Crimson Beauty Under the Moon

Somewhere in Shibuya || Role ; Castiel & Masao (Extra)

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    CASTIEL LEROY
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    Morire dissanguato in uno squallido vicolo di Tokyo non era proprio ciò che Castiel aveva programmato di fare quando si era trasferito nella metropoli giapponese, e – di certo – non era neanche il modo in cui immaginava sarebbe finita la sua vita. Eppure, era quello che stava succedendo. Le strade di Shibuya non gli erano mai parse così grigie ed ostili, i vicoli stretti, bui, che si schiacciavano come sardine in mezzo a condomini altissimi che svettavano verso il cielo, pieni di insegne, lampioni opachi e cavi della corrente che rendevano impossibile prendere il volo. Castiel si sentiva a pezzi, ferito nello spirito quanto nel fisico, ogni singolo rumore sufficiente a farlo sussultare spaventato con il terrore di veder spuntare quel folle mascherato alle sue spalle, pronto a piantargli un coltello in mezzo alla schiena.
    Ad averne il tempo, ci sarebbe stata una lunga digressione da imbastire per spiegare le attuali circostanze, ma il tempo era la sostanziale cosa che mancava, lì. Castiel si stava sforzando con tutto sé stesso di rimanere lucido, in testa un solo pensiero: doveva tornare a casa, recuperare un cellulare, chiamare Jason e farsi portare in ospedale. O quantomeno a quella clinica di cui gli aveva parlato un paio di volte e di cui non ricordava l'indirizzo. Non aveva niente con sé se non il suo stupido orologio da polso che segnava l'una e mezzo di notte, ricordandogli quanto potesse essere lungo lo scorrere dei minuti.
    Era ironico, nemmeno mezz'ora prima aveva pensato come quello potesse essere il suo ultimo autunno, ed adesso si ritrovava lì, steso a terra, stremato, con i vestiti strappati e sporchi di sangue. Il suo sangue. Se non fosse stato per quello e per le due enormi ali bianche che gli spuntavano dalle scapole e si posavano a terra appena socchiuse, come quelle di un uccello ferito, qualcuno lo avrebbe potuto scambiare per un ubriaco accasciato al suolo. A voler essere più romantici si sarebbe potuto pensare ad un angelo caduto, ma la verità era che Castiel era che era arrivato lì a balzi, saltando da un tetto all'altro e sfruttando le pochi correnti d'aria che era riuscito a trovare per planare come poteva, ma – partendo da Tsukiji – Shibuya non era proprio dietro l'angolo. La fatica aveva iniziato a farsi sentire dopo i primi chilometri, e Castiel aveva iniziato a perdere il senso dell'orientamento. Si era sforzato e si era spinto avanti finché aveva potuto, solo la sensazione di dolore a tenerlo sveglio, ma ad un certo punto aveva semplicemente ceduto.
    Le ali non avevano più retto il suo peso e lui aveva fatto un volo di circa quattro metri e mezzo dalla cima di un palazzo. No, non era comunque per quello che stava sanguinando. Stava sanguinando perché era appena stato aggredito da un maniaco, che aveva di sua sponte deciso che accoltellarlo fosse una buona idea, e precipitando a quel modo non aveva fatto altro che aggiungere mani e ginocchia sbucciate alla sua collezione di ferite e abrasioni.
    Castiel aveva la mente annebbiata, respirava a fatica, il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente su e giù, e stava tremando: il vento autunnale non era bastato ad asciugarlo dopo il bagno nel Sumida, aveva freddo e si sentiva pesante. Forse doveva ritenersi fortunato che l'esodo di massa avesse reso Tokyo quasi deserta, perché se qualcuno lo avesse trovato adesso non avrebbe proprio saputo cosa dire. Si sentiva la gola secca, il suo corpo gli stava disperatamente chiedendo di fare qualcosa per tutti i liquidi che aveva perso, e persino la sensibilità nelle ali si stava facendo via via più rarefatta, indice che era stanco e che, da lì a poco, gli sarebbero venute meno anche le forze per tenere attivo il suo quirk. Era un miracolo che fosse in qualche modo riuscito ad attutire la caduta. Riverso a pancia in giù sull'asfalto, Castiel sollevò appena il viso, la frangia ci capelli verdi gli inumidiva ancora la fronte.
    Sapeva che non poteva permettersi di perdere coscienza, con ogni probabilità non sarebbe stato trovato fino alla mattina dopo, e a quel punto...
    Una valanga di pensieri lo sommerse. Forse doveva chiamare aiuto. Forse sarebbe dovuto andare in ospedale subito, al posto di temere di dover spiegare la situazione o generare un polverone inutile visto chi era. Forse in fin dei conti se lo meritava: aveva giocato a fare l'eroe ed il risultato era quello. Forse aveva ingenuamente pensato che volando ce l'avrebbe fatta comunque, se ci era arrivato all'andata non vedeva perché avrebbe dovuto riscontrare problemi al ritorno. Solo che all'andata non era ferito e non perdeva sangue ad ogni battito d'ali.
    «Ugh--.» un singhiozzò spezzato gli abbandonò le labbra, e gli occhi gli si inumidirono di nuovo. Ormai non aveva nemmeno più le energie di piangere. Che fine patetica. Con un ultimo sforzo, tentò di sollevarsi sui gomiti per l'ennesima volta, ma le braccia gli cedettero ancora e, senz'altra scelta che quella, Castiel ricadde prono con il viso sull'asfalto. Doveva almeno provare a trascinarsi verso il muro, ma a vederlo sembrava così... lontano. Poco più avanti c'era la saracinesca chiusa di un negozio. La luce scarseggiava: sembrava tutto così... cupo e distante. Non era un bel posto dove esalare i propri ultimi respiri. Non si vedevano nemmeno le stelle, e Castiel non era certo se non si vedessero perché erano in città o perché era lui, con gli occhi lucidi e la vista offuscata, a non riuscire a scorgerle.
    Chiuse gli occhi. Ci mancava davvero solo la pioggia.
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    Masao Suzuki
    C'erano serate in cui Masao Suzuki si sentiva un vero Eroe.
    Le serate passate pattugliando le strade con Shinjiro e Desmond, la suit di suo padre addosso, il passo sicuro. Le ore buie consumate allenandosi con Asami nell'usare il proprio Quirk, simulando combattimenti, preparandosi al momento in cui avrebbero dovuto lottare davvero.

    E poi c'erano serate come questa, in cui Masao Suzuki si sentiva fatto di nulla.
    Serate passate in ufficio fino a tarda notte, cercando disperatamente di finire il report che doveva riscrivere perché era tutto sbagliato, sentendosi piccolo e inutile e stupido perché i kanji gli sguazzavano davanti agli occhi e lui sapeva di aver dimenticato un errore da qualche parte, ma non capiva dove ed era così frustrante, perché poi il capo lo avrebbe sgridato di nuovo dicendogli che era frettoloso e superficiale anche se lui aveva passato ore e ore a rileggere quel documento, ed era stato attento, ma quegli errori di distrazione continuavano a sfuggirgli e non capiva perché.
    Serate in cui preferiva evitare la metro per tornare a casa a piedi, valigetta in mano e una sigaretta tra le labbra, perché sarebbe dovuto essere in ufficio di nuovo tra sette ore e non c'era differenza tra il dormire cinque ore o il dormirne quattro, tanto al risveglio si sarebbe sentito una merda lo stesso.

    Tanto valeva camminare, quindi. Respirare un po' di aria fresca mentre ripeteva i suoi soliti calcoli mentali su quanto pagasse ogni mese in affitto (troppo), quanti soldi lui avesse nel conto in banca (non abbastanza); quante settimane avrebbe potuto permettersi di vivere senza un lavoro (ahaha) prima di essere costretto a tornare a da sua madre con la coda tra le gambe.
    Che poi licenziarsi per fare cosa, Masao? Che altri lavori saresti in grado di fare con la tua istruzione e le tue nulle abilità? Sei troppo vecchio ormai per-

    Oh.

    C'è un angelo sanguinante in mezzo alla strada.




    Istanti di shock, cervello che elabora la scena prima di entrare automaticamente in Hero Mode.
    Reazione immediata: proteggere. Premette la sigaretta contro un muro, si cacciò il mozzicone in tasca e colmò la distanza che lo separava dal ferito con un paio di falcate, lasciandosi cadere di fronte a lui.
    Rapidi sguardi a destra e a sinistra prima di concentrarsi sul ferito. Il vicolo era vuoto.

    Situazione: donna (o uomo?) alato riverso a terra. Niente suit, pantaloni un tempo bianchi e maglietta. Un civile.
    Sangue ovunque. Accoltellato? Troppo sangue per essere una rapina finita male. Un tentato omicidio?
    Trattenne il fiato.
    Nessun rumore oltre a quello delle gocce di pioggia che avevano iniziato a infrangersi sul selciato.

    Prese il volto del civile tra le mani (così freddo) e lo sollevò appena, cercando di ottenere la sua attenzione.
    Poche parole, scandite lentamente:

    "Ti stanno seguendo?"

    Non aveva armi e non aveva la suit indosso. Cosa usare come proiettile in caso di un attacco? La sua valigetta. Accendino. Pacchetto di sigarette. Telefono. E in caso di agguato alle spalle, avrebbe potuto contrattaccare.
    I suoi allenamento notturni con l'Agente Asami l'avevano preparato a situazioni simili. Non era molto bravo nel combat a distanza ravvicinata, ma sapeva come usare il suo Quirk per spingere via eventuali avversari. Guadagnare spazio e tempo. Fuggire.

    Sangue. Troppo sangue. Vaghi ricordi da serie tv: se ti accoltellano, non estrarre l'arma dalle carni. Ma cosa fare quando l'arma è già stata estratta?
    Premi sulla ferita.

    Si tolse la giacca, la appallottolò tra le mani e si rigirò, piazzandosi di fianco al civile per premergli il tessuto sulla schiena, scostandogli delicatamente le ali per cercare di capire da dove stesse uscendo tutto quel sangue.

    "Resta con me. Ora chiamo un'ambulanza, okay? Andrà tutto bene, però devi cercare di non addormentarti."

    Difficile tirare fuori il cellulare dai pantaloni quando hai la mano sporca di sangue. Difficile digitare il 119 quando la pioggia ti cade sullo schermo e fa impazzire il touch screen.
    Lieve imprecazione.

