a quello in cui si erano dati appuntamento owo incontrati sulla Tokyo Tower -, ma gli aveva dato un impressione decisamente strana. Come se volesse tenere gli altri lontano dall'organizzazione criminale, ma per tenerli... al sicuro? Era come se fosse stato convinto che mettere i bastoni fra le ruote fosse compito suo e di nessun altro. Non ne aveva davvero idea. Dopotutto l'uomo non lo aveva accettato nel suo network perché era... "troppo famoso"? Aveva avuto l'impressione che volesse generare meno sospetti possibili e gli aveva lasciato soltanto l'indirizzo di quella palazzina di Shinjuku.
    «Ah, fiume in vista.» fece, di colpo, accorgendosi di come dall'altro lato della strada su cui erano appena sbucati si scendesse improvvisamente verso un argine. E così superò Gin, quasi a saltelli e plano lungo la riva, come se volesse fuggire da un discorso scomodo.
    Non aveva intenzione di farsi il bagno, e sarebbe stato complesso non mezzarsi completamente, ma una volta giunto sulla sponda si sarebbe chinato e avrebbe cominciato meticolosamente a pulire le piume. Una per una.
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    Edited by Ryuko - 13/8/2022, 20:45
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    La risposta della ragazza riguardo la questione idol lo lasciò un attimo confuso ma non ci mise molto a comprendere che quel muro di indifferenza che Seraphine sembrava costruire attorno alla propria persona serviva a proteggerla. Avrebbe certamente avuto molto da imparare da lei: solo perché non lo mostrava non significava non le piacesse la musica e così via, semplicemente cercava di dare meno informazioni possibile riguardo a sé stessa. Quell'idea e quel mondo, nonostante tutto, apparivano ancora completamente estranei al Nakano. Certo, se indossava quella divisa e quel casco era per non farsi riconoscere, ma la questione riguarda più la possibilità di essere addestrato che la vera e propria necessità di tenere nascosta la propria identità, tanto che l'incontro con Shoya era sbocciato nell'assolutamente contraddittoria necessità di mostrare il proprio volto per tenere i propri dati nascosti. In quel senso Gin era davvero un semplice ragazzino che andava in giro a picchiare i criminali e non aveva proprio nulla di vigilantes.
    Decise deliberatamente di non proseguire il discorso sulle serie televisive dedicate alla polizia, convinto fermamente che pur essendo romanzate come qualsiasi prodotto televisivo al mondo dovevano in fondo nascondere un minimo di verità. Al di là di ciò, però, Gin era all'oscuro delle vicissitudini della polizia e degli eroi tanto quanto la ragazza indipendentemente dalle sue amicizie e dai suoi affetti. E la verità era che, in fondo, neppure gli interessava molto: dubitava che comprendere i meccanismi di funzionamento delle forze dell'ordine sarebbe riuscito a cavarlo da quella situazione. Cosa avrebbe dovuto fare, andare dall'eroe a dirgli "non ho intenzione di darti alcuna informazione perché dovrebbe occuparsene la polizia"? Era certo che una conversazione simile sarebbe finita nel migliore dei casi nell'arresto che tanto aveva cercato di evitare e, nel caso sfortunato, in qualcosa di molto peggiore. Se Shoya era giunto fino a lasciarlo andare nonostante l'aggressione per ottenere quelle informazioni era evidente che non aveva comunque intenzione di giocare seguendo le regole. Onestamente Gin aveva pensato di affidarsi a Tobiko per farsi cavare fuori da quella situazione, ad esempio facendogli fare un qualche tipo di segnalazione, ma per quanto Gin fosse stronzo ed egoista il suo orgoglio non gli avrebbe permesso di chiedere al ragazzo una cosa simile a rischio di rovinarsi la carriera.
    Giustamente la ragazza ammise di non essere il "vigilante bianco". Non è che Gin pensava davvero lo fosse, era più una battuta che altro, ma non si sa mai. Onestamente sarebbe stata solo un'aggiunta alla lista di persone famose incontrate durante le ronde notturne che non aveva la minima intenzione di incontrare. Un pensiero un po' contraddittorio considerando che, al momento, il suo intero destino pendeva dalle sue labbra. Aveva bisogno di quelle informazioni o, insomma, di un contatto con quell'organizzazione in questo caso.