    "Resta con me. Come ti chiami?"

    Un altro trucco imparato dalla televisione: fai domande semplici. Verifica lo stato mentale della persona, cerca di tenerla sveglia.

    Non sei felice, Masao Suzuki?
    Anche questa sera puoi sentirti un vero Eroe.

    Scheda • Vigilantes • Livello 3 • Energia: 175/175 • Forza: 030 • Quirk: 070 • Agilità: 050 • Peso: 0/4



    Edited by Whatnot - 6/11/2020, 19:50
     
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    Tud Tud Tud. Castiel ci mise qualche attimo a realizzare che quel rumore non provenisse dal cuore che gli martellava nel petto, quanto piuttosto da dei passi in cima alla strada. Trasalì, e – mentalmente – si diede dell'idiota: se stava succedendo sul serio, avrebbe preferito morire in quell'esatto istante.
    Tentò di sollevare il viso, ma il collo gli doleva e la paura che il suo aggressore potesse davvero averlo seguito non lo aveva ancora abbandonato. Il suo ultimo bagliore di razionalità continuava ad urlargli che era impossibile, Castiel non era mai stata una persona in grado di perdersi d'animo facilmente, ma in quell'equazione c'era una variabile che non aveva mai considerato prima: la paura. Era stanco, terrorizzato e spaventato come può solo esserlo un animale braccato durante la caccia. Non riusciva a ragionare in modo lucido, e non era certo se sperare o meno di trovarsi di fronte un agente di polizia in ronda. L'ultima cosa che voleva fare in quel momento era mettersi a dare spiegazioni, ma ancora meno voleva essere scambiato per un ubriaco, o peggio, un drogato, finito male per via di una rissa. Non aveva esperienze con la giustizia in Giappone, ma aveva visto com'era finita con suo cugino, e non scalpitava per ripetere l'esperienza. La luna era coperta dalle nuvole e grazie alle luci artificiali di Tokyo, in cielo non brillava una singola stella. Era tardi, era buio, l'unico bagliore esistente proveniva dal fiacco sfolgorare di un qualche lampione non troppo vicino, e non era proprio il migliore dei momenti per farsi sorprendere – magari dalle forze dell'ordine – in un vicolo secondario, a terra e coperti di sangue.
    Istintivamente, Castiel si accartocciò su sé stesso, serrando i pugni e gli occhi, lasciando che due lacrime gli rigassero le guance, prima di cadere sull'asfalto ed andare a mescolarsi con le sottili gocce di pioggia che avevano iniziato a cadere dal cielo. Si sentiva così patetico. Voleva scappare, voleva andarsene, non aveva le forze per andarsene o volare via, uno scroscio di emozioni negative lo stava invadendo, odiava quel vicolo, odiava il suo aggressore, odiava sé stesso per non essere scappato subito e... tump.
    Qualcuno si era appena gettato di fronte a lui.
    Castiel socchiuse appena gli occhi. Lentamente, si sentì sfiorare le guance, poi sollevare il viso.
    Un uomo. Biondo. Giacca e cravatta. Una morsa sul cuore. ...Aki?
    Stava davvero morendo ed aveva le allucinazioni?
    Le palpebre calarono a coprire le iridi violacee un paio di volte. Castiel mise a fuoco, solo per realizzare di essersi sbagliato. Non era Akihiko, solo uno che gli assomigliava vagamente.
    Registrò la sua voce con qualche istante di ritardo.
    Lo stavano seguendo? Per Dio, sperava di no.
    Ispirò e fece per rispondere, ma la boccata d'aria presa per farlo gli arroventò i polmoni, facendolo tossire appena e facendogli realizzare che aveva sete, per cui si limitò a scuotere debolmente la testa.
    Chi era? Stava cercando di salvarlo? Castiel non ebbe molto tempo per pensarci su, perché lo sconosciuto decise di togliersi la giacca e premere sulla ferita, forse a fin di bene, ma niente gli impedì di soffocare un rantolo dolorante. Sulla schiena e giù lungo i fianchi c'erano sei lunghi tagli, non profondissimi, ma tutto quel sangue veniva da lì. Era come se un'istrice lo avesse puntellato tirando fuori gli aculei. Decisamente particolare per una rapina finita male, anche se Castiel non aveva nulla con sé. Era più probabile pensare all'attacco di un quirk, ma in quel caso perché era fradicio, se aveva cominciato a piovere soltanto ora?
    Castiel non sapeva se poteva fidarsi o meno: per quanto ne sapeva poteva essere un altro malintenzionato, la sua fiducia nell'umanità aveva preso una bella batosta quella sera, ma la stanchezza stava avendo la meglio e in quel momento sarebbe andato bene chiunque, purché lo portasse a casa.
    Stava per abbandonarsi definitivamente a quei pensieri, quando captò una parola: ambulanza. Il suo cuore riprese a pulsare, in preda all'agitazione. No. No. No. Ambulanza voleva dire ospedale, e ospedale voleva dire finire nei casini. Non voleva. Voleva essere portato alla clinica. O a casa sua.
    Jason gli aveva lasciato delle... cose, dalla clinica. Medicine. In caso di emergenza. Forse pensava più a sé stesso che a Castiel, ma forse gli bastava prendere quelle e sarebbe stato meglio, no?
    Con la coda dell'occhio scorse il cellulare dell'individuo. Racimolò i suoi ultimi grammi di forza, allungò il braccio, sul quale campeggiava un lungo taglio, e gli afferrò il polso, per fermarlo.
    «N-No! Niente a-ambulanza. Per favore...» boccheggiò, con un po' di fatica, sentendosi come se tanti piccoli coltelli lo stessero perforando ad ogni parola. Dal contatto, Masao avrebbe potuto percepire come la stretta di Castiel possedesse a malapena la forza di serrarsi attorno a qualcosa.
    Il ragazzo dai capelli smeraldo si fece coraggio: doveva mostrarsi lucido, o avrebbe preso le sue parole per i vaneggiamenti di un folle. Aveva perso tanto sangue, ma adesso che aveva un appiglio non aveva intenzione di rassegnarsi e dire che non c'era più nulla da fare. Cerò un contatto visivo con lo sconosciuto dai capelli biondi. «Castiel. – mormorò, un soffio, gli occhi lucidi e la voce non molto limpida. – Mi chiamo... Castiel. D-Devo andare a casa... per favore...»
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    Masao Suzuki
    Una mano serrata intorno al suo polso.
    Una supplica.
    "Niente ambulanza".

    Voce maschile. Non una ragazza, quindi - e forse non una vittima innocente.
    Niente ospedale. Non voleva casini. Perché?

    "Ciao Castiel, io mi chiamo Masao. Non preoccuparti, sei al sicuro ora."

    Un errore.
    Mai presentarsi col proprio nome vero in simili situazioni. Stupido stupido stupido. Gli aveva risposto d'istinto, per rassicurarlo, e non aveva pensato prima di aprire bocca.
    Troppo stanco. Troppo agitato.
    Respira.

    "Niente ambulanza." Confermò, scandendo con chiarezza ogni parola. "Niente ospedale. Ma non puoi andare a casa così, hai bisogno di cure. Ti porto da qualcuno che può farti stare meglio, okay? Non un ospedale. Un amico che non ti farà domande."

    Troppo sangue. Troppa acqua. Ora che lo schermo del cellulare illuminava debolmente il vicolo, aveva notato quanto fossero umidi i vestiti e le ali di Castiel.
    Il ragazzo non era solo freddo: era zuppo. Perché?
    Pensaci dopo. Priorità: evitare ipotermia. Come? Non aveva altri vestiti da dargli; la sua giacca era già zuppa. Abbracciarlo? Aveva paura di smuoverlo. Peggiorare la situazione.
    Quelle ali bagnate sembravano così ingombranti.

    "Ora chiamo qualcuno che ci può aiutare. Intanto, tu devi fare una cosa importantissimissima per me." Intrecciò le dita della mano destra con quelle del ferito. "Tieni le orecchie bene aperte e stringimi la mano forte se senti arrivare qualcuno, okay?"

    Bravo, tienilo sveglio. Dagli qualcosa da fare. Intanto pensa a chi chiamare. Il dottore dai tre nomi che ti aveva versato del caffé addosso? Il numero ce l'avresti in rubrica.
    Ma questo non è il momento giusto per capire se puoi fidarti di un semi-sconosciuto.

    Strusciò lo schermo del cellulare contro il ginocchio, cercando di asciugarlo, per poi selezionare un numero più familiare - e stupendosi nel vedere la chiamata venir accettata dopo pochi istanti.
    Un nome esalato in un sospiro di sollievo:

    "Des."

    E se Masao "usare il tuo nome proprio mi mette a disagio" Suzuki era arrivato ad accorciare il nominativo di Desmond, significava che la situazione era veramente grave.

    "Scusa l'orario. È un'emergenza." Parole veloci, che tradivano un filo di agitazione. "Avevi detto che conosci una persona che ci può aiutare quando qualcuno si fa molto male, giusto?" Cellulare in precario equilibrio tra orecchio e spalla, tornò a fare pressione sulla ferita, alla disperata ricerca del precario equilibrio tra il non fare troppo male al ragazzo e il non far uscire troppo sangue. "Sono con un civile ferito in un vicolo che non vuole farsi portare in ospedale. Sto cercando di fare pressione sulle ferite, ma c'è un sacco di sangue, e..."

    E per un attimo si chiese quanto sangue avrebbe dovuto versare Desmond per poter curare simili lacerazioni.
    Se lo immaginò sdraiato lì a terra, al posto di quel ragazzo alato,
    (stessi capelli lunghi)
    coperto dalle sue stesse ferite.
    E dovette deglutire a forza per reprimere un conato di vomito.

    "Ah... Io... Non penso sarebbe saggio smuoverlo in queste condizioni. Idee sul come procedere? Posso gestirmela da solo, ma mi serve il tuo supporto a distanza."

    Un istante di pausa.

    "Che poi che ci fai sveglio a quest'ora?"

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    Come da accordi presi in off, lascio ora spazio a Sapph per una veloce comparsata telefonica :neko:
     
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    DESMOND P. ARCHISORTE
    Con una vecchia felpa troppo grande di un paio di taglie, pantaloni della tuta pure quelli non della sua misura e una coperta con le maniche a offrirgli un'ulteriore protezione dal freddino che colpisce la gente stravaccata sul divano, Desmond era la massima espressione della pigrizia.
    Immerso nella tranquillità interrotta solo dalla colonna sonora del noto videogioco strategico in cui era completamente immerso, non sembrava curarsi della tarda né del sonno che non aveva, godendosi quel momento che-- la suoneria del cellulare lo fece tornare sul pianeta Terra, facendogli attorcigliare lo stomaco per la preoccupazione.
    C'era una sola persona che aveva motivo di telefonare a quell'ora e se lo stava facendo era perché qualcosa era andato storto.
    Che il clown fosse tornato al ristorante? Se Shinjiro aveva bisogno d'aiuto doveva muoversi.
    «Tachibana?»
    Quella sì che era una sorpresa.
    "Des."
    Uh.
    Quella sì che era una grossa sorpresa, aveva davvero usato quel nomignolo? Proprio lui che si imbarazzava a chiamarlo per nome?
    Ascoltò in silenzio quelle parole rapide, comprendendo in fretta il perché di quella chiamata.
    "C'è un sacco di sangue"
    Oh no.
    Una preghiera a Naga o chiunque governasse questo mondo che non stesse per chiedere anche il suo aiuto di Caster in grado di curare le ferite, perché se c'era un sacco di sangue il biondo avrebbe dovuto portare in ospedale non una ma due persone.
    Un sacco di sangue.
    Gli veniva la nausea al solo pensiero.
    «Sono un archeologo, Tachibana, le uniche persone incontrate durante la mia carriera sono morte da qualche secolo.»
    Un attimo di pausa.
    «Ma dispongo di una connessione a internet e ho visto tutte le puntate di Dr. House e Grey's Anatomy, vediamo che possiamo fare in attesa dei veri soccorsi.»
    Senza contare che anche le situazioni estreme mostrate in Chicago Fire gli avevano fatto capire diverse cose potenzialmente utili in quella situazione! Laureati in medicina levatevi proprio che è arrivato il vero esperto.
    «Ti mando contatto e posizione di quella persona che ti può aiutare, non chiede documenti e non fa domande.»
    La dottoressa Omori o uno dei suoi colleghi erano sicuramente più competenti di lui, senza contare che magari avevano qualche collega in zona.
    Lo avevano, no?
    "Che poi che ci fai sveglio a quest'ora?"
    Un lungo, lunghissimo momento di silenzio.
    «Potrei farti la stessa domanda, ma direi che siamo entrambi abbastanza grandi per renderci conto da soli delle pessime scelte di vita che stiamo compiendo.»
    Come se la musichetta di sottofondo non fosse stata abbastanza eloquente.
    Ma no era il momento di perdersi in quel tipo di discorsi, un civile aveva bisogno di lui.
    VIGILANTES


    Mi è stato chiesto questo serissimo intervento e chi sono io per rifiutare? Chiaramente Desmond non prende exp né nulla, sono qui solo per la gloria.
    ...
    Dai, chiamiamola così.
     
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    Castiel non si aspettava che lo sconosciuto gli desse ascolto. Insomma, chi mai avrebbe dato ascolto ad un tizio sanguinante sdraiato nel bel mezzo di un vicolo buio alle due di notte? Evidentemente quel Masao sì.
    Castiel non si oppose, intrecciò le dita con quelle dell'altro e annuì. Debolmente, ma annuì. A dire il vero non ci credette nemmeno per un secondo che non volesse sul serio chiamare l'ambulanza, ed immaginò fosse solo uno strambo modo di tranquillizzarlo mentre digitava il numero dei soccorsi. Non che avesse altre forze per opporsi. Poteva quantomeno dire di averci provato. Non ci credette fino a che non sentì la sua voce chiamare qualcuno. Qualcuno che non era l'ospedale né l'ambulanza, perché non era quello il modo in cui ci si rivolgeva al 119. Le parole gli arrivavano un po' distanti e ovattate, ma era ancora in grado di razionalizzare una cosa semplice come quella. Stava chiamando un amico.
    Ed a Castiel per un momento venne il dubbio di essersi imbattuto in una persona come lui e Jason. Più come suo cugino, probabilmente. Perché lui non aveva mai preso una batosta del genere ed era la prima volta che si trovava messo così da aver un disperato bisogno di aiuto. Se non altro Masao avrebbe dovuto esserne fiero, perché non era per niente facile essere una prima volta di Castiel.
    Realizzato ciò che stava succedendo, quella certezza fu abbastanza da fargli esalare un sospiro di sollievo non indifferente. Era davvero al sicuro. Ci mancò poco che non finisse per abbandonarsi alle lacrime sul serio. Forse, la dea bendata non lo aveva ancora abbandonato.
    Castiel voleva andare a casa. Non perché gli mancasse casa sua, o meglio – in quel momento – anche, ma perché da lì avrebbe potuto recuperare il proprio cellulare e chiamare Jason, che forse avrebbe potuto poi portarlo alla clinica. Se era sveglio.
    Perché Castiel non si ricordava mai indirizzi e numeri di telefono. Troppi numeri, troppe informazioni, il suo cervello le processava in fretta ed altrettanto in fretta le dimenticava. Per questo si segnava sempre tutto, agenda, calendario del cellulare, teneva in ordine casa, erano tutti trucchi che gli avevano insegnato i dottori per imparare a gestirsi e tenersi impegnato: non aveva una mente per niente matematica e l'unica cosa che sapeva a memoria erano i testi delle sue canzoni preferite. Ed ora era lì, senza supporto, inutile. La sua autostima a brandelli, resosi conto di quanto impotente fosse anche solo senza un cellulare.
    Aveva bisogno di aiuto e non credeva ci fosse niente di sbagliato nel chiederlo, solo non sapeva quanto chi aveva di fronte fosse disposto ad aiutarlo. Poteva chiedergli di accompagnarlo fino alla clinica?
    Castiel sapeva che era vicino a Roppongi, ma non sapeva di preciso dove. E forse era chiedere troppo.
    Forse avrebbe dovuto limitarsi a farsi prestare il telefono e... cosa?
    Non sapeva a memoria nemmeno il cellulare di Jason. Peggio di così non poteva davvero andare (aveva anche iniziato a piovere). Eppure in qualche modo quella stretta di mano lo stava facendo sentire come se avesse ancora una speranza, un appiglio, qualcosa.
    Lentamente le piume sulle ali cominciarono a seccare come foglie in autunno, un po' accartocciandosi su loro stesse, prima di solidificarsi e tornare ad essere niente più che la ramificazione ossea di un paio di ali scheletriche, che presero a farsi sempre più piccole, fino a sparire - in meno di un paio di secondi - fra le scapole di Castiel. La sua maglia era un top sbracciato che gli lasciava scoperte le spalle, per ovvi motivi, e senza le ali a fare da ingombro i tagli erano più visibili, seppur nei limiti della scarsa luce del vicolo. In realtà ormai non sanguinavano nemmeno più così tanto, le ali ed i vestiti avevano tratto in inganno perché le piume e la stoffa avevano assorbito il rosso del sangue inzuppandosi, ma - appunto - il sangue era già stato perso, ed il corpo di Castiel aveva già iniziato a fare del suo meglio per tappare i buchi come poteva. Nessuna ferita sembrava aver preso organi vitali, vene o arterie importanti, c'era solo uno dei tagli, quello più in alto sulla spalla sinistra, che aveva un colorito decisamente più fuorviante degli altri: circondato da un alone rosso scuro, tendente al violaceo, era l'unico taglio che non pareva nemmeno aver iniziato a rimarginarsi. Bruciava più delle altre ed era dove Zhen lo aveva colpito con la lama iniettata di mercurio, anche se Castiel non ne aveva ovviamente idea.
    Castiel si schiarì la voce, tossendo appena; aveva finito per arrendersi ed aveva disattivato il proprio quirk, non per arrendevolezza, ma semplicemente perché non ce la faceva più.
    «A Roppongi... c'è una clinica...» mormorò, inconsapevolmente confermando le parole di Desmond dall'altro capo del telefono. Se lo avesse saputo e la situazione fosse stata un'altra si sarebbe messo a ridere, pensando a quanto fosse piccolo il mondo. Non conosceva Desmond, se non di vista, ma nel suo futuro prossimo (ammesso che ne avesse uno) c'era in programma di fare con lui una lunga chiacchierata, perché non era da tutti riuscire a far breccia in quella faccia di bronzo che era suo cugino e l'inglese, chissà come, pareva esserci riuscito ad opera d'arte. «Non so l'indirizzo... – altro leggero colpo di tosse. Castiel tentò di sollevare il viso. Dolore al collo, pessima idea. – E non ho un cellulare con me...»
    Modo carino per dire o mi presti il cellulare e me la cavo da solo o mi ci porti e ti sarò riconoscente per tutta la vita. Con "per favore" scritto a caratteri cubitali a fianco in tutte e due i casi.
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    "Potrei farti la stessa domanda, ma direi che siamo entrambi abbastanza grandi per renderci conto da soli delle pessime scelte di vita che stiamo compiendo."

    "Hey, io ho finito di lavorare mezz'ora fa, mica cazzeggiavo."

    Al contrario di qualcun'altro. Però era felice di aver trovato Desmond sveglio a cazzeggiare, davvero.
    Perché ora sapeva cosa fare.
    Perché le sue pessime battute gli avevano strappato una risatina.
    Perché con una voce familiare accanto, quel vicolo sembrava meno buio.

    "Okay grazie, provo a chiamare la clinica. Tu intanto magari googla cosa fare quando qualcuno ha..." Scostò la giacca che stava premendo contro la schiena del ragazzo, chinandosi in avanti per farsi luce col cellulare e controllare meglio lo stato delle ferite. Non vomitare. Non vomitare. "Tagli sulla schiena profondi. Bordi puliti. Penso sia stato accoltellato. E..." Sfiorò le ali di Castiel, cercando di scostarle gentilmente per esaminare meglio la parte alta della schiena. "Ha un taglio sulla spalla che sembra... Arrossato? Infetto. Boh. Ha i bordi quasi viola. Mi affido a lei, Doctor in-House: mi messaggi se trova qualcosa di utile."

    Un attimo di pausa.

    "E poi vai a dormire."

    Terminò la chiamata, tornando a concentrarsi sul ferito, e-

    "Eeegh."