    Certo, certo. - si permise di borbottare sotto voce, senza contribuire in alcun modo alla conversazione, riguardo all'origine del soprannome di quel vigilante. Come se la stampa non fosse solita affibbiare nomignoli stupidi in ogni caso. La rivelazione successiva della donna lo lasciò un attimo sconvolto, facendogli spalancare gli occhi schermati dalla visiera del casco. Era stata attaccata da un killer di Aogiri? E perché? Aveva detto di essere "nel posto sbagliato nel momento sbagliato", forse era stata una testimone di qualcosa che non avrebbe dovuto vedere? Come mai l'avevano presa di mira? Normalmente la paranoia di Gin lo avrebbe portato ad arrovellarsi su queste cose, ma nonostante la normale e morbosa curiosità umana in quel momento il pensiero che lo attanagliava era tutt'altro. Si sentiva... insignificante e sporco. La ragazza era stata assalita da un assassino ed era costretta ad andare in giro con tutta quella roba addosso per la propria incolumità e lui si era buttato in tutta quella storia solo per sentirsi utile. Non era una questione di essere supereroi o meno, non voleva avere una "origin story" tragica ed epica, si sentiva solamente presuntuoso. Si era ficcato da solo e da incompetente in una storia dove sì, c'erano in giro criminali pericolosi e la gente moriva. E la sua stupida idea di puntare solo a bassa criminalità come se fosse più sicuro era davvero stupida, perché chiunque poteva trovarsi "nel posto sbagliato nel momento sbagliato". Era evidente che quella storia non facesse per lui, per un semplice errore la ragazza era stata aggredita da un killer professionista, cosa sarebbe successo a lui che avrebbe dovuto ficcare il naso negli affari di Aogiri volontariamente? A quel punto l'idea che la prigione fosse comunque meglio della morte si fece più forte che mai, inutile negarlo.
    U-u-umh... - si trovò naturalmente a tentennare. Era solo un ragazzo normale, impegnato con l'università e nel negozio del padre, ma da quella maledetta serata al SALEM la sfortuna non sembrava volerlo abbandonare. Onestamente iniziava a pensare di non poterne più, non c'era un motivo per fare quelle cose, era solo stato presuntuoso. Forse avrebbe dovuto raccontare la verità a Sumire sperando nell'improbabile eventualità che capisse. Forse invece era meglio che lo rifiutasse, così sarebbe potuto espatriare da qualche parte, ripartire da zero, scomparire come un fantasma. Chi poteva dire che Aogiri non lo avesse già notato e stesse solo aspettando il momento giusto per eliminarlo? E se Seraphine fosse semplicemente il suo angelo della morte, pronta a strangolarlo con la testa sott'acqua una volta giunto al fiume? Tutto sarebbe potuto finire da un momento all'altro e nessuno avrebbe pianto più di tanto al suo funerale, ne era certo.
    C'era però un'altra parte di lui, pur vessata dalle paranoie, che riusciva ancora a vedere uno scopo in tutto ciò che stava accadendo. Voleva salvare le persone, giusto? E chi diceva che fosse giusto sventare delle rapine ma non fermare il terrorismo? A livello logico era il secondo a mietere più vittime delle prime. Forse non era stato presuntuoso nel pensare che avrebbe potuto aiutare la città, lo era stato pensando che fermare qualche criminale senza arte né parte potesse avere davvero qualche influenza sulla città. Forse non doveva tirarsi indietro, doveva buttarsi avanti. Forse, ormai che era in ballo, valeva la pena di ballare con tutti sé stessi finché la musica non sarebbe finita del tutto.
    Per quanto Gin avrebbe amato essere un supereroe dei fumetti e avere la risposta in tasca, essere così coraggioso e onorevole da dare la propria vita per quella degli altri senza pensarci due volte... non lo era, crudo e semplice. Non poteva deglutire i dubbi e decidere di votarsi ad una vita di volontario combattimento del terrorismo così, tra le strade di una Ota-city notturna e vuota. Per ora il semplice fatto di considerarla come opzione bastava, doveva bastare, non c'era praticamente altro da dire.
    Immerso nella paura, Gin realizzò di essersi abbandonato al "pilota automatico" osservando Seraphine pulirsi le penne (o piume?) a qualche metro da lui sulla riva del fiume. Non aveva intenzione di avvicinarsi. Il suo sguardo si soffermò sul fiume: placido nel suo letto sembrava scorrere lentamente come petrolio. Tempo addietro Gin aveva rappresentato Sumire come un mare notturno e imperscrutabile, una profondità così calmante ma allo stesso spaventosamente impossibile da comprendere. Forse, come spesso accade, l'artista si era illuso di rappresentare qualcun altro aprendo solamente sé stesso. Quell'orizzonte era sì al contempo calmante e spaventoso, facendogli realizzare nulla se non la propria vuotezza.