    Trattenne a stento un gridolino strozzato.
    Le ali. Gli stavano appassendo le ali. Piume che cadevano come foglie secche.
    Male. Molto male. Agli alberi cadono le foglie quando MUOIONO. Gli angeli funzionavano come gli alberi? A QUANTO PARE. Stava morendo? POSSIBILE. Cosa fare cosa fare cosa fare?
    Calmati, Masao. Respiri profondi. Non mostrarti spaventato o finirà per spaventarsi anche lui. E no, non puoi stringertelo al petto come un uccellino caduto dal nido, gli faresti male.

    "A Roppongi... c'è una clinica... Non so l'indirizzo..."

    "Ce l'ho io," rispose in un fil di voce, spostando lo sguardo sul contatto che gli aveva appena mandato Desmond.
    Clinica. A Roppongi. Impossibile coincidenza. Come faceva quel civile a conoscerla? Forse non era un civile? Niente armi né suit. Un novellino? Pensaci dopo. Non è importante.

    Nonostante quel che aveva detto a Castiel, fu lui quello che finì per stringergli la mano fortissimo, dita che letteralmente vibravano per l'agitazione - mentre, con falangi altrettanto tremanti, cercava di tenere saldo il telefono mentre chiamava la clinica.

    "Salve. Ho un'emergenza."

    La telefonata durò giusto un paio di minuti. La buona notizia: la clinica era pronta ad accoglierli e sapeva che stavano arrivando. La cattiva notizia: non avevano modo di venirli a prendere, come invece aveva sperato. Avrebbe dovuto chiamare un taxi. Farci salire il ferito in qualche maniera. Coprirlo con... Cosa? Sollevò la giacca appallottolata che teneva ancora in mano. Zuppa di sangue.
    Aveva troppo sonno per inventarsi balle sensate da propinare al tassista.
    Mascherine. Aveva delle mascherine chirurgiche nella valigetta che aveva abbandonato a terra - usate per nascondersi il volto durante le sue prime ronde. Potevano usarle per rendersi meno riconoscibili.
    Il salaryman biondo e il ragazzo sanguinante coi lunghissimi capelli verdi.
    Antisgamo proprio.
    (Che poi quel volto, dove l'aveva già visto? Aveva un'aria vagamente familiare ma non riusciva a ricordarlo)

    "Okay." Deglutì. "In clinica ci aspettano, ma dobbiamo arrivarci in taxi." Cosa mai fatta prima, oltretutto, perché chi li ha mai avuti i soldi per un taxi. Nessuna obiezione, sperava, perché non aveva altri piani.

    Un passo alla volta. Googla "servizio taxi notturno Tokyo". Apri maps e controlla in che via ti trovi. Chiama il taxi. Annuncia dove ti trovi e conferma che ti farai trovare in fondo alla via. Visto? Nulla di difficile. Un'altra telefonata lunga una manciata di secondi.
    Respira. Fa freddo, piove, il mondo è buio e bagnato. Ma ce la stai facendo. Puoi salvare questo ragazzo.
    Il breakdown mentale lo puoi avere dopo averlo portato in clinica.

    "Riesci ad alzarti in piedi?" Nel caso Castiel avesse avuto provarci, lui sarebbe stato pronto ad assisterlo. Altrimenti boh, l'avrebbe preso in braccio. Era alto più o meno quanto lui, ma sembrava meno pesante, ora che non aveva più le ali.
    Più fragile.
    (Non scordarti la valigetta)
    "Le tue ali... È una cosa grave?" domandò, non riuscendo proprio a nascondere il terrore che gli incrinava la voce.

    Dimmi che non mi stai morendo davanti agli occhi.

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    CITAZIONE
    Fai pure arrivare il taxi durante il tuo turno se hai voglia, Ryuko.
     
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    Castiel non era esattamente un novellino. Certo, improvvisarsi angelo custode di Jason – persino contro la sua volontà – non lo rendeva chissà quale vigilantes navigato nel crimine, ma per lo meno sapeva a cosa andava incontro comportandosi in un certo modo. O almeno, avrebbe dovuto saperlo; perché quella sera qualcuno aveva rotto la sua campana di vetro ed il suo inesistente senso del pericolo lo aveva ridotto così: un patetico sputo sull'asfalto. Il punto era il suo esser uscito di casa in semplice veste di Castiel Leroy e non di... qualsiasi nome da vigilantes che non aveva. E forse sarebbe dovuto rimanere Castiel Leroy fino alla fine, scappando sentendosi in pericolo, al posto di improvvisarsi il nuovo giustiziere della notte buia e profonda. Bastava guardarlo per capire che non era adatto a diventare il nuovo Long Shadow. Era snello, affusolato, e con quel viso angelico che non avrebbe spaventato nemmeno una mosca.
    Castiel non sapeva a chi stava telefonando Masao, dai discorsi che captava forse un dottore, ma era grato di non essere solo. Castiel odiava la solitudine, era troppo abituato a stare in compagnia. Se stava da solo per troppo tempo il suo umore ne risentiva. Ed al momento, la sua sola presenza lo stava tenendo sveglio. Essere feriti ed essere feriti con qualcuno accanto erano due cose completamente diverse.
    Una parte di lui lo sapeva già, perché stando male quattro volte l'anno con cadenza periodica, sapeva già cosa voleva dire avere qualcuno accanto disposto ad aiutarti, anche di poco. Era una bella sensazione, rassicurante, in qualche modo, e quella di cui aveva bisogno in quel frangente per non collassare.
    E quella stretta di mano gli stava facendo capire che era ancora vivo. Il che non era poco.
    Le parole di Masao lo fecero raggelare comunque, come se non fosse già abbastanza freddo: prendere un taxi. In quelle condizioni. Castiel si morse impercettibilmente le labbra ed un tremolio lo scosse appena. Avrebbe voluto evitare con tutto se stesso, ma... aveva forse altra scelta? Era consapevole d'aver evitato tutte le strade possibili fino ad ora per paura di dover dare spiegazioni, ma... probabilmente no.
    L'ombra del dubbio si fece spazio nella sua mente. Non... lo stava ingannando, vero? Lo avrebbe portato sul serio alla clinica di Roppongi e non ad un ospedale, sì?
    Forse stava esagerando con la paranoia, ma vista la sua situazione era comprensibile. Però era tardi. Non c'era gente. Pioveva. La giacca scura. Era buio. Il sangue si vedeva solo sotto la luce di una torcia. O un lampione acceso. Un mucchio di variabili potevano farlo sembrare solo un ubriaco fradicio per la pioggia. Forse far passare il sangue per vino sarebbe stato un po' meno facile, ma bastava riuscire a tener salda la propria poker face. E Castiel era anche un mezzo attore, sapeva fare questo e altro.
    In poche parole, non gli restava che fidarsi. Annuì e si fece forza: restare incollati sull'asfalto umido non avrebbe portato a niente. Sollevò debolmente il braccio privo di graffi, si strofino gli occhi, per togliere le lacrime e lo tese verso l'uomo in giacca e cravatta. Ormai solo cravatta, a dire il vero. Sì, ancora non era così disperato da essere costretto a farsi portare in braccio, ma alzarsi da solo era fuori discussione. Per quello prima aveva tentato di trascinarsi verso il muro, le sue gambe stavano bene, ma aveva bisogno di un appoggio per tirarsi su e per rimanere in piedi. E se lo prese senza fare troppi complimenti, perché al momento era troppo stanco per fare caso ai problemi che i giapponesi avevano con il contatto fisico: si addossò a Masao con il braccio sano, e si tirò i capelli ancora umidi sulla schiena, a coprire i tagli. Sollevò lo sguardo, scrutò ciò che rimaneva del vicolo di fronte a loro e, notando come la luce sembrasse così lontana, si chiese se sarebbero arrivati prima loro o il taxi. Si trattava solo di mettere un piede davanti all'altro, non era difficile.
    Alla domanda dell'altro, scosse appena la testa. «No, è il mio quirk, ma non riesco più a... – confessò, con voce flebile, ma non finì la frase. Tanto quel che voleva dire era evidente. Due ali gigantesche, sparite praticamente nel nulla. Era il suo quirk, ma usarlo gli costava fatica, e lui era appena entrato in modalità risparmio energetico, nemmeno fosse un cellulare scarico. – Posso... tenere la giacca? Se sopravvivo te la ricompro, promesso.» mormorò, esalando un sospiro stanco ed affaticato.
    Probabilmente se fosse riuscito arrivare vivo alla clinica gli avrebbe ricomprato l'intero guardaroba per ringraziarlo, ma quello era un altro discorso strettamente legato alla passione di Castiel di fare regali alla gente che non era il caso di esplorare adesso.
    Un passo davanti all'altro, se Masao lo avesse aiutato a sostenersi per camminare, senza volerlo Castiel si sarebbe ritrovato ad appoggiare la guancia destra sulla sua spalla, ed a socchiudere gli occhi, per riaprirli soltanto quando gli sarebbe parso di scorgere la luce dei lampioni della via principale farsi più intensa. Si affacciarono sulla strada principale, giusto in tempo per scorgere il taxi in fondo alla strada. Castiel sentì il proprio cuore stringersi nel petto, un moto d'ansia nello stomaco ed il desiderio di farsi piccolo piccolo lo indusse a stringere il braccio con il quale si stava sorreggendo a Masao addosso a quest'ultimo. Di cosa aveva paura, poi? Deglutì appena.
    «Sono tuo amico, ho bevuto troppo e ho preso la pioggia, d'accordo? Dì qualsiasi cosa, ma non focalizzare l'attenzione del taxista su di me. Per favore disse debolmente, volgendo il viso verso il più grande ed accennando un sorriso spento. Ah, dannazione, così tante cose da spiegare.
    Se Masao avesse voluto tirare fuori le mascherine chirurgiche Castiel non lo avrebbe certo fermato. Anche perché, beh, non poteva. Con una frenata, il taxi si fermò davanti a loro. Per fortuna non erano proprio sotto ad un lampione. Davvero per fortuna.
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    Trattenne il respiro nel vederlo cercare di alzarsi. Una parte di lui aveva paura di vederlo cadere a terra, spezzandosi come

    (una statua di cristallo)
    (un ramo secco)
    (un castello di carte)

    e non sapeva bene come aiutarlo ad alzarsi, perché aveva paura di toccarlo in un punto sbagliato e fargli male
    ma in qualche modo riuscì a tirarsi su. Valigetta sottobraccio, Castiel appeso all'altro, cellulare in tasca.

    Un paio di istanti per recuperare l'equilibrio e il fiato; per assimilare le parole dell'altro e smettere di tremare.
    Non stava morendo. Non stava morendo. Era solo stanco,
    (anche tu sei stanco)
    pareva in grado di camminare, e
    e si stava preoccupando per la giacca rovinata, il ragazzo.
    Ma seriamente?

    "Figurati," ribattè in un fil di voce. "Mi spiace solo non avere qualcosa di più pesante da offrirti."
    Lo tirò su con un piede e fece del suo meglio per sistemarlo sulle spalle del ferito, quello straccio umido che ancora si ostinavano a chiamare "giacca".
    Anche lui si sentiva un po' uno straccio umido.

    Taxi. Dovevano salire sul taxi. Arrivare in fondo a quel vicolo senza scivolare e cadere a terra, perché non era sicuro che sarebbero riusciti a rialzarsi.
    Bagnato. Freddo. Stanco. Respira. Ciao Masao sono la tua coscienza, sono qui per darti una mano. Tenere in piedi la narrazione, perché vedo che inizi ad avere qualche problema con capoversi e tempi verbali.

    Metti un piede davanti all'altro, piano piano. Stringi a te il ferito, non lasciarlo cadere.
    Anche se fa male. Anche se hai appena realizzato con un nodo alla gola che è da quando ti sei mollato con Yui, un anno fa, che non camminavi così abbracciato a qualcuno. E che ti mancava ORRIBILMENTE, questa sensazione.
    Lo stringere qualcuno tra le braccia. Il caldino di un corpo umano premuto contro il tuo in un giorno di pioggia.
    Non pensarci.
    Perché è una cosa un po' patetica.

    Il taxi. Il tuo obiettivo è il taxi. La vedi la luce in fondo al vicolo? Ce l'avete quasi fatta.
    Non tremare. Il ferito già è abbastanza terrorizzato, ti sta dando istruzioni preoccupate sul come comportarsi col tassista.
    Bene. Suona lucido, il ragazzo. Coerente.
    Non sta morendo. Non sta morendo, Masao.
    Rimani calmo.


    "Non preoccuparti: sei in compagnia di un raccontafrottole professionista." Ecco bravo, rassicuralo con un ghigno stanco ma convinto. "Tu cerca di restare sveglio e stai attento a non lasciare macchie di sangue sul sedile. Stai seduto piegato in avanti e non ti appoggiare allo schienale, okay?"

    Ecco, fai cenno al tassista per indicare che siete voi, così non se ne va mentre voi arrancate fino al veicolo. Apri la portiera.
    Luce. Calore. Aria asciutta. Una sberla di normalità che fa vacillare. Gli scorsi minuti sembrano solo un brutto sogno ora, vero?
    Il vicolo. La pioggia. Il sangue.
    Respira. Entra per primo nell'abitacolo, piazzandoti nel sedile in mezzo. Lascia che il ferito si faccia piccolo piccolo dietro un sedile.
    Sporgiti in avanti per dialogare con l'autista. Oscuragli la visuale.


    "Yo, grazie per essere venuto a prenderci! Dobbiamo andare a Roppongi, Minato City, 3 Chome 5-3!"

    O forse era Chome 5-2? Meglio così. È più sicuro farsi portare a qualche numero civico di distanza.
    Sfodera il tuo solito sorriso da schiaffi. Tra fuori le tue ultime energie per apparire molesto.


    "Peccato si sia messo a piovere! Stavamo facendo un giro alcolico della zona." Risatina d'ordinanza. "Mica ha qualche locale da consigliarmi per la prossima volta? Lei dove va a bere di solito?"

    Bravo, parla a voce troppo alta. Attira l'attenzione. Fatti odiare da questo tassista stanco quanto te, che ti sta rispondendo con aria garbata e con occhi pieni di sdegno. Non lasciare che il suo sguardo si posi sul ragazzino sanguinante seduto al tuo fianco.
    Dieci minuti. Roppongi dista solo dieci minuti. Visto?

    Siete già arrivati.
    Tempo di salutare il tassista, lasciargli i soldi con tanto di un "tieni il resto", e strisciare fuori dal veicolo insieme al ferito. Guarda, la clinica è a pochi passi di distanza, e la dottoressa con cui hai parlato al telefono già sa che state arrivando.

    Ce l'hai fatta. L'hai salvato. Ora puoi avere la tua crisi di nervi. Facciamo che dopo aver affidato il ragazzo al primo losco medico disponibile, gli chiediamo se c'è una branda libera in cui puoi accasciarti per un po'? Sei esausto. E il tuo turno di lavoro inizia tra meno di sei ore.

    Però anche se sei zuppo, raggelato, sporco di sangue e stressato, penso che dovresti sentirti un pochino fiero di te stesso
    perché anche senza suit addosso, questa sera sei stato un vero Eroe, Masao Suzuki.


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    Il rumore della pioggia si era fatto più intenso. Come un brusio di sottofondo riecheggiava in una grande sala, coprendo quasi persino il rumore dei loro passi. Era assurdo, la frangia verde a ricadergli sugli occhi dorati, Castiel vedeva a malapena dove stava mettendo i piedi. Aveva mal di testa ed i contorni del mondo gli parevano sempre più imprecisi, come coperti da un velo di nebbia che faceva lo stesso effetto di un filtro sfocato sulle foto. Poi c'era il freddo, il fatto che stesse tremolando appena, pur senza battere i denti, stringendosi in quella giacca che uno sconosciuto gli aveva messo sulle spalle e che pur essendo fradicia a confronto con il resto pareva calda. Castiel si chiese se il principe della sirenetta in procinto di affogare sott'acqua non si fosse sentito così: confuso, dolorante, infreddolito, stanco e poi la voce della persona che lo aveva salvato. Anche se nel suo caso non aveva trovato una sirena con i capelli rossi, ma un salaryman in giacca e cravatta. Un raccontafrottole professionista, aveva detto, con uno strano ghigno rassicurante. Davvero, ma chi aveva accanto? Castiel se lo chiese per un istante, ma - troppo stanco per razionalizzare - si limitò ad annuire smorzando un sorriso. Doveva rimanere sveglio. L'auto si fermò di fronte a loro, e Castiel sentì il proprio stomaco chiudersi violentemente, neanche qualcuno avesse deciso di saltarci sopra. Con la gola secca, deglutì un cocktail di ansia e paura, ma si fece trascinare all'interno del veicolo dalla spiazzante sicurezza di Masao. Che per altro forse nemmeno aveva, magari stava provando le sue stesse sensazioni, aggiungendoci pure la responsabilità di avere la vita di una persona letteralmente sulle spalle.
    Ignorare l'istinto di abbandonarsi come nulla sul sedile dell'auto fu difficile; Castiel continuò a tenere la guancia posata contro la spalla di Masao, come un bambino troppo assonnato sulla spalla di sua madre, scongiurando che il suo respiro pesante ed il suo silenzio, confrontato con la spiccata parlantina dell'altro, non suonassero troppo strani. Tentò di concentrarsi prima sul rumore dell'auto, poi su quello della pioggia, ma resosi conto che nessuna delle due fosse un'ancora abbastanza forte da tenerlo lucido, tornò a preferire la conversazione tra Masao ed il tassista, appuntandosi mentalmente che avrebbe dovuto ripagargli anche la corsa. Fece del suo meglio per nascondersi dietro il sedile, facendosi piccolo piccolo e limitandosi a tentare di ridacchiare ogni tanto. Si chiese cosa avrebbero pensato di lui i suoi fratelli se lo avessero visto così: ora che ci pensava aveva voglia di abbracciarli tutti, dal primo all'ultimo; aveva bisogno che Richard gli accarezzasse la testa e che gli dicesse che andava tutto bene e che Lavinia sgridasse Vincent e Gil perché lo avrebbero sicuramente preso in giro per il suo bisogno d'affetto prima di abbracciarlo comunque. Gli mancava la sua famiglia, ed il fatto che ci stesse pensando come se non dovesse vederli mai più non stava aiutando a non farlo sentire patetico. Senza volerlo si strinse ancora più vicino al suo compagno, cercando di non scoppiare di nuovo a piangere e perse la cognizione del tempo.
    Non la riacquistò né quando l'auto accostò a lato della strada per farli scendere, né quando l'insegna della clinica si fece visibile sopra le loro teste, né quando la porta di quel pronto soccorso notturno si aprì davanti a loro mostrando un breve corridoio dai muri color panna e due individui dai capelli neri ad aspettarli. No, Castiel non realizzò nemmeno che, ad un certo punto, qualcuno lo tolse dalle braccia di Masao facendolo stendere a pancia in giù su una barella. Percepì solo una voce femminile dirgli di stare tranquillo e che sarebbe andato tutto bene, e nella sua testa la frappose a quella della sorella.
    Forse ora poteva anche addormentarsi.