    I-io... - la voce gli si strozzò in gola - Io vorrei quel contatto, se possibile! - dopo aver deglutito, urlò alla ragazza per colmare la distanza. Non poteva essere certo che avrebbe avuto il coraggio di contattarli ma, in ogni caso, in quel momento quella sembrava l'unica scelta giusta possibile. Portò le mani al petto, cingendo la tremolante mano destra nella mancina, e accennò un profondo inchino per ringraziare la ragazza della disponibilità. Forse c'era davvero qualcosa che poteva fare, semplicemente non era mai stato abbastanza risoluto da volerlo fare.
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    CASTIEL "SERAPHINE" LEROY
    ● VIGILANTES ● GOOD OMENS ● LIVELLO #8 ● SCHEDAPortfolioART
    Se Gin avesse saputo quanto in realtà la vicenda sua e quella di Seraphine si somigliassero forse si sarebbe sentito meno insignificante. Castiel non considerava la sua origin story tragica o epica: la considerava una pagliacciata. Una pagliacciata di cui aveva la colpa. Perché? Perché si era illuso e convinto, nell'esatto momento in cui aveva compreso le intenzioni di Cutter, che fermarlo fosse compito suo - normale civile con un animo altruista e sotto sotto un po' eroico. Si era voluto sentire importante. Perché "nel posto sbagliato nel momento sbagliato" avrebbe avuto senso se non avesse avuto mezzi per scappare, ma li aveva avuti eccome, aveva arbitrariamente deciso di non farlo abbagliato dall'ideologia se non era lui era qualcun altro. In fondo, non era niente di diverso da Gin, che voleva fermare i rapinatori che incrociava per strada, ma ciò non rendeva automaticamente coraggiosi, a volte rendeva... incoscienti. E l'incoscienza si pagava cara.
    Quella notte sulle rive del Sumida, Castiel non aveva potuto prevedere che quello che lui aveva scambiato per un semplice malintenzionato fosse un serial killer di Aogiri e, dopo il suo successivo incontro con CYPHER e 12th Division, poteva dire con certezza che nessuno nella grande rete criminale lo avesse preso di mira per qualche motivo a lui sconosciuto; Cutter era un individuo che molto spesso agiva senza un preciso criterio, a sentir loro, e averlo incontrato era stata una sfortunata coincidenza.
    Per quanto lo desiderasse, non gli era possibile cambiare il passato, né tantomeno poteva dimenticarlo. Per come erano le cose adesso, non aveva altra alternativa che lavorare su sé stesso; un proposito di cui si era già fatto carico, ma a cui non sempre riusciva ad esser fedele.
    Incapace di leggere i pensieri, tuttavia, nessuna parola abbandonò le labbra della vigilantes dal volto ben celato dal casco - non prima di essere arrivata al fiume -, indi per cui lasciò l'orientale a perdersi nel nero oblio dei suoi pensieri.

    Riemerse dalle acque quasi in concomitanza con il grido altrui; gli stivali, i guanti e la parte di suit che gli copriva polpacci e caviglie, fradici. Non era il massimo, ma almeno le ali erano... non era sicuro di poterle definire pulite dopo averle lavate nella baia portuale di Tokyo, perlomeno avrebbero asservito alla loro funzione di farlo arrivare alla doccia di casa propria. Il loro colore era bianco tale quale a prima, tuttavia, le sentiva meno oleose e tanto gli bastava.
    Una volta sulla riva, Castiel le scosse come un cane bagnato avrebbe fatto con il proprio pelo, e si accinse a risalire l'argine in cima al quale lo aspettava il corvino.
    Pensare che si fosse volontariamente ridotto a fare una cosa del genere; lo avesse saputo Sakiko sarebbe inorridita. Magari anche Gin avrebbe avuto la stessa reazione a sapere chi c'era lì sotto e lo avrebbe guardato schifato; l'anonimato a volte aveva i suoi pregi. Pensandoci, forse aveva davvero fatto la figura di vigilantes esperta quella sera. Qualunque opinione il ragazzo si fosse costruito in testa di Seraphine, sperava solo di essere riuscito ad aiutarlo, anche se poco e in maniera marginale. «A Yotsuya, nella parte sud di Shinjuku, c'è un'agenzia di detective privati. Si chiama Möbius, chiedi di parlare con Druid.» disse, una volta che lo ebbe di nuovo affiancato. Se fosse stato ancora con il muso rivolto verso terra gli avrebbe dato un colpetto sulle spalle per fargli intendere che non c'era bisogno di essere così formali. Il modo in cui il ragazzo gli si stava rivolgendo assomigliava troppo ad una richiesta disperata e non gli piaceva guardare il riflesso di ciò che lui aveva fatto con il vigilante bianco. Anche perché, come già detto, non si riteneva in grado di reggere il confronto.
    «Puoi dire che ti ha dato il loro contatto...»
    ...il ragazzo con i capelli verdi, concluse nella sua mente. Sotto il casco, fece una smorfia.
    «Seraphine. Non dovrebbero sapere che mi chiamo così, ma ricorda loro della persona con le ali. Andrà bene.» concluse, decisamente un filo troppo ottimistico. Era molto probabile che Druid non si ricordasse di lui, CYPHER meno che mai, nonostante volesse sperarci ardentemente. La sua speranza era che non si insospettissero troppo e che non sparassero a vista al povero tatuatore.
    Rimase in silenzio e attese un'eventuale risposta del corvino. Non sapeva che altro aggiungere: aveva la certezza che lo avrebbero aiutato? No. Che gli avrebbero dato delle informazioni utili? Nemmeno. Ma di certo lo avrebbero protetto.
    Di quello ne era sicuro.
    Perché era così che funzionava, giusto?
    Fra "colleghi" ci si aiuta. Castiel era dell'opinione che ci si dovesse aiutare anche al di fuori di quell'ambito. Senza una maschera e con dei vestiti da normale cittadino indosso.
    Se Gin non avesse avuto nulla da aggiungere, era il momento che ognuno tornasse sulla propria strada. Per Castiel, era quella di casa. Avrebbe chinato il capo in un cenno di saluto e gli avrebbe augurato buona fortuna, prima di spiegare le ali e decollare verso l'interno del fiume.
    «Spero di vederti ancora, Gin.» sarebbero state le sue ultime parole, poi una violenta folata di vento e sull'argine di Seraphine non sarebbe rimasta nemmeno l'ombra.

    ---

    Quaranta minuti più tardi, la luce del frigorifero in mezzo ad una cucina completamente buia stava illuminando il viso di un Castiel indeciso se concedersi uno spuntino di ben oltre mezzanotte oppure no. Tristemente il deserto sui ripiani gli stava solo ricordando che avrebbe dovuto fare la spesa quanto prima. Un asciugamano poggiato sui capelli verdi ancora umidi per la doccia, Castiel chiuse lo sportello e tornò nella propria camera, dove c'era l'aria condizionata a salvarlo dal caldo estivo. Il costume di Seraphine era appeso all'armadio, inquietante come un dissennatore fantasma in mezzo ad una tempesta. Era raro che se lo portasse a casa, ancor più raro che non lo facesse sparire in quelle diavolerie elettroniche che chiamavano chip, ma non riusciva a smettere si pensare che doveva pulirlo perché sapeva di fiume.
    Al momento però, era troppo stanco per fare qualsiasi cosa che non fosse infilarsi sotto le coperte. Poggiata la testa sul cuscino, incurante del torcicollo con cui si sarebbe svegliato la mattina successiva, dato dalla micidiale combo capelli bagnati più aria condizionata, prese il cellulare e controllò le ultime notizie su Babel. Il suo feed era uguale al solito, e non seppe cosa lo portò a cercare di nuovo il ragazzo dai capelli corvini della festa di SALEM. Voleva controllare se era ancora fidanzato? Forse.
    Chissà cosa stava facendo. Era tornato a casa e si stava arrovellando su ciò che gli era capitato? Dormiva già? Era ancora in giro per Haneda? Le sue dita si mossero da sole. Aprirono una chat vuota, digitarono una messaggio e premettero invio. Poi chiusero il social, bloccarono lo schermo e misero il telefono a faccia in giù sul comodino, ben intenzionate a non riprenderlo fino alla mattina successiva, mentre il loro proprietario si girava dall'altra parte tirandosi un sottile lenzuolo bianco fin sotto il naso. Il messaggio diceva: "Spero di vederti ancora, Gin".
    I'll be the bright in black that's makin' you run
    contattiwww
     
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