    Dal punto di vista di Masao forse sarebbe andata un po' peggio. Castiel smise di dargli qualsiasi reazione appena messo piede fuori dalla macchina. Respirava ancora, ma sempre più debolmente: gli occhi semi-chiusi, il corpo sempre più pesante, arrivati alla soglia dell'ingresso secondario della clinica pareva più morto che vivo. Premuto il campanello, qualcuno avrebbe aperto la porta verso l'interno in tempo record, e Masao si sarebbe ritrovato di fronte un ragazzo dai capelli neri con indosso un camice da cui spuntava una coda appuntita e, pochi passi più indietro una donna un po' più bassa di lui, un caschetto color pece ad incorniciargli un viso dai lineamenti decisamente giapponesi ed un altrettanto bianco camice sotto al quale si potevano intravedere degli abiti scuri.
    Il ragazzo li avrebbe fatti entrare in fretta, chiudendo la porta, e Masao si sarebbe ritrovato un piccolo atrio semivuoto, eccezion fatta per un paio di poltrone e la barella che affiancava la dottoressa, dai muri color panna. Si vedeva che non era l'ingresso principale. Prima che potesse anche solo dire "pio" il ragazzo gli avrebbe tolto il ferito dalle spalle, pur mostrando un'espressione un po' stupita nello scorgerlo in faccia, e dopo averlo ringraziato per averlo portato fino a lì sarebbe sparito con la donna verso un'altra stanza.
    Masao non sarebbe rimasto solo a lungo tuttavia, il ragazzo sarebbe tornato a farsi vedere dopo meno di dieci minuti, apparendo sulla soglia con le braccia sui fianchi. Era abbastanza alto, aveva gli occhi gialli ed i capelli scuri pettinati in modo disordinato, ma che in un certo senso gli donavano abbastanza.
    «Phew. Questa è la seconda volta che vedo una celebrità entrare qui.» disse, esalando un sospiro. Masao non poteva saperlo, ma si stava riferendo a quando il 30MinutesMan si era presentato alla clinica dal nulla quasi sei mesi prima. «Non mi dispiacerebbe diventasse un'abitudine. – continuò, prima di schiarirsi la voce e cercare lo sguardo di Masao. – Allora, abbiamo delle ferite da perforazione medio-profonde, lieve ipotermia ed un intossicazione medio-grave provocata da... mercurio. Ma la dottoressa si sta prendendo cura di lui e non è in pericolo di vita, quindi non preoccuparti.» spiegò, abbozzando un sorriso e porgendogli un asciugamano. «Tu sei tutto intero?»
    Se la risposta fosse stata affermativa, il ragazzo gli avrebbe detto che poteva tranquillamente aspettare lì, questione di poco e sarebbe riemersa anche la dottoressa, ovvero la donna che aveva visto prima, e che se aveva bisogno di qualcosa lo avrebbe trovato nell'altra stanza.
    La dottoressa tuttavia, sarebbe comparsa sulla stessa soglia su cui era comparso il ragazzo poco prima solo dopo un'altra ventina di minuti, cercando Masao con lo sguardo. Se lo avesse trovato ancora lì gli avrebbe spiegato che il ragazzo stava bene, ma che era sotto anestetici, al momento stava dormendo e non si sarebbe svegliato probabilmente prima di un paio d'ore. Se voleva aspettare che si svegliasse poteva andare nell'altra stanza e riposarsi. Avrebbe trovato il ragazzo disteso su un letto non troppo dissimile a quello di un'infermeria, al momento non c'era nessun altro, quindi volendo poteva stendersi su uno di quelli affianco, l'importante era che non toccasse le flebo per nessunissimo motivo.
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    Buongiorno Masao, sono la tua coscienza. Come ci sentiamo stamattina?
    Sbrglf.

    Il fatto è che nonostante i medici gli avessero gentilmente offerto una branda su cui collassare, Masao non era riuscito a chiudere occhio quella notte. Era in quello stato in cui sei così esausto e agitato da non essere in grado nemmeno di prendere sonno - tant'è che quando il medico dai capelli scuri gli aveva chiesto come stava, appena arrivato in clinica, la sua risposta istintiva era stata:

    "Cosa avrei potuto fare meglio, per la prossima volta?"

    Ed era rimasto lì in piedi con aria allucinata, sforzandosi di ascoltarlo con attenzione, ma in testa non gli era rimasto niente. Niente. Il medico a una certa aveva smesso di parlare, invitandolo di nuovo a stendersi, ma lui prima aveva insistito nel pagare le cure mediche di Castiel e nel chiedere inutilmente se qualcuno avesse dei vestiti puliti da prestargli. Si era infine lasciato guidare verso la branda per pura forza d'inerzia, e... Ed era rimasto lì, faccia contro il cuscino, occhi chiusi e cervello che non voleva sapere di spegnersi. Oppresso dal battito del suo stesso cuore, dal ticchettio delle lancette di un orologio, dal respiro lento ma regolare di Castiel.

    Così aveva finito per riprendere in mano il cellulare. Orario sullo schermo: quasi le cinque del mattino.
    Aveva mandato qualche messaggio a Desmond (che era ancora sveglio, vergogna), avvisandolo che era tutto okay, e chiedendogli se lui o Shinjiro potessero portargli dei vestiti puliti perché aveva la camicia sporca di sangue e non sapeva come tornare a casa.
    Casa. Voleva andare a casa, non a lavoro.
    Ma se non andava a lavoro l'avrebbero licenziato di nuovo.

    Gli veniva da piangere. Non voleva che il capo gli urlasse di nuovo in faccia per l'ennesima assenza non giustificata dell'ultimo minuto, ma... Non sapeva cosa fare. Era esausto, e non aveva passato una nottata infernale solo per sentirsi dire che era una persona pigra incapace di prendersi le sue responsabilità...

    Era lì seduto sul bordo del letto, cellulare in mano, e stava cercando di singhiozzare in maniera discreta per non svegliare Castiel, quando si rese conto che il ferito aveva già gli occhi aperti e probabilmente lo stava fissando da un po'.

    "Oh. Ciao." Si passò una manica sul volto, asciugandosi gli occhi. " Spero di non averti svegliato. Come ti senti?"

    Sorriso incoraggiante d'ordinanza.
    Ora che lo vedeva chiaramente, aveva capito perché il medico coi capelli scuri avesse fatto quel discorso sulle celebrità in clinica: era quel Castiel. Aveva regalato un paio dei suoi dischi alla sua ex, molti compleanni fa.

    "Ho pagato io le spese mediche, quindi pensa solo a riposarti. Se vuoi telefonare ai tuoi cari, sono certo che la dottoressa ti potrà aiutare," spiegò con aria incoraggiante, ricordando il tono devastato con cui aveva detto "non ho il cellulare".

    Deglutì. Una parte di lui voleva solo filare via. Aveva compiuto la sua buona azione della settimana, aveva già rivelato fin troppo su di se, e aveva i suoi casini personali a cui pensare.
    Ma i suoi doveri da vigilante non erano ancora terminati.

    "Senti... A me non interessa sapere cosa ti sia successo, e immagino che tu al momento non ci voglia nemmeno pensare. Però... Chiunque ti ha attaccato potrebbe fare lo stesso anche ad altri, che potrebbero avere meno fortuna di te." Si sporse in avanti e abbassò la voce, ricercando lo sguardo di Castiel. "So che non vuoi parlare con la polizia, ma se ti interessa risolvere la cosa in maniera più informale... Posso lasciarti il contatto di persone che ti possono aiutare."

    La procedura standard in simili casi era di lasciare il numero del Kagejikan, e dire di telefonare chiedendo se servivano sashimi di carne di cinghiale.
    Ora che ci pensava, iniziava ad avere anche fame.

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    Il fatto che lo avesse portato lì era più che sufficiente, gli aveva risposto lo stesso ragazzo dai capelli neri. Probabilmente non sarebbe bastato a far sentire tranquillo Masao, ma la verità era che una persona senza competenze mediche avrebbe potuto fare ben poco altro. Sebbene le ferite in sé si sarebbero rimarginate anche da sole con un po' di tempo, un'intossicazione da mercurio, se ignorata, poteva rivelarsi fortemente debilitante per il sistema respiratorio o addirittura fatale. Non era stato ad annoiarlo più di tanto, visto il lieve shock che probabilmente la sua mente stava attraversando, e gli aveva solo consigliato di riposarsi e di parlare con il ferito la mattina seguente. Salvare delle vite era una sensazione particolare, ma c'era la possibilità che appena ne avesse acquisito coscienza si sarebbe sentito meglio.

    Castiel non era mai stato bravo a ricordarsi i sogni. Aveva sempre invidiato la capacità di sua sorella che, seduta a tavola per pranzo, raccontava i propri con una vividezza tale da farli sembrare quasi veri e logici. Anche se poi riguardavano il più assurdo degli avvenimenti, tanto che era palese che si trattasse di sogni; lui la maggior parte delle volte non se li ricordava e basta, o se li dimenticava pochi minuti dopo essersi svegliato. Come in quel momento, era convinto di starsi rilassando all'ombra di un albero in un giardino, ma... il parco di Ueno? Central Park? Forse nessuno dei due, ma un rumore - strano - gli era entrato nelle orecchie disturbando il suo sonnecchiare e non voleva saperne si andarsene. Era come se qualcuno stesse piangendo sommessamente. Castiel aveva socchiuso gli occhi, strizzandoli un paio di volte, il giardino era sparito e - poco dopo - anche il suo ricordo. Sopra la sua testa c'era un soffitto d'intonaco bianco: Castiel non era steso sotto nessun albero, ma sopra un letto (che non era il suo, non era in camera sua) e nell'aria c'era un forte odore di disinfettante. Lentamente, libero dal mondo dei sogni, i ricordi della sera prima avevano iniziato a riaffiorare: il tizio mascherato, il bagno nel fiume, la strada, il vicolo, il salaryman in giacca e cravatta, la clinica, la dottoressa con i capelli neri...
    Un momento. Il salaryman in giacca e cravatta!
    Come d'impulso, Castiel aveva provato ad alzarsi, scoprendo tristemente di non esser tornato ancora in possesso di tutte le sua capacità di movimento, ma che in realtà il letto fosse appena reclinato in avanti, come quelli d'ospedale. Non sentiva tanto male, ma probabilmente aveva degli anestetici ancora in circolo. Senza muoversi troppo si guardò appena intorno: aveva il braccio sinistro fasciato ed una flebo attaccata all'altra; la stanza era semivuota, accanto al suo giaciglio c'era un comodino con una bottiglia d'acqua sopra e seduto sul bordo del letto immediatamente di fronte...
    Ah! Il salaryman in giacca e cravatta! In quel momento Castiel si ricordò del giardino e capì quale fosse stata l'origine del rumore che lo aveva strappato dal mondo dei sogni, perché Masao stava... piangendo. Cioè no, non proprio. Però c'era indubbiamente molto vicino. Castiel percepì uno strano senso di colpa stringergli lo stomaco, distolse un momento lo sguardo, passandosi il braccio bendato a stropicciarsi gli occhi e poi tornò a fissarlo. Perché la sera prima gli era sembrato tutto così logico ed adesso si rendeva conto che si era fatto salvare da un civile qualunque probabilmente rovinandogli una giornata qualunque e costringendolo a passare la notte fuori e lontano da casa. Si morse le labbra.
    Non sapeva cosa dire, ma - per fortuna - in quel frangente, Masao sollevò il viso e lo vide sveglio. Castiel distolse di nuovo immediatamente lo sguardo, e si mise a fissare la benda che copriva l'ago che, lì sotto, gli bucava la pelle. Onestamente non sapeva nemmeno che stava ricevendo. Sangue? Liquidi? E non voleva nemmeno pensare allo stato in cui fosse. Si sentiva i capelli asciutti ora, ma dubitava fossero... beh, i suoi soliti capelli. Castiel lasciò parlare Masao, risollevando lo sguardo solo quando capì che non aveva più nulla da aggiungere, e tentò di smorzare un sorriso.
    «Scusa, non devi aver passato una bella serata a causa mia, vero?» mormorò, mortificato. Eppure si sentiva così felice di essere vivo che quasi per un momento non scoppiò a piangere a sua volta. Tirò appena su col naso e decise che doveva comportarsi da adulto responsabile quale sarebbe dovuto essere. In realtà, parlare era esattamente quello che voleva. Voleva sfogarsi e ricevere conforto, ma lo avrebbe fatto una volta uscito di lì, probabilmente andando a casa di Jason non appena si fosse sentito meglio. Non poteva ammorbare una persona qualunque con i suoi problemi, quindi non avrebbe detto nulla di più che un accenno. L'uomo gli sembrava già abbastanza turbato di suo, non poteva peggiorare la situazione. «No, io... non.. lo so? Un tizio con una maschera sul volto mi ha aggredito all'improvviso senza motivo e... mi sono illuso di poterlo fermare, diciamo.» biascicò, cercando di connettere fra loro gli avvenimenti.
    Non poteva dirgli che lo faceva non abitualmente, ma nemmeno troppo raramente. Era solo capitato contro un avversario al di fuori dalla sua portata e l'aveva ovviamente sottovalutato, perché il senso del pericolo di Castiel non funzionava molto bene. La sua voce era esitante, sebbene integra.
    Adulto responsabile Castiel, adulto responsabile. Era così preso dal pensiero di voler liberare quella persona il prima possibile che nemmeno gli sembrò strana la sua proposta. Persone che potevano aiutarlo? Un contatto con qualcuno chiaramente sospetto? Andava tutto benissimo.
    «Non credo che andrò a denunciarlo per... quello che comporterebbe. Anzi, a dire il vero ti sarei grato se tu non dicessi a nessuno di avermi proprio visto. Per nulla. Non non ci conosciamo, io non so chi sei e tu nemmeno. Mi sembra meglio per tutti e due, no?» continuò, dopo qualche secondo di pausa. Non poteva ammorbarlo con i suoi problemi, giusto? Era ovvio che un pochino stesse cercando di salvarsi la faccia, ma era lo stesso motivo per cui non era andato all'ospedale di sua spontanea volontà.
    Non aveva intenzione di rifiutare la sua proposta, ma era agitato. A malapena riusciva a muoversi - aveva realizzato di avere delle bende pure sulla schiena, nonostante i suoi sensi facessero ancora fatica a razionalizzare tutto - ed il solo parlare gli stava provocando uno sforzo notevole. Non sapeva che ore fossero, ma continuava a sentirsi piuttosto assonnato e stanco. Si era forse svegliato prima del previsto?
    Forse. Chiuse gli occhi per un momento e sentì le braccia di Morfeo tirarlo di nuovo verso di sé.
    Ma non poteva addormentarsi di nuovo, non ancora. Doveva ringraziarlo. Gli aveva salvato la vita, dopotutto. Risollevò le palpebre e puntò le iridi violacee sulla mano dell'uomo che stringeva il telefono.
    «Se... mi lasci quel numero però troverò un modo di restituirti i soldi e la giacca, promesso.» disse, inspirando appena e lasciandosi affondare di nuovo nel cuscino. Sorrise di nuovo.
    «Grazie per non avermi ignorato, davvero.»
    Sì, era davvero contento di essere vivo, anche se probabilmente lo avrebbe realizzato meglio più tardi.
    Doveva contattare Jason, ma aveva così sonno...
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    Masao Suzuki
    Onestamente non sapeva come riuscisse a farlo.
    A mantenere il sorriso. A cercare di apparire sorridente e rassicurante anche se era lui, al momento, quello che aveva bisogno di rassicurazioni. Ogni fibra del suo essere desiderava solo un abbraccio, una copertina e un bagno caldo.
    Non sapeva come riuscisse a farlo, ma sapeva che era questo lato di lui, più del suo Quirk, a renderlo vero pro-Hero material.
    Finché c'era qualcuno che aveva ancora bisogno del suo aiuto, non si sarebbe permesso di collassare.

    "Scusa, non devi aver passato una bella serata a causa mia, vero?"

    "Tranquillo. Nella mia situazione avresti fatto la stessa cosa," replicò, con calma inossidabile.

    Ascoltò con interesse la storia di Castiel. E così l'attaccante era un tizio con la maschera che l'aveva accoltellato assolutamente a caso? Uuuh. Una storia che poteva suonare improbabile, non fosse che Castiel sembrava davvero uno che non aveva nulla da nascondere. Il fatto che non avesse una suit addosso confermava il fatto che fosse un semplice civile che aveva usato il suo Quirk per autodifesa, e non qualcuno che si improvvisava abitualmente giustiziere della notte.

    "Dubito che la polizia ti punirebbe per aver cercato di difenderti da un pazzo, ma... Sì, capisco il problema. Ti farebbero milioni di domande su una situazione che vorresti solo dimenticare." Soprattutto perché Castiel era una persona vagamente famosa, e le indagini avrebbero rischiato di dar vita ad articoli scandalosi, speculazioni pubbliche e chissà cos'altro. Ovvio che avesse chiesto di farsi portare in una clinica privata anziché un ospedale, viste le circostanze.
    "E per cosa? Con così poche informazioni non lo prenderanno mai. Sarebbe solo un altro trauma per te," concluse con un sospiro. Meglio non dar a vedere di aver riconosciuto l'ex-idol: avrebbe solo alimentato le sue ansie.

    "Quindi... Sì, meglio fare come dici tu. Non ho idea di chi tu sia e non ci siamo mai visti," confermò alzando le mani. Ciao, vaga possibilità di avere qualcuno che potesse giustificare la sua assenza non giustificata sul lavoro. "L'amico che mi ha dato il numero della clinica sa solo che ho trovato una persona ferita per strada. Nessun dettaglio. E poi... È una delle persone che ti ho detto, quelli che ti possono aiutare, quindi nel caso ci parlerai tu. Ti lascio il numero..."

    Il numero. Castiel non aveva il cellulare, quindi avrebbe dovuto lasciarglielo scritto, vero? Argh. Recuperò la sua valigetta ai piedi del letto e tirò fuori una penna e un pezzo di carta, usando il retro del suo cellulare come base improvvisata per scrivere.

    "Se vuoi che qualcuno indaghi su questo pazzo con la maschera, chiama un locale chiamato... Ka-ge-ji-ka-n," sillabò mentre scriveva il nome sul foglietto. "E chiedi se servono... Aggrottò la fronte, la penna a mezz'aria. "Sa-shi-mi di cin-ghia-le." Inoshishi no sashimi. Lo scrisse tutto in hiragana, l'espressione crucciata di un bimbo che cerca di risolvere un'equazione di terzo grado. Troppo stanco anche solo per provare a ricordarsi i kanji giusti.
    Il cellulare gli vibrò sotto il foglietto, facendogli tirare una linea storta sul foglio. Lo girò per guardare lo schermo. Messaggio da Desmond. Un vago sorriso, molto più genuino di quelli rifilati fin'ora a Castiel, per poi tornare a usare il telefono come tavolino. Gli avrebbe risposto dopo.

    "Ecco qua. Spero si capisca," borbottò un po' imbarazzato, porgendo a Castiel il bigliettino marcato da hiragana che parevano scritti da un bimbo delle elementari. "E... Non serve ripagarmi niente, davvero. Sapere che stai bene è un pagamento più che sufficiente." Castiel conosceva già la sua faccia e il suo nome vero. Non intendeva davvero dargli anche gli estremi del suo conto bancario. Anche se per un vago, colpevole istante si chiese quanti soldi avrebbe potuto ottenere da un tizio famoso e con un forte debito di riconoscenza nei suoi confronti.
    Però no.
    Davvero, no.

    Si cacciò il cellulare in tasca, raccolse la sua valigetta e scese dal letto. Doveva andare.

    "Beh, non posso dire che sia stato esattamente un piacere conoscerti, ma... Sono felice di averti incontrato al momento giusto e di aver potuto fare qualcosa di utile." Dichiarò sul ciglio della porta, accompagnando le sue parole con un profondissimo inchino da perfetto impiegato giapponese.

    "Stammi bene, persona che non conosco e che non ho mai visto."

    Un ultimo sguardo al ferito prima di uscire dalla stanza.
    Anche senza le ali, disteso in quel letto bianco, sembrava veramente un angioletto.

    Scheda • Vigilantes • Livello 3 • Energia: 175/175 • Forza: 030 • Quirk: 070 • Agilità: 050 • Peso: 0/4



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    Avevo già avvisato in privato ma mi scuso again per il ritardo ;_;
     
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    Castiel non provò nemmeno per un attimo a convincersi che lui non avrebbe fatto lo stesso. Sapeva che Masao aveva ragione, e non solo perché era una persona gentile, ma perché nessun essere umano sano di mente avrebbe lasciato morire un disgraziato in mezzo alla strada. Già, nessuno sano di mente. Doveva essere quella la spiegazione. Quel tipo mascherato che aveva incontrato doveva essere uno psicopatico, uno di quelli che si vedevano nei film. Eppure quella voce con cui gli aveva sussurrato "giocherò anche io con te" un secondo prima di trafiggerlo brutalmente gli era sembrata così lucida - il suo ricordo era ancora terribilmente vivido nella sua mente, tanto da farlo rabbrividire - da farlo dubitare della cosa. Fare i conti con la realtà era dura. Castiel ancora non lo sapeva, ma ci avrebbe pensato a lungo nei giorni a venire. Si era sempre creduto così... forte, fino a quel momento, non solo come persona, ma anche come utilizzatore di quirk, visto come le sue metamorfosi lo mettevano di continuo alla prova rinforzando le sue ali ogni volta di più. Ed ora aveva visto tutte le sue certezze essere spazzate via come un castello di carte al vento.
    Che diavolo si era messo in testa di fare? Aveva davvero usato il suo quirk per autodifesa? Sì, forse ad un occhio esterno sarebbe parso così, ma quello che Masao non sapeva - e su cui non pareva aver ragionato per sua fortuna - era che Castiel avesse avuto la possibilità di scappare. E nonostante tutto avesse deciso di non farlo. Era un dettaglio che aveva volutamente omesso per ovvi motivi perché sì Castiel aveva le sue cose da nascondere, ed era decisamente meglio che sembrasse un civile finito nei guai e nient'altro. L'essere parzialmente una persona famosa lo rendeva doppiamente vulnerabile. Quel Masao, d'altro canto, a vederla con occhio critico e cinico, era decisamente più sospettabile di lui per recitare la parte di uno che si improvvisa giustiziere della notte, non per il tipo di persona che appariva (era solo un salaryman in giacca e cravatta), ma per... beh, tutto il resto, compresa la naturalezza con cui gli aveva offerto un decisamente poco sospetto numero di telefono. Se il giustiziere non lo era lui, lo erano probabilmente dei suoi contatti.
    Non che a Castiel importasse, non era ancora troppo sveglio ed in grado di ragionare a mente lucida, qualcosa era in grado di carpirlo, ma molto probabilmente era ancora sotto effetto degli anestetici: si sentiva confuso e stanco; la mente un po' annebbiata, voltò la testa sul cuscino mentre Masao scriveva il numero ed allungò appena il braccio non attaccato alla flebo quando l'uomo gli porse il foglietto.
    Faticava a stare dietro anche ai suoi stessi ragionamenti, figurarsi alle parole di Masao. Lo aveva solo visto sorridere velatamente ed aveva capito quanto si stesse sforzando di tenere intatta la sua psiche, quindi decise di assecondarlo e non aggiungere altro. Si sforzò appena di leggere le sillabe per controllare che corrispondessero a ciò che aveva appena sentito e... un momento.
    Kagejikan. Uh? Non lo aveva già sentito da qualche parte? Castiel aggrottò leggermente le sopracciglia. Non gli veniva in mente. Forse sui social? Strinse il foglietto nel palmo della mano e si stropicciò un occhio con l'indice, come un bambino assonnato. La sua stanchezza stava avendo la meglio. Era meglio che ci pensasse al risveglio, anche se a quel punto non avrebbe avuto nessun Masao a cui chiedere. Sempre ammesso che si chiamasse davvero così.
    Lesse anche le successive sillabe e smorzò una mezza risata, raggomitolandosi sul letto. Esisteva davvero il sashimi di cinghiale? Castiel adorava il sushi, ma in tutti quegli anni che era stato lì in Giappone non ne aveva mai sentito parlare. Che fosse... una specie di codice segreto?
    «Grazie. Non sapevo... esistesse.» mormorò, un po' ingenuamente. Non era in grado di ragionare a mente lucida, lo abbiamo detto? Però era quello il pensiero che lo aveva fatto genuinamente ridere. Alla menzione su come non importasse che gli restituisse i soldi, Castiel sollevò lo sguardo incredulo e scosse impercettibilmente il muso, senza togliersi il sorriso di prima dalla faccia.
    «Mh. Questa è una frase che direbbe un eroe.» canzonò, un po' a presa di giro. Ora che non era più in fin di vita era tornato ad essere il solito Castiel impertinente di sempre. Forse nessuno avrebbe voluto sentirsi definire un Pro-Hero dopo aver passato una serata del genere: era un po' quando un pompiere ti salva da un incendio e le vittime vanno a ringraziare qualche divinità sconosciuta nell'alto dei cieli.
    Castiel vide Masao avviarsi verso la porta. Era davvero grato che avesse accettato la sua proposta di rimanere pseudo-sconosciuti, ne valeva l'incolumità di entrambi dopotutto, ma più la sua che quella dell'altro. Avrebbe dovuto chiedere la stessa cosa anche alla dottoressa ed al ragazzo della clinica. Eppure... fu un momento, parlò senza quasi pensare, alzando un po' il tono di voce. «Tu... sei uno di loro, vero?» chiese, a bruciapelo. Che cosa volesse dire non lo sapeva esattamente nemmeno lui. Era che Castiel aveva sempre saputo dell'esistenza di quel tipo di persone come lui e Jason, ma non aveva mai incontrato nessuno di quegli individui, che per lui rimanevano alla stregua di figure mitologiche di cui poteva solo leggere notizie sul giornale. Come Druid o Cypher che avevano salvato più duecento persone solo qualche mese fa durante un'esplosione a Kabukicho. Perché lo facevano? Altruismo? Qualcos'altro? Solo ora si rendeva conto che avrebbe voluto parlare di più con quel tizio biondo o con chi per lui poteva, forse, dargli una spiegazione. Ma non poteva, non era giusto, e non ce l'avrebbe fatta a rimanere sveglio, motivo per il quale non appena si rese conto di ciò che aveva detto si affrettò a correggersi. «Ah, no. Niente. Non fa nulla. Immagino che tu non voglia rispondere a... viso scoperto.» mormorò, scuotendo la testa. Avrebbe chiamato quel numero in futuro e in qualche modo gli avrebbe reso i soldi. Che lui lo volesse o meno. Castiel sapeva essere una vera palla al piede insistente quando voleva. «È reciproco. – commento, ma decise di sorridere, come ultimo saluto. In realtà per lui era stato un piacere incontrarlo, o non sarebbe stato lì, ma non era necessario essere pignoli. Socchiuse gli occhi: sentiva già le morbide braccia di Morfeo tirarlo verso di sé, probabilmente non avrebbe udito un'eventuale risposta di Masao, tanto era stanco. – Buona fortuna.» biascicò, prima di abbandonarsi di nuovo sul cuscino.
    Un attimo dopo stava dormendo.

    ---

    Castiel si svegliò quattro ore dopo, e l'unica cosa che riuscì a realizzare fu solo che si sentisse riposato sì, ma indolenzito praticamente ovunque. E che aveva fame. Qualcuno gli aveva tolto la flebo, ed ora sul comodino affianco al letto c'erano - oltre al foglietto che sempre qualcuno doveva aver messo lì, perché Castiel ricordava di essersi addormentato stringendolo fra le mani - una bottiglia d'acqua da mezzo litro ed una confezione di pocky alla fragola. Il suo primo pensiero fu chiedersi il perché, ma non appena realizzò di avere la gola secca si avventò sulla bottiglietta d'acqua senza pensarci due volte.
    La dottoressa entrò nella stanza mentre lui si stava rigirando fra le mani la confezione rosa dei dolcetti, indeciso sul da farsi. Dalle finestre entrava poca luce, probabilmente per via del fatto che fossero rimaste chiuse fino ad ora. Così Castiel apprese che fossero le nove di mattina passate e che sì, poteva mangiare i pocky. La dottoressa gli spiegò anche che aveva ricevuto una trasfusione di sangue e che le ferite si erano rimarginate senza bisogno di mettere dei punti, ma che doveva stare a riposo ed evitare assolutamente di usare il suo quirk per almeno un paio di settimane. Sulla schiena sarebbero comunque rimaste delle lievi cicatrici.
    Castiel se lo aspettava, ma il non usare il quirk poteva essere un problema. I suoi vestiti erano ridotti a stracci e non poteva mica uscire con il camice della clinica addosso. E non poteva tornare a casa volando. Doveva per forza mettersi in contatto con Jason, quindi. E se l'altra sera il pensiero gli era parso geniale, adesso non lo sembrava più nemmeno così tanto. Si sarebbe preoccupato? O gli avrebbe urlato contro di non fare cazzate? Probabilmente entrambe. Inoltre non poteva nemmeno chiamarlo per spiegare bene le cose a voce perché oltre a non avere il proprio cellulare non ricordava nemmeno il numero di telefono dell'altro. Si ricordava le sue credenziali di accesso a Babel però, e con quello poteva accedere a Qmail per mandargli qualche messaggio, nella speranza che li leggesse il prima possibile. Quando la dottoressa fece per allontanarsi e tornare nell'altra stanza, Castiel si fece coraggio e sospirò. Doveva spiegare la situazione. «Potrei... avere un cellulare in prestito? Per favore.»
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    Masao Suzuki
    Doveva ammetterlo, sentirsi finalmente chiamare "eroe" ad alta voce era una bella sensazione.
    Fu il resto a piacergli molto meno.
    L'implicazione che lui fosse uno di loro. Quel commento sul fatto che fosse "a volto scoperto". Il sentirsi così vulnerabile, conscio di aver messo la sua identità a rischio per aiutare qualcuno, solo per sentirsi ricordare di aver fatto troppi sbagli.

    Si bloccò sul ciglio della porta, voltando nuovamente lo sguardo verso il ragazzo disteso nel letto.
    "Ah..." Smorfia imbarazzata. "So che al momento ai tuoi occhi devo sembrare la figura più eroica del mondo, ma..." Sono solo un salaryman, avrebbe voluto dire, eppure la frase gli morì in gola - soffocata da uno strano sentimento che lo portò invece a raddrizzare la schiena. Un sentimento che non sapeva bene come descrivere in giapponese, ma che Desmond avrebbe probabilmente chiamato very done with this shit.

    "...Ritengo sia molto scortese cercare di capire chi sono subito dopo avermi chiesto di dimenticarmi di te, Castiel Leroy," dichiarò, occhi fissi su quelli dell'ex idol mentre scandiva il suo nome completo con tragica chiarezza. Era uno dei cantanti preferiti della sua ex, se lo ricordava il cognome. "La riservatezza può essere mantenuta solo quando il rispetto è reciproco."
    Voce troppo glaciale? Probabilmente sì.
    È che l'ultima volta che il suo vero nome era saltato fuori mentre cercava di aiutare qualcuno, quel qualcuno aveva poi minacciato sua madre.

    "Cerca solo di riposarti e dimentica questo brutto incubo, okay?" Si sforzò di tornare ad un tono di voce più gentile, facendogli pure l'occhiolino. "Ciao."
    Ecco, ora era il caso di andarsene davvero.

    -----------

    E nel caso qualcuno si stesse chiedendo se Masao Suzuki verrà licenziato anche questa volta, la risposta è no.
    O almeno non subito.

    Non era andato a lavoro, come prevedibile. Era andato a fare colazione con Desmond. Però aveva trovato la forza di telefonare al suo supervisore, accampando milioni di scuse, e se l'era cavata con un rimprovero ufficiale, un taglio alla busta paga del mese, e la promessa di presentarsi in ufficio nel week-end per recuperare il lavoro arretrato. Roba che a pensarci gli veniva già la nausea.
    Però in quel momento, con una tazza di caffè caldo tra le mani e una tuta larghissima addosso che odorava vagamente di sigari, stava riuscendo a tenere lontani quei brutti pensieri.

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    Edited by Whatnot - 14/12/2020, 17:05
     
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